Depressione e Demenza Trattamento

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Depressione e Demenza Trattamento
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Angelo Bianchetti, Alessandra Pezzini
Centro per la Memoria, Clinica Ancelle della Carità, Cremona, e Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia
Depressione e demenza: approccio clinico e
trattamento
La relazione fra depressione e demenza è complessa e, almeno per certi aspetti, ancora lontana
dall’essere completamente chiarita. Ciò che è inconfutabile è che la depressione può associarsi a
deficit cognitivi e che in corso di demenza sono
presenti, in un’elevata frequenza dei casi, sintomi depressivi (1-3). La depressione può presentarsi
insieme ad altre malattie neurologiche o complicare patologie di interesse internistico più frequentemente negli anziani che negli adulti (4,5).
Nell’anziano, inoltre, esiste una forte relazione
fra eventi vitali stressanti (pensionamento, ridotte risorse economiche, vedovanza, trasferimento
di residenza), carenza o mancanza di supporto
sociale e/o di interazione sociale, concomitanza
di abuso di sostanze (farmaci o alcol) e di malattie somatiche, disabilità e rischio di comparsa di
sindromi depressive (6,7). A sua volta la depressione costituisce un fattore aggravante la prognosi
di malattie somatiche e un rischio di disabilità
(8,9)
. Nell’anziano la relazione fra malattia somatica e depressione è quindi bidirezionale e il rapporto demenza-depressione rappresenta un
esempio complesso e al tempo stesso affascinante di questa interazione. Va ricordato che la prevalenza di sindromi depressive è in aumento nella popolazione generale a qualsiasi età, non solo
per ragioni di tipo ambientale, ma anche per una
maggiore sensibilità culturale e clinica e per una
sempre maggiore diffusione di metodi di diagnosi raffinati e sensibili, in grado di facilitare il riconoscimento di forme atipiche e mascherate
della malattia in una fase precoce (10,11).
rarle all’interno di categorie nosologiche differenti”.
Così Roth et al. (1996) (12) rilevavano l’importanza di una più accurata attenzione a queste patologie. Il decorso di queste due condizioni è
spesso così complicato da patologie somatiche
intercorrenti che la prognosi, specialmente della
depressione, mostra una considerevole variabilità (13,14). Non c’è nessun dubbio che la depressione può essere associata con importanti deficit cognitivi. Questi deficit non compaiono solo in relazione alla vecchiaia: la dimensione del fenomeno è simile nelle persone con un’età maggiore o
minore di 60 anni. Recenti studi (2,15,16) dimostrano
l’aumento di interesse verso la depressione nella
demenza: è causa o conseguenza del processo dementigeno? Devanand e collaboratori (17,18) in uno
studio longitudinale hanno rilevato che la presenza di sintomi depressivi aumentava il rischio
di sviluppare la malattia di Alzheimer (AD) a 5
anni di distanza (il 21% dei soggetti depressi al
basale sviluppò AD al termine dello studio, contro il 9% dei soggetti non depressi; il rischio relativo risultava di 2,94) (Figura 1). Un recente lavoro indica che la presenza di sintomi depressivi è
un predittore indipendente non solo di comparsa di demenza, ma anche di declino cognitivo e
che la gravità dei sintomi determina un aumento
del rischio (Tabella 1) (2).
L’ampia sovrapposizione fra queste due condizioni pone frequenti problemi di diagnosi differenziale e di gestione clinica. L’esatto significato
del disturbo depressivo che compare nelle fasi iniziali della demenza è tuttora incerto; variabili biologiche sono probabilmente coinvolte, anche se
aspetti di personalità, insight di malattia, livello
funzionale, variabili sociali e ambientali sono associate variamente alla comparsa di sintomi depressivi (19,20). Osservazioni recenti sembrano indicare che i sintomi depressivi non rappresentano
un predittore di demenza, ma una manifestazione precoce della stessa (16).
DEMENZA O DEPRESSIONE?
