sul processo civile - Associazione Nazionale Magistrati

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sul processo civile - Associazione Nazionale Magistrati
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ORGANO DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI
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LA MAGISTRATURA
GENNAIO-GIUGNO 2004
ANNO LVIII - TRIMESTRALE - POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. ART. 2 COMMA 20/C LEGGE 662/96 - DCO ROMA
L
M SOMMARIO
Le opinioni espresse in ciascun articolo
sono proprie dell’autore e possono
non coincidere con quelle della redazione
o della direzione o con la linea dell’ANM.
pag.
1
Editoriale di Sergio Gallo
pag.
3
“Lo Stato di diritto ed il ruolo della giurisdizione civile”
di Mario Fresa
pag.
7
Dall’udienza di prima comparizione all’ammissione delle prove:
nella collaborazione tra giudice e avvocato il segreto
di un processo più veloce di Lelio Della Pietra
pag. 14
Considerazioni minime sulla giustizia civile tra problemi
dell’organizzazione e riforme processuali di Riccardo Conte
pag. 20
La giustizia civile come servizio di Alessandro Cajola
pag. 23
Appunti sul progetto di riforma del processo civile e sul nuovo
rito societario di Antonio Didone
pag. 33
Gli interventi sulla disciplina del processo civile di Antonio Scarpa
pag. 38
Il “libro bianco” sul processo civile di Alessandro Pepe
pag. 43
I rimedi organizzativi per un processo più efficiente
di Raffaele Sabato
pag. 47
Le riforme processuali. Il Testo Unificato del Disegno di legge
recante “Modifiche al codice di procedura civile”
di Eduardo Campese
pag. 50
Brevi considerazioni sulle riforme del processo civile
di Maura Nardin
pag. 53
L’esperienza del processo nell’assetto attuale. Le prassi esistenti
e quelle possibili di Luciana Barreca
pag. 64
Le prassi virtuose al bivio tra metodo e inutilità
di Roberto Braccialini
pag. 68
L’ANM e la formazione professionale: un nuovo impegno
di Paolo Martinelli
Direzione e Amministrazione:
Roma - Palazzo di Giustizia,
presso l’Associazione Nazionale Magistrati
Telefono: diretto 06 68.61.266;
centralino 06 68.831; interno 2792
Fax: 06 68.30.01.90
Sito Internet:
http://www.associazionemagistrati.it
Reg. Trib. di Roma n. 259 del 23 giugno 1948
pag. 72
Alcune cose che i giudici possono fare immediatamente
per migliorare la gestione del processo di Francesco Ranieri
pag. 76
Un protocollo romano per la gestione delle udienze civili
di Giorgio Costantino
pag. 79
Stampa: Iasillo Grafica S.r.l.,
Via Barisano da Trani, 26 - Roma
Tel. 06 58.18.747 - 06 58.82.166
Osservatorio sulla giustizia nel Distretto di Salerno
di Maria Faggiano
pag. 82
L’Osservatorio di Firenze di Luciana Breggia
pag. 86
Proposte per un nuovo disegno organizzativo dei servizi giudiziari
di area civile di Daniela Intravaia
pag. 94
Relazione conclusiva di Gianfranco Gilardi
pag. 100
Documento conclusivo del Convegno di Roma
pag. 101
Una campagna per la giurisdizione civile
Finito di stampare il 14 maggio 2004
Progetto grafico di GIGI BRANDAZZA
Direttore responsabile:
ALDO CELENTANO
Direttore:
SERGIO GALLO
pag. 102
Documento ANM Salerno
Vice Direttore:
MARIO FRESA
pag. 107
Le vendite forzate e la ragionevole durata del processo esecutivo
Comitato di redazione:
ANTONIO ARDITURO
LUCIO ASCHETTINO
CARLO CITTERIO
ANNA GIORGETTI
GIUSEPPE RANA
pag. 126
Tribunale di Monza - Sezione Fallimenti-Esecuzioni
di F. Lapertosa, C. Miele, A. Paluchowski, R. Fontana, F. D’Aquino
pag. 134
Documento conclusivo del XXVII Congresso di Venezia
dell’Associazione Nazionale Magistrati
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Editoriale
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fficienza e credibilità della giustizia è il vero problema di
questo inizio di nuovo secolo: efficienza del sistema nel suo
complesso, credibilità dei soggetti che operano per dare una
risposta di giustizia ai cittadini.
