sul processo civile - Associazione Nazionale Magistrati
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C O S ES C O R LP “SU L M ORGANO DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI ” E L I IV LA MAGISTRATURA GENNAIO-GIUGNO 2004 ANNO LVIII - TRIMESTRALE - POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. ART. 2 COMMA 20/C LEGGE 662/96 - DCO ROMA L M SOMMARIO Le opinioni espresse in ciascun articolo sono proprie dell’autore e possono non coincidere con quelle della redazione o della direzione o con la linea dell’ANM. pag. 1 Editoriale di Sergio Gallo pag. 3 “Lo Stato di diritto ed il ruolo della giurisdizione civile” di Mario Fresa pag. 7 Dall’udienza di prima comparizione all’ammissione delle prove: nella collaborazione tra giudice e avvocato il segreto di un processo più veloce di Lelio Della Pietra pag. 14 Considerazioni minime sulla giustizia civile tra problemi dell’organizzazione e riforme processuali di Riccardo Conte pag. 20 La giustizia civile come servizio di Alessandro Cajola pag. 23 Appunti sul progetto di riforma del processo civile e sul nuovo rito societario di Antonio Didone pag. 33 Gli interventi sulla disciplina del processo civile di Antonio Scarpa pag. 38 Il “libro bianco” sul processo civile di Alessandro Pepe pag. 43 I rimedi organizzativi per un processo più efficiente di Raffaele Sabato pag. 47 Le riforme processuali. Il Testo Unificato del Disegno di legge recante “Modifiche al codice di procedura civile” di Eduardo Campese pag. 50 Brevi considerazioni sulle riforme del processo civile di Maura Nardin pag. 53 L’esperienza del processo nell’assetto attuale. Le prassi esistenti e quelle possibili di Luciana Barreca pag. 64 Le prassi virtuose al bivio tra metodo e inutilità di Roberto Braccialini pag. 68 L’ANM e la formazione professionale: un nuovo impegno di Paolo Martinelli Direzione e Amministrazione: Roma - Palazzo di Giustizia, presso l’Associazione Nazionale Magistrati Telefono: diretto 06 68.61.266; centralino 06 68.831; interno 2792 Fax: 06 68.30.01.90 Sito Internet: http://www.associazionemagistrati.it Reg. Trib. di Roma n. 259 del 23 giugno 1948 pag. 72 Alcune cose che i giudici possono fare immediatamente per migliorare la gestione del processo di Francesco Ranieri pag. 76 Un protocollo romano per la gestione delle udienze civili di Giorgio Costantino pag. 79 Stampa: Iasillo Grafica S.r.l., Via Barisano da Trani, 26 - Roma Tel. 06 58.18.747 - 06 58.82.166 Osservatorio sulla giustizia nel Distretto di Salerno di Maria Faggiano pag. 82 L’Osservatorio di Firenze di Luciana Breggia pag. 86 Proposte per un nuovo disegno organizzativo dei servizi giudiziari di area civile di Daniela Intravaia pag. 94 Relazione conclusiva di Gianfranco Gilardi pag. 100 Documento conclusivo del Convegno di Roma pag. 101 Una campagna per la giurisdizione civile Finito di stampare il 14 maggio 2004 Progetto grafico di GIGI BRANDAZZA Direttore responsabile: ALDO CELENTANO Direttore: SERGIO GALLO pag. 102 Documento ANM Salerno Vice Direttore: MARIO FRESA pag. 107 Le vendite forzate e la ragionevole durata del processo esecutivo Comitato di redazione: ANTONIO ARDITURO LUCIO ASCHETTINO CARLO CITTERIO ANNA GIORGETTI GIUSEPPE RANA pag. 126 Tribunale di Monza - Sezione Fallimenti-Esecuzioni di F. Lapertosa, C. Miele, A. Paluchowski, R. Fontana, F. D’Aquino pag. 134 Documento conclusivo del XXVII Congresso di Venezia dell’Associazione Nazionale Magistrati L L M Editoriale E fficienza e credibilità della giustizia è il vero problema di questo inizio di nuovo secolo: efficienza del sistema nel suo complesso, credibilità dei soggetti che operano per dare una risposta di giustizia ai cittadini. Su questi temi e sulla riforma dell’ordinamento giudiziario la magistratura associata ha dibattuto e discusso con passione ed intelligenza al XXVII Congresso dell’A.N.M. di Venezia dal 5 all’8 febbraio 2004. Impegno ed appuntamento storico sicuramente riuscito sia sotto il profilo organizzativo sia soprattutto sotto il profilo dei contenuti. Successo determinato innanzittutto dal numero dei partecipanti: sono confluiti a Venezia circa ottocento-novecento magistrati. E poi la massiccia presenza degli organi di stampa e dei mass-media ma anche di significativi segmenti della società civile e delle Istituzioni. Ancora non possiamo non salutare con favore anche la presenza dei rappresentanti delle maggiori organizzazioni forensi che, pur nell’ovvio confronto dialettico tavolta anche aspro, hanno comunque riconosciuto la deficienza dell’impianto riformatore dell’ordinamento giudiziario e la necessità di un più proficuo momento di elaborazione di idee su tutte le tematiche che coinvolgono il servizio Giustizia. L’importanza del Congresso di Venezia ha determinato la Giunta Esecutiva Centrale ad un ulteriore sforzo organizzativo ed economico imponendo in tempi brevissimi la pubblicazione in un volume, edito da Ipsoa nella collana Le proposte della magistratura, di tutti gli atti, gli interventi, anche quelli solo depositati, del Congresso non limitandoci a pubblicare su questo giornale i più significativi contributi a cominciare da quelli dei segretari delle componenti associative. E proprio nell’ottica di fornire un continuo contributo propositivo sulle tematiche dell’efficienza e della credibilità della giustizia abbiamo inteso dedicare questo numero della Rivista alla pubblicazione degli atti del Convegno sul processo civile organizzato dall’A.N.M. a dicembre in Roma. Se vi è un settore della giustizia in cui i cittadini particolarmente patiscono i ritardi e le inefficienze questo è costituito proprio dalla giurisdizione civile in cui maggiore è il contatto degli utenti con i magistrati e con l’intero sistema giudiziario. Anche e soprattutto per il processo civile si pone l’esigenza della ragionevole durata del processo che è presupposto strutturale del giusto processo nonché limite obiettivo alla discrezionalità legislativa nel senso che le riforme non possono più prescindere dal perseguimento dei principi fissati costituzionalmente dal nuovo art. 111 Cost. a sfida dell’efficienza può essere raccolta e vinta solo se tutte le componenti interessate, a cominciare dal Ministro della Giustizia che in questo contesto svolge un ruolo cruciale dovendo assicurare, ai sensi dell’art. 110 Cost., ferme le competenze del C.S.M., l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, operino quantomeno procedendo nella stessa direzione anche se ciò presuppone l’esistenza di un minimo di comprensione reciproca dei problemi, dei valori e della cultura di cui le varie componenti sono portatrici. In materia di giustizia non si può improvvisare e soprattutto occorre possedere un bagaglio professionale tale da consentire di comprendere la specificità dei problemi. Sul processo civile, in particolare, ultimamente si è particolarmente soffermata l’attenzione del legislatore: basti pensare al decreto legisla- 1 tivo 17 gennaio 2003 n. 5 in materia di diritto societario, finanziario e bancario, alla legge istitutiva delle sezioni distrettuali di diritto industriale nonché alle recenti modifiche al codice di rito approvate in commissione legislativa della Camera dei Deputati il 2 luglio 2003. Soprattutto quest’ultimo disegno di legge, all’esame del Senato, potrà incidere in modo decisivo sui tempi del processo civile. Al riguardo mi pare opportuno ricordare tre previsioni normative: • la prima rappresentata dall’art. 12 contenente la modifica dell’art. 180 cpc si fissa la possibilità di procedere all’immediata trattazione della causa a norma dell’art. 183 cpc qualora vi sia l’istanza di tutte le parti; • la seconda costituita dall’art. 13 contenente la modifica al primo comma dell’art. 184 cpc prevedendosi la possibilità già all’esito della prima udienza di trattazione di procedere alla ammissione dei mezzi di prova proposti dalle parti e che il giudice ritiene rilevanti; • la terza è costituita dall’introduzione della consulenza tecnica preventiva con attribuzione al consulente tecnico di ufficio della possibilità di procedere alla conciliazione delle parti e conseguente attribuzione di efficacia di titolo esecutivo al processo verbale di conciliazione con decreto del giudice. erto vi sono anche aspetti che la magistratura ritiene giustamente di non condividere come la modifica dell’art. 70 del c.p.c. con una oggettiva limitazione della potestà di intervento in udienza del Procuratore Generale della Cassazione, ma il complesso dell’impianto riformatore appare sostanzialmente di segno positivo. Perplessità dunque suscita la presentazione in Parlamento del cd. progetto Vaccarella che trasforma il processo civile sottraendo essenziali e funzionali competenze al giudice per demandarle alle parti. Dunque la riforma complessiva del processo civile costituisce un ulteriore terreno, oltre alla riforma dell’ordinamento giudiziario, di elaborazione propositiva da parte della magistratura. Siamo convinti che dal Convegno di Roma di dicembre sono emersi contributi di cui il legislatore non potrà non tener conto e dunque la pubblicazione di questi atti sulla Rivista rappresenta un ulteriore momento propositivo della magistratura che, come tale, sarà riconosciuto da tutti coloro che non hanno posizioni preconcette nei suoi confronti. C SERGIO GALLO COMMISSIONE DI STUDIO SUL CIVILE FRESA Mario BENSO Alberto CAMPESE Eduardo CATALDI Giulio D’ASCOLA Pasquale DE CECCO Maria DIDONE Antonio GERARDIS Luciano GILARDI Gianfranco NARDIN Maura PAPPALARDO Alfonso PEPE Alessandro POMPEI Patrizia RANIERI Francesco SABATO Raffaele SCARPA Antonio VIRGA Tommaso 2 Magistrato Addetto massimario Corte Cassazione Giudice Tribunale - Torino Giudice Tribunale - Napoli Giudice Tribunale - Napoli Magistrato Applicato Corte Cassazione Giudice Tribunale - Livorno Consigliere Corte Appello - L’Aquila Presidente Sezione Tribunale - Reggio Calabria Consigliere Corte Cassazione Giudice Tribunale - Sassari Giudice Tribunale - Bari Giudice Tribunale - Napoli Giudice Tribunale - Firenze Giudice Tribunale - Roma Giudice Tribunale - Napoli Giudice Tribunale - Nocera Inferiore Consigliere Corte Appello - Palermo “LO STATO DI DIRITTO ED IL RUOLO DELLA GIURISDIZIONE CIVILE” L a tenuta dello Stato di diritto dipende naturalmente da molteplici fattori. Tra questi, l’esercizio indipendente della giurisdizione e l’efficienza del sistema giustizia hanno un peso notevole. Esse rappresentano le due facce della stessa medaglia e devono essere sempre sottolineate insieme. Questo concetto è stato spesso ripetuto dai componenti della Giunta unitaria dell’ANM nei colloqui sostenuti col Capo dello Stato, con i Presidenti di Camera e Senato, con le forze politiche e con il Ministro. In questo contesto, caratterizzato dall’emergere con evidenza di un “diritto diseguale”, se non di un diritto dei casi singoli, e dalla scomparsa di molte garanzie giuridiche nella vita quotidiana, il ruolo della giurisdizione civile assume fondamentale importanza. La giurisdizione, infatti, resta priva di significati concreti se perde il contatto con la vita, se non resta ancorata alla realtà di ogni giorno e non riesce a dare celere ed efficace risposta alle domande di giustizia, legalità, certezza dei rapporti giuridici, sicurezza, che le provengono dalla società civile. Se la giurisdizione non riesce ad assicurare ciò, se non riesce più a svolgere il compito principale, di fattore di equilibrio sociale e strumento di tutela dei diritti, lo Stato potrà pensare in futuro di fare a meno dei giudici, che – in un sistema in cui la giu- L M stiziabilità dei contrapposti interessi in gioco ha tempi lunghi e percorsi tormentati – sono un ostacolo per l’economia e le logiche del mercato, insofferenti verso i limiti loro imposti dalle regole del diritto. Invece, la giurisdizione civile – a volte dimenticata nei pubblici dibattiti; considerata all’interno come il serbatoio a cui si possa attingere per ogni esigenza del settore penale; sottoposta dall’esterno ad un continuo processo di erosione – ha il compito non facile di “ricucire gli strappi”, trovare una sintesi sul terreno della difesa ed affermazione quotidiana dei diritti, ricostruire una concezione unitaria della giurisdizione come strumento di promozione di uguaglianza e di legalità. llora, sul piano interno, fondamentale è un rinnovato impegno di noi tutti e del CSM per migliorare credibilità e funzionalità della giurisdizione. L’essere indipendenti non significa comportarsi come se non si debba rendere conto a nessuno del modo in cui si organizza e si fa il proprio lavoro. Si assiste, invece, ad uffici nei quali precetti ordinamentali di grande importanza restano inattuati; si assiste a carenze di vigilanza; a proposte tabellari che non contengono un progetto organizzativo calato nella concreta realtà dei bisogni di giustizia del luogo; alla mancanza di programmi idonei a fornire A 3 una risposta di giustizia ai cittadini in tempi ragionevoli; alla mancanza di confronti e dibattiti sui problemi dell’ufficio e sugli orientamenti giurisprudenziali. Non ci si avvale sempre dello strumento previsto dall’art. 47 quater ord. giud. per discutere degli obiettivi programmati e limitare i contrasti inconsapevoli che rappresentano ovunque una piaga, destinati come sono a moltiplicare le occasioni di contenzioso. Sono necessari criteri organizzativi obiettivi e predeterminati ed il CSM deve proseguire lungo la strada intrapresa sul piano tabellare, ove oggi non è posta attenzione al solo principio del giudice naturale, ma ad un complessivo progetto organizzativo degli uffici, secondo esigenze di funzionalità. Anche sul piano della formazione professionale va proseguita la strada intrapresa. Carlo Verardi diceva che l’attuazione del giusto processo passa, prima di ogni altra cosa, “da una riforma delle culture e della deontologia che consegni al processo protagonisti culturalmente preparati, efficacemente organizzati, legati da una comunanza dei valori di fondo”. Di qui lo sforzo per il CSM di realizzare, in sintonia con i valori costituzionali, l’unico modello di giudice possibile per il nostro ordinamento, professionalmente preparato, capace di far fronte alla complessità con la specializzazione, consapevole che l’indipendenza non è un privilegio di categoria, ma una garanzia di impegno che il cittadino ha il diritto di vedere sempre attuato. Rinnovamento di professionalità che vale, naturalmente, anche per il personale amministrativo, per gli “operatori” del diritto in genere e per l’avvocatura, chiamati tutti a concorrere alla costruzione di uno spazio giuridico comune. 4 S ul piano esterno, è giunto il momento di affrontare il delicato tema del rapporto tra giurisdizione ordinaria ed amministrativa. Il legislatore ha infatti introdotto tali e tante ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo che il disegno del Costituente – caratterizzato dalla centralità della giurisdizione ordinaria nella tutela dei diritti anche nei confronti della P.A. – è stato stravolto nello spirito. Occorre essere consapevoli della centralità del problema, anzitutto nell’ottica delle garanzie dei cittadini: il principio di uguaglianza è vulnerato dalla sottrazione delle decisioni del Consiglio di Stato al ricorso in Cassazione per violazione di legge; poi, anche nell’ottica della corretta collocazione istituzionale della magistratura ordinaria che, oggi, è posta notevolmente a rischio dinanzi a un disegno politico il cui obiettivo è di creare una magistratura di serie A (quella amministrativa) ed una di serie B (quella ordinaria), alla quale devolvere le controversie di minor peso economico e sociale, ritagliando le une dalle altre sulla base di discutibili canoni interpretativi, ispirati alla nuova ideologia del G.A. come giudice dell’interesse pubblico. Devono essere contrastate proposte di riforma fondate sul riparto della giurisdizione “per materie omogenee”, che lasciano al legislatore la libertà di scegliere il giudice a seconda delle contingenze del momento, introducendo nell’assetto costituzionale di tipo rigido pericolosi elementi di flessibilità. Dev’essere quindi affrontato in modo serio, senza condizionamenti corporativi, il tema dell’unità della giurisdizione (da ripartire in sezioni specializzate, civili, penali ed amministrative), nella consapevolezza che mettere in comune ed unire le esperienze maturate dai giudici amministrativi e ordinari non significa disperderle ma, al contrario, rappresenta un’opportunità di crescita reciproca, necessaria per l’innalzamento qualitativo della giurisdizione nel suo complesso. n questo contesto, l’ANM è consapevole del ruolo propositivo che statutariamente le compete, impegnata com’è a salvaguardare questo impianto costituzionale, contrastando controriforme peggiorative del sistema giustizia ed a proporre riforme, come quella sulle valutazioni di professionalità o quella, appena enunciata, in tema di unità della giurisdizione; e, sul piano interno, a non far mancare, nel rispetto dei diversi ruoli istituzionali, il suo apporto di stimolo e di attenzione critica sulle concrete prassi di funzionamento affinché il CSM sia sempre più all’altezza del ruolo che la Costituzione assegna ad esso. È per questo che l’ANM, sin dalla costituzione del nuovo CdC, ha inteso dare nuova linfa al dibattito sulla giustizia civile ed a realizzare un cambio di ritmo all’impegno associativo nel settore, recependo alcuni input provenienti dall’attività di singole organizzazioni di magistrati ed avvocati, del mondo accademico e della società civile in genere. Di qui, l’immediata operatività del gruppo civile dell’ANM, che – quale componente del CdC – ho il piacere, l’onore, ma anche l’onere di coordinare. Forse la novità di impostazione, che si può cogliere nella nostra attività, è rappresentata dal proposito – già evidenziato dai movimenti di opinione cui accennavo – di non mettere al centro della discussione solo le riforme del processo, convinti come siamo che, se al buon funzionamento della giustizia giovano I anche modifiche della disciplina processuale, altre sono le urgenze del sistema giudiziario italiano. Il gruppo civile ha quindi iniziato la redazione di un “libro bianco” delle prassi, allo stato non definitivo né prescrittivo, da offrire al dibattito degli operatori, arricchendosi ogni volta di nuovi contributi, precisandosi, modificandosi, operando come strumento di discussione e confronto anche per sollecitare miglioramenti organizzativi. In tal modo intende svolgere la sua parte proponendosi come luogo di verifica e discussione delle prassi, e tramite di diffusione delle esperienze positive. L’ANM non ha ignorato l’importanza delle riforme processuali in itinere ed ha espresso posizione favorevole al disegno di legge unificato approvato dalla Camera il luglio scorso, auspicando – in un documento generale ed in una articolata “scheda” di osservazioni tecniche – che le modifiche processuali, finalizzate come sono a venire incontro in maniera razionale alle prospettate esigenze di celerità, si traducano rapidamente in legge. Viceversa, ha svolto critiche al c.d. “progetto Vaccarella” ed alla legge delega approvata dal Consiglio dei Ministri in maniera contraddittoria, appena tre mesi dopo: se il processo è – nel quadro degli artt. 3, 24 e 111 Cost. – una funzione pubblica dello Stato, l’attività processuale implica un ruolo di impulso e coordinamento che, per coerenza, dev’essere individuato nella figura del giudice. Allo Stato di diritto che promuove l’uguaglianza sostanziale non interessa solo che a pronunciare la sentenza sia il giudice, ma interessa anche il modo in cui si perviene alla pronuncia; e l’apporto del giudice, fin dalla fase iniziale del processo, è stato ritenuto, nella nostra secolare evo- luzione giudiziaria, elemento essenziale alla tipica funzione di ricerca della verità. In sintesi, la “privatizzazione” del processo, senza le garanzie assicurate dall’intervento del giudice, acutizza la disparità delle parti, a vantaggio di quelle economicamente più forti e con inevitabili ricadute sulla giusta definizione della controversia. ell’ottica, però, di un rovesciamento di metodo nella lettura della realtà giudiziaria, il gruppo civile dell’ANM ha allestito a Roma, nello scorso dicembre, un Convegno dal titolo “Processo e organizzazione”, in una linea peraltro di continuità ideale con le iniziative in tema di professionalità della primavera 2003 e con le giornate per la giustizia del successivo autunno, dove i diversi aspetti dell’efficienza in genere, del miglioramento dell’autogoverno, della denuncia delle disfunzioni, della difesa dell’indipendenza, sono stati collegati come elementi tutti essenziali, onde assicurare una giustizia più funzionale ai cittadini. Il Convegno di Roma è stato utile luogo di confronto e primo momento di raccolta del “libro bianco”, destinato ad arricchirsi tramite il dibattito che dev’essere alimentato nei singoli distretti. Esso, a fronte di una partecipazione di magistrati sufficiente ma non ottimale, ha visto un’alta qualità di interventi provenienti dall’avvocatura, dal mondo accademico, da esperti dell’organizzazione, da funzionari amministrativi e altri “operatori” del diritto. Ha avuto quindi un grande successo di contenuti e ha evidenziato la convinzione di tutti di poter migliorare la qualità del servizio giustizia, con diminuzione dei tempi di durata dei processi, anche alla stregua della sola normativa vigente, diffondendo le N “buone prassi” che sono state sperimentate con successo nelle diverse sedi locali, pur nella consapevolezza della specificità di ciascun contesto organizzativo e delle difficoltà maggiori o minori che lo caratterizzano. Di qui il progetto di arricchire e completare il “libro bianco” che – sottoposto a discussione e verifiche nei diversi distretti – potrebbe diventare un vero e proprio “protocollo” delle prassi, eventualmente recepito dal CSM. Il compito dell’ANM è quindi duplice: a) sviluppare il dibattito apertosi a Roma nelle varie sedi locali, raccogliendo e diffondendo tutto quello che di buono è stato fatto e si sta facendo nei diversi uffici giudiziari per cercare di limitare i disagi di processi lunghi e sofferti ai cittadini utenti; b) completare il “libro bianco” lavorando insieme ai rappresentanti delle associazioni forensi, del mondo accademico (con partecipazione di giuristi, ma anche di tecnici dell’organizzazione), dell’amministrazione della giustizia (con l’utile contributo di dirigenti e funzionari di cancelleria) e, in genere, dei settori interessati della società civile. Con riguardo al primo profilo, è necessario programmare una serie di convegni o seminari nelle varie sedi locali, da tenersi da qui al prossimo mese di luglio. Con riguardo al secondo profilo, formulo ufficialmente in questo Congresso, a nome del gruppo civile dell’ANM e di coloro i quali la hanno condivisa al convegno del dicembre scorso su “Processo e organizzazione”, la proposta di costituire un gruppo di lavoro “allargato”, con partecipazione dei rappresentanti dell’avvocatura, del mondo accademico, dell’amministrazione della giustizia e di chiunque 5 sia interessato ed in grado di fornire utili apporti per questo comune impegno, fondamentale per la tenuta dello Stato di diritto e lo sviluppo del processo democratico nel Paese. Un tavolo di lavoro comune, al quale partecipino tutte le categorie e gli operatori interessati ad una giustizia civile più rapida e giusta, è oggi più che mai una necessità. Come ha affermato Gianfranco Gilardi, a conclusione del 6 Convegno romano, “sui temi della giustizia nulla potrebbe essere più dannoso quanto la separatezza, l’incomunicabilità, le distanze, il procedere delle proposte in ordine sparso e ciascuna per conto suo”. Invece “l’ANM è convinta che il processo non possa trasformarsi in fattore di divisione e di scontro e che dovrebbe invece costituire luogo di analisi costruttiva in cui – confrontando le diverse soluzioni – si possano trovare quelle più conformi all’inte- resse generale della collettività. Avviare quel confronto che sino ad oggi è mancato sarebbe di grande aiuto per superare visioni astratte ed evitare soluzioni affrettate”. Ebbene sì, ha ragione Sergio Zavoli: “Di questi tempi non ci si salva uno alla volta, o ci si salva tutti o nessuno”. E la Giustizia è di tutti. MARIO FRESA Massimario della Corte di Cassazione DALL’UDIENZA DI PRIMA COMPARIZIONE ALL’AMMISSIONE DELLE PROVE: NELLA COLLABORAZIONE TRA GIUDICE E AVVOCATO IL SEGRETO DI UN PROCESSO PIÙ VELOCE L M “…e questo accade …quando è un giudice che si rende conto degli immensi vantaggi che ha un quarto d’ora di dialogo con le parti” (C. CONSOLO) 1. Un giorno il grande direttore d’orchestra Riccardo Muti tenne un concerto al Teatro S. Carlo di Napoli. Alla fine dello spettacolo, e sulla stampa del mattino seguente, con la veemenza che gli è propria Muti si lamentò che, dopo l’ultima nota, gran parte del pubblico aveva frettolosamente lasciato la sala. In linea teorica una giusta protesta: per assaporare le frasi musicali appena concluse, e comunque per ringraziare l’orchestra dell’impegno profuso era – ed è – auspicabile applaudire il più a lungo possibile (tenuto conto, ovviamente, della qualità dell’esecuzione). In pratica, una critica che ignorava le condizioni in cui viene a trovarsi il pubblico napoletano al termine degli spettacoli serali: parcheggi non ve ne sono, i taxi a quell’ora scarseggiano, gli autobus sono ridotti al lumicino. Con la conseguente necessità di fuggire dal Teatro, nel senso letterale del termine, per assicurarsi un mezzo di trasporto. Non c’entra nulla con le prassi virtuose, se non che l’episodio dimostra come i conti non possano farsi in astratto, bensì pren- dendo in considerazione le diverse realtà. E come molte città italiane a sera tardi non garantiscono un agevole rientro degli spettatori, così le condizioni della stragrande maggioranza dei nostri uffici giudiziari rendono vane le iniziative di magistrati, avvocati e personale ausiliario. Non dirò, allora, di idee irrealizzabili – opero in un tribunale in cui solo l’impegno straordinario di tutti consente di gestire il lavoro quotidiano – quanto piuttosto di piccole cose che consentirebbero di mettere su, giudici e difensori, la rappresentazione di un processo più logico. D’accordo con la dr.ssa Barreca e il prof. Costantino ho ritenuto opportuno ritagliare il mio spazio partendo da una constatazione (dal punto di vista dell’avvocato): certi tempi del processo post riforma, e certe prassi (dall’inutile passaggio all’udienza ex art. 180 c.p.c., all’inutilizzato, nella maggior parte dei casi, termine per le memorie dell’ultimo comma dell’art. 183 c.p.c.) sono entrati a far parte del nostro patrimonio genetico. E la prospettiva, per chi intraprende un giudizio di cognizione – o sta dalla parte di chi lo 7 subisce – è quella oramai consolidata di una partenza ritardata. Poi, quando finalmente si è incamminato, il giudizio subisce un processo di standardizzazione, nel senso che per il giudice troppo spesso le cause sono tutte uguali, fruiscono dei medesimi rinvii, vengono scarsamente filtrate quanto alle richieste istruttorie, sono distrattamente seguite nell’assunzione delle prove. Non è sempre così, per fortuna; è lecito, tuttavia, desiderare un processo in cui non solo l’avvocato chiami per nome la causa, conoscendone ogni aspetto, ma anche il giudice dia del tu alla controversia, assicurando a ciascuna questione una via per così dire individuale. Gli avvocati, si sa, hanno molto da fare, raramente si presentano preparati in udienza (quando non inviano propri collaboratori all’oscuro di tutto) e troppo spesso vanno di fretta. Bisogna convincerli, dunque, che il giudice conosce di ogni causa e ha un pensiero per ciascuna di esse; in altre parole, che si è riappropriato dei poteri di direzione del processo. Poteri il cui corretto ed equilibrato esercizio è, a mio parere, un momento della giurisdizione qualificante quanto (se non più di) quello della decisione (1). La mia proposta non è nel senso di un processo più veloce; la maggior parte delle cause finisce …in sentenza, e per quanto si possa aver percorso a passo spedito tutte le tappe, il giudice potrà pur sempre redigere un numero di decisioni limitato e, comunque, ridotto rispetto alle controversie che ha sul ruolo (2). Intendo dar voce, piuttosto, ad un modello di processo moderatamente lento, ma preparato, seguito, meditato in ogni suo momento da tutti gli interpreti (e nell’espressione comprendo anche il personale di cancelleria). A tal fine non mi perderò in laboriose distinzioni. Che all’udienza di prima comparizione una sola, o tutte le parti, manifestino l’intenzione di precisare le conclusioni, venga sollecitata l’immediata nomina del consulente d’ufficio, siano avanzate istanze di condanna 2. (1) Nella presentazione del protocollo romano, gentilmente trasmessomi dal prof. Costantino, Egli mi conferma nella convinzione, ribadendo come “non è chi non veda che l’efficienza del processo civile e la effettività della tutela giurisdizionale dipendono anche, se non soprattutto, dai provvedimenti ordinatori. I criteri di valutazione dell’economia processuale, inoltre, influiscono sulla concreta struttura del processo, che, a seconda dei criteri in concreto adottati, finisce con l’essere diverso da ufficio a ufficio, se non addirittura, da giudice a giudice”. (2) «E questo è il punto. Quelle venti o trenta cause che il giudice si era trovato a “gestire” in una sola ora del giorno di prima udienza e che nel tempo aveva portato avanti in parallelo diluendo equamente i tempi di trattazione di tutte, adesso si presentano contemporaneamente di fronte a lui. Ma questa volta non può più gestirle in parallelo e, soprattutto, non può dedicare loro pochi minuti. Ciascuna sentenza richiede tempo. Un tempo variabile in ragione della complessità della causa e della abilità del giudice. Ma in ogni caso un tempo enormemente superiore a quello che era stato necessario perché la causa entrasse nel suo ruolo e nella sua agenda», Zan, Fascicoli e tribunali, Bologna, 2003, 48-49. (3) ACIERNO, Gli strumenti e le prassi acceleratorie nel processo di cognizione e nei procedimenti sommari, Relazione al corso di studio del CSM “La durata ragionevole del processo civile”, 8 anticipata, richieste di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, può accadere, e sarà accaduto frequentemente (3). Più spesso, tuttavia, il giudizio segue per intero, fino alla foce delle conclusioni (4), il naturale alveo delineato dal legislatore. Rispetto al cui farraginoso disegno qualcosa sono certo si possa fare, almeno per evitare che le udienze svolte nell’ignoranza (bilaterale, del giudice e dell’avvocato) della causa, la richiesta di termini per ripetute memorie, verbali pieni di insignificanti impugna e insiste (5), l’espletamento di elefantiache prove (colpa dell’avvocato che non sa distinguere il necessario dal superfluo, ma anche del giudice che non filtra adeguatamente le istanze istruttorie), continuino a dar mostra di sé in un processo che si trascina quasi meccanicamente fino all’imbuto (6) della sentenza. E per consentire, altresì, di portare in decisione non tanto un ristretto numero di liti, quanto piuttosto, per ciascuna di esse, un limitato numero di questioni davvero controverse (7). 13-15 gennaio 2003, nota 1: «…l’anticipazione dei provvedimenti in oggetto all’udienza ex art. 180 c.p.c. evidenzia l’esigenza del giudice di “esprimersi” ed “orientare” il processo rispondendo a tutte le istanze delle parti alla luce della cognizione fondata sulla base dei fatti allegati mentre la soluzione contraria privilegia la necessità di lasciare alle parti la libertà di completare la discovery relativa all’allegazione dei fatti prima di assumere provvedimenti anche anticipatori a contenuto deliberativo». (4) Con la sentenza siamo nel mare aperto della “solitudine organizzativa del giudice”, ZAN, op. cit., 69. (5) Come sempre lucida è l’analisi di CIPRIANI, Per un nuovo processo civile, Foro it., 2001, V, 325: “I verbali delle udienze, sovente sgrammaticati e illeggibili, costituiscono un grosso problema sul quale non mi pare che si sia adeguatamente riflettuto. Essi sono la conseguenza della teoria (e della norma) per la quale la trattazione della causa deve essere orale. Ormai a verbale si dettano vere e proprie comparse, tanto che taluni avvocati si presentano in udienza con sette o otto pagine di verbale già scritto o, meglio, dattiloscritto. Bisogna far capire agli avvocati che devono scrivere comparse e non verbali”. (6) L’espressione è ancora di ZAN, op. cit., 49. (7) VIAZZI, La riforma del processo civile e alcune prassi giurisprudenziali in materia di prove: un nodo irrisolto, Foro it., 1994, V, 118, ricorda l’osservazione di Pivetti secondo cui “il so- È inutile dire – lo avete letto nel programma – che le riflessioni che vi sottopongo avvengono de iure condito. Non so se il nuovo è alle porte; quel che so, invece, è che non è inutile essere qui a discutere sul processo allo stato degli atti per evitare, ove il nuovo dovesse sopraggiungere, di cadere negli stessi errori e assecondare altre prassi distorte. Premesso che andrebbe incentivato l’utilizzo dell’art. 168 bis, ult. co., c.p.c. – la cui pratica disapplicazione è dovuta anche al fatto che in molti uffici giudiziari la disposizione è tenuta in nessun conto dalle cancellerie che, dopo la designazione e i conseguenziali adempimenti, omettono di trasmettere la causa all’istruttore (8) – muoviamo da un dato che possiamo considerare assodato. L’udienza di prima comparizione serve al giudice al più per effet- 3. tuare il ponderato smistamento delle cause fissando la vera udienza di merito, quella di trattazione, come se il giudizio iniziasse con ricorso. E ciò indipendentemente dall’intervento della S.C. – soltanto l’accordo delle parti o l’espressa rinunzia del convenuto costituito, consente di anticipare all’udienza ex art. 180 c.p.c. attività destinate a quella successiva (9) – perché se il convenuto è legittimato a ritenere che la trattazione della causa non inizi anteriormente alla seconda udienza, l’attore vivrà sonni tranquilli ché prima di quella data nulla può accadere; e il giudice dovrà impegnarsi solo in vista di una ordinata calendarizzazione delle successive udienze (10). Dobbiamo rassegnarci, insomma, alla considerazione che quel passaggio sia un momento ineludibile (11). Non dobbiamo rassegnarci al fatto che si tratti anche vraccarico certamente esiste ma esso deriva anche dal fatto che il giudice non conosce e non governa il processo perdendo a causa di ciò quelle occasioni (numerosissime e importantissime) di chiarimento, di semplificazione, di conciliazione, di scoraggiamento delle questioni inutili o pretestuose che una vigile e attiva presenza consentirebbe di utilizzare e, quindi, in definitiva, perdendo la possibilità di avere meno cause da decidere e (ciò che più conta) di avere cause costituenti il risultato di una razionale attività preparatoria e non la stratificazione di elementi che si sono affastellati disordinatamente e perfino casualmente”. (8) La constatazione è di TEDESCO, Organizzazione ed «agenda» del giudice; correttivi per abbreviare i tempi del processo; riflessioni sulla «specializzazione», Relazione al corso di studio del CSM “Ragionevole durata del processo civile”, 13-15 gennaio 2003, il quale sottolinea come il giudice dovrebbe differire quanto meno le udienze che sa di non poter tenere, perché ammesso a un corso di formazione oppure in ferie. (9) Cass. 24 maggio 2000 n. 6808, Foro it., 2000, I, 3163, annotata da CIVININI; Corr. giur., 2000, 1317, con commento di CONSOLO; Giust. civ., 2000, I, 229, con nota di SASSANI, La prima udienza di comparizione e il «diritto al termine» del convitato di pietra; Giur. it., 2001, 718, con nota di DIDONE, C’era una volta la Cassazione e la concessione del termine ex art. 180 c.p.c. al convenuto contumace, e SALETTI, Contumacia e prima udienza di trattazione: ovvero del diritto alla lentezza del processo; SANTANGELI, L’udienza di prima comparizione in una interpretazione della Suprema Corte (Considerazioni sul «precedente giudiziario»), Riv. dir. proc., 2001, 559; CAPELLI, Prima udienza di trattazione: un passaggio necessario, Riv. trim. dir. e proc. civ., 2001, 567. Peraltro Corte Cost. (ord.) 30 gennaio 2002 n. 3, Giur. it., 2002, 2247, con nota di POLISENO, L’art. 180, 2° comma c.p.c. di un momento inutile, poiché, eseguite le verifiche preliminari per le quali il giudice deve evidentemente essere a conoscenza della causa, qualcosa si può fare. Qualcos’altro, invece, si potrebbe provare a non fare. Sotto il primo profilo, all’esito dell’udienza ex art. 180 c.p.c. il giudice potrebbe inserire a verbale – quanto meno nelle cause in cui, già in partenza, non può presumersene l’inutilità – l’espresso invito alle parti a comparire personalmente a quella successiva, per un libero interrogatorio realmente voluto e debitamente programmato. I detrattori dell’istituto diranno che se poi le parti non intendono presentarsi, per propria scelta o per scelta dell’avvocato, ci sarà veramente poco da adoperarsi. Sennonché, da un lato, è manifesta la diversa portata, anche psicologica, dell’ordine del giudice; dall’altro, proprio perché questi fra dubbi di legittimità costituzionale e prospettive di riforma, ha dichiarato inammissibile la questione di illegittimità costituzionale della disposizione, sollevata quanto alla mancata previsione dell’onere per l’attore di notificare al contumace il verbale contenente il termine per proporre le eccezioni non rilevabili d’ufficio. Ricordo anche che, secondo Cass. 9.4.2001 n. 5262, Giut. civ., 2002, I, 3242, ove il giudice si limiti a rinviare la causa all’udienza di trattazione, il termine di cui al 2° comma dell’art. 180 c.p.c. deve intendersi fissato in misura pari a quella legale; mentre per Cass. 29.10.2001 n. 13414, Foro it., 2002, I, 2787, la mancata assegnazione del termine non produce nullità della sentenza di primo grado, sempre che tra le udienze di prima comparizione e di trattazione siano intercorsi almeno venti giorni. (10) Non è mia intenzione entrare nella disputa tra fautori dell’udienza a ora fissa, a gruppi di cause per ciascuna ora, ad adempimenti diversi (nell’ordine del codice) per ciascuna frazione di tempo. La raccolta di prassi dell’Associazione Nazionale Magistrati – punto 1.2. lett. c – suggerisce udienze per fasce orarie destinate alla trattazione delle diverse fasi processuali. Da un canto, però, sono convinto che le esigenze, e le attitudini organizzative, siano diverse da giudice a giudice; dall’altro, proprio perché ciascun giudice non può conoscere le udienze degli altri, dinanzi ai quali l’avvocato quel giorno è parimenti impegnato, mi faccio promotore di un atteggiamento, un po’ partenopeo, di tolleranza. (11) CHIARLONI, Giudice e parti nella fase introduttiva del processo civile di cognizione, Riv. trim. dir. e proc. civ., 1999, 390, “Se il giudice non è più in grado, prima di incontrare le parti, di conoscere l’altra metà dell’episodio della vita che è chiamato a giudicare, egli continuerà a sentirsi sollecitato a mantenere la comoda prassi di stare all’oscuro di tutto fino al momento dell’avvio della fase decisoria”. 9 ha espressamente dichiarato la necessità dell’interrogatorio, più facile sarà per lui trarre le conseguenze di una mancata comparizione che non potrà (salve le dovute eccezioni) non attribuirsi a consapevole decisione. All’udienza dell’art. 180 c.p.c., invece, non si dovrebbero concedere indiscriminatamente le memorie del 2° comma; a meno che, è ovvio, siano sorte questioni, dalla non facile soluzione orale, di integrità del contraddittorio, nullità della citazione, ecc. Contrastando, in tal modo, l’abitudine degli avvocati di voler fornire risposte immediate alle difese della controparte (è esperienza quotidiana che per alcuni difensori la dialettica nel giudizio diventa quasi un fatto privato). È vero, manca nella norma una stretta relazione tra verifiche e comparse; ma, probabilmente, perché si tratta dell’interpolazione nel nuovo testo dell’art. 180 c.p.c. della vecchia formulazione che, tuttavia, si riferiva all’intera trattazione della causa. “Rare volte un interrogatorio libero, condotto con impegno, omette di lasciar traccia sul restante corso della causa…”. L’osservazione 4. di Consolo (12), e l’auspicio della Associazione Nazionale Magistrati (al punto 1.2, lett. e, della raccolta di prassi) di un’effettività dell’interrogatorio non formale e del connesso tentativo di conciliazione (13), non possono che trovarmi d’accordo. Alcuni anni fa diedi inizio al mio intervento a uno dei corsi di formazione del CSM (14) narrando di un giudice che, all’attrice seduta per il libero interrogatorio, aveva domandato se avesse qualcosa da dichiarare. E di uno spiritoso avvocato che aveva risposto Non siamo alla dogana! Lei, signor giudice, ha qualcosa da chiedere? Ne deducevo che eravamo in presenza di uno strumento poco conosciuto o, più semplicemente, non adeguatamente utilizzato, e ciò anche per motivi non strettamente processuali (eccessivo carico dei ruoli di udienza, difensori che temono di vedere rovinare faticose costruzioni giuridiche per mano del proprio assistito). Invece, se la natura della causa lo consente è certo che ci troviamo di fronte a un momento particolarmente importante dell’udienza di trattazione. Né bisogna cedere alla tentazione di considerare la conciliazione (12) CONSOLO, La trattazione nella fase introduttiva del processo: un primo bilancio nel (semi-)decennale, Giur. it., 2001, 1072. (13) “…previa adeguata preparazione sull’oggetto della causa e predeterminazione di uno spazio di tempo adeguato per tali incombenti, tenendo conto della complessità della controversia e del numero delle parti; svolgimento dell’interrogatorio solo alla presenza delle parti, dei loro procuratori generali o speciali e dei rispettivi difensori; verbalizzazione delle dichiarazioni in modo da far emergere se le stesse siano state rese a domanda del giudice o spontaneamente dalla parte (ai fini della loro eventuale efficacia confessoria) nonché i punti di convergenza e di divergenza delle parti (onde circoscrivere il thema probandum)…”. (14) La relazione, L’interrogatorio della parte: interrogatorio libero e interrogatorio formale, è pubblicata in Giur. merito, 2002, 1107. (15) L’affermazione ha ottenuto l’avallo di Cass., Sez. un., 23 gennaio 2002 n. 761 (la si legga, insieme a Cass. 17 aprile 2002 n. 5526, Cass. 2 aprile 2002 n. 4685, Trib. Foggia 7 maggio 2002, 10 un’eventualità poco frequente: anche quando fuori del giudizio abbiano manifestato indisponibilità, le parti possono mutare atteggiamento proprio al cospetto di un soggetto, rivestito dell’autorità del giudice, che riprenda il filo delle trattative, eventualmente limando le intese raggiunte o promuovendone di nuove. A questo punto delle due l’una: o il giudice sarà riuscito a eliminare la causa dal proprio ruolo, ovvero avrà fatto aprire le parti sul giudizio, sui fatti, sulle domande, con la certezza di un benefico effetto quanto al prosieguo della lite. È sufficientemente noto, infatti, che le circostanze non contestate sono quelle la cui esistenza non viene messa in dubbio dalla controparte e che, conseguentemente, non hanno necessità di essere dimostrate da colui che le ha allegate e intende giovarsene (15). Ove, pertanto, al libero interrogatorio le parti si presentino, rispetto alle allegazioni e deduzioni di ciascuna di esse, in una collocazione per così dire neutra, la momentanea irrilevanza probatoria delle rispettive prospettazioni potrà rimuoversi proprio per effetto delle domande loro informalmente rivolte dal giudice (16). E di una mirata verbaliz- in Foro it., 2002, I, 2017, con nota di CEA, Il principio di non contestazione al vaglio delle sezioni unite; nonché in Corr. giur., 2003, 1342, annotata da FABIANI, Il valore probatorio della non contestazione del fatto allegato). La Corte, nell’evidenziare che le dichiarazioni delle parti, rese in sede di libero interrogatorio, su fatti conosciuti solo da esse e non contraddetti da contrari elementi probatori, possono rappresentare fonte unica del convincimento del giudice, ha confermato “il principio a mente del quale la prova è irrilevante ove abbia ad oggetto fatti pacifici per essere stati ammessi dalla parte e per avere la parte interessata basato il suo sistema difensivo su argomenti logicamente incompatibili con il loro disconoscimento”. Il ragionamento, formulato quanto all’interrogatorio ex art. 420 c.p.c., considerato doveroso a differenza di quello prescritto dall’art. 117 c.p.c. come mera facoltà che il giudice può esercitare in ogni momento, può ovviamente estendersi all’interrogatorio dell’udienza di trattazione solo se gli si conferisce il medesimo carattere di obbligatorietà. (16) Formulate le quali può accadere che: A) una delle due parti, non indotta dal giudice, affermi come vero un fatto a sé sfa- zazione, eseguita in modo da far emergere le questioni non controverse (sotto il duplice profilo delle affermazioni che, senza specifica sollecitazione del giudice, possono generare confessione, e delle risposte che, dando luogo ad ammissione o non contestazione, consentono solo – ma è già tanto – di eliminare i fatti ammessi e non contestati dal thema probandum). Per quanti sforzi si possano fare al fine di evitare attività processuali superflue, è esperienza comune che una non sia proprio eliminabile. Mi riferisco all’obbligatoria concessione – ove richiesti – dei termini per le memorie dell’ultimo comma dell’art. 183 c.p.c. Tutti sappiamo, però, che nella maggior parte dei casi l’avvocato vuole soltanto riservarsi un momento di riflessione e, anzi, talvolta si avvale di quella facoltà con finalità dilatorie. Di regola, infatti, quei termini o non sono utilizzati (specie quello per le repliche), oppure lo sono a sproposito (con memorie che, se non fanno altro che ribadire concetti già espressi, contengono un mero elenco di precedenti giurisprudenziali). 5. Se, quindi, proprio non si è riusciti a convincere i difensori ad avvalersi dell’ultima parte del dell’art. 183, 4° comma, c.p.c., precisando e modificando in udienza, allora l’uso accorto (17) dei termini può servire a scoraggiare richieste pretestuose. Ancor più, potrebbe tornare utile darne atto nella sentenza (e tenerne conto nella liquidazione delle spese): segnalo Trib. Bologna 30.9.2003 (18) che conclude lo svolgimento del processo affermando: “nel corso dell’udienza ex art. 183 il tentativo di conciliazione non poteva essere esperito per la mancata comparizione personale dei contendenti; i difensori chiedevano, quindi, termini per il deposito di memorie ex art. 183, 5° comma, c.p.c. (atti in cui, nella sostanza, venivano ribadite le precedenti argomentazioni)”. Si trattava di una complessa pronuncia in tema di validità del cd. trust interno, cui è logicamente conseguita la compensazione delle spese; in altri casi, però, una tale affermazione può (a quei fini di scoraggiamento) essere collegata quanto meno al mancato riconoscimento, esplicitato in decisione, delle competenze per un’attività a dir poco sovrabbondante. vorevole e favorevole all’altra. Ad onta dell’art. 229 c.p.c., per il quale la confessione spontanea può essere contenuta in qualsiasi atto processuale firmato dalla parte personalmente salvo il caso dell’art. 117, la giurisprudenza ritiene che, nelle cause relative a diritti disponibili, una volta sottoscritto il verbale si abbia vera e propria confessione; B) indotta dal giudice, una parte compia un’ammissione, confermando, cioè, la verità di un fatto a sé svantaggioso e vantaggioso per l’avversario; tale comportamento non può costituire confessione, oltre che per il dato normativo appena veduto, perché le risposte alle domande avanzate in sede di libero interrogatorio non possono essere equiparate ad una dichiarazione provocata mediante interrogatorio formale (art. 228 c.p.c.); C) invitata dal giudice a prendere posizione sui fatti allegati da una parte, l’altra non li neghi, dando luogo al fenomeno della non contestazione, che a ben vedere si configura come un’ammissione implicita. In queste ultime due ipotesi, per quanto venga solitamente operata una netta distinzione tra ammissione e non contestazione (quest’ultima definendosi essenzialmente quale comportamento omissivo, a differenza della prima che si sostanzierebbe sempre in affermazioni espresse), gli effetti che ne conseguono sono identici e consi- Quanto, poi, ai termini dell’art. 184 c.p.c., mi sembra che non sia opportuno cumularli con quelli destinati all’ultimativa definizione del thema decidendum; se scansione deve esserci è giusto che tra le diverse fasi non si crei sovrapposizione. Né sulla questione ha portato qualcosa di nuovo l’interpretazione della Cassazione (19). La facoltà di chiedere le memorie istruttorie deve essere esercitata all’udienza di trattazione (o nella sua appendice scritta), ma nulla impedisce al giudice (e, tantomeno, può conseguirne una qualche forma di nullità) di cadenzare le memorie istruttorie “numero uno e numero due” (20) fissando per l’ammissione dei mezzi l’apposita udienza. In vista della quale il tema della prova dovrebbe essere preventivamente approfondito al fine di evitare il sistema della riserva, che oltre a non essere in linea con le intenzioni del legislatore della novella, provoca in questa fase, come in poche altre, un notevole scompenso dei tempi processuali. Decidere in udienza, e concordare con gli avvocati, la data della comparizione del consulente di ufficio o quella del- stono nel porre i fatti ammessi o non contestati al di fuori del thema probandum: né i fatti esplicitamente ammessi né i fatti non contestati hanno bisogno di essere provati. (17) Ma non punitivo. Ché se l’avvocato davvero deve precisare o modificare, concedergli cinque giorni, più altri cinque per le repliche, vuol dire incidere eccessivamente sul diritto di difesa. In realtà, i trenta più trenta giorni della disposizione non produrrebbero grave danno se il giudice potesse tenere l’udienza allo scadere del sessantesimo giorno. Mi rendo conto che questo non sempre è possibile, ma occorrerebbe prendere atto che quell’udienza, di norma, sarà di scarsissimo impegno per il giudice che dovrà limitarsi a concedere i termini per le memorie istruttorie. (18) Guida al diritto, 22 novembre 2003, n. 45. (19) Cass. 25 novembre 2002, n. 16571, Corr. giur., 2003, 447, al quale rimando anche per il perspicuo commento di D’ASCOLA, L’inquietudine della Cassazione sulle preclusioni istruttorie. (20) Secondo la felice definizione di CONSOLO, La trattazione, cit., 1070. 11 l’escussione dei testimoni, o addirittura, programmare due o tre udienze in sequenza, permette se non altro di evitare un prolungamento del giudizio dovuto ai concomitanti impegni dei legali (21). Il tema della prova mi induce a due brevi osservazioni, prima di una riflessione conclusiva. Le prove si articolano secondo regole predeterminate che, ovviamente, non sono qui a ricordare. Quelle regole, però, valgono per tutti; per gli avvocati che, ad esempio, devono formulare la testimonianza per capitoli specifici, aventi ad oggetto fatti dedotti al positivo. Per il giudice, che deve effettuare un penetrante controllo sulla prova, onde vagliarne non solo la rilevanza, ma anche e soprattutto l’ammissibilità alla luce delle norme del codice (22). Le quali, finché esistono, devono essere rispettate, perché ammettere indistintamente ogni prova – comportamento che può anche essere diretto a non pregiudicare la parte il cui difensore dimentica le regole poste a presidio di una corretta formulazione – finisce col 6. danneggiare quella il cui avvocato alle regole si è strettamente attenuto. E danneggia il giudice, che al momento della decisione si troverà a fronteggiare decine di pagine malamente scritte (23) e piene di riferimenti a circostanze non utili ai fini del decidere. Espletate le prove, poi, sarebbe opportuno far desistere gli avvocati dalla richiesta di rinvio per l’esame. Piuttosto, quanto alla consulenza tecnica, all’atto del conferimento dell’incarico il giudice potrebbe fissare il termine per il deposito della relazione, quello entro il quale le parti devono produrre proprie deduzioni, un nuovo termine al consulente per chiarimenti, l’udienza in cui, finalmente, l’intero campionario di notazioni tecniche è stato messo a nudo. Certo se l’ausiliare non deposita nel primo termine, quelli successivi saltano; si tratterebbe, però, di valorizzare soltanto i periti puntuali e, soprattutto, di evitare la finzione per cui il consulente ha un termine (60, 90, 120 giorni), ma, visto che l’udienza è fissata a data successiva, deposita soltanto pochi giorni prima di questa. (21) Può essere difficile dar corso in udienza, in cause anche molto complesse, alle istanze delle parti. Qui, tuttavia, mi riferisco a una riserva per così dire preventiva, nel senso che il giudice, se prima dell’udienza avrà già chiara la situazione probatoria, potrà adeguatamente far fronte anche a situazioni impreviste. In ogni caso non intendo censurare il sistema della riserva, ma, dal punto di vista dell’avvocato, far notare che, quando il giudice se ne avvale, è poi necessario rimanere in attesa della comunicazione della cancelleria e, una volta ricevuta, verificare le udienze del giorno fissato per la prova sperando che, a quell’ora, vi sia uno spazio vuoto da dedicare alla causa. Se, invece, il giudice fissa la nuova udienza alla presenza dei difensori tutto ciò non si verifica. Una soluzione di compromesso, che salvaguarderebbe le esigenze di tutti, sarebbe quella di rinviare l’udienza a breve e di sciogliere la riserva alla nuova udienza. (22) BARRECA, Gli strumenti e le prassi acceleratorie nel processo di cognizione, Relazione al corso di studio del CSM, “La durata ragionevole del processo civile”, 13-15 gennaio 2003: “La prassi che andrebbe assolutamente evitata, in ossequio al canone ermeneutica tratto dall’art. 111 Cost., è quella …di ammet- 12 Sul punto le prassi dell’Associazione Nazionale Magistrati comprendono (1.2, lett. m) la possibilità di affidare alle parti una bozza di elaborato che, dopo i loro rilievi, prenderà forma definitiva. A prescindere dalla difficoltà di intendere il concetto di bozza, mi sembra preferibile fissare più a lungo la nuova udienza e consentire, attraverso il deposito in cancelleria, lo scambio organizzato con l’ordinanza di conferimento dell’incarico. Un unico filo lega le mie riflessioni. Ha un senso ordinare la comparizione delle parti già dall’udienza dell’art. 180 c.p.c., si potrà svolgere un proficuo libero interrogatorio in quella di trattazione (per non parlare delle altre attività previste dall’art. 183 c.p.c.), tentare la conciliazione, distinguere le questioni ancora controverse, ammettere le prove senza riservarsi, solo se le udienze smetteranno di essere quei momenti di distribuzione – di termini e di memorie – quali sono diventate oggi. Per far ciò, tuttavia, l’attento giudice non basta; è necessario che gli si contrapponga l’attento avvocato, perfettamente consa- 7. tere le prove senza alcun vaglio preventivo della loro (ammissibilità e) rilevanza: è del tutto evidente che lo svolgimento di un’attività probatoria inutile determina altrettanto ingiustificate (ed ingiustificabili) lungaggini processuali”. (23) Il problema della verbalizzazione, a penna da parte degli avvocati, a penna ad opera del giudice che vi inserisce una versione filtrata delle richieste dei legali (art. 84, 4° comma, disp. att. c.p.c., Le parti e i loro difensori all’udienza non possono dettare le loro deduzioni nel processo verbale se non ne sono autorizzati dal giudice), al computer dal giudice che trascrive in diretta le istanze dei difensori, meriterebbe più ampia trattazione. Allo stato non riesco ad appassionarmi al verbale redatto dal giudice su PC. Si tratta, almeno presso il Tribunale di Napoli, di un evento non ancora frequente, ma ricordo che in occasione di un interrogatorio libero non sapevo se rivolgere la mia attenzione alle domande da formulare e alle risposte date, oppure controllare quanto il giudice trascriveva sul suo computer. Talvolta, si sa, basta un’espressione in più o in meno per cambiare il senso di intere frasi, e la successiva lettura del verbale spesso non consente di risalire a tutte le affermazioni della parte o del testimone. pevole del giudizio e del suo stato (24). Diviene fondamentale, insomma, un continuo dialogo tra i protagonisti del processo, ed è indispensabile che il giudice a ogni udienza non rinvii ad altra scelta solo perché il foglio del ruolo è più bianco, ma fissi la nuova data d’accordo col difensore che, consapevole dei propri impegni, assi- curi la partecipazione sua o di altro legale in grado di gestire la causa. Ciò che – e lo dico da avvocato – mal sopporto, è quel presentarsi affannato di colleghi, spesse volte mandati da altri colleghi, che nulla sanno e nulla sanno dire, non essendo in grado di interloquire con l’altra parte e col giudice (25). (24) In realtà, i termini sono più interdipendenti di quanto possa pensarsi; gli avvocati, infatti, parametrano la loro attenzione su quella del giudice, disinteressandosi delle cause di cui quest’ultimo, in udienza, si disinteressa. (25) L’abitudine mi sembra che abbia ricevuto istituzionalizzazione dal servizio che un Sindacato Forense mette a disposizione dei propri soci. Il cui regolamento offre la possibilità L’avvocatura, è vero, tende a gestire il maggior numero possibile di processi; ma non mi sembra che le faccia onore l’offerta di un servizio di delega processuale che di recente mi è capitato di leggere su un manifesto affisso in un tribunale campano. C’era scritto: l’udienza via fax! LELIO DELLA PIETRA Avvocato agli iscritti di reperire, in caso di necessità, un collega affidabile cui delegare la rappresentanza alle udienze alle quali si sarebbe impossibilitati a prendere parte. Il servizio, esattamente disciplinato quanto alla richiesta (da avanzarsi nelle 48 ore precedenti), alla modulistica, ai diritti da corrispondere al delegato, difetta in un punto: non prevede affatto che il sostituto sia messo a conoscenza del processo al quale viene inviato a partecipare. 13 L M CONSIDERAZIONI MINIME SULLA GIUSTIZIA CIVILE TRA PROBLEMI DELL’ORGANIZZAZIONE E RIFORME PROCESSUALI (*) R itengo di dover iniziare questo mio intervento leggendo un verbale di mancato (rectius, omesso) pignoramento di un Ufficiale Giudiziario di Verona, che mi è stato trasmesso nei giorni scorsi da un avvocato: «Si restituisce l’atto inevaso, significando che non è stato possibile procedere esecutivamente per grave carenza di personale: su 16 Ufficiali Giudiziari addetti alle esecuzioni previsti dalla pianta organica, ne prestano servizio – di fatto – solo 5, di cui uno in part time al 50%. // A tali ufficiali giudiziari superstiti, inoltre, è stato affidato il compito di seguire le esecuzioni anche nel territorio circoscrizionale del Tribunale di Legnago, ove non è in servizio nessuno dei 4 uff. giud. previsti. // Abbiamo informato della gravità della questione tutti gli uffici gerarchicamente superiori ed abbiamo chiesto al sig. Ministro ed al sig. Presidente della Corte una rapida soluzione del problema ma, sinora, senza alcun riscontro. // Siamo consapevoli che lo stato di dissesto penalizza soprattutto i sigg. Avvocati ed, in genere, gli utenti della Giustizia. Siamo altrettanto consapevoli, però, che il nostro impegno, in questo momento, è altissimo. // Confidiamo, perciò, nella Sua comprensione e, se possibile, in un Suo intervento presso tutti coloro che potrebbero risolvere il problema. // (omissis) // Veramente rammaricati per la situazione creatisi e per il disagio che la stessa sta causandoLe, restiamo a disposizione per eventuali ed ulteriori chiarimenti.». La denuncia di questa situazione fa, come si suol dire, pendant con una serie di disfunzioni esistenti nel tribunale di Milano, presso cui esercito la mia professione. In merito a queste disfunzioni sono state fatte dall’associazione forense a cui sono iscritto (Nuova Professione Avvocato) alcune denunce (al Ministro, ai responsabili degli uffici, ecc.), l’ultima in data 31 marzo 2003, rimasta senza riscontro. Sintetizzo il contenuto della lettera. Si diceva che è inaccettabile che in un Tribunale come quello di Milano una richiesta di decreto ingiuntivo non possa essere soddisfatta in meno di 45 giorni; che, successivamente, per l’apposizione della formula esecutiva ai sensi dell’art. 647 c.p.c. siano necessari circa 6/7 mesi (1); (*) Lo scritto riproduce l’intervento dell’A. al convegno nazionale dell’A.N.M. sul tema “Processo ed organizzazione” (Roma, 12-13 dicembre 2003). (1) Fortunatamente, dopo Corte cost. 6 dicembre 2002, n. 522, in Corriere Giuridico 2003, 3, 310 con mia nota, non è più necessario, per poter disporre del titolo esecutivo, il previo pagamento dell’imposta di registro, che comportava ulteriori ritardi. 14 che nei procedimenti di espropriazione immobiliare tra il deposito della documentazione ipo-catastale, nei termini perentori di cui all’art. 567 c.p.c. novellato, e la fissazione dell’udienza ex art. 569 c.p.c. passino non meno di 18-20 mesi, ma molto spesso anche tre anni. itornando al procedimento monitorio, sono in grado di documentare che a fronte dell’emissione del decreto da parte del giudice in una certa data, il timbro di deposito in cancelleria è stato apposto anche tre mesi dopo (nello specifico: 3 giugno 2003-8 settembre 2003) e, al di fuori del periodo feriale, comunque in periodo variabile tra i 30 ed i 60 giorni. Non sto parlando di casi eccezionali: ed è ovvio che la verifica può effettuarsi soltanto laddove il magistrato abbia avuto cura di apporre la data in cui ha sottoscritto il provvedimento, non lasciando che essa sia determinata esclusivamente dal timbro del deposito apposto dalla cancelleria. Poiché escludo che i magistrati si tengano in un cassetto un provvedimento dopo averlo sottoscritto, penso che ogni commento sulle disfunzioni della cancelleria sia superfluo. Indubbiamente a Milano si risente fortemente in questo settore della situazione che già c’era in Pretura prima dell’entrata in vigore della legge sul giudice unico. R Comunque, pensate lo stato d’animo del creditore che dopo aver atteso tutto questo tempo (minimo una decina di mesi a conti fatti (2)) per la formazione di un titolo esecutivo – con buona pace dei tempi previsti dalle direttive comunitarie – si vede poi negata anche l’esecuzione, come abbiamo visto poco fa essere avvenuto in quel di Verona! Sono solo alcuni casi di disfunzioni: ma potrei continuare, ad esempio dicendo che le comunicazioni di cancelleria relative ai depositi di sentenza sono in gravissimo ritardo: a tutt’oggi non ho ricevuto avvisi di depositi di sentenza che, a seguito di ricerche in cancelleria, ho verificato essere avvenuti il 1° ottobre 2003. E questa situazione si trascina da mesi e riguarda qualsiasi comunicazione. Ancora: quando il giudice dell’esecuzione scioglie una riserva, noi avvocati non siamo in grado di reperire il fascicolo in cancelleria per circa un mese e mezzo. I termini contemplati dall’art. 168 bis c.p.c. sono di fatto disapplicati e non raramente il fascicolo d’ufficio è reperibile secondo quel che dovrebbe essere la normalità (cioè, nella cancelleria del giudice, senza dover affrontare ricerche onerose e, direi, polverose) solo nell’imminenza della scadenza del termine dei venti giorni precedenti la prima udienza fissata dall’attore, se non dopo, talché, se il G.I. non ha provveduto ai sensi dell’ultimo com- (2) Ed infatti: 45 giorni di tempo per avere il decreto (ma in taluni casi i giorni sono molti, ma molti di più, come si è visto), a cui si aggiungono i termini per la notificazione (diciamo, per comodità, 5 giorni), i termini per l’opposizione (40 giorni), i termini per l’apposizione della formula (6-7 mesi). (3) Mi è capitato qualche anno fa di volermi costituire, per proporre riconvenzionale e contestuale istanza di provvedimento cautelare, ben prima dei venti giorni precedenti la prima udienza (come ho detto, dovevo discutere un provvedimento d’urgenza) e circa una quindicina di giorni dopo la scadenza del termine per l’attore per iscrivere la causa a ruolo. Mi fu richiesto dal cancelliere, al fine di portare la causa al Presidente del ma del predetto art. 168 bis c.p.c. al differimento della prima udienza (con slittamento che, peraltro, talvolta va ben al di là dei 45 giorni previsti dalla norma: il che costituisce un altro problema), si rischia di pregiudicare riconvenzionali (3) e chiamate di terzo. La risposta che si suol dare a fronte delle contestazioni che vengono mosse è sempre la stessa: la causa è nella carenza di personale. on ho motivo per dubitarne. Ma, in ogni caso, delle due l’una: o effettivamente la causa è questa, ed allora occorrerà che il Governo si attivi e subito, senza ulteriori indugi, che sono intollerabili in un Paese europeo; o la causa è nell’incapacità dei singoli dirigenti, che andranno allora rimossi. Da anni, ogni volta che mi occupo di questi temi, ricordo che, come ho appena detto, siamo un Paese europeo, siamo una potenza industriale (forse un po’ in declino…). Non è possibile tollerare questa situazione, poiché essa pregiudica l’economia, con buona pace di tutti i discorsi (sui quali ho dei forti dubbi - ma qui non rileva) sulla logica ottimale dei mercati. Per dirla col professor Normand dell’Università di Reims: «Non si può avere una vera concorrenza sul mercato interno [europeo - n.d.r.] se i soggetti economici non sono in una situazione di parità almeno approssi- N Tribunale per la designazione del giudice istruttore, un’«istanza di immediata iscrizione a ruolo» (ovviamente in bollo!). È superfluo ogni commento! Devo, tuttavia, dare atto che dopo che denunciai il fatto in occasione di un convegno [mi riferisco al convegno Giustizia e riforme - quale politica per il personale, quali strutture nella Giustizia che cambia - Milano 18 maggio 1998. Il testo della mia relazione, col titolo Brevi note sul rapporto tra giustizia e burocrazia (e circa il primato del pubblico sul privato), è pubblicato in La rivista del Consiglio (dell’Ordine degli Avvocati di Milano), fasc. n. 3 del 1998, pagg. 89 e segg.] a cui partecipò anche il direttore generale del Ministero della Giustizia dell’epoca (maggio 1998) non si sono più avute richieste simili. 15 mativa rispetto agli oneri che gravano su di essi. Ciò che vale per gli oneri fiscali e sociali non è meno valido per gli oneri giudiziali. Coloro che devono sopportare il peso di un sistema giudiziario più pesante, più lento, più oneroso di altri sono doppiamente penalizzati nella competizione intra-comunitaria. Lo sono, innanzi tutto, per il carico che rappresentano questi costi giudiziari tra le loro spese generali. Rischiano di essere danneggiati nella competizione internazionale a causa della pubblicità negativa che su di loro riflette la reputazione del processo nel loro paese e le complicazioni senza fine che esso permette quando sorge una controversia tra le parti» (4) [il corsivo è mio]. Aggiungo che le conseguenze non sono soltanto queste: la sfiducia nell’amministrazione della giustizia ha un’altra conseguenza, ancor più devastante sulla vita sociale; il bisogno di giustizia non ammette vuoti e laddove un vuoto si verifica viene riempito. E se lo Stato abdica, lo sappiamo, vi sono altre autorità – non legittime – che sono pronte a «surrogarlo». Né, visto i tempi che viviamo, sarà il caso di esaltare le misure alternative. Non esaltiamo gli arbitrati: non sono alla portata di tutti (5) … e comunque, poi, vi è sempre la necessità che qualcuno ne assicuri l’autorità sul piano esecutivo. Come dire? … Verona docet! Non confidiamo tanto nei tentativi obbligatori di conciliazione: sono uno dei possibili strumenti di intervento, non costituiscono la soluzione, a prescindere dal fatto che culturalmente non hanno fatto ancora presa. • • • on entro nel merito dei tempi di scioglimento di riserva. Non ho i dati relativi ai carichi di ruolo per verificare se si giustifichino, in alcuni casi, ritardi di mesi. Intendiamoci: non è che qui ci si dolga del mancato rispetto del termine di cinque giorni previsto dall’art. 186 c.p.c., che in certi casi sarebbe umanamente impossibile rispettare; tuttavia – con tutta la comprensione possibile – riesce difficile giustificare scioglimenti di riserva a distanza di sei mesi su meno di una decina di capitoli di prova, già discussi in udienza e con una riserva assunta per dichiarato scrupolo. Certamente, se una riserva ha questi tempi, è difficile poi che i tempi del processo siano contenuti nell’ambito di un triennio. Il problema è che certi ritardi finiscono per avere una cassa di risonanza maggiore rispetto ai casi di ordinario, buon andamento Analogo discorso si può porre purtroppo in relazione ai tempi di pubblicazione delle sentenze, anche se qui, in concreto possono intervenire nuovamente fattori di inefficienze delle cancellerie. Ricordo sempre – ma è un fatto molto risalente – il caso di un giudice che aveva scritto la sentenza negli otto giorni successivi alla discussione collegiale, ma la minuta giacque in cancelleria nove mesi (una gestazione …) perché non c’era nessuno che la potesse battere a macchina. Il nuovo rito introdotto dalla leg- N (4) NORMAND J., Il ravvicinamento delle procedure civili in Europa, in Riv. dir. proc. 1998, 682 e segg. (5) Cfr. sul punto le acute osservazioni e le forti perplessità manifestate da VERDE G., Sul monopolio dello Stato in tema di giurisdizione, in Riv. dir. proc. 2003, 371 e segg., spec. 382 e segg. 16 ge 353 del 1990 ha portato indubbiamente ad una riduzione dei tempi processuali. Tuttavia solo tra qualche anno potremo davvero fare delle verifiche sulla tenuta di questi tempi. Non dimentichiamo, infatti, che le cause di vecchio rito sono state assegnate ai G.O.A. e, quindi, l’arretrato, cumulatosi al 30 aprile 1995, non è venuto a pesare sull’organico effettivo dei giudici togati se non per un periodo limitato. Certo è che nelle Corti d’appello – ove non vi è stato per lo smaltimento dell’arretrato cumulatosi per le cause di vecchio rito l’ausilio di magistrati onorari – la situazione che viene segnalata è particolarmente grave. Noi abbiamo a Milano la fissazione di prime udienze, per cause che vengono svolte col rito locatizio, a distanza di oltre un anno e mezzo dal deposito del ricorso. Nelle cause di rito ordinario, invece, è l’udienza di precisazione delle conclusioni che viene fissata a tale distanza di tempo. Mi consta che presso altre Corti d’appello la situazione sia ancor più grave. Né ci si può confortare di questa situazione assumendo che nel frattempo vi è un titolo esecutivo formatosi in primo grado. A parte il fatto che, come è noto, l’orientamento dominante in dottrina ed in giurisprudenza è nel senso che le sentenze costitutive e di mero accertamento non sono provvisoriamente esecutive neppure quanto ai capi condannatori connessi (6), va da sé che non è affatto detto che chi è soccombente in primo grado lo sia a ragion veduta (l’errore giudiziario è (6) Cfr. sul punto in giurisprudenza Cass. 12 luglio 2000, n. 9236, in Corriere Giuridico 2000, 12, 1599 con nota parzialmente critica di CONSOLO C., Una non condivisibile conseguenza (la non esecutorietà del capo sulle spese) di una premessa fondata (la non esecutorietà delle statuizioni di accertamento). In dottrina vedi TARZIA G., Lineamenti del processo civile di cognizione, Milano 2002, 252. una realtà!), mentre l’interpretazione del disposto dell’art. 283 c.p.c. appare ispirato davvero a criteri eccessivamente ristretti (7). • • • ono quasi 22 anni che esercito la professione di avvocato e sono sempre più persuaso che potremo ritoccare quanto vogliamo le norme processuali, ma i problemi sono altri. In altri termini: non metto in dubbio che nelle pieghe della legge si possano trovare dei cavilli per ritardare il processo. Oggi, tuttavia, il giudice ha molti più strumenti di ieri per impedire i rinvii a vuoto e manovre defatigatorie. Non nego, peraltro, che si possa intervenire ancora, ad esempio, sulle norme relative alla fase di prima comparizione (ed in tal senso mi sembra condivisibile quanto previsto dal disegno di legge in discussione al Senato), su quelle che regolano con una certa rigidità il rapporto di strumentalità tra processo cautelare e processo di merito (ed anche in tal senso mi sembra condivisibile la ratio sottesa alla riforma dell’art. 669-octies c.p.c., prevista dal predetto disegno di legge - qualche dubbio l’ho sul tenore letterale della norma (8)). Le perplessità nascono dal fatto S che immancabilmente quando si hanno strumenti legislativi a disposizione, pare che molti operatori del diritto, avvocati e magistrati, facciano a gara per limitarne la portata. È il caso dell’ordinanza ex art. 186-quater c.p.c.. Un amico magistrato, mi riferisco a Carlo Verardi, mi disse una volta che magistrati ed avvocati facevano a gara per impedirne l’operatività. Ed io condivido questa affermazione. Non solo, o, se si vuole, non tanto per il fatto che essa sia ritenuta inapplicabile alle azioni costitutive (9) (soluzione che non condivido, come non la condivido per l’ordinanza ex art. 186-ter (10)), quanto per il fatto che si rinvengono massime che ne escludono l’applicabilità nelle ipotesi di responsabilità aquiliana (11), mentre vengono segnalati tempi di fissazione della discussione dell’istanza che ben poco hanno a che vedere con la natura di provvedimento anticipatorio. A proposito di tempi per la pronuncia di provvedimenti a contenuto anticipatorio, subito dopo l’entrata in vigore del nuovo rito si pose un problema in relazione alla provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo. È noto che alcuni giudici ritenevano di poter disporre subito sull’istanza di sospensione della (7) Cfr. sul punto cfr. App. Milano, 18 dicembre 1996, in Questione Giustizia 1997, 1, 236 con nota di RORDORF R. Sul fumus boni iuris per la sospensione della sentenza di primo grado v. CONSOLO C., Commentario alla riforma del processo civile, Art. 283, Milano 1996, 275 e segg. per il quale «colui che chiede l’inibitoria (...) dovrà certamente dimostrare la pesantezza delle ripercussioni sulla sua sfera patrimoniale che si avrebbero in caso di adempimento coattivo del debito (...). Tuttavia una inibitoria, anche solo parziale (...) non potrà essere concessa se il giudice di appello, dalla lettura dell’atto di citazione anche alla luce della comparsa di risposta dell’appellato, non trarrà la consapevolezza che la sentenza esecutiva rischia effettivamente di dover venire riformata almeno in parte ... » (p. 277). E conclude: «se il danno fattuale è assai notevole il fumus boni iuris dell’appello può bastare; se invece il danno è rilevante ma contenuto la inibitoria postulerà una elevata probabilità che la decisione appellata possa venire riformata». Sul punto mi permetto di richiamare altresì le considerazioni che ho svolto nel mio La nozione di irreparabilità nella tutela d’urgenza provvisoria esecuzione ai sensi dell’art. 649 c.p.c., mentre assumevano di non poter discutere prima dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. l’istanza ex art. 648 c.p.c., sull’evidente presupposto che pagare ciò che non si deve è più grave che non ricevere ciò che si ha diritto di ricevere. Penso che in realtà le due fattispecie siano il rovescio della stessa medaglia e perciò ogni distinzione sul piano del trattamento processuale sia errato. Né vale dire che occorre aspettare che l’opponente possa formulare ulteriori eccezioni con la memoria difensiva che può depositare venti giorni prima dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., contenente eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio: poiché sarebbe come dire che nel vecchio rito non si sarebbe potuto discutere l’istanza di provvisoria esecuzione prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni, atteso che eccezioni potevano essere dedotte fino a tale udienza (12). Siamo in presenza di una misura sommaria, fondata su una predeterminazione di un periculum connesso col ritardo effettuata a monte dal legislatore: non vi è spazio per tollerare ritardi nella discussione, se non in via eccezionale. Mutatis mutandis ciò non può del diritto di credito, in Riv. Dir. Proc. 1998, 216 e segg., spec. 247 e segg. (8) Mi permetto di richiamare sul punto il mio Progetti di riforma al codice di rito e tutela sommaria: pro memoria per il legislatore, in Corriere Giuridico 2002, 4, 546 e segg., spec. 549 e segg. (9) Cfr. per tutte Trib. Bari, 17 giugno 1996, in Giur. It. 1998, 951 e contra Trib. Roma, 2 giugno 1997, ibid. (10) Mi permetto di richiamare in proposito la mia monografia L’ordinanza di ingiunzione nel processo civile, Padova 2003, 71 e segg. (11) Cfr. Trib. Milano, 26 marzo 1996 e Trib. Monza, 20 settembre 1995, in Resp. civ. prev. 1996, 739. (12) Sul punto mi permetto di rinviare al mio Prima udienza di comparizione ex art. 180 c.p.c. novellato e provvisoria esecuzione del decreto opposto, in Giur. It. 1996, I, 2, 170. Conf. CHIARLONI S., Giudice e parti nella fase introduttiva del processo civile di cognizione, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1999, 401. 