Depressione e Demenza Trattamento
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Depressione e Demenza Trattamento
Articolo 3 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 23 D E M E N T I A U P D AT E – N U M E R O 9 , G E N N A I O 2 0 0 1 Angelo Bianchetti, Alessandra Pezzini Centro per la Memoria, Clinica Ancelle della Carità, Cremona, e Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia Depressione e demenza: approccio clinico e trattamento La relazione fra depressione e demenza è complessa e, almeno per certi aspetti, ancora lontana dall’essere completamente chiarita. Ciò che è inconfutabile è che la depressione può associarsi a deficit cognitivi e che in corso di demenza sono presenti, in un’elevata frequenza dei casi, sintomi depressivi (1-3). La depressione può presentarsi insieme ad altre malattie neurologiche o complicare patologie di interesse internistico più frequentemente negli anziani che negli adulti (4,5). Nell’anziano, inoltre, esiste una forte relazione fra eventi vitali stressanti (pensionamento, ridotte risorse economiche, vedovanza, trasferimento di residenza), carenza o mancanza di supporto sociale e/o di interazione sociale, concomitanza di abuso di sostanze (farmaci o alcol) e di malattie somatiche, disabilità e rischio di comparsa di sindromi depressive (6,7). A sua volta la depressione costituisce un fattore aggravante la prognosi di malattie somatiche e un rischio di disabilità (8,9) . Nell’anziano la relazione fra malattia somatica e depressione è quindi bidirezionale e il rapporto demenza-depressione rappresenta un esempio complesso e al tempo stesso affascinante di questa interazione. Va ricordato che la prevalenza di sindromi depressive è in aumento nella popolazione generale a qualsiasi età, non solo per ragioni di tipo ambientale, ma anche per una maggiore sensibilità culturale e clinica e per una sempre maggiore diffusione di metodi di diagnosi raffinati e sensibili, in grado di facilitare il riconoscimento di forme atipiche e mascherate della malattia in una fase precoce (10,11). rarle all’interno di categorie nosologiche differenti”. Così Roth et al. (1996) (12) rilevavano l’importanza di una più accurata attenzione a queste patologie. Il decorso di queste due condizioni è spesso così complicato da patologie somatiche intercorrenti che la prognosi, specialmente della depressione, mostra una considerevole variabilità (13,14). Non c’è nessun dubbio che la depressione può essere associata con importanti deficit cognitivi. Questi deficit non compaiono solo in relazione alla vecchiaia: la dimensione del fenomeno è simile nelle persone con un’età maggiore o minore di 60 anni. Recenti studi (2,15,16) dimostrano l’aumento di interesse verso la depressione nella demenza: è causa o conseguenza del processo dementigeno? Devanand e collaboratori (17,18) in uno studio longitudinale hanno rilevato che la presenza di sintomi depressivi aumentava il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer (AD) a 5 anni di distanza (il 21% dei soggetti depressi al basale sviluppò AD al termine dello studio, contro il 9% dei soggetti non depressi; il rischio relativo risultava di 2,94) (Figura 1). Un recente lavoro indica che la presenza di sintomi depressivi è un predittore indipendente non solo di comparsa di demenza, ma anche di declino cognitivo e che la gravità dei sintomi determina un aumento del rischio (Tabella 1) (2). L’ampia sovrapposizione fra queste due condizioni pone frequenti problemi di diagnosi differenziale e di gestione clinica. L’esatto significato del disturbo depressivo che compare nelle fasi iniziali della demenza è tuttora incerto; variabili biologiche sono probabilmente coinvolte, anche se aspetti di personalità, insight di malattia, livello funzionale, variabili sociali e ambientali sono associate variamente alla comparsa di sintomi depressivi (19,20). Osservazioni recenti sembrano indicare che i sintomi depressivi non rappresentano un predittore di demenza, ma una manifestazione precoce della stessa (16). DEMENZA O DEPRESSIONE? “Le due più importanti