Su questi temi e sulla riforma dell’ordinamento giudiziario
la magistratura associata ha dibattuto e discusso con passione ed intelligenza al XXVII Congresso dell’A.N.M. di Venezia dal 5
all’8 febbraio 2004.
Impegno ed appuntamento storico sicuramente riuscito sia sotto il profilo organizzativo sia soprattutto sotto il profilo dei contenuti.
Successo determinato innanzittutto dal numero dei partecipanti: sono
confluiti a Venezia circa ottocento-novecento magistrati.
E poi la massiccia presenza degli organi di stampa e dei mass-media ma
anche di significativi segmenti della società civile e delle Istituzioni.
Ancora non possiamo non salutare con favore anche la presenza dei
rappresentanti delle maggiori organizzazioni forensi che, pur nell’ovvio confronto dialettico tavolta anche aspro, hanno comunque riconosciuto la deficienza dell’impianto riformatore dell’ordinamento giudiziario e la necessità di un più proficuo momento di elaborazione di
idee su tutte le tematiche che coinvolgono il servizio Giustizia.
L’importanza del Congresso di Venezia ha determinato la Giunta Esecutiva Centrale ad un ulteriore sforzo organizzativo ed economico imponendo in tempi brevissimi la pubblicazione in un volume, edito da
Ipsoa nella collana Le proposte della magistratura, di tutti gli atti, gli
interventi, anche quelli solo depositati, del Congresso non limitandoci
a pubblicare su questo giornale i più significativi contributi a cominciare da quelli dei segretari delle componenti associative.
E proprio nell’ottica di fornire un continuo contributo propositivo sulle tematiche dell’efficienza e della credibilità della giustizia abbiamo
inteso dedicare questo numero della Rivista alla pubblicazione degli
atti del Convegno sul processo civile organizzato dall’A.N.M. a dicembre in Roma.
Se vi è un settore della giustizia in cui i cittadini particolarmente patiscono i ritardi e le inefficienze questo è costituito proprio dalla giurisdizione civile in cui maggiore è il contatto degli utenti con i magistrati e con l’intero sistema giudiziario.
Anche e soprattutto per il processo civile si pone l’esigenza della ragionevole durata del processo che è presupposto strutturale del giusto processo nonché limite obiettivo alla discrezionalità legislativa nel senso
che le riforme non possono più prescindere dal perseguimento dei principi fissati costituzionalmente dal nuovo art. 111 Cost.
a sfida dell’efficienza può essere raccolta e vinta solo se tutte le componenti interessate, a cominciare dal Ministro della
Giustizia che in questo contesto svolge un ruolo cruciale dovendo assicurare, ai sensi dell’art. 110 Cost., ferme le competenze del C.S.M., l’organizzazione e il funzionamento dei
servizi relativi alla giustizia, operino quantomeno procedendo
nella stessa direzione anche se ciò presuppone l’esistenza di un minimo di comprensione reciproca dei problemi, dei valori e della cultura
di cui le varie componenti sono portatrici.
In materia di giustizia non si può improvvisare e soprattutto occorre
possedere un bagaglio professionale tale da consentire di comprendere
la specificità dei problemi.
Sul processo civile, in particolare, ultimamente si è particolarmente
soffermata l’attenzione del legislatore: basti pensare al decreto legisla-
1
tivo 17 gennaio 2003 n. 5 in materia di diritto societario, finanziario e bancario, alla legge istitutiva
delle sezioni distrettuali di diritto industriale nonché alle recenti modifiche al codice di rito approvate in commissione legislativa della Camera dei Deputati il 2 luglio 2003.