17 non valere anche per l’ordinanza di ingiunzione ex art. 186-ter c.p.c., che costituisce l’omologo dell’ordinanza ex art. 648 c.p.c. nel processo ordinario di cognizione (13). • • • o detto prima che ritengo che la soluzione dei problemi della giustizia non è questione di riforme di norme processuali o, se si vuole, non lo è tanto (interventi andrebbero fatti in punto determinazione delle aree di competenza e, magari, per sgravare la Suprema Corte di cause dal carattere «bagatellare»; dubito fortemente, invece, sulla necessità ed opportunità di riforme radicali). Prima di concludere, peraltro, mi preme dire che sicuramente non è questione di imbrigliare le facoltà interpretative del giudice, come taluno sta inopinatamente sostenendo. Noi viviamo in un’epoca di repentini mutamenti nel sociale. È assolutamente un’utopia – e neppure positiva – pensare che essi non si riflettano sull’interpretazione delle leggi. Come se poi le stesse leggi non mutassero e i mutamenti che intervengono in un ramo dell’ordinamento non siano suscettibili di esercitare un riflesso anche al di fuori del singolo settore in cui sono intervenuti. Né possiamo dimenticare che il nostro Paese ha una collocazione internazionale e che le norme in- H ternazionali hanno una loro valenza nel nostro ordinamento giuridico, talché se si fa una legge senza tener conto di queste norme, non ce la si può prendere con chi questa nuova legge interpreta collocandola in un ambito più vasto. Insomma, quando sento disquisire sui problemi dei limiti dell’interpretazione, mi viene sempre in mente una precisazione di Francesco Antolisei, secondo cui non può «accogliersi l’antica massima in claris non fit interpretatio, sia perché ciò che appare chiaro ad una persona, può non esser tale per un’altra, sia perché in ogni caso l’interprete non deve arrestarsi al risultato che si desume immediatamente dalle parole, vale a dire il significato apparente, ma deve cercare il senso più intimo e profondo della disposizione e l’effettiva portata di essa» (14). Non è raro che si censuri l’interpretazione delle leggi. Anche Cesare Beccaria lo faceva (15): ma, al di là del fatto che Beccaria scriveva nel 1764, in un’epoca in cui la chiarezza delle leggi – a quanto ci dicono gli storici – lasciava molto, ma molto a desiderare (molto più di quanto non lo lasci a desiderare oggi (16)), è certo che il relativo passo è stato segnalato come indice di ingenuità (17). Ho accennato poc’anzi ai mutamenti sociali. E a tale proposito vorrei fare una riflessione, che nasce dai miei studi sul provvedimento d’urgenza. Se guardiamo a questo istituto con l’occhio dello (13) Mi permetto ancora di richiamare il mio L’ordinanza di ingiunzione, cit., 194 e segg. (14) ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale - parte generale, Milano 1975, 59. (15) BECCARIA C., Dei delitti e delle pene, al § IV. (16) Cfr. PROTO PISANI A., Appunti sull’arretrato, in Foro it. 1995, V, 286. V. anche CAPPONI B., Il tentativo di conciliazione obbligatorio in funzione deflattiva del contenzioso infortunistico, in Doc. Giust. 1996, 7, 1492. (17) Cfr. JEMOLO A.C. nel saggio introduttivo al testo del Beccaria per i tipi della Bibl. Univ. Rizzoli, Milano 1981, 9 e segg., 18 storico, partendo proprio da quanto su di esso si dice nella Relazione ministeriale, non possiamo non considerare che esso nasce con finalità conservative e che per lungo tempo come tale fu considerato (18). A partire dagli anni Settanta la portata della norma è stata ampliata, anche sotto le forti pressioni di quel fenomeno che è definito la giurisdizionalizzazione dei conflitti sociali ed oggi l’orientamento dominante in dottrina e in giurisprudenza ammette che il provvedimento d’urgenza, non soltanto non è limitato alla sola tutela dei diritti assoluti, ma può avere un contenuto totalmente anticipatorio del provvedimento finale (19). ertamente, come in ogni fenomeno evolutivo, si è passati attraverso un lungo travaglio, in cui non sono mancati provvedimenti abnormi e soluzioni inaccettabili, che hanno sollecitato l’introduzione di sistemi di controllo, di cui oggi è espressione l’art. 669terdecies c.p.c.. Ma – vivaddio – se si fosse impedita ogni forma di interpretazione oggi il nostro ordinamento sarebbe di gran lunga meno al passo dei tempi di quanto, forse, in una certa misura, non lo sia. L’impedire una interpretazione «evolutiva» significa scegliere a monte su chi far ricadere i rischi dell’inadeguatezza della norma rispetto alle nuove esigenze della società: ma l’ordinamento giuridico non è una monade chiusa in C anche se lo stesso Jemolo è critico verso certe forme di interpretazione, politicamente orientate, che «riescono a far dire alle parole della legge l’opposto di ciò ch’esse esprimono» (op. cit., 10). (18) Cfr. TOMMASEO F., voce Provvedimenti d’urgenza, in Enciclopedia del diritto, XXXVII, Milano 1988, 858; ARIETA G., I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., Padova 1985, 56. (19) Sul punto mi permetto rinviare ai miei studi Tutela d’urgenza tra diritto di difesa, anticipazione del provvedimento ed irreparabilità del pregiudizio, in Riv. Dir. Proc. 1995, 216 e segg. e La nozione di irreparabilità, cit., 234. se stessa e imbrigliare l’interpretazione è una scelta politica di chi vuol ricondurre, in un modo o in un altro, la magistratura sotto il controllo politico. orrei concludere con la citazione di un passo di Giuseppe Borrè: «Voi non avete idea – parlo ai più giovani – di quanto fosse forte, nei primi anni Cinquanta, quando feci la scelta di prepararmi per la magistratura, quello che ho chiamato “conformismo”, e come esso si legasse – tangibilmente – a una volontà di conservazione politica. La cultura giudiziaria dell’epoca era pesantemente dominata dal formalismo giuridico. L’ordinamento era considerato autoreferenziale, perfetto, capace di autocompletamento (qualcuno ricorderà, forse, la vecchia e singolare teoria dell’impossibilità logica delle lacune). La legge ordinaria era avvertita come unico e definitivo termine di riferimento. E la interpretazione della legge era rappresentata come operazione meramente ricognitiva, ricerca dell’unico significato estraibile dal testo normativo. // V Parallelamente a ciò, la magistratura rifiutava ogni rapporto con l’esterno, si chiudeva come una cittadella fortificata. Non solo era tenuto fuori il «sociale» (con tutte le sue contraddizioni, le sue irriducibilità, i suoi conti che non tornano), ma si temevano anche momenti di arricchimento del quadro istituzionale che potessero in qualche modo disturbare il tradizionale isolamento del corpo giudiziario. Così fu guardata con malcelato sfavore la istituzione della Corte costituzionale. La composizione mista del CSM fu fonte di non poche recriminazioni. (…). // Nel noto e provocatorio dilemma di Maranini – “magistrati o funzionari” – la magistratura occupava allora, decisamente, il secondo termine: era burocrazia, funzionariato, non era ancora esercizio dell’autonomia voluta dalla Costituzione. E in questa logica funzionariale si produceva una sorta di rovesciamento delle fonti, della gerarchia dei valori dell’ordinamento. La legge ordinaria dava il rassicurante appoggio della continuità. La Costituzione costringeva invece ai confronti, a mettere in discussio- ne assetti, certezze, regole del gioco. Proprio per questo fu inventata la categoria delle norme programmatiche. Da burocrati in questo senso, da servi legum in questo senso, non era lungo il passo a diventare subalterni tout court, momenti di pura consonanza (non importa quanto consapevole dal punto di vista soggettivo) con il sistema politico ed economico dominante. Le apoliticità dell’apparato giudiziaro in quanto apparato burocratico e la neutralità della tecnica altro non furono che strumento di conservazione dei rapporti economici e di continuità del vecchio Stato» (20). cco, certamente non è quella magistratura che così bene ha inquadrato Borrè che vorremmo. Non è certamente con un passo indietro verso tale schema che si risolvono i problemi della giustizia. E RICCARDO CONTE Avvocato (20) BORRÈ G., Le scelte di Magistratura Democratica, in Questione Giustizia, 1997, 2, 270. 19 L M LA GIUSTIZIA CIVILE COME SERVIZIO L a mia presenza oggi vuole rappresentare, nella veste recente di coordinatore dell’osservatorio romano sulla giustizia civile unitamente al Dott. Scaramuzzi, una presenza solidale verso quanti hanno a cuore la giustizia in Italia. La giustizia civile che è Cenerentola di riforme e di attenzioni, ma anche la giustizia penale che attende di adeguare codici e pene ai principi di dignità, umanità e cittadinanza sanciti dalla Costituzione. Sono venuti nei Tribunali italiani gli studenti. Questo significa molto. Significa finalmente concepire la Giustizia, e in primo luogo la giustizia civile, come ho già avuto occasione di dire, come servizio pubblico. Questa è una definizione che non si trova nei manuali, ma che è oggi coessenziale alla funzione della giustizia: un servizio pubblico per gli utenti di questa giustizia, sottoposto a regole certe, innanzitutto regole costituzionali. Questo ci impone degli obblighi, che non sono solo deontologici, di corrispondere alle attese dei fruitori del sistema giustizia. Se noi ci guardiamo con occhio spassionato, con l’occhio di chi in questa giustizia è chiamato per le più svariate ragioni e vi entra in contatto, appaiono evidenti le lacune che producono disagi, recepiti innanzitutto come un disservizio del quale sono imputati dalla voce pubblica, allo stesso modo, giudici ed avvocati. In queste voci che a volte sono proteste, che ci arrivano, e che ascoltiamo nel corso della nostra attività pro- 20 fessionale, c’è lo sappiamo bene qualcosa di vero. Se riflettiamo dobbiamo ammettere che per troppo tempo i soggetti che lavorano al processo, avvocati, giudici, personale, congegnati bene sulla carta del codice di procedura civile quale unico terreno di relazione, hanno in realtà vissuto spesso come mondi impermeabili se non talvolta addirittura ostili o conflittuali. Aprire adesso la strada ad un nuovo costume giudiziario, a quelle che vogliamo definire le prassi virtuose, significa per l’Osservatorio romano sulla giustizia civile innanzitutto aprirsi alla comunicazione di esigenze una comunicazione con la C maiuscola di esigenze, aspettative, valori e anche di disvalori… se ve ne sono. Comunicare dunque per collaborare tra soggetti di un processo civile che è innanzitutto un servizio pubblico prima ancora che una palestra di scherma giudiziaria. Il primo dovere di un avvocato o di un magistrato non può essere quello di duellare ma di fare vivere il processo e di farlo funzionare equamente per garantire l’assunto costituzionale dell’art. 111! attuazione dunque costituzionale del diritto. Infatti se é vero che un lungo processo diventa un processo alla lunga anche censitario, per chi se lo può permettere, per chi lo può pagare, invece il principio di eguaglianza dell’art. 3 della Costituzione deve informare di sé anche il processo civile come giusto processo tra le parti come strumento di garanzia di diritti e di libertà. Se apriamo un testo qualsiasi di quelli in uso presso le L’ nostre università troviamo scritto che il diritto processuale è quella parte della scienza giuridica che regola lo svolgimento del processo, e con esso la concreta funzione giurisdizionale. L’attività giurisdizionale attua il diritto ma allo stesso tempo l’attuazione del diritto è nella concretezza e nella fattibilità dell’azione giudiziaria. Se questa fallisce anche il diritto con essa fallisce, non si dichiara, viene meno la sua funzione. Scriveva Salvatore Satta che la verità del diritto è che questo è sempre in azione: non postulazione teorica di diritti o di doveri, trovando riscontro nelle azioni umane prese nella loro concretezza, é in quelle che si evidenzia e in quelle che si riconosce con pienezza. Nella dichiarazione della sentenza c’è la dichiarazione del diritto. Occorre perciò che vi siano sentenze, ma il cammino che conduce ad esse, al farsi immanente del diritto, deve essere un cammino equo, giusto, garantito. Ciò impone una collaborazione nuova tra tutti gli operatori del diritto. Anche il personale dell’amministrazione giudiziaria può e deve essere coinvolto, al pari di analoghe esperienze vissute da altri osservatori italiani. E ancora il mondo universitario. a questa collaborazione può svilupparsi un terreno più fertile per raccogliere idee, suggerimenti, lavori scientifici, analisi dalle quali soltanto, possono scaturire le lezioni di riforma di istituti processuali. Da questa base di lavoro quotidiano sul fondamento dei principi e dei valori dell’ordinamento costituzionale, si può muovere per attuarli, si può discutere per renderli immanenti nella nostra società, per trovarne collegamenti trasversali che D accentuino garanzie e dignità, libertà e giustizie concrete. Ed è proprio su questi valori, certi che un processo equo, giusto e fonte e risultato al tempo stesso di garanzie, richiede oggi nei nostri tribunali, come ho già detto, una collaborazione nuova tra tutti gli operatori del diritto, che ci siamo ritrovati in questo Tribunale di Roma, alcuni mesi fa, magistrati ed avvocati insieme, per la creazione del Protocollo elaborato dall’Osservatorio romano sulla giustizia civile. Per quanti non conoscono ancora questa realtà voglio qui dire in breve, in una occasione come questa di riflessione ma anche di ricerca di linee di azione, che l’Osservatorio romano vuole essere innanzitutto un movimento di idee, un contributo forte di spinta, di traino, per migliorare la qualità del processo civile ed attutire i disagi più evidenti. È in questo Tribunale, che nella scorsa primavera un gruppo di magistrati ed avvocati si è ritrovato a progettare sul campo e nella realtà del lavoro quotidiano correttivi immediati, prassi deontologiche e giudiziarie concrete. Quelle prassi che su esperienze analoghe sorte a Bologna, Bari, Milano, Firenze, Salerno Reggio Calabria e in altre città del nostro paese vogliamo definire le prassi virtuose. Gli aspetti sui quali abbiamo concentrato la nostra attenzione sono gli stessi che ci danno anche oggi l’occasione di ritrovarci in questo confronto, di ragionare insieme. In primo luogo c’è non solo la necessità di attenuare i disagi ma anche quella di favorire un generale recupero di fiducia dei cittadini-utenti verso l’amministrazione della giustizia. Questo può avvenire anche attraverso un utilizzo più razionale e meno dispersivo delle risorse umane e materiali, attraverso l’individuazione di quella dotazione aggiuntiva minima di personale e mezzi indispensabile per poter celebrare il processo. E ancora, sussidio di enorme importanza, il rafforzamento del processo di informatizzazione. Questi sono certamente alcuni degli obiettivi a medio termine sui quali intende convergere l’impegno dell’Osservatorio romano. a l’Osservatorio propone da subito l’adozione di una serie di regole rivolte a favorire uno svolgimento più ordinato e proficuo delle udienze civili, a superare da subito, almeno in parte, il grave disagio esistente, a migliorare, da subito, la qualità del processo, a tutelare la riservatezza dei soggetti coinvolti, ed a ridurre drasticamente i tempi di attesa di testimoni, parti ed avvocati. A queste diciotto regole che prendono il nome di Protocollo per la gestione delle udienze civili già alcune decine di magistrati, e numerosi avvocati del Tribunale civile di Roma hanno aderito impegnandosi ad applicarle immediatamente e provvedendo ad operare in conformità i primi rinvii di udienza. Così di qui a pochi mesi andranno a pieno regime le prime udienze gestite secondo le regole del protocollo romano. Quanto al protocollo romano, che è stato presentato dall’Osservatorio romano nel recente incontro pubblico del 28 ottobre, voglio dire qui brevemente che nei primi sei punti si prefigge la distribuzione dei diversi adempimenti secondo criteri di suddivisione dell’udienza in fasce orarie e di omogeneità degli adempimenti stessi in modo da far cessare la pratica dell’accatastamento dei fascicoli in un mucchio: sapete bene quanto me che in questo modo sorprendentemente arbitrario si decide l’ordine di discussione delle cause. M 21 Ma poi anche quando al mucchio si sostituisce la pratica di chiamare le cause secondo l’ordine del ruolo di udienza (sempre che, per una opinabile interpretazione della normativa sulla privacy, si possa ancora chiamare così) anche qui l’assenza di regole puntuali che ne organizzino l’avvicendamento, si traduce anch’essa nell’affollamento delle aule e dei corridoi, che oltre ad essere un malcostume, come gli avvocati sanno bene è un fattore di disorientamento dei clienti di fronte la macchina del processo. Tra gli altri punti qualificanti del Protocollo vi è l’impegno dei giudici a privilegiare la decisione in udienza sulle istanze formulate dalle parti. nfine che posso citare l’aspetto relativo alla privacy, che richiama la necessità di una rigorosa applicazione dell’art. 84 disp. Att. Al c.p.c. (“Le udienze del giudice istruttore non sono pubbliche”) per consentire non solo un ordinato svolgimento dell’udienza ma anche per evitare che parti e testimoni siano costretti a riferi- I 22 re fatti personali innanzi a terzi estranei. Per ovvie ragioni di tempo non mi dilungherò sugli altri contenuti del protocollo romano, anch’essi di estremo rilievo, e tuttavia mi preme osservare come oggi il protocollo romano sia una realtà alla quale si guarda da più parti d’Italia con spirito di emulazione. Il progetto “protocollo” è già entrato in una prima fase applicativa che è sperimentale, aperto alla adesione ed al contributo di tutti. È inoltre prevista dall’Osservatorio romano la necessità di una verifica consultiva in fase di sperimentazione. Un tavolo poi di studio elaborerà suggerimenti e proposte che giungeranno da professionisti e operatori coinvolti, e monitorerà i risultati pratici di questa sperimentazione. Mi fermo qui, ma faccio però presente a chi fosse interessato, che il testo del protocollo, distribuito in Tribunale anche dalla Camera civile, lo potete trovare inoltre in distribuzione, unitamente al lavoro dell’Osservatorio a commento della bozza del libro bianco che l’A.N.M. ha in animo di redigere, presso il tavolo della segreteria del convegno, lì troverete il nostro indirizzo e-mail. oglio tuttavia concludere dicendo che apprezziamo, come Osservatorio romano sulla giustizia civile, che l’Associazione Nazionale Magistrati, nell’attenzione dedicata al tema dei protocolli d’udienza e delle prassi virtuose, abbia mostrato una sensibilità per il lavoro e per le esperienze già maturate da Osservatori sulla giustizia come quello romano e guardi con concreto interesse e fattivo intento collaborativo, a quel rinnovamento culturale di cui al pari degli altri Osservatori vogliamo farci interpreti. Mi sento così di dover sottolineare questo fatto: di esserci ritrovati, nel rispetto della reciproca indipendenza ed autonomia, nel fare oggi un altro passo avanti in questo comune cammino che ci siamo ritrovati a percorrere al pari di tante altre realtà italiane. V Per il coordinamento dell’ Osservatorio romano sulla giustizia civile AVV. ALESSANDRO CAJOLA APPUNTI SUL PROGETTO DI RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE E SUL NUOVO RITO SOCIETARIO L M 1. Premessa. 2. La fase introduttiva nel progetto governativo e nel processo societario: critiche. 3. Obiezioni dei sostenitori e replica. 4. Il nuovo processo societario di cognizione e la Corte europea dei diritti dell’uomo. 1. PREMESSA P receduto da grande risonanza sulla stampa quotidiana che annunciava finalmente una svolta nell’opera di riforma del processo civile, in cui «saranno gli avvocati di attore e convenuto a scambiarsi memorie, documenti, comparse, in un ping pong che accentua la responsabilità del difensore» (1), proprio nel giorno in cui si è svolto lo sciopero generale e contemporaneamente venivano tratti in arresto numerosi presunti appartenenti alle Brigate Rosse, il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge di delega al Governo per l’attuazione di modifiche al codice di procedura civile. Con il progetto di riforma, ha dichiarato il Ministro della Giustizia alla stampa, «tutto dovrebbe diventare molto più veloce» e alla legge delega ha dato il benvenuto anche il presidente dell’Oua, Silvano Berti, per il quale questa riforma rappresenta l’ultima spiaggia per un recupero di efficienza con lo snellimento del sistema processuale. Senza dubbio, l’uomo della strada sarà rimasto alquanto perplesso nel constatare che a fronte di tali annunci entusiastici la stessa testata giornalistica riportava contemporaneamente il giudizio severo di un apprezzato e noto processualista secondo il quale «è tutto da dimostrare che questo meccanismo possa portare a una diminuzione dei tempi processuali», trattandosi di soluzione «per molti versi analoga a quella che si sperimenterà a breve nel processo commerciale, ma in quel caso la fase preliminare può durare anche un anno» (2). Per vero, gli operatori del diritto meno distratti certamente si saranno meravigliati meno dell’uomo della strada, se solo hanno letto il resoconto di un recentissimo convegno tenuto dai processualisti italiani in merito alle riforme in cantiere (3) nel quale si dà atto del giudizio negativo espresso da autorevoli studiosi sul progetto di riforma ora approvato dal Governo. In particolare, si riferisce del disaccordo espresso dal prof. Federico Carpi, secondo il (1) Vedi «Il sole 24 ore» del 25 ottobre 2003. (2) Cfr. Intervista a Verde: «Scelte da verificare», «Il sole 24 ore» del 25 ottobre 2003. (3) QUERZOLA, Il convegno nazionale su «Esperienze e prospettive della giustizia italiana», in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 2003, pag. 361 ss. 23 quale il progetto mira ad una sorta di «privatizzazione» del processo civile «che porta con sé il pericolo che la libertà degli avvocati si traduca in un sacrificio del diritto sostanziale della parte privata, tanto più svantaggiata quanto più debole, specie se il confronto la vede opposta ad una parte forte con un avvocato che lo è altrettanto» (4). In realtà, proprio introducendo quel convegno il presidente dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile aveva ammonito a non dimenticare che «la smania di modifiche normative nasconde, per lo più, inesperienze o fini impropri» (5). A giustificazione della soluzione accolta dal progetto governativo nel limitare l’intervento del giudice nella fase preparatoria del processo, un noto processualista, in un commento pubblicato in tempo reale sul sito del Ministero della Giustizia, ha puntualizzato che la riforma è ispirata al principio di sussidiarietà, che viene esplicitato nei seguenti termini: così come nel favorire le varie forme di composizione amichevole della lite il progetto si ispira al principio di sussidiarietà della giurisdizione, «lo stesso principio di sussidiarietà ispira il progetto anche con riferimento al ruolo del giudice all’interno del processo. L’attività del giudice è, in ogni caso, un bene prezioso: lo è ancor di più nella situazione italiana, dove l’organico della magistratura è nettamente sottodimensionato rispetto alle necessità. E dunque, si deve utilizzare il giudice per quella che veramente è la sua ineliminabile funzione: giudicare, cioè decidere. Non è bene comunque, e non lo è a maggior ragione nel nostro Paese, caricare il giudice di compiti che possono essere svolti dalle parti, oppure da altri soggetti» (6). Non è possibile dare atto compiutamente del contenuto del pro24 getto di riforma in un commento a prima lettura, quale questo scritto vuole essere. Pertanto è opportuno limitare queste brevi osservazioni alla parte del progetto che ha maggiormente attirato l’attenzione dei media e al principio di sussidiarietà del «ruolo del giudice» come sopra illustrato, senza mancare di segnalare la presenza di altre condivisibili proposte innovative, peraltro già contenute nel progetto di riforma redatto dalla Commissione ministeriale presieduta dal Prof. Tarzia oppure sollecitate nel corso di recenti convegni dell’ANM (7). 2. LA FASE INTRODUTTIVA NEL PROGETTO GOVERNATIVO E NEL PROCESSO SOCIETARIO: CRITICHE I l discorso, dunque, può essere limitato, anche per restare nel tema tracciato dal titolo di queste brevi osservazioni, a quattro disposizioni del disegno di legge delega: le prime tre relative alla fase di trattazione del processo in primo grado (articoli 16, 17 e 18) la quarta al processo di appello (articolo 30). I criteri direttivi della legge delega in tema di fase preparatoria del processo ordinario contenuti nell’articolo 16 del disegno di legge delega impongono di prevedere: a) che il processo sia introdotto con atto di citazione, senza indicazione dell’udienza, da depositarsi in cancelleria con i documenti offerti in comunicazione, entro un termine perentorio; b) che nell’atto di citazione l’attore fissi al convenuto un termine, disciplinato dalla legge solo nel minimo, entro il quale il convenuto può replicare con una comparsa di risposta da notificare, o comunicare, all’at- tore e all’eventuale terzo e da depositare in cancelleria con i documenti offerti in comunicazione; c) che, in caso di mancata costituzione in cancelleria dell’attore, il convenuto possa costituirsi chiedendo la fissazione dell’udienza di discussione ovvero, in difetto, l’estinzione del processo con salvezza degli effetti sostanziali della domanda; d) che sia attribuita la facoltà per l’attore costituito di replicare con atto notificato, o comunicato, al convenuto, ovvero di comunicare che intende depositare istanza di fissazione dell’udienza e la facoltà per il convenuto, ove l’attore abbia optato per la replica, di replicare a sua volta, ovvero di comunicare che intende depositare istanza di fissazione dell’udienza; e) che l’estensione della trattazione scritta tra le parti si protragga fin quando una di esse, in luogo di replicare, depositi e notifichi alle altre parti istanza di fissazione dell’udienza, entro un termine perentorio decorrente dall’ultima difesa effettuata; f) infine dovrà essere prevista l’estinzione del giudizio in caso di mancata presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza. L’articolo 17 disciplina l’istanza di fissazione dell’udienza, la quale potrà essere presentata, oltre che per ottenere la decisione nel me(4) QUERZOLA, op. cit., pag. 363. (5) FAZZALARI, Esperienze e prospettive della giustizia italiana, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 2003, pag. 111. (6) LUISO, in http://www.giustizia.it/editoriale/luiso.htm. (7) Per tali aspetti e, in particolare, per l’istruttoria di parte prevista dall’articolo 20 e per il procedimento abbreviato previsto dall’articolo 48 cfr. i suggerimenti in DIDONE, Le priorità nella giustizia civile, in Riv. Dir. Proc., 2001, pag. 1158 ss. rito della causa, anche per ottenere provvedimenti anticipatori di condanna o cautelari, ovvero per chiedere la decisione su «incidenti del processo quali la chiamata di terzi o l’integrità del contraddittorio», pur dovendo, anche in tali casi, «contenere le conclusioni finali di rito e di merito, salva sempre la facoltà di replica della controparte». nfine, l’articolo 18 disciplina le preclusioni processuali riducendone la rilevabilità ad opera del giudice mentre l’articolo 30, lett. f), disciplina il regime delle novità in appello, escludendo in linea di principio le nuove domande ma «ammettendo le nuove allegazioni e le nuove prove». Orbene, se le nuove allegazioni – in quanto contrapposte alle nuove domande – vanno intese anche come nuove eccezioni, la riforma, tenendo conto dell’ammissibilità senza limiti di nuove prove in appello, reintrodurrebbe quel «rito del gambero» disciplinato dal codice vigente prima della miniriforma entrata in vigore nel 1995, con la possibilità, quindi, di riaprire il thema decidendum ed il thema probandum finanche in appello, con il procedere, dunque, tipico del «gambero» e con evidenti conseguenze sulla durata complessiva del processo (Strasburgo è di nuovo alle porte). In ordine alla fase introduttiva del processo, poi, è facile rilevare che se il criterio direttivo verrà attuato mediante previsione di un articolato simile a quello del processo societario di cui al Dlgs 17 gennaio 2003 n. 5, in vigore dal 1° gennaio 2004, resta l’obiezione (8) per la quale l’intreccio di termini previsto dalla norma, tenuto conto che in caso di processo con più parti il decorso dei termini non è unitario ed è diverso per ciascuna parte in relazione alla scadenza prevista per la notifica dello scritto difensivo di ognu- I na di esse, difficilmente gli avvocati (e soprattutto i cittadini parti del processo civile) desiderosi di ottenere una pronuncia sul merito della lite e non soltanto sulla regolarità del processo, potranno essere d’accordo sulla riforma. Soprattutto, la scadenza di termini diversi per replicare a ciascuna parte avversa costringerà gli avvocati a munirsi di sofisticato software capace di segnalare l’epoca di notifica della propria replica all’una o all’altra parte senza incorrere in decadenze. Obiezioni che restano valide anche dopo le modifiche introdotte dal Dlgs 6 febbraio 2004 n. 37. Peraltro, riproducendo la riforma il processo formale del codice di procedura del 1865 è utilizzabile un «commento anticipato», autorevolissimo. Il Mortara, dopo avere stigmatizzato l’esagerata preoccupazione del legislatore per la «sicurezza dei litiganti», che aveva giustificato l’istituzione di termini e modi ampi e comodi per l’istruzione e discussione della causa con il «grande sacrificio» costituito dalla «eliminazione di ogni attribuzione di vigilanza del magistrato» sopra lo svolgimento del processo, «affidato alla sollecitudine e allo zelo dei patrocinatori, col presidio di termini comminatorii che ciascuno d’essi era abilitato a far valere contro l’avversario», evidenziò il pericolo insito in tale sistema. In particolare, l’insigne Autore lamentò che «non si riflettè che avrebbe occorso che ciascun procuratore tenesse un solo affare giudiziario in corso e in cura, per mantenere vive intorno ad esso la solerzia e l’attività necessarie a farlo procedere in modo sufficientemente rapido e regolare» (9). Il rappresentante dell’avvocatura interpellato dalla testata giornalistica innanzi richiamata, prima di formulare la propria soddisfazione per la proposta governativa, si è accertato del gradimento dei circa 150.000 avvocati italiani per un tale sistema macchinoso già criticato all’inizio del Novecento? chi ha annunciato una svolta nella procedura civile, o sostenuto le potenzialità acceleratorie della riforma (Ministro della Giustizia) o, ancora, ha assicurato che quella governativa non è «una proposta rivoluzionaria, nel senso che essa rovesci i fondamenti del processo civile attualmente vigente» e che «ciò, oltretutto, non avrebbe senso, perché la struttura base del processo civile moderno è comune a tutti gli Stati occidentali» (10) mi permetto di segnalare un recentissimo documento redatto congiuntamente da avvocati e magistrati francesi, desiderosi di risolvere problemi comuni alle due categorie professionali in tema di giustizia civile (11). In esso, tra l’altro, si auspica «una riforma più sostanziale della procedura civile che tende a rafforzare – per riequilibrarli – i poteri del giudice civile rispetto a quelli del giudice penale» e, in attesa dell’auspicata riforma, si sollecita un «ruolo più attivo» del giudice civile nell’istruzione delle cause, «d’ufficio o su richiesta delle parti». In particolare, si precisa che «ciò che si può desiderare, è, in alcuni casi specifici, una affermazione più netta da parte del giudice civile delle A (8) Rinvio, in proposito, a DIDONE, Appunti sul nuovo processo societario di cognizione (con l’ausilio del «commento anticipato» del Mortara e del Ricci), in Giur. It., 2003, 1977 ss. (9) MORTARA, Commentario del Codice e delle Leggi di Procedura Civile, Milano, 1923 (VI ed.), III, 356. (10) LUISO, op. cit. (11) Eccessiva penalizzazione, di P. Bezard, J-F Burgelin, P. Courroye, J-M Darrois, M-N Dompé, F Franchi, D. Martin, E Mulon-Montéran, C Vacandare, F Vert, in Le Monde, versione on line del 1° ottobre 2003. 25 prerogative che sono sue in occasione della fase d’istruzione delle cause. Nulla lo costringe ad accontentarsi di ciò che le parti vogliono dirgli e sono in grado di fornirgli: può, sul modello del giudice penale (…) verificare, sentire, constatare, fare comparire, confrontare, indagare...». Altro che «principio di sussidiarietà» del ruolo del giudice civile all’interno del processo, se è vero che «la struttura base del processo civile moderno è comune a tutti gli Stati occidentali». 3. OBIEZIONI DEI SOSTENITORI E REPLICA A questo punto si rende necessaria una chiarificazione sul titolo di questo intervento per fugare eventuali dubbi sul tono polemico che il titolo stesso potrebbe suscitare e, soprattutto, per rendere merito ad un recente contributo concernente il nuovo processo societario, recante analogo titolo, dal quale ho tratto notevoli spunti per convincermi ulteriormente della fondatezza delle critiche formulate in un precedente intervento e riprodotte nel paragrafo precedente (12). Due illustri processualisti hanno garbatamente replicato agli interventi critici che il disegno di legge delega relativo al codice di procedura civile ha provocato ad opera di «vari (più o meno blasonati) commentatori di cose processuali» e fra questi è stato espressamente menzionato (e di ciò sono immensamente grato) anche chi scrive (13). Ritenendomi senza dubbio il meno (anzi per nulla) blasonato fra i commentatori chiamati in causa e, dunque, non rischiando alcun blasone, posso permettermi una “controreplica” a caldo alla “repli26 ca” degli illustri contraddittori. Allo scopo ritengo di potermi avvalere di un recente contributo, di cui ho ripreso parte del titolo, proveniente proprio da un autorevole componente della Commissione ministeriale che ha redatto il disegno di legge delega in questione (14). Il termine “controreplica”, infine, è usato intenzionalmente per ricordare la nuova complessa terminologia della disciplina del processo societario: replica, controreplica e ulteriore replica, che segna le fasi del cosiddetto “ping pong”. Le obiezioni mosse alle critiche al progetto sono raggruppabili in cinque proposizioni: a) è da stigmatizzare che «la protesta si sia incentrata sull’introduzione della causa»; b) non è vero che il processo avrà una durata ancora maggiore di quella che ha attualmente; c) il risultato del processo non sarà più “ingiusto” di quanto lo sia attualmente; d) se è vero che i problemi della giustizia dovrebbero essere curati con interventi di altro tipo, l’unico intervento risolutore, almeno per il problema costituito dal «collo di bottiglia del processo» della redazione della sentenza, andrebbe individuato nel “drastico” aumento dell’organico della magistratura; e) si ribadisce la validità del principio di sussidiarietà che ispirerebbe la riforma e si sostiene che tale principio «è da sempre il fondamento politico di quei sistemi di common law, il cui trend evolutivo è invocato dai critici della riforma per contrastare le scelte fatte da quest’ultima». L’entrata in vigore del processo societario: nel mio intervento ipotizzavo che in a1) ordine alla fase introduttiva del processo di cognizione il criterio direttivo del disegno di legge delega sarebbe stato attuato mediante previsione di un articolato simile a quello del processo societario di cui al D.lgs 17 gennaio 2003 n. 5, in vigore dal 1° gennaio 2004. Siffatta constatazione non ha ricevuto alcuna smentita dai miei illustri contraddittori. Pertanto, in merito all’obiezione di «singolare riduttività dei commenti» in quanto incentrati soltanto sulla progettata riforma della fase introduttiva del processo ordinario di cognizione, ammetto la portata effettivamente riduttiva del mio intervento. Esso era riduttivo in relazione al progetto approvato ma in realtà solo in quanto finalizzato a richiamare l’attenzione degli operatori sull’imminenza dell’entrata in vigore del nuovo processo di cognizione societario (o commerciale, stante l’ampiezza della materia regolata), da cui ci separa poco più di un mese, ad onta della richiesta di rinvio formulata non solo dalla stessa avvocatura e dagli stessi illustri processualisti autori della replica innanzi menzionata ma anche dalla migliore dottrina. Quanto ai primi, infatti, dal verbale della riunione del 5 settembre 2003 della Commissione di studio sulla riforma del processo societario costituita dall’Oua si evince, tra l’altro, che nel corso della riunione si è stabilito di presentare e far approvare al Congresso nazio(12) DIDONE, Dal “rito del gambero” al “rito del ping pong”: brevi osservazioni sul Ddl per le modifiche al codice di procedura civile, in «D&G» n. 39 dell’8 novembre 2003, p. 94. (13) LUISO e SASSANI, Il progetto Vaccarella: c’è chi preferisce il processo attuale, in www.judicium.it. (14) AULETTA, Il ranocchio e lo straniero: discutendo con Wolfgang Grunsky della riforma italiana del diritto processuale societario, in www.judicium.it nale forense, che si è tenuto in Palermo nei giorni dal 2 al 5 ottobre 2003, una specifica mozione contenente i principi e le motivazioni che hanno portato alla stesura del documento elaborato e licenziato dalla Commissione di studio, contenente proposte di modifica alla disciplina del processo societario nonché «la richiesta di slittamento dell’entrata in vigore della riforma del diritto societario, prevista per il 1° gennaio 2004, in attesa che venga portata a compimento, in tutto il suo iter, la riforma del processo civile» (15). È noto, peraltro, che la richiesta di rinvio non è stata inserita nella mozione finale del Congresso, che ha recepito soltanto quella relativa alle modifiche che, a quanto pare, è stata già accolta dal legislatore (16). Modifiche che, a mio avviso, non elidono l’inconveniente da me segnalato, che ribadisco, relativo all’intreccio di termini previsto dal processo societario, tenuto conto di ciò che, in caso di processo con più parti, il decorso dei termini non è unitario ed è diverso per ciascuna parte in relazione alla scadenza prevista per la notifica dello scritto difensivo di ognuna di esse, sì che difficilmente i cittadini parti del processo civile desiderosi di ottenere una pronuncia sul merito della lite e non soltanto sulla regolarità del processo, potranno essere d’accordo sulla riforma. Soprattutto, la scadenza di termini diversi per replicare a ciascuna parte avversa costringerà gli avvocati a munirsi di sofisticato software capace di segnalare l’epoca di notifica della propria replica all’una o all’altra parte senza incorrere in decadenze, mentre la disciplina “degli incidenti” meramente processuali ci riporta indietro di un secolo nella disciplina del processo. Quanto alla dottrina, mi limito a segnalare i recentissimi rilievi del Tarzia in merito alla necessità di interventi correttivi della nuova normativa e, soprattutto, il suo invito a riflettere «sull’opportunità di un differimento dell’entrata in vigore» per attuare il coordinamento con la riforma generale del processo civile «e magari anche con le “modifiche al codice di procedura civile”», già approvate dalla Camera nel luglio scorso (17). La durata: la critica relativa all’eccessiva durata del nuovo modello processuale (anche quello societario, dunque) sarebbe, secondo i miei contraddittori, fondata su un equivoco e falserebbe «i dati del problema della imputazione della irragionevole durata del processo». Infatti, «fino all’istanza di fissazione dell’udienza la controversia non impegna alcun giudice e non richiede alcuna spendita di pubblica attività. E poiché l’apparato giudiziario non contribuisce in alcun modo a determinare i tempi del processo (al contrario di quel che accade ora in cui la rigida lunghezza dei tempi è una imposizione del sistema) la responsabilità dello Stato è fuori gioco». Si tratta di un’argomentazione che prescinde dal rilievo che da oltre due anni mi affanno a ripetere per dimostrare la non praticabilità della reintroduzione del processo formale del codice del 1865; ossia il rilievo per cui i poteri che il giudice esercita in sede di fissazione dell’udienza con una sorta di “despacho saneador” sono poteri enormemente ridimensionati in quanto vengono esercitati tardivamente e, quando ormai le parti si sono scambiati scritti difensivi, magari per mesi, il giudice stesso può d’ufficio rilevare una questione di competenza o di giurisdizione o di integrità del contraddittorio o una nullità verificatasi precedentemente che comporterà l’azzeramento dell’attività svolta b1) nel mentre oggi sin dalla prima udienza di comparizione può esercitare tale potere. Infine, quanto alla inesatta conoscenza della giurisprudenza strasburghese, ricordo soltanto una delle ultime decisioni della Cedu nella quale si riafferma che è compito dello Stato quello di organizzare il sistema giudiziario in modo tale che le proprie giurisdizioni possano garantire a ciascuno il diritto di ottenere una decisione definitiva in un termine ragionevole (18). Il risultato del processo non sarà più “ingiusto” di quanto lo sia attualmente: sarebbe priva di senso – secondo i miei contraddittori – la denuncia di un sistema processuale che «porta con sé il pericolo che la libertà degli avvocati si traduca in un sacrificio del diritto sostanziale della parte privata, tanto più svantaggiata quanto più debole, specie se il confronto la vede opposta ad una parte forte con un avvocato che lo è altrettanto» (19). Chiarito che le obiezioni mosse al progetto di riforma sono le stesse che riguardano il processo societario, essendo simile la fase di trattazione della causa “senza giudice”, appare evidente perché è possibile rispondere alle obiezioni dei miei contraddittori con gli stessi argomenti sviluppati a difesa del processo societario nello c1) (15) Il testo completo del verbale è leggibile in www.judicium.it. (16) Vedi la bozza, dello schema di decreto legislativo di modifica del D.lgs 5/2003, in www.judicium.it. (17) TARZIA, Interrogativi sul nuovo processo societario, in Riv. Dir. Proc., 2003, 650. (18) Corte europea diritti dell’uomo, 16 ottobre 2003, Neves Ferriera Sande ed altri c. Portogallo. (19) In realtà l’argomento è di Carpi, riferito da QUERZOLA, Il convegno nazionale su «Esperienze e prospettive della giustizia italiana», in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 2003, pag. 363. 27 scritto innanzi citato dell’autorevole componente della Commissione ministeriale. In esso si afferma con sicurezza che il nuovo processo societario “è innanzitutto conforme a un tipo di avvocato diffuso – in misura statisticamente prevalente – nell’assistenza dei soggetti destinati ad assumere la qualità di parte nei giudizi rientranti nel campo di applicazione del D.lgs 5/2003; un avvocato – cioè – dal quale sia “esigibile” (espressione usata da un autorevole studioso in uno scritto privato avente per oggetto la proposta di riforma) la piena assunzione di responsabilità nell’adozione di scelte agonistiche che sono suscettibili di esaltare o compromettere la posizione sostanziale difesa, un avvocato selezionato per l’ appartenenza a un circolo più ristretto della classe professionale e del quale siano riconoscibili – come per i membri di un’élite – le abitudini e condivisi gli standard di organizzazione del lavoro» (20). Non sono i critici del processo societario e di quello previsto dal progetto di riforma, dunque, a definirlo processo d’«élite». In un fascicolo della Rassegna penale del 1929 – vigente, dunque, il codice di procedura del 1865 con le modifiche del 1901 – mi è capitato di leggere una puntuale descrizione della situazione della giustizia civile dell’epoca: «Tra le eredità dei vecchi regimi vi è ancora una giustizia lentissima e che è in pieno contrasto con le tendenze del giorno, una giustizia complicata, costosa, cavillosa, snervante e che porta nel pubblico una grande sfiducia» (21). Eppure questa valutazione riguardava il processo così come era strutturato allorquando, per «la repugnanza della pratica all’uso del procedimento formale», si era verificato l’adattamento del rito sommario ai bisogni del contenzioso civile, con una spontanea 28 trasformazione ed evoluzione, onde derivò poi il suo generalizzarsi nel foro, assorbendo quasi la totalità delle controversie» (22) e «il beneficio di portare immediatamente la controversia innanzi al magistrato» aveva ottenuto «in generale l’apprezzamento che meritava» (23); al punto che la prassi aveva ricevuto «legale sanzione» con la riforma del 1901 (24), la quale aveva fornito «il beneficio, reclamato con insistente univocità dalla pratica, della continua intervenzione e della efficace direzione del magistrato» ai processi innanzi ai tribunali e alle corti d’appello (25). Opposto il giudizio dell’attuale avvocatura, secondo la quale «la gravità dello stato di dissesto in cui versa la giustizia civile nel nostro Paese – al quale ha di certo contribuito il fallimento delle precedenti riforme del rito che nessuna prassi virtuosa è in grado di rivitalizzare – impone il coraggio di scelte di sistema che affidino ai soggetti della giurisdizione compiti e conseguenti responsabilità nella gestione del processo con la finalità precipua di assicurare l’attuazione dei principi ispiratori del giusto processo [...]. Il nuovo processo in materia societaria, che si ispira ai principi informatori elaborati dalla commissione Vaccarella, costituirà utile occasione per sperimentare la funzionalità del nuovo modello proposto» (26). Forse, rispetto al 1929, il numero delle cause civili pendenti è diminuito, altrimenti non si spiegherebbe perché si spera che un sistema ritenuto inadeguato già alla fine del 1800 nel 2004 possa dare ottimi risultati. Invero, «pochi anni dopo l’attuazione del codice non vi fu quasi più nessuna lite che fosse istituita e trattata col procedimento formale (una media inferiore al quattro per cento)» (27); percentuale scesa al 3,75% nel 1898 e precipitata all’1,50% nel 1902 (28). «Accadde che, dove più dove meno nelle varie regioni d’Italia, il maggior numero delle cause – per via di singole autorizzazioni dei presidenti (art. 154) – si svolse a procedimento sommario» (29). Rimedi: quanto all’obiezione per cui se è vero che i problemi della giustizia dovrebbero essere curati con inter- d1) (20) AULETTA, Il ranocchio, cit. (21) CAGGIANO, Residui, in Rass. Pen., 1929, II, 824 s. (22) MORTARA, op. cit., 358. (23) MORTARA, op. cit., 359. Anche se «per rimediare all’angustia delle discussioni improvvisate si adottò su larga scala il metodo dei differimenti o rinvii da udienza a udienza, dividendo così d’intesa fra i difensori e col beneplacito del magistrato, in una serie adeguata di atti successivi, lo svolgimento delle operazioni preparatorie della disputa». (MORTARA, op. loc. cit.). (24) MORTARA, op. cit., 363. (25) MORTARA, op. cit., 364. (26) Cfr. la mozione finale del Congresso di ottobre 2003, in www.oua.it (27) MORTARA, op. cit., 359. Non è un caso, dunque, che fioriscano in questi tempi ristampe di codici del 1800: cfr., nella Collana Testi e Documenti per la Storia del Processo - a cura di N. Picardi e A. Giuliani. 2 Sezione: Codici degli Stati Italiani Preunitari, AA.VV., Codice di procedura civile per gli Sati estensi, 1852, Giuffrè, Milano, 2003; AA.VV., Regolamento generale del processo civile pel Regno-Lombardo-Veneto, 1815, Giuffrè, Milano, 2003; AA.VV., Codice di processura di Maria Luigia, 1820, Giuffrè, Milano, 2003 e, più di recente, v. la ristampa dei Codici di procedura civile degli Stati Sardi con introduzione di CHIARLONI, Il presente come storia: dai codici di procedura civile sardi alle recentissime riforme e proposte di riforma, in corso di pubblicazione ed ivi, § 8, analoghe considerazioni sulla «vittoria del procedimento sommario sul formale». (28) Questi i dati forniti da CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile (1923), rist. del 1980, Napoli, 707, nota 2: processo formale, nel 1898 3,75%, nel 1899 3,63%, nel 1900 3,44%, nel 1901 3,16% e nel 1902 1,50%. Processo sommario: nel 1898 96,25%, nel 1899 96,37%, nel 1900 96,56%, nel 1901 96,84% e nel 1902 98,50%. (29) CHIOVENDA, op. cit., 706. venti di altro tipo, l’unico intervento risolutore, almeno per il problema costituito dal «collo di bottiglia del processo» della redazione della sentenza, andrebbe individuato nel «drastico» aumento dell’organico della magistratura, mi limito a suggerire il miglior utilizzo delle risorse esistenti. «Dobbiamo avere il coraggio di mettere mano alle circoscrizioni giudiziarie, vincendo campanilismi e corporativismi. In Italia oggi ci sono più di 100 tribunali con meno di 20 giudici, che è ritenuta la soglia minima per consentirne il funzionamento in considerazione del sistema delle incompatibilità. Non si può andare avanti con una geografia giudiziaria disegnata a metà dell’800». Sono parole dell’onorevole Vietti, non mie, pronunciate al Forum di Firenze organizzato dall’Oua (30). A ottobre è giunta la risposta dell’avvocatura, con la mozione finale del Congresso, secondo cui «la capillare presenza delle sedi giudiziarie sul territorio è un dato fondamentale per rendere la giustizia visibile ed accessibile». Va condivisa, peraltro, di quella mozione, la parte in cui ricorda «al Governo … che non è immaginabile alcun serio progetto di riforma in assenza di idonee previsioni di spesa … » e «al Ministro … che l’articolo 110 della Costituzione lo rende responsabile dell’efficienza e dell’organizzazione del servizio Giustizia». Sussidiarietà della giurisdizione: da ultimo, quanto all’obiezione con la quale si ribadisce la validità del principio di sussidiarietà che ispirerebbe la riforma e si sostiene che tale principio «è da sempre il fondamento politico di quei sistemi di common law, il cui trend evolutivo è invocato dai critici della riforma per contrastare le scelte fatte da quest’ultima», lascio la risposta al Lord Chancellor il quale, nella e1) prefazione a «The practice directions to the Civil procedure rules» pubblicata nel gennaio 2002, così, tra l’altro, si esprime: «On 26th April 1999, I introduced the most fundamental change to the civil justice system in England and Wales for over 100 years … In pursuit of the overriding objective enshrined in Part 1 of the Civil Procedure Rules – that all cases should be dealt with justly – the onus for the management of cases was placed on the courts … It should reduce the adversarial nature of the process and ensure that disputes are settled at the earliest possible just opportunity. … Almost 9 months in to the new system, I am pleased to report that the early signs are very good» (31). A me sembra che se «the onus for the management of cases was placed on the courts», il principio di sussidiarietà della giurisdizione, come non esiste nel nostro sistema costituzionale, non esiste più neppure nel sistema di common law. 4. IL NUOVO PROCESSO SOCIETARIO DI COGNIZIONE E LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO L’ entrata in vigore del nuovo processo societario a far tempo dal 1° gennaio 2004 rende opportuno svolgere alcune considerazioni sulla conformità del nuovo processo speciale di cognizione che ha introdotto nel nostro sistema processuale il d.lgs. n. 5 del 2003 con l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sotto il profilo della “ragionevole durata” del processo e, di conseguenza, con la cosiddetta legge Pinto. Anzi, in realtà, si tratta di ribadire concetti da me già espres- si in un precedente intervento (32) (ma contrastati da una parte autorevole della dottrina processualcivilistica (33)) alla luce, oggi, del mutato quadro della giurisprudenza della CEDU in materia di processo civile vigente nel sistema di common law prima della cosiddetta Woolf’s Reform. Invero, la disciplina della fase introduttiva del processo prevista dalla nuova normativa, la cui durata è rimessa integralmente alle parti, posto che i termini per lo scambio degli scritti difensivi sono fissati dalla legge soltanto nel minimo (34), non è molto dissimile da quella prevista dal vecchio e superato modello adversary del sistema di common law. Talché, alla luce della giurisprudenza costante della Corte di Strasburgo, avevo dubitato della conformità alla legge Pinto del D.lgs. in questione che, dopo aver previsto una serie di termini per il deposito di scritti difensivi, rimette alla volontà della parte più diligente la fissazione dell’udienza di comparizione dinanzi al giudice. Con la conseguenza che solo con il decreto di fissazio(30) Cfr. resoconto in Diritto e Giustizia on line del 9 maggio 2003. (31) In www.open.gov.uk. (32) Cfr., Appunti sul nuovo processo societario di cognizione (con l’ausilio del «commento anticipato» del Mortara e del Ricci), in Giur. It., 2003, 1977 ss. (33) COSTANTINO, Il nuovo processo commerciale: la cognizione ordinaria in primo grado, in Riv. Dir. Proc., 2003, 387 ss., in particolare pag. 402-403 ove si afferma: «in mancanza di qualsivoglia attività dell’ufficio giudiziario, diversa dalla custodia degli atti e dei documenti, fino alla presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza di cui all’art. 8, appare corretto negare che la notificazione della citazione coincida anche con il dies a quo computare il termine di ragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 2 della l. 24 marzo 2001, n. 89, sull’equa riparazione». (34) CHIARLONI, intervento al Convegno dell’A.N.M. su «Processo e organizzazione», Roma, 12 e 13 dicembre 2003. 29 ne di questa il giudice può esercitare il potere di rilevare d’ufficio una questione – di rito o di merito (articolo 12, comma 3 lettera a) – (sulla quale, poi, le parti dovranno necessariamente interloquire), sia essa di competenza, di giurisdizione, di integrità del contraddittorio o altro, che potrebbe vanificare i mesi di lavoro profusi dai difensori nella fase preliminare, con una evidente violazione del precetto costituzionale della ragionevole durata del processo. Avevo anche rilevato che il legislatore delegato si era concretamente posto il problema del contrasto della disciplina proposta con il precetto della ragionevole durata di cui all’articolo 111 Costituzione ma aveva creduto di risolverlo osservando che «ai fini del rispetto della direttiva costituzionale, fino a quando una delle parti non chiede la fissazione dell’udienza non può esserci ritardo imputabile all’Amministrazione della giustizia rimanendo il processo totalmente nella disponibilità degli antagonisti» (35). L’argomento è del tutto simile a quello speso dal nostro coagente presso la Corte europea allorquando in passato faceva presente che nei processi di cosiddetto «vecchio rito» vigeva (come tuttora vige) il sistema dispositivo e, prima dell’introduzione del sistema di preclusioni rilevabili d’ufficio, non poteva essere imputato allo Stato italiano il ritardo conseguente al comportamento dilatorio delle parti. a Corte europea, però, sin dal 1987 ha ritenuto che «il fatto che il processo civile italiano sia ispirato al principio dispositivo non è in contrasto con la convenzione, ma non dispensa il giudice dall’obbligo di assicurare il rispetto dei limiti di durata prescritti dall’art. 6 par. 1, della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti L 30 dell’uomo e delle libertà fondamentali» (36). Spesso la Corte di Strasburgo ha ricordato che il principio dispositivo va coordinato con il poteredovere concesso al giudice civile dall’art. 175 c.p.c., secondo cui il giudice deve esercitare «tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento». È proprio dalla corretta comprensione dell’orientamento giurisprudenziale della CEDU che l’Ufficio Studi del C.S.M. prima, e lo stesso organo di autogoverno della magistratura, poi, sin dal 2000 hanno sollecitato «la formulazione di una sorta di protocollo delle prassi applicative del processo civile in linea con il diritto alla durata ragionevole del processo» (37), invito accolto dall’A.N.M. con il recente Convegno su «Processo e organizzazione» del dicembre 2003. Alla luce di tali premesse vanno, dunque, esaminate le vicende processuali che hanno comportato la condanna dell’Inghilterra da parte della Corte strasburghese con alcune recenti decisioni. In proposito è significativo che, proprio nella più recente decisione del luglio 2003 (38), la Corte abbia richiamato come precedente la condanna dell’Italia per violazione dell’art. 6 Conv. nel caso Capuano, innanzi ricordato, e ha dato risposta affermativa al quesito posto dal Governo inglese se lo Stato possa essere ritenuto responsabile per il periodo precedente il dibattimento della causa, prima dell’introduzione del «case management», che consente al giudice di intervenire sin dall’inizio nello svolgimento sollecito del processo. In particolare, la Corte europea ha ricordato di avere ripetuto in numerose occasioni che il principio del diritto interno secondo cui le parti di un procedimento civile sono tenute a prendere l’iniziativa in riguardo allo sviluppo del pro- cesso, non dispensa lo Stato dal conformarsi al requisito della trattazione delle controversie in un tempo ragionevole, pur essendo libero nel modo di prevedere meccanismi per assicurare tale finalità «sia incrementando il numero dei giudici, ovvero mediante automatici limiti di tempo e direzioni, o mediante qualsiasi altro metodo». In ogni caso, però, «se uno Stato lascia che i procedimenti continuino oltre il “termine ragionevole” prescritto dall’art. 6 della Convenzione senza fare qualche cosa per farli progredire, esso sarà responsabile del conseguente ritardo». ovvio – come si desume dalla lettura della sentenza integrale – che, nel mentre la durata complessiva del procedimento sarà valutata ai fini dell’accertamento della violazione del precetto della ragionevole durata, l’equa riparazione sarà commisurata soltanto al periodo del ritardo direttamente imputabile agli organi dello Stato e non anche al ritar- E’ (35) Cfr. Relazione D.lgs. n. 5 del 2003. (36) Corte europea dir. uomo 25 giugno 1987, in Foro it., 1987, IV, 385. (37) V. il parere dell’Ufficio Studi in La durata ragionevole del processo, Quaderni del C.S.M., 2000, n. 113, pag. 91. (38) V., in proposito, Corte europea dei diritti dell’uomo, 29 luglio 2003, Price and Lowe v. the United Kingdom (applications nos. 43185/98 and 43186/98), in D&G, 2004, n. 1, con mia nota di commento, secondo la quale nel computo della durata complessiva di un processo civile svoltosi in un paese di common law prima della riforma del 1999 e della introduzione del case management, va ricompresa anche la durata della fase predibattimentale (pre-trial) al fine dell’accertamento della violazione dell’art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, sotto il profilo della “ragionevole durata” (in fattispecie riguardante un procedimento civile svoltosi in Inghilterra secondo la procedura civile vigente prima della cosiddetta Woolf’s Reform, con durata complessiva di 12 anni, 1 mese e 18 giorni). do causato dal comportamento dilatorio delle parti. Ma si tratta di due piani distinti: da un lato la violazione da parte dello Stato del dovere di organizzare il sistema giudiziario in modo tale che le proprie giurisdizioni possano garantire a ciascuno il diritto di ottenere una decisione definitiva in un termine ragionevole (39), dall’altro di determinare il diritto all’equa riparazione per la parte del ritardo non imputabile al comportamento delle parti. Dimensioni distinte di un unico fenomeno negli stessi termini disciplinate dalla legge Pinto. el pari importante è che da altra decisione richiamata dalla predetta sentenza si evince che i ricorrenti avevano premesso che la causa del ritardo del processo civile, protrattosi per 10 anni, 4 mesi e 17 giorni, andava individuata nel sistema «adversary» prima dell’introduzione della cosiddetta «Woolf’s Reform» e del «case management». Anche in quella vicenda la Corte di Strasburgo ha ritenuto sussistente la responsabilità dell’Inghilterra affermando che «anche se un sistema consente ad una parte di accelerare i procedimenti, ciò non dispensa le corti dal garantire che il requisito della ragionevole durata dell’articolo 6 della Convenzione sia assicurato, giacché il dovere di amministrare giustizia in modo rapido incombe in primo luogo sulle competenti autorità» e, disattendendo le richieste del Governo inglese, non ha ritenuto di dovere sottrarre dal computo della durata complessiva della causa il ritardo imputabile al comportamento delle parti prima di quella che, nel nuovo processo societario, è la fase che segue alla presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza, anche se il detto lasso di tempo va detratto D dalla durata imputabile agli organi dello Stato (40). Ancora, in altra decisione riguardante una causa civile protrattasi per oltre 14 anni, sotto il previgente sistema interamente «adversarial», la Corte europea ha osservato, pur riconoscendo che in quel sistema sono previsti diversi mezzi procedurali che «consentono a ciascuna parte di prevenire un ritardo eccessivo da parte dell’altra», che «tuttavia, le corti domestiche conservano un dovere di assicurare la conformità con le garanzie dell’art. 6 della Convenzione» (41). Vorrei concludere con un paradosso. Un comparativista straniero ci riferisce: «i miei viaggi mi indussero a comprendere – ripensandoci – uno strano paradosso: più lontano mi spostavo dal mio confine originale, più apprendevo sul luogo che avevo lasciato, e sulla sua “procedura civile”» (42). Nel mio piccolo, viaggiando soltanto su internet, nella relazione svolta al Convegno A.N.M.O.U.A. di Palermo, nel giugno 2001, riferendomi alla proposta avanzata da alcuni parlamentari del centrosinistra diretta ad accelerare il processo civile «affidando al giudice il compito di intervenire solo se richiesto dalle parti, alla cui disponibilità resterebbero affidate tutte le fasi precedenti alla decisione e che attualmente si svolgono dinanzi al giudice» (43) – circostanza che elimina in radice la colorazione ideologica attribuita da taluno alle critiche rivolte dalla dottrina e dalla magistratura associata al Progetto Vaccarella e all’analogo processo societario (44) – mi ero permesso di richiamare l’attenzione sull’esperienza dell’Australia, ove una commissione governativa aveva concluso il suo rapporto rilevando come il «sistema della giustizia civile funziona bene quando gli uffici giudiziari prendono un ruolo attivo negli atti di gestione da una fase iniziale» della controversia (45) ed avevo rilevato la contraddittorietà delle tendenze riformatrici in Italia rispetto a quelle sperimentate felicemente nei sistemi di common law (46). bbene, il paradosso consiste in ciò, che a distanza di due anni dal quel convegno uno studioso australiano ha esaminato – certamente inconsapevole della mia precedente attenzione al suo sistema – le proposte di riforma del processo civile propugnate dall’avvocatura ed ora accolte dal Progetto Vaccarella e dalla disci- E (39) Corte europea diritti dell’uomo, 16 ottobre 2003, Neves Ferriera Sande ed altri c. Portogallo. (40) Corte europea dei diritti dell’uomo, 17 dicembre 2002 – definitiva il 21 maggio 2003 –, Mitchell and Holloway v. the United Kingdom, Application no. 44808/98. (41) Corte europea dei diritti dell’uomo, 22 ottobre 2002 (def. 22 gennaio 2003), Foley c. Regno Unito, Application no. 39197/98. (42) OSCAR G. CHASE, ‘Culture and Disputing’ (1999) 7, Tulane Journal of International and Comparative Law 81, citato da ADAM C. REYNOLDS, Dimensions of Justice in Italy: a Practical Review, in Global Jurist Advances, Vol. 3, Issue 2 2003, Article 1, in www.bepress.com. (43) D.d.l. n. 4703 d’iniziativa dei senatori Russo, Senese, Calvi, Smuraglia, De Luca Michele, Maritati e Fassone, comunicato alla Presidenza del Senato il 4 luglio 2000 ed assegnato alla Commissione il successivo 18 luglio. (44) V., in proposito, anche i rilievi di Costantino, op. cit., 431, il quale rileva come la riforma del processo societario è stata «presentata come ideologicamente caratterizzata, insinuando il sospetto che ogni critica del testo abbia, a sua volta, una caratterizzazione ideologica». (45) MANAGING JUSTICE: A review of the federal civil justice system, Report No 89 on the law as at 31 December 1999 in Commonwealth of Australia, 2000. (46) DIDONE, Le priorità nella giustizia civile, in Riv. Dir. Proc., 2001, 1158 ss. 31 plina del nuovo processo societario di cognizione e si è chiesto, in relazione alle proposte di introduzione di un sistema simile a quello vigente nei sistemi di common law prima della Woolf’s Reform e dell’introduzione del case management: «ci si potrebbe interrogare sulla probabilità di successo nell’importare simili riforme legislative, quando esse sono spesso viste come causa di ritardo nei paesi di common law. Esse possono diminuire la durata dinanzi al giudice (in-court time), ma si sono mostrate protrarre la complessiva durata delle controversie, e incrementano i costi introducendo significativo lavoro extra per gli avvocati» (47). Qualcuno, forse, non ha compreso (o non vuol riconoscere) che «l’essenza del case management sta in ciò che, da un lato, il giudice dirige il caso verso il percorso che è maggiormente proporzionato alla sua complessità (il concetto di proporzionalità … sembra il concetto chiave della riforma); dall’altro, egli controlla e regola lo svolgimento del processo, adottando qualsiasi misura 32 egli pensi adatta per perseguire “l’obiettivo di maggiore importanza”» (48). Ossia “ the overriding objective ” della Woolf’s Reform, che non è certo quello di prolungare la durata dei processi. Conclusivamente, «time, cost, and accuracy» sono le dimensioni della giustizia con le quali qualsiasi riforma – sia essa strutturale o anche solo processuale – deve confrontarsi e alla luce delle quali deve essere valutata (49). Non senza dimenticare che le dimensioni del tempo, dei costi e dell’accuratezza non esistono isolatamente ma sono fra esse correlate (50). er contro, la riforma del processo societario di cognizione se da un lato riduce il tempo della controversia limitatamente alla fase svolta dinanzi al giudice (in-court), rischia di dilatare irragionevolmente la durata complessiva del processo, incidendo anche sui costi connessi con il maggior lavoro richiesto agli avvocati nella fase introduttiva. Di ciò il legislatore del 2002, così come i parlamentari P del centrosinistra che nel 2000 avevano intrapreso la strada inversa a quella seguita dai sistemi di common law, non hanno tenuto conto (51). ANTONIO DIDONE Consigliere Corte Appello L’Aquila (47) REYNOLDS, op. cit. (48) VARANO, Some Re ections on Procedure, Comparative Law, and the Common Core Approach, in Global Jurist Topics, Vol. 3, Issue 2, 2003, Article 4, in www.bepress.com. (49) REYNOLDS, op. cit. (50) REYNOLDS, op. cit. (51) Per analoghe considerazioni cfr. TARUFFO, Comparazione e riforme processuali, passim, in AA.VV., Io comparo, tu compari, egli compara: che cosa, come e perché?, Milano, 2003 e VARANO, op. cit., 5 ss., il quale ricorda come il trend in altri Paesi, come l’Inghilterra, gli Stati Uniti, l’Australia, la Spagna, la Francia e la Germania, sia esattamente opposto a quello seguito dal Progetto Vaccarella, posto che in quegli ordinamenti si è perseguito il fine del rafforzamento della fase preparatoria mediante il rafforzamento dei poteri del giudice. Secondo tale a., la proposta di trasferire sulle parti la responsabilità della direzione della fase preparatoria della causa costituisce un aspetto della riforma «which can make the whole castle collapse» (ivi, 6). GLI INTERVENTI SULLA DISCIPLINA DEL PROCESSO CIVILE A distanza di otto anni dall’entrata in vigore della legge n. 353/ 1990, il nostro legislatore si è dunque incamminato in un nuovo itinerario riformatore del processo civile. A tanto si appresta, in realtà, con un tono apparentemente dimesso, quasi di soppiatto. Il Testo Unificato del Disegno di legge, approvato dalla Commissione Giustizia della Camera in sede legislativa nella seduta del 16 luglio 2003 ed ora all’esame della Commissione Giustizia del Senato con il n. 2430, avanza con il titolo di “Modifiche al codice di procedura civile”. Anche lo schema di disegno di legge delega varato dal Consiglio dei Ministri il 24 ottobre scorso, su proposta del Ministro della Giustizia, nel riprendere il progetto elaborato dalla commissione presieduta dal professor Romano Vaccarella, composto da 63 articoli, non osa proporre, in sede di intitolazione, un nuovo codice di procedura civile, ma identicamente propugna “l’attuazione di modifiche al codice di procedura civile”; all’art. 1, al più, ci si spinge a propugnare la “riforma organica del codice di procedura civile”. Da qualche anno, per nostra buona sorte, gli studiosi delle cosiddette organizzazioni complesse hanno preso ad interessarsi fattivamente degli affanni della giustizia civile. Ciò facendo, questi teorici ci hanno imposto un loro primo obiettivo: la “messa a punto di un quadro teorico-metodologico di lettura organizzati- L M va del processo civile in chiave assolutamente descrittiva per ricostruire le logiche d’azione del processo stesso” (S. ZAN, Fascicoli e tribunali, Il processo civile in una prospettiva organizzativa, Bologna 2003, 12). La premessa operativa di questo ragionamento è molto amara: “In un periodo storico in cui tutti quotidianamente propongono soluzioni ai mali della giustizia continuo a ritenere, seguendo gli insegnamenti del maestro Michel Crozier, che sia ancora più importante dedicare i propri sforzi a comprendere la reale e profonda natura dei problemi, prima di pensare a soluzioni che rischiano di essere peggiori del male che vogliono curare” (S. ZAN, Fascicoli e tribunali, Il processo civile in una prospettiva organizzativa, cit., 2003, 13). uò destare un iniziale stupore costatare come l’identico sospetto di una superficiale diagnosi dei mali della giustizia civile sia venuto pure a qualche civilprocessualista, che ha fatto ricorso alla stessa parabola del medico e della malattia: “Per operare in maniera opportuna e senza creare guasti, un qualsiasi legislatore ben intenzionato dovrebbe individuare ciò che non va (la malattia) per stabilire i rimedi (le medicine)” (G. VERDE, La cura del codice di procedura civile è nel superamento delle contrapposizioni, in Guida al diritto del 15 novembre 2003, n. 44, 12). A dire di molti è l’irragionevole durata il morbo letale della giusti- P 33 zia civile italiana. La scelta che il legislatore è chiamato a compiere è, allora, quella di allocare le responsabilità di questa durata, ovvero di individuare i germi patogeni del male. L’analisi di alcuni commentatori parte da lontano e minimizza le colpe della legge processuale: l’irragionevole durata dei giudizi civili dipenderebbe, piuttosto, dalla mancanza di filtri preventivi d’accesso, dalla disfunzionale geografia degli uffici giudiziari e dalla mancanza di elasticità nell’organizzazione del lavoro dei magistrati (ancora G. VERDE, La cura del codice di procedura civile è nel superamento delle contrapposizioni, cit. 12). Ciò significherebbe porsi più ambiziosi (e più “costosi”) obiettivi legislativi: ridurre il contenzioso, ridisegnare l’articolazione organizzativa territoriale dei tribunali, affrontare le questioni professionali dei diversi soggetti protagonisti del processo. Si è scelta, invece, la via più breve di intervenire ulteriormente sul codice di rito, stavolta con un’operazione che pare di sì ampia portata da presumersi tendenzialmente definitiva. n realtà, il Disegno di legge approvato dalla Camera (che per brevità si chiamerà d’ora in poi Dis. L. n. 2430) anticipa già alcune delle soluzioni auspicate in via di principio dallo schema di disegno di legge delega voluto dal Consiglio dei Ministri (Dis. L. Del. 24 ottobre 2003), mentre alcuni altri dei criteri direttivi della delega chiesta dal Governo soddisfano proprio convinte richieste avanzate dalla A.N.M., da ultimo nella Scheda di osservazioni tecniche sul Testo unificato del disegno di legge, inviata ai gruppi parlamentari e reperibile sul sito dell’A.N.M. (www.associazionemagistrati.it). Il Testo unificato di “Modifiche al I 34 codice di procedura civile” votato dalla Camera attua, ad esempio, le modifiche in tema di competenza per valore e di procedimento per i giudizi davanti al giudice di pace (art. 1 e art. 24, Dis. L. n. 2430), di cui è poi menzione all’art 3, Dis. L. Del. 24 ottobre 2003. Gli artt. 3 e 4 Dis. L. n. 2430, con cui viene apprezzabilmente modificata la disciplina delle spese processuali e della responsabilità aggravata, sembrano consapevoli premonizioni dell’art. 11, Dis. L. Del. 24 ottobre 2003. Gli artt. 