malattie della vecchiaia sono la depressione e la demenza. La sovrapposizione tra i sintomi della depressione e della demenza in pazienti anziani è ben conosciuta e può essere difficile sepa- 23 Articolo 3 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 24 A S P E T T I D I T E R A P I A E C A R E D E L PA Z I E N T E Figura 1 - Curva di sopravvivenza per i soggetti con o senza sintomi depressivi alla valutazione basale, come funzione del tempo dalla valutazione basale alla diagnosi di demenza durante il follow-up [modificata da: Devanand et al., 1996 (17)] Non depressi Sopravvivenza cumulativa 110 Depressi 100 90 80 70 60 50 0 10 20 30 40 50 Tempo dal basale alla demenza (mesi) La prevalenza della sintomatologia depressiva in pazienti con demenza varia dal 30 al 50%, anche se esistono variazioni anche più ampie in relazione alla metodologia utilizzata e al setting (21-23). La depressione e gli altri disturbi psichiatrici sono comuni non solo nell’AD, ma anche in altre forme di demenza. La demenza vascolare (VD) è la forma più comune di demenza dopo quella di Alzheimer. In uno studio condotto da Sultzer et al. (1993) (24) si vide, confrontando i punteggi della Hamilton Depression Scale, che i pazienti con demenza vascolare avevano un valore significativamente più alto e un numero di sintomi più severi negli item relativi alla depressione; lo studio arruolava pazienti con un decadimento cognitivo simile. Non tutti i lavori hanno confermato questo dato e la discrepanza potrebbe essere frutto di differenti criteri diagnostici utilizzati, di una popolazione di pazienti diversi, della gravità della demenza all’interno di ogni gruppo o fra i gruppi e dell’utilizzo di strumenti diversi per valutare la psicopatologia. Anche nella demenza frontotemporale (FTD) sono state condotte ricerche sulla presenza di disturbi comportamentali. Numerosi articoli descrivono le differenze comportamentali tra la FTD e altre demenze, inclusa quella di Alzheimer. Nel lavoro di Levy et al. (1996) (25), che utilizza come strumento di rilevazione la Neuropsychiatric Inventory (NPI), emerge che i pazienti FTD hanno un livello più basso di depressione rispetto ai pazienti AD, anche se la differenza non risulta Tabella 1 – Associazione fra sintomi depressivi al basale e declino cognitivo durante i 4 anni di valutazione longitudinale [modificata da: Yaffe et al., 1999 (2)] Numero di sintomi depressivi al basale Outcome clinico 0-2 3-5 ≥6 Perdita di 3 o più punti al MMSE modificato (n=652) 1,0 1,6 (1,2-2,1) 2,1 (1,4-3,1) Storia di demenza clinicamente dimostrata al follow-up (n=89) 1,0 1,7 (0,9-3,5) 2,3 (0,9-5,9) Analisi aggiustata per età, educazione, stato di salute, uso di alcol e stato funzionale. I valori indicano gli odds ratio (95% di intervallo di confidenza). 24 Articolo 3 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 25 D E M E N T I A U P D AT E – N U M E R O 9 , G E N N A I O 2 0 0 1 statisticamente significativa. Anche nella malattia di Huntington la depressione è presente approssimativamente nel 30% dei casi, essendo la seconda più comune manifestazione neuropsichiatrica della malattia. Ad essa si associa un alto valore di suicidio (0,85-12,7%), di gran lunga superiore rispetto ad altri disturbi neurologici (stroke o Parkinson) (26). Da ultimo, i risultati relativi alla malattia di Parkinson associata a demenza evidenziano una frequenza di casi di depressione superiore del 30% rispetto ai pazienti AD (27). prevedono la presenza di: – deterioramento intellettivo associato a un disturbo psichiatrico primario; – anomalie neuropsicologiche che in parte richiamano deficit cognitivi neuropatologicamente indotti; – disturbi intellettivi indotti; – nessun apparente processo neuropatologico che possa spiegare l’origine del disturbo. È evidente l’assenza di un substrato organico in grado di determinare il quadro clinico, la sua reversibilità e il mantenimento di un certo livello di insight. L’esordio del disturbo è facilmente databile dai familiari e il decorso è in alcune forme ingravescente. Il paziente con pseudodemenza