Soprattutto quest’ultimo disegno di legge, all’esame
del Senato, potrà incidere in modo decisivo sui tempi del processo civile.
Al riguardo mi pare opportuno ricordare tre previsioni normative:
• la prima rappresentata dall’art. 12 contenente la
modifica dell’art. 180 cpc si fissa la possibilità di
procedere all’immediata trattazione della causa
a norma dell’art. 183 cpc qualora vi sia l’istanza
di tutte le parti;
• la seconda costituita dall’art. 13 contenente la
modifica al primo comma dell’art. 184 cpc prevedendosi la possibilità già all’esito della prima
udienza di trattazione di procedere alla ammissione dei mezzi di prova proposti dalle parti e che
il giudice ritiene rilevanti;
• la terza è costituita dall’introduzione della consulenza tecnica preventiva con attribuzione al
consulente tecnico di ufficio della possibilità di
procedere alla conciliazione delle parti e conseguente attribuzione di efficacia di titolo esecutivo
al processo verbale di conciliazione con decreto
del giudice.
erto vi sono anche aspetti che la magistratura ritiene giustamente di non condividere come la modifica dell’art. 70
del c.p.c. con una oggettiva limitazione
della potestà di intervento in udienza
del Procuratore Generale della Cassazione, ma il complesso dell’impianto riformatore appare sostanzialmente di segno positivo.
Perplessità dunque suscita la presentazione in Parlamento del cd. progetto Vaccarella che trasforma il
processo civile sottraendo essenziali e funzionali
competenze al giudice per demandarle alle parti.
Dunque la riforma complessiva del processo civile
costituisce un ulteriore terreno, oltre alla riforma
dell’ordinamento giudiziario, di elaborazione propositiva da parte della magistratura.
Siamo convinti che dal Convegno di Roma di dicembre sono emersi contributi di cui il legislatore
non potrà non tener conto e dunque la pubblicazione di questi atti sulla Rivista rappresenta un ulteriore momento propositivo della magistratura
che, come tale, sarà riconosciuto da tutti coloro
che non hanno posizioni preconcette nei suoi confronti.
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SERGIO GALLO
COMMISSIONE DI STUDIO SUL CIVILE
FRESA Mario
BENSO Alberto
CAMPESE Eduardo
CATALDI Giulio
D’ASCOLA Pasquale
DE CECCO Maria
DIDONE Antonio
GERARDIS Luciano
GILARDI Gianfranco
NARDIN Maura
PAPPALARDO Alfonso
PEPE Alessandro
POMPEI Patrizia
RANIERI Francesco
SABATO Raffaele
SCARPA Antonio
VIRGA Tommaso
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Magistrato Addetto massimario Corte Cassazione
Giudice Tribunale - Torino
Giudice Tribunale - Napoli
Giudice Tribunale - Napoli
Magistrato Applicato Corte Cassazione
Giudice Tribunale - Livorno
Consigliere Corte Appello - L’Aquila
Presidente Sezione Tribunale - Reggio Calabria
Consigliere Corte Cassazione
Giudice Tribunale - Sassari
Giudice Tribunale - Bari
Giudice Tribunale - Napoli
Giudice Tribunale - Firenze
Giudice Tribunale - Roma
Giudice Tribunale - Napoli
Giudice Tribunale - Nocera Inferiore
Consigliere Corte Appello - Palermo
“LO STATO DI DIRITTO
ED IL RUOLO
DELLA GIURISDIZIONE
CIVILE”
L
a tenuta dello Stato di
diritto dipende naturalmente da molteplici
fattori. Tra questi, l’esercizio indipendente
della giurisdizione e
l’efficienza del sistema giustizia
hanno un peso notevole. Esse
rappresentano le due facce della
stessa medaglia e devono essere
sempre sottolineate insieme.
Questo concetto è stato spesso ripetuto dai componenti della
Giunta unitaria dell’ANM nei colloqui sostenuti col Capo dello
Stato, con i Presidenti di Camera
e Senato, con le forze politiche e
con il Ministro.