“Le due più importanti malattie della vecchiaia sono la depressione e la demenza. La sovrapposizione tra
i sintomi della depressione e della demenza in pazienti anziani è ben conosciuta e può essere difficile sepa-
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Figura 1 - Curva di sopravvivenza per i soggetti con o senza sintomi depressivi alla valutazione basale, come funzione del tempo dalla valutazione basale alla diagnosi di demenza durante il follow-up [modificata da: Devanand et al.,
1996 (17)]
Non depressi
Sopravvivenza cumulativa
110
Depressi
100
90
80
70
60
50
0
10
20
30
40
50
Tempo dal basale alla demenza (mesi)
La prevalenza della sintomatologia depressiva
in pazienti con demenza varia dal 30 al 50%, anche se esistono variazioni anche più ampie in relazione alla metodologia utilizzata e al setting (21-23).
La depressione e gli altri disturbi psichiatrici sono comuni non solo nell’AD, ma anche in altre
forme di demenza.
La demenza vascolare (VD) è la forma più comune di demenza dopo quella di Alzheimer. In
uno studio condotto da Sultzer et al. (1993) (24) si
vide, confrontando i punteggi della Hamilton
Depression Scale, che i pazienti con demenza vascolare avevano un valore significativamente più
alto e un numero di sintomi più severi negli item
relativi alla depressione; lo studio arruolava pazienti con un decadimento cognitivo simile. Non
tutti i lavori hanno confermato questo dato e la
discrepanza potrebbe essere frutto di differenti criteri diagnostici utilizzati, di una popolazione di
pazienti diversi, della gravità della demenza all’interno di ogni gruppo o fra i gruppi e dell’utilizzo
di strumenti diversi per valutare la psicopatologia.
Anche nella demenza frontotemporale (FTD)
sono state condotte ricerche sulla presenza di disturbi comportamentali. Numerosi articoli descrivono le differenze comportamentali tra la FTD e
altre demenze, inclusa quella di Alzheimer. Nel
lavoro di Levy et al. (1996) (25), che utilizza come
strumento di rilevazione la Neuropsychiatric
Inventory (NPI), emerge che i pazienti FTD hanno un livello più basso di depressione rispetto ai
pazienti AD, anche se la differenza non risulta
Tabella 1 – Associazione fra sintomi depressivi al basale e declino cognitivo durante i 4 anni di valutazione longitudinale
[modificata da: Yaffe et al., 1999 (2)]
Numero di sintomi depressivi al basale
Outcome clinico
0-2
3-5
≥6
Perdita di 3 o più punti al MMSE
modificato (n=652)
1,0
1,6 (1,2-2,1)
2,1 (1,4-3,1)
Storia di demenza clinicamente dimostrata
al follow-up (n=89)
1,0
1,7 (0,9-3,5)
2,3 (0,9-5,9)
Analisi aggiustata per età, educazione, stato di salute, uso di alcol e stato funzionale. I valori indicano gli odds ratio (95% di intervallo di confidenza).
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statisticamente significativa.
Anche nella malattia di Huntington la depressione è presente approssimativamente nel 30%
dei casi, essendo la seconda più comune manifestazione neuropsichiatrica della malattia. Ad essa
si associa un alto valore di suicidio (0,85-12,7%),
di gran lunga superiore rispetto ad altri disturbi
neurologici (stroke o Parkinson) (26).
Da ultimo, i risultati relativi alla malattia di
Parkinson associata a demenza evidenziano
una frequenza di casi di depressione superiore
del 30% rispetto ai pazienti AD (27).
prevedono la presenza di:
– deterioramento intellettivo associato a un disturbo psichiatrico primario;
– anomalie neuropsicologiche che in parte richiamano deficit cognitivi neuropatologicamente indotti;
– disturbi intellettivi indotti;
– nessun apparente processo neuropatologico
che possa spiegare l’origine del disturbo.