appare estremamente rallentato dal punto di vista psichico e il rallentamento ideativo è responsabile dell’apparente compromissione delle funzioni psichiche superiori. Le capacità attentive e di concentrazione sono solitamente conservate, soprattutto nelle fasi iniziali del disturbo. Nell’ambito dei test di performance i pazienti rispondono spesso “non so, non ricordo”; la memoria appare saltuariamente compromessa soprattutto per quanto riguarda gli eventi recenti ma anche, in minor misura, quelli lontani. Durante il colloquio, i pazienti sembrano risentire molto dei loro deficit cognitivi, si scusano continuamente degli errori anche se fanno in realtà pochi sforzi per rispondere correttamente alle domande e, se incalzati, forniscono prestazioni oltremodo scadenti. L’interesse per porre una corretta diagnosi non è puramente accademico. Infatti la pseudodemenza, se ben diagnosticata, costituisce un disturbo solitamente reversibile al contrario della patologia demenziale che, soprattutto nelle sue forme più avanzate, non si presta a particolari e risolutivi interventi terapeutici. Va inoltre sottolineata l’importanza di una diagnosi differenziale accurata in quanto le strategie terapeutiche in grado di trattare la patologia depressiva responsabile del quadro simil-demenziale possono drammaticamente peggiorare i sintomi di una demenza primaria. Le notizie riguardanti l’esordio e il decorso dell’episodio, lo studio dei deficit cognitivi e delle alterazioni psicocomportamentali costituiscono il percorso lungo il quale il medico deve muoversi per arrivare a una diagnosi corretta. Durante il colloquio i pazienti con demenza primaria mirano a minimizzare sia qualitativamente che quantitativamente i loro deficit cognitivi a differenza dei pazienti depressi portati piuttosto a LA PSEUDODEMENZA DEPRESSIVA Con il termine “pseudodemenza”, introdotto da Madden nel 1952 (28), veniva normalmente descritto un quadro clinico caratterizzato da una sintomatologia sovrapponibile a quella della demenza primaria, ma in realtà secondario a vari disturbi psichiatrici e solitamente reversibile. Sul finire degli anni Settanta il termine ha iniziato a subire delle critiche. Molti autori hanno contestato l’autonomia nosologica della sindrome pseudodemenziale; altri più semplicemente l’opportunità di usare il prefisso “pseudo” in una classificazione scientifica; altri ancora hanno giustamente evidenziato la possibilità di una comorbidità demenza-depressione che la diagnosi di pseudodemenza tenderebbe ad escludere; altri hanno infine riferito la possibilità che fattori psichici possano essere implicati nella patogenesi della demenza. Anche il concetto dicotomico “fisiologico-reversibile” (disturbo psichiatrico) versus “organico-irreversibile” (demenza) è entrato in crisi negli anni Ottanta quando sono state descritte molte forme di demenza organica reversibile. Nonostante tutte le critiche, il termine “pseudodemenza” è comunque ancora molto usato, intendendo oggi non una malattia ma un quadro clinico. Come accennato prima, la patologia depressiva della terza età costituisce il disturbo psichiatrico responsabile del maggior numero di diagnosi di “pseudodemenza”. La difficoltà di inquadramento di questa sindrome è confermata dal fatto che nelle ultime edizioni del DSM non è mai stata contemplata in nessuna categoria diagnostica o non altrimenti specificata (NAS). Al momento gli unici criteri diagnostici ai quali si fa riferimento sono quelli proposti da Caine nel 1981 (29) che 25 Articolo 3 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 26 A S P E T T I D I T E R A P I A E C A R E D E L PA Z I E N T E Tabella 2 – Diagnosi differenziale fra i disturbi dell’umore e cognitivi di tipo I e di tipo II [modificata da: Reifler, 1997 (31)] Tipo I Tipo II Disturbo primario Depressione (con modificazioni della memoria secondarie) Demenza (con sovrapposta depressione) Esordio Subacuto (settimane o mesi) Graduale (anni) nell’AD; improvviso nella VD Decorso iniziale I sintomi depressivi usualmente compaiono per primi Il deficit cognitivo