In questo contesto, caratterizzato
dall’emergere con evidenza di un
“diritto diseguale”, se non di un
diritto dei casi singoli, e dalla
scomparsa di molte garanzie giuridiche nella vita quotidiana, il
ruolo della giurisdizione civile assume fondamentale importanza.
La giurisdizione, infatti, resta priva di significati concreti se perde
il contatto con la vita, se non resta ancorata alla realtà di ogni
giorno e non riesce a dare celere
ed efficace risposta alle domande
di giustizia, legalità, certezza dei
rapporti giuridici, sicurezza, che
le provengono dalla società civile. Se la giurisdizione non riesce
ad assicurare ciò, se non riesce
più a svolgere il compito principale, di fattore di equilibrio sociale e strumento di tutela dei diritti, lo Stato potrà pensare in futuro di fare a meno dei giudici,
che – in un sistema in cui la giu-
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stiziabilità dei contrapposti interessi in gioco ha tempi lunghi e
percorsi tormentati – sono un
ostacolo per l’economia e le logiche del mercato, insofferenti verso i limiti loro imposti dalle regole del diritto.
Invece, la giurisdizione civile – a
volte dimenticata nei pubblici dibattiti; considerata all’interno come il serbatoio a cui si possa attingere per ogni esigenza del settore penale; sottoposta dall’esterno ad un continuo processo di
erosione – ha il compito non facile di “ricucire gli strappi”, trovare
una sintesi sul terreno della difesa
ed affermazione quotidiana dei
diritti, ricostruire una concezione
unitaria della giurisdizione come
strumento di promozione di
uguaglianza e di legalità.
llora, sul piano interno, fondamentale
è un rinnovato impegno di noi tutti e del
CSM per migliorare
credibilità e funzionalità della giurisdizione.
L’essere indipendenti non significa comportarsi come se non si
debba rendere conto a nessuno
del modo in cui si organizza e si
fa il proprio lavoro. Si assiste, invece, ad uffici nei quali precetti
ordinamentali di grande importanza restano inattuati; si assiste a
carenze di vigilanza; a proposte
tabellari che non contengono un
progetto organizzativo calato nella concreta realtà dei bisogni di
giustizia del luogo; alla mancanza di programmi idonei a fornire
A
3
una risposta di giustizia ai cittadini in tempi ragionevoli; alla
mancanza di confronti e dibattiti sui problemi dell’ufficio e sugli orientamenti giurisprudenziali. Non ci si avvale sempre dello
strumento previsto dall’art. 47
quater ord. giud. per discutere
degli obiettivi programmati e limitare i contrasti inconsapevoli
che rappresentano ovunque una
piaga, destinati come sono a moltiplicare le occasioni di contenzioso.
Sono necessari criteri organizzativi obiettivi e predeterminati ed il
CSM deve proseguire lungo la
strada intrapresa sul piano tabellare, ove oggi non è posta attenzione al solo principio del giudice naturale, ma ad un complessivo progetto organizzativo degli
uffici, secondo esigenze di funzionalità.
Anche sul piano della formazione professionale va proseguita la
strada intrapresa. Carlo Verardi
diceva che l’attuazione del giusto
processo passa, prima di ogni altra cosa, “da una riforma delle
culture e della deontologia che
consegni al processo protagonisti culturalmente preparati, efficacemente organizzati, legati da
una comunanza dei valori di fondo”. Di qui lo sforzo per il CSM
di realizzare, in sintonia con i
valori costituzionali, l’unico modello di giudice possibile per il
nostro ordinamento, professionalmente preparato, capace di
far fronte alla complessità con
la specializzazione, consapevole
che l’indipendenza non è un privilegio di categoria, ma una garanzia di impegno che il cittadino ha il diritto di vedere sempre
attuato.
Rinnovamento di professionalità
che vale, naturalmente, anche per
il personale amministrativo, per
gli “operatori” del diritto in genere e per l’avvocatura, chiamati tutti a concorrere alla costruzione di
uno spazio giuridico comune.