È evidente l’assenza di un substrato organico
in grado di determinare il quadro clinico, la sua
reversibilità e il mantenimento di un certo livello
di insight. L’esordio del disturbo è facilmente databile dai familiari e il decorso è in alcune forme
ingravescente. Il paziente con pseudodemenza
appare estremamente rallentato dal punto di vista psichico e il rallentamento ideativo è responsabile dell’apparente compromissione delle funzioni psichiche superiori. Le capacità attentive e
di concentrazione sono solitamente conservate,
soprattutto nelle fasi iniziali del disturbo. Nell’ambito dei test di performance i pazienti rispondono spesso “non so, non ricordo”; la memoria
appare saltuariamente compromessa soprattutto
per quanto riguarda gli eventi recenti ma anche,
in minor misura, quelli lontani. Durante il colloquio, i pazienti sembrano risentire molto dei loro
deficit cognitivi, si scusano continuamente degli
errori anche se fanno in realtà pochi sforzi per rispondere correttamente alle domande e, se incalzati, forniscono prestazioni oltremodo scadenti.
L’interesse per porre una corretta diagnosi non
è puramente accademico. Infatti la pseudodemenza, se ben diagnosticata, costituisce un disturbo solitamente reversibile al contrario della
patologia demenziale che, soprattutto nelle sue
forme più avanzate, non si presta a particolari e
risolutivi interventi terapeutici. Va inoltre sottolineata l’importanza di una diagnosi differenziale
accurata in quanto le strategie terapeutiche in
grado di trattare la patologia depressiva responsabile del quadro simil-demenziale possono drammaticamente peggiorare i sintomi di una demenza primaria. Le notizie riguardanti l’esordio e il
decorso dell’episodio, lo studio dei deficit cognitivi e delle alterazioni psicocomportamentali costituiscono il percorso lungo il quale il medico deve muoversi per arrivare a una diagnosi corretta.
Durante il colloquio i pazienti con demenza primaria mirano a minimizzare sia qualitativamente che quantitativamente i loro deficit cognitivi a
differenza dei pazienti depressi portati piuttosto a
LA PSEUDODEMENZA DEPRESSIVA
Con il termine “pseudodemenza”, introdotto
da Madden nel 1952 (28), veniva normalmente descritto un quadro clinico caratterizzato da una
sintomatologia sovrapponibile a quella della demenza primaria, ma in realtà secondario a vari disturbi psichiatrici e solitamente reversibile. Sul finire degli anni Settanta il termine ha iniziato a
subire delle critiche. Molti autori hanno contestato l’autonomia nosologica della sindrome
pseudodemenziale; altri più semplicemente l’opportunità di usare il prefisso “pseudo” in una classificazione scientifica; altri ancora hanno giustamente evidenziato la possibilità di una comorbidità demenza-depressione che la diagnosi di
pseudodemenza tenderebbe ad escludere; altri
hanno infine riferito la possibilità che fattori psichici possano essere implicati nella patogenesi
della demenza. Anche il concetto dicotomico “fisiologico-reversibile” (disturbo psichiatrico) versus “organico-irreversibile” (demenza) è entrato
in crisi negli anni Ottanta quando sono state descritte molte forme di demenza organica reversibile. Nonostante tutte le critiche, il termine
“pseudodemenza” è comunque ancora molto
usato, intendendo oggi non una malattia ma un
quadro clinico.
Come accennato prima, la patologia depressiva della terza età costituisce il disturbo psichiatrico responsabile del maggior numero di diagnosi
di “pseudodemenza”. La difficoltà di inquadramento di questa sindrome è confermata dal fatto
che nelle ultime edizioni del DSM non è mai stata contemplata in nessuna categoria diagnostica
o non altrimenti specificata (NAS). Al momento
gli unici criteri diagnostici ai quali si fa riferimento sono quelli proposti da Caine nel 1981 (29) che
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Tabella 2 – Diagnosi differenziale fra i disturbi dell’umore e cognitivi di tipo I e di tipo II [modificata da: Reifler, 1997 (31)]
Tipo I
Tipo II
Disturbo primario
Depressione (con modificazioni
della memoria secondarie)
Demenza (con sovrapposta depressione)
Esordio
Subacuto (settimane o mesi)
Graduale (anni) nell’AD; improvviso nella VD
Decorso iniziale
I sintomi depressivi usualmente
compaiono per primi
Il deficit cognitivo usualmente
compare per primo
Stato cognitivo
La perdita di memoria è spesso interamente
soggettiva e non sostanziata dai punteggi
ai test
Il danno cognitivo è chiaramente apparente
ai test
Prognosi
Il trattamento può alleviare sia i sintomi
affettivi sia quelli cognitivi
Il trattamento può alleviare la depressione;
i sintomi cognitivi di solito non si modificano
o si modificano poco
enfatizzare la loro sintomatologia. Le indagini radiologiche costituiscono degli strumenti particolarmente utili, anche se non sempre risolutivi per
la mancanza di reperti altamente specifici, per
porre una diagnosi differenziale quando la storia
clinica e/o i test mentali non hanno permesso di
porre una diagnosi di certezza (30).