usualmente compare per primo Stato cognitivo La perdita di memoria è spesso interamente soggettiva e non sostanziata dai punteggi ai test Il danno cognitivo è chiaramente apparente ai test Prognosi Il trattamento può alleviare sia i sintomi affettivi sia quelli cognitivi Il trattamento può alleviare la depressione; i sintomi cognitivi di solito non si modificano o si modificano poco enfatizzare la loro sintomatologia. Le indagini radiologiche costituiscono degli strumenti particolarmente utili, anche se non sempre risolutivi per la mancanza di reperti altamente specifici, per porre una diagnosi differenziale quando la storia clinica e/o i test mentali non hanno permesso di porre una diagnosi di certezza (30). Un approccio classificativo proposto recentemente tende a eliminare il termine “pseudodemenza” e a introdurre un concetto di sequenzialità temporale fra i sintomi affettivi e quelli cognitivi (31) (Tabella 2). zioni accurate relativamente al proprio umore e alla propria sfera intima (per questo motivo l’utilizzo di “self-report”, che richiede l’integrità delle principali funzioni cognitive, risulta inappropriato per pazienti con demenza moderata o grave); talvolta la modalità di espressione dei sintomi stessi è diversa da quella verbale e usa il linguaggio del corpo o il comportamento (33). Esistono strumenti appositamente predisposti per valutare i sintomi depressivi nei dementi gravi (come l’Alzheimer Disease Assessment Scale o la Depressive Signs Scale); queste scale però, per il ristretto numero di sintomi osservati, impediscono di rilevare depressione in soggetti con lieve o moderato decadimento cognitivo. Va inoltre considerato che talvolta i sintomi depressivi sono transitori nei soggetti con deterioramento cognitivo, per cui le valutazioni puntuali non consentono di tracciare un quadro d’insieme della sintomatologia del paziente (34). Quando si tratta di valutare la depressione in presenza di AD, un altro problema da non sottovalutare, è l’assessment. Il familiare, che nella raccolta dell’anamnesi è il cardine per capire meglio la patologia attuale e la storia pregressa, può essere a sua volta depresso a causa dell’assistenza fornita al familiare malato. In alcuni casi il caregiver riferisce uno stato depressivo del paziente quando, in realtà, riporta un suo personale malessere (35) . Bisogna essere in grado di capire quando il caregiver interferisce o, comunque, funge da filtro nel riportare la sintomatologia del paziente. Nel 1991 si è svolta una ricerca che confrontava la concordanza tra diversi informatori nella valutazione della depressione: il paziente, il caregiver e il medico. I risultati ottenuti sono stati: LA VALUTAZIONE DELLA DEPRESSIONE IN CORSO DI DEMENZA La variabilità nel riportare la prevalenza della sintomatologia depressiva, soprattutto nella malattia di Alzheimer, è dovuta al fatto che la depressione è difficile da valutare e gli strumenti, sia clinici che psicometrici, sono difficilmente applicabili a questa categoria di soggetti. Inoltre, gli stessi criteri classificativi disponibili (DSM IV o ICD-10) non sono adatti per diagnosticare correttamente la depressione in corso di deterioramento cognitivo (23). La difficoltà nel valutare la depressione nei pazienti dementi è determinata da vari fattori. Innanzitutto, alcuni sintomi caratteristici delle sindromi depressive sono anche tipici della demenza e quindi inutilizzabili nell’approccio diagnostico (fra questi la perdita di peso, l’insonnia, la diminuzione del desiderio sessuale, l’astenia, la perdita di memoria, l’apatia) (32). Molti pazienti dementi non sono in grado di fornire informa- 26 Articolo 3 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 27 D E M E N T I A U P D AT E – N U M E R O 9 , G E N N A I O 2 0 0 1 a) i pazienti si percepiscono meno depressi rispetto a quanto riportato dai caregiver e dai medici; b) per i pazienti non depressi, i caregiver dicono che sono meno depressi rispetto a quanto riportato dai medici; c) per i pazienti depressi, non ci sono differenze fra quanto riportato dai caregiver e dai