4
S
ul piano esterno, è
giunto il momento di affrontare il delicato tema
del rapporto tra giurisdizione ordinaria ed amministrativa. Il legislatore ha infatti introdotto tali e tante
ipotesi di giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo che il
disegno del Costituente – caratterizzato dalla centralità della
giurisdizione ordinaria nella tutela dei diritti anche nei confronti
della P.A. – è stato stravolto nello
spirito.
Occorre essere consapevoli della
centralità del problema, anzitutto
nell’ottica delle garanzie dei cittadini: il principio di uguaglianza è
vulnerato dalla sottrazione delle
decisioni del Consiglio di Stato al
ricorso in Cassazione per violazione di legge; poi, anche nell’ottica della corretta collocazione
istituzionale della magistratura ordinaria che, oggi, è posta notevolmente a rischio dinanzi a un disegno politico il cui obiettivo è di
creare una magistratura di serie A
(quella amministrativa) ed una di
serie B (quella ordinaria), alla
quale devolvere le controversie di
minor peso economico e sociale,
ritagliando le une dalle altre sulla
base di discutibili canoni interpretativi, ispirati alla nuova ideologia
del G.A. come giudice dell’interesse pubblico.
Devono essere contrastate proposte di riforma fondate sul riparto
della giurisdizione “per materie
omogenee”, che lasciano al legislatore la libertà di scegliere il
giudice a seconda delle contingenze del momento, introducendo nell’assetto costituzionale di tipo rigido pericolosi elementi di
flessibilità.
Dev’essere quindi affrontato in
modo serio, senza condizionamenti corporativi, il tema dell’unità della giurisdizione (da ripartire in sezioni specializzate, civili,
penali ed amministrative), nella
consapevolezza che mettere in
comune ed unire le esperienze
maturate dai giudici amministrativi e ordinari non significa disperderle ma, al contrario, rappresenta un’opportunità di crescita reciproca, necessaria per l’innalzamento qualitativo della giurisdizione nel suo complesso.
n questo contesto, l’ANM
è consapevole del ruolo
propositivo che statutariamente le compete, impegnata com’è a salvaguardare questo impianto costituzionale, contrastando controriforme peggiorative del sistema giustizia ed a proporre riforme, come
quella sulle valutazioni di professionalità o quella, appena enunciata, in tema di unità della giurisdizione; e, sul piano interno, a
non far mancare, nel rispetto
dei diversi ruoli istituzionali, il
suo apporto di stimolo e di attenzione critica sulle concrete
prassi di funzionamento affinché il CSM sia sempre più all’altezza del ruolo che la Costituzione assegna ad esso.
È per questo che l’ANM, sin dalla
costituzione del nuovo CdC, ha
inteso dare nuova linfa al dibattito sulla giustizia civile ed a realizzare un cambio di ritmo all’impegno associativo nel settore, recependo alcuni input provenienti
dall’attività di singole organizzazioni di magistrati ed avvocati, del
mondo accademico e della società civile in genere.
Di qui, l’immediata operatività del
gruppo civile dell’ANM, che –
quale componente del CdC – ho
il piacere, l’onore, ma anche l’onere di coordinare.
Forse la novità di impostazione,
che si può cogliere nella nostra
attività, è rappresentata dal proposito – già evidenziato dai movimenti di opinione cui accennavo – di non mettere al centro
della discussione solo le riforme
del processo, convinti come siamo che, se al buon funzionamento della giustizia giovano
I
anche modifiche della disciplina processuale, altre sono
le urgenze del sistema giudiziario italiano.
Il gruppo civile ha quindi iniziato
la redazione di un “libro bianco”
delle prassi, allo stato non definitivo né prescrittivo, da offrire al
dibattito degli operatori, arricchendosi ogni volta di nuovi contributi, precisandosi, modificandosi, operando come strumento
di discussione e confronto anche
per sollecitare miglioramenti organizzativi. In tal modo intende
svolgere la sua parte proponendosi come luogo di verifica e discussione delle prassi, e tramite
di diffusione delle esperienze positive.