Un approccio classificativo proposto recentemente tende a eliminare il termine “pseudodemenza” e a introdurre un concetto di sequenzialità temporale fra i sintomi affettivi e quelli cognitivi (31) (Tabella 2).
zioni accurate relativamente al proprio umore e
alla propria sfera intima (per questo motivo l’utilizzo di “self-report”, che richiede l’integrità delle
principali funzioni cognitive, risulta inappropriato per pazienti con demenza moderata o grave);
talvolta la modalità di espressione dei sintomi
stessi è diversa da quella verbale e usa il linguaggio del corpo o il comportamento (33). Esistono
strumenti appositamente predisposti per valutare
i sintomi depressivi nei dementi gravi (come
l’Alzheimer Disease Assessment Scale o la
Depressive Signs Scale); queste scale però, per il ristretto numero di sintomi osservati, impediscono
di rilevare depressione in soggetti con lieve o moderato decadimento cognitivo. Va inoltre considerato che talvolta i sintomi depressivi sono transitori nei soggetti con deterioramento cognitivo,
per cui le valutazioni puntuali non consentono
di tracciare un quadro d’insieme della sintomatologia del paziente (34).
Quando si tratta di valutare la depressione in
presenza di AD, un altro problema da non sottovalutare, è l’assessment. Il familiare, che nella raccolta dell’anamnesi è il cardine per capire meglio
la patologia attuale e la storia pregressa, può essere a sua volta depresso a causa dell’assistenza fornita al familiare malato. In alcuni casi il caregiver
riferisce uno stato depressivo del paziente quando, in realtà, riporta un suo personale malessere
(35)
. Bisogna essere in grado di capire quando il caregiver interferisce o, comunque, funge da filtro
nel riportare la sintomatologia del paziente. Nel
1991 si è svolta una ricerca che confrontava la
concordanza tra diversi informatori nella valutazione della depressione: il paziente, il caregiver e
il medico. I risultati ottenuti sono stati:
LA VALUTAZIONE DELLA DEPRESSIONE IN CORSO DI
DEMENZA
La variabilità nel riportare la prevalenza della
sintomatologia depressiva, soprattutto nella malattia di Alzheimer, è dovuta al fatto che la depressione è difficile da valutare e gli strumenti, sia
clinici che psicometrici, sono difficilmente applicabili a questa categoria di soggetti. Inoltre, gli
stessi criteri classificativi disponibili (DSM IV o
ICD-10) non sono adatti per diagnosticare correttamente la depressione in corso di deterioramento cognitivo (23).
La difficoltà nel valutare la depressione nei pazienti dementi è determinata da vari fattori.
Innanzitutto, alcuni sintomi caratteristici delle
sindromi depressive sono anche tipici della demenza e quindi inutilizzabili nell’approccio diagnostico (fra questi la perdita di peso, l’insonnia,
la diminuzione del desiderio sessuale, l’astenia, la
perdita di memoria, l’apatia) (32). Molti pazienti
dementi non sono in grado di fornire informa-
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a) i pazienti si percepiscono meno depressi rispetto a quanto riportato dai caregiver e dai
medici;
b) per i pazienti non depressi, i caregiver dicono
che sono meno depressi rispetto a quanto riportato dai medici;
c) per i pazienti depressi, non ci sono differenze
fra quanto riportato dai caregiver e dai medici.
Tali conclusioni non variano con il livello di
demenza del paziente (36).
