un mondo con molta illuminazione e poca luce
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un mondo con molta illuminazione e poca luce Filosofia della mostra Un mondo con molta illuminazione e poca luce _ Vedo attorno a me un mondo dominato da impulsi elettrici, scritte fluorescenti, messaggi accattivanti, che non c’entrano nulla con l’Arte. _ Fontana ha fregato tutti!!! Con un semplice taglio su una tela bianca ha paralizzato qualsiasi altro tentativo di scoperta artistica dopo di lui. Ma quali tecnologie! Questi moderni, assuefatti ricercatori di luminosità effimera partono già sconfitti: una lama e una tela li hanno uccisi più di mezzo secolo fa. _ Oggi vedo sempre più spesso utilizzare televisori vecchi per installazioni site-specific, video-arte, o anche arte cosiddetta povera. Nessuno che sia riuscito a strizzarci fuori un goccio di poesia da questi dannati televisori. _ Se si spegnesse la luce, se si esaurisse l’energia elettrica, oggi, nel giro di un secondo, una bella quantità di opere definite contemporanee non esisterebbero neppure, tanto si sono legate le opere o la loro lavorazione al concetto di TECNOLOGIA. è come se gli artisti, per sopravvivere, dovessero restare collegati al cavo elettrico come pleuritici alla bombola dell’ossigeno. _ Ma se una buona parte dell’arte contemporanea necessita di una tecnologia avanguardistica per creare un’opera tutto fuorché moderna, se si può fare arte con metodi tradizionali, utilizzando le tecniche più antiche, allora io ho senso, molto senso. L’importante è che il messaggio funzioni oggi, magari domani, che tra cento anni acquisisca ancora più senso parlando di noi e di questa nostra epoca senza poesia, anzi senza poeti. _ è un diverso modo di vedere l’arte. Un nuovo modo per l’arte di vedere fuori da se stessa e dentro la vita. È ricerca di “VERITAS”: un moto d’arte molto molto moderno. E se non vogliamo definirlo moderno potremmo dire “inusuale”. E l’arte ha un suo valore anche nell’essere inusuale. In me è sempre viva questa ambivalenza. _ Concetto moderno, ovvero tentativo di concettualizzare poeticamente l’oggi, e tecnica antica, meticolosa, ineccepibile. In 5 anni sono passato da un figurativo definibile come “iperrealista” a mio avviso anacronistico, ad una concettualizzazione della figurazione nella quale dipingere al massimo delle proprie capacità diventa mero gesto funzionale all’idea, ovvero l’opposto del principio che sta alla base della figurazione. _ Figurare il non figurabile! è una cosa incredibile da fare. è qualcosa di stridente. Se uno è molto bravo, desidera soprattutto dare prova della sua bravura. Grandi formati. Grande ego. E io sono cento volte più egocentrico! _ Perché riesco a rinunciare allo scopo principale della figurazione: creare figure. — Fontana ha fregato tutti!!! “MANIacal Vision Of huMANIty” 2007 - olio su tela, 70x70 cm. Collezione permanente Museo diocesano di Jesi I luoghi della mostra: MUSEO GEOLOGICO DI BOLOGNA _ L’idea alla base della mostra è riuscire a creare un intervento espositivo leggero ma che allo stesso tempo sia incisivo, e forse ancora più incisivo proprio grazie alla sua “non presenza”. _ Come se si cercasse di camminare sulla superficie ghiacciata di un lago, in punta di piedi cercando di attraversarne tutta la lunghezza senza sprofondarci dentro. Il museo di geologia è un luogo fortemente suggestivo, c’è tutta la storia del mondo lì dentro, e a volte, i reperti, i fossili, presi in valore estetico assoluto, sono paragonabili ad opere d’arte di gran lunga più interessanti dell’arte intesa in senso stretto, quasi sempre molto più suggestive, spesso più belle. _ Da qui l’idea di utilizzare supporti trasparenti per le opere in esposizione, cosi che si confondano quasi all’ambiente museale, anzi al vuoto dell’ambiente museale, cioè a quello spazio d’aria che sospende una meraviglia morta dall’altra