L’ANM non ha ignorato l’importanza delle riforme processuali
in itinere ed ha espresso posizione favorevole al disegno di
legge unificato approvato dalla
Camera il luglio scorso, auspicando – in un documento generale
ed in una articolata “scheda” di
osservazioni tecniche – che le
modifiche processuali, finalizzate
come sono a venire incontro in
maniera razionale alle prospettate
esigenze di celerità, si traducano
rapidamente in legge.
Viceversa, ha svolto critiche al
c.d. “progetto Vaccarella” ed alla legge delega approvata dal
Consiglio dei Ministri in maniera
contraddittoria, appena tre mesi
dopo: se il processo è – nel quadro degli artt. 3, 24 e 111 Cost. –
una funzione pubblica dello Stato, l’attività processuale implica
un ruolo di impulso e coordinamento che, per coerenza, dev’essere individuato nella figura del
giudice. Allo Stato di diritto che
promuove l’uguaglianza sostanziale non interessa solo che a pronunciare la sentenza sia il giudice, ma interessa anche il modo in
cui si perviene alla pronuncia; e
l’apporto del giudice, fin dalla fase iniziale del processo, è stato ritenuto, nella nostra secolare evo-
luzione giudiziaria, elemento essenziale alla tipica funzione di ricerca della verità.
In sintesi, la “privatizzazione” del
processo, senza le garanzie assicurate dall’intervento del giudice,
acutizza la disparità delle parti, a
vantaggio di quelle economicamente più forti e con inevitabili
ricadute sulla giusta definizione
della controversia.
ell’ottica, però, di un
rovesciamento di
metodo nella lettura della realtà giudiziaria, il gruppo
civile dell’ANM ha allestito a Roma, nello scorso dicembre, un Convegno dal titolo
“Processo e organizzazione”,
in una linea peraltro di continuità
ideale con le iniziative in tema di
professionalità della primavera
2003 e con le giornate per la giustizia del successivo autunno, dove i diversi aspetti dell’efficienza
in genere, del miglioramento dell’autogoverno, della denuncia
delle disfunzioni, della difesa dell’indipendenza, sono stati collegati come elementi tutti essenziali, onde assicurare una giustizia
più funzionale ai cittadini.
Il Convegno di Roma è stato utile
luogo di confronto e primo momento di raccolta del “libro bianco”, destinato ad arricchirsi tramite il dibattito che dev’essere alimentato nei singoli distretti. Esso,
a fronte di una partecipazione di
magistrati sufficiente ma non ottimale, ha visto un’alta qualità di
interventi provenienti dall’avvocatura, dal mondo accademico,
da esperti dell’organizzazione, da
funzionari amministrativi e altri
“operatori” del diritto. Ha avuto
quindi un grande successo di
contenuti e ha evidenziato la
convinzione di tutti di poter migliorare la qualità del servizio
giustizia, con diminuzione dei
tempi di durata dei processi, anche alla stregua della sola normativa vigente, diffondendo le
N
“buone prassi” che sono state
sperimentate con successo nelle
diverse sedi locali, pur nella consapevolezza della specificità di
ciascun contesto organizzativo e
delle difficoltà maggiori o minori
che lo caratterizzano. Di qui il
progetto di arricchire e completare il “libro bianco” che – sottoposto a discussione e verifiche nei
diversi distretti – potrebbe diventare un vero e proprio “protocollo” delle prassi, eventualmente
recepito dal CSM.
Il compito dell’ANM è quindi duplice:
a) sviluppare il dibattito apertosi a Roma nelle varie sedi
locali, raccogliendo e diffondendo tutto quello che di buono è stato fatto e si sta facendo
nei diversi uffici giudiziari per
cercare di limitare i disagi di
processi lunghi e sofferti ai cittadini utenti;
b) completare il “libro bianco” lavorando insieme ai rappresentanti delle associazioni
forensi, del mondo accademico (con partecipazione di giuristi, ma anche di tecnici dell’organizzazione), dell’amministrazione della giustizia (con
l’utile contributo di dirigenti e
funzionari di cancelleria) e, in
genere, dei settori interessati
della società civile.