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 23 Dis. L. n. 2430, che mirano a realizzare una maggiore semplificazione delle forme, ad agevolare gli adempimenti degli uffici giudiziari e dei difensori, ed a tutelare in modo più puntuale i diritti di difesa, possono forse soddisfare le aspettative degli artt. 14 e 15, Dis. L. Del. 24 ottobre 2003. osì pure, l’art. 62 Dis. L. n. 2430, sulla “consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite”, va nel senso degli artt. 20, co. 3°, e 49, Dis. L. Del. 24 ottobre 2003; l’art. 21 Dis. L. n. 2430 allestisce forme di esecuzione indiretta della sentenza conformemente alle aspettative dell’art. 42, Dis. L. Del. 24 ottobre 2003; l’art. 29 Dis. L. n. 2430, laddove impone al debitore esecutato un onere di collaborazione, consistente nell’indicazione dei beni utilmente pignorabili e dei luoghi dove essi si trovino, corrisponde ad un criterio propugnato dall’art. 38 Dis. L. Del. 24 ottobre 2003. Ciò inteso, lo schema del disegno di legge delega varato dal Consiglio dei Ministri il 24 ottobre 2003 potrebbe trovare in parte immediata concretizzazione se si sovrapponessero alcuni dei suoi principi e criteri direttivi con il Testo Unificato del Disegno di C legge approvato a luglio scorso dalla Camera. eraltro, come prima si accennava, se l’A.N.M. ha espresso il convincimento che le modifiche previste nel Testo unificato n. 2430, ora all’esame del Senato, possano favorire il recupero di funzionalità e di razionalità della giustizia civile, non deve ignorarsi come la stessa Associazione Magistrati avesse ancora di recente insistito per ulteriori interventi novellatori della legge processuale, intendendo perseguire risultati che stanno a cuore pure allo schema di legge delega 24 ottobre 2003. Ci si riferisce: • alla semplificazione del regime della procura alle liti (su cui vuol incidere l’art. 10 Dis. L. Del. 24 ottobre 2003); • alla eliminazione o riduzione dei regolamenti di giurisdizione e di competenza, della sospensione obbligatoria e dalle rimessioni al primo giudice (e di ciò si preoccupano gli artt. 7, 10, lett. g, e 27, ult. co., Dis. L. Del. 24 ottobre 2003); • alla semplificazione della disciplina relativa alla competenza territoriale ed alla prosecuzione del giudizio davanti al giudice dichiarato competente o avente giurisdizione (che si propongono gli artt. 4 e 2, co. 1°, Dis. L. Del. 24 ottobre 2003); • all’introduzione di meccanismi semplificati di decisione della causa e di redazione della sentenza, con generalizzazione delle modalità previste dall’art. 281 sexies c.p.c. (cui sembra propenso l’art. 22, co. 2°, Dis. L. Del. 24 ottobre 2003); • alla riforma del sistema delle impugnazioni, con la previsione generalizzata dell’appello e la modifica del giudizio di cassazione, intervenendo sull’art. 360, n. 5 c.p.c. (verso cui pos- P sono indirizzarsi gli artt. 30 e 31 Dis. L. Del. 24 ottobre 2003); • alla previsione di un procedimento non cautelare a cognizione sommaria per la tutela di situazioni tipiche a contenuto non patrimoniale, o non prevalentemente patrimoniale (e qui va richiamato l’art. 48 Dis. L. Del. 24 ottobre 2003). uesta parziale identità di auspici tra l’attuale legislatore delle riforme e l’A.N.M. rende immeritate le critiche rivolte alla magistratura di voler difendere lo status quo, o di essersi corporativamente affezionata al vigente modello processuale – giacché portatrice di un sostegno ideologico ad una parte dell’Accademia – e di voler scaricare all’esterno la colpa del malfunzionamento dei giudizi civili. Sono del resto i giudici, e non altri, che pur se ne dicono angosciati, a dover registrare quotidianamente in prima persona il malcontento dei cittadini per l’andamento delle liti civili. Se da alcuni studiosi (B. SASSANI, La riforma del processo societario, in Italia oggi, Società Il dizionario della riforma, 1 ottobre 2003, 40 ss.) si leva l’allarme per la burocratizzazione e la deresponsabilizzazione dell’attuale modello di giudice civile, per la “scandalosa lontananza nel tempo delle udienze”, per i tempi morti intollerabili in danno della parte che ha ragione, è facile aggiungere che così si conclamano le doglianze più sentite dall’Associazione Magistrati. E come non condividere la convinzione di quei medesimi studiosi che, se le cause del lento incedere del contenzioso civile sono più d’una, “tra esse giganteggia il disastro delle strutture”? È antistorico, invece, rinfacciare alla magistratura di opporsi all’aumento dei propri organici, ora che una simile questione sembra del tutto Q sconosciuta alla “agenda politica” e che il problema di assoluta attualità è divenuto, piuttosto, come proprio l’A.N.M. denuncia, quello di colmare l’enorme scopertura dell’organico esistente. utto sommato, però, una prima conclusione sembra legittima: vista la conformità di buona parte dei loro contenuti, il Testo Unificato del Disegno di legge approvato dalla Camera e lo Schema di legge delega non sarebbero poi agli antipodi; né la Magistratura associata, a proposito del processo civile, avverte esigenze e prospetta soluzioni tanto diverse da quelle che ispirano l’attuale politica della giustizia e settori dell’Accademia. È un fatto, tuttavia, che il confronto culturale sulle necessità pratiche del processo civile sia trasceso in un dibattito ideologico povero di concretezza. Gli slogans davvero non mancano, ma ne fa uso anche chi dice di deprecarli (sono al riguardo indicative le letture del resoconto predisposto da L. QUERZOLA, Il convegno nazionale su “Esperienze e prospettive della giustizia italiana”, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 2003, 361 e ss.). Si va davvero verso la “privatizzazione del processo civile”? Si persegue un “modello procedimentale pensato per la parte litigante”, o si “baratta la libertà degli avvocati col sacrificio della parte più debole”? Chi critica la cosiddetta “bozza Vaccarella” lo fa soltanto perché ormai adoratore di un “tabù”? È invocabile un “principio di sussidiarietà” nel rapporto tra intervento del giudice e poteri delle parti? Non è allora addebitabile alla distrazione ed alla superficialità dei soli commentatori critici l’attenzione riduttiva rivolta allo Schema di legge delega, isolando dal contesto generale dell’in- T tervento riformatore gli artt. 16, 17, 18, 19 e 20. È che queste norme si stanno trasformando in un vessillo da sbandierare sul pennone più alto. n relazione a questi articoli, volendosi accuratamente evitare di parlare di “privatizzazione del processo”, potrebbe parlarsi, piuttosto, di “privazione del giudice dalla trattazione”. Il modello prescelto ipotizza, dopo l’iniziale scambio della citazione e della comparsa di risposta, una teoria potenzialmente illimitata di “repliche” e di “repliche a sua volta”, eventualmente culminante nell’istanza di fissazione dell’udienza, in analogia a quanto dettato negli artt.2 e ss. del D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, relativo ai procedimenti in materia di diritto societario, bancario e creditizio. Quale extrema ratio nella scala gerarchica dei rimedi idonei a definire la lite, il Giudice entra dunque in scena con la dirompente pronuncia del decreto di fissazione dell’udienza. In questo decreto il giudice indicherà le questioni rilevabili d’ufficio, stando peraltro attento a non rilevare d’ufficio le preclusioni in ordine alla tardività della proposizione di riconvenzionali o di chiamate in causa di terzi, ovvero alla intempestività delle eccezioni di merito in senso stretto. C’è da augurarsi che mai il giudice si avveda dell’esistenza di problemi attinenti alla costituzione delle parti, o all’integrazione del contraddittorio, o alla chiamata in causa di terzi, o alla notificazione della citazione, giacché, in un sistema improntato alla pattizia indeterminatezza temporale del momento antecedente al contatto in udienza con le parti, è arduo intuire quale sia “l’adeguato differimento dell’udienza … necessario per consentire il pieno contraddittorio anche con i terzi”, di cui parla l’art. 19 Dis. L. Del. 24 ottobre 2003. I 35 A ltro totem del progetto di legge delega è la previsione dell’attività istruttoria di parte (art. 20 Dis. L. Del. 24 ottobre 2003), ovvero l’utilizzabilità nel processo delle dichiarazioni testimoniali assunte dai difensori prima dell’inizio del giudizio, facendosi salvo il potere del giudice di disporre al riguardo accertamenti istruttori. Si tratta di un modello di testimonianza che ha il suo intraprendente precursore nell’art. 819 ter c.p.c. in materia di arbitrato, e che è destinato a rappresentare una singolarità tutta italica, dopo che pretrial e discovery anglosassoni sono recentemente state erose dall’operato del temibile Lord Woolf (J. A. JOLOWICCZ, Il nuovo ruolo del giudice del giudice del “pre-trial” nel processo civile inglese, in Riv. trim dir. proc. civ. 2002, 1263 ss.; F. CORSINI, Le proposte di “privatizzazione” dell’attività istruttoria alla luce delle recenti vicende della “discovery” anglosassone, in Riv. trim dir. proc. civ. 2002, 1273 ss.). Risulta sicuramente convinzione comune quella che l’attuale scansione delle fasi di trattazione del processo, con i ritmi impressi dagli artt. 180, 183 e 184 c.p.c., costituisca un inutile appesantimento, che imbriglia il diritto della parte ad aver subito ragione diluendolo in troppe udienze. Ma questo è davvero un esempio del principio di eterogenesi dei fini: per non aver troppe udienze dedicate alla trattazione ed all’istruzione della causa, le si sopprimono tutte! Si tratta, in realtà, di una meta che lascia praticabili altre strade. Gli artt. 14 e 15 del Testo Unificato del Disegno di legge approvato dalla Camera, consentono espressamente, in proposito, che il giudice proceda sin dall’udienza di prima comparizione all’immediata trattazione della causa, 36 se vi sia in tal senso istanza di tutte le parti costituite, e sin dalla prima udienza di trattazione all’ammissione dei mezzi di prova, riservandogli altresì il potere di valutare l’opportunità di assegnare i termini per nuove deduzioni istruttorie. Nella Scheda di osservazioni tecniche predisposta dall’A.N.M. sul Testo unificato del disegno di legge, si propone di arrivare immediatamente alla fusione tra udienza di prima comparizione e prima udienza di trattazione, lasciando impregiudicata la facoltà di avvalersi dei termini di cui agli artt. 183, ult. co., e 184 c.p.c. art. 70 del Testo Unificato del Disegno di legge approvato dalla Camera è adeguato a restituire maggior rigore alla disciplina della prova testimoniale, ripristinando l’effettività del limite di valore alla prova dei contratti, nonché delle sanzioni disposte per la mancata comparizione ingiustificata dei testi. Non è vincente l’obiezione che in alcuni tribunali sia comunque ormai invalsa la prassi della raccolta delle prove testimoniali in assenza del giudice, al quale si chiede unicamente di apporre dopo la firma in calce al verbale: che metodo è quello che, per sovvertire una prassi distorta, la legalizza? È sensazione avvertita non solo dai magistrati che nel dibattito sulle riforme si stiano premiando gli aspetti evocativi rispetto a quelli operativi, tentando un approccio in nome dei principi in un contesto che è afflitto, innanzitutto, da una desolante obsolescenza organizzativa e tecnologica, dove la affermazione dei diritti dei cittadini è quotidianamente barattata con una mastodontica opera di semplice manipolazione delle carte. L’indulgenza per le ideologie può portare a leggere nelle Ri- L’ forme più di quanto esse stesse abbiano finora detto e forse anche voluto. Il dibattito in corso rischia, perciò, di venire contaminato da furia iconoclasta. Si arriva a dubitare che la ragionevole durata costituisca oggi un indicatore di giustizia del processo, al pari della sua idoneità ad esercitare il controllo di legalità ed a pervenire ad una decisione giusta. Si stanno rievocando le contrapposte concezioni del processo civile, citando i Maestri del secolo scorso per dar sostegno, a secondo dei punti di vista, una volta all’una e una volta all’altra delle avverse tesi. Ma anche la più autorevole delle citazioni dovrà tener conto di quanto siano mutati i contesti rispetto alla vigilia del Codice del 1940. C’è ora il nuovo comma 2° dell’art. 111 Cost, e prima di esso già c’era l’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo; c’è un numero di cause affidato ai giudici togati che non è nemmeno paragonabile a quello di sessanta anni fa. Se la disponibilità del rapporto sostanziale deve tuttora significare il diritto delle parti a prender tempo per riflettere nel corso del giudizio, ciò si può fare bilanciando la permanente esigenza di garanzia con l’aumentato bisogno di efficienza: la via, per dire, può essere quella di ampliare la possibilità di sospensione concordata ben oltre gli anacronistici limiti tuttora segnati dall’art. 296 c.p.c., proprio come propugna l’art. 27, lett. c) del Dis. L. Del. 24 ottobre 2003. iacché tutti ammettono che la giustizia civile sia, comunque vada, in primis un servizio pubblico, è inutile ricordare come non ci sia servizio pubblico che rimetta totalmente ai suoi utenti di scegliere modalità e durata dell’erogazione. All’evocazio- G ne chiovendiana secondo cui “le parti sono i migliori giudici della loro difesa” dovrebbe rispondersi che, ad un tempo, “le parti sono i peggiori giudici della difesa altrui”, e così potrebbe proseguirsi all’infinito senza costrutto. Andando quindi al di là del contenuto normativo esplicitato nei progetti di riforma del codice di rito, il discorso si è artificiosamente spostato sui diversi tipi di giudice civile. Fino ai nostri giorni, la dottrina ne aveva conosciuto tre elaborazioni. Il primo tipo, unanimemente ripudiato, è quello del giudice dit- tatore, che si regge sul sistema inquisitorio. l secondo tipo è quello del giudice direttore, che ha poteri di ingerenza nel processo dall’inizio alla fine e che sottrae ai contendenti il diritto di disporre dei tempi del processo. Sembrava ineccepibile funzionalizzare questa immagine giudiziale ad espressione del principio di collaborazione, felice sintesi non tanto dei postulati dell’uguaglianza formale e dell’uguaglianza sostanziale, quanto delle garanzie costituzionali del contraddittorio e della parità tra le parti. Sennonché, nelle più recen- I ti ricostruzioni storiche, la scomoda paternità del modello del giudice direttore si è attribuita al ministro austroungarico Franz Klein, e tale genealogia è valsa a connotare quel modello con un tratto autoritario e liberticida. Il terzo tipo di giudice, però, a tutt’oggi noto è, senza ulteriori stadi intermedi, quello del giudice spettatore, proprio degli ordinamenti liberali. Sta al legislatore italiano della Riforma processuale smentire l’attendibilità di questa rigida tripartizione. ANTONIO SCARPA Giudice presso il Tribunale di Nocera Inferiore 37 L M IL “LIBRO BIANCO” SUL PROCESSO CIVILE C ome è noto, il ruolo del giudice civile negli ultimi anni si è fortemente modificato: il coagularsi di nuove aspirazioni, l’affacciarsi di nuove e più complesse pretese, la nuova dimensione sovranazionale e comunitaria del diritto e dei diritti, hanno esponenzialmente aumentato il numero delle controversie portate all’attenzione dei tribunali; ed il giudice civile si è trovato a gestire un’emergenza fatta non solo di grandi numeri, ma anche nuove difficoltà interpretative ed applicative; in tale situazione di emergenza, paradossalmente divenuta “ordinaria”, la preparazione del giudice, per quanto elevata possa essere, non basta più, ma deve essere accompagnata da attitudini manageriali, che consentano al giudice una migliore organizzazione del proprio lavoro per tentare di soddisfare le sempre più pressanti istanze di giustizia provenienti dei cittadini. Questo aspetto ‘manageriale’ è stato, sino ad alcuni anni orsono, rimesso alla libera iniziativa del singolo, continuandosi a privilegiare l’idea che il bravo magistrato, in particolare nel settore civile, è quello che redige ‘belle sentenze’, da pubblicare in riviste giuridiche e magari da spendere quali titoli per eventuali nomine a posti di prestigio (incarichi direttivi, massimario, ufficio studi, comitato scientifico, etc.). Ma la prospettiva è radicalmente mutata negli ultimi anni, ove si è assistito ad una sorta di “normativizzazione” del concetto secondo cui la professionalità del magistrato non si misura solo dalla 38 bravura tecnica, dall’aggiornamento dottrinale e giurisprudenziale, ma anche dalla “celerità nella conduzione del processo”, dalla “capacità di sintesi e di individuazione delle questioni da decidere”, dalle “modalità di conduzione dell’udienza”. Invero, il CSM, dopo analoghe modifiche nel marzo 2003 relative ai pareri per il passaggio dalle funzioni giudicanti e requirenti e viceversa, nel luglio 2003 ha emanato una circolare che, modificando quella “base” del marzo 1985, ha indicato espressamente i criteri di cui sopra quali necessari parametri cui gli organi preposti devono attenersi nella formulazione dei pareri per la progressione in carriera ed altre eventualità; è importante richiamare testualmente il passaggio in cui la circolare afferma che “appare opportuno .... procedere ad una puntualizzazione dei parametri .... per la valutazione della preparazione della capacità del magistrato, introducendo un riferimento alla capacità di predisporre idonei moduli organizzativi del proprio lavoro, in attuazione delle disposizioni non solo della legge processuale, ma anche delle circolari consiliari e delle disposizioni tabellari”. li interventi “paranormativi” dell’organo di autogoverno si raccordano con le sollecitazioni provenienti in questi anni dall’ANM, che, come detto, ha fatto dell’“efficienza” il punto centrale di discussione, spingendo sempre più la valutazione di professionalità del magistrato nell’ottica della laboriosità e delle capa- G cità organizzative. Questo è quanto si legge anche nella proposta sulle valutazioni periodiche di professionalità formulata dall’ANM in alternativa all’attuale progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario, e questo è il senso di altre iniziative dell’ANM, l’ultima delle quali organizzata nel dicembre ultimo scorso, avente ad oggetto proprio il tema dei rapporti tra “Processo civile ed organizzazione”. Su questa linea si è mossa l’attività del Gruppo civile dell’ANM, il quale, oltre a valutare i disegni di legge in materia processuale, sin dalla sua costituzione si è occupato del problema prioritario dell’efficienza della giustizia civile, non solo organizzando il convegno di cui si è appena detto, ma elaborando anche un “libro bianco” ove sono state indicate una serie di prassi e regole operative funzionali ad un più rapido ed efficace svolgimento sia del processo civile che di quello esecutivo. a stessa espressione “libro bianco” dà il senso del documento, che, lungi da pretese di esaustività ed esattezza, si propone solo di creare una traccia di lavoro, finalizzata a stimolare il dibattito piuttosto che a cristallizzare una volta per tutte delle verità inoppugnabili. Ed infatti del “libro bianco”, già oggetto di una prima valutazione nel corso del Convegno di dicembre, si parlerà prossimamente nelle sedi locali in incontri organizzati dalle giunte distrettuali, e in sede centrale in tavole rotonde e/o riunioni del Gruppo civile “aperte” alla partecipazione di docenti universitari, scienziati dell’organizzazione, rappresentanti degli organismi rappresentativi dell’avvocatura e del personale di cancelleria; e si auspica fortemente che, a seguito di tale iter, il “libro bianco” avrà L una struttura e una dimensione più complete, articolate e condivise. Rinviando in seguito ulteriori riflessioni sui possibili sviluppi del “Progetto libro bianco”, va detto che esso, nella sua articolazione attuale, è ripartito in tre capitoli: • il primo sulla “conduzione del processo” civile, che contiene i paragrafi sulla “fase preliminare”, sulla “gestione dell’udienza” e sulla “consulenza tecnica d’ufficio”; • il secondo, che riguarda “l’organizzazione dell’ufficio” e contiene i paragrafi sui “rapporti tra Presidente ed i Presidenti di sezione”, sul “confronto giurisprudenziale”, sull’“assegnazione dei processi” e sull’“informatizzazione dell’attività giudiziaria”; • il terzo, che concerne il “processo esecutivo”. Nel primo capitolo, tranne casi eccezionali, ad esempio allorché si auspica l’applicazione d’ufficio della disciplina di cui agli artt. 208 c.p.c. e 104 disp. att. c.p.c. in tema di decadenza dalla prova per testi (punto 1.2.h), non si impongono specifiche interpretazioni su questioni controverse, limitandosi invece a suggerire modalità di gestione del ruolo, dell’udienza, dei momenti di contatto con le parti, nonché modelli decisionali (sentenza tipo, sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., ordinanza ex art. 186 quater c.p.c.) ispirati alla figura di un giudice protagonista del processo, che dirige e conduce al fine di portarlo in un tempo ragionevole alla decisione finale, con la massima valorizzazione del contraddittorio effettivo tra le parti. E la valorizzazione di questo ruolo centrale e propulsivo del giudice, organizzatore del proprio lavoro più che giurista, è sottolineata sin dall’inizio, nella “fase preliminare” del processo: il giudice esamina il fascicolo per- venuto alla sua attenzione e ne individua l’oggetto, verificando se ha precedenti sul tema o se ha molte cause dello stesso tipo da trattare insieme (punto 1.1.a); • applica il differimento d’udienza ex art. 168 bis solo in casi eccezionali ovvero per fissare udienze monotematiche (punto 1.1.b); • si raccorda con la cancelleria per delibare immediatamente le istanze di chiamata in causa (punto 1.1.c); • fissa apposita udienza per i procedimenti cautelari, mentre, per evitare ingolfamenti, rinvia alla prima udienza la decisione sulle istanze meramente anticipatorie (punto 1.1.d). oi, nell’attività di “gestione dell’udienza”, egli studia anticipatamente le cause e prepara già, per la generalità dei casi, modelli standards di provvedimenti, onde evitare ritardi in udienza ovvero l’applicazione dell’istituto della “riserva”, che produce inevitabili rallentamenti per i dovuti adempimenti di cancelleria (punto 1.2.e); • prepara eventuali udienze monotematiche, che gli consentono di studiare e decidere unitariamente un filone analogo di cause (punto 1.2.f); • organizza le udienze per fasce orarie a seconda delle singole attività previste (prima comparizione, trattazione, istruttoria orale, incarico ad un CTU, discussione finale delle cause), garantendo in tale modo una più agile gestione delle udienze e consentendo sia ai legali che alle parti un più semplice contatto con il giudice (punto 1.2.g); • evita ritardi derivanti da eventuali rinvii d’ufficio, assicurando, in caso di impedimento allo svolgimento dell’udienza, la sua sostituzione con altro giu- P 39 • • • • • • 40 dice, ovvero rinvii ad udienze non troppo lontane, se del caso mediante la fissazione di udienze straordinarie, con i dovuti avvisi alle parti (punto 1.2.h); investe parte del suo tempo per studiare la causa prima della trattazione e per gestire il libero interrogatorio delle parti al fine di enucleare l’effettivo “thema decidendi” e “probandi” ovvero di tentare la conciliazione tra le parti, evidenziando tutti i vantaggi che possono derivare da una definizione immediata della causa e, al contempo, i rischi del futuro esito di quest’ultima (punto 1.2.i); utilizza modelli standards per la predisposizione dei verbali di causa, limitando la verbalizzazione ai soli elementi essenziali (punto 1.2.j); utilizza forme più moderne e semplificate per l’attuazione del contraddittorio cautelare, per gli avvisi al CTU e per la prosecuzione del giudizio interrotto (1.2.k); esercita i suoi poteri per velocizzare l’istruttoria orale, applicando d’ufficio le decadenze ex artt. 208 c.p.c. e 104 disp.att. c.p.c., disponendo subito l’accompagnamento coattivo o applicando sanzioni pecuniarie ai testi non comparsi (punto 1.2.l); non consente continui rinvii in caso di pendenza di trattative di bonario componimento, ma richiede l’applicazione dell’istituto della sospensione volontaria ex art. 296 c.p.c. (punto 1.2.m); adotta percorsi motivazionali nella stesura di ordinanze sommarie o istruttorie utili a definire i temi controversi ai fini di eventuali possibilità conciliative o agevolare la successiva stesura della sentenza (punto 1.2.n); utilizza in percentuali sempre crescenti la forma della sentenza ex art. 281 sexies c.p.c ovvero invita le parti ad utilizzare lo strumento dell’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. (sempre punto 1.2.n). n paragrafo a parte è stato dedicato alla “consulenza tecnica d’ufficio”, la quale nell’attuale processo civile riveste sempre una maggiore importanza ma che, non raramente, rallenta in modo significativo la durata del procedimento; per questo anche qui si è cercato di enucleare un modello diretto ad eliminare “tempi morti” attraverso: • l’immediata formulazione dei quesiti prima dell’udienza di conferimento dell’incarico, anche per consentire alle parti di controdedurre al riguardo; • la fissazione diretta in udienza della data di inizio delle operazioni peritali, senza avvisi e conseguenti ritardi; • la fissazione di tempi non lunghi per il deposito della relazione peritale; • l’invito al CTU di consegnare alle parti bozza della relazione prima del suo deposito onde consentire rilievi tecnici cui rispondere in sede di elaborato definitivo; • l’esclusione del rinvio, non previsto dalla legge, per esame CTU; • l’invito al CTU di consegnare “file” della relazione peritale, da trasfondere, per le parti condivise, direttamente in sentenza. È indubbio che il “libro bianco” non contiene solo l’elencazione di “prassi esistenti o possibili”, come si legge nel sottotitolo, ma contempla anche “prassi doverose”, nel senso che menziona alcune forme di gestione del processo civile imposte dalla legge, quali ad esempio lo studio preventivo dei fascicoli, l’effettività del libero U interrogatorio, la verbalizzazione sintetica non rimessa ai legali, la non concessione di un rinvio per esame CTU (punti 1.1.a, 1.1e, 1.2.e, 1.2.j. 1.3.q). Ma si tratta di prassi che, seppur “doverose”, devono essere ribadite e ricordate in quanto esse, purtroppo, ancora oggi non appartengono alla generalità dei magistrati, e dunque il richiamo ad esse significa sollecitazione ad acquistare quel ruolo “centrale” assegnato dal legislatore, coerentemente con il disposto dell’art. 175 c.p.c. che assegna al giudice la “direzione” del procedimento. Sempre al centro di tutto, in funzione propulsiva, c’è il giudice, il quale non conosce solo le norme sostanziali da applicare alla controversia, ma prima ancora conosce il fascicolo, le parti, l’importanza dell’ausilio della cancelleria, il ruolo indispensabile dei difensori; in definitiva, prima ancora conosce la stessa funzione del processo, con tutti i suoi protagonisti. Questa è la chiave di lettura, una visione complessiva dei problemi del processo civile, demandata al giudice e che consenta altresì a quest’ultimo di confrontarsi con problemi organizzativi più generali, relativi ai rapporti con l’utenza e i difensori, nonchè con tutto l’ufficio di appartenenza, anche nelle sue articolazioni amministrative. Cosicchè dal singolo giudice si passa all’intero ufficio giudiziario, ove è decisiva la funzione del dirigente, chiamato a garantire il processo produttivo dell’intera “macchina giudiziaria” di cui è a capo. u questo binario si colloca il capitolo 2 del “libro bianco”, relativo appunto all’“organizzazione dell’ufficio”. Il singolo giudice, qualsiasi sforzo faccia, ha bisogno di lavorare all’interno di una macchina che funziona, appunto perché, S nell’ottica meramente organizzativa, rappresenta una ruota di un ingranaggio più articolato e complesso. Per questo il capo dell’ufficio, il conducente di tale macchina, deve continuamente seguire il funzionamento di tutti gli ingranaggi di cui si compone: • proponendo riunioni periodiche coi presidenti di sezione sulle questioni tabellari, sulle questioni organizzative e sulla definizione delle cause più risalenti, sui flussi degli affari, sui rapporti con le sezioni distaccate, sugli orientamenti giurisprudenziali contrastanti (par. 2.1.a); • verificando la produttività dei singoli magistrati e delle singole sezioni (par. 2.1.b); • monitorando il funzionamento dei servizi di cancelleria (par. 2.1.c). Ma, soprattutto, al capo ufficio compete il compito di redigere i progetti tabellari, le norme generali di funzionamento dell’ufficio, ciò in ossequio ai criteri dettati in via generale dal CSM e facendo salvi in genere l’esigenza di semispecializzazione, il ricorso a programmi informatizzati di assegnazione dei processi, un efficace utilizzo dei GOT, magari destinati a particolari cause di minore difficoltà (par. 2.3.f e g). aturalmente, decisivo è anche il ruolo dei presidenti di sezione, che non solo devono collaborare col capo dell’ufficio per il funzionamento complessivo di quest’ultimo, ma devono controllare l’attività dei propri giudici e della propria cancelleria, stimolando poi il confronto fra i magistrati adempiendo ai compiti specificamente assegnati dall’art. 47 quater ord. giud (par. 2.2.d ed e). Come si vede, anche in questo caso, si tratta non di “prassi virtuose” ma “doverose”, ossia del- N l’applicazione delle norme e dell’adempimento dei doveri posti a carico dei dirigenti, i quali, peraltro, soprattutto in materia di redazione di tabelle, sono vincolati a disposizioni abbastanza rigide provenienti dal Consiglio. Ma anche in questo caso è opportuno richiamare l’importanza di tali regole di condotta, doverose ma che non sempre trovano concreta e precisa attuazione nell’esperienza di tutti gli uffici. Così come, in questo medesimo senso, è più che mai opportuno ribadire la necessità della sempre maggiore diffusione della cultura informatica all’interno degli uffici giudiziari, tra gli operatori amministrativi ma anche fra gli stessi giudici, che devono essere capaci di gestire le incredibili utilità che possono derivare dall’uso degli strumenti informatici, per attività di ricerca e di diffusione dei dati (par. 2.4.h. ed i). Ed infine, anche per il “processo di esecuzione”, trattato al capitolo 3, si suggeriscono standards organizzativi ed operativi funzionali ad un più efficace svolgimento nella fase attuativa dei comandi giurisdizionali. In particolare per il processo esecutivo immobiliare, che più degli altri risente storicamente di problemi di eccessiva lentezza e macchinosità, da un lato si sollecita l’applicazione di alcune novità normative che consentono di velocizzare i tempi processuali, quali ad esempio il ricorso alla delega notarile ex L. 302/98 per la vendita degli immobili o l’utilizzo ai sensi del nuovo art. 567 c.p.c. della certificazione notarile sostitutiva dei certificati catastali e dei registri immobiliari; dall’altro si segnalano prassi virtuose che hanno sortito importantissimi risultati in termini di tempi e misura dei realizzi, quali ad esempio la nomina dell’esperto prima dell’udienza di autorizzazione con giuramento reso senza la presenza delle parti, la nomina del custode in tutte le procedure con attribuzione in suo favore della facoltà di ottenere il titolo per la liberazione di tutti gli immobili prima della vendita, il ricorso ad adeguate e più moderne (per tutti Siti Web specializzati) forme di pubblicità delle vendite all’asta, complementari rispetto a quelle imposte dall’art. 490 c.p.c. La semplice lettura dei dati statistici di alcuni uffici giudiziari fa comprendere gli effetti positivi dell’applicazione di tali ultime prassi; ed è questa la ragione per la quale esse sono contenute nel “libro bianco”, che in questo caso assume in via eccezionale il valore di strumento propositivo di specifiche interpretazioni tecnicoprocessuali; ma, ancora una volta, la prospettiva non è quella di imporre opzioni interpretative, bensì di sottoporle all’attenzione di tutti, per evidenziare ancora una volta, ferma l’autonomia decisionale del singolo magistrato, il valore centrale dell’efficienza del processo. i è detto in precedenza dell’importantissimo ruolo rivestito da tutte le altre componenti del processo, gli operatori di cancelleria e gli stessi avvocati. Il continuo confronto, la fattiva collaborazione di tali componenti, peraltro, non solo sono necessarie per la buona riuscita, in termini qualitativi e di tempi, di ogni singolo processo, ma costituiscono altresì una condizione imprescindibile per l’applicazione efficace delle prassi del “libro bianco”, in particolare quelle sull’organizzazione dell’udienza, le quali in molti uffici non solo sono state concordate tra magistrati, nell’ambito del coordinamento di cui all’art. 47 quater ord. giud., ma sono confluite in “protocolli” proposti da organismi a composizione mista quali gli Osservatori per la Giustizia, “protocolli” in alcuni casi recepiti S 41 in appositi decreti di Capi ufficio e la cui rilevanza, al fine di “rendere il miglior servizio giustizia possibile”, è stata evidenziata anche dal Consiglio Superiore con la delibera del novembre 2002 oltre che con la recentissima delibera del luglio 2003 sulla formulazione dei pareri. Questi “protocolli” toccano in genere anche gli snodi principali del processo civile, indicando soluzioni concordate che consentono agli utenti della giustizia, e agli stessi magistrati, una semplificazione delle problematiche legate allo svolgimento del processo. Di questo progetto concordato possono, dunque, fare parte non solo gli aspetti, tipici, della organizzazione delle udienze per fasce orarie o per temi, ma anche altri menzionati nel “libro bianco”, come quelli dei rapporti con la cancelleria per le verifiche preliminari, della fissazione delle udienze per istanze cautelari, delle forme di notificazione semplificate, delle stesse prassi sull’assunzione della prova orale e sull’espletamento della CTU (punti 1.1.c, 1.1.d, 1.2.l. 1.2.m.). Ed ancora, nell’ambito di questi accordi tra tutti gli operatori del settore, accordi che traggono origine da un confronto aperto tra gli stessi, diventa ammissibile anche la fissazione di regole – rectius proposte – comuni sulle tematiche ricorrenti nel processo civile, quali ad esempio i provvedimenti adottabili all’udienza di prima compari- 42 zione, i delicati passaggi tra udienza di trattazione, appendice scritta ex art. 183 ult. comma c.p.c. e concessione dei termini ex art. 184 c.p.c.. unque, i “protocolli d’udienza”, proprio per la loro natura condivisa tra tutti i protagonisti del processo, adattata alle diverse realtà territoriali, possono assumere un ambito operativo maggiore rispetto a quella del “libro bianco”, che, si ripete, per esplicita scelta (e tranne poche eccezioni), non tocca le questioni interpretative di norme processuali. Anzi, proprio per questa particolare natura condivisa tra tutti gli operatori di una particolare realtà territoriale, i “protocolli” potrebbero al limite prevedere modelli diversificati di definizione dei processi, immaginando anche, per particolari cause, semplici o da non istruire, verbali standards nei quali le parti rinunzino a tutti i termini ordinari del codice per l’immediata spedizione della causa a sentenza, ovvero vi rinunzino in parte per saltare alcune fasi processuali, oggi imprescindibili alla luce delle norme del nuovo rito e dell’interpretazione da esse date dal Supremo Collegio. Questa è, probabilmente, la strada da intraprendere per realizzare quei moduli procedimentali flessibili, più rapidi ed efficaci, auspicati da una parte della dottrina, anche in occasione D dell’ultimo convegno ANM del dicembre ’03 su “Processo civile ed organizzazione”. Ciò non riduce, tuttavia, la decisiva importanza del “libro bianco”, col quale per la prima volta l’ANM è voluta passare dalle affermazioni generali di principio a più puntuali e concrete proposte operative per migliorare, a legislazione invariata, i tempi e l’andamento del processo civile; non più, come accaduto in passato, mera raccolta di prassi, ma proposizione di regole operative, che certo in alcuni casi non costituiscono novità, si impongono dalla stessa lettura delle norme, ma comunque da richiamare per la loro essenzialità ai fini del rapido e razionale e svolgimento del processo. Se questo “libro bianco”, costituente una prima bozza, una traccia di un “work in progress”, si svilupperà ulteriormente per recepire i suggerimenti provenienti da tutti i magistrati delle diverse realtà territoriali, dall’avvocatura, dai funzionari di cancelleria, oltre che dalla dottrina e da scienziati dell’organizzazione, ecco che si potrà dare uno strumento di assoluta importanza: una sorta di banca-dati, utile magari per elaborare un concordato “Protocollo” generale di riferimento che esprima un sentire comune degli operatori del settore in nome di una giustizia civile davvero al servizio dei cittadini. ALESSANDRO PEPE Giudice Tribunale di Napoli I RIMEDI ORGANIZZATIVI PER UN PROCESSO PIÙ EFFICIENTE 1. L’efficienza della giustizia è strettamente connessa all’effettiva vigenza del principio di indipendenza della magistratura. In un paese in cui il servizio giustizia non dà risposte adeguate, o non le dà tempestivamente, l’attività del giudice (e la stessa credibilità della sua funzione agli occhi dei cittadini) in effetti è subordinata al (mal)funzionamento della complessiva macchina amministrativa della giustizia. Il giudice inefficiente (per ragioni che non necessariamente sono a lui imputabili, ed anzi nella stragrande maggioranza dei casi sono ascrivibili esclusivamente alla (dis)organizzazione dei servizi della giustizia) è un giudice che non è “indipendente”; ciò che realizza di per sé una violazione della Carta costituzionale. L’efficienza della giustizia è, parimenti, misura dell’effettività del diritto di azione e di difesa e, quindi, del ruolo dell’avvocatura, valori centrali nel nostro ordinamento costituzionale democratico, anch’essi suscettibili di pericolose compressioni in conseguenza di una manchevole organizzazione dei servizi giudiziari. Com’è stato affermato, sussiste, in particolare, un ovvio nesso tra il finanziamento del sistema giustizia, da un lato, e la realizzazione addirittura dei principi della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, oggi chiaramente “costituzionalizzati” nel nuovo art. 111 Cost.: l’accesso alla giustizia ed il diritto ad un equo procedimento non sono garantiti adeguatamen- L M te se un affare non viene definito entro un lasso temporale ragionevole da un Tribunale che possa fruire di risorse adeguate. I principi generali e gli “standards” del Consiglio dell’Europa sul finanziamento della giustizia impongono agli Stati di rendere disponibili risorse finanziarie che fronteggino le necessità dei diversi sistemi giudiziari (1). La giustizia civile in Italia soffre, più di ogni altro settore della giustizia e dello stesso complessivo settore “pubblico”, di cronica indigenza. Stenotipia e fono/videoregistrazione – quali modalità di documentazione degli atti consentite dalle moderne tecnologie che, sino ai recenti “tagli” di bilancio governativi, sembravano acquisite nel settore penale – non sono mai state concesse al processo civile, a dispetto del fatto che, negli altri paesi europei, riforme di procedura civile sono state incentrate proprio sull’eliminazione della necessità di documentazione cartacea del processo, quale fattore di costo e di lungaggine (2). Giudici ed avvocati sembrano 2. (1) Così il parere n. 2 del Consiglio Consultivo dei Giudici Europei presso il Consiglio d’Europa del 23 novembre 2001, ove è suggerito che le decisioni in tema di stanziamenti per la giustizia tengano conto delle opinioni espresse dalla magistratura, raccolte ad es. nell’ambito dell’organo di autogoverno. (2) Il riferimento è, in particolare, alla riforma del processo civile spagnolo introdotta con la “Ley” 1/2000, del 7.1.2000, sull’“Enjuiciamiento Civil”, entrata in vigore l’8.1.2001. 43 quasi rassegnati all’idea che in Italia non si debba, poi, mai eguagliare uno “standard” medio europeo, entro il quale uno “staff” preparato e disponibile, potendo contare su adeguate risorse materiali, coadiuva il giudice, gli avvocati e lo stesso processo, predisponendo gli adempimenti e la documentazione processuale di “routine” e consentendo che avvocati e giudice si concentrino sull’“in sé” della controversia, sul piano istruttorio e decisorio. Gli stessi “luoghi” dove la giustizia civile è amministrata sono spesso “di risulta”, mancando quasi sempre spazi idonei per l’audizione delle parti e dei testi, la verbalizzazione, la ricezione e la conservazione degli atti, ed in generale per lo svolgimento del lavoro dell’avvocato e del giudice del settore civile. Interventi su questi fronti sono sempre solo futuribili, non divengono mai “concreti” nell’agenda politica del Paese. Il dibattito politico si concentra, semplicisticamente, sul tentare di verificare, non senza polemiche circa l’attendibilità dei dati, se o meno il livello di spesa complessivo (non – si badi – gli stanziamenti specifici per la giustizia civile) sia paragonabile a quello degli altri Paesi. Anche a prescindere da tale dibattito, sembra peraltro che in Italia qualsiasi miglioramento della giustizia civile debba passare non per interventi organizzativi e strutturali, ma per una riforma processuale (senza aversi riguardo a se, eventualmente, riforme siano state già di recente varate, onde logica vorrebbe che se ne debbano riscontrare gli effetti in prosieguo di tempo) (3). La magistratura associata è consapevole, e intende riaffermare anche attraverso questo Convegno, che l’assetto del processo è una variabile tutto 3. 44 sommato secondaria (pur se importantissima di fronte alle esigenze di tutela dei diritti e del contraddittorio) rispetto all’obiettivo di una giustizia civile efficiente. Anche il migliore dei processi sulla “carta”, meglio idoneo a tutelare in astratto le esigenze delle parti, non può funzionare se mancano le risorse, strutturali ed umane, minime per la sua attuazione. La magistratura associata deve responsabilmente ricordare che – pur essendo evidenti le inadempienze governative che si trascinano da anni, a fronte del precetto costituzionale che affida al Ministro della giustizia l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi (art. 110 Cost.) – gli stessi magistrati possono e debbono operare nel senso di rafforzare la propria attività sul fronte organizzativo, con una doverosa autocritica per le disattenzioni del passato. È nell’ottica che ho tratteggiato che la sessione che ho il privilegio di coordinare, nell’ambito di questa “Assemblea aperta”, andrà a trattare sia temi che rimandano ad evidenti competenze dell’esecutivo (in ordine ai quali, in questa sede associativa, dovremo far sentire chiare le rivendicazioni dei magistrati addetti al settore civile e, auspicabilmente, degli avvocati); sia temi che implicano l’esercizio di potestà dell’auto-governo in raccordo con l’avvocatura (ed in questo senso il ruolo comune dell’ANM e delle organizzazioni forensi deve porsi nel senso della sottoposizione di adeguati stimoli all’attività del CSM); sia, infine, temi che afferiscono al profilo interno dell’attività dei capi degli uffici (non potendo l’ANM tacere in ordine a quale debba essere, al riguardo, un adeguato modello di dirigente). 4. 5. Spetta, ovviamente, ai relatori affrontare le specifiche tematiche di loro competenza, in merito alle quali si svilupperà poi il dibattito. A me preme affrontare, da un punto di vista per così dire “generalista”, quali siano gli snodi individuati quali critici dalla Commissione di studio dell’ANM di cui faccio parte, e sui quali crediamo si debba giocare una qualsiasi “proposta” credibile. Al primo posto tra le priorità – priorità valevole per tutti i settori della nostra giustizia, e di spiccata spettanza politica – va ovviamente inserita la revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Per la giustizia civile questa priorità assume un valore “simbolico” di ricerca di un equilibrio “moderno” (quello attuale rimontando a decenni e, più spesso, addirittura secoli addietro) tra i profili (territoriale e per materia) della domanda di giustizia, da un lato, e della composizione (per numeri e, possibilmente, per vocazione per settori di contenzioso) degli apparati di giustizia (i giudici entro le strutture dei tribunali ma anche la classe forense che vi afferisce), dall’altro. La classe politica ha sempre ma- a) (3) La riforma proposta dalla Commissione ministeriale presieduta dal Prof. Vaccarella, con relazione depositata nel luglio 2003, è stata recepita in un d.d.l. delega governativo approvato dal Consiglio dei ministri il 24 ottobre 2003, mentre divenivano evidenti i sensibili miglioramenti del quadro della giustizia civile promossi dalla “novella” processuale del 1990-1995 ed ulteriormente rafforzati dall’introduzione del giudice di pace, delle sezioni stralcio e del giudice unico di primo grado. Un’ulteriore razionalizzazione potrebbe provenire, sì come auspicato dall’ANM e da organismi dell’Avvocatura, dall’approvazione anche da parte del Senato del testo unificato di mini-riforma varato dalla Camera dei deputati il 16 luglio 2003 (v. le osservazioni dell’ANM sul sito www.associazionemagistrati.it). nifestato difficoltà ad affrontare questo tema, spesso mascherando dietro altisonanti proclami di favore per la diffusione degli uffici sul territorio (slogan sempre meno valido all’esito dell’indubbia razionalizzazione del sistema dei trasporti conosciuta dal nostro Paese dall’ultimo dopoguerra) vere e proprie pressioni campanilistiche. L’Associazione Magistrati non può più tacere. Si deve passare, d’intesa con l’Avvocatura, alla denuncia documentata del fatto che troppi uffici giudiziari scontano inammissibili “costi fissi” connessi alla necessità di mantenere comunque una dimensione minima, non giustificata dal contenzioso in essere. Vanno così liberate risorse a favore di realtà territoriali che, invece, conoscono uffici perennemente in affanno. Quale strumento rispetto al fine di cui innanzi, ma anche per il perseguimento di ulteriori fini a sé stanti, nel momento in cui si deve procedere alla razionalizzazione degli assetti della magistratura civile “togata”, non può ulteriormente dilazionarsi la risistemazione della magistratura civile onoraria. L’Associazione Magistrati ha avanzato proposte che mirano ad un complessivo ripensamento del ruolo dei giudici onorari, ed in particolare del giudice di pace. L’apporto del giudice di pace è stato senz’altro importante in questi anni, ma sulla base dell’esperienza avutasi possono registrarsi i limiti dell’attuale quadro normativo. Limitandomi a taluni aspetti, credo che si possa e si debba anzitutto ridiscutere del riparto di competenza tra giudice di pace e giudice professionale, anche al fine di chiarire agli occhi del cittadino che determinati settori di contenzioso, anche più importanti di quelli attualmente previsti, debbono e possono essere affida- b) ti ad un servizio giustizia non propriamente “minore”, ma avente diverse caratteristiche. Va ripensata la sottrazione all’appello del giudizio di equità, il cui ambito potrebbe invece essere ampliato a fronte di un riesame semplificato dinanzi al giudice professionale. Va poi rilanciata la funzione conciliativa del giudice di pace, del tutto trascurata dagli operatori. Va rivisto – coraggiosamente – il sistema di reclutamento (onde scongiurare il diffondersi di situazioni – pur giuridicamente ineccepibili – di incompatibilità “larvata”) e di formazione. In quest’ottica di necessità di un ripensamento complessivo sulla magistratura onoraria, su cui sono “in itinere” elaborazioni ministeriali, non pare accettabile una mera “prorogatio” dei g.o.a., di cui si discute in questi giorni. Per essi, come pure per i giudici di pace ed i g.o.t., non pare opportuna né auspicabile la creazione, attraverso una stabilizzazione di fatto, di un circuito di “precariato” giudiziale (4). Un incisivo intervento riorganizzativo della giustizia civile non può non passare, come da anni l’Associazione Magistrati rivendica, con l’appoggio dell’Avvocatura, attraverso la valorizzazione della funzione di cancelleria e la creazione dell’“ufficio del giudice”. A differenza che nel settore penale, il giudice (e l’avvocato) civilista operano, nel processo, senza alcuna assistenza né di cancelleria, né di personale di supporto al giudice. Mentre la carenza di personale di cancelleria, in presenza di una disciplina che prevede ed impone la partecipazione al processo del cancelliere (e di ulteriore personale amministrativo ed ausiliario), è del tutto riconducibile alla sola politica limitativa del personale adottata in sede governativa, pur- c) troppo allo stato senza sensibili proteste da parte degli operatori, la mancanza di una struttura di personale “dedicata” al supporto del giudice e del processo (si è affermata ormai la dizione di “ufficio del giudice”, a somiglianza della “law clerkship” anglosassone) è anche ascrivibile ad una carenza normativa. Il giudice italiano, del tutto isolato nel panorama europeo, si ritiene possa efficientemente operare, non solo senza alcun ausilio nella gestione dell’udienza, nella verbalizzazione del processo e nella estensione dei provvedimenti (tipici compiti del cancelliere), ma anche senza alcun supporto nella predisposizione della documentazione più varia, nell’effettuazione delle ricerche, nella elaborazione, anche a mezzo di strumenti informatici, di provvedimenti di “routine”, dell’agenda del giudice, ecc. (compiti di una moderna struttura di supporto “dedicato” al giudice). Siamo consapevoli del fatto che sul tema della costituzione dell’ufficio del giudice, già prevista dalla disciplina contrattuale collettiva (inattuata), sussistono posizioni diversificate dei sindacati del personale amministrativo; sussistono altresì disegni di legge in Parlamento, confluiti – a mio avviso del tutto impropriamente – nell’ambito del dibattito sulla riforma dell’ordinamento giudiziario (5). (4) Successivamente rispetto all’intervento di cui al testo veniva emanato il D.L. 24 dicembre 2003, n. 354, convertito poi, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2004, n. 45, che prorogava di due anni il termine massimo di scadenza dei g.o.t. in servizio. (5) Successivamente rispetto all’intervento di cui al testo, in sede di approvazione da parte del Senato in data 21 gennaio 2004 del d.d.l. - delega in tema di riforma dell’ordinamento giudiziario, è stata inserita, a seguito di emendamento, una norma recante l’istituzione di un “ufficio del giudice”, connotato però da trat- 45 La giornata di oggi deve servire ad un confronto anche su questo tema, cruciale per un recupero di efficienza ed un allineamento del nostro servizio di giustizia civile a quello degli altri Paesi. Il dibattito odierno dovrà poi sottolineare l’importanza che, in un sistema improntato alla migliore gestione dei carichi e dei flussi di contenzioso (“case load management” e “case flow management”), può svolgere lo strumento organizzativo che – a differenza degli altri – è nella disponibilità del circuito dell’autogoverno: le tabelle degli uffici giudiziari. Lo strumento tabellare ha visto opportunamente, negli anni, viste ampliate le sue applicazioni e potenzialità. Esso, opportunamente utilizzato, può, grazie alla sua flessibilità, dare molti risultati nel senso del recupero di efficienza. Tuttavia, la sua concreta operatività di strumento di allocazione di d) 46 risorse dipende da una variabile che, invece, non è nella disponibilità esclusiva dell’auto-governo, dipendendo da decisioni ministeriali e dei capi degli uffici. Alludo alle rilevazioni statistiche ed alla loro veicolazione entro appositi uffici da costituirsi ai diversi livelli dei Tribunali e delle Corti. Solo un sistema statistico attendibile e significativo (qualità non sempre riconoscibili nelle attuali metodologie) può servire infatti a pianificare, a verificare (monitoraggio), a modificare di tempo in tempo le scelte organizzative operate attraverso le tabelle. Le sperimentazioni sono significative. Gli interventori odierni ci forniranno degli utili spunti di riflessione. Bisognerà, infine, guardare al futuro. L’esame del corretto impiego degli strumenti informatici, a fini di supporto “globale” all’attività giudiziaria, formerà l’oggetto di ulteriori momenti di confronto. e) Il processo telematico, che stenta a decollare, deve rappresentare un traguardo prossimo, superandosi le resistenze di carattere culturale di tutti gli operatori. Una ricognizione dell’esperimento “Polis”, che tende ad una “reductio ad unum” degli aspetti gestionali e processuali dell’attività degli uffici, costituirà anch’essa oggetto di discussione. RAFFAELE SABATO Giudice Tribunale di Napoli ti difficilmente compatibili con le sollecitazioni degli operatori. L’organico, infatti, sarebbe del tutto insufficiente, di sole 2.250 unità, assunte con contratto atipico per un periodo biennale rinnovabile per una sola volta, con retribuzione su tredici mensilità ciascuna di importo pari a euro 1.032, al netto delle imposte e degli oneri previdenziali, oltre ISTAT, oneri cui si provvederebbe mediante l’istituzione di una singolare imposta pari al 3 per cento della massa attiva risultante dalle procedure concorsuali chiuse nell’anno. Ciò che più stupisce, però, è il fatto che l’ufficio sarebbe istituito solo in via sperimentale, per quattro anni! LE RIFORME PROCESSUALI Il Testo Unificato del Disegno di legge recante “Modifiche al codice di procedura civile” U na giustizia civile efficace e funzionale costituisce lo strumento indispensabile per la tutela dei cittadini, in un momento storico connotato dalla nascita di nuovi diritti che premono alla porta della giurisdizione e dal parziale affievolirsi di molte garanzie giurisdizionali”. Da questa affermazione – costituente l’incipit del documento conclusivo del convegno “Processo ed Organizzazione: assemblea aperta sui problemi della giustizia civile”, tenutosi a Roma, su iniziativa dell’Associazione Nazionale Magistrati, l’11-12 dicembre 2003 – può ricavarsi, allora, la grande rilevanza del tema delle riforme del codice di rito, soprattutto in considerazione di quello che definirei il conclamato stato di grave crisi in cui versa attualmente il processo civile. Nell’ultima relazione del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione in occasione della recente cerimonia di apertura dell’anno giudiziario, si evidenzia, infatti, che i dati statistici in essa riportati – ed in particolare quelli relativi ai giudizi di primo grado davanti al tribunale – “mettono in luce miglioramenti significativi, ma ancora inadeguati rispetto alla gravità della crisi di efficienza che attanaglia il nostro sistema di giustizia civile. Una crisi che è avvertita quotidianamente dai cittadini, che ne soffrono le conseguenze, e dagli osservatori stranieri che, mentre apprezzano la nostra giurisdizione per il suo livello di professionalità e di indipendenza, guardano invece “ L M con preoccupazione all’abnorme lentezza dei processi nel nostro Paese”. La responsabilità di questa crisi, peraltro, non può essere semplicisticamente ascritta – se non in proporzioni minime e riconducibili a specifici casi di inosservanza dei doveri di professionalità e diligenza – alla magistratura, né agli altri operatori: è chiaro, infatti, che la stessa va attribuita essenzialmente alla carenza di mezzi e strutture, statisticamente e burocraticamente evidenziabili come cause di omissioni, ritardi, rallentamenti e discrasie nel servizio giustizia. Lo stesso Procuratore Generale, infatti, nella citata relazione, ha affermato che “la giustizia civile è ancora in crisi, specie per il fatto che non è in grado di affrontare il problema del progressivo aumento dei nuovi procedimenti, avendo scarsi margini di recupero in punto di produttività, soprattutto negli uffici giudiziari più importanti e non essendo perciò in grado di avviare, con l’attuale apparato normativo e organizzativo, un sia pur lento e graduale miglioramento dell’efficienza, che richiederebbe non solo di eliminare progressivamente il lavoro arretrato, destinato a produrre la durata eccessiva dei processi, ma anche di fronteggiare a pieno la sopravvenienza dei nuovi processi”. ppare di tutta evidenza, allora, l’urgente necessità di porre in essere misure che siano idonee non soltanto a sgombrare il tavolo dal pesante arretrato che lo appesantisce, ma soprat- A 47 tutto che riescano, per quanto possibile, ad evitare, per il futuro, il formarsene di altro (conclusione forse troppo ottimistica). Il raggiungimento di tali finalità, peraltro, richiederebbe la destinazione al settore giustizia di maggiori risorse economiche ed operative: poiché, invece, nell’ultimo periodo, si è concretizzata una consistente diminuzione di interventi economici, al punto che alcuni programmi si sviluppo – specie in ambito informatico – che molto promettevano lo scorso anno, sono stati se non eliminati, molto ridimensionati, occorre prendere atto che la magistratura ha il dovere di cercare di raggiungere gli obbiettivi suddetti con il proprio massimo impegno ed utilizzando nel modo migliore possibile gli strumenti e le risorse comunque disponibili. In quest’ottica, pertanto, deve effettuarsi la valutazione del Testo unificato di "Modifiche al codice di procedura civile", così come approvato dalla Commissione Giustizia della Camera in sede legislativa nella seduta del 16 luglio 2003 ed ora all’esame della Commissione Giustizia del Senato con il n. 2430. Tale testo legislativo si compone di circa 74 articoli che investono la disciplina del processo civile in modo ampio. n particolare, – pur rinviandosi, per i maggiori approfondimenti di natura tecnica, alla apposita scheda elaborata dalla commissione studi del civile costituita all’interno dell’A.N.M. – può, in questa sede, succintamente evidenziarsi che alcune disposizioni di tale Testo mirano a conseguire effetti acceleratori e deflattivi, anche colpendo la dilazione ingiustificata e l’abuso del processo (si pensi, ad esempio, alla nuova disciplina in tema di responsabilità processuale aggravata), ovvero introducendo tecniche di coerci- I 48 zione indiretta per l’esecuzione delle sentenze di condanna a prestazioni infungibili. Altre disposizioni tendono ad attuare una semplificazione delle forme o ad agevolare gli adempimenti degli uffici giudiziari e dei difensori, mentre con ulteriori aggiustamenti si persegue l’intento di restituire maggior rigore alla disciplina della prova testimoniale. Gli interventi sugli artt. 180-184 c.p.c. hanno lo scopo di conferire maggiore duttilità alla fase di trattazione della causa, pur mantenendola sotto il controllo direttivo del giudice. La soluzione proposta, per quanto tecnicamente non sia l’unica possibile, ha, come si è già evidenziato, il pregio di non determinare sconvolgimenti nell’impianto attuale, di mantenere il rapporto trilatero giudice/parti nell’alveo del dialogo e del contraddittorio sin dalla fase iniziale della controversia, di ribadire il metodo dell’oralità come cardine del processo, e di preservare – con un regime temperato di preclusioni e decadenze – la caratteristica essenziale del processo che è (e deve essere) una funzione pubblica dello Stato anche quando sono privati gli interessi in gioco. Un giudizio positivo deve essere espresso con riguardo alla previsione che i provvedimenti cautelari emessi ai sensi dell’articolo 700 c.p.c. o comunque anticipatori degli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, ed i provvedimenti di danno temuto emessi ai sensi dell’art. 688 c.p.c. mantengano la loro efficacia anche in assenza dell’inizio del giudizio di merito. Pur essendosi preferito mantenere una disciplina ibrida dei provvedimenti possessori, vengono in questo modo parzialmente accolte le istanze, ripetutamente formulale anche in sede associativa, in ordine all’allentamento del rapporto di strumenta- lità necessaria tra provvedimento cautelare e giudizio di merito. ositivamente, poi, va accolta la previsione di modifica dell’art. 319 del c.p.c. sulla costituzione in giudizio delle parti innanzi al giudice di pace, mentre, quanto al previsto aumento della sua competenza per valore, non può negarsi, in questa sede, che verosimilmente sarebbe preferibile operare una modifica contenente una attribuzione di competenza accentrata su materie di più semplice regolamentazione giuridica. Il disegno di legge si propone di intervenire anche sul giudizio di cassazione, sia opportunamente prevedendo che all’udienza di discussione le parti prendano la parola dopo le conclusioni motivate esposte oralmente dal Procuratore Generale, sia introducendo l’obbligo di pubblicazione del dispositivo della sentenza o dell’ordinanza entro il termine di legge o in quello prorogato dal Presidente del collegio con decreto motivato. Quanto, invece, alla previsione di modifica dell’art. 70 c.p.c. e dell’art. 76 ord. giud., la Giunta ANM della Cassazione ha già avuto modo di esprimersi manifestando critiche e preoccupazioni per il “vulnus” che ne verrebbe arrecato al ruolo istituzionale del Pubblico ministero di rappresentare nel giudizio di Cassazione l’interesse pubblico all’uniforme interpretazione della legge. Gli interventi relativi al processo di esecuzione si ispirano, infine, a condivisibili finalità di razionalizzazione complessiva della disciplina, perseguite per il tramite: della limitazione dell’intervento ai soli creditori muniti di titolo esecutivo oltre che a quelli titolari di diritti di prelazione risultanti da pubblici registri; dell’estensione a tutte le forme di espropriazione del potere del creditore pignoran- P te di indicare agli intervenuti altro bene utilmente pignorabile; di alcune previsioni dirette a favorire la ricerca dei beni da pignorare; dell’ampliamento del rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi anche per le contestazioni derivanti dalla distribuzione del ricavato; della commisurazione degli effetti del pignoramento presso terzi al credito per cui il pignoramento viene attuato; del conferimento al giudice dell’opposizione al precetto del potere di sospendere l’efficacia del titolo ovvero dell’esecuzione iniziata. n conclusione, anche interventi di semplice razionalizzazione possono favorire il recupero di funzionalità della giustizia civile, e l’ANM, associandosi alle valutazioni positive già espresse dall’AIGA e dall’OUA, ha già manifestato apprezzamento per le linee complessive del disegno di legge auspicandone una rapida approvazione in Parlamento. Il testo della proposta è naturalmente perfettibile, e l’ANM, con le osservazioni contenute nella I “scheda tecnica” che recepiscono indicazioni della dottrina, di gruppi associativi, degli Osservatori sulla giustizia civile, di singoli magistrati, si propone di fornire un contributo costruttivo in questa direzione. Preme qui osservare, comunque, che il disegno di legge, senza sconvolgere il sistema e senza imporre mutamenti radicali che sottoporrebbero la pratica a inesigibili sforzi di adattamento, si inserisce in modo del tutto coerente nel solco tracciato con le riforme processuali del 1973 e del 1990. Diventano ancora più forti, allora, le perplessità per la divaricazione che si è venuta a creare tra il rito adottato con riguardo ai procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione bancaria e creditizia di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, ed il rito che, almeno per il momento, disciplinerà le restanti controversie civili. Neppure la specialità degli interessi coinvolti nel primo “tipo” processuale, infatti, può giustificare una divaricazione così netta, che si traduce nella coesistenza, all’interno di uno stesso sistema processuale, di antitetiche concezioni del processo, per cui in quello societario e bancario alle parti sarebbe consentito di incidere sui tempi e sulla durata della lite, di prendersi pause di surplace, di disporre delle preclusioni e delle decadenze, con sottrazione della fase di definizione del thema decidendum al contatto tra giudice e litiganti, in contrapposto alla versione “pubblicistica", propria del rito ordinario comune, che eleva il giudice a motore del procedimento anche contro la volontà temporeggiatrice dei contendenti, e nel cui ambito il processo si svolge fin dall’inizio in un rapporto dialettico che, anche per effetto dei controlli preliminari e di un meccanismo razionale di preclusioni e decadenze, porta alla graduale e non dispersiva individuazione del thema decidendum e del thema probandum. EDUARDO CAMPESE Giudice presso il Tribunale di Napoli 49 L M BREVI CONSIDERAZIONI SULLE RIFORME DEL PROCESSO CIVILE P er rispondere al pessimismo irreversibile espresso da più parti sulle sorti del processo civile l’ANM ha voluto testimoniare il proprio impegno con il convegno Processo e Organizzazione del dicembre scorso, nella consapevolezza che il buon funzionamento del processo civile è fattore di equilibrio sociale e di strumento di garanzia dei diritti. E lo ha fatto cercando di aprire un tavolo di confronto aperto a tutti, ed a tutto campo, indicando, in quella sede, una strada alternativa, alla riforma complessiva del processo, che passa per la diffusione di prassi ragionevoli, già elaborate in molti uffici giudiziari, esempio di una proficua dialettica fra il giudice e le parti, ma che debbono essere necessariamente accompagnate da interventi radicali sul piano delle risorse materiali ed umane, affinché si creino le condizioni strutturali, organizzative e culturali indispensabili per il buon funzionamento della giustizia civile. L’ANM intende però coltivare con profonda convinzione anche il confronto sulle riforme. Ed anzi, ha offerto esplicitamente di farsi promotrice del dibattito sulle prospettive del processo civile, ritenendo che il dialogo e l’analisi costruttiva possano davvero condurre al superamento delle divisioni ed all’individuazione delle soluzioni più conformi all’interesse generale della collettività. Nessuno intento polemico, dunque, da parte dell’ANM, ma solo il convincimento che gli interventi 50 sul processo da soli non riescono ad assicurare alcun risultato rivoluzionario in termini di recupero dell’efficienza e di riduzione dei tempi. E tuttavia questo è l’unico campo nel quale l’attuale maggioranza ha deciso di sperimentarsi con il disegno di legge delega (1) che recepisce il progetto della Commissione presieduta dal prof. Romano Vaccarella, la cui discussione alla camera è prevista per il mese di marzo. Si tratta di un progetto, le cui linee tendenziali, sono ormai note (2), che ha optato per un processo di natura strettamente privatistica, in forza della quale la lite è una cosa delle parti, dal cui scontro scaturisce la migliore soluzione delle controversie. Anche se colpisce, che il nuovo modello procedimentale muova dal pregiudizio secondo cui affidare il processo al giudice significa intralciarne la speditezza, quello che occorre chiedersi è se un simile processo garantisca una ragionevole durata. li interventi sulla disciplina processuale, specie se sorretti da un radicale mutamento di prospettiva del rapporto giudiceparti, debbono dimostrare una coerenza fra gli obiettivi dichiarati ed i risultati raggiungibili. G (1) Approvato in Consiglio dei Ministri il 24.10.2003. (2) Le linee tendenziali del processo oggetto del progetto di riforma Vaccarella sono state sostanzialmente anticipate dal d. lgs. n. 5 del 7 gennaio 2003 sulla riforma del diritto e del rito societario. E qui il nuovo modello che si propone, quello con cui ci si propone un po’ troppo enfaticamente di “portare la nostra società nel terzo millennio” (3), mostra subito la sua debolezza. La lunghissima trattazione scritta avrà forse l’effetto di restringere la durata del processo in senso stretto, a partire dal primo intervento del giudice alla sentenza, ma non riduce, neppure in minima parte, il tempo della risposta giurisdizionale alla domanda di giustizia, che per il cittadino è quello che passa dal momento in cui egli affida il proprio caso al difensore alla pronuncia finale. In più, e si tratta di una considerazione che deve suscitare preoccupazione, la privatizzazione della fase preparatoria acutizza la disparità sostanziale ed economica fra le parti. Laddove infatti si mettono in gioco le abilità difensive (e chi ha i difensori migliori gioca meglio le sue carte nel prepocesso senza giudice) piuttosto che la fondatezza delle posizioni sostanziali, ci si sposta su un piano di assoluta astrattezza rispetto ai diritti controversi rendendo possibile il formarsi di un solco sempre più profondo fra la verità sostanziale e quella processuale. Ma è questo il giusto processo della Carta Costituzionale? Il processo giusto, infatti, non può e non deve essere solo quello che assicura l’imparzialità del giudice, la ragionevole durata, la parità delle armi dei contendenti. Il processo giusto è quello che assicura a chi chiede tutela la possibilità effettiva di ottenerla, in modo per quanto più possibile indipendente dalla sua capacità economica e dalla scaltrezza processuale dei suoi difensori. on solo ma appare davvero illusorio pensare che gli ingorghi processuali evitati con la trattazione preprocessuale senza giudi- N ce non tornino a formarsi nella fase successiva, con l’istanza di fissazione dell’udienza, momento nel quale si realizza finalmente il primo contatto fra il giudice e le parti; o che affidarsi ad sistema meccanico di preclusioni, sostanzialmente oggetto dell’eccezione della parte interessata, ponga il giudice, nelle condizioni migliori per la pronuncia di una decisione giusta sotto il profilo sostanziale. Ma vi sono altri aspetti della riforma che, pur senza intervenire direttamente sui tempi del processo, possono destare qualche inquietudine per i possibili riflessi sulla vita dei cittadini, terzi rispetto alla controversia. Si tratta delle previsioni in ordine all’attività istruttoria delle parti, secondo cui i difensori avranno la possibilità di assumere, anche prima del giudizio, dichiarazioni testimoniali scritte, sulla semplice base del conferimento del mandato. La dilatazione del potere dispositivo della parte in ordine alla formazione della prova, sfuma in un vero potere di indagine Ora, è pur vero che altri ordinamenti conoscono simili istituti (affidavit e attestation), ma occorre valutare seriamente se da noi esistano le condizioni culturali per una simile rivoluzione. E non è tutto, perché il potere delle parti si spinge fino alla possibilità di chiedere ed ottenere dalla pubblica amministrazione documenti ed informazioni scritte in vista del giudizio, ed indipendentemente dalla sua instaurazione, con buona pace in ordine alla tutela della privacy dei cittadini. Anche con la riforma del sistema delle impugnazioni, la logica dell’efficienza e della rapidità viene perseguita solo a parole. Un processo d’appello che se esclude in linea di principio le nuove domande, ammette nuove allegazioni e nuove prove dive- nendo così del tutto simile al processo di primo grado, con tutte le possibili conseguenze in ordine alla celerità di definizione della controversia. ambiziosa riforma del giudizio di cassazione infine, rivolta, nelle intenzioni espresse dai compilatori, alla disciplina della funzione nomofilattica della Corte, contiene in sé alcune disposizioni che possono condurre ad un ulteriore e sicuro aggravio di lavoro: • come la previsione che impone l’enunciazione del principio di diritto in relazione a tutti i motivi del ricorso per cassazione, anche quando assorbibili; Le perplessità sino ad ora manifestate con riguardo alla idoneità della nuova disciplina a permettere il raggiungimento dell’effettiva diminuzione della durata del processo, non significano affatto disconoscere che vi sono nel progetto di riforma alcune misure capaci in concreto di dare impulso e speditezza alla lite: • come la disposizione che introduce la generalizzazione del meccanismo di discussione orale e della immediata pronuncia della sentenza, con lettura del dispositivo e della concisa motivazione, riservando alle sole ipotesi di particolare complessità della lite, il deposito della decisione nei trenta giorni successivi all’udienza; • come le previsioni che introducono il procedimento sommario di cognizione, ispirato al référé, che risponde bene alle esigenze di creazione di un titolo esecutivo, reclamabile, che prescinda dall’accertamento, assai utile qualora og- L’ (3) Sono le parole dell’editoriale con cui F.P. Luiso dal sito www.giustizia.it presenta il disegno di legge delega ai cittadini. 