Queste problematiche emergono poiché la
maggior parte degli strumenti di assessment per
la depressione, che valutano la presenza e la gravità della sintomatologia, sono stati studiati per
essere utilizzati con pazienti neurologicamente
intatti (non dementi) e pochi sono stati disegnati per la valutazione di persone anziane con problemi di memoria.
Negli ultimi trent’anni sono stati applicati diversi approcci per valutare la depressione nei pazienti geriatrici: strumenti che riportavano la valutazione del caregiver, scale autoriferite, interviste cliniche, osservazioni o combinazioni di osservazioni e interviste.
Gli strumenti finora utilizzati vengono classificati in non specifici e specifici (37). I primi sono
generalmente stati individuati per la loro capacità
di esplorare i sintomi psichici del paziente, e presentano punteggi anche per la depressione.
dal paziente sia dai familiari e, infine, integrate dalle osservazioni dell’esaminatore. Lo strumento di valutazione è diviso in sezioni che
comprendono: un’intervista strutturata con il
paziente e, successivamente, con i familiari
oppure i principali fornitori di assistenza; una
raccolta accurata della storia familiare, l’anamnesi clinica e farmacologica, la storia della malattia; una valutazione delle funzioni cognitive tramite MMSE, esame clinico completo,
esami ematochimici, esami strumentali (RX
torace, EEG, TAC encefalo). La valutazione del
paziente e il colloquio con i familiari richiedono generalmente 60 minuti. La diagnosi di depressione secondo il CAMDEX richiede la presenza di umore depresso, perdita di interesse e
piacere nelle attività e di almeno altri 4 sintomi tra i 22 esaminati nell’intervista con il paziente. I criteri diagnostici inclusi nello strumento per la diagnosi di depressione nell’anziano sono rigorosi e molto approfonditi, tuttavia non sembra particolarmente affrontato e
risolto il problema della diagnosi di depressione nel paziente demente.
Clinical Assessment of Psychopathology among
the Elderly Residents - CAPER (41). A differenza dei
due strumenti precedenti si presenta come una
scala di facile somministrazione nella pratica
quotidiana. Dopo un colloquio clinico guidato
con il paziente, l’osservatore può classificare,
secondo criteri definiti dal DSM, il soggetto come affetto da patologie psichiatriche (tra cui
sono incluse demenza e depressione) oppure
no. Sembra uno strumento utile soprattutto
per la valutazione epidemiologica in pazienti
istituzionalizzati.
Strumenti non specifici
GMS-AGECAT Package (38). È un modello diagnostico derivato dalla Geriatric Mental Status
Schedule (GMSS) (39) e costruito su di un modello
teorico. La GMSS era composta da 600 item e richiedeva 40 minuti per la somministrazione.
Della scala originale il sistema GMS-AGECAT raggruppa gli item in 8 gruppi diagnostici, dalla somatizzazione alla schizofrenia, dalla depressione
alla demenza. Non è uno strumento specifico per
la depressione; è preferito il suo utilizzo negli studi epidemiologici di popolazione.
Brief Assessment Scale - BAS (42). È uno strumento che contiene una scala di valutazione
neurologica (OBS: Organic Brain Scale) per la
classificazione della gravità della demenza e una
sottoscala (DEP) per la rilevazione della gravità
del sintomo depressivo. L’associazione dei risultati delle due scale permette di classificare anche
i pazienti dementi affetti da disturbo depressivo.
Cambridge Mental Disorders of Elderly
Examination - CAMDEX (40). Inizialmente sviluppato per la diagnosi di demenza, in particolare per le forme lievi, rappresenta un utile
strumento per la diagnosi differenziale tra demenza e pseudodemenza e per evidenziare
inoltre le forme depressive anche a carattere
delirante. Le informazioni sono raccolte sia
Nurses’ Observation Scale for Inpatient
Evolution - NOSIE (43). È una scala osservazionale
che si basa più sulla valutazione oggettiva da
parte del personale che sulla rilevazione dei
sintomi clinici relativi alla depressione.