Con riguardo al primo profilo, è
necessario programmare una serie di convegni o seminari nelle
varie sedi locali, da tenersi da qui
al prossimo mese di luglio.
Con riguardo al secondo profilo,
formulo ufficialmente in questo
Congresso, a nome del gruppo civile dell’ANM e di coloro i quali la
hanno condivisa al convegno del
dicembre scorso su “Processo e
organizzazione”, la proposta di
costituire un gruppo di lavoro “allargato”, con partecipazione dei rappresentanti dell’avvocatura, del mondo accademico, dell’amministrazione
della giustizia e di chiunque
5
sia interessato ed in grado di
fornire utili apporti per questo comune impegno, fondamentale per la tenuta dello
Stato di diritto e lo sviluppo
del processo democratico nel
Paese.
Un tavolo di lavoro comune, al
quale partecipino tutte le categorie e gli operatori interessati ad
una giustizia civile più rapida e
giusta, è oggi più che mai una necessità. Come ha affermato Gianfranco Gilardi, a conclusione del
6
Convegno romano, “sui temi della giustizia nulla potrebbe essere
più dannoso quanto la separatezza, l’incomunicabilità, le distanze,
il procedere delle proposte in ordine sparso e ciascuna per conto
suo”. Invece “l’ANM è convinta
che il processo non possa trasformarsi in fattore di divisione e di
scontro e che dovrebbe invece
costituire luogo di analisi costruttiva in cui – confrontando le diverse soluzioni – si possano trovare quelle più conformi all’inte-
resse generale della collettività.
Avviare quel confronto che sino
ad oggi è mancato sarebbe di
grande aiuto per superare visioni
astratte ed evitare soluzioni affrettate”.
Ebbene sì, ha ragione Sergio Zavoli: “Di questi tempi non ci si
salva uno alla volta, o ci si salva
tutti o nessuno”.
E la Giustizia è di tutti.
MARIO FRESA
Massimario della Corte di Cassazione
DALL’UDIENZA
DI PRIMA COMPARIZIONE
ALL’AMMISSIONE DELLE PROVE:
NELLA COLLABORAZIONE
TRA GIUDICE E AVVOCATO
IL SEGRETO
DI UN PROCESSO PIÙ VELOCE
L
M
“…e questo accade …quando è un giudice
che si rende conto degli immensi
vantaggi che ha un quarto
d’ora di dialogo con le parti” (C. CONSOLO)
1.
Un giorno il grande direttore d’orchestra Riccardo
Muti tenne un concerto al
Teatro S. Carlo di Napoli.
Alla fine dello spettacolo,
e sulla stampa del mattino
seguente, con la veemenza che
gli è propria Muti si lamentò che,
dopo l’ultima nota, gran parte del
pubblico aveva frettolosamente
lasciato la sala.
In linea teorica una giusta protesta:
per assaporare le frasi musicali appena concluse, e comunque per
ringraziare l’orchestra dell’impegno profuso era – ed è – auspicabile applaudire il più a lungo possibile (tenuto conto, ovviamente,
della qualità dell’esecuzione).
In pratica, una critica che ignorava le condizioni in cui viene a trovarsi il pubblico napoletano al
termine degli spettacoli serali:
parcheggi non ve ne sono, i taxi a
quell’ora scarseggiano, gli autobus sono ridotti al lumicino. Con
la conseguente necessità di fuggire dal Teatro, nel senso letterale
del termine, per assicurarsi un
mezzo di trasporto.
Non c’entra nulla con le prassi
virtuose, se non che l’episodio
dimostra come i conti non possano farsi in astratto, bensì pren-
dendo in considerazione le diverse realtà. E come molte città italiane a sera tardi non garantiscono un agevole rientro degli spettatori, così le condizioni della
stragrande maggioranza dei nostri
uffici giudiziari rendono vane le
iniziative di magistrati, avvocati e
personale ausiliario.