51 getto della controversia siano diritti di credito, e consente una definizione immediata della lite; • come l’introduzione del procedimento sommario anticipatorio, anche nel corso del processo a cognizione piena, con l’idoneità del provvedimento ad eventualmente definire il processo. ondimeno anche se è opportuno cogliere ciò che di buono e di utile è contenuto nel complessivo progetto Vaccarella, vanno ribaditi i rischi che l’abbandono dell’oralità e della funzione direttiva del giudice sul processo possono comportare per la domanda di giustizia. Indifferibili infine appaiono, sotto il profilo delle riforme, da un lato, la costituzionalizzazione del rito camerale, tuttora rimesso alla pura discrezionalità del giudice, e dall’altro, una riforma organica N 52 della magistratura onoraria, capace di superare le logiche dell’emergenza e di affrontare pubblicamente ed in modo trasparente il ruolo affidato al giudice non professionale. Il processo, quanto più la società è complessa, tanto più deve diventare un luogo di comprensione dei conflitti che essa esprime; e deve rimanere un momento in cui la dialettica e l’oralità consentono al cittadino di essere ascoltato e di concorrere alla formazione del convincimento del giudice. Finché l’accesso alla giustizia e la promozione della eguaglianza sostanziale restano fra i cardini su cui si fonda lo stato di diritto non può interessare solo che pronunciare la sentenza sia il giudice, ma deve interessare anche il modo con cui si perviene alla pronuncia. Spesso sentiamo dire che l’inefficienza è ingiustizia, dobbiamo nondimeno dire con forza che per coniugare efficienza e giustizia, abbiamo bisogno di riforme che non dimentichino la delicatezza del mestiere del giudice, il bisogno che questi avverte di assicurare a ciascuna controversia tutto il tempo necessario al suo studio ed alla sua risoluzione efficace e sostanzialmente giusta. n questo senso occorre accogliere l’esortazione di Carlo Verardi a dare attuazione al “giusto processo” partendo “da una riforma delle culture e della deontologia, che consegni al processo protagonisti culturalmente preparati, efficacemente organizzati, legati da una comunanza di valori di fondo”, nella consapevolezza che l’indipendenza è anche una garanzia di impegno che il cittadino ha diritto di riconoscere ogni giorno nel nostro lavoro. I MAURA NARDIN Giudice Tribunale di Sassari L’ESPERIENZA DEL PROCESSO NELL’ASSETTO ATTUALE Le prassi esistenti e quelle possibili S ebbene l’elenco delle “questioni per il dibattito” sembri richiamare la disciplina di ben definiti istituti processuali che scandiscono lo svolgimento di un tipico processo ordinario di cognizione di primo grado, un’attenta lettura dello stesso elenco (nel quale è detto di “controllo del flusso di cause”; “adempimenti di prima udienza”; “svolgimento dell’udienza di trattazione”; soprattutto, “adozione di protocolli di udienza”), coordinata col titolo che si è voluto dare al dibattito di “le prassi esistenti e quelle possibili” rende legittima l’affermazione che non di norme processuali si deve trattare, per comprendere “l’esperienza del processo nell’assetto at- L M tuale”, bensì di professionalità dei protagonisti del processo (giudici ed avvocati), ma anche di efficienza dell’ufficio (inteso sia nell’articolazione in sezioni, che nell’organizzazione dei servizi di cancelleria). Affrontando, per intanto, la questione – centrale nel dibattito associativo (1) e, come è ben noto, politico (2) di questi ultimi tempi (3) – della professionalità del magistrato, in generale, e del giudice civile, in particolare, s’impongono, senza alcuna pretesa di completezza, le seguenti considerazioni. Attualmente la valutazione di professionalità è essenzialmente legata alla progressione in carriera dei magistrati, anche se presenta il correttivo della valutazione (1) Cfr. I magistrati e la sfida della professionalità, IPSOA, 2003, dove sono stati raccolti i contributi del seminario conclusivo tenutosi a Roma il 20 marzo 2003 sul tema della valutazione della professionalità dei magistrati, già affrontato nella Conferenza nazionale di Bardolino del dicembre 2000 (cfr. La Magistratura n. 3/2000) e quindi sviluppato in cinque seminari (svolti tra i mesi di febbraio e marzo 2003 a Genova, Cagliari, Ancona, Catania e Bari), che hanno preparato il seminario di Roma, nel corso del quale è stato approvato il documento conclusivo del ciclo di iniziative. (2) È in discussione al Senato il disegno di legge n. 1296/S di delega al governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario, presentato dal Ministro della Giustizia Castelli nel marzo 2002, al quale sono stati presentati vari emendamenti governativi nell’autunno 2002 ed, infine, il c.d. maxi-emendamento il 20 marzo 2003, che è stato definitivamente approvato alla Commissione Giustizia, con ulteriori rilevanti modifiche, il 25 settembre 2003. Il CSM, prima delle modifiche parlamentari dell’ultima ora, ha espresso due importanti pareri nelle date del 12 giugno 2002 e del 22 maggio 2003, cui si rimanda, in particolare per quanto interessa in questa sede, per la critica dell’idea ispiratrice del concorso interno come strumento di selezione dei magistrati ai fini della progressione in carriera e delle valutazioni di professionalità previste per chi non fa i concorsi in numero di tre nell’intera carriera, desunte “dall’attività giudiziaria e scientifica, dalla produttività e dai pareri conseguiti nell’ambito dei corsi organizzati dalla scuola superiore della professioni giuridiche”. Anche l’ANM si è pronunciata sul testo originario col documento “L’ANM sulle proposte del governo di riforma dell’ordinamento giudiziario”, pubblicato in appendice al volume di cui alla nota n. 1, che sintetizza gli interventi svolti dalla delegazione dell’ANM dinanzi alla Commissione Giustizia del Senato presieduta dal sen. Antonino Caruso il 25 giugno 2002. (3) Per la verità, già nel 1996 venne presentato in Parlamento un c.d. pacchetto di proposte del Ministro della Giustizia Flick, tra le quali vi era il disegno di legge riguardante “Norme in materia di funzioni e valutazione di professionalità” (cfr. Documenti giustizia, nn. 8, 9 e 12/1996). 53 comparativa da operarsi al momento del conferimento in concreto di nuove funzioni. Secondo l’attuale sistema la valutazione di professionalità, da effettuarsi secondo scansioni temporali predeterminate (collegate, come detto, all’attribuzione delle qualifiche superiori), è riferita ai parametri della preparazione, laboriosità, capacità, diligenza (oltre che dell’equilibrio): come è stato osservato, “non si può chiedere di più ad un magistrato” (4). Tuttavia, sono noti gli inconvenienti legati ad una valutazione collegata alle modalità di progressione in carriera e comunque rivelatasi insufficiente a garantire un diffuso ed elevato livello di professionalità e comunque il suo corretto controllo. Molto dipende, oltre che dagli strumenti conoscitivi e dalle modalità di svolgimento del compito di valutazione da parte dei soggetti istituzionali coinvolti, dalla specificità e dalla predeterminazione del contenuto di ciascuno dei parametri costituenti le “doti” del magistrato. l contenuto dei detti parametri risulta fissato da tre circolari emanante dal Consiglio Superiore della Magistratura nell’esercizio dei suoi poteri di normazione secondaria: la circolare n. 1275 del 22 maggio 1985 (che disciplina tutti i pareri che i Consigli Giudiziari sono chiamati ad esprimere, quindi non soltanto quelli relativi alla progressione in carriera); la circolare n. 17003 del 24 settembre 1999 (che invece disciplina specificamente la verifica periodica della professionalità dei magistrati all’atto della loro progressione in carriera, ma con riguardo più al procedimento di valutazione che ai criteri pratico- I applicativi dei parametri fissati dalla legge); infine, la circolare n. 16103 del 30 luglio 2003, che integra la circolare del 1985 in punto di fonti di conoscenza e di uniformità dei pareri formulati dai diversi consigli giudiziari, ma anche – per quel che rileva nella presente sede – in punto di parametri di valutazione) (5). Vale certamente anche per il giudice civile l’indicazione, contenuta nella circolare sui pareri, che la preparazione e la capacità si manifestano, oltre che nell’aggiornamento dottrinale e giurisprudenziale, nella “concreta professionalità manifestata dal magistrato nell’esercizio delle proprie funzioni”; tra gli elementi da cui desumere preparazione e capacità del giudice civile si annoverano, oltre a quelli – di ordine generale – della libertà da condizionamenti o da vincoli e delle qualità di carattere significative per l’attività giudiziaria, la “celerità nella conduzione del processo”, la “capacità di sintesi e di individuazione delle questioni da decidere”, le “modalità di conduzione dell’udienza”. Nella deliberazione del C.S.M. del 23 luglio 2003, cui è seguita la circolare n. P 16103 del 30 luglio 2003 (in vigore dal 1° novembre 2003), si legge, inoltre, quanto segue: “Appare opportuno … procedere ad una puntualizzazione dei parametri previsti dalla circolare per la valutazione della preparazione e della capacità del magistrato, introducendo un riferimento alla capacità di predisporre idonei moduli organizzativi del proprio lavoro, in attuazione delle disposizioni non solo della legge processuale, ma anche delle circolari consiliari e delle disposizioni ta- (4) Silvestri, Verifica di professionalità versus indipendenza dei magistrati: una falsa contrapposizione, in I magistrati e la sfida della professionalità, cit., 89. (5) Merita menzione, pur se soltanto parzialmente attinente al 54 bellari” e pertanto si introduce, quale ulteriore elemento di valutazione, il seguente: “capacità del magistrato di organizzare il proprio lavoro”; l’esemplificazione che, nella delibera in discorso, viene fatta, ai fini dell’accertamento di tale capacità per i giudici civili e del lavoro, riguarda “la gestione dell’udienza, della comparizione delle parti, del tentativo di conciliazione, della discussione orale”; comunque, per tutti, “dovrà essere evidenziata la capacità del magistrato di organizzare la parte pubblica della sua attività in modo da ridurre al minimo il disagio degli utenti della giustizia e dei loro difensori”. È evidente che si tratta di indicazioni significative perché rivelatrici di una nuova attenzione per gli aspetti qualitativi e, comunque, dinamici dell’attività del giudice; tuttavia l’esemplificazione manca del riferimento a due aspetti che, della “capacità di organizzare il proprio lavoro” sono fondamentali, vale a dire alla capacità di gestire, nel suo complesso, il ruolo istruttorio, e, singolarmente, ciascuna controversia (o tipologia di controversie). e linee lungo le quali operare per individuare “prassi possibili” che facciano funzionare l’attuale rito ordinario di cognizione, oggetto del presente intervento, sono funzionalmente tra loro collegate nel perseguimento dell’ unico obiettivo di dare maggiore efficienza alla giustizia civile, ma vanno tenute distinte: l’una concerne l’organizzazione del lavoro, quindi, in primo luogo, i criteri di gestione del ruolo da parte dell’istruttore; l’altra, riguarda, più specificamente, l’andamento dei pro- L tema trattato, anche la delibera adottata dal C.S.M. in data 13 marzo 2003 relativa al passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti (e viceversa) ed all’accertamento delle attitudini del magistrato alle nuove funzioni ex art. 190 ord. giud. cessi, quindi i criteri di conduzione delle controversie; la terza, infine, attiene ai criteri di organizzazione di determinate attività processuali. Siffatta distinzione si impone anche per una corretta lettura delle indicazioni contenute nella scheda di questioni per il dibattito redatta per la preparazione al presente convegno, tra le quali è bene considerare separatamente quelle destinate ad una efficiente programmazione del lavoro nel suo complesso, quelle destinate ad una corretta impostazione della singola controversia e quelle destinate a diminuire il disagio degli utenti e ad evitare ritardi e disfunzioni negli adempimenti processuali, in udienza e fuori. È bene peraltro intendersi su un’indispensabile premessa per la quale autonomia ed indipendenza del giudice non riguardano, in linea di principio, nessuno di questi aspetti, poiché operano sul diverso piano del giudizio, cioè della decisione, ma anche dell’interpretazione delle regole processuali, non sul piano delle prassi operative, rispetto alle quali, in- vece, subentra il giudizio di professionalità e, nelle ipotesi estreme, di responsabilità disciplinare. e è vero che, per il giudice istruttore civile, capacità di organizzare il proprio lavoro significa soprattutto capacità di gestire il ruolo, non ci si può nascondere che questa solo in parte dipende da quelle che potremmo definire variabili individuali, collegate cioè all’impegno ed alla professionalità del singolo, essendo per altra parte dipendente da quelle che potremmo definire variabili esterne, collegate principalmente alla consistenza ed alla composizione del ruolo, quindi ai criteri di ripartizione degli affari tra le sezioni e di assegnazione di essi ai singoli giudici di ciascuna sezione, nonché all’esistenza di un programma di lavoro, tendenzialmente per obiettivi, predisposto, in via generale, dal capo dell’ufficio in occasione della redazione delle tabelle biennali e, specificamente, per la sezione dal suo presidente (6); ed ancora, collegate alla ripartizione delle risorse S personali e materiali tra settori e sezioni del tribunale. Questi ultimi sono temi (cui sono evidentemente collegati quelli di una seria raccolta di dati sull’esistente, del corretto monitoraggio dei flussi giudiziari e dell’elaborazione di adeguati sistemi di rilevazione dell’attività giudiziaria (7)), per i quali non posso che fare rinvio ai lavori pomeridiani (8), segnalando soltanto che i punti di contatto riguardano non solo l’efficienza complessiva del sistema, ma anche la produttività e la valutazione di professionalità del singolo magistrato (9). Peraltro, con riguardo a queste, pur riconoscendo l’importanza del rapporto numerico tra i giudici civili ed il numero delle controversie loro affidate (10), acquista rilievo, come si diceva, la capacità di governare comunque il ruolo, piuttosto che di subirlo (11). La delibera consiliare sulla valutazione di professionalità del luglio di quest’anno prevede nello schema di rapporto proposto ai dirigenti degli uffici (12), “l’indicazione di dati numerici attinenti (6) Spera, Per ogni ufficio idonee rilevazioni statistiche. Per ogni giudice un obiettivo da raggiungere, in Questione Giustizia, 2003, 3, 505. quater ord. giud.”, nonché di “uffici statistici, analisi dei flussi, monitoraggio dell’attività” e de “la valorizzazione delle cancellerie e dell’ufficio del giudice”. (7) Con delibere del 28 aprile 1999, 16 febbraio 2000, 13 dicembre 2000, 6 febbraio 2002 il Consiglio Superiore della Magistratura costituì un gruppo di lavoro composto da magistrati, di diverse provenienze e funzioni, con l’incarico di collaborare con la Settima Commissione nell’elaborazione di criteri e contributi per realizzare un sistema di rilevazione dati che consentisse al Consiglio di disporre di informazioni omogenee e affidabili: a) per la compiuta conoscenza della struttura e della organizzazione degli uffici giudiziari; b) per la valutazione del lavoro del magistrato ai fini propri dell’organo di autogoverno. Gli esiti dell’incarico, svolto con magistrati in rappresentanza del Ministero della Giustizia, vennero approvati con le delibere consiliari del 22 dicembre 1999 e del 4 luglio 2001. Il gruppo misto di lavoro è stato reintegrato, per la parte di competenza del CSM, con delibera del 6 febbraio 2002, a seguito della trasmissione da parte del Ministero di una nota contenente un “Progetto per lo sviluppo di un sistema di misurazione dell’efficienza del sistema giudiziario”; il gruppo misto ha presentato alla Settima Commissione un documento riepilogativo dei lavori svolti e delle linee di sviluppo da perseguire in futuro, che è stato approvato dal Consiglio Superiore della Magistratura con delibera 10 luglio 2002. Relazione del gruppo misto e circolare del C.S.M. si leggono in Quaderni CSM, 133, 314. (9) Già la circolare n. 1275 del 1985 prevede, con riferimento al parametro dell’operosità, che “il C.G. terrà conto, altresì, in quanto rilevino, delle condizioni dell’ufficio nel quale l’interessato esercita le funzioni”, nonché che “i dati quantitativi verranno forniti anche come dati relativi, curando di utilizzare riferimenti omogenei quanto a tipo di uffici e sufficientemente ampi”. (8) Si vedano in particolare le questioni de “la formazione delle tabelle degli uffici giudiziari” e de “l’attuazione dell’art. 47 (10) In Cipriani, Civinini, Proto-Pisani, Una strategia per la giustizia civile nella XIV Legislatura, in Foro it. 2001, V, 81, si individua in cinquecento processi sul ruolo il numero massimo per “assicurare il rispetto del principio internazionale e oggi anche interno della ragionevole durata dei processi”. (11) La contrapposizione è di Braccialini, Priorità, obiettivi e tecniche di gestione del processo civile, in Nuova Giurisprudenza Ligure 2001, 3. (12) La delibera precisa che uno degli obiettivi dell’integrazione della circolare n. 1275 del 1985 è di fissare ai dirigenti degli uffici ed ai Consigli giudiziari “l’obbligo di redigere, rispettivamente, il loro rapporto ed il loro parere secondo un iter argomentativo prefissato, basato su dati ed elementi valutativi da esplicitare in uno schema prefissato e contenuto in un modulo riassuntivo, che sarà messo a disposizione in versione cartacea ed informatica, secondo un formato standard…”. 55 la quantità e la qualità del lavoro del magistrato in valutazione” (13). I dati numerici riguardano, per il periodo in valutazione (ad es. per la nomina a magistrato di Corte d’Appello gli ultimi cinque anni), quanti procedimenti sono stati assegnati al giudice, quante udienze sono state tenute e quanti decreti, ordinanze e sentenze sono stati depositati (14). Facendo riserva di tornare in seguito sulla questione concernente il numero delle udienze, va detto che il rapporto tra cause assegnate e cause definite ha significato modesto, per il giudice civile, se si tiene conto soltanto della definizione con sentenza e se si considera isolatamente il dato quantitativo (15): ciò sia perché i processi civili “definiti” sono anche quelli conclusi con una transazione giudiziale o stragiudiziale (la quale spesso è favorita dal giudice, sia all’esito di una corretta conduzione della fase introduttiva, che all’esito di un’attenta conduzione della fase istruttoria, essendo frequente l’«abbandono» del processo ex art. 309 c.p.c. anche dopo la pronuncia di un’ordinanza anticipatoria od interlocutoria ben fatta), sia perché non può escludersi che ad un numero elevato di sentenze non corrisponda un’elevata o comunque soddisfacente risposta alla domanda di giustizia sostanziale degli utenti, tenuto conto della qualità della cognizione. eraltro, un correttivo si rinviene già nella delibera consiliare laddove accenna anche al dato qualitativo (e, come si dirà, prevede l’esame a campione dei provvedimenti emessi) ed invita il capo dell’ufficio ad “effettuare le sue valutazioni sul complesso dell’attività svolta dal magistrato stesso, alla luce delle funzioni concretamente esercitate”. Ebbene, avere riguardo al “complesso dell’attività svolta” dal giudice civile significa, in primo luogo, valutarne la capacità di analizzare il proprio ruolo, previa l’indispensabile conoscenza delle cause che lo compongono, e fissare quindi degli obiettivi di priorità nella loro trattazione (16). Gran parte delle indicazioni contenute nella scheda di questioni per il dibattito redatta per la preparazione al presente convegno sotto il titolo “La conduzione del pro- P (13) La delibera si preoccupa di chiarire che “l’indicazione di tali dati costituisce un ulteriore elemento di valutazione posto a disposizione del Consiglio Giudiziario e del C.S.M., ma non sostituisce le statistiche del lavoro svolto dal magistrato interessato redatte secondo modelli ministeriali, le quali pertanto dovranno essere lo stesso allegate”. (14) È del tutto evidente che il riferimento ai provvedimenti “depositati” comporta la mancata considerazione del lavoro dell’istruttore civile che dà i provvedimenti in udienza. (15) Si condividono le considerazioni svolte da Ranieri, Processo civile vigente e spazi di razionalizzazione, articolo in corso di pubblicazione su Questione giustizia 2003, 5, il quale, tra l’altro, nota che “dare esclusivo rilievo al provvedimento finale disincentiva i giudici dal curare la fase istruttoria, dato che non acquista rilievo statistico” e che “il mero dato quantitativo delle definizioni annuali, ove presenti un dato di anomalo eccesso, può essere indice di una cattiva professionalità …”, potendo costituire “il segnale di sentenze emesse senza approfondimento istruttorio o senza adeguata valutazione delle tesi prospettate dalle parti”. (16) Gerardis, L’organizzazione del lavoro del giudice, in Quaderni CSM 128, I, 15. (17) Cfr., per l’interessante esperienza in atto al Tribunale di Milano, Spera, Statistiche, organizzazione e valutazione di pro- 56 cesso” riguarda appunto il profilo del quale si è appena detto. Più specificamente, la fissazione degli obiettivi di priorità nella trattazione delle controversie e la loro migliore distribuzione nelle udienze dal punto di vista qualitativo (oggetto della singola controversia e fase processuale nella quale si trova) e quantitativo (numero di cause da portare ad udienza) presuppongono – oltre alle rilevazioni statistiche delle quali si è detto sopra (17), la cui predisposizione prescinde dall’intervento del singolo giudice – lo svolgimento di tutte quelle attività che nello schema sono indicate al n. 1.1, sotto il titolo “fase preliminare” (18), nonché l’eventuale organizzazione di udienze monotematiche (19), indicata al n. 1.2, sotto il titolo “gestione dell’udienza”, alla lettera b), cui si potrebbe aggiungere l’organizzazione di udienze “straordinarie” o “riservate”, per il compimento di determinate attività, ovvero di udienze “di smistamento”, nelle quali far confluire più cause che si trovino nella stessa fase processuale, destinate ad essere nuovamente distribuite secondo criteri di priorità (20). fessionalità. L’esperienza del Tribunale di Milano, in Questione Giustizia 2002, 2, 445. (18) a) esame di tutti i fascicoli assegnati e verifica del loro oggetto; b) uso limitato del differimento della prima udienza ex art. 168 bis, solo nell’ipotesi di cause molto complesse previste in udienze con un già eccessivo carico di lavoro ovvero per fissare udienze monotematiche; c) istanza di chiamata del terzo e differimento di udienza: …omissis…d) valutazione di eventuali istanze cautelari od anticipatorie formulate prima della data della prima udienza: …omissis… (19) L’accorpamento alla medesima udienza non necessariamente deve riguardare cause omogenee per oggetto, ma potrebbe trattarsi di diversi gruppi di cause seriali ovvero anche di cause giunte alla medesima fase processuale o per le quali si preveda il medesimo adempimento (es. udienze istruttorie ad horas, prime udienze di cause di opposizione a decreto ingiuntivo con richiesta di sospensione della provvisoria esecuzione etc.: cfr., anche per altre questioni trattate nel testo, Breggia, L’organizzazione del ruolo e gli effetti acceleratori dell’attività preparatoria, relazione tenuta all’incontro di studio “Il punto sul processo civile” organizzato dal CSM nel novembre 2003, reperibile sul sito www.cosmag.it). (20) Il suggerimento è di Braccialini, op. cit. ed è ovviamente adattabile alle diverse caratteristiche del ruolo istruttorio. F ondamentale, pur se spesso trascurata, si presenta, per il raggiungimento delle finalità di efficiente gestione del ruolo, la questione del numero delle udienze che ciascun istruttore tiene in un determinato arco temporale (settimana/mese). È noto che questa non è sempre una variabile dipendente da una libera scelta del capo dell’ufficio (e men che meno del singolo giudice), essendo spesso condizionata dalla disponibilità di aule e di personale (sia amministrativo, che giudiziario, essendo endemica la carenza del primo e frequenti le occasioni di applicazioni e supplenze del secondo, nel contesto di un panorama nazionale assolutamente disomogeneo). In proposito la circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il biennio 2002/2003 (21) prevede che nelle proposte tabellari debbano essere indicati i giorni di udienza settimanale di ciascun magistrato e specifica, al paragrafo 34.2, che “nel settore civile dovranno essere indicati per ciascun magistrato i giorni delle udienze monocratiche e i giorni delle udienze collegiali, distinguendo le udienze per le trattazioni degli appelli, dalle udienze per la discussione delle cause e dalle udienze per le procedure in camera di consi- glio” ed, al paragrafo 61, che “le proposte tabellari devono indicare i giorni di udienza settimanale per ciascun magistrato …omissis… Le udienze per i processi già attribuiti al giudice collegiale ed ora decisi dal giudice monocratico devono essere fissate in numero superiore a quello stabilito prima dell’unificazione dell’ufficio di primo grado. I capi degli uffici devono sorvegliare circa il rispetto dell’orario e dello scaglionamento degli orari per i singoli processi”. Sarebbe interessante verificare come si sia dato attuazione, per il settore civile, alle dette prescrizioni nelle proposte tabellari presentate dai diversi Presidenti di Tribunale, anche al fine di riscontrare se quanto si diceva a proposito della diversa disponibilità di strutture e personale sul territorio nazionale si traduca nella previsione di un diverso numero di udienze settimanali per ciascun giudice civile destinatario di processi civili ordinari; sarebbe peraltro il caso di chiedersi se la previsione tabellare di un determinato numero di udienze (soprattutto ove eccessivamente ridotto) risponda effettivamente ad esigenze dell’ufficio adeguatamente considerate ed illustrate dal proponente; sarebbe da discutere della possibilità (22) di fissare udienze straordinarie, oltre quelle tabellari, e delle mo- (21) Si tratta della circolare n. 24710/2001. La circolare sulle tabelle per il biennio 2004/2005 è ancora in corso di elaborazione presso la Settima Commissione consiliare. (22) Sebbene la questione sia controversa non mi sembra che ragioni normative ostino all’attribuzione, in linea di principio, al giudice istruttore civile di fissare udienze c.d. straordinarie. Piuttosto, l’esercizio di tale potere deve rispondere a criteri di buona amministrazione per i quali pare opportuno avere l’assenso del dirigente dell’ufficio (o del presidente di sezione) alla fissazione di dette udienze; ed invero, questa comporta un ulteriore impegno organizzativo della cancelleria, che potrebbe influire sull’andamento ordinario dei servizi amministrativi, soprattutto quando già l’ufficio si trovi sottodimensionato, come accade in numerose realtà territoriali; potrebbe allora discutersi delle ragioni che possano indurre, in via generale o volta a volta, a prevedere, per determinati controversie o categorie di controversie dalità di esercizio di tale facoltà da parte di ciascun istruttore, nel contesto peraltro dell’organizzazione del lavoro dei giudici dell’intera sezione. trettamente connessa a quanto appena detto è la questione del numero dei fascicoli da “portare” ad ogni udienza, o meglio del numero delle controversie, distinte per oggetto e/o fase processuale, fissate per ciascuna udienza. Proprio le esigenze di garantire la conoscenza della composizione del proprio ruolo da parte dell’istruttore e di assicurare la ragionevole durata del processo nel suo complesso, in modo che ogni udienza sia utilmente tenuta, nonché l’esigenza – di cui si dirà appresso – di adattare il rito alla singola controversia (eventualmente seguendo dei c.d. protocolli, o comunque schemi routinari, di gestione per tipologie omogenee di controversie) impongono di limitare il numero delle cause da trattare ad ogni udienza, in modo che sia possibile studiare preventivamente i fascicoli (23), predisporre preventivamente i provvedimenti che saranno adottati in udienza (eventualmente previa verifica, discutendone con i difensori, di quali siano le reciproche domande e contestazioni), svolgere nel tempo adeguatamente S o per alcuni adempimenti processuali, apposite udienze al di fuori della programmazione tabellare. (23) Cfr. Lamorgese, Proposte di razionalizzazione del processo civile di primo grado, in Questione giustizia 2003, 1, 35, il quale nota come “il giudice, al quale pure si chiede di dirigere la trattazione e l’istruttoria (art. 175 cpc), sprechi troppe energie dovendo ritornare sul fascicolo per ristudiarlo numerose volte a distanza di mesi e anni prima di ciascuna udienza e, spesso, inutilmente…” e si chiede “se l’articolazione del processo per udienze cadenzate nel tempo sia insopprimibile o, per meglio dire, se ogni decisione seppur interlocutoria del giudice debba necessariamente «passare» per l’udienza, dovendo rendersi conto che ogni udienza o rinvio della causa per il compimento di un’attività non strettamente necessaria ha un «costo» insostenibile in termini di tempo e, quindi, di durata complessiva del processo…”. 57 prefissato l’attività cui l’udienza è destinata (24). Rientrano nel tema dell’organizzazione del lavoro del giudice civile, al fine di assicurare quantità e qualità del complesso dell’attività svolta, altre due questioni fondamentali, tra loro peraltro in parte connesse, cui in questa sede si può soltanto accennare. una concerne il calendario di trattazione delle cause secondo criteri di priorità; l’altra l’organizzazione della spedizione a sentenza e quindi della scelta dei modelli possibili di motivazione. La prima, come già detto, presuppone l’attento monitoraggio del ruolo; quindi, l’individuazione di criteri, non casuali, ma predeterminati e resi noti all’utenza (preferibilmente concordati nell’ambito della sezione e rispondenti ad obiettivi di smaltimento delle controversie programmati periodicamente), in base ai quali predisporre corsie preferenziali per i procedimenti più urgenti, previa loro individuazione (25); particolare attenzione devesi rivolgere al tempo di instaurazione della controversia (26), essendo rilevante L’ verificare in quale misura il giudice riesce a definire le cause più risalenti ed in quale percentuale rispetto al carico diviso per anni (27), dal momento che un’errata impostazione che tenda a privilegiare il dato quantitativo potrebbe indurre (e di fatto induce) a definire le cause più recenti perché più semplici a scapito di quelle più risalenti, ma più complesse (la cui decisione con relativa motivazione comporta necessariamente un “rallentamento” produttivo). Quanto appena detto consente di accennare alla questione della programmazione del numero di sentenze che possano essere redatte in un determinato periodo di tempo e di una pianificazione dei tempi relativi che risponda ai criteri di priorità come sopra individuati. Ribadita l’importanza di un modus operandi che consenta la definizione della lite con forme diverse dalla decisione (28), quando questa è necessaria, pare opportuno distinguere, ancora una volta, per tipologie di controversie, semplificando le motivazioni per cause di difficoltà media, anche ricorrendo a schemi predefiniti per cause del medesi- (24) Breggia, op. cit., nota come occorra guardarsi dagli strumenti pseudo-acceleratori, essendo “preferibile un rinvio più lungo che consenta al giudice di studiare la controversia e quindi, all’udienza, discutere con i difensori il thema probandum ed emettere in udienza il provvedimento ammissivo delle prove, piuttosto che disporre un rinvio più breve, da cui partorisca una semplice riserva da sciogliere magari in tempi assai più lunghi di quelli indicati per la prima ipotesi”. (25) Gerardis, op. cit., 23, individua i seguenti criteri: 1) natura della controversia, 2) soggetti interessati, allorché il loro stato costituisca l’oggetto o quanto meno il necessario presupposto della tutela invocata; 3) interessi coinvolti; 4) urgenza già risultante dagli atti. (26) Tra i principi generali fissati nella circolare sulle tabelle 2002/2003 è prevista: “…b) l’illustrazione dei programmi di definizione dei procedimenti che ciascun ufficio si propone di realizzare a partire da quelli più risalenti nel tempo, tenendo conto delle risorse disponibili, dei carichi pendenti e sopravvenuti, della qualità e quantità dei flussi di lavoro degli anni precedenti; …”. (27) Così Ranieri, op. cit., che richiama in nota la circolare adottata dal Presidente del Tribunale di Torino in data 4 dicembre 2001 ed intitolata “programma Strasburgo”. 58 mo tipo o che presentino analoghe questioni giuridiche (pur nella diversità degli elementi di fatto); utilizzando lo strumento processuale della motivazione contestuale ex art. 281 sexies c.p.c. (29); destinando la motivazione più articolata alle cause più complesse, senza tuttavia indulgere alla tentazione di trasformarla in una sorta di monografia (30). otrebbe sembrare in contrasto con quanto si va dicendo la previsione, contenuta nella recente già citata circolare sulla valutazione di professionalità, di far allegare alla relazione del dirigente provvedimenti giudiziari redatti dal magistrato in valutazione, onde fornire “un oggettivo strumento di riscontro del giudizio formulato”, da individuarsi – secondo criteri automatici indicati dal Consiglio Giudiziario, relativi ad almeno quattro bimestri nell’arco del periodo di valutazione e nel numero non inferiore a venti – nell’ambito di tipologie di provvedimenti significativi per le varie funzioni del magistrato da approvarsi da parte del Consiglio Superiore (31): tutto sta ad in- P (28) Sembra riferirsi alla questione trattata nel testo l’indicazione contenuta al punto 1.2 j) dello schema di questioni preparato per il dibattito nel convegno (“Utilizzo di percorsi motivazionali nell’adozione di ordinanze sommarie … ed istruttorie, tramite l’enucleazione del tema controverso al fine di indurre le parti alla conciliazione o di agevolare la successiva stesura della sentenza. Maggiore utilizzo dello strumento dell’ordinanza ex art. 186 quater ove richiesto dalle parti. Uso della discussione orale e dello strumento ex art. 281 sexies …”). (29) Per non appesantire la trattazione, mi permetto di rimandare alla relazione “Gli strumenti e le prassi acceleratori nel processo di cognizione” da me tenuta all’incontro di studio su “La ragionevole durata del processo” organizzato dal CSM nel gennaio 2003, reperibile sul sito www.cosmag.it. (30) Cfr. Cipriani, Per un nuovo processo civile, in Foro it. 2001, V, 321, 13. (31) La delibera del 23 luglio 2003 prevede una nuova disposizione transitoria della circolare con cui si demanda al CSM di istituire un gruppo di studio, su proposta della Quarta Commissione, perché, d’intesa con la Commissione Mista composta da CSM e Ministero della Giustizia, individui la tipologia di provvedimenti da acquisire a campione. tendersi sulle finalità di tale acquisizione e sui criteri di valutazione del contenuto dei provvedimenti (in primo luogo da parte del dirigente dell’ufficio che, ai sensi della stessa circolare, ne deve illustrare “dettagliatamente le caratteristiche complessive”). Dovrà, cioè, essere chiaro che il pregio del lavoro del giudice (civile) non sta nella redazione di dotte motivazioni, bensì nella dimostrata “capacità di sintesi e di individuazione delle questioni da decidere”, nella “celerità nella conduzione del processo” (e/o “sollecita trattazione e definizione dei procedimenti”), nella “puntualità nel deposito della minuta dei provvedimenti”, secondo i contenuti dei parametri della “preparazione e capacità” e della “diligenza” individuati già nella circolare n. 1275 del 1985: trattasi, come è evidente, di giudizi che si possono esprimere traendone i dati necessari dall’analisi del campione. In conclusione, tale analisi dovrebbe consentire di superare le ricadute negative di una valutazione formulata soltanto su dati quantitativi, indirizzando però la valutazione qualitativa secondo parametri di effettività ed efficienza della risposta giudiziaria, piuttosto che di sfoggio di preparazio- ne dottrinale dell’estensore, del tutto fine a se stessa (32). • • • ollegato, ma nient’affatto assimilabile al tema sin qui trattato – pur se entrambi dipendenti, oltre che dalle c.d. variabili esterne delle quali si è detto sopra, dal modello processuale delineato dal legislatore – è quello della gestione diretta da parte del giudice della dinamica del processo, al fine di controllare i tempi di ogni causa, nonchè individuarne i punti effettivamente controversi e, soprattutto, lo “schema” di procedimento più appropriato (33): anche tale questione è inerente alla professionalità del giudice civile; la differenza, rispetto alla capacità di gestire il ruolo, si coglie nel fatto che la gestione della causa presuppone l’attuazione del fondamentale principio di collaborazione tra giudici e parti (34), quindi l’insostituibile apporto dei difensori (col correlato bagaglio di competenza e professionalità, sul quale non è mio compito intrattenermi, pur se tanto ci sarebbe da dire), sì che acquista rilevanza il confronto – processuale, ma anche extraprocessuale – sull’interpretazione delle norme del codice di rito, su C (32) La delibera del CSM si preoccupa di precisare che “lo scopo di tale acquisizione non è quello di imporre la lettura dei provvedimenti ai fini di una loro valutazione preliminare, strumentale ad un giudizio di idoneità alla progressione in carriera, ma quello di acquisire un elemento di riscontro ulteriore che, assieme a tutti gli altri dati indicati nella griglia di valutazione sottoposta agli organi di valutazione, consenta una verifica immediata della congruità della valutazione effettuata. In altre parole, l’obiettivo che si intende perseguire è quello di responsabilizzare i soggetti chiamati a effettuare la valutazione a dare un giudizio in linea con il dato concreto acquisito agli atti del procedimento”. (33) Grosso modo secondo lo schema del case management, tipico di altre esperienze processuali: cfr. De Cecco, “Case management”, la riforma del processo civile in California, in Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, a cura di M.G. Civinini e C.M. Verardi, Milano 2001. (34) Grasso, La collaborazione nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1966, 580 e seg.; ma cfr. anche Civinini, Poteri del giudi- prassi applicative, su modalità di semplificazione del procedimento o di tipi omogenei di procedimenti. Piuttosto, una precisazione, a mio modesto avviso, s’impone: la materia che forma oggetto del confronto di cui stiamo parlando non si presta ad essere inserita nei c.d. protocolli o comunque in intese convenzionali tra organismi istituzionali o tra componenti di aggregazioni spontanee, che valgano a priori per ogni controversia e per tutte le controversie trattate da un certo ufficio o da una certa sezione. Non è certo questa la sede per affrontare il complesso problema dei poteri discrezionali del giudice civile, sul quale già Chiovenda scriveva: “un grave problema di legislazione processuale è se le forme debbano essere determinate dalla legge o se debba essere lasciato all’arbitrio del giudice di regolarle volta per volta secondo le esigenze del caso concreto” (35) e sul quale si è tornati a discutere, con nuovi argomenti, dopo l’introduzione della previsione costituzionale del “giusto” processo “regolato dalla legge” (36). Per quanto rileva ai nostri fini va detto che, essendo in linea di principio indiscutibile che “il valore della cognizione piena sia dato dalla circostanza che le mo- ce e poteri delle parti nel processo ordinario di cognizione. Rilievo ufficioso delle questioni e contraddittorio, in Foro it. 1999, V, 1, nonché, D’Ascola, Poteri del giudice e poteri delle parti nel processo civile, in Quaderni C.S.M. n.92; in una particolare prospettiva, in rapporto al nuovo testo dell’art.111 Cost., Proto Pisani, Il nuovo art.111 Cost. e il giusto processo civile, in Foro it. 2000, V, 2241 e seg. (35) G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli 1923. Sul tema vanno segnalati, oltre a Raselli, Il potere discrezionale del giudice civile, Padova 1927, anche Fabbrini, Potere del giudice (dir.proc. civ.), voce dell’Enciclopedia del diritto, Milano 1985, XXXIV, 721; Marengo, La discrezionalità del giudice civile, Torino 1996; Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli 1991. (36) Si vedano in proposito gli scritti di Chiarloni, Pivetti, Proto-Pisani, Trocker, raccolti nel volume Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, cit. Cfr. anche Comoglio, Le garanzie fondamentali del “giusto” processo, in La nuova giur. civ. comm. 2001, 12 e seg. 59 dalità di realizzazione del principio del contraddittorio non sono rimesse alla determinazione discrezionale del giudice, bensì sono nella loro massima parte predeterminate dalle leggi attraverso la previsione di forme e termini e la corrispondente attribuzione di poteri doveri e facoltà processuali alle parti e al giudice” (37), è innegabile che il potere discrezionale del giudice non è affatto estraneo allo svolgimento del processo a cognizione piena, essendovi numerosi spazi in cui esso va esercitato, primo fra tutti quello della direzione del processo e della fissazione delle udienze, secondo il disposto dell’art. 175 c.p.c. (38). bbene, a legislazione processuale vigente (39), la strada da percorrere è quella di riempire gli spazi tra le regole processuali generali ed astratte ed il potere di direzione del processo da parte del singolo giudice adottando quelle, che forse con una certa enfasi, definirei “strategie proces- E suali differenziate”, secondo le prassi operative, di giudici e avvocati, sulle quali si sono intrattenuti pregevolmente i relatori che mi hanno preceduto (40). Peraltro, è questo un tema molto delicato, sul quale è opportuno sgomberare il campo dagli equivoci. Quando di parla di “prassi” applicative, interpretative, gestionali ci si può riferire, piuttosto impropriamente, alla singola controversia, che, come è stato scritto, “è diversa dall’altra e merita un rito su misura che possa condurla verso una giusta e rapida conclusione” (41): qui, in effetti, si tratta di adattare al caso concreto le regole processuali, nel rapporto di collaborazione tra giudici e parti di cui si diceva. Sono inerenti al profilo in esame le indicazioni contenute nello schema di questioni per il dibattito ai punti 1.2 a), e), i), ed, in parte, j), nonché, quanto alla CTU, il punto l) (42): rispetto a tali indicazioni pare piuttosto fuorviante ragionare in termini di “prassi”, in quanto si tratta di adempimenti doverosi (37) Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. (appunti sulla tutela giurisdizionale dei diritti e sulla gestione degli interessi devoluta al giudice) in Riv. dir. civ. 1990, I, 393, nonché in I procedimenti in camera di consiglio di M.G. Civinini, Torino 1994. L’A. è tornato sull’argomento con lo studio “Appunti sul valore della cognizione piena”, in Foro it. 2002, V, 65. Per un interessante dibattito sulle procedure camerali si vedano gli atti del convegno “Giustizia civile tra legalità ed efficienza” organizzato dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Reggio Calabria nel novembre 2002, IPSOA 2003. (38) Esula dal tema trattato la questione, peraltro primaria nel dibattito sui poteri discrezionali del giudice, del controllo dell’esercizio di tali poteri, per la quale si rimanda, anche per ulteriori richiami dottrinali, agli scritti menzionati alle note precedenti. Qui basta solo accennare al fatto che di norma il controllo sui poteri idonei ad influire sul contenuto della decisione si rinviene nel sistema delle impugnazioni, mentre il cattivo esercizio degli altri poteri discrezionali è (o dovrebbe essere) altrimenti sanzionato (per es. in ambito disciplinare o in applicazione della c.d. legge Pinto). (39) Deliberatamente non si toccano, nel presente intervento, le problematiche poste dai progetti di riforma del codice di rito, oggetto della seconda sessione dei lavori del convegno, dal titolo “Gli interventi sulla disciplina del processo”. (40) Il tema cui si accenna nel testo è stato già affrontato da Costantino in Il processo civile tra riforme ordinamentali, organiz- 60 per il giudice civile che intenda svolgere correttamente il proprio ruolo. La questione si pone in termini parzialmente diversi quando invece si affronta il tema dell’elaborazione di moduli organizzativi di gestione di categorie omogenee di controversie, per i quali pare certamente più appropriato discorrere in termini di prassi applicative e gestionali. Ebbene, rispetto a tali prassi, cui possono corrispondere protocolli istruttori concertati tra i magistrati che si occupano delle stesse controversie, preferibilmente in esito a riunioni organizzate dal presidente di sezione ai sensi dell’art. 47 quater ord. giud., non vi è solo un problema di condivisione da parte del Foro (essendo comunque sempre da preferire un confronto sulla funzionalità e sulle ricadute di scelte routinarie di conduzione delle fasi introduttiva, istruttoria e decisoria), ma anche un problema di conoscenza o, meglio, di conoscibilità da parte degli utenti (43). • • • zazione e prassi degli uffici. Una questione di metodo, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1999, 77 ss., nonché in Giustizia e principio di legalità, in Questione giustizia 2002, 4, 749 ed, ancora, nell’intervento svolto al Convegno Nazionale “Giustizia civile tra legalità ed efficienza”, cit. (41) Lamorgese, op. cit., il quale nota che “A questo scopo il mezzo è obbligato: fare affidamento sui protagonisti del processo, parti e giudice, che, conoscendo la controversia, sono gli unici nelle condizioni di imprimere ad essa, in modo condiviso, il ritmo migliore per un risultato di giustizia”. (42) Sinteticamente, si tratta delle indicazioni concernenti lo studio dei fascicoli prima dell’udienza, con predisposizione di provvedimenti sulle questioni già oggetto di contraddittorio; dell’effettività (rectius, efficacia o utilità) dell’interrogatorio libero e del tentativo di conciliazione; della sospensione volontaria del processo ex art. 296 c.p.c.; dell’utilizzo di particolari “percorsi motivazionali” dei provvedimenti anticipatori, istruttori e decisori; del momento in cui disporre la CTU. (43) Ancora una volta la soluzione da preferire non può che essere rinvenuta nell’individuazione di luoghi comuni di confronto e dialogo (esempi dei quali si possono rinvenire in iniziative indette da Prassi Comune, denominazione dell’osservatorio della giustizia civile di Bologna, ma anche da altre analoghe realtà territoriali); cui si può aggiungere la comunicazione di determinati orientamenti condivisi dai giudici di una sezione da parte del suo presidente, con decreti o circolari destinati al Foro ed agli utenti. A me pare che discorso parzialmente diverso debba essere fatto per i c.d. protocolli di udienza, destinati, non tanto a riempire gli spazi lasciati alle scelte discrezionali del giudice, quanto a regolare momenti meramente organizzativi dell’udienza e delle attività connesse, promuovendo, piuttosto che “prassi virtuose”, come si è soliti dire, regole comuni di comportamento che consentano “di ridurre al minimo il disagio degli utenti della giustizia e dei loro difensori”, tentando di perseguire altresì l’obiettivo, che integra ormai un precetto costituzionale, della ragionevole durata del processo (44). Sebbene, in principalità, anche quello in discorso rientri tra i compiti del giudice – tanto è vero che vi si è intrattenuta la delibera del CSM sulla valutazione di professionalità del luglio di quest’anno e che forma oggetto di apposita previsione del codice etico dei magistrati approvato dal CdC dell’ANM il 7 maggio 1994 (45) – non vi è dubbio che un’analisi del momento organizzativo e un’adeguata concertazione di regole minime di comportamento con gli avvocati ed il personale di cancelleria (cui aggiungerei, per la parte che li riguarda, anche i CTU) consente di realizzare forme di collaborazione e di garantire una diffusione nell’applicazione ben più efficaci dell’imposizione di regole non condivise e perciò spesso destinate al fallimento. È bene precisare che, a differenza di quella che, atecnicamente, potrebbe essere definita collaborazione “endoprocessuale”, le “regole” di cui si sta discutendo in tanto possono funzionare in quanto siano seguite non soltanto (e comunque sempre) dal giudice, ma anche dagli altri soggetti del processo, la cui partecipazione all’elaborazione ed all’osservanza è perciò assolutamente indispensabile per il conseguimento dello scopo di efficienza perseguito (46). (44) Si legge nella premessa del “Protocollo per le udienze civili” promosso dall’Osservatorio romano sulla giustizia civile che trattasi di una proposta di “adozione di una serie di regole volte a favorire uno svolgimento più ordinato e proficuo delle udienze civili, a superare (almeno in parte) il grave disagio esistente, a migliorare la qualità del processo, a tutelare la riservatezza dei soggetti coinvolti ed a ridurre drasticamente di tempi di attesa di testimoni, parti ed avvocati”. Analogamente nel “Protocollo per le udienze civili” promosso dall’Osservatorio per la giustizia di Salerno si legge la seguente premessa: “Allo scopo di conseguire uno svolgimento ordinato e proficuo delle udienze civili nell’interesse dei Giudici, degli Avvocati e delle Parti, l’Osservatorio sulla Giustizia del Distretto di Salerno ha elaborato alcune regole che, se osservate, eviteranno contrattempi e disfunzioni nonché incomprensioni e contrasti”. (45) Art. 11 – Condotta nel processo. Nell’esercizio delle sue funzioni, il magistrato, consapevole del servizio da rendere alla collettività, osserva gli orari delle udienze e delle altre attività di ufficio, evitando inutili disagi ai cittadini e ai difensori … (46) Un banalissimo esempio varrà a rendere più chiaro il concetto espresso nel testo: se è compito precipuo del giudice gestire il ruolo ed organizzare le udienze, esaminare i fascicoli, chiedere chiarimenti alle parti, condurre con capacità l’interrogatorio libero e/o il tentativo di conciliazione, adottare tempestivamente i provvedimenti anticipatori ed istruttori e motivarli adeguatamente, scegliere modelli di decisione alternativi e così via.; non potrebbe mai il giudice, senza la collaborazione delle parti (e del CTU quando è coinvolto), assicurare il rispetto di un I c.d. protocolli di udienza adottati già in alcune sedi (Salerno e Roma (47)) ed in via di elaborazione presso altre (Firenze), sotto la spinta di organismi a composizione mista, quali sono gli Osservatori sulla giustizia civile (48), mirano a realizzare delle intese, allo stato, non formalizzate in alcun modo, ma certamente ispirate ai principi di collaborazione e di buona amministrazione riguardo a momenti processuali significativi. rocedendo in questa sede, ad individuare, per grandi linee, un possibile contenuto dei c.d. protocolli di udienza, prescindendo dal merito delle soluzioni adottate (inevitabilmente connesse anche alle peculiarità delle varie realtà territoriali ed alle diverse dimensioni degli uffici di primo grado), esso dovrebbe avere riguardo alle questioni enucleate ai punti 1.2 c), d), f), g), h), k), m), n) dello schema di discussione più volte P dato orario di udienza, compiere un adempimento programmato in assenza del difensore sostituito da un collega non informato della causa, escutere testi la cui presenza non sia stata curata da una tempestiva citazione da parte del difensore ( a prescindere dalla previsione dell’art. 103 disp. att. c.p.c.), evitare lunghe attese a parti e testimoni citati per orari diversi da quelli fissati, evitare i disguidi dovuti alla mancata osservanza da parte del CTU o dei CTP dei termini stabiliti per il deposito della relazione d’ufficio e di parte e così via. (47) L’Osservatorio sulla giustizia civile di Reggio Calabria, all’esito di due assemblee, tenute il 29 settembre 2000 ed il 10 novembre 2000, pur non avendo approvato un vero e proprio protocollo, ha concordato dei criteri organizzativi delle varie fasi processuali, che vengono generalmente seguiti dai giudici delle sezioni civili dei Tribunali del distretto; analogamente si è proceduto all’esito di un incontro tenuto nel maggio 2003 per le problematiche concernenti la CTU; peraltro, alcune indicazioni circa l’orario delle udienze, lo svolgimento per fasce orarie, le modalità di redazione dei verbali delle udienze di precisazione delle conclusioni e la produzione di floppy disk sono state discusse tra il Presidente delle sezioni civili del Tribunale di Reggio Calabria ed il Presidente del Consiglio dell’Ordine e quindi trasfuse in note e comunicazioni reciproche. (48) Ma non vanno trascurati luoghi di incontro del tutto analoghi, pure presenti in alcune sedi giudiziarie (quale, ad esempio la Consulta per la Giustizia a Sassari) che, a prescindere dalle denominazioni, consentano un proficuo scambio di esperienze ed un continuo confronto tra i diversi operatori della giustizia. 61 citato (49), cui peraltro ben se ne potrebbero aggiungere delle altre (50). Se il contenuto dei c.d. protocolli di udienza è effettivamente limitato alle questioni di tipo organizzativo sopra accennate (51) appare piuttosto agevole l’individuazione dei destinatari e, correlativamente, delle modalità per giungere alla loro elaborazione; restano comunque problematici l’«ufficializzazione» (o ricezione in atti o documenti idonei alla diffusione), in termini tali da renderli effettivamente conoscibili, ed il livello di vincolatività per i destinatari (cui si correla, in ipotesi, anche l’eventuale questione degli strumenti idonei ad assicurarne l’osservanza). Si segnala a questo riguardo la delibera adottata dal CSM in data 20 novembre 2002 con cui si è data risposta al seguente quesito: “Quesito sulla competenza a decidere in ordine alle modalità di gestione dell’udienza penale di- battimentale – Poteri del Presidente di Sezione – Valore dei c.d. “protocolli” eventualmente stipulati con l’avvocatura, ovvero dei relativi decreti del Presidente del Tribunale o del Presidente della Corte d’Appello” (52). a prima parte della deliberazione è estranea all’oggetto del presente intervento poiché concerne le norme relative alla competenza a decidere in ordine alle modalità di gestione dell’udienza penale dibattimentale collegiale e monocratica; pertinente anche alla giurisdizione civile, ma comunque estranea all’argomento in discorso, anche la seconda parte della deliberazione concernente la definizione dei poteri dei presidenti di sezione (53); quanto al valore dei c.d. protocolli stipulati con l’Avvocatura, il C.S.M., richiamate le proprie precedenti risoluzioni (54), con le quali erano stati invitati i capi degli uffici ad adottare L (49) Sinteticamente, si tratta dell’organizzazione delle udienze per fasce orarie; del rinvio dell’udienza per impedimento del giudice; dell’utilizzo di modelli per la redazione dei verbali di udienza; di forme alternative di comunicazione (a mezzo fax o posta celere o posta elettronica); di applicazione d’ufficio della disciplina degli artt. 208 c.p.c. e 104 disp.att. c.p.c., dell’uso dei poteri ex art. 255 c.p.c., della disciplina della prova delegata, della programmazione oraria della prova testimoniale; di accorgimenti da adottare con riguardo alla CTU (per i quali si rinvia ai punti k, m. n, essendo invece il punto l, concernente il momento in cui disporre la consulenza tecnica, incompatibile, a mio parere, con indicazioni generalizzate, quali quelle di un protocollo). (50) A mero titolo esemplificativo, si possono menzionare l’impegno dei difensori a “concentrare” in un unico atto difensivo (memorie ex art. 184 c.p.c.) tutte le richieste istruttorie, il deposito di floppy disk contenenti gli atti introduttivi e/o le conclusioni e/o le comparse conclusionali, la previsione generalizzata della concessione di termini per il deposito di brevi note illustrative prima dell’udienza di discussione ex art. 281 sexies c.p.c. etc. (51) Più delicate sono le previsioni concernenti la possibilità di concedere rinvii e la relativa durata, nonché la previsione di limiti massimi di intervallo tra udienze, in quanto non si tratta di misure prettamente organizzative, ma involgenti la conduzione della singola controversia. In via generale, e fatte salve le deroghe giustificate dalla particolarità dei casi concreti, si potrebbe prevedere che risulti chiaramente dal verbale di udienza la ragione della richiesta di rinvio e che sia specificato anche il termine che le parti concordemente chiedono, privilegiando la di- 62 le opportune iniziative d’intesa con i Consigli forensi dirette ad eliminare comunque ogni ritardo ingiustificato nel rispetto delle esigenze e dell’autonomia degli uffici giudiziari competenti e dei diritti di difesa, e ribadite le prescrizioni della circolare sulle tabelle circa l’audizione del Presidente dell’Ordine degli Avvocati in merito ai criteri di fissazione dei ruoli d’udienza (che peraltro riguarda soltanto il settore penale) (55), ha definito il protocollo richiamato nel quesito come “una intesa convenzionale tra istituzioni diverse, nell’ottica di confronto su problematiche comuni alla magistratura e all’avvocatura” e, dopo aver precisato che le indicazioni concernenti le modalità temporali per lo svolgimento dell’udienza devono “cedere rispetto alle norme processuali, che riservano al giudice che tiene l’udienza il potere di valutare le esigenze connesse alla trattazione dei singoli pro- chiarata (e comprovata) volontà di trovare un accordo stragiudiziale, fermo comunque restando il potere attribuito al giudice dall’art. 175 c.p.c. (52) Per come si legge nella stessa delibera, la vicenda traeva origine dall’avvenuta stipulazione, nell’anno 1997, in Salerno, da parte di alcuni magistrati, tra cui l’istante, con rappresentanti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, di un protocollo per la celebrazione delle udienze penali. Tale protocollo era stato successivamente disatteso tramite l’emissione da parte dell’istante di un decreto emesso ai sensi dell’art. 47 quater O.G.; in epoca ancora successiva il Presidente del Tribunale aveva inoltrato ai Presidente di sezione uno schema relativo alla regole per la celebrazione delle udienze penali contenente, tra l’altro, un paragrafo in cui si avvertiva che l’ingiustificato mancato rispetto delle regole ad opera di una delle parti processuali poteva costituire oggetto di riferimento disciplinare da parte dell’organo a tanto rispettivamente deputato. (53) Definiti “dirigenti intermedi che all’esercizio quotidiano delle funzioni giudiziarie aggiungono le attribuzioni di natura organizzativa nel settore di competenza, da esercitare secondo le direttive del capo dell’ufficio”. (54) Delibere del 15 settembre 1999 e del 6 luglio 2000, relative alle risoluzioni in tema di ragionevole durata del processo, in Quaderni CSM n. 113, 17. (55) In attesa della nuova circolare tabellare, va richiamata la ”Circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il biennio 2002/2003”, nella quale la prescrizione richiamata nel testo si rinviene al paragrafo 34.3. cessi”, ha aggiunto significativamente che si deve ritenere che “l’inosservanza delle indicazioni contenute nel protocollo e non tradotte in criteri tabellari sia affidata ai doveri di collaborazione e di buona amministrazione in capo alle autorità a diverso titolo chiamate a rendere il miglior servizio giustizia possibile”; il plenum del CSM ha quindi riservato alla competenza esclusiva degli organi disciplinari la valutazione della eventuale rilevanza della violazione delle indicazioni del protocollo e delle “ricadute in termini di disservizio”. La traccia segnata da questo precedente è significativa e consente di offrire al dibattito i seguenti spunti di riflessione. ndubbiamente da preferire, come detto, l’elaborazione concertata nel contesto di organismi misti, ma, laddove questi non esistono, non può escludersi che l’iniziativa provenga da singoli giudici o da singole sezioni dei vari uffici ovvero da membri di associazioni forensi od, ancora, dalle giunte o da componenti delle sezioni locali dell’Associazione Nazionale Magistrati e l’elaborato venga offerto al dibattito ed al confronto, sia in pubbliche assemblee, appositamente convocate, che sollecitando interlocuzioni e proposte, anche da parte di organismi istituzionali, quali i consigli dell’ordine o i dirigenti degli uffici. Dopo di che, il testo, risultato dal confronto e reso conoscibile, può I restare “confinato” nella forma della mera “raccomandazione” a giudici, avvocati, cancellieri e CTU a tenere determinati comportamenti, ovvero tradursi in atti di maggiore pregnanza, quali, ad esempio, per quanto riguarda più specificamente i magistrati, un decreto adottato dal presidente di sezione nell’esercizio delle attribuzioni ex art. 47 quater c.p.c., previo confronto con i giudici della sezione o dal presidente del tribunale (56) ovvero previsioni tabellari, concernenti specifiche misure organizzative (eventualmente con la previsione, nell’uno e nell’altro caso, di possibili e motivate deroghe). Pur restando fermo ed insuperabile il precetto dell’art. 175 c.p.c., che attribuisce al giudice istruttore della singola controversia “tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del processo”, non si può trascurare che la sistematica ed immotivata inosservanza di regole concordate e generalmente condivise in una determinata sede giudiziaria può determinare seri disservizi, con conseguenze rilevanti sul giudizio di professionalità del magistrato; e ciò a prescindere dal giudizio di responsabilità disciplinare, per la quale evidentemente non appare sufficiente la mera inosservanza del c.d. protocollo. Analogamente è a dirsi per i difensori, rispetto ai quali le sanzioni processuali non possono che conseguire alla violazione di precise norme del codice, pur non potendosi escludere che, soprattutto in caso di adesione del locale Consiglio dell’Ordine, l’inosservanza di regole di condotta fissate in un c.d. protocollo d’udienza, purchè conoscibili e generalmente applicate, venga in qualche modo stigmatizzata o sanzionata. e è vero, peraltro, che, per quanto riguarda la magistratura, fintantoché i protocolli d’intesa non si traducono in direttive interne non assumono vero e proprio carattere vincolante, ma sono espressione di accordi che si muovono lungo linee di correttezza e reciproco affidamento tra le parti che le hanno raggiunte, è pur innegabile che proprio questo è il portato veramente innovativo dello strumento; portato, che ha alla base la convinzione, che dovrebbe essere comune a tutti gli operatori del diritto, che un processo “virtuoso” è possibile, sì che non di obblighi veri e propri e correlate sanzioni debba trattarsi, ma di contributi spontanei per il raggiungimento dell’obiettivo di un processo in grado di fornire in tempi ragionevoli un’effettiva tutela giurisdizionale. S LUCIANA BARRECA Giudice Tribunale di Reggio Calabria (56) Come accaduto presso il Tribunale di Salerno con il decreto di adozione del protocollo di udienza del marzo di quest’anno, riguardante il protocollo delle udienze penali. 63 L M LE PRASSI VIRTUOSE AL BIVIO TRA METODO E INUTILITÀ L’a. si chiede se sia proponibile un “discorso del metodo” anche per le prassi virtuose nel processo civile, le quali non consistono in un catalogo fisso ma vanno adattate alla specificità del contenzioso trattato, e devono puntare non solo ai tempi ma anche alla qualità degli atti: e conclude che supportabilità, conoscibilità, nascita delle prassi dal confronto tra gli operatori e verifica sperimentale sul campo ne debbano essere i tratti distintivi anche utilizzando le riunioni dell’art. 47 quater O.G. o nell’ambito di osservatori sul civile. Si chiede infine che utilità possano avere le prassi virtuose in un processo, come quello prefigurato da d.d.l. governativo del 24 ottobre 2003, che veda emarginato il giudice dalla trattazione e dalla raccolta delle prove. 1. Guardando il titolo di questo convegno mi sono chiesto se si può tentare un “discorso del metodo” sulle prassi processuali virtuose: ovviamente, senza nessuna pretesa di sistematicità cartesiana. Ho letto con attenzione e qualche stupore l’elenco degli esempi virtuosi proposto dal gruppo di lavoro sul processo civile dell’ANM nell’introduzione di questa assemblea aperta. Molto generosamente non è stata stilata la lista delle prassi negative, quelle che tutti abbiamo presente e che per moto di reazione hanno portato settori non trascurabili dell’avvocatura a invocare controriforme come la Vaccarella. Però gli stessi avvocati che dai loro tribunali lamentano ogni giorno le sciatterie di non pochi magistrati, come la sistematica ignoranza del contenuto del fascicolo o la raccolta delle prove ad opera dei difensori – non tutte e non sempre imputabili alla cronica penuria dei mezzi ma anche alle colpevoli disattenzioni dei giudici, dei semi- 64 direttivi e dei dirigenti degli uffici – non si accorgeranno minimamente del passaggio dal rito civile paradisciplinare al processo privatizzato secondo Vaccarella: non mi pare che il primo modello abbia dato grandi soddisfazioni professionali al Foro, e ai cittadini da loro rappresentati, per cui mi sorprende la richiesta di elevarlo a regola processuale. Veniamo ai modelli virtuosi di cui all’elenco che oggi discutiamo. Qui la prima considerazione da fare è che non esistono prassi valide in assoluto per tutti gli uffici e per tutti i generi del contenzioso civile. Quello che per certi filoni di cause può rappresentare un’accelerazione dei tempi, in altri casi può determinare un rallentamento senza nessuna utilità istruttoria o conciliativa. Penso, in primo luogo, all’interrogatorio libero e ricordo sempre con gratitudine la sentenza n. 6808 del 2000 della II Sezione della Cassazione che ci consente di concertare con le parti se, quando, come farlo. Per an- 2. ni mi sono opposto alla mitologia dell’interrogatorio libero come centro di gravità permanente del processo, laddove è necessario distinguere settori in cui tale adempimento è effettivamente essenziale ed imprescindibile in esordio di causa (tanta parte del contenzioso contrattuale, la famiglia), da altri in cui non ha nessuna utilità, o almeno non è utile prima di una certa fase o un certo adempimento. Nel caso della r.c.a., per esempio, dove c’è un convenuto estraneo al fatto immediato ma solvibile, tutti sappiamo che il tentativo di conciliazione ha un senso ed una possibilità di riuscita solo dopo l’esperimento delle prove. Quindi, in primo luogo, valore relativo delle prassi, da calare nella concretezza del tipo di contenzioso affidato al singolo istruttore, tenendo presente che le prassi virtuose non sono solo quelle che possono contenere i tempi istruttori o decisionali, ma anche quelle che aumentano i momenti di dialetticità ed approfondimento sui nodi realmente controversi del processo, oppure che incidono positivamente sulla qualità dell’ istruttoria e delle prove raccolte: per capirci, non sono l’esame dei testimoni condotto con la conferma “a pappagallo” dei capitoli di prova. Sono invece prassi che si muovono all’interno di una logica di qualità e non solo di tempi: spesso è seguendo percorsi di qualità che fioriscono le conciliazioni extraprocessuali. Le prassi virtuose devono essere poi supportabili o forse sopportabili, perché indubbiamente costano tempo e fatica. Voglio dire che l’organizzazione dell’attività lavorativa secondo obiettivi di qualità, individuazione delle priorità dei casi ed efficacia presuppone la conoscibilità del proprio ruolo da parte del magistrato e la conseguente ripartizione omogenea del carico di lavoro per ogni udienza, come pure l’equilibrio tra ruolo istruttorio e ruolo decisorio. Per questa ragione, la precondizione assoluta, la questione pregiudiziale per cominciare a dibattere sulle prassi acceleratorie e/o virtuose riguarda la consistenza dei ruoli che amministriamo: di fronte a 900, 1.000, 1.200 fascicoli, non è possibile alcun governo del ruolo, ma l’unica prassi percorribile sensatamente è alzare bandiera bianca. Da qualche tempo – per l’esattezza, dal convegno dell’isola d’Elba promosso da Carlo VERARDI e Giuliana CIVININI nel giugno 1998 – si è diffusa l’idea che 500600 fascicoli sia il carico medio accettabile per ciascun istruttore. Concordo, e credo che non si tratti di numeri dati a caso ma abbiano un fondamento quasi scientifico: questa taglia infatti è il numero di fascicoli che, con un qualunque sistema di database, un normale giudice può aggiornare scaglionato udienza per udienza, in modo da avere così sempre in tempo reale il polso della situazione del suo contenzioso, magari raccolto ed esportabile in un terzo di capacità di un floppy disk. Superando tali numeri, l’investimento di tempo che fa il magistrato – naturalmente, privo di ogni collaborazione perché sarebbe perniciosa per la sua salute – per aggiornare progressivamente e sistematicamente tutto il suo ruolo diventa assolutamente antieconomico. Non è ovviamente sul piano delle prassi che si risolve il nodo della crescita del contenzioso, più o meno “autoreferenziale”. È abbastanza chiaro che volendo agire sul rubinetto, cioè sul flusso del contenzioso in entrata, si richiedono interventi coordinati e contestuali su diversi livelli di discorso: ampliamento delle sedi di tutela, non necessariamente contenziose; strategia di impiego della magistratura onoraria; selezio- ne sugli accessi alla professione legale; razionalizzazione ed organizzazione delle strutture e delle risorse umane e materiali. Poi, certamente, si tratta di intervenire anche rispetto al contenitore, cioè il processo: ma di questo parliamo in un’altra sessione del convegno, per cui ritorniamo al nostro tema ed in particolare alla praticabilità delle prassi. Inventare e gestire prassi virtuose significa disporre di supporti combinati di risorse umane e mezzi – il mitico ufficio del giudice – che si riscontrano ben organizzati solo in pochissime sedi giudiziarie: per il resto, i “potenti mezzi” per determinare conoscibilità ed equilibrio del carico di lavoro sono affidati alla “scienza privata” dei giudici civili, molti dei quali, in attesa di qualcosa di equivalente al “sistema informativo aziendale”, si sono autodotati di programmi di gestione del contenzioso, o li hanno sviluppati in proprio sui PC in dotazione, ed in totale solitudine li aggiornano senza nessuna utile sinergia con le cancelleria. Per farla breve, in questa dimensione “fai da te”, propria di una Giustizia civile non convenzionata con Alpitour ma con altre società di consulenza, i giudici sono diventati le più costose dattilografe di tutto il pubblico impiego. Le prassi devono poi essere conoscibili non meno dell’editto pretorio o della giurisprudenza di sezione. Non del tutto a torto il prof. Zan, e con lui tutti gli avvocati, lamentano che ogni 3.000 giudici ci siano 3.000 prassi diverse. Forse, in realtà, il quadro reale è un po’ meno fosco perché non mancano casi interessanti di coordinamento delle prassi giudiziarie nelle sezioni anche attraverso, per esempio, protocolli istruttori concertati tra i magistrati istruttori, oppure attraverso una modulistica uniforme. Non sottovalutiamo i prestampati: possono 65 avere una loro precisa etica e spesso hanno alle spalle un vero e proprio lavoro giurisprudenziale collettivo. Quello che certamente manca ancora, e qui le critiche colgono nel segno, è un massimario delle prassi conoscibile da parte dei magistrati e del Foro, possibilmente collettivo, frutto del lavoro delle riunioni dell’art. 47 quater ordinam. giudiziario. Dalle tabelle degli uffici giudiziari, negli ultimi tempi e nelle ultime due circolari del CSM, si pretende molto in termini di progetto di attività (quello che nei contesti aziendali si chiama, con terminologia religiosa, “missione”) da parte della sezione di un tribunale, sezione che viene giustamente identificata come l’unità operativa standard, su cui si deve ragionare per l’analisi dei flussi. Non è fantascientifico pensare che, come il CSM chiede di conoscere i criteri di priorità nella gestione dei flussi, così si preveda un’apposita appendice alle tabelle in cui si elencano le misure organizzative anche individuali con cui si pensa di cogliere tali obiettivi, magari in chiave sperimentale. Un esempio concreto: rispetto alle priorità nel settore del danno alla persona, quello che tratto quotidianamente e che meglio conosco, le tecniche utili per far procedere più speditamente i processi relativi ai casi prioritari di grandi invalidità o decessi possono essere le udienze dedicate, gli spazi liberi in agenda, l’udienza di smistamento nella fase decisoria. Di quest’ultima tecnica ho parlato specificamente in un distinto contributo che consegno agli organizzatori: potrei definirla un’invenzione di perfezionamento che consiste in una trasposizione, nella fase decisoria civile, dell’udienza filtro del penale. Naturalmente presuppone una visione d’insieme del ruolo delle 66 cause in decisione, e questo si può realizzare speditamente solo con una certa confidenza con programmi informatici tipo Access o Excell. Ho fatto una gran fatica per quattro anni a spiegare, tutte le volte, lo scopo e l’articolazione dell’udienza di smistamento delle p.c., e solo adesso quando la propongo mi si risponde con un sorriso d’intesa: “Ah, l’udienza filtro!”