medici. Tali conclusioni non variano con il livello di demenza del paziente (36). Queste problematiche emergono poiché la maggior parte degli strumenti di assessment per la depressione, che valutano la presenza e la gravità della sintomatologia, sono stati studiati per essere utilizzati con pazienti neurologicamente intatti (non dementi) e pochi sono stati disegnati per la valutazione di persone anziane con problemi di memoria. Negli ultimi trent’anni sono stati applicati diversi approcci per valutare la depressione nei pazienti geriatrici: strumenti che riportavano la valutazione del caregiver, scale autoriferite, interviste cliniche, osservazioni o combinazioni di osservazioni e interviste. Gli strumenti finora utilizzati vengono classificati in non specifici e specifici (37). I primi sono generalmente stati individuati per la loro capacità di esplorare i sintomi psichici del paziente, e presentano punteggi anche per la depressione. dal paziente sia dai familiari e, infine, integrate dalle osservazioni dell’esaminatore. Lo strumento di valutazione è diviso in sezioni che comprendono: un’intervista strutturata con il paziente e, successivamente, con i familiari oppure i principali fornitori di assistenza; una raccolta accurata della storia familiare, l’anamnesi clinica e farmacologica, la storia della malattia; una valutazione delle funzioni cognitive tramite MMSE, esame clinico completo, esami ematochimici, esami strumentali (RX torace, EEG, TAC encefalo). La valutazione del paziente e il colloquio con i familiari richiedono generalmente 60 minuti. La diagnosi di depressione secondo il CAMDEX richiede la presenza di umore depresso, perdita di interesse e piacere nelle attività e di almeno altri 4 sintomi tra i 22 esaminati nell’intervista con il paziente. I criteri diagnostici inclusi nello strumento per la diagnosi di depressione nell’anziano sono rigorosi e molto approfonditi, tuttavia non sembra particolarmente affrontato e risolto il problema della diagnosi di depressione nel paziente demente. Clinical Assessment of Psychopathology among the Elderly Residents - CAPER (41). A differenza dei due strumenti precedenti si presenta come una scala di facile somministrazione nella pratica quotidiana. Dopo un colloquio clinico guidato con il paziente, l’osservatore può classificare, secondo criteri definiti dal DSM, il soggetto come affetto da patologie psichiatriche (tra cui sono incluse demenza e depressione) oppure no. Sembra uno strumento utile soprattutto per la valutazione epidemiologica in pazienti istituzionalizzati. Strumenti non specifici GMS-AGECAT Package (38). È un modello diagnostico derivato dalla Geriatric Mental Status Schedule (GMSS) (39) e costruito su di un modello teorico. La GMSS era composta da 600 item e richiedeva 40 minuti per la somministrazione. Della scala originale il sistema GMS-AGECAT raggruppa gli item in 8 gruppi diagnostici, dalla somatizzazione alla schizofrenia, dalla depressione alla demenza. Non è uno strumento specifico per la depressione; è preferito il suo utilizzo negli studi epidemiologici di popolazione. Brief Assessment Scale - BAS (42). È uno strumento che contiene una scala di valutazione neurologica (OBS: Organic Brain Scale) per la classificazione della gravità della demenza e una sottoscala (DEP) per la rilevazione della gravità del sintomo depressivo. L’associazione dei risultati delle due scale permette di classificare anche i pazienti dementi affetti da disturbo depressivo. Cambridge Mental Disorders of Elderly Examination - CAMDEX (40). Inizialmente sviluppato per la diagnosi di demenza, in particolare per le forme lievi, rappresenta un utile strumento per la diagnosi differenziale tra demenza e pseudodemenza e per evidenziare inoltre le forme depressive anche a carattere delirante. Le informazioni sono raccolte sia Nurses’ Observation Scale for Inpatient Evolution - NOSIE (43). È una scala osservazionale che si basa più sulla valutazione oggettiva da parte del personale che sulla rilevazione dei sintomi clinici relativi alla depressione. 