carbonizzata. Attraverso questo nuovo vuoto, una specie di etere modificato, si potranno scorgere le reliquie in mostra, e la mia opera farà da lieve corto circuito, diventerà una specie di lente strabica con la quale visualizzare in modo nuovo ciò che di consueto c’è nel museo. Trasparenza significa “non esserci”, ma io ci sono lì dentro, ci sono con un enorme rispetto del luogo, mi farò trasparente per affermare la mia piccolezza di fronte a tanta bellezza, di fronte alla bellezza dormiente, carbonizzata, fossilizzata esposta nel museo. La bellezza della nostra storia. _ Le opere parleranno mute di accenti, al loro alfabeto verranno tolte la ò, la à, la è e la ù, la ì e tutte quelle lettere troppo appariscenti come la x, o la y, o la w, ma questo non toglierà loro la voce; cosi quelle stesse opere urleranno ancora meglio l’idea che l’arte contemporanea, l’uomo contemporaneo, vive pieno di quel passato fossilizzato, nwnvolto e anche inconsapevolmente disturbato. _ Il museo conserverà esattamente la sua forma, l’arte entrerà sui pattini per volteggiare tra le teche di legno secolare, facendo la maggior attenzione possibile a non fare crollare una qualche gamba di un qualche animale estinto, ma anzi divenendone un’ulteriore stampella trasparente. _ Al contrario di quel che succede solitamente nelle mostre museali, l’artista si farà ombra, cercherà di scomparire, come nascondendosi di fronte ad una nuova era glaciale. _ Si rintanerà nel vuoto di una trasparenza sottraendosi all’oblio del suo tempo, fatto di quarti d’ora di fulminante celebrità (o morte). ...mi farò trasparente per affermare la mia piccolezza di fronte a tanta bellezza... Ritratto, 2012 - acrilico su acetato “NUDO CHE SCENDE LE SCALE. Omaggio a Marcel Duchamp”. 2014 Simulazione dell’opera realizzata per l’evento. Acrilico su fogli di PVC. “UN ALTRO STUDIO” Via Capo di Lucca 12/A _ BOLOGNA Armatura in tessere _ È un’opera complessiva di 3x2 metri, in tessere di 50x50 centimetri, ognuna delle quali indipendenti, ma allo stesso tempo identitarie nel complesso di quella sola opera, come accade ad ogni individuo sociale all’interno della propria comunità. _ L’armatura tenta di rappresentare qualcosa di figurativo che allo stesso tempo è interpretabile come opera astratta. L’dea è quella di un’opera collettiva in cui tutto appaia legato, in cui l’armatura stessa leghi a se i potenziali collezionisti, li leghi tra loro, e li leghi all’artista. _ L’opera in tessere rappresenta la volontà di non lasciare fuggire via l’esistenza dell’artista, legandola a doppio filo con la memoria rappresentata da ogni singola tessera. In questo caso le tessere sono proprio tasselli di memoria; ogni tessera tesse un legame e l’opera tesse legami multipli tra il suo artefice e i collezionisti, tra i collezionisti stessi e la memoria che essi non acquistano ma donano, diventando parte stessa dell’opera. _ Come spesso accade nell’arte ci sono più piani di lettura: uno materiale legato all’estetica dell’opera e alla sua comprensione, l’altro più sotterraneo, ma non per questo meno interessante e importante, quello di incatenare all’opera se stessi, io come artista, il collezionista come custode di memoria. Intessere appunto un legame nuovo tra chi crea l’opera e i suoi custodi, e tra i custodi stessi uniti e legati dall’idea del preservare intatta la memoria. L’opera visiva si polarizza concettualmente all’idea di legame. “ARMATURA” 2010 - PRIMO PROTOTIPO 50x70 cm. Incisione strato di pastello steso su tavola preparata oro. Breve Curriculum _ Walter Materassi, artista è nato a Bologna nel 1974. A Bologna ha compiuto i suoi studi e a Bologna ha esposto per la prima volta nel 2002 nel complesso museale del Baraccano insieme ad un gruppo di giovani studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Da allora la sua produzione così come le sue scelte espositive sono state del