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Neuropsychiatric Inventory - UCLA-NPI (44). È
uno strumento di valutazione oggettivo dei disturbi comportamentali nei pazienti dementi:
tra gli item esaminati è inclusa la depressione,
oltre a deliri, allucinazioni, agitazione, ansia,
attività motoria, irritabilità, euforia, disinibizione. Il questionario è utilizzabile in pazienti
con demenza di varia origine. Lo strumento è
di facile somministrazione, relativamente breve e richiede un’intervista ai familiari oppure al
caregiver principale, con domande specifiche
su alcuni segni o sintomi depressivi rilevati oppure espressi dal paziente. Le domande si riferiscono alla situazione del paziente nelle 6 settimane precedenti l’intervista: non vanno registrate quelle caratteristiche legate alla situazione premorbosa del paziente che non si sono
modificate con l’esordio della malattia. I sintomi vengono inoltre rilevati per frequenza (4
gradi) e gravità (da 0 a 3). Non prevede un’intervista con il paziente, tuttavia le informazioni raccolte possono essere verificate interrogando oppure osservando il paziente.
risultano inappropriati i criteri del DSM per la
depressione quando si ha a che fare con pazienti affetti da demenza grave (sarebbe perciò
necessario selezionare degli item rilevanti per
la demenza).
IL TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE IN CORSO DI
DEMENZA
I pazienti con demenza che presentano sintomi depressivi dovrebbero essere presi in considerazione per un trattamento farmacologico e non
farmacologico indipendentemente dal fatto che
sia possibile formulare una diagnosi sindromica
precisa e accurata (46). Nel definire gli obiettivi del
trattamento va considerato che esiste un’interazione fra sintomi depressivi, deficit cognitivo, disabilità, qualità della vita del paziente e del caregiver (47). La depressione nell’anziano in generale è
spesso misconosciuta e sottotrattata e questo è
particolarmente vero per i sintomi depressivi che
si accompagnano alla demenza (48,49). In uno studio condotto su 148 soggetti dementi reclutati in
un setting ambulatoriale (62 con demenza lieve:
CDR 1, 54 con demenza moderata: CDR 2, e 32
con demenza grave: CDR 3 o più) è stato valutato il pattern di trattamento dei disturbi comportamentali (50). Complessivamente erano presenti
sintomi depressivi nel 52% dei soggetti, deliri o
allucinazioni nel 59%, agitazione nel 45% e insonnia nel 38% dei pazienti. Solo nel 5% dei casi
i familiari o i caregiver erano stati adeguatamente istruiti sui comportamenti da tenere in presenza dei sintomi comportamentali. Nei 74 pazienti
giunti all’osservazione ambulatoriale per la prima
volta nel periodo dello studio i sintomi depressivi risultavano trattati farmacologicamente solo
nel 55% dei casi e solo nel 25% dei casi con antidepressivi (in circa un quarto dei casi con l’uso di
triciclici); nel 30% dei casi venivano utilizzate
benzodiazepine da sole (Tabella 3).
Esistono evidenze, ancora limitate, che mostrano una certa efficacia di trattamenti non farmacologici per la depressione nella demenza (51,52).
Gli interventi proposti includono la reminiscenza, trattamenti orientati al sostegno delle emozioni, interventi ricreativi o risocializzanti (53).
Accanto agli interventi specifici è importante
anche fornire ai familiari informazioni circa i
comportamenti da adottare nella gestione del paziente demente con sintomi depressivi. È infatti
Strumenti specifici
Le scale specifiche per la valutazione della depressione nel paziente demente sono ancora rare.
Quelle finora validate considerano le caratteristiche specifiche dei sintomi depressivi che si rilevano in un paziente affetto da deficit cognitivo e
pongono le basi per un’interpretazione dei segni
e dei sintomi comuni sia alla depressione sia alla
demenza.
Cornell Scale for Depression in Dementia (45). È
una delle poche scale attualmente validate per
la valutazione della depressione nella demenza. È costituita da 19 item con risposte graduate da 0 a 3, somministrata da un osservatore in
un tempo medio di 30 minuti. Consta di due
interviste brevi, la prima con il paziente e l’altra con il suo principale fornitore di assistenza.
Il punteggio finale viene stabilito in base anche
alle impressioni ottenute dall’osservatore.