. Forse sarebbe stato meglio mandare subito una comunicazione esplicativa al Consiglio dell’Ordine, oppure organizzarci sopra qualche bel seminario di studi. È importante comunque che tutte le tecniche acceleratorie siano conoscibili dai magistrati e dagli utenti, anche in quei brevi istanti di trattazione orale “contratta” che ancora esistono, anche per poi procedere ad una valutazione comparativa della loro efficacia ed esportabilità, valutazioni da farsi sempre all’interno delle sezioni e sempre nel contesto dell’insostituibile art. 47 quater. Terzo passaggio: le prassi devono essere oggetto di confronto e, quando possibile, di concertazione. Il rischio di atteggiamenti arroganti, che sta sempre dietro la nostra professione, ci porta talora a concepire come assolutamente perfette le personali soluzioni che escogitiamo come rimedio ai nostri problemi di compatibilità tra flussi di lavoro, paletti normativi e capacità di smaltimento individuale. Qui il richiamo al metodo sperimentale, e qualche professione di umiltà, ci dovrebbero indurre ad ascoltare maggiormente i destinatari sulle ricadute delle nostre prassi organizzative, non foss’altro perché prassi condivise e funzionali sono certamente più efficaci di quelle imposte dall’alto, per quanto geniali. Potrei fare alcuni esempi di prassi apparentemente ingegnose introdotte da questo o quel collega che però, per la loro derivazione solipsistica, non concertata neppure con i colleghi della sezione, sono cadute presto in desuetudine. Prendiamo, a caso, lo scaglionamento in fasce orarie dell’udienza di trattazione “generalista” (vulgo: mercato del pesce). Se queste fasce orarie non vengono concordate tra tutti gli istruttori, e si prevedono nel tribunale fasce orarie molto diverse, è abbastanza prevedibile che presto si torni ai vecchi andazzi. Vorrei infrangere anche la visione mitologica della sentenza contestuale dell’art. 281 sexies c.p.c., sempre più percepita come panacea di tutti i mali anche nelle riforme in gestazione. Mi guardo bene dal contestarne la validità in generale e intendo continuare ad utilizzarla ancora, ma cum grano salis perché se si fanno troppe sentenze contestuali, si rallenta di molto la trattazione e le prove per gli altri fascicoli. Mi sembra importante portare progressivamente tale istituto, certamente eccentrico rispetto al tradizionale processo scritto civile, alla portata dell’intero foro che ha la sfortuna di frequentarmi senza determinare meccanismi di rifiuto. Certo, qui bisogna fare qualche esercizio di ascolto in più. Quando ho cercato di accelerare su tale strumento, che per me non era una novità vista la provenienza dal penale, ho trovato rigidità che non immaginavo anche da parte dei professionisti più preparati. Come mai? Mi è stato spiegato che la sentenza contestuale incide sui tempi di programmazione del lavoro dell’avvocato esattamente come potrebbe incidere sul ruolo decisorio di un giudice, ad esempio, una decisione urgente su una questione preliminare a fronte di cause in decisione già tutte fissate per i prossimi 3 anni. Mi è stato anche obiettato che non tutti gli avvocati civilisti, abituati da decenni ad una gestione cartacea del processo, possiedono uguali capacità dialettiche e dialogiche orali. Devo replicare agli avvocati che sono problemi loro se non hanno fatto i penalisti, che non me ne potrebbe importare di meno perché io devo tenere una certa rata di smaltimento, oppure devo chiedermi se per caso questa forma di conclusione del processo non possa determinare anche, in certe situazioni, una “disparità delle armi”, che si sa sempre a chi nuoce? Ho preferito allora puntare su una specie di trattazione mista, simile a quella dell’art. 281 quinquies c.p.c. (brevi note conclusionali + nota spese depositate 10 giorni prima dell’udienza), che coglie l’obiettivo di avere prospettazioni conclusive già abbastanza sviluppate, per poi determinare repliche orali realmente mirate sui nodi decisori e, a questo punto, abbastanza interessanti: il tutto, condito dalla decisione immediata. Non so se ho fatto bene oppure ho fatto male ad andare dietro agli avvocati in questo modo, ma credo che sia sempre un utile investimento ascoltare le ragioni, le obiezioni ed i suggerimenti da parte di un ceto forense che nel nostro settore, in generale, e nel mio tribunale in particolare, non vive il processo come una quotidiana battaglia da fare contro il giudice per non andare avanti. Naturalmente, se il confronto sulle prassi processuali avviene all’interno di organismi misti come possono essere gli Osservatori sulla giustizia civile, variamente fioriti nella Penisola anche come luogo di formazione comune e di analisi del momento organizzativo, e addirittura qui si concertano prassi innovative e virtuose come nei protocolli di udienza, tanto di guadagnato: si avrà il vantaggio di una buona diffusione del modello di prassi comune; ci sarà una possibilità di verifica sui ritorni; si riuscirà a contrapporre, alla stucchevole rassegnazione della maggioranza dei giudici civili, l’idea positiva che un altro processo civile è possibile. Un ultimo punto, con cui chiudo. La riflessione sulle prassi virtuose e l’analisi dei modelli processuali vanno a braccetto: in tanto si può pensare di sperimentare modelli virtuosi sul campo, in quanto ci siano regole di procedura che presuppongono un giudice “partecipante” in tutte le fasi del processo. L’oracolo decidente di cui parlava Mortara, o l’automa a gettone secondo Chiovenda, cioè il giudice estromesso dalla trattazione e dall’assunzione delle prove, come quello che amministrava il vecchio processo del 1865 e che tali Maestri combattevano con energia, è un giudice che di prassi virtuose non deve preoccuparsi minimamente: ci penserà un rito antideologico a garantire per lui una durata minima di 265 giorni della fase di trattazione in senso stretto, senza mettere ad essa alcun limite massimo; senza programmare i tempi del processo, senza immaginare filtri e percorsi dedicati per le priorità o le cause più impegnative. Se insomma le prassi deviate vengono elevate a norma processuale, se la patologia processuale di oggi diventa paradigma della riforma futura, non c’è ragionevole durata del processo che tenga e non c’è prassi virtuosa che possa essere utilmente escogitata. Potrà esistere solo un giudice non creativo ridotto a macchina del diritto sotto forma di parchimetro: a pagare il conto però – ben più salato di prima – saranno i cittadini che chiedono giustizia. ROBERTO BRACCIALINI Giudice Tribunale di Genova 67 L M L’ANM E LA FORMAZIONE PROFESSIONALE: UN NUOVO IMPEGNO D a quando dei problemi organizzativi del servizio Giustizia hanno incominciato ad occuparsi esperti (veri: penso, uno per tutti, al già molto noto libro del prof. Zan) di organizzazione, abbiamo più chiaro che tutta la nostra buona volontà, unita alle più felici tra le prassi ideate dai migliori tra i colleghi, darebbe un prodotto che non si avvicinerebbe neppure a qualcosa che possa essere seriamente chiamato “organizzazione” della Giurisdizione. La mia opinione personale è che questo richieda a tutti un ripensamento radicale del proprio ruolo, e che anche l’ANM si debba porre come co-protagonista di un approccio che restituisca ai cittadini italiani il diritto ad avere qualcuno responsabile (nel senso che ne risponda) “dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla Giustizia”. La delicatezza (anche di tipo costituzionale) del tema non può bastare ad arretrare davanti a questa necessità, in un momento in cui c’è chi spera di poter profittare dell’insufficiente funzionalità della giurisdizione per collocarla, a poco a poco, nella soffitta delle istituzioni superate. Ebbene, mi sento di affermare che con il Convegno di giugno 2003 sui procedimenti di separazione e divorzio l’ANM abbia già percorso una tappa significativa di un possibile ripensamento del ruolo proprio della nostra associazione. Nel documento di presentazione di quel Convegno di 68 studio (che per comodità allego) mettevamo in evidenza la grande varietà di trattamento che le coppie in crisi trovano nei vari tribunali quando chiedono l’intervento del giudice, ma sottolineavamo anche che la rilevazione delle varie realtà aveva dovuto essere condotta per iniziativa dell’ANM perché non vi erano stati soggetti istituzionali che se ne fossero dati carico. Non si trattava di una polemica, e meno ancora di una fuga dalle responsabilità: con quel convegno, al contrario, l’ANM le responsabilità proprie dei magistrati, e delle loro prassi più o meno conformi alle previsioni legislative le ha messe in primo piano, senza flagellazioni ma senza ipocrisie. Proprio nel confrontare le norme con le realtà dei singoli uffici, l’ANM ha svolto una nuova funzione, che difficilmente soggetti istituzionali potrebbero svolgere con eguale vastità di partecipazione. Come sapete, il questionario predisposto dalla stessa ANM (con preziosi contributi esterni, specie degli avvocati attivi in alcuni Osservatori) ha raggiunto la maggior parte dei tribunali, ed è tornato compilato da 50 uffici, con un effetto-verità che risulta – all’esame delle risposte raccolte nei questionari – per più aspetti inquietante. Ugualmente però, e proprio per contrasto, spicca dai questionari una serie di prassi e di situazioni organizzative positive, che si pongono come naturali punti di riferimento per un lavoro di arricchimento della professionalità di tutti. E qui viene la seconda novità che questa esperienza ha prodotto, cioè l’iniziativa (inedita anch’essa, per modalità e impegno) delle nove giornate di lavoro che la IX Commissione del C.S.M. ha fondato, nell’ambito di un’iniziativa di formazione, proprio sui materiali raccolti dalla commissione ANM sul diritto di famiglia. Di questa iniziativa è troppo presto per fare un bilancio, perché essa troverà la sua conclusione solo tra qualche giorno; ma credo sia la prima volta che il CSM affronta esplicitamente l’ambizione di precisare, in un settore di attività giudiziaria, alcune “linee guida” ricalcate sulle realtà professionali più avanzate, così cercando di porre un primo rimedio all’assenza, nella giurisdizione, di una strategia di coordinamento ed integrazione professionale, che è invece presente in qualsiasi altra istituzione basata sulla professionalità (ZAN, Fascicoli e tribunali, pagg. 58-60 e 84-88, ci confronta con scuole, ospedali, università). Ed anche questo mi sembra un esempio di riflessione concreta (da parte questa volta del CSM) sul proprio ruolo. enza modificare alcuna normativa, dunque, si sono prodotte nel campo del diritto di famiglia delle novità nel modo di operare sia dell’ANM sia del CSM. Manca, purtroppo e come sempre, una risposta parallela dell’apparato ministeriale, perché la commissione di lavoro congiunta CSM-Ministero sul monitoraggio dei flussi giudiziari non sembra sinora aver dato origine ad un lavoro di revisione degli organici degli uffici impostata sulla verifica della sufficienza degli organici (specie negli uffici più grandi) rispetto agli obiettivi propri dell’art. 111 e delle esigenze di specializzazione dei singoli settori; ma questo potrebbe essere il dato più influenzato dalla politica contingente, come vi è più di una ragione per credere. Piuttosto che S compiacermi di una troppo facile polemica, preferisco guardare avanti, ed immaginare che analoghe iniziative di ricerca sul campo, messe in opera da associazioni professionali con la collaborazione di magistrati ed avvocati, possano mettere in futuro in evidenza (attraverso un confronto non improvvisato) le modalità più avanzate di gestire singoli tipi di procedimenti che le concrete esperienze professionali rendono già disponibili (questa sarebbe una prima revisione dei modi di fare associazione); che simili indicazioni possano trovare attenzione e risposta da parte del CSM (per mettere a punto linee guida, modelli o protocolli che dir si voglia; e questa sarebbe una seconda evoluzione del modo di operare della formazione professionale); e che, infine, il Ministro di Giustizia recuperi finalmente una parte attiva in un onesto ruolo strumentale, tuttavia necessario per organizzare anzitutto una verifica ragionata degli organici dei singoli uffici, ed in secondo luogo la diffusione non casuale delle informazioni, degli stampati e del software che abbiano accompagnato le esperienze pilota riconosciute (dal Consiglio Superiore della Magistratura) come più avanzate. Capisco bene che questi suggerimenti non sciolgono nessuna delle anomalie (frammentazione delle regole e delle competenze) che il quadro istituzionale dell’amministrazione giudiziaria offre oggi agli occhi dello studioso di organizzazione; ma credo che, prima di pensare a riformare delicati equilibri istituzionali, si possa provare a sperimentare qualche intelligente innovazione dei modi di operare di tutti i soggetti che animano il mondo della giurisdizione. Potrei interrompermi qui, ma sono sicuro che aggiungere un esempio non può che migliorare la comprensione del discorso. Vi propongo dunque come per esempio (di un nuovo modo di riflettere sulle realtà giudiziarie) il tema della conciliazione della lite in una fase pre-contenziosa, attorno al quale si confrontano tante ricette, che potremmo collocare tutte sotto l’etichetta del “governo dei flussi in entrata”. nziché attingere ad esperienze straniere, che spesso sottendono strutture sociali differenti, proviamo dunque ad applicare a questo tema le fantasie che ho appena esposto sul ruolo che può avere, nel nostro mondo, l’individuazione delle “best practices”. Nel settore del diritto di famiglia, le udienze presidenziali di separazione costituiscono un punto di osservazione privilegiato di una forma di conciliazione specifica, consistente nella trasformazione del procedimento di separazione in consensuale. Le riflessioni che potrebbero essere proposte sono di vario tipo: la prima è che proprio la ricerca compiuta dal nostro gruppo di lavoro ha reso evidente come lo stesso strumento processuale (udienza presidenziale) possa dare risultati diversissimi (in termini di percentuale di trasformazione delle separazioni giudiziali in consensuali già nella fase presidenziale) secondo il tipo di contesto (risorse in termini di numero di magistrati, di quantità di udienze e di durata delle stesse) ma anche secondo il tipo di impostazione che questa particolare attività assume: e questo consiglia di affiancare sempre, allo studio di uno strumento processuale, una precisazione attorno alla quantità di risorse che vi viene destinata, ed agli investimenti che vengono compiuti in termini di formazione professionale. La seconda riflessione è che, nei tribunali nei quali lo strumento A 69 fornisce le prove migliori, viene definita senza alcuna prosecuzione processuale una percentuale rilevantissima (tra il 60 e l’80% del flusso di nuovi procedimenti in entrata) di procedimenti: poiché le variabili che il procedimento consente riguardano essenzialmente il rapporto tra il magistrato che conduce l’udienza presidenziale e quello che viene poi incaricato della trattazione dell’istruttoria, sarebbe inoltre interessante verificare se il maggior numero di conciliazioni (uso qui la parola non in senso stretto, ma nel senso ampio di definizione del procedimento in una sede non ancora pienamente contenziosa) intervenga nelle sedi in cui l’udienza presidenziale viene tenuta dal presidente (o comunque da magistrati destinati in base all’anzianità), con assegnazione della fase istruttoria ad altro magistrato, ovvero in quelle sedi in cui le udienze presidenziali vengono distribuite tra tutti i magistrati della sezione, con prosecuzione dell’istruttoria davanti al medesimo magistrato. a queste verifiche potrebbero venire spunti utili, mi sembra, per riflettere, più in generale, anzitutto sulla rilevanza dell’autorevolezza professionale delle figure alle quali affidare funzioni conciliative (proporre alle parti una conciliazione richiede infatti, per mia esperienza, un’autorevolezza personale superiore – nel rapporto con gli avvocati – a quella sufficiente per la pronuncia di una sentenza) ed in secondo luogo sull’affiancamento tra funzione conciliativa e poteri di prima decisione che trovino fondamento non nella completezza dell’indagine (le udienze presidenziali hanno una struttura cognitiva più che sommaria) ma nella comune esigenza delle parti, che hanno necessità immediata D 70 o di un assetto conciliativo o di una pronuncia comunque esecutiva. Mi rendo ben conto che la esigenza di un assetto provvisorio presenta, nei procedimenti di separazione personale, un’urgenza particolare, di solito non presente in altri tipi di cause; ma la mia personale opinione è che in molte altre controversie tutte le parti sarebbero interessate a chiedere, se la legge desse loro questa possibilità, una pronuncia provvisoria immediata, che dia loro comunque una prima decisione di un soggetto imparziale in esito ad una prima trattazione più che sommaria da parte del presidente della sezione, se avessero la garanzia che tale decisione fosse immediatamente modificabile dall’istruttore lungo tutto l’arco successivo del procedimento; questo consentirebbe loro, se non altro, di usufruire della decisione immediata come immediato punto di riferimento per la prosecuzione di trattative di componimento, oltre che, naturalmente, come immediato intervento giurisdizionale produttivo di effetti esecutivi. a mia (personale) fantasia, dunque, è che la previsione (necessaria naturalmente per riforma legislativa, data la tipicità dei titoli esecutivi) della espressione di un consenso di tutte le parti ad una simile forma di trattazione con decisione anticipata (su uno o più capi della materia in discussione) possa vincere le resistenze del nostro legislatore ad introdurre un procedimento sommario generalizzato sul modello del référé; che la sua introduzione possa offrire un nuovo modello di intervento, funzionalmente destinato ai presidenti di sezione, con una generalizzazione delle udienze presidenziali come fase di delibazione precontenziosa; e che attra- L verso questo strumento possano trovare una prima risposta giurisdizionale (in alternativa alla conciliazione, che dovrebbe in queste udienze essere sempre tentata) quantomeno le controversie vere, quelle nelle quali entrambe le parti ritengono davvero di aver ragione ed hanno bisogno di un giudice che decida, e non di un luogo ove la vertenza sprofonda in sabbie mobili. Si tratterebbe, insomma, di strappare in tempo reale, per le controversie più autentiche, un immediato spazio di ragionamento (potenzialmente aperto sia alla conciliazione sia ad una decisione anticipatoria) alla massa del contenzioso soffocato dalle cause dei debitori che vogliono soltanto rinviare il tempo del redde rationem. ALLEGATO CONVEGNO ANM 3 GIUGNO 2003 VIAGGIO NEI PROCEDIMENTI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO DOCUMENTO DI PRESENTAZIONE Con questo Convegno l’Associazione Nazionale Magistrati insiste nel suo intento di costituire, nel rapporto con le istituzioni e con i cittadini, un luogo caratterizzato da valori di professionalità, di concretezza e di trasparenza. Di professionalità: per cui, anche in questo momento di tragedia e di aspre polemiche nel mondo della politica, noi diamo priorità alle nostre responsabilità verso i singoli cittadini che ricorrono al giudice per affrontare le crisi della famiglia. Di concretezza: per cui scegliamo di misurarci, anziché con principi astratti, con la realtà delle vicende processuali dei procedimenti di separazione e divorzio, esaminati nei loro aspetti più critici e rapportati alla misura ed alla qualità delle risorse che gli uffici giudiziari hanno realmente a loro disposizione. Di trasparenza: per cui abbiamo preso noi l’iniziativa di richiedere la collaborazione dei magistrati che operano nel settore del diritto di famiglia, per condurre un’indagine a mezzo di un questionario molto articolato, al quale hanno risposto 50 Tribunali; in questo modo la riflessione sui processi in materia di famiglia può finalmente avere per oggetto non opinioni preconcette o discorsi mai verificabili, ma le realtà di uffici giudiziari che sono caratterizzati non solo da una varietà di dimensione e di collocazione geografica ma anche – e qui incominciamo ad entrare nel merito del problema – da una grande varietà di comportamenti e di interpretazioni. Vi sono tribunali presso i quali un procedimento di separazione consensuale richiede un mese, e tribunali presso i quali ne occorrono quattordici; se poi si guarda alle separazioni che vengono introdotte come giudiziali, constatiamo che la fase presidenziale porta a trasformare in separazione consensuale un numero di procedimenti che variano (in percentuale) da un minimo del 2% sino ad un massimo dell’80%, con aggregazioni statistiche significative attorno ai valori del 10%, del 20%, del 30%. Per un procedimento di divorzio i tempi di definizione sono compresi tra una settimana e quattordici mesi per i divorzi ad istanza congiunta, e tra quaranta giorni e quattro anni per i divorzi contenziosi. I procedimenti di separazione giudiziale giungono a definizione in un arco di tempo che in alcuni tribunali è inferiore a 15 mesi, in altri è contenuto entro due anni, in altri ancora giunge a 3 o anche a 4 anni. Se poi guardiamo ai risultati con gli occhi degli addetti ai lavori, saltano all’occhio le differenze procedurali, che vanno dalla presenza o assenza degli avvocati a fianco dei coniugi nell’udienza presidenziale alle varie modalità di ascolto (e di non ascolto) dei figli minori, toccano i diversi strumenti che vengono adottati per l’accertamento delle condizioni patrimoniali dei coniugi ed investono (ma questo lo si sapeva, in assenza di riforme processuali che colmino la lacuna legislativa) tutta la fase introduttiva del procedimento davanti al giudice istruttore. Sulla base di questi dati crediamo che sorgano spontanee alcune domande, in parte retoriche ed in parte reali. Dobbiamo considerare normale che i cittadini siano esposti, in momenti così delicati dei loro rapporti familiari, ad esiti tanto diversificati? Il Ministro della Giustizia può ritenere di avere ben organizzato le risorse ed i servizi relativi, oppure queste diversificazioni lo interpellano e gli pongono il dovere di dare risposte? All’interno degli uffici i dirigenti hanno consapevolezza del problema dei tempi in questi particolari procedimenti? A parità di risorse, hanno provato a confrontare varie soluzioni per cercare di avvicinare i tempi di durata complessiva delle separazioni e dei divorzi, o almeno quelli propri delle fasi presidenziali? Quali correlazioni esistono tra dimensioni dell’ufficio, modi di trattare il procedimento ed esiti di questi procedimenti? Quali correlazioni si colgono tra le situazioni degli uffici in cui questi procedimenti vengono assegnati ai magistrati secondo criteri di specializzazione e quelle in cui essi vengono distribuiti in modo casuale ed omogeneo rispetto al resto del lavoro giudiziario? Sarebbe possibile estendere la formazione professionale, curata dal Consiglio Superiore della Magistratura soprattutto (sinora) agli aspetti di interpretazione delle norme processuali e sostanziali , anche allo studio di moduli organizzativi che possano essere proposti in virtù di migliori risultati raggiunti a parità di risorse? Durante i lavori del Convegno cercheremo tutti (ciascuno nel ruolo che gli è proprio) di mettere meglio a fuoco queste ed altre domande, e soprattutto di abbozzare qualche prima risposta. L’Associazione Nazionale Magistrati intende poi proseguire il lavoro, appunto con criteri di professionalità concretezza e trasparenza, per approdare a risultati concreti. Il nostro impegno viene dichiarato sin d’ora. Nell’attenzione del Ministero della Giustizia, del Consiglio superiore e dei dirigenti degli uffici giudiziari confidiamo. Tutti insieme, potremmo contribuire ad offrire ai cittadini che attraversano una crisi nei loro rapporti familiari un terreno di discussione più civile, un livello di professionalità più sorvegliato, tempi di soluzione più uniformi ed accettabili. Vale la pena di compiere uno sforzo. PAOLO MARTINELLI Presidente Sezione Tribunale di Genova 71 L M ALCUNE COSE CHE I GIUDICI POSSONO FARE IMMEDIATAMENTE PER MIGLIORARE LA GESTIONE DEL PROCESSO L a giustizia civile costituisce un sistema assai complesso; per migliorarlo occorre una pluralità di interventi, a tutti i livelli, tutti necessari: legislativo, amministrativo, organizzativo-gestionale, professionale. È anche un sistema che in Italia funziona a macchia di leopardo; ci sono isole felici, zone tranquille, zone infernali. Sul tema è già stato detto e scritto tantissimo, da studiosi dell’organizzazione, professori di diritto, avvocati, magistrati. Mi limito a svolgere alcune brevi osservazioni, rimandando per un approfondimento agli articoli contenuti nell’«Obiettivo sulla giustizia civile» di prossima pubblicazione sulla rivista Questione Giustizia. La prima: è possibile pervenire ad un miglioramento della funzionalità in tempi rapidi, anche con l’attuale assetto legislativo, ed anche con l’attuale situazione organizzativa e strutturale che, come è noto, in molte sedi giudiziarie è assai grave; anche dove vi sono gravi difficoltà dovute a carenza di stanze, di strumenti informatici, di personale di cancelleria, anche in presenza di ruoli istruttori di 1.000 e più cause. Giudici, avvocati, personale di cancelleria, a Bologna come a Milano, a Roma, Reggio Calabria, Firenze, Salerno, hanno in corso 72 positive esperienze, maturate all’interno degli Osservatori sulla giustizia civile. Giudici, avvocati, cancellieri, possono e devono agire, pur avendo la piena consapevolezza che qualunque assetto processuale, qualunque riforma normativa, ha bisogno di uomini mezzi e risorse finanziarie, non conferibili da loro, ma ha anche bisogno di intelligenze, di proposte e di comunità di intenti, che non possono non provenire in primo luogo dalle professioni che sono protagoniste del processo. I magistrati addetti al settore civile devono fare la loro parte, devono accrescere sempre più la loro professionalità, devono contribuire a migliorare da subito l’attuazione della riforma processuale del 1990-1995, che ha l’indubbio merito di aver razionalizzato le fasi processuali e di aver favorito la concentrazione del processo. I magistrati devono saper porre al servizio dei cittadini una rinnovata professionalità. Lo richiedono una lettura del principio costituzionale della ragionevole durata del processo non disgiunta dal diritto dei cittadini di vedere deciso nel merito il conflitto insorto, l’ambito europeo in cui siamo inseriti, il ruolo assegnato alla giurisdizione dalla Costituzione, di tutela e di promozione dei diritti, in funzione della realizzazione degli alti valori di ci- viltà consacrati nella carta costituzionale. Senza attendere taumaturgici interventi del legislatore e del governo, attesi da troppi anni, ci sono comportamenti positivi che i giudici possono adottare. COSE CHE PUÒ FARE IL SINGOLO GIUDICE L’ udienza deve essere il momento centrale del processo, e ciascuna udienza deve conseguire un risultato utile per tutti. Per far ciò, il singolo giudice: • deve elaborare idonee prassi processuali ed organizzative di gestione del proprio ruolo, anche partendo da alcune specifiche tipologie di cause, e progredendo per gradi progressivi, laddove la situazione dei ruoli istruttori sia oltremodo difficile; • deve usare i poteri di indirizzo e di controllo di cui dispone, deve curare la trattazione istruttoria delle cause, sia pur con tutti i limiti imposti dalle concrete difficili situazioni in cui opera. Alcuni esempi tratti dalla quotidiana esperienza: possono eliminarsi alcune udienze che sono del tutto inutili: per giudici, avvocati, cancellieri. A) Va salutata a mio parere con favore la prassi – non ancora diffusa a livello nazionale – secondo cui alla prima udienza di trattazione vengono concessi congiuntamente – sollecitando la richiesta delle parti in tal senso – sia i termini ex art. 183 c.p.c., sia i termini ex art. 184 c.p.c. In tal modo gli avvocati risparmiano la comparizione in un’udienza che si risolve nella mera assegnazione di termini. 1. B) Va anche eliminata quell’udienza che, cadendo immediatamente dopo il deposito della ctu, si risolve spesso nella richiesta di rinvio “per esame e note critiche alla ctu”. È sufficiente assegnare, all’udienza di conferimento dell’incarico, un termine alle parti per depositare osservazioni alla ctu, di modo che alla prima udienza successiva al deposito possono immediatamente discutersi le questioni eventualmente insorte. C) Probabilmente può eliminarsi anche l’udienza di precisazione delle conclusioni potendo il giudice, direttamente all’udienza in cui l’istruzione probatoria termina, far precisare le conclusioni con fissazione del dies a quo ad una certa data ai fini della decorrenza del termine per il deposito delle comparse conclusionali. Come si vede, si risparmiano ben tre udienze, inutili per tutti, giudici ed avvocati, e che comportano anche un inutile aggravio di lavoro della cancelleria, che deve movimentare fascicoli a vuoto e compiere adempimenti privi di alcuna utilità. In tribunali come Roma, il risparmio di energie lavorative si rapporta a decine di migliaia di fascicoli. Sono queste le udienze inutili da eliminare, non quelle di effettiva trattazione e di acquisizione delle prove orali. Il giudice può – e deve – dedicare il tempo dell’udienza alla trattazione di quelle cause dove vi sono questioni da discutere con gli avvocati, ovvero bisogna decidere sull’ammissione delle prove, ovvero ancora vanno sentiti i testi. Altro esempio. L’udienza deve svolgersi in modo ordinato, portando in udienza un numero di cause gestibile, programmandole per fasce orarie, prevedendo 2. il tempo necessario di trattazione per ciascuna udienza. Il giudice deve giungere preparato all’udienza, deve privilegiare l’emissione in udienza dei provvedimenti. Un’altra udienza inutile (e siamo a quattro) che si tiene ancora troppo spesso è quella in cui il giudice “si riserva” sulle istanze istruttorie delle parti. Giustamente l’avvocato si chiede cosa sia venuto a fare in udienza, quando ha depositato nei termini ex art. 184 le memorie istruttorie definitive. Ma anche l’avvocato deve giungere preparato all’udienza, evitando ad esempio che vi sia un suo sostituto ignaro della causa da trattare. L’esperienza dei protocolli d’udienza elaborati dagli Osservatori sulla giustizia civile in alcune sedi giudiziarie dimostra che la questione di una ordinata gestione dell’udienza è diffusa e sentita in tantissimi uffici. Programmazione dei tempi dell’udienza ed udienza tenuta a porte chiuse, costituiscono presupposti essenziali per ridare dignità e forma all’attività professionale del giudice e dell’avvocato. Anche il CSM ha avvertito l’importanza di tali questioni. Con recentissima circolare del 30 luglio scorso (in vigore dal 31 ottobre 2003) è stata integrata la circolare n. 1275 del 22 maggio 1985 in materia di criteri per la formulazione dei pareri per la valutazione di professionalità dei magistrati, innovando il parere richiesto ex art. 190 ord. giud. per l’idoneità al mutamento delle funzioni. Ha predisposto un modello standard di relazione da parte del dirigente dell’ufficio, modello che, tra l’altro, – alla voce “laboriosità” del magistrato – richiede di specificare, per ciascun anno, dal primo al sesto, quanti procedimenti sono stati assegnati al giudice, quanti sono stati conclusi, quan73 te udienze sono state tenute (1). Ha altresì introdotto – e ciò mi pare assai rilevante – il parametro di valutazione consistente nella “capacità del magistrato di organizzare il proprio lavoro” indicando, a titolo esemplificativo, la rilevazione delle capacità di “gestione dell’udienza, della comparizione delle parti nel tentativo di conciliazione, della discussione orale. In particolare dovrà essere evidenziata la capacità del magistrato di organizzare la parte pubblica della sua attività in modo da ridurre al minimo il disagio degli utenti della giustizia e dei loro difensori”. Ancora. In una certa misura percentuale è possibile aumentare le definizioni dei procedimenti civili, senza gravare ulteriormente sul carico di lavoro complessivo ancora troppo spesso insostenibile. Troppo spesso i giudici ritengono che l’essenza della loro professionalità risieda nella redazione di una dotta e ridondante sentenza; certo, la motivazione dei provvedimenti è elemento essenziale della decisione, per l’ineludibile controllo di razionalità e di conformità alla legge delle decisioni. È necessario però che si diffonda una nuova cultura della motivazione, che deve divenire molto più agile e concisa, superando il tradizionale schema che ricalca un tema di italiano da liceo classico. Così come vanno incentivate le decisioni ex art. 281 sexies c.p.c., quanto meno nelle materie e nelle cause che consentono una maggiore concisione. I dati di un recente questionario diffuso dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Firenze tra i giu- 3. dici civili di quel tribunale evidenziano un uso ancora sporadico di tale istituto. Dati analoghi sono emersi in una indagine svolta nel 2001 presso il tribunale di Roma. Sentenza immediata non significa sentenza sommaria. Significa invece un diverso approccio del giudice con la causa; significa approfondirne lo studio già nel momento istruttorio e decidere quando il ricordo dei fatti di causa è ancora vivo; significa un minor dispendio di tempo per il giudice. Si tratta di saper lavorare meglio e con un nuovo approccio al fascicolo. COSE CHE POSSONO FARE I PRESIDENTI DI SEZIONI o, nei piccoli tribunali, direttamente i capi degli uffici, d’intesa con i dirigenti delle cancellerie V a realizzato un programma di lavoro collettivo, con cadenza annuale. Anche alla luce delle più recenti circolari del CSM in materia, i presidenti di tribunale devono elaborare un programma generale in occasione della redazione delle tabelle biennali. Il presidente di sezione deve predisporre un programma specifico della sezione, in relazione alla quantità ed alla difficoltà delle cause pendenti presso la sezione; previe idonee riunioni ex art. 47 quater ord. giud. in cui anche i singoli giudici indicano procedure e prassi ritenute idonee a realizzare gli obiettivi, tenendo conto della specifica realtà giudiziaria in cui si opera e delle materie trattate. (1) Nella circolare si precisa che ogni procedimento di volontaria giurisdizione vale 0,50 e che vanno indicate solo le sentenze; vanno sommate le udienze pubbliche e quelle in camera di consiglio. 74 Per controllare l’attuazione del programma occorre però prevedere una griglia di indici rilevatori del lavoro svolto dal singolo giudice, perché solo dal loro raffronto incrociato è possibile controllare quanto il giudice ha fatto in un dato periodo, e confrontarlo col lavoro svolto dagli altri, ed è possibile così evidenziare comportamenti negligenti ed attivare utilissimi controlli interni tra giudici e tra giudici e dirigenti. In tale prospettiva, sarebbe utile la predisposizione da parte del CSM di un modello standard di rilevazione da utilizzare in tutti gli uffici giudiziari che rilevi, per ogni anno di lavoro: a) sia quante udienze vengono tenute sia quanto tempo il giudice dedica all’attività istruttoria (riportando l’orario di inizio e di fine delle udienze istruttorie) (2); b) quanti procedimenti vengono definiti ogni anno ex art. 309 c.p.c., ed in quale stato dell’istruttoria. È evidente che una cancellazione della causa dal ruolo che avviene dopo l’esaurimento dell’istruttoria può essere indice di un buon lavoro istruttorio svolto dal giudice; una cancellazione avvenuta all’inizio della causa è invece indice di un buon lavoro stragiudiziale svolto dagli avvocati; c) su quante domande introdotte nello stesso processo (o in cause riunite) il giudice si è dovuto pronunciare; d) quante cause vengono definite per una ragione processuale – e di che tipo – o vengono decise nel merito; e) in quale misura ogni anno il giudice riesce a definire le cause più risalenti, ed in che percentuale rispetto al carico (2) Si deve segnalare che anche tale indice di per sé può avere significato ambiguo, potendo il giudice avere ammesso prove del tutto inutili ed irrilevanti rispetto alle questioni da decidere. complessivo diviso per anni, dovendosi altresì differenziare le cause per tipologia e per complessità in concreto verificatasi (3). La percentualizzazione deve tener conto della competenza interna attribuita tabellarmente a ciascuna sezione di tribunale (appalti, sinistri stradali, contratti, e così via). Tale indice è utile sia perché evidenzia la capacità di organizzazione del proprio ruolo sia perché un eccesso di definizione di cause più recenti può segnalare che il giudice si concentra solo su cause di pronta soluzione, non curando la gestione del proprio ruolo in modo omogeneo ed attento, procrastinando nel tempo le decisioni più complesse e scomode (4). videntemente, una rilevazione di questo tipo richiede un aggiornamento costante dell’agenda di lavoro da parte del giudice e della cancelleria, udienza dopo udienza. Presuppone anche che l’assegnazione delle cause avvenga in modo omogeneo tra i giudici, ripartendole equamente quanto a tipologia, che il ruolo del giudice non subisca improvvise e significative integrazioni o variazioni – ad esempio assegnazioni di cause già attribuite ad altro giudice –, altrimenti l’agenda del giudice viene sconvolta E ed i dati non sono più in grado di indicare le capacità organizzative del giudice. Nel caso in cui si presenti la necessità di modificare l’assegnazione di blocchi di cause, dovrebbero esser previsti criteri oggettivi di trasferimento e di ripartizione tra i giudici, caricandoli in modo omogeneo per quantità e qualità (5). Un’ultima riflessione. Occorre distinguere il piano organizzativo generale da quello individuale del giudice. Probabilmente, solo con riferimento ad un programma elaborato dalla sezione e ad un programma elaborato dalla dirigenza del tribunale può parlarsi propriamente di “efficienza” e di “produttività”. Rispetto al singolo giudice deve parlarsi di “professionalità”, da valutare tenendo conto dei vari aspetti espressivi di essa. Una più netta differenziazione tra efficienza dell’ufficio giudiziario e professionalità del singolo giudice consente anche di dare nuovo contenuto alle funzioni ed alle responsabilità del presidente di sezione e del dirigente la cancelleria (6). In proposito, da una recente indagine compiuta un anno fa dall’Osservatorio di Reggio Calabria (7) emerge che non sono pochi i presidenti di sezione che utilizzano ancora in modo inadeguato i poteri/doveri di cui all’art. (3) La questione della definizione delle pendenze più risalenti ha costituito oggetto di specifica circolare del 4.12.2001 da parte del Presidente del tribunale di Torino titolata “programma Strasburgo”. (4) L’indice in questione risulta meno significativo nei casi in cui vi sia una sola sezione promiscua e dunque il giudice deve occuparsi di tutte le materie, oppure laddove – anche in grandi uffici giudiziari – sorprendentemente non sia ancora prevista tra le sezioni una ripartizione tabellare della competenza per materia. Sotto altro profilo, la peculiarità della materia successoria potrebbe rendere utile concentrare solo in alcune grandi sedi giudiziarie le relative controversie. In tal modo si eviterebbe di richiedere al giudice l’approfondimento tecnico di una materia che sarà poi sfruttato per un numero non significativo di casi. (5) Il tema del controllo del lavoro del singolo giudice è stato posto da D. Spera in “Statistiche, organizzazione e valutazione 47 quater ord. giud., specie in relazione alla predisposizione di programmi di medio periodo. La nuova circolare del CSM del 30 luglio scorso richiede una nuova capacità organizzativa alle due figure professionali. Occorre che il Csm affronti la questione della selezione e della qualità dei dirigenti e dei semidirettivi. Dovrebbero poi essere calendarizzate periodiche riunioni di sezione anche allo scopo di divulgare e discutere tra i giudici i risultati del lavoro svolto da ciascuno e di discutere la situazione complessiva della sezione, il tipo di contenzioso in ingresso, la percentuale di definizione delle cause più risalenti, gli obiettivi perseguibili nell’immediato e nel medio periodo, il grado di organizzazione delle cancellerie e di funzionalità ed utilità del sistema informatico (8). arebbe anche importante che i magistrati dirigenti promuovano riunioni ex art. 47 quater allargate, in cui giudici, avvocati, cancellieri discutano insieme, nella prospettiva di acquisire la più ampia conoscenza dei problemi concreti vissuti da ciascuna figura professionale e di migliorare il servizio reso ai cittadini. S FRANCESCO RANIERI Giudice Tribunale di Roma di professionalità. L’esperienza del Tribunale di Milano”, in Questione Giustizia, 2002, 2, 445 ss. (6) Per utili spunti di approfondimento v. G. Xilo e S. Zan, “Il problema organizzazione nella giustizia civile italiana”, Rivista cit., 2000, 3, 484 ss., nonché S. Zan, “Fascicoli e tribunali. Il processo civile in una prospettiva organizzativa”, il Mulino 2003. (7) Trattasi dei dati raccolti dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Reggio Calabria e diffusi al convegno del novembre 2002 “Giustizia civile tra legalità ed efficienza”, i cui lavori sono editi da Ipsoa. V. in argomento anche A. Ricciardi, “Le modalità di applicazione dell’art. 47 quater nel tribunale di Milano” e F. Vigorito, “Potenzialità e limiti del nuovo ruolo del presidente di sezione”, Rivista cit., 2003, 1, 109 ss. (8) In molti grandi uffici ancora non si avvertono i benefici che l’informatizzazione dovrebbe portare al lavoro del giudice. 75 L M UN PROTOCOLLO ROMANO PER LA GESTIONE DELLE UDIENZE CIVILI «They wanted lawyers who went into any federal courts (...) to know what to expect and not to have to undergo a initiation period or to rely on the wisdom of local pratictioners» (D. SHAPIRO, Federal Rule 16: A Look at the Theory and Practice of Rulemaking, in 137 U. Pa. L. Rev., 1989, 1974) L’ Osservatorio romano sulla giustizia civile, composto di giudici ed avvocati ed aperto al contributo di tutti gli operatori della giustizia, ha predisposto un protocollo per la gestione delle udienze civili e, con l’Ufficio del Referente distrettuale per la formazione decentrata, il 28 ottobre 2003, lo ha presentato al pubblico, «consapevoli – come è indicato nella locandina – della centralità del tema dell’organizzazione del lavoro quale componente della stessa professionalità del giudice». Il protocollo, nelle intenzioni di chi lo ha elaborato tende ad «individuare alcune regole volte a favorire uno svolgimento più ordinato e proficuo delle udienze civili, a superare, almeno in parte, i disagi esistenti, a migliorare la qualità del processo, a tutelare la riservatezza dei soggetti coinvolti ed a ridurre drasticamente i tempi di attesa dei testimoni, delle parti e degli avvocati». Quali che siano i contenuti del protocollo, suscettibile di essere arricchito ed integrato, l’evento appare importante e meritevole di essere segnalato sulle colonne di questa Rivista. Il presupposto è che l’esercizio dei poteri discrezionali del giudi- 76 ce di direzione del processo «intesi – ai sensi dell’art. 175 c.p.c. – al più sollecito e leale svolgimento del procedimento» non sempre rispondono alla ratio legis e non sempre offrono adeguate garanzie. I criterî di valutazione della economia processuale, che dovrebbero essere alla base della scelte del giudice, non solo sono insindacabili in sede di impugnazione, ma difficilmente potrebbero, anche de jure condendo, essere predeterminati da norme generali ed astratte. Eppure non è chi non veda che l’efficienza del processo civile e la effettività della tutela giurisdizionale dipendono anche, se non soprattutto, dai provvedimenti ordinatorî. I criterî di valutazione della economia processuale, inoltre, influiscono sulla concreta struttura del processo, che, a seconda dei criterî in concreto adottati, finisce con l’essere diverso da ufficio a ufficio, se non, addirittura, da giudice a giudice. ll’indomani dell’entrata in vigore della riforma del processo civile, avvocati, magistrati, professori universitari, operatori di cancelleria, hanno condiviso l’idea che l’efficienza della giustizia civile è questione che riguarda solo in parte la disciplina proces- A suale; riguarda, invece, le concrete prassi operative; che tra le regole processuali generali ed astratte e il potere del singolo giudice di dirigere il processo esistono spazi che possono e devono essere colmati con il contributo di ciascuno degli operatori del diritto, nella consapevolezza che la cattedrale della giustizia è un edificio comune, alla manutenzione del quale tutti possono collaborare in funzione della attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale. La prima iniziativa in tal senso ha visto la luce a Bologna per impulso del giudice Carlo Maria Verardi. Altre, in modi affatto informali, sono sorte altrove. Delle attività di alcuni osservatori è notizia nella rete: per «Prassi comune» v. http://www.edinbo.it/prassi1/pra ssiho.htm, per l’Osservatorio di Salerno, v. http://it.groups.yahoo. com/group/osservatorio_giudizia rio/, per quello di Bari v. http:// groups.yahoo.com/group/Osservatorio_barese, per quello di Reggio Calabria v. http://www.giustizia.unirc.it/tribrc/osscivile/index.htm. Uno strumento di dialogo e di comunicazione è la mailing list Civilnet: http://it.groups.yahoo.com/group/civilnet/. La Fondazione Carlo Maria Ve- rardi, che è stato l’anima e l’ispiratore di queste iniziative, fornisce il collegamento tra i diversi osservatori. el maggio 1997 gli Osservatorî della giustizia si incontrarono per la prima volta a Bari per il Convegno «Un progetto per la giustizia civile»; l’anno successivo, a Bologna, discussero di «Giudice unico e sezioni stralcio. Le riforme tra prassi ed organizzazione»; nel 1999 si ritrovarono a Bari per il Convegno «Il Giudice unico e la giustizia civile: dalle riforme dei processi alla riforma dell’organizzazione»; all’isola d’Elba, nel 2000, fu esaminato il tema «Il giusto processo civile»; a Vietri, nel 2001, si discusse «Quale giustizia per il giusto processo». A Reggio Calabria, nel 2002, sotto il titolo «Giustizia civile tra legalità ed efficienza» l’attenzione è stata orientata sul ruolo e sui compiti dei presidenti di sezione, ai sensi dell’art. 47 quater dell’ordinamento giudiziario. Quest’anno, a Roma, hanno discusso dei processi in tema di famiglia, a Bologna della nuova disciplina dei termini di pagamento nelle transazioni commerciali e delle novità processuali nel giudizio di oppo- N PROTOCOLLO PER LE UDIENZE CIVILI L’ Osservatorio romano sulla giustizia civile, composto da avvocati e magistrati che operano presso il Tribunale Civile di Roma, pur riaffermando l’improcrastinabile necessità di adeguati interventi volti a superare le gravi carenze delle strutture materiali e delle risorse economiche e la persistente penuria di personale ausiliario (problemi oggetto di altre iniziative dell’Osservatorio), propone a Giudici ed Avvocati l’adozione di una serie di regole volte a favorire uno svolgimento più ordinato e proficuo delle udienze civili, a superare (almeno in parte) il grave disagio esistente, a migliorare la qualità del processo, a tutelare la riservatezza dei soggetti coinvolti ed a ridurre dra- sizione ad ingiunzione e, a Milano, delle prassi sulla liquidazione dei danni alla persona. L’aspirazione è quella di eliminare ogni ipotesi di dissenso occulto, affinché la decisione sia il frutto di una scelta consapevole, all’esito di un percorso trasparente ed adeguato alle specifiche esigenze del tipo di controversia, non un oracolo o un favor principis ispirato alla logica della appartenenza, in funzione della realizzazione di standards operativi uniformi, che consentano la effettiva informatizzazione degli uffici giudiziari, che in tali standards trova un indefettibile presupposto. oma è il più grande ufficio giudiziario. La nascita di un Osservatorio romano e la elaborazione di un «protocollo per la gestione delle udienze civili» appare un evento estremamente significativo soprattutto in un contesto quale l’attuale nel quale l’attenzione sembra prevalentemente orientata sulle prospettive de jure condendo, trascurando quanto è possibile fare con i mezzi e gli strumenti a disposizione. R GIORGIO COSTANTINO Docente Universitario sticamente i tempi di attesa di testimoni, parti ed avvocati. I giudici e gli avvocati che aderiscono all’Osservatorio si impegnano ad applicare, in via sperimentale e tenuto conto delle particolarità di ogni sezione, le regole di seguito indicate, la cui adozione intendono proporre anche ai giudici e agli avvocati che non compongono l’Osservatorio. L’udienza è divisa in 4 fasce orarie: 9,30-10,30; 10,30-11,30; 11,30-12,30; dalle 12,30 in poi, con possibilità, per adempimenti di particolare durata e/o complessità, di concordare tra giudici ed avvocati la fissazione di udienze pomeridiane. 1. All’interno di ciascuna fascia si svolgono adempimenti omogenei stabilendo per ogni causa, al momento del rinvio, orari precisi interni alla fascia 2. 77 oraria (es. 9.10, 9.20, ecc.) e concordati tra giudici ed avvocati. La 1ª fascia è destinata all’udienza di prima comparizione di cui all’art. 180 c.p.c. nonché alla precisazione delle conclusioni. 3. 4. 5. La 2ª ed eventualmente la 3ª fascia sono destinate agli adempimenti previsti dagli artt. 183 e 184 c.p.c. e ad altre attività di durata prevedibile. La 4ª ed eventualmente la 3ª fascia sono destinate all’espletamento delle prove orali, alla discussione ex art. 281-sexies c.p.c., ai chiarimenti dei CTU, ad altre attività di durata difficilmente prevedibile. 6. 7. La 4ª fascia è destinata anche alle cause rinviate ai sensi dell’art. 181 o dell’art. 309 c.p.c. Al momento del rinvio di una causa ad un’udienza successiva deve essere prevista la verosimile durata dei programmati adempimenti in modo da fissare ogni volta all’interno di ciascuna fascia un numero di cause che potrà essere compiutamente trattato senza superare i limiti di tempo prefissati. I giudici debbono privilegiare la decisione in udienza sulle istanze formulate dalle parti, soprattutto ove queste siano state già proposte in precedenza (es. formulazione delle richieste istruttorie nelle memorie ex art. 184 c.p.c.). 8. Deve essere realmente applicata la disposizione dell’art. 84 disp. att. c.p.c. (“le udienze del giudice istruttore non sono pubbliche”) onde consentire un ordinato svolgimento dell’udienza ed evitare che parti e testimoni siano costretti a riferire fatti personali dinanzi a terzi estranei al processo. 9. Il giudice deve svolgere in modo effettivo il ruolo inderogabilmente attribuitogli dalla legge di guida e direzione del processo anche nella fase dell’assunzione delle prove. 10. 11. 78 Il giudice, in caso di impossibilità di tenere l’udienza con la collaborazione del persona- le amministrativo, procede alla verbalizzazione di persona ovvero autorizza, sull’accordo delle parti e sotto la sua direzione, la redazione del verbale ad opera di uno degli avvocati. L’avvocato costituito, nel caso in cui non possa essere presente in udienza, si deve adoperare per farsi sostituire da un collega che sia a conoscenza degli atti di causa e degli adempimenti da compiersi nel corso dell’udienza. 12. Il giudice, venuto a conoscenza della sua impossibilità di tenere l’udienza, si deve impegnare ad organizzare la propria sostituzione con un collega che sia in grado di conoscere gli atti di causa e di adottare, quindi, i necessari provvedimenti sulle istanze formulate dalle parti. 13. Qualora, per l’imprevedibilità dell’assenza o per l’opportunità che l’attività istruttoria sia svolta dal giudice titolare, l’udienza debba essere comunque rinviata, il rinvio deve essere contenuto e, possibilmente, non superiore a 3 mesi. 14. Gli avvocati ed i C.T.U. si impegnano a fornire tutti i dati utili per consentire un’agevole comunicazione reciproca (numeri di telefono e di fax, indirizzi di posta elettronica). 15. In sede di convocazione del C.T.U. quest’ultimo deve essere invitato a comunicare senza ritardo alle parti ed al giudice il suo eventuale impedimento a comparire all’udienza nonché a fornire ogni utile indicazione in vista della fissazione della nuova udienza. 16. Gli avvocati devono congiuntamente avvisare il CTU della sopravvenuta inutilità della sua presenza in udienza qualora fosse intervenuta la definizione stragiudiziale della lite. 17. Gli avvocati devono provvedere alla citazione dei testi e delle parti da interrogare almeno 30 giorni prima dell’udienza prevista per la loro audizione. 18. OSSERVATORIO SULLA GIUSTIZIA NEL DISTRETTO DI SALERNO I l protocollo per le udienze civili elaborato dall’Osservatorio sulla giustizia nel Distretto di Salerno, che è stato già reso disponibile agli atti del Convegno di modo che ognuno possa prenderne visione, è sorto dall’esigenza di conseguire uno svolgimento ordinato e proficuo delle udienze civili nell’interesse dei Giudici, degli Avvocati e delle Parti, come detta la sua premessa, ed è, ciò ci preme dirlo, a sua volta, figlio di un altro protocollo d’intesa. La Camera penale, già aderente all’Osservatorio salernitano agli albori dell’entrata in vigore della riforma istitutiva del Giudice Unico, unitamente ai magistrati penalisti componenti dell’organizzazione, ritenuta l’opportunità di fissare delle regole per la celebrazione delle udienze, elaborò e produsse il primo protocollo della storia dell’Osservatorio, d’interessante articolazione che mi piace citare nei soli punti salienti, dovendo, in questa sede, soffermarci sul processo civile. Si compone di due fasi: organizzazione del ruolo e organizzazione dell’udienza. La prima, di competenza del Presidente o del Giudice monocratico, una volta elaborata, viene resa nota, mediante stralcio ed affissione a cura della Cancelleria, almeno due giorni prima di ciascuna udienza. La seconda, frutto dell’elaborazione comune tra avvocati e magistrati, con previsione e regolamentazione dell’udienza antimeridiana, con attività fondamentali (contingenze sopravvenute, ordine di chiamata ecc.) da svolgersi all’ini- L M zio della stessa e ordine conseguente. Do una breve lettura dei passaggi. Viene prevista, nei casi di consenso delle parti o di processi a carico d’imputati in stato di custodia cautelare, un’udienza pomeridiana. Viene data anche regolamentazione delle istanze di rinvio fuori udienza. Questo protocollo d’intesa, redatto in piena armonia d’intenti, può senz’altro definirsi uno dei primi risultati concreti dell’Osservatorio salernitano, ma il suo esordio non fu facile e la sua approvazione non immediata. Inviato, dal Presidente del Tribunale, a tutti gli Organi preposti e ai Presidenti di Sezione, raccolse qualche dissenso che ne frenarono l’adozione per circa tre anni durante i quali fu interpellato anche il CSM. Questi tre anni di confronto, però, non assunsero mai toni d’improficua polemica ma, nello sforzo del raggiungimento comune dell’individuazione e approvazione di un protocollo d’udienza, costituirono un valido momento di confronto tra Presidenti di sezione, magistrati e avvocati che ben potrebbe configurarsi come una serie di 47 quater dei quali si parlerà in altra sede ma che, anche in questa sede, hanno un loro ruolo tutt’altro che marginale. Proprio sulla base della nota del CSM, fu possibile giungere ad un punto d’intesa che consentì, il 7 marzo di quest’anno, al Presidente del Tribunale, Dott. Vitiello, l’emanazione del Decreto di adozione del protocollo di udienza penale, il n. 81, con entrata in vigore il 10 marzo 2003. Copia cartacea del decreto 79 viene da me depositata agli atti del Convegno a disposizione di chi voglia prenderne visione. È notizia di questi giorni che il protocollo dell’udienza penale è stato adottato ufficialmente anche presso il Tribunale di Vallo della Lucania, facente parte del nostro Distretto. el settore civile del nostro Tribunale, intanto,il carico di lavoro, la problematica applicazione delle tabelle, la carenza di risorse, l’inadeguatezza degli spazi, sono stati e sono tuttora argomenti di accesa discussione e terreno di proposte, ma il fattore propulsivo che, di lì a poco, spinse i civilisti a seguire l’esempio del settore penale, fu che il processo cambiava e bisognava adeguarvi regole che ne agevolassero la speditezza. La scelta di un modello di regolamentazione semplice, fu voluto. Poche, ma fondamentali, regole sono più immediate da recepire e diventano flessibili adattatori ad ogni fattispecie processuale. Do lettura di tali regole motivando le ragioni delle stesse. La scelta di dividere l’udienza in non più di due fasce è stata determinata dal numero considerevole di cause che in alcune udienze vengono chiamate e dall’oggetto delle stesse che avrebbe reso impossibile la previsione di ulteriori fasce di suddivisione del tempo disponibile. In considerazione del carico d’udienza e dell’oggetto delle vertenze, due fasce sembrano poter consentire una maggiore libertà gestionale e razionalizzazione dell’intera udienza. La necessità di udienze straordinarie, con orari particolari, ad esempio per l’esame di persone interdicende che, nel nostro Tribunale, subiscono lunghe attese in angoli di corridoio, unitamente ai familiari che li accompagnano, in un ambiente sovraffollato, ru- N 80 moreggiante, frenetico, irrispettoso del divieto di fumo,cittadini in attesa di una risposta di giustizia che, frattanto, mostra loro uno dei suoi aspetti meno edificanti. La suddivisione delle udienze di separazione e divorzio consensuali da quelle giudiziali, nonchè la regolamentazione delle audizioni dei coniugi che, sovente, richiedono attese di ore. La tempestiva comunicazione dei rinvii di ufficio che, spesso, sono noti con anticipo rispetto alle udienze. Provvedimenti di cancellazione di cause a fine udienza. Rinvii brevi, atteso che sono giustificabili solo i lunghi intervalli dovuti alla concessione dei termini di cui al V comma art. 183 c.p.c., o all’espletamento della C.T.U. resentato ufficialmente ai Sigg.ri Presidenti della Corte d’Appello e del Tribunale di Salerno nel giugno del 2002, il protocollo, a livello distrettuale, non ha avuto ancora il riscontro auspicato, nel mentre, il Presidente del Tribunale, trasmetteva lo stesso ai Presidenti di sezione per il loro parere al riguardo. Do una scorsa ai pareri e alle osservazioni che, nel complesso, non appaiono negative. Nonostante il costante interesse all’approvazione definitiva da parte dell’Osservatorio, motivi contingenti, tra i quali, non certo da ultimo, l’aggravarsi delle condizioni di salute del Presidente Francesco Vitiello, che oggi non è più tra noi e il susseguirsi dei Presidenti F.F. alle prese con problematiche quotidiane che assorbono tutto il loro tempo, non ha agevolato il compito. Tuttavia, quasi quotidianamente, al termine delle nostre attività, forti anche del precedente penalistico, non disdegnamo di bussare, in piccola delegazione, alla porta del Presidente (F.F.) che, negli ultimi tempi, e apparso più sensibile all’argomento. P D a oltre un anno, tra l’altro, il protocollo civile, ha un fratello minore (ma solo in ordine di nascita): il protocollo d’intesa tra avvocati e magistrati della sezione lavoro del Tribunale di Salerno sullo svolgimento dell’attività di udienza, articolato e promosso da un considerevole numero di avvocati giuslavoristi, e con la collaborazione di alcuni magistrati della sezione. Sull’approvazione di tale protocollo sono state sollecitate e tenute una serie di riunioni, a cadenza mensile tra il Presidente della sezione lavoro di primo grado e i magistrati della stessa, in prima fascia oraria dedicate al 47 quater, in seconda convocazione, aperte agli avvocati. Anche se la discussione non ha portato al risultato, anche per le numerose osservazioni, non è di trascurabile importanza che magistrati e avvocati si riuniscano in una tavola rotonda per discutere dei problemi della Sezione e che continuino a farlo anche con la partecipazione agli incontri in materia organizzati da Referenti per la formazione decentrata. Il protocollo d’intesa per l’udienza del lavoro, peraltro, che fornisco in cartaceo unitamente al testo dell’intervento, è composto anch’esso di pochi punti, affatto contrastanti con quelli del protocollo civile, quali, ad esempio, la fissazione di un orario (dopo le ore 11) per la sola escussione dei testimoni e/o discussione della causa (punto 2), la più interessante al punto 1 che prevede la fissazione dell’udienza di comparizione nel termine effettivo dell’art. 415 c.p.c.al solo scopo di consentire la prima comparizione (la composizione del contraddittorio) e/o l’eventuale conciliazione. Al punto 3 la previsione di un’udienza settimanale per la sola trattazione del contenzioso previdenziale. La nascita di questa nuova proposta adattata all’udienza del lavoro, ci ha convinti più che mai della validità di un sistema di protocollo determinato da regole generali duttili, adattabili. adozione dei protocolli d’udienza, la diffusione degli stessi, (guardiamo con interesse a quello di Roma), ci trova consensienti e consapevoli, sia dell’importanza coordinativa dello strumento,e non soltanto a livello lo- L’ cale, sia delle implicazioni che esso inevitabilmente comporta, quali la diffusione dei 47 quater, indipendentemente dal risultato, sia per le inevitabili (forse anche piccole, ma che comunque comportano la necessità di una collocazione) problematiche d’interpretrazione procedurale che comporta. Non certo da ultimo anche perchè, come gli avvocati ben sanno, ci sono pochi altri momenti del processo civile di più elevato impatto sul cittadino (che attenda o meno una risposta di giustizia) dell’udienza (quando questi è tenuto a presenziare o a testimoniare). È luogo comune che il non addetto ai lavori tragga, della Giustizia, l’immagine che gli si è formata dall’aver assistito ad un’udienza. E un’udienza ordinata contribuisce, quantomeno, a restituire dignità e rispetto sia al cittadino che si rivolge alla Giustizia, che all’Avvocato che ne è il Suo tramite. AVV. MARIA FAGGIANO della Segreteria dell’Osservatorio sulla Giustizia nel Distretto di Salerno 81 L L’OSSERVATORIO DI FIRENZE M L’ Osservatorio di Firenze si è costituito da pochi mesi: la data di nascita, per così dire, può essere indicata nel 18 giugno 2003, in occasione di un incontro pubblico nel quale sono stati presentati i dati emergenti dalla elaborazione dei risultati di un questionario a suo tempo distribuito tra i venticinque giudici civili (di cui tre presidenti di sezione) del tribunale di Firenze. Il questionario era stato distribuito per iniziativa di alcuni giudici al fine di raccogliere dati informativi in ordine alle prassi applicative e organizzative del processo ordinario di cognizione, e consentire una successiva elaborazione per verificare gli orientamenti giurisprudenziali in ordine alle varie questioni processuali, individuare i problemi ancora irrisolti, focalizzare le eventuali disfunzioni: vi erano domande sulle varie fasi del processo e altre riguardanti l’organizzazione del lavoro del giudice. L’idea dell’Osservatorio è nata nel corso di questo lavoro, raccogliendo stimoli provenienti anche dal mondo dell’università e dalle esperienze già esistenti in altri distretti e grazie al deciso sostegno dell’avvocatura. A un certo punto è sembrato naturale, infatti, che l’incontro da dedicare alla presentazione delle “prassi interpretative e organizzative del processo civile” rilevabili nel nostro tribunale fosse anche l’incontro da cui far nascere dell’Osservatorio sulla giustizia civile a Firenze: le motivazioni che avevano spinto alla raccolta ed elaborazione dei dati sulle 82 prassi si àncoravano in modo particolarmente significativo e immediato a quelle che erano e sono le finalità dell’Osservatorio sulla giustizia: creare un’occasione per favorire una riflessione critica da parte di ogni giudice sulle proprie prassi interpretative e applicative e un utile confronto con quelle seguite dagli altri colleghi; coinvolgere in tale riflessione anche l’avvocatura e il personale di cancelleria, nella convinzione che solo dallo scambio tra tutti coloro che intervengono in qualche modo nel processo possa nascere una riflessione che sia davvero feconda, perché non limitata ad una faccia del prisma, ma estesa alle diverse angolazioni da cui un problema può essere esaminato; effettuare ogni sforzo, nonostante le riforme in vista, perché il processo funzioni a legislazione esistente: non solo per le esigenze legate all’esperienza quotidiana, ma anche perché proprio dalla riflessione sul lavoro di ogni giorno possono venire utili spunti per l’innovazione legislativa e l’approfondimento di temi che trascendono quelli su cui la norma può di per sé esplicare influenza. nche l’Osservatorio di Firenze, come altre esperienze simili, parte dalla convinzione che l’effettività della tutela giurisdizionale vada ricercata con la predisposizione di misure che raramente coincidono con il semplice uso dello strumento normativo alla ricerca del rito ideale: oltre a regole idonee, occorrono mezzi materiali sufficienti, la razionalizzazione dell’organizzazione com- A plessiva e l’adozione di concrete scelte operative “virtuose”, negli spazi che qualunque riforma lascerà inevitabilmente ai vari attori che si muovono sulle scene giudiziarie. I veri nodi della giustizia civile, insomma, rimarrebbero tali anche con un impianto normativo completamente diverso: perché sono punti critici che non con le norme hanno a che fare, ma affondano le radici in carenze organizzative o costumi distorti. Raccolti i dati dei questionari (avevano risposto 21 giudici su 25) ci siamo quindi ritrovati con esponenti dell’avvocatura, dell’università e del personale di cancelleria per organizzare l’incontro del 18 giugno: l’Osservatorio di Firenze parte quindi con la presentazione dell’ elaborazione dei dati sulle prassi interpretative e organizzative, una sorta di fotografia dell’esistente, che scontava ovviamente tutti i limiti che la rigidità del questionario di per sé implicava, ma costituiva un utile spunto per fare di ciò che accadeva nella concretezza nelle aule del nostro tribunale e non di tematiche astratte, materia di discussione ed elaborazione. ello stesso tempo, a tale presentazione è stata collegata la proposta di creare tre gruppi di lavoro: all’incontro furono distrubuite schede di adesione con la presentazione dei tre gruppi di cui ora dirò, con una serie di dati dell’aderente (qualifica, indirizzo e mail, telefono, e simili nonché l’opzione per uno dei tre gruppi: le adesioni furono tante, circa 75, in grandissima prevalenza avvocati; all’incontro erano presenti circa 250 persone). I gruppi erano i seguenti: i primi due riguardavano il processo (diviso per fasi) e il terzo i problemi dell’organizzazione e dell’informatica: partendo dalle prassi riscontrate si è voluto insomma por N mano alla ricerca, nell’ambito delle prassi applicative, operative e organizzative, di quegli strumenti che possono favorire il buon funzionamento del processo “a legislazione esistente”, attraverso la collaborazione del giudice con le parti, attraverso la trasparenza dei criteri organizzativi e degli orientamenti interpretativi del giudice e dell’ufficio a cui appartiene: questo essenzialmente attraverso due linee d’azione: la prima riguarda la elaborazione di regole condivise da giudici, avvocati, personale di cancelleria in ordine allo svolgimento delle udienze e delle varie fasi processuali, per proporre le opzioni ritenute migliori in vista del funzionamento celere e razionale del processo e giungere alla redazione di protocolli di udienza e all’adattamento dello schema processuale esistente a seconda della diversa tipologia di cause: questa sorta di normazione “secondaria” affidata all’elaborazione degli operatori appare una via dalle potenzialità ancora non compiutamente esplorate, con vantaggi innegabili sotto il profilo dell’uniformità di applicazione delle norme (essendo poco accettabile che i contrasti interpretativi non siano oggetto di confronto e addirittura di conoscenza all’interno di un medesimo ufficio), della conoscenza preventiva da parte dei difensori dell’opzione interpretativa del giudice, del controllo di fatto sui poteri del giudice, “costretto” ad esplicitare il fondamento della soluzione prescelta, della semplificazione del procedimento, depurato di contrasti in ordine a questioni su cui avvocati e giudici abbiano raggiunto soluzioni condivise, da ultimo del potenziale interscambio tra prassi applicative e riforme processuali. Attualmente i lavori sono in corso e dovremmo organizzare un incontro pubblico per la presenta- 1) zione dei protocolli entro febbraio o marzo: il materiale che mi è stato consegnato in vista di questo convegno rappresenta dunque ancora un momento di passaggio, ma testimonia la notevole mole di lavoro svolta dai gruppi che, in linea di prima approssimazione, sembra dipanarsi su tre filoni: il primo concerne aspetti semplici (ma comunque fondamentali, come ben sappiamo), ad esempio, gli orari di fissazione delle varie cause a seconda delle attività processuali da svolgere; un secondo filone riguarda temi che incidono molto di più nella organizzazione dell’udienza e della trattazione della causa sino a coinvolgere il momento decisorio: ad esempio, l’opportunità di trattare in prima udienza le istanze ex art. 648 cpc; l’opportunità di disporre già in prima udienza la ctu in certi casi: qui si individua una regola che va a colmare gli spazi bianchi lasciati dalle norme; un terzo profilo riguarda enunciati di carattere molto generale, come ad esempio, la necessità che il giudice e i difensori siano a conoscenza degli atti processuali: anche nel “protocollo romano” vi è una regola analoga (punto 10): “il giudice deve svolgere in modo effettivo il ruolo inderogabilmente attribuitogli dalla legge di guida e direzione del processo anche nella fase di assunzione delle prove”. Qui la regola di protocollo non mira a colmare lo spazio bianco della norma generale e astratta, ma semplicemente richiama norme di comportamento già direttamente o indirettamente codificate: questo, da un lato colpisce, perché svela l’evidente disapplicazione di quelle regole che si sente la necessità di riaffermare come cogenti,dall’altro tuttavia appare un ambito meritevole di sviluppo proprio perché rientra in pieno nelle finalità del protocollo: che, in fondo, esprime prassi “doverose” più che “virtuose”. 