27 Articolo 3 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 28 A S P E T T I D I T E R A P I A E C A R E D E L PA Z I E N T E Neuropsychiatric Inventory - UCLA-NPI (44). È uno strumento di valutazione oggettivo dei disturbi comportamentali nei pazienti dementi: tra gli item esaminati è inclusa la depressione, oltre a deliri, allucinazioni, agitazione, ansia, attività motoria, irritabilità, euforia, disinibizione. Il questionario è utilizzabile in pazienti con demenza di varia origine. Lo strumento è di facile somministrazione, relativamente breve e richiede un’intervista ai familiari oppure al caregiver principale, con domande specifiche su alcuni segni o sintomi depressivi rilevati oppure espressi dal paziente. Le domande si riferiscono alla situazione del paziente nelle 6 settimane precedenti l’intervista: non vanno registrate quelle caratteristiche legate alla situazione premorbosa del paziente che non si sono modificate con l’esordio della malattia. I sintomi vengono inoltre rilevati per frequenza (4 gradi) e gravità (da 0 a 3). Non prevede un’intervista con il paziente, tuttavia le informazioni raccolte possono essere verificate interrogando oppure osservando il paziente. risultano inappropriati i criteri del DSM per la depressione quando si ha a che fare con pazienti affetti da demenza grave (sarebbe perciò necessario selezionare degli item rilevanti per la demenza). IL TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE IN CORSO DI DEMENZA I pazienti con demenza che presentano sintomi depressivi dovrebbero essere presi in considerazione per un trattamento farmacologico e non farmacologico indipendentemente dal fatto che sia possibile formulare una diagnosi sindromica precisa e accurata (46). Nel definire gli obiettivi del trattamento va considerato che esiste un’interazione fra sintomi depressivi, deficit cognitivo, disabilità, qualità della vita del paziente e del caregiver (47). La depressione nell’anziano in generale è spesso misconosciuta e sottotrattata e questo è particolarmente vero per i sintomi depressivi che si accompagnano alla demenza (48,49). In uno studio condotto su 148 soggetti dementi reclutati in un setting ambulatoriale (62 con demenza lieve: CDR 1, 54 con demenza moderata: CDR 2, e 32 con demenza grave: CDR 3 o più) è stato valutato il pattern di trattamento dei disturbi comportamentali (50). Complessivamente erano presenti sintomi depressivi nel 52% dei soggetti, deliri o allucinazioni nel 59%, agitazione nel 45% e insonnia nel 38% dei pazienti. Solo nel 5% dei casi i familiari o i caregiver erano stati adeguatamente istruiti sui comportamenti da tenere in presenza dei sintomi comportamentali. Nei 74 pazienti giunti all’osservazione ambulatoriale per la prima volta nel periodo dello studio i sintomi depressivi risultavano trattati farmacologicamente solo nel 55% dei casi e solo nel 25% dei casi con antidepressivi (in circa un quarto dei casi con l’uso di triciclici); nel 30% dei casi venivano utilizzate benzodiazepine da sole (Tabella 3). Esistono evidenze, ancora limitate, che mostrano una certa efficacia di trattamenti non farmacologici per la depressione nella demenza (51,52). Gli interventi proposti includono la reminiscenza, trattamenti orientati al sostegno delle emozioni, interventi ricreativi o risocializzanti (53). Accanto agli interventi specifici è importante anche fornire ai familiari informazioni circa i comportamenti da adottare nella gestione del paziente demente con sintomi depressivi. È infatti Strumenti specifici Le scale specifiche per la valutazione della depressione nel paziente demente sono ancora rare. Quelle finora validate considerano le caratteristiche specifiche dei sintomi depressivi che si rilevano in un paziente affetto da deficit cognitivo e pongono le basi per un’interpretazione dei segni e dei sintomi comuni sia alla depressione sia alla demenza. Cornell Scale for Depression in Dementia (45). È una delle poche scale attualmente validate per la valutazione della depressione nella demenza. È costituita da 19 item con risposte graduate da 0 a 3, somministrata da