Secondo gli autori la scala è in grado di rilevare la gravità dei sintomi depressivi nel paziente
demente e di identificare alcuni sottotipi di depressione. Il fatto di intervistare sia il soggetto
che il caregiver, considerando la settimana precedente all’intervista, ha permesso di identificare diversi livelli di depressione in popolazioni di soggetti dementi e non dementi. Tuttavia,
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Tabella 3 – Pattern di prescrizione farmacologica per alcuni tipi di disturbi comportamentali osservati in un campione
di 74 soggetti ambulatoriali affetti da demenza (AD o VD) rilevato alla prima valutazione ambulatoriale (50)
Agitazione
Depressione
Insonnia
Sintomi psicotici
Benzodiazepine
25%
30%
60%
0
Aloperidolo
15%
0
10%
40%
Fenotiazine
50%
0
15%
25%
0
25%
0
0
10%
45%
15%
35%
Antidepressivi
Nessun trattamento farmacologico
fondamentale evitare i rimproveri e utilizzare
rinforzi positivi per aumentare l’autostima, stimolare l’attività fisica e le occupazioni ed evitare
situazioni stressanti.
La decisione di intraprendere una terapia farmacologica per la depressione in un paziente demente dovrebbe fare seguito a un’attenta valutazione dell’entità e della stabilità dei sintomi, della eventuale presenza di situazioni ambientali negative, della possibile interazione con i sintomi
cognitivi o la disabilità, della presenza di altri sintomi comportamentali e delle condizioni generali del paziente stesso (54).
La scelta del farmaco dovrebbe basarsi sul profilo farmacologico e sui possibili effetti collaterali
(nelle Tabelle 4, 5, 6 e 7 sono presentate le pro-
prietà farmacologiche, i meccanismi d’azione, gli
effetti collaterali e le proprietà farmacodinamiche
dei farmaci antidepressivi disponibili, con particolare attenzione ai nuovi antidepressivi).
Gli antidepressivi triciclici, sebbene siano efficaci nel trattamento dei sintomi depressivi nella
demenza, possono peggiorare le funzioni cognitive e hanno rilevanti effetti collaterali; sono perciò
da considerare di seconda scelta (55).
Molti autori ritengono gli inibitori selettivi del
reuptake della serotonina (SSRI: fluoxetina, paroxetina, citalopram o sertralina) farmaci di prima scelta (49,56), sebbene le proprietà farmacodinamiche e i possibili effetti collaterali non siano comuni a tutti i farmaci di questa classe e pochi siano gli studi che ne hanno valutato l’efficacia nel
Tabella 4 – Classificazione dei farmaci antidepressivi
Tipo di antidepressivo
Nome dei farmaci
Antidepressivi tradizionali
Antidepressivi triciclici*
Amitriptilina, amoxapina, clomipramina, desipramina, dotiepina,
doxepina, imipramina, lofepramina, nortriptilina, protriptilina, trimipramina
Altri inibitori del reuptake*
Maprotilina, trazodone, viloxazina
Inibitori della monoaminossidasi
(irreversibili)
Isocarboxazid, fenelzina, tranilcipromina
Antidepressivi più recenti
Inibitori selettivi del reuptake
della serotonina
Citalopram, fluoxetina, fluvoxamina, paroxetina, sertralina
Altri inibitori del reuptake
Reboxetina+, venlafaxina‡
Inibitori della monoaminossidasi
(reversibili)
Moclobemide§
Altri antidepressivi
Nefazodone**, mianserina***, mirtazapina***
* Inibisce il reuptake della serotonina o della noradrenalina o di entrambe.
+
Inibisce il reuptake della noradrenalina.
‡
Inibisce il reuptake della serotonina e della noradrenalina.
§
Inibitore della monoaminossidasi A.