83 Nelle prossime riunioni si cercherà di “scremare” da tutto il materiale di studio fin qui elaborato, le regole da introdurre nel protocollo: dobbiamo ancora discutere sino a che punto tali regole potranno espandersi da momenti puramente organizzativi a momenti che incidano sui poteri di decisione del giudice in tema di provvedimenti ordinatori: se è vero che l’efficienza del processo e l’effettività della tutela giurisdizionale dipendono in buona misura dalle scelte discrezionali nell’adozione di provvedimenti di tale tipo (si pensi, a titolo di esempio, alla scelta di assumere la causa in decisione immediatamente, in presenza di questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito ex art. 187 cpc ovvero di disporre che tali questioni siano decise unitamente al merito), è su questo piano che il protocollo potrebbe esplicare effetti particolarmente favorevoli: d’altronde, è rilievo diffuso quello per cui proprio il cattivo uso del potere discrezioneale del giudice al riguardo sia la fonte legittimante di interventi che quel potere mirano ad eliminare (ricordo che la cd miniriforma prevede l’obbligo e non già la facoltà del giudice, com’è previsto nell’attuale art. 187, 2° e 3° co., c.p.c., di pronunciarsi con sentenza sulle eccezioni impedienti nel rito o preliminari di merito sollevate dal convenuto). Ripeto, tuttavia, che l’ampiezza del protocollo è una questione ancora aperta, così come è ancora aperta la questione di quale via percorrere per favorire la effettiva osservanza del protocollo: il lavoro è in via di svolgimento e farà tesoro anche delle indicazioni emerse in questo convegno. La seconda linea di azione concerne l’individuazione di interventi attuabili a risorse esistenti dal punto di vista organizzativo: con riferimento all’uf- 2) 84 ficio nel suo complesso e, all’interno di questo, alle singole sezioni, e all’organizzazione del lavoro del singolo giudice. Uno dei problemi più rilevanti che questo gruppo si è trovato e si troverà ad affrontare è quello della statistica giudiziaria: anche nel nostro Tribunale, per motivi che ora è inutile ripetere (sinteticamente: farraginosità e disomogeneità del sistema, manuale e cartaceo, di rilevamento dei dati; scarso rilievo attribuito alla tempestiva disponibilità dei dati quantitativi rispetto alle decisioni di gestione delle risorse; ambiente culturale refrattario all’elaborazione dei dati e alla ricerca di correlazioni significative tra più elementi, solitamente raccolti nell’ambito di adempimenti vissuti come un inutile appesantimento burocratico),i rilievi statistici finora sono risultati inaffidabili, disomogenei e scarsamente espressivi della realtà giudiziaria. L’osservatorio si propone diffondere e far maturare una nuova sensibilità verso l’importanza dei dati quantitativi, quale base di verifica dell’andamento del servizio giudiziario e degli interventi volti a incidere sulle disfunzioni e gli squilibri rilevati e di un sistema di monitoraggio dei flussi giudiziari, da porre a presupposto di qualunque corretta impostazione dell’attività giurisdizionale dal punto di vista organizzativo. Al riguardo vi è di buono da segnalare l’avvio della informatizzazione delle cancellerie: a questo scopo è stata ed è determinante l’esperienza dei tirocini di formazione e orientamento previsti dalla legge 24 giugno 1997, n. 196 e dal DM n. 142/98: lo svolgimento dei tirocini (volti, tra l’altro, all’apprendimento delle attività di cancelleria, delle tecniche di gestione dei procedimenti in carico alle cancellerie in rapporto alle fasi di sviluppo del processo, all’analisi dei processi di servizio e reinge- gnerizzazione degli stessi) ha consentito di accelerare l’informatizzazione delle cancellerie grazie al contributo dei tirocinanti, che si è rivelato utilissimo: si tratta di un’esperienza che dovrebbe essere diffusa il più possibile (come auspicato anche dal Ministero della Giustizia, Direzione Generale del personale e della Formazione con la nota del 21.11.2002 prot.1152). Da febbraio dovrebbe anche avviarsi il sistema Polis, almeno in via sperimentale. Sempre sotto il profilo organizzativo vi sono interventi a costo zero (a parte il costo in termini di impegno e serietà) che si possono già ora attuare: se è scontata l’esigenza di disporre di idonee risorse strutturali, deve essere altrettanto scontata la necessità di sfruttare le risorse esistenti: sotto tale profilo, le risorse a Firenze sono già disponibili, ad esempio per organizzare un archivio informatico dei precedenti di sezione (di cui ora nessuna sezione dispone) ovvero per utilizzare una base di dati per la gestione del proprio ruolo (che invece è utilizzato solo dal 14 % dei giudici). Inoltre solo il 32 % dei giudici ha dichiarato che nella sezione di appartenenza si svolgono le riunioni previste dall’art. 47 quater della legge sull’ordinamento giudiziario ed anche questa è un’attività che non richiede particolare necessità di beni materiali, ma solo impegno e sensibilità. L’Osservatorio, come si è detto, vuole essere anche a Firenze un luogo di confronto e scambio con il foro: vorrei sottolineare la importanza della collaborazione con il ceto forense per l’attuazione delle prassi virtuose. Pe fare un esempio: non è certo ipotesi rara che in udienza si presentino “sostituti” ignari della vicenda posta all’esame del giudice o che le parti non compaiano, non per impedimento, ma per la tendenza, rilevabile nell’atteggia- mento di molti avvocati, a svalutare la loro comparizione personale: è quindi indispensabile coinvolgere i difensori sin dall’udienza in cui viene stabilito l’incombente processuale futuro (ad esempio, decisione sulle prove o assunzione degli interrogatori liberi), avvertendo che la decisione sulle istanze probatorie verrà adottata in udienza ovvero stimolando la presenza delle parti per chiedere chiarimenti o tentare la conciliazione della lite. L’esperienza dimostra come spesso i difensori calibrino l’impegno e la partecipazione all’udienza a seconda dell’atteggiamento del giudice e la preventiva informazione circa le concrete modalità di trattazione della causa da parte del giudice può avere, alla lunga, utili effetti. L’insegnamento che può venirci dall’esperienza degli ordinamenti di common law (case management) può appunto suggerire il coinvolgimento del foro (peraltro difficilmente anticipabile, nel nostro modello processuale, prima dell’udienza ex art. 180 c.p.c.), auspicabile sin dalla fase preparatoria scandita dalle udienze 180/183, per la preventiva conoscenza da parte dei difensori del modus procedendi seguito in concreto dal singolo giudice (o dalla sezione) e dell’impostazione tendenzialmente predefinita della trattazione per alcune tipologie di cause (ad esempio, la pronuncia di sentenza ex art. 281 sexies c.p.c. o l’anticipazione della ctu prima della decisione sulle istanze di prova, ove ne ricorrano le condizioni). A proposito della necessaria collaborazione con i difensori, vorrei però sottolineare un punto critico: vi sono colleghi che sono tuttora diffidenti rispetto alla collaborazione con il foro: si tratta di un atteggiamento molto più diffuso in passato e che tuttavia, almeno quanto ad alcune delle moti- vazioni, presenta profili meritevoli di rispetto e comprensione: il salto di mentalità consiste proprio nel superare l’idea che la collaborazione implichi una contiguità da guardare con sospetto perché potrebbe minare l’imparzialità o l’apparenza di imparzialità del giudice per arrivare a concepirla come un’indispensabile ruota per far girare il processo nel senso giusto, nel rispetto pieno del ruolo e delle funzioni di ciascun soggetto, in vista di valori condivisi. Del resto, nessun sospetto dovrebbe, ragionevolmente, nascere quando appaia con chiarezza che l’atteggiamento di rispetto e collaborazione non è tenuto dal giudice nei confronti di un singolo avvocato, a scapito di un altro, ma è, invece, l’abituale maniera di porsi del giudice nei confronti di tutti gli avvocati e della loro imprescindibile funzione difensiva, spoglia di potestà giuridiche, ma nobile nel fine e anche nei mezzi, puramente intellettuali, necessari ad esercitarla (noi magistrati siamo più portati a vedere le patologie, che sono, senz’altro, tante, non lo nego; però quelle ci sono anche in casa nostra, e le vediamo di meno) questo proposito va sottolineato come a Firenze l’osservatorio sia nato con il patrocinio del Consiglio dell’Ordine e con il coinvolgimento delle associazioni A di avvocati e credo che a questo si debba il gran numero di adesioni avute per i gruppi di lavoro e la disponibilità manifestata dal foro per l’elaborazione di regole e prassi condivise. Nella prospettiva della collaborazione, particolarmente sentita come base dell’azione dell’osservatorio, il terzo gruppo di lavoro ha elaborato un questionario da distribuire agli avvocati (a Firenze gli iscritti all’Albo sono 2.900). Il questionario ha lo scopo di raccogliere dati informativi per conoscere l’organizzazione degli studi e in genere della professione, i dati sulle prassi del foro e loro motivazioni, le valutazioni del foro sulle prassi dei giudici del tribunale e anche su quelle degli ufficiali giudiziari e delle cancellerie, in generale elementi che consentano di conoscere le esigenze degli avvocati, quindi il loro punto di vista. Potrà essere criticabile, potrà essere condivisibile, ma prima di tutto deve essere conoscibile. Il questionario verrà distribuito con il Foglio del Consiglio dell’ordine di Firenze di gennaio; dobbiamo ancora decidere se l’elaborazione dei datti sarà svolta dallo stesso osservatorio o sarà necessario ricorrere ad esperti esterni. Da ultimo segnalo che è in corso di costruzione un sito internet (indirizzo: osservatoriogiustiziacivile.firenze.it.), realizzato dalla regione Toscana: si sono posti problemi non tanto nella ideazione, quanto nella gestione, come potete immaginare. Nell’ultima riunione dell’Osservatorio si è deciso di avvalersi anche dell’opera di un tecnico che provveda all’inserimento dei dati e all’aggiornamento costante in base alle indicazioni dei responsabili. Speriamo di essere “operativi” da gennaio prossimo. LUCIANA BREGGIA per l’Osservatorio sulla Giustizia civile di Firenze 85 L M PROPOSTE PER UN NUOVO DISEGNO ORGANIZZATIVO DEI SERVIZI GIUDIZIARI DI AREA CIVILE L’APPROCCIO ATTUALE. LA MANCANZA DI INTERVENTI EFFICACI L’ inefficienza dell’organizzazione giudiziaria italiana è ancora più evidente nel confronto con la maggior parte dei Paesi europei, nei quali la risposta giudiziaria appare più soddisfacente ai cittadini ed agli operatori, per tempi e qualità dei servizi. Potrebbe essere utile approfondire la conoscenza dei modelli organizzativi europei, non per importare in modo automatico ed acritico assetti diversi – che sono coerenti con il sistema di provenienza e potrebbero non esserlo con quello italiano –, bensì per proporre moduli organizzativo/ giudiziari più efficienti, ma in armonia con il sistema giuridico italiano, dalla Costituzione ai codici di diritto sostanziale e processuale. Altro elemento essenziale, imprescindibile per un approccio efficace nella ricerca di soluzioni, consiste nell’adottare una visione finalmente e scientificamente sistemica. Gli interventi proposti negli ultimi due anni, specialmente per la giustizia civile, appaiono piuttosto orientati a prendere in considerazione singoli aspetti, soprattutto di carattere normativo-procedurale, per ottenere, con interventi sul rito, automatici quanto improbabili effetti migliorativi del servizio. Purtroppo, nessuna delle proposte di riforma recentemente avanzate (“Vaccarella”, mini-riforma del processo civile, processo societario), in parte già approvate, appare capace di generare sia pure indirettamente simili effetti. Inoltre, sono rare le analisi del complesso dei problemi organizzativi che generano inefficienza (1). Prima di passare ad un tentativo di ricerca di soluzioni attuabili nel breve periodo e con un impiego di risorse finanziarie contenuto, è necessario accennare a due macro-variabili astrattamente capaci di incidere sull’efficienza del sistema giustizia: eventuali modifiche alla geografia degli uffici giudiziari – revisione delle circoscrizioni – (2); diverso/maggiore impiego della magistratura onoraria. Sulla prima questione, sembrano (1) Un’eccezione è rappresentata dallo studio di S. Zan, Fascicoli e tribunali. Il processo civile in una prospettiva organizzativa, Bologna, 2003, che guarda all’organizzazione della giustizia nelle tre essenziali dimensioni tecnica, manageriale e istituzionale, evidenziando la forte interdipendenza dei tre livelli e la necessità di interventi non settoriali e che considerino il sistema nella sua complessità; v. pagg. 101 e ss. (2) D. Marchesi, in Litiganti, avvocati e magistrati. Diritto ed economia del processo civile, Bologna, 2003, guarda ai problemi giudiziari in ottica interdisciplinare, da economista e da giurista, con prevalente attenzione ai profili macroeconomici; propone, tra le misure capaci di introdurre efficienza nella giustizia, la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, pagg. 39 e ss. 86 sussistere molte resistenze (degli ordini professionali, degli enti territoriali, etc.) e localismo, approcci che impediscono di vedere i benefici ricavabili da una diversa distribuzione geografica degli uffici giudiziari, che permetta di recuperare risorse e di reimpiegarle in modo più efficiente: occorre individuare un punto di equilibrio tra costi ed esigenza di visibilità delle strutture giudiziarie. a un lato, deve essere garantito e facilitato l’accesso dei cittadini alla giustizia e deve essere assicurata la presenza dello Stato in aree del Paese caratterizzate da gravi problemi socio-economici o elevato tasso di criminalità e di conflittualità. D’altra parte, i costi di esercizio di strutture troppo esigue, in rapporto al “prodotto” giudiziario erogato, appaiono una sorta di “privilegio” non sostenibile. Tribunali che vivano più del proprio mantenimento – con prevalenza di carico per gli uffici ad evidenza interna, quali economato, personale, amministrazione, etc. – che del servizio orientato all’esterno – cancellerie per il processo, certificazioni, servizi all’utenza, etc. dovrebbero essere seriamente analizzati e dovrebbero esserne verificate le ragioni di mantenimento in funzione. Quanto alla magistratura onoraria, numerosi sistemi giuridici europei la prevedono accanto a quella professionale. Nel sistema italiano, occorrerà valutare criticamente la reale necessità di spostare ulteriore parte del carico giudiziario sulla magistratura non professionale; tale scelta D potrebbe condurre, paradossalmente, ad un incremento del contenzioso, nella speranza che un giudice non togato appaia meno rigoroso e selettivo di quello professionale e che, anche in presenza di scarse ragioni “per contendere”, possa risultare conveniente esperire un tentativo (3). LA PROGETTAZIONE DI NUOVI ASSETTI ORGANIZZATIVI PER LA GIUSTIZIA CIVILE C on riferimento ai servizi civili, volendo adottare un orientamento pragmatico, ricercare soluzioni raggiungibili nel breve periodo e tenere conto della scarsità delle risorse disponibili, sarebbe necessario individuare: 1. in generale, figure professionali adeguate, rispetto ai bisogni attuali degli uffici giudiziari; 2. un nuovo disegno organizzativo dei servizi, che tenga conto della progressiva informatizzazione degli stessi e che punti alla soluzione del riparto di competenze direzionali al vertice dell’ufficio giudiziario; 3. modalità serie di riqualificazione del personale, che consentano di rispondere a tali bisogni, gratificando il personale che possieda requisiti culturali e professionali meritevoli di riconoscimento; proposta di istituzione del Rechtspfleger/funzionario giudiziario; 4. una adeguata redistribuzione delle risorse esistenti, (3) La questione della magistratura onoraria è, ovviamente, molto più ampia e complessa; il presente elaborato si sofferma maggiormente sulle figure professionali amministrative. (4) Anche tale tema non è possibile approfondire, nell’economia del presente lavoro; la questione della redistribuzione delle risorse esistenti coinvolge soprattutto le responsabilità del Ministero della Giustizia; quella di eventuali maggiori stanziamenti finanziari è da spostare sul piano politico, non es- non disgiunta, possibilmente, da una maggiore effettiva disponibilità di mezzi finanziari per la giustizia, considerato che, dell’apparente incremento annuale – minimo – di stanziamenti, la maggior parte viene assorbita dai capitoli per stipendi ed interventi sulle strutture giudiziarie (4). 1. Figure professionali adeguate, rispetto ai bisogni attuali degli uffici giudiziari G li uffici giudiziari sono caratterizzati da notevoli vuoti di organico (in misura più consistente nel Nord del Paese) e occorrerebbe altresì riqualificare le risorse interne; tuttavia, una immissione di forze indistinte non avrebbe alcuna efficacia; occorrerebbe preventivamente stabilire in quale direzione muovere, quali profili e qualifiche siano maggiormente necessari oggi agli uffici giudiziari. Tralasciando, nella presente disamina, i fabbisogni delle strutture ministeriali, centrali o periferiche (5), occorre considerare che agli uffici giudiziari, oltre al lavoro più strettamente collegato a quello giurisdizionale, vengono attribuite progressivamente sempre nuove competenze. In tal senso, più che riempire i vuoti di organico di personale a competenza “giudiziaria”, parrebbe necessario sostenere maggiormente l’impianto organizzativo generale dell’ufficio, dotando almeno gli uffici di vertice distrettuale di un adeguato numero di appartenenti ai profili sendo una variabile disponibile da parte dell’apparato amministrativo. (5) È di palmare evidenza che l’assetto interno specifico dei servizi ministeriali può condizionare anche notevolmente l’efficienza degli uffici giudiziari; ciò prescinde, tra l’altro, dagli indirizzi politici, considerato che l’“apparato” è impermeabile ai mutamenti politici, se si esclude il livello dei dirigenti generali, i soli, in fatto, ad essere soggetti al sistema dello spoils system. Per economia del presente elaborato, si circoscrive l’osservazione agli uffici giudiziari. 87 specializzati che possano essere di utilità per tutti gli uffici del distretto: – analisti di organizzazione: data la complessità dell’organizzazione giudiziaria, almeno a livello distrettuale, andrebbe valutata l’opportunità di prevedere tale profilo, che potrebbe esercitare un ruolo di consulenza interna in caso di riorganizzazione dei servizi, di entrata in vigore di nuove norme, così come per redistribuzione interna delle risorse, etc. (6); – contabili: per le attività amministrativo/contabili, contrattuali e del funzionario delegato; le loro competenze potrebbero essere altresì impiegate per gestire taluni aspetti della fiscalità degli atti giudiziari e per gli adempimenti del già citato T.U. Spese di Giustizia; – statistici: non solo per i compiti affidati alla periferia dalla Direzione Generale di Statistica, o dal Procuratore Generale per la stesura della relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, ma altresì per sostenere i capi degli uffici nella elaborazione tabellare (7), per dare supporto alle rilevazioni connesse alle ispezioni periodiche, per collaborare con il vertice dell’ufficio in caso di riorganizzazione dei compiti o delle unità organizzative interne, fornendo dati di carico; più in ge- nerale, per sostenere gli uffici nell’attività di cura e “buona tenuta” delle basi di dati informatiche; – informatici: è una prospettiva che potrebbe fare ridurre i costi dell’assistenza esterna: numeri adeguati di tecnici presso gli uffici permetterebbero di limitare l’acquisizione di servizi in outsourcing (8); – bibliotecari, traduttori…: forse, meno rilevanti ai fini che qui interessano, anche se, quanto ai traduttori, potrebbe valutarsi l’opportunità di disporre di qualche specialista per distretto, per tutti gli scambi “internazionali”, sia giudiziari (carteggi delle rogatorie e delle estradizioni; impiego nelle udienze quali interpreti, al posto del personale esterno, etc.), sia amministrativi (bandi delle istituzioni internazionali e altro carteggio in lingua straniera), che sono sempre meno occasionali. Una revisione di organico degli uffici giudiziari dovrebbe, in ogni caso, tenere conto delle prospettive di decentramento del Ministero, recentemente rilanciate e viste con favore anche dagli operatori appartenenti all’Amministrazione: se ben attuato, l’avvicinamento alla periferia della sede delle decisioni sul riparto delle risorse umane e materiali dovrebbe costituire un fattore di maggiore efficienza. (6) Oggi, tale ruolo, presente in alcuni CISIA (Coordinamenti Interdistrettuali per i Sistemi Informativi Automatizzati), in Direzione Generale Sistemi Informativi Automatizzati e in altre aree del Dipartimento Organizzazione Giudiziaria, appare “ad esaurimento”: molti analisti hanno preferito optare per il lavoro di ricerca o per altre Amministrazioni. (7) A Milano, il Consiglio Giudiziario ha istituito la Commissione Flussi, nella quale sono stati coinvolti anche i funzionari statistici distrettuali e il dirigente CISIA, per definire modelli di rilevazione del carico di lavoro e dell’organizzazione degli uffici, che dovranno accompagnare le proposte tabellari formulate dai capi. In tal modo, il Consiglio dovrebbe essere posto in condizione di esprimere il proprio parere sulle tabelle disponendo di un discreto patrimonio di dati conoscitivi. È questo un caso di positiva e finalizzata cooperazione tra soggetti e organi appartenenti alla giurisdizione e soggetti 88 Molte delle figure sopra elencate, ove venga attuato il decentramento, potrebbero trovare adeguata collocazione negli uffici ministeriali periferici dell’organizzazione giudiziaria. 2. Nuovo disegno organizzativo dei servizi P reliminarmente, appare opportuno evidenziare l’illusorietà di proposte orientate prevalentemente al c.d. ufficio del giudice, quale possibile rimedio all’attuale crisi organizzativa giudiziaria. La qualità del supporto che i magistrati sentono di ricevere dall’apparato amministrativo, allo stato, appare scarsa o nulla. Tuttavia, l’ufficio del giudice, per costituire un ausilio efficace al lavoro del magistrato, è istituto che andrebbe meglio definito, ma, soprattutto, dovrebbe essere introdotto unitamente ad altre modifiche organizzative, alle quali si farà cenno di seguito. In particolare, sull’ufficio del giudice delineato nel c.d. “emendamento Caruso” al disegno di legge sull’ordinamento giudiziario, possono essere svolte alcune considerazioni: 1. Il disegno C4636, all’art. 9, descrive una figura ibrida, che oscilla tra il ricercatore universitario di elevato livello culturale e il segretario personale, dell’amministrazione. Anche la prospettiva del futuro “cruscotto” per la valutazione della produttività dei magistrati potrebbe costituire nuova materia per la figura dello statistico, oltre che per nuove esperienze collaborative tra professionalità diverse. (8) È una problematica notevole, da approfondire: occorrerebbe poter “fidelizzare” e motivare le risorse umane specializzate, poiché le retribuzioni di pubblica amministrazione non sono incentivanti per professionalità – ingegneri e laureati in informatica – che trovano migliore collocazione di ruolo e sistemazione stipendiale più adeguata nel mondo del lavoro privato; vi sono, altresì, i costi per l’aggiornamento di profili che hanno un know how che diviene obsoleto in tempi rapidissimi, etc. Certamente, può essere trovato un maggiore equilibrio rispetto all’attuale distribuzione tra interni ed esterni all’Amministrazione in tale settore. 2. 3. 4. 5. al quale si chiede di alleviare il magistrato “da tutti gli incombenti che non riguardino lo stretto esercizio della funzione giurisdizionale”. La professionalità in questione viene proposta solo in via sperimentale, con assunzione a tempo determinato – con la prospettiva di istituire, in buona sostanza, una nuova forma di precariato –. Il numero degli assunti previsto – 2.250 – non permette una copertura nemmeno dei fabbisogni legati alla sola magistratura civile. Crea altresì profili problematici rispetto alle future valutazioni di produttività del giudice: si dovrà tenere conto, e in che modo, dell’assegnazione degli “ausiliari”, nei confronti dei giudici che se ne avvantaggiano? A tale riguardo, appare significativa la discrezionalità della quale dispone il Presidente della Corte nell’assegnazione degli ausiliari, anche se è previsto che sia sentito il Consiglio Giudiziario e che l’assegnazione avvenga soltanto su richiesta espressa. La stipulazione dei contratti per l’assunzione e la gestione amministrativa degli ausiliari diviene una nuova competenza alla quale le Corti (recentemente già poste in discreto affanno dagli adempimenti connessi al T.U. Spese di Giustizia) dovranno fare fronte. Stante la modalità di selezione e la temporaneità del rapporto con l’Amministrazione della giustizia (rectius, con il singolo Distretto giudiziario), il vincolo di segretezza sugli atti conosciuti nell’esercizio della attività appare una ben scarsa garanzia per tutelarsi rispetto alla possibilità di introdurre soggetti “non pienamente affidabili”, affiancandoli a coloro che esercitano la delicata funzione giurisdizionale. 6. La figura verrebbe sottratta all’ordinario inquadramento del personale, venendo posta “sotto la diretta responsabilità del magistrato” e creando quantomeno una disarmonia nel quadro dell’organizzazione generale del personale e potenziali elementi di conflittualità interna all’ufficio giudiziario. Appare necessario, altresì, tenere conto della effettiva scarsità di risorse, anche strutturali (spazio fisico negli uffici e postazioni di lavoro minimamente adeguate), che non sembrano consentire di dotare di assistenza amministrativa individuale tutti i singoli magistrati, almeno non nel breve periodo (9). È possibile lasciare temporaneamente impregiudicata la questione del contenuto da dare ad una eventuale figura di assistente giuridico dotato di elevata preparazione culturale, ma soprattutto è opportuno lasciare al dibattito dei magistrati la definizione di tale contenuto e le proposte, che dovranno successivamente essere inquadrate in un sistema complessivo di interventi, coinvolgendo nella discussione gli altri “attori” della giustizia. Piuttosto, a chi scrive sembra più urgente e più realistico agire nell’ambito delle risorse disponibili e ricercare metodologie innovative di lavoro per le cancellerie, capaci di apportare benefici in breve tempo. Muovere, ad esempio, verso l’ufficio per il processo, prima che verso l’ufficio del o per il giudice, (9) Si potrebbe richiedere ai Comuni di mettere a disposizione un numero maggiore di strutture per la giustizia, ma, coloro che hanno una minima esperienza di “commissioni manutenzione”, sanno bene quale resistenza oppongano oggi gli enti locali a qualsiasi permetterebbe di guardare al lavoro giudiziario in modo più integrato e coerente con tutti i bisogni ai quali l’ufficio deve oggi rispondere. Un primo passo in tale direzione sarebbe rappresentato dalla revisione dei compiti della cancelleria, distinguendoli tra quelli più tradizionali e quelli di maggiore prossimità con il giudice, che per ora si potrebbero enucleare come segue, riservando ad un dibattito più ampio la ricerca di più efficaci definizioni: area del trattamento degli atti in generale e delle relazioni con l’utenza: – iscrizione a ruolo, ricezione di ricorsi, depositi, istanze, etc.; inserimento nei rispettivi fascicoli; tenuta dell’archivio; – gestione delle correlate interazioni con parti e avvocati (che dovrebbero progressivamente ridursi grazie a Polis Web, sistema informatico di accesso diretto degli avvocati alle basi di dati di area civile dell’ufficio giudiziario, senza necessità di intermediazione, presente in alcune sedi giudiziarie; tali scambi si ridurranno ulteriormente, con la futura diffusione del processo telematico, in sperimentazione attualmente presso sette tribunali, individuati quali “sedi pilota”); – trattamento informatizzato dei dati connessi ai depositi documentali; – qualifiche adeguate: secondo disponibilità; ideale sarebbe la disponibilità di una figura di funzionario elevata (C2), per coordinare e sostenere il lavoro di tutto il “gruppo” (per poter puntare al team building; v. oltre); A. spesa per i palazzi di giustizia (anche quelle indispensabili: adeguamenti al decr. leg.vo 626/94, o per riparazioni urgenti, etc.), considerato che anche tali soggetti pubblici hanno visto di molto ridotte le proprie disponibilità finanziarie negli ultimi anni. 89 – riqualificazione necessaria: incrementare le conoscenze informatiche del personale appartenente ai diversi livelli (10), specialmente sugli applicativi SICC Sistema Informatico del Contenzioso Civile (area dell’inserimento e trattamento dei dati; area della consultazione), Polis (area della pubblicazione/post-produzione dei provvedimenti), Polis Web; migliorare la cultura della comunicazione (11). area della preparazione/gestione preventiva e successiva dell’udienza (hearing management, l’organizzazione dell’udienza; da inquadrare all’interno della cancelleria della sezione e, quindi, ancora coordinata dal funzionario, ma “dedicata” all’assistenza dei magistrati della sezione - a rotazione, al bisogno, prevedendo calendari delle rispettive udienze che consentano di seguire tutti, secondo le possibilità concrete): – controllo documentale e delle notifiche, preparazione e consegna del fascicolo al giudice, etc.; – organizzazione delle citazioni (se e quando le norme di procedura lo consentono, stabilendo orari distinti per blocchi di procedimenti, secondo la complessità degli stessi, etc.); B. – assistenza e verbalizzazione udienza (tenendo conto delle disponibilità concrete); – produzione di copie (si dovrebbe presumere che tali figure dispongano di maggiore cognizione delle carte processuali); – assistenza al magistrato per la verifica che i dati nel sistema informativo civile siano adeguati, per poter redigere la sentenza con preintestazione automatica (grazie al sistema Polis); – qualifiche adeguate: B3 (o prossima); – riqualificazione necessaria: incrementare le conoscenze informatiche del personale appartenente alla qualifica B3, specialmente su SICC (area della consultazione e dell’aggiornamento del registro informatizzato), Polis (area della produzione documentale). Peraltro, si osservi che l’enucleazione delle competenze sopra descritte non può apparire, ai conoscitori degli attuali ruoli e mansioni del personale, come “rivoluzionaria” o eversiva”: si tratta soltanto di orientare in modo più definito e netto le risorse umane, di renderle coscienti degli obiettivi che dovrebbero conseguire, creando due distinti indirizzi interni alla cancelleria, senza fare perdere l’unitarietà della struttura (10) Il contratto collettivo integrativo del personale del Ministero della Giustizia per gli anni 1998-2001, prorogato, prevede, all’art. 20 co. 2, che “a prescindere da quanto specificamente previsto per determinati profili professionali, tutti i dipendenti, ad eccezione di quelli inquadrati nel settore della professionalità giudiziaria, area funzionale A, posizione economica A1 [=commessi e autisti] sono tenuti ad avvalersi, nell’espletamento delle mansioni affidate, della strumentazione informatica in dotazione all’ufficio, nel rispetto del decr. leg.vo n. 626/94 e della legge 1204/71”. (11) L’istituzione degli Uffici Relazioni con il Pubblico non ha trovato in ambito giudiziario la risposta da molti attesa; con l’eccezione di Genova, poche sedi dispongono di un vero e proprio URP, rispondente alla normativa in materia, dalla legge 241/90 sulla trasparenza amministrativa, alla legge 150/2000 sulle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni; poche dispongono di personale qualificato. Peraltro, il lavoro delle cancellerie è di natura giudiziaria, in gran parte sottratto alla applicabilità della legge 241/90, come sanci- 90 e senza sottrarla al vertice organizzativo, ma con l’impegno di garantire entrambe le tipologie di servizi. Contestualmente, occorrerebbe promuovere ad ogni livello il lavoro di squadra, attraverso il team building, la creazione di uno spirito di gruppo, che richiede un presidio costante di figure di vertice organizzativo formate agli strumenti di management. Il personale viene organizzato in gruppi di lavoro, che operano con precisi obiettivi loro assegnati, possibilmente per progetti, e viene motivato e formato in una attività costante di coaching (letteralmente “allenamento”) da parte del dirigente. È una modalità estremamente impegnativa per le figure di vertice, soprattutto nelle situazioni nelle quali sia scarsa la dotazione di “quadri” e nei grandi uffici. Tuttavia, è una modalità di conduzione delle organizzazioni che ha ritorni certi, in termini di conseguimento degli obiettivi. La direzione delle singole cancellerie prospetta il problema del raccordo con l’art. 47 quater del decr. leg.vo 51/98 sull’istituzione del giudice unico; la funzione di vigilanza riservata da detta norma al presidente di sezione non può essere intesa nel senso che il presidente determini i destini del to dai decreti ministeriali 540/95, regolamento di attuazione della legge 241/90 per i procedimenti di competenza degli organi dell’Amministrazione della giustizia, e 115/96, sui documenti stabilmente formati o detenuti dal Ministero della Giustizia e dagli organi periferici sottratti al diritto di accesso. Sarebbe, pertanto, più efficace pensare ad un “URP diffuso”, cioè a cancellerie tutte in grado di porsi come uffici relazioni con il pubblico, più che ad un ufficio centralizzato, che poco potrebbe dire o fare per il cittadino/utente, se non indirizzarlo alla cancelleria del giudice competente per il procedimento che lo riguarda. Diversa è la progettazione all’interno degli uffici giudiziari di punti informativi informatizzati con il sistema Polis Web, che permette a ciascun avvocato (non ancora al singolo cittadino) di accedere alle proprie cause, previa verifica automatica della sua identità con utilizzo di nome/utente e password; i punti sono assistiti, ma è sufficiente un presidio minimo, poiché l’utente effettua autonomamente le proprie ricerche nell’archivio civile informatico del tribunale o della corte d’appello. personale assegnatogli fuori da qualsiasi logica di confronto. Un approccio cooperativo con i funzionari permetterà al presidente di disporre di maggiori e più curate informazioni (il presidio sul trattamento/gestione dei dati attualmente è molto spostato sulle figure amministrative dalla normativa sulla tenuta informatizzata dei registri, D.M. 264/2000 e D.M. 24/5/2001), nonché di raccordare fra loro l’impiego delle risorse amministrative e quello delle risorse giurisdizionali, per il miglioramento della produttività e la riduzione dei tempi di definizione dei procedimenti. Le ultime considerazioni rimandano alla questione del vertice organizzativo dell’ufficio ed al nodo, non ancora risolto, della dirigenza degli uffici, anche perché l’esigenza della cooperazione tra area giurisdizionale e area amministrativa si pone ancora più nettamente passando al piano della direzione complessiva dell’ufficio giudiziario. Un momento significativo, in tal senso, è rappresentato dalla predisposizione delle c.d. tabelle, il piano organizzativo del lavoro giurisdizionale, secondo indicazioni fornite in apposite circolari dal Consiglio Superiore della magistratura: un piano tabellare predisposto in solitudine dal capo magistrato, senza tenere conto delle forze disponibili e della necessità di garantire anche la produzione dell’ufficio richiesta da una serie di norme di natura più strettamente amministrativa, lascerebbe scoperti alcuni obiettivi imprescindibili per l’ufficio giudiziario. La complessità di tale tema in ambito giudiziario discende dalla compresenza di un capo magistrato, dotato di prerogative e guarentigie costituzionali di autonomia e di non interferenza da parte dell’apparato ministeriale, e di un dirigente amministrativo, figura definita dal decr. leg.vo 29/93 e successive modifiche, fino al decr. leg.vo 165/2001, nuovo “testo unico” del personale delle pubbliche amministrazioni, dirigenza inclusa. Il dirigente amministrativo risponde della propria “attività di direzione”, secondo la normativa sul controllo di gestione – decr. leg.vo 286/99 – e viene valutato annualmente secondo i risultati conseguiti. In realtà, poiché la titolarità dell’ufficio è in capo al magistrato dirigente, il vertice amministrativo risponde per una gestione non necessariamente/interamente propria, soprattutto nelle ipotesi nelle quali non riesca a “conquistare” degli spazi direzionali o questi non gli vengano riservati discrezionalmente dal capo magistrato. Tutto ciò è poco rispondente alle norme e poco efficiente. Come lucidamente ha sostenuto il prof. Zan, in ambito giudiziario è chiaramente avvertibile una sorta di deresponsabilizzazione nella conduzione degli uffici giudiziari (12). Potrebbe rilanciarsi la funzione di (12) S. Zan propone quale soluzione all’accennato problema, alternativamente, o di “acquisire competenze manageriali (pubbliche) dall’esterno…” o di specializzare “attraverso appositi percorsi di formazione … alcuni giudici alla funzione manageriale che comunque dovrebbe essere svolta, almeno temporaneamente, a tempo assolutamente pieno”, op. cit., pagg 114-115. Meriterebbe, peraltro, di essere valorizzato il patrimonio conoscitivo dei dirigenti amministrativi giudiziari, in gran parte ex funzionari, pertanto in possesso degli specifici meccanismi operativi, formati alle procedure, ma anche al senso di eticità che si respira in ambito giudiziario, nonché dotati dello strumentario manageriale più moderno, per la formazione gestionale/organizzativa della quale sono stati destinatari in anni recenti. organizzazione/direzione degli uffici proprio riservando un effettivo e definito spazio gestionale al dirigente amministrativo giudiziario, anche per ricondurre tale figura al complesso delle regole di diritto amministrativo vigenti per l’area della dirigenza pubblica. Si propone uno scenario che potrebbe fare salva la titolarità dell’ufficio giudiziario al capo magistrato, ampliando, contemporaneamente, la sfera delle attività dirigenziali/gestionali del dirigente amministrativo: – riservare al capo dell’ufficio l’organizzazione tabellare, il lavoro dei giudici e tutto ciò che abbia stretta attinenza con lo jus dicere; – riservare al dirigente amministrativo l’organizzazione e la gestione delle risorse umane e materiali, con le correlate responsabilità e con l’impegno di garantire alla giurisdizione tutto il supporto necessario, in relazione alle risorse disponibili; – formalizzare tale impegno in un progetto annuale di organizzazione dell’ufficio, negoziato e concordato tra capo e dirigente, definendo gli obiettivi e le modalità di massima della loro attuazione (13); – prevedere, per il caso di conflitti, la composizione attraverso un soggetto arbitro, che garantisca l’equilibrio delle componenti giurisdizionale ed amministrativa (parità delle rappresentanze di CSM e Ministero) (14). (13) Le modalità di attuazione del citato decreto 286/99, sul controllo di gestione nell’ambito dell’amministrazione della giustizia, già attualmente prevedono un tale strumento di raccordo. (14) È una ipotesi che qui viene proposta a titolo del tutto personale da chi scrive, per cercare un punto di conciliazione tra i principi che governano le due distinte aree giurisdizionale ed amministrativa e tradurre concretamente in un riparto di competenze capace di produrre maggiore efficienza organizzativa; è facile immaginare che ai magistrati possa apparire troppo spostata a vantaggio dell’area della dirigenza amministrativa, mentre ai dirigenti amministrativi possa sembrare troppo “timida”. Invero, non è una prospettazione del tutto nuova, poiché si po- 91 L’impianto organizzativo sopra descritto permetterebbe di assimilare maggiormente il dirigente amministrativo al court manager di molti Paesi europei, con competenze e responsabilità gestionali proprie, distinte da quelle del magistrato dirigente dell’Ufficio giudiziario. Inoltre, la necessità di esercitare un coaching continuo nei confronti del personale e l’applicazione delle regole sul controllo di gestione avvalorano l’ipotesi della necessità di una riserva di competenza direzionale autonoma al dirigente amministrativo nella gestione delle risorse umane e materiali degli uffici giudiziari. 3. Riqualificazione del personale e proposta di introduzione del Rechtspfleger I l concetto di riqualificazione è stato già richiamato a proposito della proposta di ridefinizione dei compiti della cancelleria in una sorta di doppio binario. Una più radicale forma di riqualificazione, da riservare ai funzionari laureati, appartenenti almeno al livello C2, potrebbe essere orientata alla istituzione di una figura nuova per il nostro ordinamento, capace astrattamente di apportare maggiore efficienza agli uffici giudiziari: l’istituzione del “funzionario giudiziario”, equivalente al Greffier francese, al Rechtspfleger tedesco e austriaco, al secretario judicial di cui al- la recente riforma dell’ordinamento spagnolo, secondo un modello, tra l’altro, riconosciuto dal Consiglio d’Europa quale possibile strumento di deflazione del carico giurisdizionale, in piena armonia con la raccomandazione (R)86/12, che suggerisce agli Stati aderenti di ricercare misure per contenere le procedure da assegnare ai magistrati (15). Le competenze attribuite a tale tipologia di funzionario hanno natura “paragiurisdizionale”, si trovano un po’ al confine tra ciò che è di spettanza del magistrato e ciò che è riferibile al cancelliere. In Germania e Austria tale figura decide e firma (non solo prepara provvedimenti o li istruisce) in materia di: – ingiunzioni di pagamento; – esecuzioni civili; – esecuzioni penali; – alcune aree di volontaria giurisdizione (ad esempio, la materia successoria; inoltre, il registro delle società, i registri immobiliari (16)). Le procedure dei paesi che hanno tale istituto prevedono una distinzione molto netta tra la fase contenziosa e quella precedente o successiva, essendo in ciò il discrimine della competenza rispetto ai magistrati togati; inoltre, il Mahnbescheid, che corrisponde al decreto ingiuntivo del sistema italiano, viene emesso sulla base della presentazione di una adeguata documentazione; non si fa riferimento a “valutazione di prove”. ne sullo stesso piano del c.d. “accordo La Greca”, sottoscritto da rappresentanti della magistratura, del personale e del ministero nel gennaio 1997 e rimasto inattuato. (15) È del tutto diversa la figura descritta nel disegno di legge S2457, presentato dal Sen. Magnalbò, sul “funzionario giudiziario”, una sorta di miscuglio tra le competenze Rechtspfleger europeo, l’ufficio del giudice e il ruolo della vicedirigenza, che, ex art. 17 bis del decr. leg.vo 30.3.2001 n. 165 sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, si estende anche “al personale non laureato che, in possesso degli altri requisiti richiesti, sia risultato vincitore di procedure concorsuali per l’accesso alla ex carriera direttiva anche speciale”; 92 L’introduzione nell’ordinamento di un tale istituto consentirebbe di dare soddisfazione alle aspirazioni di parte del funzionariato più legato alle competenze giudiziarie, che non a quelle organizzative, e richiederebbe probabilmente alcuni adattamenti normativi nei codici di procedura. Ovviamente, occorrerebbe un approfondito studio e la definizione delle competenze dovrebbe essere prodotta in accordo fra tutte le componenti del sistema giustizia (magistratura, avvocatura, rappresentanze del personale amministrativo, inclusa la dirigenza, ministero), nonché con la consulenza del mondo accademico. LA CIRCOLAZIONE DELLE “BUONE PRATICHE”. L’EFFICIENZA GIUDIZIARIA E IL SENSO DELL’ETICITÀ PUBBLICA S i richiama, infine, la questione della circolazione delle “buone pratiche”, quale ulteriore elemento capace di apportare efficienza. Vi sono, già oggi, situazioni di buon funzionamento dei servizi giudiziari, in alcune aree territoriali o in singole strutture, delle quali vi è scarsa conoscenza, perchè non esistono luoghi e soggetti preposti alla raccolta e diffusione di tali informazioni. Qualcosa si apprende nei pochi momenti formativi, o nei conve- ancora, contiene la previsione di una sorta di promozione automatica di tale “funzionario giudiziario” alla dirigenza di seconda fascia, in deroga alle norme ordinarie sull’accesso a quest’ultima, contenute nel citato decr. leg.vo 165/2001, senza verifica della effettiva professionalità conseguita. Di qualche interesse è la lista delle competenze immaginate per il funzionario giudiziario agli artt. 8 e 9 del disegno citato, da approfondire e verificare se adeguati per una ipotesi di “Rechtspfleger italiano”. (16) Gli ultimi riferimenti rendono evidenti le differenze ordinamentali: nel sistema giuridico italiano, il registro delle società è affidato alle Camere di Commercio, mentre quelli immobiliari sono di pertinenza dell’autorità finanziaria. gni, ma si tratta di scambi informali e sporadici. Vi è ancora poca circolazione, poca conoscenza delle prassi virtuose, poichè non esistono luoghi e soggetti preposti alla raccolta; qualcosa si scambia nei momenti formativi, ma si tratta di scambi informali; l’istituzionalizzazione è sempre pericolosa, può aumentare i livelli di burocrazia, tuttavia, non può continuare ad essere casuale e sporadica la conoscenza di esperienze positive che meriterebbero di essere diffuse e praticate su più larga scala. n un momento storico nel quale imperversa la parola d’ordine della privatizzazione, sembra, altresì, opportuno fare riferimento ad un valore che, nella crisi attuale della giustizia, costituisce un punto di forza ad effetto “unificante”: il senso etico insito nel fatto di prestare un pubblico servizio, elemento certamente condiviso da molti operatori della giustizia, indipendentemente dal tipo di professionalità. Sembra un aspetto dimenticato, qualcosa che può sembrare coerente con le vecchie lezioni di educazione civica delle scuole medie di tanto tempo fa. Al contrario, vi è ancora tutta e piena la forza degli artt. 97 e 98 della Costituzione. L’accostamento tra principio del I buon andamento e criterio di imparzialità – art. 97 – al quale deve ispirarsi l’attività della pubblica amministrazione (inclusa l’amministrazione giudiziaria) impone un approccio attento al problema dell’efficienza, che non può essere fine a se stessa e perfettamente coincidente con una visione puramente economicistica. Sotto un certo profilo, i citati principi impongono anche qualche sacrificio in più, un impegno addirittura maggiore, ma il vantaggio è nel fatto che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione” – art. 98 – (privilegio che i lavoratori privati non possono condividere, essendo alle dipendenze di un privato imprenditore). Fare leva su tali principi e valori potrebbe risultare motivante, per un rilancio dell’efficienza in ambito giudiziario, perché la porrebbe dentro una visione etica. Si tenga altresì in conto che, in certi raffronti, il “pubblico” esce vincente sul privato. Da un lato, le grandi imprese vanno “burocratizzandosi” in modo sempre più accentuato, a discapito dei singoli lavoratori, che, soprattutto ai livelli meno elevati di inquadramento professionale, perdono il contatto con gli obiettivi, con la mission d’impresa. Si pensi, poi, allo spirito impren- ditoriale necessario a magistrati, funzionari e dirigenti amministrativi per condurre una qualsiasi (“normale”) giornata di vita giudiziaria, per garantire i servizi essenziali all’utenza, l’assistenza minima alle udienze, la ricezione degli atti, la risposta alle richieste dei più diversi soggetti, tutto ciò in mezzo a gravissime carenze strutturali e di risorse. on sembra che tali aspetti siano sufficientemente valorizzati: fanno notizia i grandi processi, le questioni familiari particolari; la stampa si sofferma sui soli fatti idonei a “bucare gli schermi”. Non fa notizia la capacità di molte persone, che operano nei vari palazzi di giustizia del Paese, di sapere anche solo fronteggiare i bisogni e gli obblighi del servizio, in modo collaborativo, fra loro e verso i cittadini, in condizioni estremamente precarie e con dotazioni di risorse progressivamente ridotte, con l’ovvia conseguenza che, a causa di strumenti tanto carenti, gli utenti rimangano per ora alquanto insoddisfatti. N DANIELA INTRAVAIA Dirigente Informatico Coordinamento Interdistrettuale Sistemi Informativi Automatizzati di Milano Ministero della Giustizia Direzione Generale Sistemi Informativi Automatizzati 93 L M RELAZIONE CONCLUSIVA DEL CONVEGNO DI ROMA 1. Rispetto ad un dibattito che è stato così ricco ed intenso sarebbe fuori luogo tentare di tracciare delle conclusioni. Mi limiterò pertanto, anche per ragioni di tempo, a poche considerazioni, scusandomi sin da ora per il loro carattere disorganico e frammentario. Intendo esprimere innanzi tutto, un ringraziamento agli animatori della tavola rotonda, che hanno dimostrato come sia ancora possibile portare avanti un dialogo proficuo e costruttivo esponendo con serenità le proprie opinioni anche quando – com’è naturale – esse non sono del tutto convergenti, e facendo toccare con mano che il parlarsi senza pregiudizi giova a individuare con maggior chiarezza le questioni su cui si è d’accordo oltre che a ridurre le distanze anche rispetto ai contrasti; ai relatori ed agli interventori i quali – talora anche rinunciando, al pari dei partecipanti alla tavola rotonda, ad altri impegni: e di ciò siamo loro ancora più grati – si sono avvicendati nella giornata di ieri portando un importante contributo di conoscenza, di analisi e di proposte sui temi del convegno; ai partecipanti tutti, molti dei quali non hanno potuto trattenersi a causa di impegni precedentemente assunti; agli Osservatori per la giustizia civile, che hanno dato ancora una volta un’impronta di grande significato culturale; al gruppo di lavoro dell’ANM che in tempi assai ristretti si è sforzato di dare un contributo al dibattito sulle riforme del processo civile ed alla preparazione del convegno, dimostrando come sia del tutto naturale trovarsi ad esprime- 94 re un linguaggio comune e posizioni unitarie intorno ad obiettivi condivisi: e voglio qui ricordare, accanto ad Alessandro Pepe. Antonio Scarpa e Raffaele Sabato che hanno coordinato le due sessioni di ieri, ad Antonio Didone e Patrizia Pompei che sono intervenuti ed a Luciano Gerardis che ha letto il documento conclusivo – anche Pasquale D’Ascola, Mario Fresa, Maria De Cecco, Luciano Maura Nardin, Alfonso Pappalardo, Francesco Ranieri, i quali, al pari di Luciano Gerardis, hanno rinunciato a svolgere interventi per lasciare spazio agli altri. Un ringraziamento, infine, voglio rivolgere anche alle signorine Cristina Carli, Emanuela Setzu e Monica Vari della segreteria amministrativa dell’ANM il cui lavoro – meno visibile, ma non per questo meno essenziale – è stato come sempre insostituibile e prezioso. L’ANM era consapevole che la preparazione del convegno avrebbe incontrato difficoltà organizzative, anche a causa del susseguirsi delle iniziative degli ultimi tempi e dell’accavallarsi con altri importanti appuntamenti, di alcuni dei quali, purtroppo, siamo venuti a conoscenza troppo tardi per poter decidere un rinvio. Nonostante queste difficoltà, in un momento storico caratterizzato dall’emergere con sempre maggiore evidenza di un “diritto diseguale” e dalla progressiva scomparsa delle garanzie giuridiche nella vita quotidiana, cui fanno riscontro fenomeni crescenti di impoverimento e di esclusione anche in ciò che riguarda i più “vecchi” diritti ed i bisogni più 2. elementari di giustizia, l’ANM ha voluto testimoniare il proprio impegno anche sul terreno della giurisdizione civile, nella consapevolezza che il suo corretto funzionamento costituisce fattore essenziale per la tenuta dello Stato di diritto e passaggio strategico rispetto agli stessi compiti affidati al diritto punitivo. Questo convegno intende collocarsi in una linea di continuità ideale non solo con il convegno di Roma del gennaio 2002, ma anche con le iniziative in tema di professionalità e con le giornate per la giustizia che si sono svolte a novembre in tutta Italia, facendoci tra l’altro riscoprire quanto sia importante ritrovare un linguaggio che sia più comprensibile ai cittadini perché “costretto” a ridefinirsi alla stregua dei beni della vita e dei bisogni concreti di giustizia. Certo, la partecipazione non è stata numerosa; e ciò dipende in gran parte dalle difficoltà organizzative a cui ho fatto accenno, oltre che da ingenuità ed anche errori, al punto tale che fino a pochi giorni fa nei palazzi di giustizia non si vedeva (e forse non ancora si vede) neppure una locandina del convegno. Ma ciò conferma, in primo luogo, quanto sia impegnativo il lavoro che l’ANM deve ancora svolgere sul terreno della giustizia civile e sui temi dell’organizzazione, temi rispetto ai quali la scarsa sensibilità di molte giunte distrettuali e, reciprocamente le “diffidenze” che continuano a manifestarsi verso l’ANM (a volte – devo dirlo con franchezza – in modo del tutto ingeneroso) si alimentano reciprocamente in una curva negativa di distacchi e di incomprensioni. E conferma, insieme, proprio la premessa da cui siamo partiti nell’immaginare il convegno quella, cioè, che sui temi della giustizia nulla potrebbe essere più dannoso quanto la separatezza, l’inco- municabilità, le distanze, il procedere delle proposte in ordine sparso e ciascuna per conto suo. All’ANM è stato attribuito, erroneamente, un intento polemico, quasi la volontà di escludere dal convegno le voci dissonanti rispetto a ciò che l’Associazione pensa intorno alle riforme del processo. Che non sia così, sta a dimostrarlo lo stesso pluralismo delle voci che ha caratterizzato il dibattito, ma lo conferma, prima ancora, la duplice convinzione che ci ha mosso e, cioè: a) quella relativa alla necessità di stimolare un confronto che vada oltre il nostro specifico orizzonte professionale, nella linea del dialogo che ha costituito la caratteristica portante di tutte le iniziative assunte dall’ANM negli ultimi tempi; b) il proposito di non mettere al centro della discussione le riforme del processo, convinti come siamo che, se al buon funzionamento della giustizia giovano anche modifiche della disciplina processuale, altre sono le urgenze del sistema giudiziario italiano. Naturalmente, anche l’ANM – e non solo quel “milieu” di “irriducibili oppositori” a cui ha fatto riferimento il Prof. Sassani nella relazione di ieri – ha delle sue convinzioni a proposito del processo. Essa è convinta, ad esempio, che su molti aspetti esista una larghissima convergenza, ribadita con chiarezza e convinzione anche in questo convegno da qualificati esponenti dell’avvocatura e del mondo accademico e dallo stesso Sottosegretario alla giustizia, on.le Vietti. Non vi è ragione, dunque, perché queste proposte (molte delle quali contenute nel testo del disegno di legge unificato approvato dalla Camera il luglio scorso, che anticipano a loro volta alcune di quelle previste dal 3. disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 ottobre 2003), per quanto “minimali”, non si traducano rapidamente in legge, come l’ANM ha auspicato, formulando anche suggerimenti migliorativi, in un documento generale ed in una articolata “scheda” di osservazioni tecniche sul testo unificato di disegno di legge approvato dalla Commissione giustizia della Camera il luglio scorso (ed a proposito dell’accenno, che ho sentito fare, a forme procedimentali dotate di maggiore flessibilità e meno ancorate al “mito” del giudicato, non posso fare a meno di ricordare come l’ANM abbia all’opposto sottolineato nei suoi documenti la non più differibile urgenza di una disciplina dei procedimenti camerali che – a differenza di quella prevista dal d. lgs. n. 5/2003, e conformemente a quanto indicato nelle proposte di riforma delle procedure concorsuali – valga a risolvere finalmente i problemi di “costituzionalizzazione” del rito camerale, tuttora rimesso nei suoi snodi fondamentali alla pura discrezionalità del giudice). Su altre proposte invece non vi è accordo; e l’ANM – non per ragioni ideologiche, ma nell’intento di fornire un contributo al dibattito – ha manifestato le proprie riserve sottolineando come: • se il processo è – e non può non essere alla luce del sistema costituzionale e, in particolare, degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione – una funzione pubblica dello Stato, l’attività processuale, anche sotto il profilo degli obblighi internazionali, non può non implicare un ruolo di impulso e di coordinamento che deve essere necessariamente individuata nella figura del giudice, essendo logicamente da escludere che il centro di imputazione possa essere individuato nelle parti. Vi è, dunque, una ragione isti95 tuzionale e, per così dire, assorbente, legata alla considerazione che, con l’iscrizione a ruolo della causa, il processo diventa automaticamente oggetto di valutazione sotto il profilo della sua “ragionevole durata”; • ogni intervento sulla disciplina processuale, specie se ispirato all’idea di incidere globalmente sul codice di rito, non può sottrarsi ad una valutazione di coerenza tra obiettivi dichiarati e risultati che possono ragionevolmente essere ottenuti; e non ho sentito una sola parola, una sola ragione, né dentro né fuori al convegno capace di chiarire perché mai una diversa configurazione del rapporto giudice-processo, quale è stato anticipato nella riforma del rito in materia commerciale e quale si prefigura nel disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei Ministri, dovrebbe favorire l’obiettivo della ragionevole durata e, comunque, di una durata più ragionevole rispetto a quella conseguibile con l’attuale configurazione (nessuno, credo, può illudersi davvero che gli ingorghi forse evitati in una trattazione senza giudice, non tornino a formarsi nella fase successiva, una volta che il giudice sia stato chiamato dalle parti a fissare l’udienza); • ad uno Stato di diritto, che annovera tra i suoi cardini la garanzie dell’accesso alla giustizia e la promozione dell’uguaglianza sostanziale, non interessa soltanto che a pronunciare la sentenza sia il giudice, ma interessa anche il modo in cui si perviene alla pronuncia; e l’apporto del giudice, fin dalla fase iniziale del processo, alla individuazione del tema della lite, alla chiarificazione dei fatti rilevanti, alla verifica di questioni che possono impedire la 96 prosecuzione del processo, all’indicazione delle questioni di merito e di rito rilevabili d’ufficio, alla verifica della necessità o dell’opportunità dell’estensione del contraddittorio, è stata appunto ritenuta, nell’evoluzione secolare della nostra esperienza giuridica, elemento coessenziale ad un processo concepito come metodo di ricerca della verità in una successione razionale e non dispersiva di attività; • quanto più la società ed i conflitti che in essa si esprimono diventano complessi, tanto più – mi sembra – si rafforza l’esigenza di una struttura del processo volta a favorirne la comprensione attraverso la dialettica e l’oralità, espressione altresì del carattere democratico del processo e del diritto del cittadino ad essere ascoltato ed a concorrere direttamente alla formazione del convincimento del giudice. Sappiamo bene che l’attrazione esercitata, su una parte anche consistente dell’avvocatura, da un modello di “processo senza giudice”, ha ragioni ben precise: le ha ricordate ieri, esprimendo contrarietà a quel modello, il prof. Chiarloni, e le ha sottolineate – legando proprio ad esse la necessità della riforma – il prof. Sassani. Come ha detto Chiarloni, udienze “trasformate in un rituale indecoroso in cui decine di avvocati si affollano e si affannano nella stanza d’udienza” per ottenere una riserva di provvedimento o un rinvio “da un giudice che nella stragrande maggioranza dei casi nulla sa della causa affidatagli e si limita, spendendo peraltro una grande quantità del suo tempo di lavoro, a riservarsi per un provvedimento fuori udienza o a fissare i rinvii per un gran numero di fascicoli”; trattazioni slabbra- 4. te; prove testimoniali che vedono a volte gli avvocati “raccogliere direttamente le deposizioni dei testi magari nei corridoi davanti alla stanza d’udienza, scrivendo direttamente i relativi verbali”; disfunzioni nelle comunicazioni o nelle notifiche, rinvii all’ultimo momento, ritardi e altro ancora, costituiscono parte purtroppo non marginale dell’esperienza concreta del processo civile italiano, un’esperienza entro la quale finisce spesso per restar frustrata ogni illusione di oralità, di immediatezza e di concentrazione. Ma a differenza di coloro che hanno dichiarato di nutrire una visione di “pessimismo irreversibile” rispetto alla situazione attuale, abbiamo la convinzione che un’alternativa vi sia e che essa consiste in un rovesciamento di metodo nella lettura della realtà. Se è vero, infatti, che quando il rapporto dialettico giudice/parti riesce ad esplicarsi fin dall’inizio in modo pieno ed effettivo, in una sequenza ordinata di atti, in un comune contraddittorio che mira a sfrondare l’inutile e il vano, in un contesto organizzativo adeguato, con un ruolo di udienze umano e tollerabile – se ne giova la speditezza del processo, ne guadagna la qualità della risposta giudiziaria, ne risulta agevolato lo stesso svolgimento dell’attività dei difensori, il rimedio non può risolversi in una resa, ma deve consistere in una reazione alle prassi deresponsabilizzanti, sforzandosi di creare le condizioni strutturali, organizzative, culturali e professionali che consentono di rendere ovunque proficua ed effettiva la dialettica interna al processo, remote le perdite di attività di udienza, rari i rinvii e – quando si verificano – sempre contenuti. In questo contesto – senza necessità di stravolgere il rapporto giudice/parti all’interno del processo, e senza continuare a moltiplicare modelli processuali che complicano la vita ai magistrati, agli avvocati, ai cancellieri e, prima di tutto, agli utenti - c’è spazio sicuramente anche per modifiche che incidano sulla scansione delle udienze, secondo le indicazioni contenute, ad esempio, negli artt. 14 e 15 del Testo unificato del disegno di legge approvato dalla Camera, o mediante la fusione tra udienza di prima comparizione e prima udienza di trattazione, come suggerito nella scheda di osservazioni tecniche predisposta dall’A.N.M., o con modalità più flessibili come quelle, ad esempio, suggerite dall’AIGA ed a cui ha fatto riferimento anche il prof. Chiarloni nella sua relazione. Sui “mali” del processo e sui rimedi per farlo funzionare si possono avere, naturalmente, opinioni diverse; ma l’ANM è convinta che il processo non possa trasformarsi in fattore di divisione e di scontro. Esso dovrebbe costituire, all’opposto, luogo di analisi costruttiva in cui – confrontando le diverse soluzioni – si possano trovare quelle più conformi all’interesse generale della collettività. Avviare quel confronto che sino ad oggi è mancato sarebbe di grande aiuto per superare visioni astratte ed evitare soluzioni affrettate; mi pare perciò positiva la proposta, cui ha accennato il consigliere Salmé, di un tavolo di lavoro offerto dal C.S.M. e che, naturalmente, potrebbe aprirsi anche presso l’ANM od al quale, comunque, l’ANM potrebbe fornire il proprio contributo. Se modifiche della disciplina del processo possono essere utili al buon funzionamento della giustizia, promuovendo questo convegno l’ANM ha inteso ribadire per l’ennesima volta – con la frustrazione e il disagio che si prova a ripetere parole logorate dall’uso per tutte le volte che si è stati costretti a ripe- 5. terle inutilmente nel tempo – che la ragionevole durata del processo postula prima ancora che si incida sulle risorse e sulla loro distribuzione, che si dia risposta al secolare problema della revisione delle circoscrizioni giudiziarie e dell’adeguatezza degli organici dei singoli uffici; che non si lascino trascorrere anni prima di dare attuazione alla legge sull’aumento dell’organico della magistratura o di ricoprire ed adeguare l’organico del personale amministrativo e degli ufficiali giudiziari; esige che non restino nella palude quei fattori di vero e proprio rinnovamento culturale, di riappropriazione della dignità e della qualità di ciascuna funzione, che sono il processo telematico, i piani di informatizzazione degli uffici giudiziari e la costruzione di un sistema statistico veridico, affidabile, idoneo a soddisfare le necessità di conoscenza del lavoro giudiziario e dinamicamente funzionale agli adattamenti organizzativi; richiede che al giudice sia data quella struttura di supporto che non ha mai avuto; che siano ridisegnati e valorizzati nella logica complessiva del servizio i compiti della magistratura onoraria, al cui riordino rimanda anche l’ormai prossima scadenza dell’art. 245 lgs. n. 51/1998; impone di far crescere nei fatti, con un serio sostegno di mezzi e di strumenti e non solo declamandoli a parole, strumenti conciliativi capaci di favorire il superamento e la composizione dei conflitti senza necessità di ricorrere al giudice; se non si risolve, conseguentemente, quel nodo cruciale costituito dal numero di cause che ogni giudice può ragionevolmente trattare senza restare schiacciato dalla mole degli arretrati destinati a crescere in continuazione. Tutto ciò – lo sappiamo – comporta per il bilancio dello Stato spese e costi. Ma la democrazia è complessa, implica che si investa e che si spenda, perché immettere mezzi e risorse è l’unica scelta consentita dall’art. 110 della Costituzione. Ma in nessun momento le responsabilità degli altri debbono far dimenticare le proprie. Uno dei valori più alti e visibili di questo convegno, quale è emerso da tanti interventi carichi di tensione morale e di vera e propria passione civile, è che l’essere indipendenti non significa comportarsi come se del modo in cui si organizza e si fa il proprio lavoro non si dovesse rendere conto a nessuno. Si assiste, invece, a sedi giudiziarie nelle quali parti ordinamentali di primaria importanza restano pressoché lettera morta; le proposte tabellari non esprimono un progetto organizzativo calato nella concreta realtà della domanda e dei bisogni di giustizia; mancano occasioni di confronto e di dibattito sui problemi dell’ufficio e sugli orientamenti giurisprudenziali; sono assenti o carenti le funzioni di vigilanza. Non dobbiamo essere stanchi di ripetere che il corretto funzionamento dell’autogoverno rimanda anche al nodo dei criteri di scelta per ciò che concerne il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi o forse, meglio, alla coerenza nella loro applicazione; implica come precondizione assoluta e indeclinabile un flusso di informazioni completo e costante della realtà organizzativa entro cui le funzioni organizzative sono destinate ad esplicarsi; richiede effettività dei controlli e capacità di intervento contro ogni forma di sciatteria, di inettitudine o di inerzia, come richiede capacità di riconoscere le esperienze positive, di incentivarle e di favorirne la diffusione. E qui vorrei ricordare, per contrastare quella immagine di cupa negatività tracciata nel suo interven- 6. 97 to dal prof. Sassoni, il quale ha descritto un mondo della giustizia quasi irreparabilmente segnato dalla sconfitta, che la realtà conosce anche altre cose. Protocolli di udienza; svolgimento delle riunioni previste dall’art. 47 quater ord. giud. e di quelle connesse ai compiti propri dei dirigenti degli uffici giudiziari; analisi dei flussi di lavoro anche con la costituzione di specifici uffici statistici e di apposite commissioni di studio e di supporto; progetti organizzativi proficuamente elaborati e periodicamente monitorati; incontri di formazione decentrata e riunioni degli “Osservatori” per discutere sugli orientamenti interpretativi e sulle questioni organizzative, costituiscono aspetti di un incoraggiante fermento che anima la vita di diversi uffici giudiziari italiani, una positiva realtà in espansione che ha dimostrato nei fatti come tante cose potrebbero migliorare, in termini di efficienza e di qualità del servizio, se solo vi fosse la volontà di far funzionare gli strumenti esistenti, nel processo di cognizione come in quello di esecuzione. Nell’esperienza concreta degli uffici, che si sono posti consapevolmente l’obiettivo di governare il processo esecutivo e le procedure concorsuali, sottraendoli alla routine burocratica ed alla casualità dell’esperienza quotidiana, l’adozione di opportune procedure informatiche e di adeguati sistemi di informazione ha consentito di raggiungere risultati straordinari in termini di ordinato svolgimento delle procedure, di drastica riduzione dei tempi morti, di razionalità complessiva del servizio, con esiti soddisfacenti per la massa dei creditori e per lo stesso debitore esecutato. Questi esempi non possono restare isolati, ma debbono trasformarsi in veri e propri criteri organizzativi di carattere generale. Deve perciò esprimersi il massimo apprezzamento all’opera di 98 incentivazione e di diffusione perseguita dal CSM in sede di formazione professionale, sia centrale sia decentrata; al fatto che nelle ultime circolari sull’organizzazione degli uffici all’insieme di regole preordinate al rispetto del giudice naturale sia stata affiancata una ancor più esplicita configurazione delle tabelle come progetto organizzativo secondo obbiettivi di funzionalità e di efficienza, e che anche per gli uffici del giudice di pace siano state dettate direttive più precise e rigorose nel senso della maggiore trasparenza e di una migliore organizzazione del servizio; al fatto, infine, che nella delibera del 30 luglio 2003 di modifica ed integrazione della circolare n. 1275/1985 sui pareri per le valutazioni di professionalità sia stata attribuita specifica evidenza, tra l’altro, al parametro relativo alla “capacità del magistrato di organizzare il proprio lavoro” anche in funzione della necessità di “ridurre al minimo il disagio degli utenti della giustizia e dei loro difensori”. Ma sono ancora molte le cose da fare; e le hanno sottolineate ieri, tra gli altri, con grande efficacia, Luciana Barreca e Roberto Fontana. L’ANM, anche mediante la formazione di un “libro bianco” – una ricognizione priva di definitività e di prescrittività, che si offra in ogni distretto al dibattito di tutti gli operatori, arricchendosi ogni volta di nuovi contributi, precisandosi, modificandosi, operando come strumento di discussione e di confronto anche per sollecitare miglioramenti organizzativi – intende svolgere la sua parte proponendosi come luogo di verifica e di discussione critica delle prassi, nonché come tramite di diffusione delle esperienze positive. E vorrei qui sottolineare come fatto di grande rilievo la disponibilità alla collaborazione manifestata anche oggi dagli avvocati presen- ti al convegno e dai loro organismi rappresentativi, una collaborazione che nell’esperienza concreta di diversi distretti giudiziari costituisce già oggi una risorsa di inestimabile valore. Come ci ha ricordato in tante occasioni Carlo Verardi, l’attuazione del giusto processo passa, prima di ogni altra cosa, “da una riforma delle culture e della deontologia, che consegni al processo protagonisti culturalmente preparati, efficacemente organizzati, legati da una comunanza dei valori di fondo”. All’antitesi, ancora irrisolta, tra il modello burocratico tradizionale, che non è riuscito a dare efficienza alla giustizia italiana, e la visione opposta, basata su parole d’ordine come “gerarchia degli uffici, principio di autorità, meritocrazia, che sarà forse capace di ripristinare alcuni margini di credibilità e di prestigio ma che è assoggettata all’inaccettabile costo di dividere i magistrati tra loro e di restaurare pericolosi meccanismi di controllo interno”, dobbiamo contrapporre l’unico modello possibile di un giudice professionalmente preparato, capace di far fronte alla complessità con la specializzazione, consapevole che l’indipendenza non è una nicchia in cui starsene comodamente protetti ma una garanzia di impegno che il cittadino ha il diritto di vedere attuata ogni giorno. Ciò che conta per la corretta amministrazione della giustizia, non è tanto la selezione dei più «bravi», quanto un sistema idoneo ad assicurare che ogni magistrato assolva ai propri compiti con capacità e impegno, quale che sia la funzione in concreto esercitata. È in questa prospettiva che l’ANM ha assunto il tema della professionalità come terreno specifico del proprio impegno, formulando – dopo un ampio e serrato dibattito – un insieme articolato di propo- 7. ste di cui il CSM ha tenuto conto nella nuova circolare sulle valutazioni di professionalità. Un rinnovamento di professionalità che vale anche per il personale amministrativo per le cancellerie, per gli “operatori” della giustizia in genere e, naturalmente, anche per l’avvocatura, chiamata essa pure a concorrere al processo di integrazione europea ed alla costruzione di uno spazio giuridico comune e che – sono parole dell’avv. Danovi – consapevole di questa sfida, rivendica come suo preciso dovere “per tutti gli avvocati in tutti i paesi difendere in ogni occasione la professionalità, tutelare la formazione dei giovani, assicurare la formazione permanete degli iscritti, garantire l’elevazione culturale e professionale, migliorare la qualità”. È l’etica della responsabilizzazione la via per costruire quella “leadership” – culturale e non autoritaria – cui hanno fatto riferimento il prof. Zan ed il prof. Xilo nei propri interventi. In quest’ambito di positiva proiezione verso ciò che è doveroso e concretamente possibile, non solo acquistano peso e significato la logica del coordinamento e quella della partecipazione al fine di realizzare progetti organizzativi condivisi, come il CSM si è sforzato di affermare anche attraverso le circolari in materia tabellare, ma lo stesso art. 175 c.p.c. viene ad emergere quale proiezione dell’art. 111 della Cost. La funzione direttiva del giudice, spogliata di ogni riferimento concettuale di carattere autoritario e di ogni connotazione di privilegio, si manifesta cioè oltre che come espressione di un potere-dovere che deve esplicarsi per il corretto, leale e sollecito svolgimento del processo, prima ancora come direttiva che deve operare nei confronti dello stesso magistrato, come criterio deontologico di organizzazione del lavoro di ogni singolo giudice perché, se non si è capaci di organizzare il proprio lavoro indirizzandolo verso le esigenze di buon funzionamento del servizio, è più difficile che la funzione direttiva possa poi esercitarsi nel processo. Come ha ricordato l’avv. Berti al congresso di Palermo dell’OUA, «nel nostro paese c’è un crisi di legalità che è difficile contrastare se si vive in uno scontro permanente che delegittima la giurisdizione. Anche perché impedisce di fare riforme serie che facciano funzionare la macchina giudiziaria, e una macchina giudiziaria che non funziona crea illegalità». È la logica del dialogo la finalità principale di questo convegno. Una logica imperniata sulla convinzione che la giurisdizione resta fatalmente priva di significato se perde il contatto con la vita, se non resta ancorata come parte integrante alla realtà di ogni giorno e non riesce a dare tempestivo riscontro alle domande di giustizia, di legalità, di certezza dei rapporti giuridici, di sicurezza che le provengono dalla collettività. Se la giurisdizione non riesce a svolgere il compito, che le compete, di fattore di equilibrio sociale e di strumento di garanzia dei diritti, 8. alle regole entro cui debbono essere ricondotte anche le spinte e le logiche del mercato si sostituirà sempre più facilmente un mercato senza regole, che farà a meno dei giudici anche perché non può attendere i tempi lunghi della giustizia. Eppure è proprio alla giurisdizione civile – spesso lasciata ai margini di ogni dibattito e quasi dimenticata; sottoposta, dall’esterno, ad un processo continuo di erosione e di marginalizzazione e considerata ancora, all’interno, come il serbatoio a cui si può continuare ad attingere per ogni esigenza del settore penale – che spetta oggi il compito di concorrere a ricucire gli strappi, a trovare una sintesi sul terreno della difesa e dell’affermazione quotidiana dei diritti, a ricostruire una concezione unitaria della giurisdizione come strumento di promozione di uguaglianza e di legalità. I cinquantacinque anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sono stati ricordati nei giorni scorsi sottolineando amaramente che un terzo dell’umanità è privo dei fondamentali diritti politici e civili; 3 miliardi di persone vivono in condizioni di povertà;1, 3 miliardi in condizioni di “assoluta povertà”. Uscendo di qui, vorremmo impegnarci a fare in modo che ogni distretto diventi – nel più ampio circuito “virtuoso” della formazione, degli organismi associativi, dei diversi ambiti professionali, delle università, degli Osservatori – espressione di un grande laboratorio ove ogni segmento concorre con gli altri a migliorare ogni giorno il concreto funzionamento della giustizia ed a far sì che il processo torni ad essere strumento a servizio dei cittadini, e non luogo dal quale essi rifuggono spaventati dai suoi costi, dai suoi ritardi e dalle sue ingiustizie. GIANFRANCO GILARDI Consigliere Corte di Cassazione 99 DOCUMENTO CONCLUSIVO U na giustizia civile efficace e funzionale costituisce lo strumento indispensabile per la tutela dei cittadini, in un momento storico connotato dalla nascita di nuovi diritti “che premono alla porta della giurisdizione” e dal parziale affievolirsi di molte garanzie giurisdizionali. L’effettività della giurisdizione civile richiede, da un lato, un rinnovamento della professionalità e dell’efficienza della magistratura togata ed onoraria, sull’esempio delle esperienze positive elaborate in molti uffici giudiziari (che hanno trovato ampia esposizione nella sessione di questo convegno dedicata alle “prassi” esistenti ed a quelle possibili) e, dall’altro, interventi radicali sul piano delle risorse materiali ed umane. Alla realizzazione di questi obiettivi sono certamente utili interventi di razionalizzazione della disciplina processuale, ma è anche necessaria l’assunzione di un forte impegno dei magistrati per la riorganizzazione del lavoro del giudice e per la diffusione di prassi processuali “ragionevoli”. A questo fine l’ANM propone che: ➢ i magistrati incaricati di funzioni direttive e semidirettive discutano, all’interno degli uffici, specifici ed idonei programmi con l’individuazione di obiettivi d’ufficio e di sezione, finalizzati a dare una risposta di giustizia ai cittadini in tempi ragionevoli in riferimento alla tipologia delle controversie (anche avvalendosi dello strumento previsto dall’art. 47 quater ord. giud. per permettere la condivisione ed il controllo sulla realizzazione degli obiettivi programmati), formulando le conseguenti proposte tabellari; ➢ siano discusse con la classe forense e con il personale amministrativo, pur entro i limiti oggettivi posti dalle concrete realtà operative delle diverse sedi giudiziarie, tutte le prassi processuali ed organizzative atte ad evitare ogni inutile disagio ad utenti ed avvocati; ➢ l’esigenza di uniformità di tempi e di prassi di gestione dei processi civili trovi adeguata espressione in termini di autogoverno e di formazione dei dirigenti; 100 e invita le giunte locali a far sì che le proposte e le soluzioni adottate e ritenute utili nelle diverse sedi giudiziarie siano raccolte e segnalate già in occasione del prossimo congresso della ANM del 5-8 febbraio 2004. L’ANM ritiene che il confronto tra giudici, avvocati e personale amministrativo, in funzione del miglioramento della risposta del servizio giustizia, possa contribuire all’efficienza del sistema. L’obiettivo della funzionalità del processo deve comunque passare attraverso un sostanziale mutamento di prospettiva della politica giudiziaria che assicuri: ➢ un’adeguata distribuzione delle risorse economiche; ➢ una risposta al secolare problema della revisione della geografia giudiziaria; ➢ l’attuazione della legge sull’aumento di organico della magistratura e l’adeguamento dell’organico del personale amministrativo alle esigenze di un servizio moderno ed efficiente; ➢ una struttura di supporto funzionale ai vari momenti del processo e del giudizio; ➢ la completa informatizzazione degli uffici giudiziari e l’attuazione del processo telematico; ➢ un sistema statistico affidabile ed accessibile in tempo reale. È importante che su questi obiettivi, indipendentemente da ogni valutazione sulle riforme processuali in itinere, si realizzi una vasta convergenza tra gli operatori, che possano così esprimere un comune intervento su Parlamento e Governo: gli interventi necessari su organizzazione e strutture sono da tempo largamente condivisi, l’individuazione va ampliata con temi propri dell’avvocatura e sviluppata in sede nazionale e nelle singole realtà giudiziarie elevando il confronto tra i protagonisti del mondo giudiziario a metodo non episodico. Solo in questo modo la giustizia civile potrà essere uno strumento di reale tutela dei diritti e non un luogo dal quale i cittadini rifuggono spaventati dai costi e dai ritardi. UNA CAMPAGNA PER LA GIURISDIZIONE CIVILE I sottoscritti avvocati, funzionari amministrativi e magistrati, intervenuti al Convegno organizzato dall’ANM su PROCESSO CIVILE ED ORGANIZZAZIONE prendono atto che tra le varie esperienze già in corso presso taluni uffici giudiziari sono stati realizzati modelli migliorativi in tema di a) adeguamento delle proposte tabellari alla concreta realtà dei flussi di lavoro e degli obiettivi raggiungibili presso ciascun ufficio; b) analisi dei flussi di lavoro e delle modalità di funzionamento dell’ufficio tramite l’uso del programma ministeriale SIC; c) raccolta della giurisprudenza dell’ufficio in archivi elettronici consultabili direttamente non solo dai magistrati ma anche dagli avvocati tramite l’uso del programma ministeriale Polis; d) gestione delle esecuzioni immobiliari in tempi abbreviati e con innalzamento dei valori medi realizzati nelle vendite; esprimono la convinzione che la diffusione di tali modalità di lavoro in tutti gli uffici giudiziari provocherebbe un netto miglioramento nella risposta che la giurisdizione civile fornisce ai cittadini; assumono l’impegno di attivarsi, nel luogo ove svolgono la loro attività, per provocare i mutamenti necessari alla diffusione delle prassi indicate – e di altre che venissero in futuro individuate come meritevoli – ricercando la collaborazione delle associazioni professionali attive localmente, dei consigli giudiziari, dei magistrati incaricati di funzioni direttive e semidirettive, di tutte le persone interessate ad un simile progetto; richiedono all’ANM, ed in particolare alle commissioni di lavoro per la Giustizia civile e per il Diritto di famiglia di fornire la loro collaborazione per rendere possibile l’illustrazione delle prassi indicate e la loro adozione nelle singole sedi. 101 L DOCUMENTO ANM SALERNO M L’ Associazione Nazionale Magistrati - Sezione di Salerno esprime la sua preoccupazione per i disegni di riforma del processo civile che, prendendo a pretesto l’obiettiva situazione di complessiva inefficienza del rito, mirano non già a mettere gli strumenti e le risorse attuali in condizione di funzionare, bensì a limitare il ruolo del giudice e a riportare il processo in una logica di mercato, abbandonato a se stesso e – inevitabilmente – alla suggestione di una parità assoluta di armi che cela invece una sorta di ultraliberismo, idoneo soltanto a minare definitivamente il principio fondamentale dell’effettiva uguaglianza di ognuno dinanzi alla Legge. L’A.N.M. - Sezione di Salerno condivide, sul punto, in pieno le valutazioni sulla c.d. miniriforma del processo civile e sulla c.d. bozza Vaccarella espresse dall’A.N.M. Del resto, l’esperienza dei primi otto anni di vigenza del nuovo rito civile e delle riforme processuali succedutesi negli anni successivi denota invero, anche nel Distretto di Salerno, la possibilità di un’inversione di tendenza significativa in termini di recupero di funzionalità, produttività e, quindi, efficienza del servizio della Giustizia civile. Esso è certamente ancora ben lontano da livelli ottimali, ma i mutamenti riscontrati denotano che si può, se solo si vuole, iniziare a raggiungere buoni risultati anche con gli strumenti e persino con le risorse attuali, se adeguatamente impiegati e razionalmente organizzati. 