tutto fuori dall’ordinario. Nel 2005 infatti, conosce il collezionista e mecenate Serafino Fiocchi che lo inserisce nella grande mostra curata dal Prof. Armando Ginesi, dedicata all’arte figurativa del ‘900, tenutasi alla Mole Vanvitelliana di Ancona. Nello stesso anno e nel successivo collabora con alcune gallerie delle Marche, tra cui l’Idioma di Ascoli Piceno dell’artista e gallerista Augusto Piccioni con varie mostre personali e collettive. Inizia una collaborazione che ancora oggi dura con il sistema dell’arte di quella regione e in particolare con Ascoli, dove, nel settembre del 2011 affronta quella che è fino ad ora l’esperienza espositiva più matura e cioè l’allestimento a Palazzo dei Capitani, di una mostra completamente dedicata alla sua ricerca sulle immagine riflesse negli specchi stradali (Mirror Miracles) e nei televisori “dormienti” (Home Theatre). Nel 2005 incontra un’altra persona che diventerà suo mentore e sostenitore, Dino Gavina. “Sono stati 3 anni di grande amicizia, di grandi litigi, di grandi gesti di solidarietà” così Walter racconta il suo percorso assieme al vecchio e scontroso genio italiano del design mondiale. Con Gavina prepara una mostra nel 2006 presso l’INA Assitalia di Bologna diretta dall’allora direttore Carlo Bonini e con lui si infila in una ricerca accanita che lo porta alla fine ai risultati di oggi, cioè alla rinuncia della mera apparenza figurativa e al raggiungimento di uno stadio ulteriore dello stesso mestiere di dipingere. “Sono riuscito a capire quel che Dino mi spiegava solo dopo che se n’è andato, come per magia ho capito che era quasi del tutto inutile per me percorrere le strade già segnate. L’aiuto e lo scontro con Dino mi hanno gettato in questa agguerrita sfida di dipingere ciò che non si vede, o meglio ciò che gli uomini non guardano e quindi non vedono... - e se non lo vedi, non esiste - direbbe lui”. “L’assenza è un tema che l’arte figurativa non è mai riuscita a poeticizzare in modo preciso e pulito, ha sempre lavorato a questo sentimento con opere molto didascaliche. Ad un certo punto io invece l’ho vista riflessa l’assenza, in un televisore spento, ho capito che Dino mi aveva guidato fin lì anche da lontano”. Varie sono state le mostre in musei delle Marche, le collaborazioni con critici ed esperti di arte di caratura nazionale, come appunto il Prof. Armando Ginesi, Renato Barchiesi, Cecilia Casadei vice presidente dell’Accademia di Urbino, il Prof. Stefano Papetti direttore dei Musei di Ascoli Piceno. E infine la sua esplosione nel mondo, tra la gente, nell’ultimo anno Materassi si è spinto fuori dai luoghi fisici dedicati all’arte per intraprendere un percorso ancora nuovo, andando in giro nelle piazze, nei locali a dipingere ritratti enormi dal vivo in pochissimi minuti, fino ad approdare in un museo, quello di Zoologia in occasione della manifestazione SBAM, nel novembre dello scorso anno. “Anche in questo caso l’arte è mezzo, non un fine”. Infatti il fine non è il ritratto ma la rinuncia alla cattedra, alla mostra, ai rituali dell’arte di oggi, per riuscire a trasmettere alla gente, soprattutto ai bambini, buone visioni sull’arte e soprattutto sulla figura dell’artista nel terzo millennio. L’artista deve vivere tra la gente, la gente lo deve concepire come parte integrante e anche controcorrente della società. Per farlo è necessario scendere dal piedistallo e infilarsi ovunque e ovunque portare tutto il proprio mestiere, il proprio potenziale creativo. Non sono tanto le persone a guadagnarci ma l’Arte stessa”. E pieno di questo nuovo spirito Materassi è pronto, se gli verrà concesso, di entrare in “punta di pattini” al Museo di Geologia per Arte Fiera 2014. i s s a r e t a M r e t l Wa — Walter Materassi via Vittorio Emanuele II n. 4 _ Monghidoro tel. 339.8948452 [email protected] © Walter Materassi con Simone Salomoni e Ubaldo Righi. nov 2013