** Inibisce il reuptake della serotonina e blocca i recettori della serotonina (5-HT2A).
*** Meccanismo d’azione complesso che include il blocco del recettore presinaptico α2.
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Tabella 5 – Proprietà farmacologiche degli antidepressivi e possibili conseguenze cliniche
Proprietà
Possibili conseguenze cliniche
Blocco della ricaptazione
della noradrenalina
•
•
•
•
•
Tremori
Tachicardia
Difficoltà nell’erezione e nell’eiaculazione
Blocco dell’effetto antipertensivo della guanetidina
Aumento degli effetti sulla pressione delle amine simpaticomimetiche
Blocco della ricaptazione
della serotonina
•
•
•
•
•
•
Disturbi gastrointestinali
Aumento o riduzione dell’ansia (dose-dipendente)
Disfunzioni sessuali
Effetti extrapiramidali
Interazione con L-triptofano, IMAO, fenfluramina
Sindrome serotoninergica
Blocco della ricaptazione
della dopamina
• Attivazione psicomotoria
• Effetti antiparkinsoniani
• Aggravamento di sintomi psicotici
Blocco dei recettori istaminergici H1
•
•
•
•
Potenziamento degli effetti degli agenti depressogeni centrali
Sedazione, sonnolenza
Aumento di peso
Ipotensione
Blocco dei recettori muscarinici
•
•
•
•
•
•
Disturbi dell’accomodazione
Secchezza delle fauci
Tachicardia sinusale
Stipsi
Ritenzione urinaria
Confusione mentale
Blocco dei recettori α1-adrenergici
•
•
•
•
•
Potenziamento dell’effetto antipertensivo di prazosina, terazosina,
doxazosina e di labetalolo
Ipotensione posturale, vertigini
Tachicardia riflessa
Problemi eiaculatori
Blocco dei recettori dopaminergici D2
• Disturbi motori extrapiramidali
• Disfunzioni endocrine
• Disfunzioni sessuali (uomini)
Tabella 6 – Neurorecettori e processi di ricaptazione coinvolti nel meccanismo d’azione dei nuovi antidepressivi
Farmaco
SSRI
Venlafaxina
Nefazodone
Ricaptazione
5HT
NA
√
√
√
√
Mirtazapina
Reboxetina
√
5HT2A
5HT2C
√
√
√
5HT3
√
α1
√
α2
H1
√
√
5HT: serotonina; NA: noradrenalina
soggetto demente (57-62). L’utilità di farmaci di più
recente introduzione (quali venlafaxina, reboxetina e nefazodone) non è stata ancora chiaramente dimostrata nella demenza, anche se la lo-
ro efficacia nell’anziano è ormai accertata (63,64).
Uno degli aspetti più interessanti e innovativi
nel campo del trattamento della depressione nella demenza è la possibilità che terapie che agisco-
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Tabella 7 – Proprietà farmacocinetiche dei nuovi antidepressivi
Farmaco
Biodisponibilità
(%)
Legame
proteine
(%)
Volume di
distribuzione
(l/kg)
Clearance Emivita media Concentrazione
(l/ore)
(range) (ore) plasmatica allo
steady-state
(ng/ml)
Citalopram
95
82
14
26 (23-38)
33 (23-45)
40-300
Fluoxetina
80
95
25
10-36
45 (24-144)
90-300
Fluvoxamina
>53
77
>5
80 (33-220)
15 (9-28)
20-500
Paroxetina
>64
93
17
36-167
18 (7-65)
10-600
Sertralina
88
98
25
96
26 (22-36)
20-200
Nefazodone
>20
99
0,2-1,0
-
- (2-8)
150-1000
Venlafaxina
92
27
2-23
40-129
- (2-11)
50-150
Mirtazapina
50
85
4,5
-
- (13-34)
20-40
Reboxetina
>60
97
0,5
1,7
- (12-16)
50-160
no primariamente sui sintomi cognitivi della malattia possano avere anche un’efficacia (diretta o
indiretta) sui sintomi non cognitivi e quindi anche sulla depressione. Vi sono infatti dati che indicano come gli inibitori dell’acetilcolinesterasi
siano efficaci sui sintomi comportamentali e sui
sintomi depressivi, in particolare nella malattia di
Alzheimer (65,66). Un’ulteriore evoluzione della ricerca in questo campo riguarda la valutazione dell’efficacia dell’associazione fra inibitori dell’acetilcolinesterasi e antidepressivi, sebbene alcuni casereport indichino già come in certi casi tale associazione abbia non solo una razionalità, ma anche un potenziamento dell’efficacia specifica (67).
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