102 Uno sforzo applicativo è quindi indispensabile per dimostrare una volta di più la disponibilità dei giudici a migliorare il rendimento complessivo del sistema persino in una situazione di gravi carenze da sempre denunciata: e questo per legittimare con ancora maggior forza la richiesta degli ulteriori interventi sulle risorse che pure si invocano e respingere la facile accusa, mossa ai giudici, di nascondersi sempre dietro generiche denunce di carenze per giustificare una loro complessiva inettitudine od inefficienza. Uno sforzo ulteriore, pertanto: non quale riconoscimento che la situazione attuale sia colpa dei giudici, ma quale mezzo per smentire chi vuole attribuire l’esclusiva colpa della situazione attuale ai giudici. La situazione del maggiore ufficio giudicante del Distretto è negativamente condizionata dalla presenza di un numero di sezioni distaccate – ben cinque – sproporzionato rispetto alla popolazione servita. ul punto, da tempo l’A.N.M. Sez. di Salerno ha chiesto una radicale revisione del numero di sezioni distaccate, fino a proporre la soppressione di quattro di esse, sul presupposto che, se non è possibile dotarle di un numero di magistrati adeguato, è preferibile per l’utenza il disagio di spostarsi di qualche decina di chilometri, verso la sede centrale, per rinvenire un ufficio che almeno possa funzionare. Del resto, in sede di Osservatorio sulla Giustizia – di cui l’A.N.M. Sez. di Salerno fa parte –, è stata chiesta, in via transitoria e fino a S quando la soppressione non sarà stata disposta, quanto meno l’applicazione dell’art. 48 quinquies cpv. Ord. giud., con l’accentramento presso la sede centrale di numerose materie civili delle sezioni distaccate meno guarnite, cioè Mercato S.S. e Montecorvino R.: e tale richiesta è stata accolta dal Presidente del Tribunale, il quale, nelle tabelle vigenti da poco (giugno 2003) approvate dal C.S.M., ha adottato appunto una simile disposizione. Nonostante questo, drammatica resta la situazione delle sezioni distaccate e, tra queste, della sezione di Eboli, che amministra una popolazione in pratica eguale in numero a quella della sede centrale, ma con appena due giudici togati: al riguardo, si rimanda all’allegato 1. Ma grande attenzione va posta alla ripartizione degli affari all’interno dei Tribunali, gravati ora da una preoccupante sperequazione del carico di lavoro tra le diverse sezioni (si veda, in allegato quattro, la situazione della III sez. civ. del Tribunale del Capoluogo), ora – in assoluto – soffocati da un carico complessivo assai notevole (si veda, in allegato cinque, la situazione del Tribunale di Vallo della Lucania). Nonostante tutto ciò, qualche risultato positivo in settori tradizionalmente condannati ad una apparenza di cronica inefficienza si è pure registrato con l’applicazione di prassi organizzative ed interpretative particolari. n primo esempio riguarda le esecuzioni immobiliari del Tribunale del capoluogo. Per esse la produttività in termini di aggiudicazioni di lotti si è incrementata, a parità di personale, del 1242% in cinque anni (1997/ 2002), con la congiunta applicazione: a) della previsione della vendita senza incanto (ad un U prezzo decurtato) come fase necessariamente preliminare agli incanti; b) della previsione di un’estinzione c.d. atipica in caso di numero eccessivo di vendite vane o di condotte inerti dei creditori; c) di un rinnovato ruolo per il custode estraneo (diverso dal debitore); d) di forme di pubblicità elettronica a mezzo di un fornitore unico, per favorire il più possibile la diffusione delle notizie sulle vendite tra il pubblico. Un secondo esempio riguarda l’appello lavoro, come modificato dall’istituzione di un’apposita sezione nel Tribunale del capoluogo del Distretto e, al contempo, della sezione di Corte di Appello. Finché non vi è stata una Sezione “ad hoc”, le udienze erano fissate a Salerno anche ad oltre 6 anni e mezzo dal deposito del ricorso, tanto da pervenire ad un arretrato di oltre 4.000 cause. Ora, con l’istituzione della Sez. Lavoro presso la Corte di Appello, gravata dal carico proveniente dall’intero distretto e, parallelamente, con l’attivazione di un ruolo collegiale ad esaurimento per il pregresso, i nuovi ricorsi vengono fissati entro l’anno e le definizioni sono tali da non consentire la formazione di nuovo arretrato, mentre quello precedente è prossimo ad essere definitivamente eliminato. Il risultato è significativo anche perché esso discende da fattori che possono, opportunamente calibrati, rivelarsi davvero incisivi: riorganizzazione di adeguate risorse (anche del personale di cancelleria), specializzazione, buona produttività e motivazione dei singoli, ausilii informatici, utilizzo di determinate prassi processuali (tra queste ultime ricordo, ad esempio, la drastica riduzione delle CTU medico-legali in appello ritenendo le stesse non obbligatorie ex artt. 445 c.p.c. e 149 disp. att. c.p.c., ma necessarie solo a fronte di caren- ze convincentemente e specificamente criticate degli accertamenti svolti in primo grado, ovvero di aggravamenti riscontrati; la declaratoria di improcedibilità dell’appello in taluni casi di omessa notifica e pur in contrasto con un consistente orientamento delle SS.UU.; una particolare attenzione all’osservanza della specificità dei motivi di impugnazione ex art. 434, co.I c.p.c., nonché dell’onere di espressa riproposizione di domande ed eccezioni ex art. 346 c.p.c., come pure dei divieti ex art. 437, co. II, c.p.c.; la decisa contrazione della (inutile?) relazione ex art. 437, co. I, c.p.c.). on riferimento – poi – alle prassi applicative da definirsi “virtuose” e suscettibili di applicazione in tutti i processi, peraltro: – si può sfatare, almeno in via tendenziale, il mito della sistematica devoluzione del raccoglimento delle prove testimoniali agli avvocati: consta che sia generalizzata l’applicazione corretta della normativa del codice sul punto e quindi l’assunzione delle prove direttamente da parte del giudice; – in qualche ufficio giudiziario (ad es. Tribunale di Nocera Inf.; in modo limitato anche presso l’ufficio esecuzioni immobiliari del Tribunale di Salerno) si inizia ad applicare la prassi del conferimento di incarichi ai Consulenti Tecnici di Ufficio fuori udienza; la validità della prassi è più evidente per le cause o i processi seriali, ma il ruolo di un’attiva presenza del Consulente all’udienza di conferimento è di estrema importanza per le cause più delicate, nelle quali persino la formulazione dei quesiti può risultare più efficace con il contributo – nel contraddittorio delle parti – del Consulente; C 103 – può suggerirsi la pronuncia dei provvedimenti ordinatori, anziché con ordinanza riservata da comunicarsi poi a cura della cancelleria, direttamente con differimento ad altra udienza ad hoc: nonostante qualche perplessità pure avanzata, l’utilità si apprezza soprattutto per i benefici effetti sugli adempimenti di cancelleria; è comunque indispensabile calibrarlo a seconda del tipo di udienza o del tipo di processo di cui trattasi (si è rivelato utilissimo in processi con rilevante numero di avvocati costituiti, come quelli esecutivi immobiliari); e non può comprimersi comunque il rischio di novità assertive o di nuove richieste che, essendosi comunque differita l’udienza, bisogna mettere nel conto; né può farsi a meno di conseguire il maggior coinvolgimento possibile delle parti proprio per il maggior impegno che esso loro richiede; – ancora limitata, ma con buoni risultati ove realizzata, è l’applicazione della decisione con motivazione contestuale, ex art. 281 sexies cod. proc. civ., che pure va raccomandata come utile semplificazione tutte le volte che la minima complessità del caso la consenta; – troppo limitata, invece, dal punto di vista organizzativo, l’applicazione dell’art. 47 quater ord. giud., se non con riferimento alla sezione lavoro del Tribunale del Capoluogo di Distretto; estremamente positiva è peraltro l’esperienza qui maturata, con concessione agli avvocati del settore della possibilità di assistere e di interloquire su almeno una parte dell’OdG, in modo da favorire il confronto con i magistrati della sezione anche al di fuori del momento strettamente giurisdizionale e nel quadro di problematiche di respiro generale. 104 In qualche caso – presso il Tribunale di Nocera Inf. – si è proposto poi un intervento di riorganizzazione del lavoro dei magistrati, con una maggiore attenzione alla ripartizione del carico in rapporto sia all’obiettiva natura degli affari (ad es. l’adozione di un sistema di punteggi per le singole tipologie di cause o di processi), sia alla produttività del singolo magistrato (con un punteggio per i provvedimenti in concreto resi, onde consentire un minor aggravio con le nuove assegnazioni a coloro che più hanno lavorato) per conseguire dati statistici realistici e concreti e, se del caso, per disporre gli opportuni aggiustamenti e riequilibri. n questo quadro complessivo, di luci ed ombre, sembra possibile cogliere, quindi, uno sforzo pregevole, seppure affidato allo spontaneismo dei singoli colleghi, di razionalizzare l’esistente, a dispetto di situazioni di partenza oggettivamente insostenibili: e su questa strada, continuando ad invocare a gran voce l’adeguamento delle risorse, occorre rilanciare, quale ipotesi di lavoro, la necessità di applicare al meglio le opportunità interpretative consentite anche solo dalle norme vigenti, sia pure a costo di un rinnovato ed ancor maggiore sforzo dei Magistrati in prima persona. E tutto con il prezioso aiuto che può venire dalla cooperazione tra Magistrati ed Avvocati, in ogni utile occasione di confronto e di discussione, siano esse gli Osservatori o le riunioni ex art. 47 quater ord. Giud.: purché tutti animati dal sincero anelito ad una Giustizia più moderna ed efficiente, vista sempre di più come un servizio per il cittadino e per le finalità dello Stato democratico, che sull’effettività della tutela dei diritti di tutti ancora basa uno dei suoi fondamenti. I ALLEGATO UNO SITUAZIONE della Sezione distaccata di Eboli del Tribunale di Salerno (red. Catallozzi). Statistica del settore civile della Sez. dist. di Eboli Pendenze al 30 giugno 2003: – procedimenti contenziosi civili (totale): 5.632 di cui, cognizione ordinaria 4.695; – procedimenti speciali: 937; – procedimenti non contenziosi: 18; – procedimenti esecutivi immobiliari: 480; – procedimenti esecutivi mobiliari: 4.134; – tutele: 343. Sopravvenienze nel secondo trimestre dell’anno (1° aprile - 30 giugno 2003): – procedimenti contenziosi civili (totale): 757 di cui, cognizione ordinaria: 309; – procedimenti speciali: 348; – procedimenti non contenziosi: 138; – procedimenti esecutivi immobiliari: 47; – procedimenti esecutivi mobiliari: 637; – tutele: 4. La valutazione di tali dati statistici con quelli relativi ai periodi precedenti riportati evidenziano, quanto alle pendenze, un graduale, progressivo ed inesorabile aumento (basti pensare che al 31 dicembre 2000 il totale dei procedimenti contenziosi civili ammontava a 2.904; al 31 dicembre 2001 a 4.191; al 31 dicembre 2002 a 5.211; al 31 marzo 2003 a 5.419), senza mai registrare un’inversione di tendenza o, quanto meno, la possibilità di ... frenare l’emorragia, benché l’ufficio, nel periodo preso in considerazione (ossia, secondo trimestre dell’anno), esaurito 444 procedimenti contenziosi civili, di cui 191 di cognizione ordinaria e 253 di cognizione speciale. A fronteggiare il carico di lavoro sono addetti, secondo le tabelle del Tribunale (sia quelle approvate che quelle da approvare), due magistrati togati, oltre a cinque magistrati onorari; tuttavia, uno dei due posti di magistrato togato è stato per circa un anno e mezzo vacante, venendo coperto solo nel feb- braio di quest’anno, mentre il giudice assegnato all’altro posto ha dovuto dividere il proprio impegno anche con quello derivante da un’applicazione infradistrettuale ancora in atto. ALLEGATO DUE Situazione e Proposte per la II sez. civ. del Trib. Di Nocera Inf. (red. Scarpa) N.B. Sono stati eliminati i riferimenti ai cognomi dei singoli. Situazione Dai dati statistici elaborati in data 22 ottobre 2002 dal funzionario addetto ai rilevamenti risulta la seguente situazione relativa ai quattro magistrati della II sezione civile addetti alla trattazione delle controversie ordinarie (essendo gli altri tre magistrati togati appartenenti alla II sezione civile assegnati unicamente alla trattazione di controversie di lavoro e previdenza): – dott. UNO procedimenti pendenti n. 807 (760 ordinari + 47 sommari); – dott. DUE procedimenti pendenti n. 861 (819 ordinari + 42 sommari); – dott. TRE procedimenti pendenti n. 933 (866 ordinari + 67 sommari); – dott. QUATTRO procedimenti pendenti n. 972 (904 ordinari + 68 sommari). Alla data del 23 ottobre 2003 TRE ha depositato nell’anno 2003 n. 135 sentenze e 180 provvedimenti sommari. Quanto alle sentenze relative all’anno 2002, TRE aveva depositato n. 176 sentenze e 136 provvedimenti sommari. È indicativo al riguardo che il dottor QUATTRO aveva pure lui depositato nell’anno 2002 il ragguardevole numero di 189 sentenze; e che, rispetto all’anno 2000, la produttività di TRE e QUATTRO deve dirsi esattamente raddoppiata… è ben noto che la II sezione civile di codesto Tribunale non tratta la materia del diritto di famiglia, né dello stato e capacità delle persone, né la materia fallimentare: nei numeri riportati non vi sono, pertanto, sentenze di separazione dei coniugi, o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, o di interdizione, o di dichiarazione di fallimento. Trattasi, piuttosto, di contenzioso in materia di successioni, diritti reali, opposizioni a decreto ingiuntivo, obbligazioni e contratti, responsabilità da atto illecito, locazioni, impugnati- ve di delibere condominiali. Dalla data odierna all’udienza del 9 febbraio 2005 sono già fissate sul ruolo TRE n. 186 cause per la precisazione delle conclusioni secondo il metodo di decisione a seguito di trattazione scritta ex artt. 281 quinquies e 190 c.p.c. A queste 186 potenziali sentenze da assumere in decisione nei prossimi sedici mesi lavorativi, vanno aggiunte le controversie trattate secondo il rito di cui all’art. 447 bis c.p.c., che vanno in decisione senza previa udienza di precisazione delle conclusioni, nonché le cause soggette al rito di cognizione ordinario rinviate per la decisione a seguito di trattazione orale ex art. 281 sexies c.p.c. È ragionevole, visto che sul ruolo TRE sono previste in ogni mese non meno di sei locazioni in decisione e non meno di due discussioni ex art. 281 sexies c.p.c., che alle 186 sentenze prima calcolate debbano sommarsene altre 102, per un totale di n. 288 sentenze da estendere da oggi al 9 febbraio 2005. L’enorme ingolfamento del ruolo TRE (sarebbe indicativo il confronto comparativo con i ruoli dei Giudici Istruttori del Tribunale di Napoli, che dista, in effetti, soli 37 chilometri da Nocera Inferiore), soprattutto nella fase di decisione della causa (giacché, in pratica, circa 1/3 dell’intero ruolo pende nella fase di conclusione del procedimento) è dovuto in parte all’enorme sopravvenienza, ed in parte all’adozione da parte del magistrato di tecniche di organizzazione del lavoro e di gestione degli affari estremamente acceleratorie, idonee quindi a comprimere il numero delle udienze istruttorie o di mero rinvio: ciò, com’è intuibile, nell’auspicio di perseguire il supremo obiettivo della ragionevole durata dei procedimenti. Altra causa di proliferazione della cause in decisione è rinvenibile nell’assegnazione fatta due anni or sono a questo Giudice di duecento cause rientranti nella vecchia competenza pretorile, per lo più prima trattate dai Vice Pretori Onorari Avv. CINQUE ed Avv. SEI, i quali le avevano tutte integralmente istruite, ed anzi sovente le avevano rimesse sul ruolo istruttorio dopo averle già assunte in decisione, per la sola incombenza di ac- quisire la nota delle spese ex art. 75 disp. Att. C.p.c. mancante in atti. Il contenzioso gravante sul ruolo TRE, ed in genere della II sezione civile, è, peraltro, connotato dal fisiologico ricorso a prove costituende (testimonianze ed interrogatori formali: si pensi ai giudizi di responsabilità civile automobilistica, o di usucapione, in pratica mai forniti di rapide prove precostituite), sicché le incombenze di assunzione delle medesime intasa ulteriormente il calendario dei rinvii. Ritenendosi la descritta situazione pregiudizievole al diritto delle parti a processi di ragionevole durata, il sottoscritto si permette di proporre un progetto di riduzione dell’arretrato, fatto di soluzioni non necessariamente concomitanti, rimettendosi ovviamente alle diverse determinazioni che i Dirigenti riterranno meglio opportune al riguardo. Proposte 1) Sospensione delle assegnazioni di cause al ruolo TRE (e, col consenso dell’interessato, al ruolo QUATTRO) fino all’effettiva perequazione delle pendenze tra i giudici addetti alla trattazione di cause ordinarie appartenenti alla II sezione civile del Tribunale. 2) Previsione di un’udienza mensile del ruolo TRE (e, se voluto, del ruolo QUATTRO) da far svolgere ad un Giudice Onorario di Tribunale, udienza in cui convogliare (previa selezione dei fascicoli per materia e per complessità, curata dall’Istruttore e vistata dal Presidente di Sezione) alcune delle cause del mese fissate per la precisazione delle conclusioni o per l’assunzione di prove per testimoni o per interrogatorio formale. 3) Predisposizione di dati statistici effettivamente attendibili, verificando a) il numero dei procedimenti assegnati nell’anno ai singoli magistrati; b) quante cause ciascun magistrato abbia rinviato per precisazione delle conclusioni; c) quante cause siano state assegnate in decisione; d) quante cause siano state cancellate dal ruolo; e) quante cause si siano estinte; 105 f) quante cause siano state conciliate; g) quali siano stati i termini di deposito delle sentenze osservati dai magistrati; h) quanti ordinanze ex artt 186 bis, 186 ter, 186 quater, 648, 649, 665 e quanti provvedimenti cautelari siano stati emessi da ogni magistrato; i) quante udienze siano state tenute dal magistrato per ogni causa decisa con sentenza. 4) Analisi qualitativa dei flussi delle cause in entrate ed analisi qualitativa dei flussi delle cause in uscita esitate con sentenza, mediante adozione di indici di reale produttività dei magistrati rapportati alla consistenza qualitativa dei medesimi flussi di lavoro. Tornerebbe utile, ad esempio, per la valutazione delle sentenze, un metodo basato sull’attribuzione di punti (metodo tante volte proposto in progetti di leggi ed in uffici giudiziari, e troppe volte, per comprensibili motivi, ripudiato) del tipo: a) sentenze in materia societaria, di diritti reali, di successioni, o comunque superiori a 20 pagine dattiloscritte da 25 righi cadauno: 3 punti; b) sentenze in materia di obbligazioni e contratti, fallimentare, di lavoro o locazione, o comunque superiori a 10 pagine dattiloscritte da 25 righi cadauno: 2 punti; c) sentenze rese nel restante contenzioso, o comunque inferiori a 10 pagine dattiloscritte da 25 righi cadauno: 1 punto. Il criterio di attribuzione di punteggi diversificati per materia si rivelerebbe adeguato pure a disaggregare il dato dei flussi della cause in entrata. È presumibile che il conseguimento di più attendibili dati statistici induca i Dirigenti degli Uffici a rivedere i criteri di ripartizione tabellare per materia tra le due sezioni civili del Tribunale. 5) Miglioramento dei servizi di cancelleria nelle funzioni di assistenza dei Magistrati:ad esempio, necessità di prevedere per ciascun Giudice un’unica casella di allocazione dei fascicoli da esitare, laddove ora i Magistrati della II 106 sezione civile trovano in luoghi delle Cancellerie tutti fisicamente diversi le cause per cui sono scaduti i termini ex art. 190 c.p.c., i ricorsi perdecreti ingiuntivi loro assegnati, i cautelari e sommari loro assegnati, lecause delle successive udienze da studiare, le riservate da sciogliere, leperizie da liquidare, gli appelli di lavoro, le istanze di difensori e CTU;trasporto dei fascicoli dell’udienza nelle stanze dei singoli magistrati già una settimana prima della rispettiva celebrazione, onde consentire lo studio anticipato dei procedimenti e l’eventuale predisposizione anticipata di provvedimenti istruttori o decisori (si pensi alle cause locative o dadecidere ex art. 281 sexies c.p.c.). ALLEGATO TRE Dati statistici Corte di Appello - sez. Lavoro - Salerno. Dati statistici: Corte di Appello - sez. Lavoro: – procedimenti pendenti: 1.098 al 31 dicembre 2000; 1.305 al 31 dicembre 2001; 1.457 al 31 dicembre 2002; 1.656 ad oggi; – procedimenti definiti: 1.100 anno 2001; 1.531 anno 2002; 1.321 anno in corso; – procedimenti sopravvenuti: 1.307 anno 2001; 1.683 anno 2002; 1.520 anno in corso. Le udienze di discussione sono fissate entro l’anno dal deposito; i rinvii avvengono entro i 6 mesi. Appello Lavoro in Tribunale: – pendenze: 657 ruolo Lavoro; 227 ruolo Previdenza; – definizioni: circa 700 con sentenza da inizio anno. Qualche nota: Sulla base dell’andamento degli ultimi anni (circa 4.000 pendenze), è previsto il completo esaurimento del ruolo per l’inizio del prossimo periodo feriale. Le riunioni ex art. 47 quater O.G. si svolgono con cadenza mensile insieme ai colleghi della S.L. che trattano il primo grado, e contemplano una parte aperta agli Avvocati. L’udienza si tiene in aula inadeguata al numero delle parti; il ruolo di udienza è diviso tra lavoro e previ- denza e le cause patrocinate dall’Avvocatura dello Stato sono chiamate per prime e di seguito per ridurre i disagi. ALLEGATO QUATTRO Statistiche relative alla Terza Sezione Civile del Trib. di Salerno. N.B. Sono stati eliminati i riferimenti ai cognomi dei singoli. Pendenze al 16 settembre 2003: – Ruolo ALFA (attualmente scoperto): 255, di cui 254 in istruttoria + 1 al collegio; – Ruolo BETA: 1.172, di cui 1.114 in istruttoria + 12 al collegio + 46 in 190 c.p.c.; – Ruolo GAMMA: 1.415, di cui 1.322 in istruttoria + 3 al collegio + 86 in 190 c.p.c. + 4 riservate; – Ruolo DELTA: 1.081, di cui 1.081 in istruttoria + 8 al collegio + 38 in 190 c.p.c. ALLEGATO CINQUE Statistiche del Tribunale di Vallo della Lucania (civile). – Procedimenti civili pendenti comprese procedure concorsuali ed espropriazioni: 8.945 al 31 dicembre 2000; 9.096 al 31 dicembre 2001; 9.386 al 31 dicembre 2002; – procedimenti civili definiti comprese procedure concorsuali ed espropriazioni: 3.062 anno 2000; 2.446 anno 2001; 2.770 anno 2002; – procedimenti civili sopravvenuti comprese procedure concorsuali ed espropriazioni: 3.076 anno 2000; 2.597 anno 2001; 3.060 anno 2002. SEZIONE STRALCIO: – procedimenti civili pendenti: 3.071 al 31 dicembre 2000; 2.626 al 31 dicembre 2001; 2.280 al 31 dicembre 2002; LAVORO-PREVIDENZA PRIMO GRADO: – procedimenti pendenti: 6.370 al 31 dicembre 2000; 6.288 al 31 dicembre 2001; 6.980 al 31 dicembre 2002; – procedimenti definiti: 1.825 anno 2000; 2.549 anno 2001; 1.110 anno 2002; – procedimenti sopravvenuti: 3.263 anno 2000; 2.467 anno 2001; 1.802 anno 2002. ■ LE VENDITE FORZATE E LA RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO ESECUTIVO 1. GARANZIA ED EFFICIENZA NEL PROCESSO ESECUTIVO I llustrando in numerosi incontri le prassi nella gestione delle procedure esecutive immobiliari elaborate dai tribunali di Bologna e Monza e i risultati estremamente positivi ottenuti ci è parso talvolta di cogliere il timore, sia pur non chiaramente esplicitato, che il perseguimento di obiettivi di efficienza e quindi l’esercizio dei poteri del giudice anche nella prospettiva del risultato finale potesse allontanare il giudice da una funzione di garanzia. La nostra tesi è che la funzione di garanzia possa essere pienamente attuata solamente in un quadro di efficienza. La funzione di garanzia non può essere infatti intesa solo come assicurazione del contraddittorio in base a corrette notificazioni e in genere alla regolarità degli atti ma investe anche il piano dell’effettività della tutela dei diritti ed interessi sostanziali che si vogliono tutelare tramite il processo. Nel processo esecutivo sono coinvolti il diritto dei creditori a soddisfare i propri crediti mediante l’espropriazione di beni del patrimonio del debitore e il diritto (o quantomeno l’interesse) del debitore a non subire un sacrificio patrimoniale maggiore rispetto al valore dei propri debiti. La tutela delle due posizioni può essere assicurata solamente tramite un processo esecutivo rapido che si concluda con la vendita del bene al normale prezzo di mercato. Quando una procedura esecutiva, pur in- L M staurata in forza di un valido titolo e in base a regolari notifiche, si traduce, come accade in buona parte degli uffici giudiziari, nella vendita dell’immobile dopo 5-6 anni ed a un prezzo inferiore del 30, 40 o 50 per cento rispetto al valore di mercato non può certo ritenersi effettivamente attuata la funzione di garanzia del giudice posto che tramite il processo si è di fatto verificata una grave lesione dei diritti sia dei creditori sia del debitore. Queste considerazioni, volte ad evidenziare la giuridicità della prospettiva del risultato nell’ambito del processo, trovano conferma nella scelta del legislatore di attribuire al giudice dell’esecuzione poteri che implicano valutazioni discrezionali in termini di opportunità e in una prospettiva essenzialmente gestionale come ad esempio quelli inerenti la scelta delle forme di pubblicità o la nomina di un custode giudiziario. Trattasi evidentemente di poteri che sono stati attribuiti al giudice in funzione di garanzia sostanziale degli interessi coinvolti e che devono essere, per loro natura, esercitati secondo un metro sostanzialmente di buona amministrazione in base alla valutazione di funzionalità della scelta adottata rispetto alla finalità da perseguire. Che l’ottica del legislatore fosse proprio quella di mantenere l’espropriazione nell’ambito processuale per assicurare una maggiore tutela sostanziale degli interessi coinvolti lo si evince espressamente dalla relazione al re sul codice di procedura civile nel passaggio in cui si affermava 107 che la “presenza continua del giudice dell’esecuzione servirà da una parte a rendere vani i tentativi fatti a danno del creditore procedente dal debitore o dai suoi compari o prestanomi, ma servirà anche a sventare le speculazioni di certi affaristi delle espropriazioni che vedono nel processo esecutivo uno strumento per arricchirsi sulle miserie altrui” e “deve nello stesso tempo assicurare che i beni di cui il debitore è espropriato siano venduti per il loro giusto prezzo, e che non siano strappati per cifre irrisorie da chi vuol profittare della sua disavventura per spogliarlo del patrimonio. Su questo piano la tutela del creditore onesto e la difesa del debitore sciagurato coincidono”. E che la prospettiva dell’efficienza s’imponga al giudice come parametro fondamentale nell’esercizio dei propri poteri è oggi definitivamente sancito dalla recente modifica dell’art. 111 della Costituzione con l’espressa introduzione del principio della ragionevole durata del processo. Il diritto alla ragionevole durata del processo è espressione, con riferimento al profilo temporale, di un più generale diritto all’efficienza che trova fonte anche nell’art. 97 della Costituzione e, nel caso delle esecuzioni immobiliari, riguarda, oltre la durata, anche l’adozione di scelte funzionali ad assicurare la vendita dei beni ad un giusto prezzo di mercato. La concretizzazione del principio involge sia i poteri di organizzazione dell’ufficio da parte dei dirigenti sia l’esercizio dei poteri endoprocessuali da parte di ogni giudice. Con riferimento a questi ultimi risulta evidente che il giudice, nel rispetto delle garanzie previste dal codice, deve compiere quelle scelte che risultano più funzionali rispetto all’obbiettivo di una gestione efficiente. L’efficienza in altri termini non è 108 solo un metro di valutazione delle scelte organizzative dell’ufficio ma è, a tutti gli effetti, un parametro interno al processo. In questa prospettiva, quindi, modalità di gestione del processo esecutivo che, in un contesto di risorse fortemente limitate, implicano lo svolgimento di attività inutili e comunque vani allungamenti dei tempi, senza alcunché aggiungere sul piano delle garanzie, violano palesemente il precetto giuridico che impone il perseguimento dell’efficienza. Emblematica al riguardo è, ad esempio, la prassi, per nulla prevista dal codice, di pervenire alla pronuncia dell’ordinanza di vendita soltanto nella quarta e spesso quinta udienza (udienza per nominare il perito, udienza per fare giurare il perito, udienza per concedere i termini per l’esame della perizia e finalmente udienza per la pronuncia dell’ordinanza di vendita) quando invece è possibile nominare l’esperto e farlo giurare direttamente davanti al giudice senza comparizione delle parti (l’incarico all’esperto ex art. 568 c.p.c. non è infatti riconducibile alla consulenza tecnica d’ufficio in senso proprio) imponendogli di depositare la perizia e di comunicarla direttamente a tutte le parti con congruo anticipo rispetto alla prima udienza (che quindi diventa di regola l’udienza in cui si pronuncia l’ordinanza di vendita). D’altro canto risulta contrastante con il dovere dell’efficienza, con riferimento all’obbiettivo di assicurare una vendita del bene rapida ed al suo pieno valore di mercato, l’esercizio da parte del giudice del potere di disporre forme di pubblicità commerciale senza alcuna attenzione al profilo funzionale e quindi senza un’adeguata valutazione dell’efficacia comunicativa delle inserzioni e del rapporto tra efficacia e costi. Analogamente contrasta con il dovere dell’efficienza il non farsi carico nella direzione della procedura esecutiva del problema fondamentale della visita dell’immobile da parte di chi manifesta interesse all’acquisto: solo assicurando ai potenziali acquirenti la possibilità di visitare l’immobile è possibile infatti superare la netta cesura tra vendite giudiziarie e normale mercato immobiliare evitando così che le prime siano di fatto riservate a chi opera in un’ottica speculativa e consentendo la partecipazione ai comuni cittadini che, acquistando nella prospettiva di destinare il bene a propria abitazione, sono interessati all’acquisto ai normali prezzi di mercato. Il tema del rapporto tra funzione di garanzia del giudice ed efficienza meriterebbe ben altro approfondimento che tuttavia non è possibile sviluppare per ragioni di tempo. In questa sede appaiono sufficienti queste brevi considerazioni per dimostrare che l’individuazione delle scelte processuali e delle soluzioni organizzative che andrò sinteticamente ad illustrare non rappresentano un’attività ultronea rispetto ai compiti del giudice dell’esecuzione ma costituiscono un tentativo, sfociato in risultati indubbiamente positivi, di concretizzare il dovere del giudice di perseguire l’obbiettivo dell’efficienza in un contesto, come quello del processo esecutivo, in cui l’obbiettivo si specifica non solo sul piano temporale della durata del processo ma anche sul piano dei valori dei realizzo dei beni sul mercato, con conseguente necessità per il giudice di riflettere e di compiere delle scelte con riferimento non solo ai meccanismi interni del processo (ad esempio il numero delle udienze) ma anche all’interazione con la realtà extragiudiziaria del mercato immobiliare. In altri termini il perseguimento dell’efficienza implica l’assunzione di parametri di ra- zionalità tecnica che, nel caso di attività giudiziale sfociante nella collocazione di beni sul mercato (in sede di procedure esecutive ordinarie o in sede di procedure concorsuali), impone la massima attenzione alle effettive dinamiche del mercato ed alle esigenze che condizionano l’incontro tra la domanda e l’offerta, perché se da queste esigenze si prescinde la conseguenza è che il bene viene liquidato a condizioni deteriori in contrasto con il dovere dell’efficienza e con lesione dei diritti delle parti coinvolte nel processo. 2. I RISULTATI DELLE NUOVE PRASSI L e esperienze di tribunali come Monza e Bologna, ma ora di molti altri tribunali, dimostrano che è possibile in tempi brevi, con la normativa vigente e con le pur scarse risorse attualmente disponibili, modificare radicalmente la situazione delle procedure esecutive immobiliari caratterizzata spesso da una sostanziale paralisi o comunque da gravi fenomeni di turbativa d’asta e dai tempi lunghi della vendita degli immobili, che avviene dopo molti anni dal pignoramento e a prezzi molto inferiori a quelli di mercato con grave danno sia per i creditori sia per i debitori esecutati. Con le nuove prassi nel Tribunale di Monza, partendo da una situazione, che avrebbe condotto, entro 5 anni ad una durata media delle procedure esecutive di circa venti anni, che vedeva gravi turbative d’asta e oltre l’80% della aste deserte con la vendita di non più di 40-50 immobili l’anno (a fronte di oltre 3.500 procedure pendenti e una sopravvenienza di 600 nuove procedure annue) già nel primo anno – anno 2000 – si sono venduti 500 immobili, il 65% delle aste ha avuto esito positivo, to delle certificazione ipocatastale e l’effettiva distribuzione del ricavato, quando non sono i creditori a chiedere un rallentamento, è inferiore ai 18 mesi. Il numero delle procedure pendenti è sceso in soli tre anni, nonostante la sopravvenienza di 600 procedure all’anno, da ca. 3.500 a ca. 1.500 mentre, in assenza delle innovazioni introdotte, oggi supererebbe le 5.000 unità. Va rilevato anche un notevole aumento degli interventi e questo evidentemente è l’effetto dei maggiori valori di realizzo che consente quasi sempre un’effettiva partecipazione alla distribuzione di tutti i creditori e molto spesso anche un la restituzione al debitore di parte del ricavato. Questi dati si possono evincere in modo più chiaro dalle seguenti tabelle. il ricarico medio sui prezzi base è stato del 22% e le procedure estinte per accordi tra le parti sono nettamente aumentate superando le 700. Nel 2002 risulta eliminato tutto l’arretrato, tant’è che si sono dovute ridurre le udienze di vendita inizialmente programmate per la mancanza di sufficienti immobili da vendere, la percentuale delle aste con esito positivo è salita al 70% e il ricarico medio rispetto al prezzo base al 29%. L’effetto indotto della maggiore efficienza delle procedure è risultato ancora superiore: le procedure estinte per accordo tra le parti rappresentano ben il 63% delle procedure definite, quindi, quasi il doppio di quelle concluse per effetto dell’avvenuta espropriazione. Attualmente la durata delle procedure esecutive, tra il deposi- TABELLE DI RAFFRONTO DELLE VENDITE IMMOBILIARI DEL TRIBUNALE DI MONZA TRA L’ANNO 2000 E GLI ANNI PRECEDENTI NEI QUALI NON ERANO STATE ANCORA INTRODOTTE LE NUOVE PRASSI NUMERO DI IMMOBILI POSTI IN VENDITA 1998 1999 2000 280 280 952 Incremento nel numero di immobili posti in vendita rispetto al 1999: + 340% NUMERO DI IMMOBILI VENDUTI 1994 1995 1996 1997 1998* 1999** 2000 43 44 67 41 77 175 498 Immobili venduti nel 2000 rispetto a quelli venduti nel 1994: + 1158% ** Negli ultimi mesi del 1998 sono iniziate le pubblicazioni di parte degli annunci su Il Corriere della Sera. ** Le modifiche nelle prassi sono state introdotte a partire da settembre 1999. IMMOBILI VENDUTI RISPETTO A QUELLI IN VENDITA In vendita* 760 Venduti 498 Percentuale dei lotti venduti rispetto a quelli posti in vendita nel 2000: 65,5% * Nelle procedure in cui non è intervenuta sospensione della vendita a seguito di conversione o accordo tra le parti. NUMERO DI IMMOBILI VENDUTI A SEGUITO DI EFFETTIVA GARA Totale lotti aggiudicati a base d’asta 158 Totale lotti aggiudicati a seguito di gara 340 Percentuale di immobili venduti per i quali si è svolta gara tra più offerenti: 68,3% 109 FASCICOLI ESAURITI (PER VENDITA DI TUTTI I LOTTI O PER ESTINZIONE) PER VENDITA DI TUTTI I LOTTI PER ESTINZIONE TOTALE 375 702 1.077 Percentuale di fascicoli pendenti al 31 dicembre 1999 esauriti nel 2000: - 33,3% INCREMENTO DI PRODUTTIVITÀ PER MAGISTRATO 1997 2000 Immobili venduti 41* 498* Numero magistrati 14* 493* Incremento di lotti venduti per magistrato: + 1219% * Nel 2000 i tre magistrati addetti alle esecuzioni immobiliari erano destinati prevalentemente alle attività di giudice delegato nelle procedure concorsuali, mentre nel 1997 alle attività di giudice in sezione civile ordinaria. TABELLE DI RAFFRONTO DELLE VENDITE IMMOBILIARI DEL TRIBUNALE DI MONZA NEGLI ANNI 2000-2001-2002 PERCENTUALE LOTTI VENDUTI 2000 2001 2002 Numero di lotti in vendita 760 646 647 Numero lotti venduti 498 383 454 65,53% 60,06% 70,17% Percentuale lotti venduti PERCENTUALE LOTTI VENDUTI CON GARA TRA I PIÙ OFFERENTI 2000 2001 2002 Numero lotti venduti 498 383 454 Lotti venduti con gara tra più offerenti 340 255 319 68,27% 65,72% 70,26% 2000 2001 2002 Aste senza rilanci 31,73% 34,28% 29,74% Aste con rilanci: fino al 10% 13,45% 11,08% 19,69% dal 10% al 20% 19,84% 17,47% 17,71% dal 20% al 30% 11,65% 11,08% 19,69% dal 30% al 50% 15,26% 17,01% 17,18% dal 50% al 70% 18,23% 19,10% 10,79% oltre il 70% 19,84% 10,05% 15,20% 100% 100% 100% Percentuale lotti venduti con gara tra più offerenti ENTITÀ DEI RILANCI INCREMENTO DEGLI IMPORTI REALIZZATI RISPETTO AI PREZZI A BASE D’ASTA 2000 2001 2002 Ammontare complessivo degli importi di base d’asta 196.123.413.200 70.587.645.000 € 38.382.449,00 Realizzo complessivo 117.388.060.000 86.406.020.000 € 49.740.025,00 Incrementi sulle basi d’asta + 21.264.646800 Incrementi sulle basi d’asta + 22,12% + 15.818.375.000 + € 11.357.576,00 + 22,41% + 29,59% PROCEDURE DEFINITE NEL PERIODO 1º GENNAIO 2000 - 30 MARZO 2003 PENDENTI AL 1º GENNAIO 2000 SOPRAVVENUTE NEL PERIODO DEFINITE NEL PERIODO PENDENTI AL 30 MARZO 2003 3.590 + 1.902 - 4.057 1.435 EFFETTO DIRETTO ED EFFETTO INDOTTO DELLA MAGGIORE EFFICIENZA DELLE PROCEDURE ESECUTIVE NEL PERIODO 1º GENNAIO 2000 - 30 MARZO 2003 Procedure definite a seguito di vendita o conversione 36,5% Procedure definite a seguito di intervenuti accordi tra le parti (estinzioni ex artt. 567, 629 e 631 c.p.c.) 63,5% 110 DURATA DELLE PROCEDURE: ANALISI DELLE PROCEDURE IN CUI È STATA DEPOSITATA LA DOCUMENTAZIONE IPOCATASTALE NEL MESE DI GENNAIO 2003 NUMERO PROCEDIMENTI DEPOSITO DOCUMENTAZIONE IPOCATASTALE ART. 567 C.P.C. DATA EMISSIONE PROVVEDIMENTO ART. 569 C.P.C. 33 gennaio 2003 30 gennaio 2003 DEPOSITO PERIZIA DATA UDIENZA IN CANCELLERIA PER PRONUNCIA E INVIO DELLE COPIE ORDINANZA A MEZZO FAX DI VENDITA O POSTA E NOMINA CUSTODE AI CREDITORI GIUDIZIARIO E DEBITORE aprile 2003 maggio 2003 DATA DI VENDITA PREVISTA DATA PREVISTA PER APPROVAZIONE PROGETTO DI DISTRIBUZIONE settembre 2003 gennaio 2004 ANALISI DELLE PRIME 100 PROCEDURE IN CUI È STATA DEPOSITATA LA DOCUMENTAZIONE IPOCATASTALE NEL GIUGNO 2001 NUMERO PROCEDIMENTI 100 DEPOSITO DOCUMENTAZIONE IPOCATASTALE ART. 567 C.P.C. giugno 2001 DATA EMISSIONE PROVVEDIMENTO ART. 569 C.P.C. 30 giugno 2001 In una prospettiva generale questi dati del Tribunale di Monza sono molto significativi sia perché il Tribunale di Monza è un ufficio di medio-grandi dimensioni con un bacino di oltre 1.200.0000 persone sia, soprattutto, perché i dati esposti risultano coincidenti con quelli del Tribunale di Bologna. Questo dimostra che i risultati non sono la conseguenza di peculiarità socio-economiche della realtà dell’hinterland milanese ma sono il frutto di una metodologia condivisa dai magistrati dei due uffici. Qualcuno potrebbe però pensare che comunque si tratta di realtà accomunate dall’essere inserite in aree particolarmente sviluppate di regioni settentrionali. Ma al riguardo si deve osservare che in tribunali confinanti con quello di Monza ancora oggi l’8090% delle aste vanno deserte e la media durata delle procedure è notevolmente superiore ai 5 anni e che all’opposto in tribunali siti in province del meridione, dopo l’adozione di prassi analoghe a quelle di Bologna e Monza (recentemente ad esempio i tribuna- DEPOSITO PERIZIA DATA UDIENZA IN CANCELLERIA PER PRONUNCIA E INVIO DELLE COPIE ORDINANZA A MEZZO FAX DI VENDITA O POSTA E NOMINA CUSTODE AI CREDITORI GIUDIZIARIO E DEBITORE novembredicembre 2001 gennaio 2002 li di Brindisi, Lecce e Patti), si ottengono risultati che, anche in termini statistici, si stanno rapidamente avvicinando a quelli ora esposti. Questi risultati non dipendono pertanto, se non in minima parte, dal contesto economico (che semmai incide sui valori del mercato immobiliare e quindi sui valori di realizzo in termini assoluti). E neppure dipendono dalle strutture e dal personale a disposizione dell’ufficio, per quanto carenti esse possano essere: ciò perché prassi, come quelle sperimentate a Monza prevedono e comportano un recupero di risorse tramite la eliminazione di attività non necessarie e un’ampia delega di attività a soggetti terzi, delega che produce un corrispondente sgravio di lavoro per la cancelleria e che consente quindi di trattare un maggior numero di processi a parità di strutture. Il Tribunale di Monza ha infatti instaurato le nuove prassi con soli tre magistrati, – che, peraltro, si occupavano principalmente della gestione delle procedure falli- STATO DELLE PROCEDURE NEL MESE DI OTTOBRE 2002 • N. 33 Estinte a seguito di rinuncia • N. 37 “congelate” per accordo tra creditori e debitore o in cui è in corso la conversione • N. 30 in cui è stata eseguita la vendita ed approvato o in corso di approvazione il progetto di distribuzione mentari (con circa 500 fallimenti a testa) e facevano parte anche della sezione stralcio – e con quattro addetti alla cancelleria esecuzioni immobiliari: pur con forze così limitate è stato possibile in un solo anno, tramite l’eliminazione di attività inutili e la valorizzazione di varie figure di ausiliario, far redigere circa mille perizie di stima, pronunciare circa mille ordinanze di vendita, svolgere 760 aste, vendere 500 immobili, emettere 500 decreti di trasferimento e, infine, redigere, approvare ed eseguire i conseguenti progetti di distribuzione. 3. LE NUOVE PRASSI PER UN PROCESSO ESECUTIVO EFFICIENTE: INDIVIDUAZIONE DELLE CAUSE DELLA CRISI DELLE PROCEDURE ESECUTIVE IMMOBILIARI P er un’illustrazione puntuale della prassi elaborata dai giudici dell’esecuzione del Tribunale di Monza si rinvia all’articolo “Sintesi delle peculiarità 111 nelle prassi delle vendite immobiliari nel tribunale di Monza”, pubblicato nella Rivista dell’Esecuzione Forzata n. 4/2001, unitamente ad un intervento del Prof. Avv. Achille Saletti, Ordinario di Diritto dell’Esecuzione Civile nell’Università degli Studi di Milano, che sottolinea la rispondenza di tale prassi alle previsioni del codice di procedura civile. In questa sede si possono focalizzare soltanto i profili essenziali. Punto di partenza dell’elaborazione delle nuove prassi è stata una riflessione, condotta insieme dai magistrati e dagli avvocati più interessati alla materia, sulle cause della crisi delle procedure esecutive immobiliari. Ad un primo esame, questa crisi appare inspiegabile secondo le leggi che regolano il mercato: un soggetto che colloca sul mercato un bene che risponde ad una domanda diffusa, ad un prezzo concorrenziale, offrendo le massime garanzie quanto al rischio di evizione o di revocatorie, senza far pagare oneri di intermediazione deve trovare, secondo le normali dinamiche del mercato, un’ampia platea d’interessati all’acquisto. Nel caso delle esecuzioni immobiliari invece, pur presentando esse tutte le caratteristiche della fattispecie descritta, la regola è che i beni si vendano soltanto dopo molti anni a prezzo notevolmente inferiore ai valori di mercato. Muovendo da questo paradosso, si è pervenuti alla conclusione che tre sono le principali cause dell’inefficienza delle procedure esecutive immobiliari: a) l’assenza dei cittadini nelle aste ossia l’isolamento delle vendite giudiziarie rispetto al normale mercato immobiliare con la conseguenza del susseguirsi di aste deserte; b) la circostanza che si pongono in vendita in un numero significativo di procedure quote indivise; 112 c) l’appesantimento delle procedure con attività inutili che ne allungano ulteriormente i tempi. 3.1. L’assenza dei cittadini alle aste A ffinché il processo esecutivo risulti efficiente occorre che sfoci nella vendita del bene pignorato nei tempi più brevi possibili, al prezzo non inferiore a quello di mercato, con il minor costo possibile. Perché ciò accada occorre assicurare la più ampia partecipazione dei comuni cittadini alle aste. Occorre in altri termini che le vendite giudiziarie non rappresentino una realtà sostanzialmente separata rispetto al normale mercato immobiliare. Nella maggior parte dei tribunali la situazione, sotto tale profilo, è disastrosa. Le vendite immobiliari sono in genere appannaggio di pochi speculatori che hanno interesse ad acquistare ad un prezzo fortemente ridotto rispetto al reale valore e sono peraltro privi della capacità economica di assorbire tutti gli immobili posti in vendita da un tribunale anche di piccole dimensioni. In questo contesto è frequentissimo che gli operatori abituali delle aste concludano tra loro accordi illeciti per mandare ripetutamente deserte le aste ed ottenere una drastica riduzione dei prezzi di vendita o che, nel caso di presentazione di offerte da parte di comuni cittadini, cerchino di indurli a ritirarsi oppure chiedano loro delle tangenti con la minaccia di rilanci strumentali o della riapertura della gara mediante l’offerta dell’aumento del sesto prevista per la vendita con incanto. Il risultato è che la realtà delle aste giudiziarie è comunemente percepita come fortemente inquinata da condotte illecite, i cittadi- ni sono scoraggiati dal parteciparvi e che, con il susseguirsi di aste deserte più o meno “pilotate”, si perviene alla vendita dei beni pignorati dopo molti anni a prezzi di regola molto inferiori (40 o anche 50%) al loro valore di mercato e che una parte dei beni rimane addirittura invenduta nonostante risulti offerta a prezzo vile. La situazione si modifica completamente quando si assicura un’ampia partecipazione con il pieno inserimento delle vendite giudiziarie nel normale mercato immobiliare in quanto il comune cittadino che acquista l’immobile per destinarlo a propria abitazione è disponibile a pagare il pieno prezzo di mercato e talvolta, se ha un particolare interesse (ad esempio per la vicinanza con il luogo di lavoro o con l’abitazione di un familiare o per particolari caratteristiche del bene), anche un prezzo superiore e il mercato è in grado di assorbire rapidamente tutti gli immobili posti in vendita (quantomeno quelli ad uso abitativo siti nelle aree urbane o comunque nei centri maggiori). 3.2. La cause dell’assenza dei cittadini dalle aste P er evitare che le aste giudiziarie siano appannaggio di pochi speculatori con tutti i conseguenti effetti degenerativi occorre individuare puntualmente i fattori che ostacolano la partecipazione del comune cittadino al fine della loro rimozione. Si è appena rilevato che una prima causa è ravvisabile nella percezione diffusa dei fenomeni di turbativa d’asta ed in particolare di quelle condotte che si risolvono in richieste di tangenti agli aggiudicatari. Le altre cause possono così sinteticamente elencarsi: a) l’inadeguatezza delle forme pubblicità usualmente dispo- ste (annunci spesso non chiari, pubblicati in giornali diversi e in giorni diversi, di norma appena 20 giorni prima dell’asta, per cui il cittadino che volesse monitorare tutte le vendite di un tribunale per trovare il bene di suo interesse dovrebbe acquistare tutti i giorni più quotidiani ed avrebbe poi a disposizione un tempo palesemente insufficiente per ottenere le ulteriori informazioni, compiere le valutazioni comparative, verificare la possibilità di ottenere un finanziamento bancario di denaro idoneo al pagamento del prezzo); b) l’impossibilità o la grave difficoltà per il cittadino di ottenere informazioni più specifiche su un determinato immobile della cui vendita sia venuto a conoscenza (per prendere visione della perizia è necessario prendersi un giorno di ferie e recarsi nelle affollate e disorganizzate cancellerie dei tribunali, in orari spesso rigidamente limitati, magari a giorni alterni senza che il personale di cancelleria sia ovviamente in grado di fornire informazioni ulteriori rispetto a quelle evincibili dalla perizia); c) le frequenti carenze delle perizie (per chi compera nella prospettiva dell’uso proprio ed a prezzo pieno è essenziale avere informazioni precise sullo stato di conservazione del bene, sull’esistenza di eventuali irregolarità edilizie anche interne e sulla loro sanabilità, sull’opponibilità o meno del titolo in forza dei quali il bene è occupato da terzi, sull’ammontare annuo delle spese condominiali, sull’esistenza di spese condominiali pregresse di cui potrebbe essere chiamato a rispondere in via solidale e in ordine a questi profili spesso nulla risulta dalle perizie o le informazioni riportate risulta- no imprecise e talvolta completamente errate, spesso perché il perito non è stato in grado di effettuare l’accesso all’immobile); d) l’impossibilità di visitare l’immobile prima della vendita (che rappresenta il fattore maggiormente disincentivante posto che praticamente nessuno è disposto ad acquistare un immobile per andarvi ad abitare senza previamente visitarlo); e) la necessità di versare, solo per partecipare all’asta, una somma spropositata, pari ad euro del prezzo base (10% per cauzione e 15% per spese presunte); f) la necessità di attendere per molti mesi il decreto di trasferimento; g) la necessità di farsi carico, dopo l’attesa del decreto di trasferimento, della liberazione dell’immobile dal debitore; h) il rischio che solo in quella sede si scopra che il bene è occupato in forza di un contratto di locazione opponibile per alcuni anni; i) la necessità di provvedere in proprio all’effettiva cancellazione del pignoramento e delle ipoteche. Questi fattori possono essere ininfluenti per uno speculatore, che svolge questa attività per professione e acquista il bene ad un prezzo notevolmente ribassato concludendo in ogni caso un affare: non certamente per un cittadino, abituato alle regole del mercato commerciale, che acquista l’immobile per uso proprio, lo paga il normale prezzo di mercato e, di norma, ha la necessità di essere immesso subito nel possesso, dovendo consegnare a sua volta il precedente immobile di sua proprietà che ha venduto per pagare il prezzo di aggiudicazione o non essendo in grado di pagare contemporaneamente il canone di locazione per la vecchia abitazione e le rate del mutuo stipulato per il versamento del saldo prezzo. Queste cause vanno quindi eliminate 3.3. La vendita delle quote indivise N el verificare lo stato delle procedure si era constatato che un numero significativo di procedure pendenti da molti anni dopo varie aste infruttuose avevano ad oggetto quote indivise. Questa situazione risultava una conseguenza del fatto che i precedenti giudici dell’esecuzione quando era pignorata una quota indivisa all’udienza ex art. 600 c.p.c., a prescindere dalla condotta dei comproprietari non pignorati, provvedevano ad ordinare la vendita della quota. In molti casi queste procedure si esaurivano nella vendita del bene a prezzo irrisorio, spesso a malapena sufficiente a coprire le spese del giudizio, ad un comproprietario e talvolta ad uno speculatore (che poi provvedeva a regolare i rapporti con gli altri comproprietari). In altri casi, dopo molti anni di attività e ingenti spese da parte del creditore procedente, la procedura era abbandonata senza alcuna vendita. 3.4. Le attività inutili nell’ambito del processo esecutivo I tempi del processo esecutivo sono gravemente pregiudicati dal fenomeno delle aste deserte determinato dalla mancata partecipazione dei cittadini. La lunghezza del processo esecutivo è tuttavia ulteriormente dilatata dallo svolgimento di numerose udienze nella fase iniziale della procedura che non sono richieste dalla legge e risultano del tutto inutili. Posto che l’esperto nominato per la stima del bene in se113 de esecutiva non è equiparabile al consulente nominato in un giudizio di cognizione, è pacifico che né la sua nomina né l’assunzione dell’incarico (e lo stesso svolgimento delle operazioni di stima) debbano avvenire nel contraddittorio delle parti. Ne consegue che l’udienza per la nomina dell’esperto nominato e l’udienza per il giuramento dell’esperto sono udienze del tutto inutili. Il giudice può nominare l’esperto fuori udienza contestualmente all’emissione del provvedimento con cui fissa la prima udienza, stabilendo che questi compaia dopo pochi giorni, senza la presenza delle parti, per l’accettazione dell’incarico e che depositi la perizia almeno trenta giorni prima dell’udienza inviandone copia a mezzo fax o posta a tutte le parti: la prima udienza è quindi destinata alla pronuncia dell’ordinanza di vendita. Questo significa che l’ordinanza di vendita può essere pronunciata entro sei mesi dal deposito della documentazione ipocatastale anziché dopo due anni come normalmente avviene. In un tribunale in cui iniziano ogni anno 600 nuove procedure esecutive significa inoltre che, evitandosi tre udienze per ogni procedura, si eliminano (ipotizzando che in ogni udienza siano trattate 20 procedure) 90 udienze: se tre sono i giudici dell’esecuzione ciò equivale al risparmio di tre udienze al mese per ciascuno di essi. In altri termini, nel tribunale che segue la prassi tradizionale non solo i tempi delle procedure si allungano di due anni, ma ogni giudice destina quasi un giorno di udienza alla settimana per svolgere attività inutili. Un discorso analogo può farsi con riferimento alla fissazione, a seguito dell’asta deserta, di una nuova udienza per la pronuncia dell’ordinanza di vendita, ben potendosi, nel rispetto della ratio 114 della norma del codice, pronunciare subito l’ordinanza di vendita e fissare l’udienza per l’esame delle istanze di assegnazione soltanto nel caso di effettiva presentazione di tali istanze (circostanza estremamente rara). 4. L’ELIMINAZIONE DELLE CAUSE DELL’ASSENZA DEI CITTADINI DALLE ASTE 4.1. Realizzazione di un sistema d’informazione articolato su più livelli a) informazione di primo livello P er informazione di primo livello deve intendersi quella finalizzata a rendere edotti i cittadini di quali beni sono di volta in volta posti in vendita. Essa deve essere strutturata in maniera tale da avere la più ampia diffusione possibile, con strumenti multi-livello, che siano in grado di raggiungere diverse fasce di destinatari, con mezzi diversi. Qui di seguito sono indicati i diversi strumenti utilizzati dal Tribunale di Monza: 1) pubblicità su quotidiano di rilievo nazionale in pagina unica In primo luogo, tutti gli annunci – nessuno escluso – vengono pubblicati su quotidiani di rilievo nazionale, in date fisse – in genere ogni due mesi –, in unica pagina, dedicata esclusivamente agli annunci del Tribunale. In ogni pagina è già indicata la data della successiva inserzione. La pubblicazione a data fissa e la inserzione di tutti gli annunci in unica pagina consentono ai cittadini di seguire efficacemente e con minima spesa tutte le vendite immobiliari del Tribunale. Inoltre l’acquisto dello spazio pubblicitario a pagina intera, per più pagine all’anno, consente di ottenere congrue riduzioni di prezzo. Ulteriori risparmi in termini di costo derivano dalla possibilità, pubblicando tutti gli annunci nella stessa pagina, di non ripetere le modalità di presentazione delle offerte ad ogni annuncio, ma di indicarle una volta per tutte in cima alla pagina. Gli annunci sono redatti secondo specifiche istruzioni dei giudici, con eliminazione di ogni riferimento a elementi non strettamente indispensabili, nello stile della normale pubblicità commerciale. Ciò, oltre a rendere l’annuncio più accattivante, è ulteriore fattore di abbattimento dei costi, che sono ridotti a circa un quinto rispetto ad un annuncio pubblicato secondo le precedenti prassi. Il giornale interessato (Il Corriere della Sera) è stato scelto sulla base di una preventiva identificazione dei quotidiani aventi maggiore diffusione nella circoscrizione; tra queste testate si è poi scelta quella che offriva il minor costo per contatto (importo del costo complessivo della pagina diviso per il numero di lettori). Gli immobili a destinazione commerciale o industriale ovvero anche abitativa ma di maggior pregio (di valore superiore a lire 500.000.000) sono altresì pubblicizzati in altra pagina unica sul Sole 24 Ore. 2) riproduzione e diffusione della pagina in 40.000 copie La pagina contenente gli annunci viene riprodotta in 40.000 copie poste in distributori fissi presso uffici postali, uffici giudiziari, uffici finanziari, e distribuita nelle principali stazioni ed in alcuni centri da personale di una società di servizi specializzata. Il costo per la stampa e la distribuzione è di qualche decina di euro per ciascuna procedura. 3) pubblicità su pagine regionali di due quotidiani in pagina unica La stessa pagina pubblicata su il Corriere della Sera è pubblicata, al fine di coprire diverse aree di lettori, a costi minimi, tra le pagine regionali de La Repubblica e de Il Giornale. 4) Inserimento degli avvisi di vendita nelle caselle postali degli immobili adiacenti Il custode nominato dal Tribunale provvede tra l’altro a inserire, nelle caselle degli immobili adiacenti a quello in vendita, brevi volantini contenenti l’informazione che è in vendita un immobile nella via e l’invito a rivolgersi al custode. Ciò consente da un lato di raggiungere utenti diversi dai lettori di quotidiani o di altri giornali; dall’altro di far giungere il messaggio ad utenti potenzialmente maggiormente interessati all’acquisto in quanto già abitanti nella zona 5) pubblicazione degli annunci su rete Internet Tutti gli annunci della pagina vengono riprodotti altresì su sito Internet (tribunaledimonza.net) È possibile accedere rapidamente agli annunci di maggior interesse per l’utente, attraverso una ricerca per località e per tipologia dell’immobile. Il sistema consente una assoluta riservatezza per l’utente e le informazioni sono accessibili 24 ore al giorno. 6) pubblicazione degli annunci su giornali free press Tutti gli annunci della pagina vengono riprodotti altresì sul quotidiano City distribuito gratuitamente in 200.000 copie nelle stazioni della metropolitana e sul quindicinale QuiCasa distribuito gratuitamente in 40.000 copie nei comuni del circondario. b) informazione di secondo livello: accesso alle ordinanze di vendita ed alle perizie mediante internet, a mezzo fax o posta U na volta che il cittadino abbia notato un annuncio di suo interesse, è necessario fornirgli le ulteriori informazioni che potrebbero interessargli e che sono contenute, sostanzialmente, nella ordinanza di vendita e nella perizia. Quest’ultima, in particolare, è di assoluto rilievo: in essa il cittadino deve trovare una descrizione esauriente del bene, con l’indicazione di tutti gli elementi necessari per decidersi all’acquisto. In particolare nella perizia devono essere chiaramente esplicitati i criteri di stima, deve essere esattamente indicata le superficie, individuati i vincoli gravanti sul bene e non cancellabili con il decreto di trasferimento, quantificate l’ammontare annuo delle spese condominiali e le spese pregresse non pagate nell’ultimo biennio, precisato se l’immobile è occupato da terzi in base ad un contratto opponibile o se è stato assegnato ad un coniuge con provvedimento giudiziale, se risultano irregolarità urbanistiche e riportato ogni altro elemento incidente sulle possibilità di godimento o sfruttamento (ad esempio nel caso di aree edificabili deve eseere verificato che non siano intervenute cessioni di quote di cubatura). È poi importante che le perizie siano redatte secondo un modello uniforme, allo scopo di renderle più leggibili e facilmente consultabili. Questi obiettivi sono stati realizzati, a Monza, predisponendo uno schema vincolante di relazione e, per essere maggiormente certi della sua osservanza, si è imposto ai periti l’uso di un software gratuito che, acquisiti i dati, consente al computer di scrivere automaticamente il testo della perizia, senza intervento del perito. Sia la perizia sia l’ordinanza di vendita – che contiene il prezzo e le altre condizioni – sono consultabili sul sito Internet e possono essere scaricate – cioè acquisite nel proprio computer, per essere poi visualizzate, stampate e archiviate – in ogni momento e gratuitamente. Per coloro che non dispongono di un computer lo stesso provider gestisce un servizio di spedizione gratuita mezzo fax o posta attivabile telefonando ad un numero verde. c) istituzione dell’Ufficio Vendite Immobiliari P ur con le possibilità di acquisire la documentazione nei modi sopra indicati è inevitabile che alcuni preferiscano recarsi personalmente in Tribunale. Allo scopo di evitare di sottoporre il cittadino alla necessità di dover fare la fila insieme con gli altri operatori (avvocati, periti ecc.) nella cancelleria esecuzioni ovvero nella cancelleria fallimenti, già notevolmente oberate di lavoro, si è creato un apposito ufficio, il quale funge da interfaccia tra il Tribunale e i cittadini interessati all’acquisto. Tale ufficio, oltre ad altri compiti, come il ricevimento delle offerte, consente la consultazione, sei giorni su sette, ad orario pieno, delle perizie ed ordinanze e ne rilascia copia a richiesta. L’ufficio svolge la sua attività sia per le vendite fallimentari che per le esecuzioni, consentendo al cittadino di avere un unico referente per ogni necessità. Nel medesimo tempo costituisce un prezioso filtro per entrambe le cancellerie interessate, evitando che queste siano intasate da un flusso di utenti poco avvezzi alla 115 frequentazione degli uffici e quindi più impegnativi perché necessitanti di maggiori attenzioni e disponibilità. d) modulo organizzativo per la gestione del sistema della pubblicità A l fine di evitare che l’introduzione di un sistema complesso di pubblicità (che vede coinvolti un provider per il sito internet, tre o quattro editori, uno stampatore per la riproduzione delle pagine dei giornali locali ed un altro operatore per la distribuzione delle copie tramite i contenitori fissi e presso le stazioni) creasse delle difficoltà ai legali dei creditori si determinassero degli errori o delle omissioni si è messo a punto un modulo organizzativo che prevede a carico del legale unicamente la compilazione e sottoscrizione di un modulo e il suo deposito in Cancelleria. Per la stessa ragione il meccanismo è congegnato in modo che tutti i costi siano anticipati da un unico operatore (il provider) e alla parte sia inviata un’unica fattura coprente tutti i servizi. Di seguito si descrive il modulo organizzativo: – l’avvocato del creditore: – redige la prima bozza del testo dell’inserzione sull’apposito modulo indirizzato al provider e contenente in calce anche i dati per la fatturazione; – il modulo o è depositato in cancelleria o è inviato direttamente al provider mediante posta elettronica o fax; – il provider: – verifica la corrispondenza del testo agli standard stabiliti a livello distrettuale, eventualmente lo reimposta e quindi lo redige su supporto informatico e lo invia al richiedente mediante posta 116 elettronica per presa visione e conferma; – provvede quindi a scannerizzare perizia, ordinanza di vendita e scheda catastale se allegata alla perizia; – il provider, assemblando le varie inserzioni secondo tipologie dei beni e luoghi in cui i beni si trovano, forma su supporto informatico la pagine dei quotidiani nazionali e locali e le invia ai rispettive editori; – il provider carica sul sito web del tribunale interessato le inserzioni, le copie delle perizie, delle ordinanze e delle schede catastali; – il provider fa riprodurre la copia de Il Corriere della Sera in 40.000 ed incarica una società di servizi affinché provveda a ritirare le copie presso lo stampatore ed a distribuirle nei contenitori fissi collocati presso le varie sede del tribunale, gli uffici dell’Agenzia delle Entrate e gli uffici postali centrali dei comuni con più di 20.000 abitanti. Lo stesso operatore provvede con frequenza quindicinale ad alimentare i contenitori ed organizza anche la distribuzione presso le principali stazioni ferroviarie e metropolitane comprese nel circondario. Cura inoltre la consegna alle banche che si sono dichiarate disponibili all’erogazione dei mutui per lo smistamento nelle rispettive agenzie. Sia i vari editori, sia lo stampatore che la società che si fa carico della distribuzione fatturano al provider che emette un’unica fattura per ogni procedura: la fattura comprende il compenso spettante al provider per il servizio internet, il numero verde e il fax a richiesta, nonché pro quota il prezzo delle inserzioni sui quotidiani e il prezzo dei servizi di riproduzione delle pagine dei quotidiani e la loro distribuzione. e) minori costi della pubblicità N onostante la molteplicità delle forme pubblicitarie, i costi sono notevolmente ridotti rispetto alla pubblicità che prima veniva fatta: i costi complessivi a carico di ciascuna procedura per il complesso di queste forme di pubblicità ammontano infatti a meno di un terzo di quel che costava prima la sola pubblicazione di un annuncio isolato – senza quindi visibilità e senza efficacia – sul Corriere della Sera. Ciò è possibile in primo luogo perché il prezzo di una pagina intera risulta molto inferiore all’equivalente spazio occupato da tanti annunci pubblicati separatamente; in secondo luogo per la nuova forma dell’annuncio, più breve e stringata, possibile grazie al sistema di non ripetere in ognuno di essi le modalità di presentazione delle domande e le altre notizie necessarie. Il totale dei costi per la pubblicità di una vendita ammonta mediamente a euro 830 (euro 500 ca. per Il Corriere della Sera e City, euro 50 per la stampa e la riproduzione in 40.000 copie della pagina del Corriere, euro 50 per La Repubblica ed euro 50 per Il Giornale, euro 50 per Qui Casa ed euro 130 per il provider (compresi la gestione del sito internet e tutte le attività accessorie). L’efficacia è però incomparabilmente superiore risultando del tutto evidente che è nettamente superiore il numero delle persone raggiunte attraverso una pubblicità che si articola su rete internet, quotidiani nazionali, quotidiani locali e riproduzione e distribuzione delle pagine dei quotidiani locali in decine di migliaia di copie presso uffici pubblici, uffici postali, stazioni ed altri luoghi di grande flusso. 4.2. L’adozione del sistema di vendita senza incanto È stata una scelta essenziale per eliminare le turbative d’asta. Sono infatti i meccanismi della vendita con incanto, erroneamente ritenuta di maggior garanzia, che rendono possibili le turbative d’asta: nella vendita con incanto l’offerta non è irrevocabile e quindi gli offerenti possono mandare l’asta deserta senza perdere la cauzione depositata con la conseguenza, da un canto, che possono partecipare all’asta senza alcun rischio di perdita della cauzione anche soggetti che non hanno alcuna intenzione di acquistare ma intendono unicamente estorcere tangenti ad altri partecipanti e, d’altro canto, che sono sempre possibili accordi illeciti tra gli offerenti per “pilotare” al ribasso le aste al fine di assicurare ad uno di essi l’acquisto del bene a prezzo vile; nella vendita con incanto l’aggiudicazione non è definitiva in ragione dell’istituto dell’aumento del sesto che quasi mai si traduce nell’effettiva riapertura della gara ed invece è frequentemente utilizzato per estorcere denaro agli aggiudicatari. Viceversa la vendita senza incanto, con le modalità adottate dal Tribunale di Monza, garantisce la massima trasparenza e la massima efficacia: nell’ordinanza di vendita è già fissata l’udienza per l’esame delle offerte e la gara tra gli offerenti il giorno successivo al termine per la presentazione delle offerte; l’ampia ed articolata pubblicità assicura, come si è visto, che per oltre il 70% dei lotti è presentata l’offerta, che nel 70% dei casi si procede a gara tra più offerenti e che i prezzi di aggiudicazione superano del 29% i valori base. L’efficacia della vendita senza incanto nell’eliminare le turbative d’asta diviene ancora maggiore se si adotta, come a Monza, un sistema di presentazione di offerte in una busta chiusa che non rechi all’esterno alcuna indicazione se non il nome del giudice e la data dell’asta, oltre ad uno pseudonimo dell’offerente, noto a lui solo. In tal modo si rende impossibile, prima dell’udienza, associare la busta ad una procedura (in udienza vi sono sempre non meno di 10-15 procedure) e si evitano quindi fughe di notizie in ordine alla esistenza di offerte per un determinato bene: in udienza, all’ora fissata nell’ordinanza di vendita, si presentano gli offerenti e ciascuno di essi identifica la propria busta e solo in quel momento si viene a conoscenza se per un lotto sono state presentate offerte. Quando nel termine stabilito non pervengono offerte si pronuncia una seconda ordinanza di vendita operando una riduzione del prezzo minimo del 20%. Per effetto della maggiore appetibilità del bene e quindi dell’ampia partecipazione il prezzo di aggiudicazione risulta tuttavia quasi sempre superiore a quello originario. 4.3. Nomina del custode giudiziario per assicurare a chi intende acquistare un interlocutore per ulteriori informazioni e per poter visitare l’immobile I l custode giudiziario nella nuova prassi rappresenta la figura centrale dell’esecuzione immobiliare. Il custode giudiziario è specificamente previsto nel codice ma, tranne in pochi casi in cui ne è chiesta la nomina per l’incasso di canoni di locazione, nella gestione tradizionale delle procedure esecutive è sostanzialmente dimenticato. Il Tribunale di Bologna è stato il primo, alcuni anni fa, a introdurre la nomina generalizzata del custode in tutte le procedure con risultati subito eccellenti. Nel caso di Monza la consapevolezza della decisività di una figura come il custode è nata dal raffronto tra l’andamento delle vendite in sede fallimentare e l’andamento delle vendite in sede di esecuzione ordinaria: in una prima fase, in cui si erano unificate le forme di pubblicità ma nelle procedure esecutive non veniva nominato il custode, si era potuto rilevare che la maggiore efficacia della pubblicità dava risultati estremamente positivi in sede fallimentare e minimi in sede ordinaria. S’intuì allora che la spiegazione era da ricercarsi nel fatto che in sede fallimentare il potenziale interessato all’acquisto trovava nel curatore fallimentare un interlocutore che era in grado di fornirgli le informazioni richieste e soprattutto gli faceva visitare l’immobile. Per le vendite in sede di esecuzione ordinaria, l’interessato non poteva certo trovare questo interlocutore nella cancelleria, già oberata di lavoro, e soprattutto non poteva visitare l’immobile. L’impossibilità di visitare l’immobile escludeva, sostanzialmente, tutti i cittadini dalle vendite giudiziarie: d’altro canto, è del tutto evidente che il cittadino che intende acquistare un’immobile per uso proprio non è disposto a farlo senza una preventiva visita; solo chi opera in un’ottica speculativa può comprare senza vedere il bene. Ora in tutte le procedure esecutive del Tribunale di Monza si nomina il custode. Egli è il referente principale degli interessati all’acquisto: il suo nome e numero di telefono compaiono nell’annuncio e consentono un immediato contatto. Il custode da tutte le informazioni necessarie, anche di carattere giuridico, fornisce copia della perizia 117 e ordinanza di vendita, e, soprattutto, accompagna gli interessati a visitare l’immobile. L’attività del custode d’altro canto evita che migliaia di persone per effetto della più efficace possibilità si riversino sulla cancelleria per informazioni: si è calcolato che nel 2000 le persone che si sono rivolte ai custodi giudiziari sono state 18.000. Il custode è nominato solitamente nella persona di professionista che svolge anche la funzione di curatore fallimentare. Il compenso gli è liquidato soltanto a vendita avvenuta ed è calcolato in percentuale sul prezzo di realizzo (mediamente 1,5% con un tetto massimo, per gli immobili di valore oltre euro 500.000, di euro 5.000). Il compenso è prelevato dal prezzo di vendita senza alcuna anticipazione da parte dei creditori e comprende anche l’attività di liberazione dell’immobile e l’attività di predisposizione della bozza del progetto di distribuzione che lo stesso professionista redige nella qualità di consulente nominato al momento dell’aggiudicazione. 