un osservatore in un tempo medio di 30 minuti. Consta di due interviste brevi, la prima con il paziente e l’altra con il suo principale fornitore di assistenza. Il punteggio finale viene stabilito in base anche alle impressioni ottenute dall’osservatore. Secondo gli autori la scala è in grado di rilevare la gravità dei sintomi depressivi nel paziente demente e di identificare alcuni sottotipi di depressione. Il fatto di intervistare sia il soggetto che il caregiver, considerando la settimana precedente all’intervista, ha permesso di identificare diversi livelli di depressione in popolazioni di soggetti dementi e non dementi. Tuttavia, 28 Articolo 3 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 29 D E M E N T I A U P D AT E – N U M E R O 9 , G E N N A I O 2 0 0 1 Tabella 3 – Pattern di prescrizione farmacologica per alcuni tipi di disturbi comportamentali osservati in un campione di 74 soggetti ambulatoriali affetti da demenza (AD o VD) rilevato alla prima valutazione ambulatoriale (50) Agitazione Depressione Insonnia Sintomi psicotici Benzodiazepine 25% 30% 60% 0 Aloperidolo 15% 0 10% 40% Fenotiazine 50% 0 15% 25% 0 25% 0 0 10% 45% 15% 35% Antidepressivi Nessun trattamento farmacologico fondamentale evitare i rimproveri e utilizzare rinforzi positivi per aumentare l’autostima, stimolare l’attività fisica e le occupazioni ed evitare situazioni stressanti. La decisione di intraprendere una terapia farmacologica per la depressione in un paziente demente dovrebbe fare seguito a un’attenta valutazione dell’entità e della stabilità dei sintomi, della eventuale presenza di situazioni ambientali negative, della possibile interazione con i sintomi cognitivi o la disabilità, della presenza di altri sintomi comportamentali e delle condizioni generali del paziente stesso (54). La scelta del farmaco dovrebbe basarsi sul profilo farmacologico e sui possibili effetti collaterali (nelle Tabelle 4, 5, 6 e 7 sono presentate le pro- prietà farmacologiche, i meccanismi d’azione, gli effetti collaterali e le proprietà farmacodinamiche dei farmaci antidepressivi disponibili, con particolare attenzione ai nuovi antidepressivi). Gli antidepressivi triciclici, sebbene siano efficaci nel trattamento dei sintomi depressivi nella demenza, possono peggiorare le funzioni cognitive e hanno rilevanti effetti collaterali; sono perciò da considerare di seconda scelta (55). Molti autori ritengono gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI: fluoxetina, paroxetina, citalopram o sertralina) farmaci di prima scelta (49,56), sebbene le proprietà farmacodinamiche e i possibili effetti collaterali non siano comuni a tutti i farmaci di questa classe e pochi siano gli studi che ne hanno valutato l’efficacia nel Tabella 4 – Classificazione dei farmaci antidepressivi Tipo di antidepressivo Nome dei farmaci Antidepressivi tradizionali Antidepressivi triciclici* Amitriptilina, amoxapina, clomipramina, desipramina, dotiepina, doxepina, imipramina, lofepramina, nortriptilina, protriptilina, trimipramina Altri inibitori del reuptake* Maprotilina, trazodone, viloxazina Inibitori della monoaminossidasi (irreversibili) Isocarboxazid, fenelzina, tranilcipromina Antidepressivi più recenti Inibitori selettivi del reuptake della serotonina Citalopram, fluoxetina, fluvoxamina, paroxetina, sertralina Altri inibitori del reuptake Reboxetina+, venlafaxina‡ Inibitori della monoaminossidasi (reversibili) Moclobemide§ Altri antidepressivi Nefazodone**, mianserina***, mirtazapina*** * Inibisce il reuptake della serotonina o della noradrenalina o di entrambe. + Inibisce il reuptake della noradrenalina. ‡ Inibisce il reuptake della serotonina e della noradrenalina. § Inibitore della monoaminossidasi A. ** Inibisce il reuptake della serotonina e blocca i recettori della serotonina (5-HT2A). *** Meccanismo d’azione complesso che include il blocco del recettore presinaptico α2. 