4.4. Cauzione del 10% ed eliminazione del deposito per le spese N ell’ottica di non gravare il cittadino di adempimenti onerosi, il Tribunale al momento del deposito dell’offerta non richiede alcun versamento anticipato per le spese, prima dovuto invece nella misura del 15%. Per depositare l’offerta di acquisto è sufficiente quindi allegare, a titolo di cauzione, un assegno circolare di ammontare pari al 10 per cento del prezzo offerto. Quanto alle spese si è ritenuto sufficiente il loro versamento da parte del solo aggiudicatario contestualmente al saldo prezzo posto che il pagamento delle imposta di registro e degli altri oneri fi- 118 scali è comunque successivo all’emissione del decreto di trasferimento. D’altro canto se l’aggiudicatario non provvedesse al versamento non si procederebbe all’emissione del decreto di trasferimento. 4.5. Finanziamenti per il pagamento del prezzo garantiti con ipoteca sull’immobile aggiudicato U lteriore motivo che allontana gran parte dei potenziali acquirenti dalle vendite giudiziarie è la necessità di versamento in contanti dell’intero importo. Le banche, infatti normalmente non finanziano gli acquirenti se questi non hanno altri beni da offrire in garanzia, perché per il mutuo richiedono un bene libero da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli. Il bene in asta è invece un bene che ha sempre iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli, che saranno cancellate solo con il decreto di trasferimento; ma questo può essere emesso solo se il prezzo è stato versato per intero: il classico circolo vizioso. Il Tribunale, a seguito di numerosi incontri con le banche, ha invece definito (già nel 1998 per i fallimenti e nel corso del 1999 per le procedure esecutive) un percorso operativo in base al quale è ora possibile concedere tali mutui con garanzia ipotecaria sul medesimo bene acquistato all’asta. Dopo aver profilato e sperimentato diverse soluzioni giuridiche (ad esempio il decreto di trasferimento condizionato), nella prassi si è privilegiata la emissione del decreto di trasferimento contestuale alla sottoscrizione ed erogazione del mutuo ed all’incasso del prezzo ed: in tal modo il Tribunale acquisisce l’assegno circolare dal funzionario della banca in presenza del notaio; consegna il decreto di trasferimento, conte- nente l’ordine di cancellazione delle formalità pregiudizievoli e il notaio, acquisito il decreto, provvede alla sua trascrizione e alla immediatamente successiva iscrizione della ipoteca a garanzia del mutuo, così garantendo il grado della nuova iscrizione. In tal modo l’aggiudicatario mutuatario non entra mai in possesso del denaro, essendo l’assegno circolare direttamente intestato alla procedura esecutiva in forza di una delegazione di pagamento contenuta nel contratto di mutuo. Il cittadino che si rivolge alla banca trenta giorni prima dell’asta ha diritto a che la banca concluda l’istruttoria prima dell’asta e, in caso di esito positivo, si impegni formalmente all’erogazione condizionatamente ovviamente all’avvenuta aggiudicazione. Ai fini dell’istruttoria la banca utilizza la perizia redatta nell’ambito della procedura e l’unica spesa che il richiedente deve sostenere è quella poco più che simbolica di euro 50. Circa il 30% degli acquisti avviene oggi ricorrendo a finanziamenti erogati secondo questa modalità da 15 istituti. 4.6. Eliminazione di gravosi adempimenti burocratici P er favorire la partecipazione dei cittadini occorre rendere il procedimento più semplice e meno gravoso possibile. Vanno in questa direzione, oltre all’eliminazione dell’anticipazione delle spese, le seguenti misure: – il versamento del prezzo avviene in ogni caso unicamente sul conto bancario intestato alla procedura: ciò anche per la quota di prezzo spettante al creditore fondiario mentre normalmente l’acquirente deve fare due versamenti, uno diretto al creditore fondiario e l’altro, per le spese e l’eventuale supero, al Tribunale. La banca pres- so cui è depositato il prezzo provvede poi subito al bonifico al creditore fondiario con valuta al medesimo giorno dell’incasso; – il Tribunale provvede non solo a ordinare la cancellazione delle trascrizioni ed ipoteche, ma anche a eseguirla effettivamente, a spese della procedura, attuando, tramite un proprio ausiliario, i necessari adempimenti presso la Conservatoria. Il costo è nullo per la procedura, perché se non si provvedesse in tal modo, le spese di cancellazione dovrebbero comunque essere preventivamente dedotte dal prezzo d’asta, per compensare la differenza di valore di mercato rispetto a un immobile di caratteristiche simili, ma privo di formalità pregiudizievoli; è allora economicamente neutro per la procedura includere tali spese nel prezzo, incassarle con il saldo e poi erogarle successivamente per effettuare la cancellazione. Vi è anzi un lieve vantaggio, perché le spese, nel dedurle dal prezzo, dovrebbero essere considerate secondo tariffe di mercato (del notaio o del professionista che dovrebbe provvedere); mentre il Tribunale agisce sulla base di un tariffario concordato con i propri ausiliari, che comporta un notevole abbattimento dei costi; – emesso il decreto di trasferimento (in genere entro 15 giorni dal versamento del prezzo), e registrato, si provvede ad inviare all’acquirente la copia autentica del medesimo al suo domicilio, evitando (anche nell’interesse della Cancelleria) la necessità di successivo accesso al Tribunale; – con il decreto di trasferimento si ordina la cancellazione anche delle ipoteche eventualmente iscritte dopo la trascrizione del pignoramento: si trat- ta di ipoteche certamente inopponibili all’acquirente, ma se questi, successivamente, vuole accedere ad un mutuo con garanzia ipotecaria o rivendere l’immobile non può di fatto farlo senza prima ottenere la loro cancellazione. L’ordine di cancellazione in sede di decreto di trasferimento elimina in radice ogni problema. Va rilevato che l’emissione del decreto di trasferimento entro 15 giorni dal pagamento del saldo prezzo così come la cancellazione delle ipoteche successive al pignoramento sono possibili in quanto la bozza del decreto di trasferimento, previa aggiornamento delle visure ipotecarie, è effettuata da un ausiliario nominato dal giudice dell’esecuzione. È lo stesso ausiliario che provvede a predisporre materialmente il Modello F23 per il pagamento dell’imposta di registro ed a effettuare la trascrizione del decreto e le cancellazioni di tutti i gravami. 4.7. Liberazione dell’immobile a cura del custode giudiziario P er il cittadino che intende acquistare un immobile per uso proprio è estremamente importante poter contare su dei tempi certi ai fini dell’immissione nel possesso. Si tenga al riguardo presente che molto spesso per pagare il prezzo d’aggiudicazione il cittadino ha venduto l’immobile dove abitava prima e si trova quindi nella condizione di doverlo a sua volta subito liberare. In altri casi ha sottoscritto un mutuo e, se non entra subito in possesso del bene acquistato, si trova a dover pagare contemporaneamente le rate del mutuo e il canone di locazione della vecchia abitazione. Prima che si introducesse la nuova prassi nel Tribunale di Monza passavano, dal versamento del prezzo, oltre sei mesi prima che venisse emesse il decreto di trasferimento, questo ritornasse dall’Ufficio del Registro e l’acquirente potesse finalmente ottenere copia esecutiva. A quel punto doveva quasi sempre rivolgersi ad un avvocato per avviare la procedura di esecuzione sostenendo i conseguenti costi e soltanto dopo un notevole ulteriore lasso temporale riusciva ad ottenere la consegna del bene. Questa situazione era una delle cause che disincentivava fortemente la partecipazione dei comuni cittadini alle aste. Il valore di realizzo del bene peraltro ne avrebbe peraltro comunque fortemente risentito: nel normale mercato immobiliare quando si vende un immobile come libero s’intende con tempi certi di consegna; un immobile occupato, pur in presenza di un titolo esecutivo, non ha il valore di un immobile libero. La conseguenza era quindi che l’incertezza sui tempi di liberazione degli immobili incideva in modo molto negativo sulle concrete possibilità di soddisfacimento dei propri crediti da parte dei creditori. La nomina generalizzata del custode giudiziario ha consentito di superare questo stato di cose. Con la nomina del custode giudiziario il debitore, come si evince dall’art. 559 c.p.c., può continuare ad abitare nell’immobile soltanto in quanto a ciò espressamente autorizzato dal giudice. Da ciò consegue che il giudice dell’esecuzione può disporre l’immediata liberazione dell’immobile e l’ordinanza ha direttamente efficacia esecutiva. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la risalente ma mai disattesa sentenza n. 744 del 31 marzo 1949, che rimane ad oggi l’unico precedente noto in argomento e che è stato ripreso negli anni novanta nell’elaborazione giurisprudenziale del Tribunale di Bologna. La Cassazione ha sanci119 to che “l’ordinanza che dispone la sostituzione di altra persona al debitore nelle funzioni di custode dei beni pignorati è per se stessa esecutiva in quanto impone senz’altro al debitore di consegnargli la cosa custodita. Pertanto l’immissione in possesso effettuata a mezzo di ufficiale giudiziario del nuovo custode nei confronti del debitore, previa notifica dell’ordinanza e del precetto di rilascio non integra gli estremi di uno spoglio in danno del debitore medesimo”. A Monza in tutte le procedure esecutive, subito dopo la pronuncia dell’ordinanza di vendita, il custode giudiziario provvede a notificare l’atto di precetto ed avvia quindi la procedura per la liberazione dell’immobile. In concreto la liberazione effettiva è sempre successiva alla data dell’aggiudicazione ed il risultato è che il debitore si vede costretto a lasciare il bene quando questo è ormai venduto e sono trascorsi circa sei mesi dalla notifica del precetto mentre l’acquirente viene immesso nel possesso in prossimità del pagamento del prezzo e senza doversi fare carico di particolari attività. In questo modo le vendite giudiziarie effettivamente rispondono alle aspettative del normale mercato immobiliare, condizione essenziale per la loro efficienza. 5. L’ELIMINAZIONE DEL PROBLEMA DELLE QUOTE INDIVISE I l problema delle quote indivise è stato eliminato ponendo i comproprietari non pignorati nell’alternativa di manifestare la volontà di acquisto della quota alla prima udienza o subire il giudizio di divisione che di regola sfocia nella vendita dell’intera unità immobiliare. A tal fine il provvedimento di fis120 sazione della prima udienza contiene un espresso avviso ai comproprietari sulla loro facoltà di presentare offerta di acquisto e sull’orientamento del Tribunale di procedere di norma, in assenza di offerte, al giudizio di divisione. In questa ottica nel quesito allo stimatore è previsto che, ove si tratti di quote , debba essere fatta una valutazione anche dell’intero bene (nella prospettiva della vendita unitaria) e si debba precisare se esso sia o meno comodamente divisibile. Quando i comproprietari alla prima udienza manifestano la volontà di acquistare viene fissata a breve la vendita della quota indivisa di norma con pubblicità semplificata. Se invece i comproprietari non compaiono o comparendo non dichiarano di voler acquistare la quota (oppure non depositano l’offerta nel termine concesso) il giudice, ai sensi dell’art. 600 c.p.c., concede sempre il termine di 4 mesi per l’introduzione del giudizio di divisione disponendo l’instaurazione del contraddittorio anche nei confronti dei creditori iscritti non intervenuti e i creditori con diritti iscritti sulle quote non pignorate (affinché possano intervenire e, nel caso di vendita dell’intero bene con conseguente cancellazione di tutte le formalità, possano far valere il loro diritto sulla parte del ricavato che andrebbe restituita al comproprietario non esecutato) motivando con riferimento al fatto che, in mancanza di un interesse dei comproprietari, una quota indivisa non è concretamente collocabile sul mercato se non a prezzo vile. I giudizi di divisione è estremamente rapido in quanto non si verifica mai alcuna contestazione sulla sussistenza del diritto allo scioglimento della comunione e quindi lo scioglimento è pronunciato in prima udienza con ordinanza ai sensi dell’art. 785 c.p.c. Nella stessa udienza quando il bene non è comodamente divisibile (nella quasi totalità dei casi posto che di norma è pignorata una unità immobiliare per la cui divisione sarebbero necessarie opere murarie), non risultando mai contestazione sul punto, si dispone la vendita dell’immobile con ordinanza ai sensi dell’art. 788 c.p.c.. Per assicurare che queste siano le normali cadenze temporali del giudizio nelle tabelle del Tribunale è previsto che i giudizi di divisione promossi ai sensi dell’art. 600 c.p.c. siano automaticamente assegnati agli stessi magistrati che svolgono le funzioni di giudice dell’esecuzione nelle procedure esecutive interessate. Avvenuta la vendita ed effettuate le cancellazioni delle formalità, prelevando le somme occorrenti dal ricavato, si provvede contestualmente alla ripartizione dello stesso tra i comproprietari (ed eventualmente i creditori iscritti intervenuti nel giudizio di divisione) ed alla distribuzione della somma spettante al comproprietario pignorato tra il creditore procedente e i creditori intervenuti nella procedura esecutiva. La durata media del giudizio di divisione è di 6-8 mesi. L’espropriazione delle quote pignorate avviene quindi in tempi e con risultati in termini di realizzo pienamente in linea con quelli delle normali unità immobiliari. 6. QUANTITÀ ED EFFICIENZA DELLE PROCEDURE ESECUTIVE IMMOBILIARI: L’ELIMINAZIONE DELLE ATTIVITÀ INUTILI E LA DELEGA DI ATTIVITÀ AD AUSILIARI L’ esperienza ha inequivocabilmente dimostrato che prassi come quelle elaborate a Bologna ed a Monza sono idonee a collocare il bene pignorato sul mercato rapidamente ed al suo giusto prezzo. Ma ai fini di risultati soddisfacenti sul piano dell’efficienza va affrontato il problema della quantità delle procedure esecutive immobiliari. Non muterebbe molto nella sostanza se si introducessero le nuove prassi senza un piano organico di rapido smaltimento dell’arretrato (ad esempio due anni) e la contestuale determinazione di un bilancio positivo dei flussi (che consenta di non accumulare più arretrati nel futuro). Il problema si pone più precisamente sotto due profili. In molti tribunali risultano ferme migliaia di procedure: il perseguimento di un obbiettivo di efficienza impone di agire per l’eliminazione dell’arretrato in tempi brevi (nel caso di Monza in circa un anno e mezzo tre giudici, destinati prevalentemente alla procedure fallimentari, hanno eliminato l’arretrato di oltre 3.000 procedure; attualmente, fatta eccezione per le procedure rimaste congelate per accordo tra le parti, le vendite riguardano procedure iniziate nell’ultimo anno e la durata complessiva delle nuove procedure in cui non intervengano accordi tra le parti è scesa sotto i 18 mesi). La messa in moto di migliaia di procedure determina di per sé un enorme aumento di attività. La maggiore efficienza delle procedure provoca un ulteriore grande aumento di attività: nel caso di Monza si è ad esempio passati da 40 decreti di trasferimento e 40 progetti di distribuzione all’anno a 500 decreti di trasferimento e 500 progetti di distribuzione. È evidente che, ponendo come dato di partenza, ragionevolmente non modificabile nel breve periodo, che non vi saranno aumenti del numero dei magistrati e del personale di cancelleria, questi risultati mai potrebbero essere rag- giunti senza modificare le modalità di gestione delle procedure esecutive. L’ottica deve essere quindi del modulare le procedure esecutive, nei limiti ovviamente consenti dalla legge, per reperire le indispensabili risorse. Ciò può avvenire soltanto in due modi: eliminando attività non strettamente necessarie; delegando a terzi molte delle altre attività e comunque avvalendosi dell’ausilio di terzi per il loro compimento. 6.1. L’eliminazione di attività non necessarie R ichiamando in parte quanto precedentemente già detto, sotto il primo profilo va rilevato che la riduzione da quattro-cinque ad una delle udienze necessarie per pervenire alla pronuncia dell’ordinanza di vendita (a seguito della nomina dell’esperto per la stima fuori udienza, nonché con l’invio delle perizie, a sua cura, alle parti prima della prima udienza) consente una enorme liberazione di risorse: Nel tempo, infatti, in cui un giudice, che opera secondo lo schema usuale, è pervenuto all’ordinanza di vendita in 20 procedure, il giudice, che opera secondo la nuova prassi, perviene alla pronuncia di 100 ordinanze di vendita; nel tempo in cui il primo giudice ha pronunciato 100 ordinanze di vendita il secondo ne ha pronunciate 500. In caso di asta deserta, se si adotta la prassi di pronunciare la nuova ordinanza di vendita nella stessa udienza e di fissare l’udienza per l’esame delle istanze di assegnazione del bene soltanto nel caso in cui queste pervengano effettivamente (il che è rarissimo), si dimezza il numero delle udienze successive alla prima. Nel Tribunale di Monza si è compiuto un ulteriore passo per ra- zionalizzare l’uso del tempo disponibile per le udienze: si è stabilito che non sono concessi rinvii ad altra udienza per pendenza di trattative o di piani di rientro tra le parti (questo tipo di rinvio il codice non lo prevede né per il processo di cognizione né, tantomeno, per il processo esecutivo) ma, su richiesta di tutti i creditori con titolo, si dispone, in via analogica rispetto alla previsione della sospensione concordata del processo di cognizione ex art. 296 c.p.c., la concessione di una sola sospensione da un minimo di 12 mesi ad un massimo di 24 mesi (con facoltà del creditore di chiedere la fissazione immediata in caso di mancato rispetto degli accordi da parte del debitore). Attualmente, circa un 30% delle procedure esecutive si ferma in questo modo alla prima udienza: la grande maggioranza è destinata all’estinzione al termine del periodo di sospensione. A tale esito, a differenza di prima, si perviene togliendo i relativi fascicoli dal flusso delle udienze, con notevole alleggerimento del lavoro e con il risultato di mettere a disposizione del giudice udienze libere da utilizzare per altre procedure o per altre attività (calcolando in 30 i fascicoli per udienza e mediamente in 4 le udienze di mero rinvio, tenendo conto che il 30% delle nuove procedure sospese corrisponde a circa 200 procedure sospese all’anno, il tempo udienza liberato è di circa 26 udienze all’anno, ossia quasi tre udienze al mese). Posto che con l’adozione delle nuove prassi si vendono circa il 70% dei lotti in prima asta e la restante parte in seconda asta (queste sono le percentuali pressoché identiche del Tribunale di Monza e del Tribunale di Bologna), si può calcolare che mediamente, per la definizione delle procedure esecutive occorrono 1 udienza ex art. 569 c.p.c., 1,3 121 udienze di vendita e 1 udienza per l’esame del progetto di distribuzione. Questo significa che con le nuove prassi un giudice, dedicandosi solamente alle esecuzioni immobiliari e tenendo tre udienze alla settimana, potrebbe, senza delega ai notai, definire da solo 800 procedure esecutive, mentre lo stesso giudice, cadenzando le udienze secondo la prassi usuale, avrebbe una potenzialità di definizione non superiore a 140 procedure. In altri termini, a pari di percentuali di aste con esito positivo, la differente modulazione delle udienze fa sì che il lavoro di un magistrato è equivalente, sul piano della definizione delle pendenze, a quello di sei magistrati: l’incidenza è quindi pari al potenziamento dell’organico dell’ufficio di cinque unità. Questi conteggi, ovviamente approssimativi, rendono l’idea del concreto impatto sull’efficienza di una modulazione razionale del processo esecutivo nella prospettiva dell’eliminazione di attività non necessarie. Questi rilievi valgono anche per l’ipotesi in cui si opti per la delega ai notai, posto che in ogni caso la delega, con la modulazione prospettata, la si può fare in prima udienza anziché dopo 3 o 4 udienze. 6.2. La delega di attività e il ricorso ad ausiliari per il compimento di atti L’ eliminazione di udienze non necessarie non è tuttavia sufficiente per assicurare la realizzazione di efficaci programmi di definizione degli arretrati. L’aumento delle procedure trattate e soprattutto l’aumento delle procedure in cui si perviene effettivamente alla vendita (passando dal 10-20% di aste con esito positivo al 60-70%) determina un aumento speculare di attività a 122 cui il giudice non avrebbe la possibilità di far fronte da solo. Nel caso di Monza, come già detto, non sarebbe stato possibile che tre giudici destinati prevalentemente al fallimentare fossero in grado di mettere in moto in un solo anno centinaia di procedure, pronunciare mille ordinanze di vendita, svolgere 760 aste, vendere 500 immobili, emettere 500 decreti di trasferimento e, infine, redigere, approvare ed eseguire i conseguenti progetti di distribuzione, senza avvalersi dell’opera di ausiliari. Avrebbero dovuto subito arrendersi e rinunciare al progetto di eliminazione di tutto l’arretrato entro due anni e di riduzione, nello stesso termine, dei tempi del processo a meno di 18 mesi. Questo non è accaduto e gli obbiettivi sono stati pienamente raggiunti. Nella prassi di Monza le attività svolte da ausiliari (alcune di competenza della Cancelleria) sono essenzialmente le seguenti: a) preesame della documentazione ipocatastale e preverifica delle pubblicazione degli avvisi e delle notificazioni del creditore a debitore, agli eventuali comproprietari e ai creditori iscritti I provvedimenti di fissazione dell’udienza ex art. 569 c.p.c. vengono stampati (con un programma informatico che assicura la rotazione degli esperti) e sottoscritti entro ca. 15 giorni dal deposito della documentazione ipocatastale in base ad elenchi trasmessi dalla Cancelleria e senza quindi un esame preventivo dei fascicoli da parte dei giudici. Il primo esame lo effettua, compilando un apposito schema, il perito nominato per la stima il quale, in caso di anomalie o comunque di dubbi, notizia immediatamente il giudice e, a mezzo fax, il creditore inte- ressato. La verifica definitiva si compie in sede di prima udienza: viene compilato, con la collaborazione anche degli avvocati, un verbale già strutturato il cui riempimento consente di verificare puntualmente la completezza degli adempimenti formali. Questo modus procedendi consente di tenere la prima udienza, in cui viene pronunciata l’ordinanza di vendita, entro 4-6 mesi dal deposito della documentazione ipocatastale b) predisposizione della bozza della comunicazione del cancelliere del provvedimento ex art. 569 c.p.c. Il programma utilizzato dai periti per la redazione informatica delle perizie di stima contiene anche lo schema della comunicazione del cancelliere ex art. 485 c.p.c. Il perito provvede ad estrarre dalle notificazioni effettuate dal creditore procedente tutti gli indirizzi occorrenti e li riporta nella bozza della comunicazione che trasmette quindi subito alla Cancelleria per la firma da parte del cancelliere e la notificazione ai destinatari unitamente ai provvedimenti ex art .569 c.p.c. La bozza della comunicazione è anche su supporto floppy e quindi può essere archiviata per le successive comunicazioni, fatti salvi ovviamente gli aggiornamenti per i creditori successivamente intervenuti. c) predisposizione dell’ordinanza di vendita Alla prima udienza il giudice nell’apposito spazio del verbale si limita a fissare l’udienza per l’esame delle offerte, il prezzo base e i rilanci minimi in caso di gara. Posto che nella stessa udienza viene nominato il custode giudiziario questi nei giorni immediatamente successivi provvede a redigere la bozza dell’ordinanza di vendita ed a portarla alla firma del giudi- ce. L’ordinanza di vendita è in realtà strutturata in due parti: una è fissa e contiene le condizioni generali della vendita e la previsione delle modalità di presentazione delle offerte e degli adempimenti pubblicitari; l’altra contiene la descrizione del bene con tutti i data catastali, la data della vendita, il prezzo base e i rilanci. Questa seconda è quella che predispone il custode. Ultimamente, posto che il programma informatico per la redazione delle perizie redige automaticamente anche la seconda parte dell’ordinanza di vendita lasciando in bianco solo il prezzo base e i rilanci e che il perito deposita la bozza insieme alla perizia, è sempre più frequente che l’ordinanza sia completata e firmata dal giudice direttamente in udienza; d) predisposizione dell’ordinanza di liberazione dell’immobile Il custode giudiziario, contestualmente alla bozza dell’ordinanza di vendita, redige anche la bozza dell’ordine di liberazione dell’immobile; e) predisposizione di parte del verbale dell’udienza di vendita Il custode giudiziario predispone per l’udienza di vendita la parte del verbale modulare che contiene l’elenco di tutte le notificazioni e di tutte le pubblicità effettuate e la parte del provvedimento di aggiudicazione contenente i dati identificativi dell’immobile; f) adempimenti post-vendita L’ausiliario, appositamente nominato in calce al provvedimento di aggiudicazione, provvede ai seguenti adempimenti: – invia all’aggiudicatario raccomandata con indicate le coordinate del conto bancario su cui deve essere versato il saldo prezzo indicandone l’ammon- – – – – – tare unitamente a quello dovuto per imposte; aggiorna le visure ipocastali e provvede a redigere la bozza del decreto di trasferimento; predispone i modelli F 23 per il pagamento dell’imposta di registro o i modelli F 24 per l’IVA, ove prevista; effettua la trascrizione del decreto di trasferimento; presenta alla Conservatoria dei R.R.I.I. le istanze di liquidazione delle cancellazioni dei gravami e provvede quindi alle cancellazioni anticipando i relativi importi; invia all’acquirente, a mezzo posta, copia autentica del decreto di trasferimento g) predisposizione del progetto di distribuzione Con il provvedimento di aggiudicazione viene direttamente fissata a circa 4 mesi l’udienza per l’esame del progetto di distribuzione e il custode giudiziario (che di norma è un commercialista o un ragioniere essendo stato scelto nell’elenco dei curatori fallimentari) viene nominato consulente per la predisposizione della bozza del progetto. I creditori inviano al consulente a mezzo fax copia delle note di precisazione dei crediti con la relativa documentazione, mentre l’originale viene depositato direttamente in udienza. Il consulente opera in base ad una analitica circolare in cui sono state affrontate tutte le problematiche ed in particolare quelle attinenti all’art. 2855 c.c. Il consulente sollecita tutte le integrazioni di documentazione necessarie e redige quindi, su modelli uniformi, la bozza del progetto di distribuzione inviandola a tutti i creditori ed al debitore a mezzo fax o posta in tempo utile per l’esame prima dell’udienza e per le eventuali osservazioni. In questo modo la quasi totalità dei progetti di distribuzione è approvato direttamente all’udienza già fissata all’atto dell’aggiudicazione. Va rilevato che questo modo di procedere evita tra l’altro alla Cancelleria di dover notificare il provvedimento di fissazione dell’udienza per l’esame del progetto di distribuzione in quanto la fissazione della data in udienza di aggiudicazione evita la necessità di ulteriori comunicazioni. Si deve inoltre aggiungere che all’udienza (ma spesso già antecedentemente) i creditori depositano la dichiarazione sulle modalità di pagamento delle somma utilizzando l’apposito modulo che nella parte superiore contiene le coordinate del conto bancario del creditore per il relativo bonifico e nella parte inferiore la bozza dell’ordine di pagamento. All’udienza il giudice, contestualmente alla dichiarazione di approvazione del progetto di distribuzione, firma gli ordini di pagamento. Nei giorni immediatamente successivi la Cancelleria trasmette copia del progetto di distribuzione con tutti gli ordini di pagamento alla banca presso cui è depositato il ricavato della vendita affinché provveda all’effettuazione dei bonifici. 7. EFFETTI DIRETTI ED EFFETTI INDOTTI DELLA MAGGIORE EFFICIENZA DELLE VENDITE GIUDIZIARIE C on riferimento al profilo quantitativo, l’esperienza offre un ulteriore elemento di riflessione: a seguito delle innovazioni introdotte con la conseguente maggiore efficienza delle vendite, risultano in misura, ancora maggiore, aumentate le procedure che si definiscono per estinzione a seguito di accordo tra le parti ed ancora prima per inefficacia del pignoramento in conseguenza del mancato deposito dell’istanza di vendita. Le 123 procedure che si definiscono in tal modo sono circa il doppio di quelle che si concludono con la vendita del bene e la distribuzione del ricavato. La ragione è ovvia: una parte significativa degli esecutati non pagavano non perché si trovassero nell’impossibilità di pagare ma perché contavano sullo stato di sostanziale paralisi e sulla loro esorbitante lunghezza. L’improvvisa accelerazione delle procedure e, soprattutto, la circostanza che in un anno circa dal deposito dell’istanza di vendita si perviene alla vendita dell’immobile, ha stroncato queste condotte speculative. E ben maggiore risulterebbe l’effetto se si considerassero le posizioni di sofferenza che si chiudono ancora prima del pignoramento. Al riguardo, numerosi avvocati ce ne hanno dato conferma con riferimento al mancato pagamento di spese condominiali. Questo significa che l’adozione di misure, che in modo organico perseguano un obbiettivo di efficienza, innesca un processo virtuoso. Significa, nel contempo, che, senza una strategia razionale che intervenga su tutti i punti critici del sistema, individuando le misure necessarie per dare efficienza, difficilmente si ottengono risultati apprezzabili. 8. LA QUESTIONE DELLA DELEGA AI NOTAI I giudici del Tribunale di Monza hanno escluso di avvalersi della delega ai notai in quanto la scelta fondamentale compiuta per bonificare le vendite giudiziarie da gravi fenomeni di turbativa d’asta è stata quella di optare sempre per la vendita senza incanto e il legislatore ha previsto la possibilità di delega ai notai unicamente per la vendita per incanto (anche se nel disegno di legge 124 in corso di esame è prevista l’estensione alla vendita senza incanto). Va peraltro rilevato che in molti tribunali non si sono per nulla prese in considerazioni le indicazioni emergenti dalle nuove prassi nella convinzione che la delega ai notai potesse risolvere ogni problema. L’esperienza sta dimostrando che si è trattato di un’illusione sorta dalla mancanza di una vera analisi delle cause del non funzionamento delle procedure esecutive. Certamente la delega di una parte degli adempimenti della procedura ad un notaio può essere utile per sgravare il giudice e quindi è indubbiamente positivo che il legislatore abbia introdotto questa possibilità ampliando il novero delle soluzioni organizzative. Ma se la pubblicità non è effettuata in modo efficace e non vi è un custode che organizzi, da parte degli interessati, le visite degli immobili in vendita, così davanti al notaio, come davanti al giudice, la maggior parte delle aste andrà deserta e i prezzi di aggiudicazione finale saranno notevolmente inferiori rispetto a quelli realizzabili in una normale dimensione di mercato. In altri termini per imprimere efficienza alle procedure esecutive non basta sostituire parzialmente il giudice con il notaio ma occorre incidere sui meccanismi di collocazione del bene sul mercato. In questa prospettiva, le nuove prassi, tendenti ad aggredire alla radice le cause dell’inefficienza delle esecuzioni immobiliari, si integrano perfettamente anche con la delega ai notai: il giudice può delegare al notaio parte delle operazioni e nel contempo stabilire forme di pubblicità efficaci e nominare un custode giudiziario che organizzi tra l’altro le visite all’immobile di tutti gli interessati. Ma questo non accade nella maggioranza degli uffici con la conse- guenza che la delega ai notai ha, per i creditori, l’unico effetto di aumentare i costi senza una sostanziale diminuzione della aste deserte e senza quindi un reale miglioramento dei valori di realizzo degli immobili. 9. LA QUESTIONE DEI COSTI DEL PROCESSO ESECUTIVO L’ inefficienza del processo esecutivo, oltre a determinare una drastica perdita per la riduzione dei valori di realizzo degli immobili e l’incidenza degli oneri finanziari per la durata della procedura, si risolve in un aumento delle spese che i creditori devono anticipare e questo soprattutto in conseguenza del susseguirsi di aste deserte. Sono quindi di tutta evidenza i benefici portati dalle nuove prassi. Tuttavia un timore, che talvolta è manifestato rispetto alle nuove prassi (e spesso proprio da operatori che lavorano in contesti caratterizzati da grave inefficienza), attiene ai costi che il creditore dovrebbe sostenere ed in particolare la spesa per la pubblicità e il compenso del custode giudiziario. Si tratta di un timore del tutto infondato che nasce dall’assenza di una qualsiasi razionale valutazione economica. Quanto ai costi della pubblicità si è gia rilevato precedentemente che essi si sono ridotti in termini assoluti (anche senza considerare la precedente reiterazione delle pubblicità per effetto delle aste deserte) ma che soprattutto la loro incidenza economica va valutata alla luce dell’incomparabile maggiore efficacia. Analoghe considerazioni valgono per il compenso del custode. Il compenso del custode non è anticipato dal creditore, è contenuto rispetto all’entità del lavoro richiesto al professionista ed alle difficoltà che spesso insorgono e soprattutto risulta irrisorio se raffrontato alla valorizzazione del bene che la sua attività comporta (basta un solo rilancio per pagare tutto il compenso). È opportuno quindi per fugare ogni dubbio procedere a qualche osservazione più puntuale. Il custode giudiziario nella prassi monzese ha diritto al compenso soltanto a vendita avvenuta e il compenso è calcolato a percentuale sul prezzo di aggiudicazione (mediamente 1,5%: 2,5% nello scaglione fino a euro 50.000, 2% da euro 50.000 a euro 100.000, 1% da euro 100.000 a euro 150.000 e via via decrescendo fino a 0,25% da euro 350.000 a euro 500.000 e nessuna percentuale oltre tale tetto). Ora, prima che fosse generalizzata la nomina del custode, a Monza l’80% delle aste andavano deserte e gli immobili erano venduti, dopo 6-7 anni, ad un prezzo inferiore al suo valore dal 30 al 50%. Attualmente gli immobili, principalmente per effetto della nomina in tutte le procedure dei custodi giudiziari (che assicurano una pubblicità integrativa e soprattutto la possibilità di visitare il bene), sono venduti in prima asta nella misura del 70%. Gli altri sono venduti in seconda asta. Il prezzo realizzato supera mediamente di oltre euro il prezzo base d’asta. Questo significa che, ad esempio, un appartamento con prezzo base di euro 200.000 che, con le modalità di gestione del processo precedenti sarebbe stato venduto sicuramente a meno di euro 150.000 dopo circa 6-7 anni (e con un costo per reiterate pubblicità sicuramente superiore al compenso del custode), ora viene aggiudicato in un anno a euro 250.000. In altri termini per un immobile di euro 200.000 ogni asta deserta, per effetto dell’abbattimento del 20%, “costa” ai creditori (nonché al debitore) euro 40.000. Il compenso del custode su un prezzo di realizzo di euro 250.000 ammonta ad euro 3.000, di poco superiore ad un solo rilancio. Ma questo costo di euro 3.000, non anticipato dai creditori, ha consentito (sulla base dei dati statistici) un realizzo superiore di almeno euro 100.000. A ciò si deve aggiungere che il custode giudiziario, assumendo la veste di consulente tecnico e senza alcun ulteriore compenso, redige la bozza del progetto di distribuzione. Senza l’ausilio dei consulenti non sarebbe possibile che tre giudici, destinati principalmente al fallimentare, in un anno depositino 500 progetti di distribuzione, tutti entro 60 giorni dal pagamento del prezzo e tutti redatti applicando rigorosamente l’art. 2855 c.c. con i complessi calcoli che ciò comporta. Nella valutazione economica anche questo assume notevole rilevanza, tenuto conto che altrimenti non si sarebbe potuto attuare lo smaltimento dell’arretrato in un solo anno e ridurre i tempi per la definizione delle nuove procedure al di sotto dei 18 mesi. 10. CONCLUSIONI L e esperienze dei tribunali che hanno innovato le modalità di gestione delle procedure esecutive immobiliari dimostrano che è possibile, con riferimento a questo settore della giustizia civile, dare effettiva attuazione al principio della ragionevole durata del processo e più in generale assicurare l’efficienza in linea con i parametri europei senza attendere riforme legislative e senza, pur auspicabili, potenziamenti delle risorse umane e materiali a disposizione. La chiave di volta è nell’uso pieno da parte dei giudice dei poteri che la legge loro attribuisce operando in una prospettiva anche di risultato e quindi valutando le scelte non solo secondo criteri di legittimità ma anche di razionalità tecnica. ■ 125 L M TRIBUNALE DI MONZA Sezione Fallimenti-Esecuzioni Ai sigg. Curatori Fallimentari, ai sigg.Commissari e Liquidatori di Concordati Preventivi I giudici delegati alle procedure concorsuali, con riferimento alla decisione di pubblicare sul sito tribunaledimonza.net i principali atti delle procedure concorsuali, osservano: 1. ESIGENZE DI INFORMAZIONE DEI CITTADINI IN ORDINE ALLA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO È di essenziale importanza per qualsiasi cittadino, specie se operatore commerciale, giungere tempestivamente a conoscenza della esistenza e del contenuto delle sentenze dichiarative di fallimento, sia al fine di potersi efficacemente insinuare al passivo, sia per ogni valutazione concernente la solvibilità di eventuali terzi che siano stati in rapporti commerciali con l’impresa fallita. Tale conoscenza deve essere possibile prima ed indipendentemente dalle comunicazioni obbligatorie a carico del Curatore, sia per evidenti esigenze di tempestività (la comunicazione da parte del Curatore, pur con l’ausilio dei sistemi di posta telematica in uso al Tribunale di Monza, può non essere immediata, comunque presupponendo indagini non sempre agevoli volte 126 ad identificare i componenti del ceto creditorio), sia per esigenze di certezza della comunicazione (certezza che può non essere indefettibilmente assicurata dagli attuali sistemi di informazione), sia perché le comunicazioni del Curatore sono indirizzate esclusivamente ai creditori risultanti dalle scritture contabili, i quali possono costituire, in numerosi casi, solo una parte del più ampio numero dei soggetti comunque interessati alla tempestiva conoscenza dello stato di insolvenza. Il contenuto dell’informazione offerta deve ricomprendere non solo la notizia del fallimento, ma anche i diversi elementi della sentenza (motivazione, dispositivo comprensivo del nome del Curatore e della data della verifica allo stato passivo e dei termini per la presentazione della domanda), e ciò proprio per poter integrare (quanto ai creditori) o sostituire (quanto ai terzi) la comunicazione del Curatore. Tali esigenze informative non possono efficacemente essere soddisfatte neppure dagli attuali sistemi di pubblicità previsti dalla legge, i quali, risentendo delle lentezze connesse con la necessità di trasmettere le informazioni tra i diversi enti (es. Camera di Commercio), non si rivelano sufficientemente tempestivi. Necessità di limitare gli accessi alla Cancelleria È inoltre evidente che tali necessità informative non possono in alcun modo essere risolte dall’accesso dei creditori e dei terzi nella Cancelleria, sia per l’evidente gravosità di tali accessi per i soggetti interessati, sia per l’insostenibilità di un tale flusso di utenti per le strutture dell’ Ufficio. 2. ESIGENZE DI INFORMAZIONE DEI CREDITORI IN ORDINE ALLA SITUAZIONE DEBITORIA DEL FALLITO A fallimento dichiarato costituisce incontestabile necessità dei creditori quella di avere chiara e tempestiva conoscenza del complesso dei debiti gravanti sulla massa, dell’identità degli altri creditori, del fondamento dei singoli crediti ammessi e dell’eventuale privilegio riconosciuto, della motivazione del provvedimento del giudice, allo scopo di poter efficacemente tutelare i propri interessi qualora siano stati ammessi crediti che si ritengono insussistenti o di minore importo o privi del privilegio riconosciuto. Insufficienza degli attuali sistemi di informazione I n relazione a esigenze di così pregnante rilievo, si rivelano del tutto inadeguati gli attuali mezzi di informazione a disposizione dei creditori, che si riducono, in sostanza, o alla richiesta di rilascio di copia dello stato passivo da parte della Cancelleria oppure alla richiesta al Curatore di copia del medesimo. Entrambi tali strade si rivelano di fatto estremamente onerose e ciò sia per il creditore sia per la Cancelleria o per il Curatore (si pensi, quanto a questi ultimi soggetti, alla onerosità di provvedere alla formazione di copia di uno stato passivo di appena maggiore complessità, sino alla concreta impossibilità di rilasciare copia a tutti i creditori in quei fallimenti che vedano centinaia di creditori insinuati). Tale onerosità si traduce, in concreto, nella sostanziale impossibilità, per la generalità dei creditori, di esercitare un reale controllo in ordine alla composizione della massa dei crediti ammessi al concorso. A questo va aggiunto che una parte rilevante dei crediti è ammessa a seguito di insinuazione tardiva per cui i creditori dovrebbero continuare ad accedere alla Cancelleria per tutta la durata della procedura al fine di una conoscenza aggiornata dello stato passivo. 3. ESIGENZE DI INFORMAZIONE DEI CREDITORI IN ORDINE ALLA NATURA E SPECIE DEI BENI ACQUISITI È del pari evidente la necessità, per i creditori, di conoscere agevolmente e senza particolari oneri quali beni il Curatore sia riuscito ad acquisire. Ciò sia per poter immediatamente valutare la concreta possibilità di soddisfazione del proprio credito, sia per verificare che non sia stata omessa l’acquisizione di beni noti. La soddisfazione di tali esigenze di informazione appare del resto in armonia anche con l’obiettivo, sempre perseguito da questo Tribunale, di offrire la massima trasparenza in ordine all’operato degli organi della procedura. Sotto altro aspetto, il Curatore non potrebbe che giovarsi delle eventuali indicazione dei creditori in ordine alla esistenza di beni occultati o dispersi e quindi non inventariati. Insufficienza degli attuali sistemi di informazione V algono anche in relazione a tali profili le osservazioni svolte in tema di inadeguatezza delle attuali fonti di informazione, che similmente fanno capo alla Cancelleria o al Curatore, e per le quali si ripropongono le criticità già rilevate. 4. ESIGENZE DI CONTROLLO DA PARTE DEI CREDITORI IN ORDINE ALLA CORRETTA STIMA DEI BENI RINVENUTI È noto che uno dei profili più delicati della liquidazione dei beni fallimentari è costituito dalla correttezza e congruità del valore di stima degli stessi. Pur operando il Tribunale con periti qualificati e di notevole esperienza, è infatti sempre possibile che possa verificarsi un errore di valutazione, specie in quei campi ove si tratti di beni di particolare natura, per i quali non siano disponibili, ad esempio, abituali valutazioni di beni simili da assumere quali elementi di comparazione (es. beni strumentali per lavorazioni di alta specializzazione, eseguiti da un ristretto numero di imprese, in Italia o, talvolta, nel mondo); ovvero in quei casi in cui il valore del bene sia soggetto ad ampie oscillazioni in relazione alla particolarità del mercato specifico di essi. È evidente che la possibilità di una valutazione di tali beni da parte dei creditori, che sono spesso operatori nel medesimo settore o in settori connessi, può correggere eventuali errori del perito e fornire al Curatore ed al giudice preziosi elementi di riscontro. 127 Insufficienza degli attuali sistemi di informazione N on possono che ripetersi qui le osservazioni già più volte esposte circa l’insufficienza di sistemi informativi che facciano riferimento unicamente al Curatore o alla Cancelleria. 5. ESIGENZE DI INFORMAZIONE DA PARTE DI TERZI INTERESSATI, SULLA NATURA E SUL PREZZO DEI BENI L a possibilità di conoscere agevolmente e in modo semplice quali beni siano stati acquisiti dal fallimento e quale valutazione sia stata loro attribuita dal perito costituisce innegabile incentivo, per i terzi interessati all’acquisto, a formulare proposte di acquisto al Curatore. Tali proposte da un lato potranno fornire ulteriori elementi in ordine alla correttezza della stima (qualora siano in armonia o in dissonanza rispetto ai valori del perito), dall’altra consentiranno di ampliare in modo decisivo la platea dei possibili interessati all’acquisto, con evidenti benefici per il fallimento. Insufficienza degli attuali sistemi di informazione L e attuali procedure prevedono che ogni indicazione circa la natura e la valutazione dei beni venga portata a conoscenza dei terzi solo nel momento in cui si sia disposta la vendita, e con sistemi di pubblicità – quanto alle cose mobili – ancora onerosi ed inadeguati, specie in caso di scarso valore dei cespiti. La asincronicità delle informazioni in ordine ai beni presenti nei diversi fallimenti (come si è detto, la pubblicità viene eseguita solo 128 al momento della vendita) impedisce ai singoli operatori di avere un quadro completo ed organico dei diversi beni presenti nei fallimenti, e quindi da un lato penalizza gli interessati; dall’altro si traduce in una dispersione e frammentarietà delle notizie, che non incentiva il pubblico a seguire in modo abituale le vendite del Tribunale. 6. ESIGENZE DI INFORMAZIONE E CONTROLLO DEI CREDITORI SULLO STATO DELLA PROCEDURA U no dei momenti di maggiore carenza del complesso di informazioni concernente il singolo fallimento e insieme di maggiore interesse per i creditori riguarda la conoscenza dell’effettivo stato della procedura. Per il creditore conoscere lo stato della procedura è estremamente importante: in primo luogo al fine di poter formulare una ragionevole previsione circa la possibilità e i tempi di soddisfazione del proprio credito; in secondo luogo per sincerarsi che la durata della procedura non dipenda da inerzia degli organi della procedura, che le operazioni di liquidazione siano svolte con tempestività ed efficacia e che analogamente si operi riguardo alle revocatorie ed in materia di responsabilità degli organi sociali. È vero che l’esame del rendiconto è la fase propriamente destinata al controllo sullo svolgimento della procedura. Ma in una prospettiva di funzionalità della procedura e di massima tutela degli interessi coinvolti è opportuno prevenire le situazioni patologiche o comunque intervenire tempestivamente quando è ancora possibile introdurre delle correzioni. E a tal fi- ne risulta molto importante il ruolo di controllo diffuso, stimolo ed impulso dei creditori che trova il suo presupposto nella disponibilità di corrette e organiche informazioni. Insufficienza degli attuali sistemi di informazione L e informazioni in ordine allo stato della procedura sono oggi sostanzialmente impossibili da ottenere. Esse, infatti, non possono essere tratte in alcun modo dalla consultazione del fascicolo fallimentare, sia perché una indiscriminata consultazione dei documenti in esso contenuti non può essere consentita al singolo creditore per evidenti motivi di segretezza in ordine ad alcuni degli atti; sia perché il fascicolo non contiene in ogni caso alcun elemento valido per poter arguire quale sia il reale stato della procedura e per formulare una qualsiasi prognosi circa la sua evoluzione e durata; né, infine, per poter valutare la correttezza dell’operato del Curatore. Tali informazioni potrebbero in astratto essere attinte dal Curatore; ma è evidente che, anche a voler ipotizzare una piena disponibilità del professionista, la necessità di informare via via tutti i creditori si tradurrebbe in una attività defatigante e onerosa, e dunque sostanzialmente impossibile, specie in fallimenti che vedano un alto numero di creditori. 7. ESIGENZE DI INFORMAZIONE DEI CREDITORI IN ORDINE AI PIANI DI RIPARTO L a completa e tempestiva conoscenza del piano di riparto nella sua globalità è anch’essa esigenza primaria del creditore, il quale deve essere posto in grado di controllare che la graduazione dei crediti e la conseguente distribuzione dell’attivo avvengano nel rispetto delle norme giuridiche e del proprio diritto. Insufficienza degli attuali sistemi di informazione L e attuali norme prevedono che il piano di riparto sia depositato in Cancelleria e che ai creditori sia dato notizia esclusivamente di tale deposito. Ciò comporta che il creditore, per poter prendere effettiva conoscenza del documento, è costretto a recarsi in Cancelleria e estrarre copia del medesimo (con evidenti oneri per bolli e diritti) ovvero a procedere alla consultazione in loco. Tale sistema di informazione poteva forse essere adeguato nel momento in cui la legge fallimentare era stata promulgata, quando la maggior parte delle imprese aveva dimensione familiare, un limitato numero di creditori ed operava in un ambito territoriale limitato, costituito essenzialmente dal Comune ove trovavasi l’Ufficio Giudiziario. È invece del tutto inadeguato nella attuale realtà economica, in cui le imprese, per quanto di ridotte dimensioni, intrecciano rapporti con un ampio numero di soggetti, e, avvalendosi dei nuovi sistemi di comunicazioni e di una rete di servizi sempre più ampi e sofisticati, riescono a operare in contesti territoriali virtualmente senza confini. La conseguenza di ciò è che sovente il creditore – spesso avente sede a notevole distanza dal Tribunale – rinuncia ad esercitare il proprio diritto di controllo. Il flusso di quei creditori che vogliano comunque accedere al piano di riparto costituisce in ogni caso un pesante onere della Cancelleria, tenuto anche conto del fatto che molto spesso la parte interviene personalmente e quindi si presenta come utente che necessita di particolare assistenza e cura da parte delle strutture, con ulteriore onere per queste ultime e con evidente spreco di risorse. Né appare possibile – in fallimenti appena più complessi e caratterizzati da un elevato numero di crediti – inviare a ciascun creditore copia integrale del piano di riparto. 8. ESIGENZE DI INFORMAZIONE DEI CREDITORI IN ORDINE AL RENDICONTO L’ ultimo elemento di conoscenza necessario al creditore per esercitare il proprio diritto all’informazione ed al controllo dell’operato degli organi della procedura è costituito dal rendiconto. Tale documento costituisce infatti il sostanziale termine della attività del Curatore e il momento della approvazione è l’ultimo limite temporale entro il quale è possibile sindacare efficacemente sul suo operato. Insufficienza degli attuali sistemi di informazione V algono anche per tale atto le osservazioni già formulate per il piano di riparto. Anche in tal caso le possibilità di prendere effettiva conoscenza del documento sono severamente limitate dalla circostanza che la consultazione del medesimo è prevista solo presso la Cancelleria e che la difficoltà ed onerosità dei necessari accessi inducono sovente il creditore a non esercitare i propri diritti di preventiva verifica; con la conseguenza che, alla udienza prevista per la sua approvazione, non si è in grado, da parte dell’utente, di formulare alcuna valida osservazione. 9. ESIGENZE DI CONTROLLO DA PARTE DEL GIUDICE DELEGATO I l compito di vigilanza e controllo sull’operato del Curatore da parte del giudice può essere certamente svolto in modo più pregnante ove le informazioni concernenti il fallimento siano condivise – nei limiti in cui ciò è possibile – dal più ampio numero di soggetti possibile, i quali possano tempestivamente segnalare eventuali anomalie e offrire quindi al giudice uno stimolo ed una ulteriore possibilità di intervento. La diffusione delle informazioni costituisce pertanto il presupposto per una maggiore efficienza ed una maggiore qualità nell’operato del Tribunale. 10. ESIGENZE DI RISERVATEZZA E DIFFUSIONE SELETTIVA DELLE INFORMAZIONI L e esigenze sopra indicate devono essere conciliate con i limiti derivanti dalle norme in tema di privacy e in genere dalle esigenze di riservatezza degli atti della procedura fallimentare. È dunque necessario che sia operata una selezione delle informazioni, in relazione alla qualità ed alla natura dei soggetti destinatari di esse, nonché degli interessi di cui ciascuno di essi è portatore. 11. PUBBLICAZIONE SU RETE INTERNET ED ACCESSO DIFFERENZIATO ALLE INFORMAZIONI L e esigenze sin qui esaminate possono essere integralmente soddisfatte mediante pubblicazione delle informazioni e degli atti che le contengono su rete Internet, nel sito ove il Tribunale effettua la pubblicità delle vendite. 129 Il sito, per la parte che interessa, sarà strutturato a differenti livelli, contenenti ciascuno l’insieme delle informazioni selezionate in ragione della qualità e natura dell’utente cui saranno destinate. L’accesso a ciascun livello sarà consentito solo ai soggetti a ciò autorizzati. L’accesso sarà dunque possibile in forma anonima e indifferenziata per quelle informazioni destinate alla generalità dei cittadini (sentenza di fallimento, elenco dei beni e valutazione degli stessi). Sarà invece consentito unicamente con password unica e collettiva per il successivo livello, destinato ai creditori e contenente, oltre ai precedenti documenti, anche lo stato passivo, il piano di riparto, il rendiconto, un estratto delle relazioni periodiche. Il solo giudice delegato ed il Curatore potranno accedere al livello ulteriore, contenente, oltre agli atti già nominati, quelli coperti da maggiore riservatezza (relazione periodica in forma integrale, relazione ex art. 33). 12. NATURA DELL’ATTIVITÀ DI PUBBLICAZIONE ED ONERI AD ESSA CONNESSI L’ attività di pubblicazione sopra descritta viene esercitata nel precipuo interesse della massa dei creditori e viene disposta dal giudice delegato di ciascun fallimento nell’ambito dei poteri di direzione e controllo a lui attribuiti dalla l. n. 267 del 1942. Gli oneri da essa derivanti sono conseguentemente a carico di ciascun Fallimento e sono soddisfatti in via di prededuzione, ai sensi dell’art. 111 n. 1 l.fall. Nessun onere è posto a carico della Amministrazione giudiziaria ovvero di altri soggetti di diritto pubblico. 130 C iò premesso, i giudici delegati alle procedure concorsuali dispongono la pubblicazione sul sito tribunaledi monza.net dei seguenti documenti secondo le modalità indicate: A) LIVELLO DI ACCESSO LIBERO a.1) Sentenze dichiarative di fallimento, decreti di ammissione a concordato preventivo e sentenze di omologa, decreti di ammissione ed amministrazione controllata L a copia dei provvedimenti è acquisita direttamente dal provider che accede presso la Cancelleria Fallimenti il mercoledì e il venerdì di ogni settimana e provvede nella stessa giornata alle operazioni di scannerizzazione e di inserimento sul sito. I provvedimenti sono pubblicati in copia integrale. Il provvedimento è ricercabile per nome dell’imprenditore individuale o della società (nel caso di nomi composti è sufficiente la digitazione di una delle parole che compongono il nome), numero della procedura, nome del curatore o commissario-liquidatore. È altresì consultabile l’intero elenco delle procedure pendenti organizzabile, a scelta di chi accede, in base a ciascuno dei tre parametri indicati. Oltre al nome è riportato anche il numero telefonico e l’ìndirizzo email del curatore o commissario – liquidatore. Per ciascuna procedura è pubblicata anche copia del certificato del Registro delle Imprese relativo all’impresa fallita o ammessa alla procedura concorsuale minore. Entro due giorni dall’accettazione dell’incarico il curatore o il commissario verifica che i documenti siano stati correttamente caricati. a.2) Provvedimenti di chiusura delle procedure C ontestualmente alla pubblicazione del decreto di chiusura del fallimento la Cancelleria ne trasmette copia al provider che provvede subito al suo inserimento sul sito. Analogamente si procede relativamente all’atto che sancisce la conclusione della procedura concorsuale minore. Il curatore o il commissario verifica che il provvedimento sia stato correttamente caricato. a.3) Inventario-perizia L’ inventario e la perizia di stima, redatti utilizzando excell secondo lo schema già predisposto, sono trasmessi al provider via e-mail a cura del perito contestualmente al deposito della perizia. Il perito invia il documento al seguente indirizzo: fallimentimonza.inventari… Entro due giorni dal deposito il perito controlla che i documenti siano stati correttamente caricati. Per i beni di valore non modesto il perito inserisce nella perizia le relative fotografie in formato digitale. Gli interessati possono sia consultare tutti gli inventari-perizia nella loro interezza sia effettuare la ricerca per specifico oggetto (con riferimento a tutti i beni inventariati nelle procedure fallimentari e pignorati nelle procedure esecutive mobiliari che non siano già stati venduti). La ricerca per singolo oggetto può essere effettuata sia con riferimento alla denominazione utilizzata dal perito sia utilizzando l’indice delle categorie delle Pagine Gialle. A tal fine nella perizia, in corrispondenza a ciascun bene stimato, il perito in- serisce la categoria contenuta nell’indice delle Pagine Gialle a cui la stessa sia riconducibile. Effettuando la ricerca per oggetto l’interessato trova tutti i beni corrispondenti alla denominazione o categoria utilizzata, il valore di stima, la fotografia, la data, il luogo e il prezzo eventualmente fissati per la vendita e vede se il bene è posto o è destinato ad essere posto in vendita come bene singolo o nell’ambito di un più ampio lotto. Non appena il singolo bene o lotto è venduto l’I.V.G. ne da comunicazione via e-mail al provider che provvede immediatamente a cancellarlo dal sito. L’I.V.G. entro 2 giorni dall’invio della comunicazione al provider verifica che la cancellazione sia stata effettuata. B) LIVELLO DI ACCESSO RISERVATO AI CREDITORI (con password uguale per tutti i creditori del fallimento comunicata al curatore dal provider all’inizio del fallimento e indicata dal curatore in tutte le comunicazioni a mezzo posta inviate ai creditori) b.1) Stato passivo del fallimento Stati passivi già approvati N el corso dei mesi di agosto e settembre sono stati scannerizzati e pubblicati quasi tutti gli stati passivi relativi ai fallimenti dichiarati negli anni 1997-2002 approvati fino al 15 luglio 2002 aggiornati con l’inserimento per ciascun fallimento di un documento in excel contenente tutte le domande di insinuazione tardiva e i relativi provvedimenti definitori; nei mesi successivi sono stati pubblicati i nuovi stati passivi e gran parte degli stati passivi relativi ai fallimenti dichiarati prima dell’1 gennaio 1997 ed ancora aperti. Gli stati passivi mancanti devono essere trasmessi al provider entro il termine improrogabile del 15 febbraio 2002. Il curatore trasmette al provider la fotocopia dello stato passivo e foglio exel contenente tutte le domande d’insinuazione passiva con i relativi provvedimenti e le domande presentate tempestivamente in relazioni alle quali è stato proposta opposizione allo stato passivo. Nuovi stati passivi E ntro 5 giorni dalla data di esecutività, il curatore deve trasmettere via e-mail al provider all’indirizzo fallimentimonza.statopassivo… il file dello stato passivo redatto in formato excel secondo lo schema già predisposto (ogni riga corrisponde ad una domanda di ammissione; nella prima colonna è indicato il numero della domanda; nella seconda il contenuto della domanda; nella terza i documenti prodotti a fondamento; nella quarta il provvedimento del giudice; nella quinta e nella sesta sono riportati gli importi ammessi in via chirografaria e in via privilegiata). Nello stesso termine il curatore deve trasmettere a mezzo fax al provider il decreto di esecutività dello stato passivo con la firma del Giudice Delegato; è cura del provider eseguire la scannerizzazione del documento, procedendo poi al ricongiungimento con il documento in formato excel. b.2) Aggiornamento dello stato passivo E ntro il giorno 5 di ciascun mese il curatore provvede a trasmettere via e-mail al provider all’indirizzo fallimentimonza.statipassivi lo stato passivo aggiornato al giorno 30 del mese precedente. L’aggiornamento è effettuato dal curatore con riferimento a: – intervenuta opposizione: nella colonna (del documento in ex- cel) in cui è riportato il provvedimento del giudice di ammissione o esclusione del credito il curatore inserisce la frase “proposta opposizione in data…”; – intervenuta definizione del giudizio di opposizione: nella colonna (del documento in excel) in cui è riportato il provvedimento del giudice in sede di verifica il curatore inserisce il dispositivo e la data della sentenza; – intervenuta notificazione di ricorso per insinuazione tardiva: le domande tardive sono inserite, nello stesso documento excel, in coda allo stato passivo, rimanendo dallo stesso staccate da alcune righe in cui compare il titolo “INSINUAZIONI EX ART. 101 L.F.”; all’atto della notificazione del ricorso sono riportati il contenuto della domanda e i documenti prodotti mentre nella colonna destinata al provvedimento del giudice si inserisce l’espressione “sub sudice”; – intervenuta pronuncia sulla domanda di ammissione tardiva: quando interviene il decreto di ammissione del credito o la sentenza in esito al giudizio ex art. 101 c.3 L.F. il dispositivo è riportato nella relativa colonna del documento in formato excel; Il termine deve essere rigorosamente rispettato in quanto sul sito è espressamente indicato che tutti gli stati passivi sono aggiornati al giorno 30 del mese precedente. Ricevuto il file il provider trasmette la risposta di conferma affinchè il curatore possa documentare l’avvenuta trasmissione. Il documento aggiornato comprende l’intero stato passivo e il programma che gestisce il sito, all’arrivo del file, procede automaticamente alla sostituzione dello stato passivo precedentemente caricato. In ogni caso è onere del curatore 131 verificare tempestivamente il corretto caricamento dello stato passivo. Il curatore non trasmette alcun file nel caso in cui nel mese precedente non sia stata presentata alcuna opposizione o domanda di insinuazione tardiva e non sia intervenuta alcun provvedimento decisorio. b.3) Prospetto semestrale E ntro il 30 marzo ed entro il 30 settembre di ciascun anno i curatori devono trasmettere via e-mail al provider all’indirizzo fallimentimonza.prospettisemestrali… il prospetto semestrale predisposto contenente tutti i dati rilevanti per valutare lo stato della procedura e l’efficienza della gestione. Il prospetto deve risultare puntualmente compilato in tutte le sue parti. Il provider provvede a inserire nell’area accessibile ai creditori copia del prospetto da cui sono espunti i dati relativi alle segnalazioni di reati alla Procura della Repubblica ed ai procedimenti penali in corso. Analogamente i commissari (nei concordati preventivi per cessione dei beni i liquidatori) provvedono a trasmettere i prospetti semestrali relativi ai concordati preventivi e le relazioni periodiche nelle procedure di amministrazione controllata. Trenta giorni prima della scadenza del termine il programma che gestisce il sito provvede a trasmettere automaticamente a tutti i curatori e commissari via e-mail un promemoria. Il messaggio è ripetuto con cadenza settimanale fino alla scadenza del termine. Il programma informatico per la verifica e l’elaborazione dei prospetti semestrali provvede alla scadenza a segnalare, via e mail, al curatore interessato ed al giudice delegato la procedura in cui 132 non risulti eventualmente depositato il nuovo prospetto con sollecito a provvedere entro giorni 10. b.4) Progetti di ripartizione e piani di riparto L o stesso giorno dell’invio ai creditori dell’avviso di avvenuto deposito del progetto di ripartizione, sia parziale sia finale, il curatore deve trasmettere via e-mail al provider all’indirizzo fallimentimonza. pianidiriparto… il file del progetto e via fax copia del provvedimento del giudice che concede il termine per la presentazione di osservazioni. Entro 5 giorni dalla data di esecutività il curatore deve trasmettere a mezzo fax al provider il piano di riparto sottoscritto dal giudice. In entrambi i casi il provider provvede in giornata a caricare i documenti sul sito. b.5) Rendiconto E ntro 5 giorni dalla data di deposito del rendiconto, il curatore deve trasmettere via fax al provider il rendiconto e il provvedimento del Giudice Delegato che fissa l’udienza per l’esame. Entro 5 giorni dalla data di esecutività il curatore deve trasmettere a mezzo fax al provider il verbale di dell’udienza. In entrambi i casi il provider provvede in giornata a caricare i documenti sul sito. C) LIVELLO DI ACCESSO RISERVATO AL CURATORE E AL GIUDICE DELEGATO c.1) Prime informazioni sulla fallita e sui soggetti collegati E ntro 30 giorni dalla dichiarazione del fallimento devono essere trasmessi al provider per l’inserimento sul sito tutti i dati acquisibili attraverso banche dati su: compagine sociale ed amministrativa della fallita negli ultimi 3 anni; partecipazioni della fallita in altre società; partecipazioni e cariche dei soci e degli amministratori della fallita in altre società; bilanci della fallita negli ultimi due anni; pregiudizievoli da Conservatoria e protesti su società fallita, amministratori ed altre società individuate. Sul sito vanno inserite tutte le ulteriori informazioni mediante successive ricerche più approfondite su altre società, sul patrimonio degli amministratori o di altri soggetti per i quali si prospettino profili di responsabilità Nel caso in cui tali accertamenti siano commissionati a società di servizi questa stessa provvede a trasmettere via e-mail tutti i documenti al provider. c.2) Prospetto semestrale E ntro il 30 gennaio ed entro il 30 luglio di ciascun anno i curatori e i commissari-liquidatori di concordati preventivi devono trasmettere via e-mail al provider il prospetto semestrale, redatto utilizzando lo schema predisposto dai magistrati della sezione, contenente tutti i dati rilevanti per valutare lo stato della procedura e l’efficienza della gestione. Analogamente devono essere inseriti i prospetti semestrali relativi ai concordati preventivi e le relazioni periodiche del commissario nelle procedure di amministrazione controllata. Il programma informatico per la verifica e l’elaborazione dei prospetti semestrali provvede, a ciascuna scadenza, a segnalare, via e-mail, al curatore ed al giudice delegato la procedura in cui non risulti eventualmente depositato il nuovo prospetto con sollecito a provvedere entro giorni 10. Nel caso di mancato deposito nel nuovo termine viene inviata nuo- va segnalazione via e-mail al giudice delegato. Entro 15 giorni dalla scadenza del termine il provider trasmette a ciascun giudice delegato un c.d. rom con riprodotti tutti i prospetti semestrali e le relative schede di analisi elaborate dal programma. Il provider provvede inoltre alla stampa di tali documenti ed alla loro raccolta in volumi, organizzati in base al nome del curatore, trasmettendoli quindi a ciascun giudice delegato. Contestualmente è trasmesso ai giudici delegati il prospetto generale di sintesi di tutti i fallimenti in cui sono evidenziate le anomalie più rilevanti riscontrate dal programma in ordine alla gestione delle procedure desumibile dagli incroci dei dati contenuti in ciascun prospetto. S i invitano pertanto i curatori fallimentari e i consulenti tecnici di ufficio, per quanto di loro competenza e al fine di rendere possibile una adeguata fruizione del servizio in rete, ad attenersi rigorosamente alla presente circolare, trasmettendo nei tempi programmati i documenti all’indirizzo e-mail [email protected]. Si ricorda che incombe sulla curatela l’obbligo del controllo dell’esattezza delle informazioni fornite sui vari fallimenti e si invita pertanto alla necessaria collaborazione ed interazione con il Provider Planetcom. Monza, 30 novembre 2002 DR. F. LAPERTOSA Presidente Sezione DR. C. MIELE Giudice DR. A. PALUCHOWSKI Giudice DR. R. FONTANA Giudice DR. F. D’AQUINO Giudice 133 L M ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI XXVII CONGRESSO-VENEZIA Documento conclusivo 1. I magistrati italiani vivono quotidianamente con i cittadini l’insoddisfazione profonda per lo stato di crisi in cui versa l’amministrazione della giustizia. L’insostenibilità della situazione è oggi anche esperienza comune delle associazioni forensi, della cultura giuridica, degli altri operatori della giustizia. L’ANM, per tutto ciò che le compete, intende contribuire a determinare le condizioni affinché la giustizia riacquisti appieno credibilità ed efficienza. Da tempo la magistratura ha manifestato il proprio favore, anche con proposte specifiche, alle riforme che migliorino la professionalità dei magistrati e l’organizzazione complessiva del sistema. Ma presupposto indefettibile per un autentico e condiviso percorso di riforme è che nel paese si ristabilisca, come più volte auspicato dal Capo dello Stato, un atteggiamento rispettoso dell’esercizio della funzione giurisdizionale e della connessa dignità dei magistrati. Consapevoli del primato della funzione legislativa, nel quadro dei principi della Costituzione, i magistrati, da parte loro, ribadiscono il doveroso rispetto, da sempre manifestato e praticato, nei confronti del Parlamento e del Governo. 2. Il recupero di funzionalità ed efficienza richiede investimenti commisurati alle reali dimensioni della domanda di giustizia, progetti, capacità di razionale impiego delle risorse. 134 Tutto ciò è oggi assolutamente insufficiente rispetto ai bisogni degli uffici giudiziari. Occorrono anche riforme organiche delle procedure che trovino un punto di equilibrio tra garanzie processuali e funzionalità: valori niente affatto contrapposti ma da portare a sintesi in modo da assicurare la ragionevole durata dei processi e l’effettiva tutela dei diritti. 3. I magistrati sono consapevoli della necessità di migliorare il funzionamento dell’autogoverno sia per aumentare la credibilità della giurisdizione sia per fornire adeguate soluzioni alle esigenze di trasparenze e di buona organizzazione degli uffici giudiziari. 4. La magistratura italiana è impegnata con convinzione nella ricerca di uno spazio comune europeo in materia di libertà, sicurezza e tutela dei diritti. 5. La riforma dell’ordinamento giudiziario è assolutamente necessaria soprattutto per quanto riguarda la valutazione di professionalità dei magistrati, la formazione, selezione e responsabilità dei dirigenti, la temporaneità degli incarichi direttivi, la scuola della magistratura, la costituzione dell’ufficio del giudice, la tipizzazione degli illeciti disciplinari, il rafforzamento delle funzioni dei consigli giudiziari. Il disegno di legge delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario approvato dal Senato, a queste esigenze dà risposte complessivamente insoddisfacenti e tende a ripristinare un ordinamento gerarchico che vulnera il principio costituzionale della pari dignità delle funzioni giudiziarie. Esso non è idoneo ad assicurare una migliore funzionalità ed efficienza del servizio giustizia, né una magistratura professionalmente più qualificata, né ad aumentare il livello di garanzie e di tutela dei diritti dei cittadini. La magistratura ha più volte rappresentato le critiche e i dubbi, anche di ordine costituzionale, sulla disciplina proposta. Ciò che maggiormente preoccupa è il modello di un giudice burocrate e gerarchicamente organizzato contrapposto al modello di giudice delineato dalla Costituzione. Il ripristino di un metodo di selezione interno basato su concorsi a cascata comporta il rischio di ri- durre l’indipendenza interna senza garantire una migliore professionalità in quanto stimola il conformismo giurisprudenziale ed induce a privilegiare una preparazione tecnico-giuridica astratta e slegata dalla concreta attività giudiziaria. L’attribuzione al procuratore della repubblica dell’autocratico ed esclusivo esercizio dell’azione penale, l’esasperata gerarchizzazione dell’Ufficio di procura, il ripristino di un generalizzato potere di avocazione in capo al procuratore generale, esporrebbe al rischio di usi strumentali in violazione, come è già accaduto in passato, dei principi di eguaglianza e di legalità. L’introduzione, sotto forma di illecito disciplinare, di limiti all’attività di interpretazione, rinnega l’ essenza stessa delle funzioni giudiziarie. Così pure, la limitazione degli spazi di partecipazione alla vita sociale si traduce nella pretesa di imporre un modello di giudice avulso dalla realtà del suo tempo. La previsione di percorsi separati fra giudici e pubblici ministeri implica una separazione di fatto delle carriere che allontana il pubblico ministero dalla cultura della giurisdizione. 6. Il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario unitamente alla perdurante inerzia nella razionalizzazione dei sistemi processuali e all’insufficienza degli interventi organizzativi, sembra volta al restringimento dell’ambito della funzione giudiziaria. È a rischio la tutela dei diritti e della legalità demandata dalla Costituzione alla magistratura autonoma ed indipendente. Venezia, 8 febbraio 2004 Gli atti del Congresso Nazionale dell’ANM «Giustizia più Efficiente e Indipendenza dei Magistrati a Garanzia dei Cittadini» (Venezia 5-8 febbraio 2004) e quelli del Convegno Nazionale «Processo e organizzazione: “assemblea” aperta sui problemi della giustizia civile» (Roma 11-12 dicembre 2003) saranno prossimamente pubblicati integralmente su altre riviste. 135 La Rivista è aperta ai contributi di tutti i Colleghi. Chi desideri intervenire, su temi di interesse associativo o su quelli oggetto di dibattito nei numeri precedenti, è pregato di inviare il suo articolo (da contenere, per esigenze di spazio, in non più di tre cartelle), alla Segreteria dell’Anm (fax n. 06.68300190). 136