29 Articolo 3 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 30 A S P E T T I D I T E R A P I A E C A R E D E L PA Z I E N T E Tabella 5 – Proprietà farmacologiche degli antidepressivi e possibili conseguenze cliniche Proprietà Possibili conseguenze cliniche Blocco della ricaptazione della noradrenalina • • • • • Tremori Tachicardia Difficoltà nell’erezione e nell’eiaculazione Blocco dell’effetto antipertensivo della guanetidina Aumento degli effetti sulla pressione delle amine simpaticomimetiche Blocco della ricaptazione della serotonina • • • • • • Disturbi gastrointestinali Aumento o riduzione dell’ansia (dose-dipendente) Disfunzioni sessuali Effetti extrapiramidali Interazione con L-triptofano, IMAO, fenfluramina Sindrome serotoninergica Blocco della ricaptazione della dopamina • Attivazione psicomotoria • Effetti antiparkinsoniani • Aggravamento di sintomi psicotici Blocco dei recettori istaminergici H1 • • • • Potenziamento degli effetti degli agenti depressogeni centrali Sedazione, sonnolenza Aumento di peso Ipotensione Blocco dei recettori muscarinici • • • • • • Disturbi dell’accomodazione Secchezza delle fauci Tachicardia sinusale Stipsi Ritenzione urinaria Confusione mentale Blocco dei recettori α1-adrenergici • • • • • Potenziamento dell’effetto antipertensivo di prazosina, terazosina, doxazosina e di labetalolo Ipotensione posturale, vertigini Tachicardia riflessa Problemi eiaculatori Blocco dei recettori dopaminergici D2 • Disturbi motori extrapiramidali • Disfunzioni endocrine • Disfunzioni sessuali (uomini) Tabella 6 – Neurorecettori e processi di ricaptazione coinvolti nel meccanismo d’azione dei nuovi antidepressivi Farmaco SSRI Venlafaxina Nefazodone Ricaptazione 5HT NA √ √ √ √ Mirtazapina Reboxetina √ 5HT2A 5HT2C √ √ √ 5HT3 √ α1 √ α2 H1 √ √ 5HT: serotonina; NA: noradrenalina soggetto demente (57-62). L’utilità di farmaci di più recente introduzione (quali venlafaxina, reboxetina e nefazodone) non è stata ancora chiaramente dimostrata nella demenza, anche se la lo- ro efficacia nell’anziano è ormai accertata (63,64). Uno degli aspetti più interessanti e innovativi nel campo del trattamento della depressione nella demenza è la possibilità che terapie che agisco- 30 Articolo 3 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 31 D E M E N T I A U P D AT E – N U M E R O 9 , G E N N A I O 2 0 0 1 Tabella 7 – Proprietà farmacocinetiche dei nuovi antidepressivi Farmaco Biodisponibilità (%) Legame proteine (%) Volume di distribuzione (l/kg) Clearance Emivita media Concentrazione (l/ore) (range) (ore) plasmatica allo steady-state (ng/ml) Citalopram 95 82 14 26 (23-38) 33 (23-45) 40-300 Fluoxetina 80 95 25 10-36 45 (24-144) 90-300 Fluvoxamina >53 77 >5 80 (33-220) 15 (9-28) 20-500 Paroxetina >64 93 17 36-167 18 (7-65) 10-600 Sertralina 88 98 25 96 26 (22-36) 20-200 Nefazodone >20 99 0,2-1,0 - - (2-8) 150-1000 Venlafaxina 92 27 2-23 40-129 - (2-11) 50-150 Mirtazapina 50 85 4,5 - - (13-34) 20-40 Reboxetina >60 97 0,5 1,7 - (12-16) 50-160 no primariamente sui sintomi cognitivi della malattia possano avere anche un’efficacia (diretta o indiretta) sui sintomi non cognitivi e quindi anche sulla depressione. Vi sono infatti dati che indicano come gli inibitori dell’acetilcolinesterasi siano efficaci sui sintomi comportamentali e sui sintomi depressivi, in particolare nella malattia di Alzheimer (65,66). Un’ulteriore evoluzione della ricerca in questo campo riguarda la valutazione dell’efficacia dell’associazione fra inibitori dell’acetilcolinesterasi e antidepressivi, sebbene alcuni casereport indichino già come in certi casi tale associazione abbia non solo una razionalità, ma anche un potenziamento dell’efficacia specifica (67). 8. 9. 10. 11. 12. BIBLIOGRAFIA 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 13. De Leo D, Diekstra RFW. Depression in the elderly and its treatment. Bern: Hans Huber Verlag-WHO, 1990. Yaffe K, Blankwell T, Gore R, et al. Depressive symptoms and cognitive decline in non-demented elderly women. A prospective study. Arch Gen Psychiatry 1999; 56:425-439. Reichman WE, Coyne AC. Depressive symptoms in Alzheimer’s disease and multi-infarct dementia. J Geriatr Psychiatry Neurol 1995; 8:96-99. 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