Non dirò, allora, di idee irrealizzabili – opero in un tribunale in
cui solo l’impegno straordinario
di tutti consente di gestire il lavoro quotidiano – quanto piuttosto
di piccole cose che consentirebbero di mettere su, giudici e difensori, la rappresentazione di un
processo più logico.
D’accordo con la dr.ssa Barreca e
il prof. Costantino ho ritenuto opportuno ritagliare il mio spazio
partendo da una constatazione
(dal punto di vista dell’avvocato):
certi tempi del processo post riforma, e certe prassi (dall’inutile
passaggio all’udienza ex art. 180
c.p.c., all’inutilizzato, nella maggior parte dei casi, termine per le
memorie dell’ultimo comma dell’art. 183 c.p.c.) sono entrati a far
parte del nostro patrimonio genetico. E la prospettiva, per chi intraprende un giudizio di cognizione – o sta dalla parte di chi lo
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subisce – è quella oramai consolidata di una partenza ritardata.
Poi, quando finalmente si è incamminato, il giudizio subisce un
processo di standardizzazione,
nel senso che per il giudice troppo spesso le cause sono tutte
uguali, fruiscono dei medesimi
rinvii, vengono scarsamente filtrate quanto alle richieste istruttorie,
sono distrattamente seguite nell’assunzione delle prove.
Non è sempre così, per fortuna; è
lecito, tuttavia, desiderare un processo in cui non solo l’avvocato
chiami per nome la causa, conoscendone ogni aspetto, ma anche
il giudice dia del tu alla controversia, assicurando a ciascuna
questione una via per così dire
individuale.
Gli avvocati, si sa, hanno molto
da fare, raramente si presentano
preparati in udienza (quando non
inviano propri collaboratori all’oscuro di tutto) e troppo spesso
vanno di fretta. Bisogna convincerli, dunque, che il giudice conosce di ogni causa e ha un pensiero per ciascuna di esse; in altre
parole, che si è riappropriato dei
poteri di direzione del processo.
Poteri il cui corretto ed equilibrato esercizio è, a mio parere, un
momento della giurisdizione qualificante quanto (se non più di)
quello della decisione (1).
La mia proposta non è
nel senso di un processo più veloce; la maggior parte delle cause
finisce …in sentenza,
e per quanto si possa
aver percorso a passo spedito tutte le tappe, il giudice potrà pur
sempre redigere un numero di
decisioni limitato e, comunque,
ridotto rispetto alle controversie
che ha sul ruolo (2).
Intendo dar voce, piuttosto, ad un
modello di processo moderatamente lento, ma preparato, seguito, meditato in ogni suo momento da tutti gli interpreti (e nell’espressione comprendo anche il
personale di cancelleria).
A tal fine non mi perderò in laboriose distinzioni. Che all’udienza
di prima comparizione una sola, o
tutte le parti, manifestino l’intenzione di precisare le conclusioni,
venga sollecitata l’immediata nomina del consulente d’ufficio, siano avanzate istanze di condanna
2.
(1) Nella presentazione del protocollo romano, gentilmente
trasmessomi dal prof. Costantino, Egli mi conferma nella convinzione, ribadendo come “non è chi non veda che l’efficienza del processo civile e la effettività della tutela giurisdizionale dipendono anche, se non soprattutto, dai provvedimenti ordinatori. I criteri di valutazione dell’economia processuale,
inoltre, influiscono sulla concreta struttura del processo, che,
a seconda dei criteri in concreto adottati, finisce con l’essere
diverso da ufficio a ufficio, se non addirittura, da giudice a
giudice”.
(2) «E questo è il punto. Quelle venti o trenta cause che il giudice si era trovato a “gestire” in una sola ora del giorno di prima udienza e che nel tempo aveva portato avanti in parallelo
diluendo equamente i tempi di trattazione di tutte, adesso si
presentano contemporaneamente di fronte a lui. Ma questa volta non può più gestirle in parallelo e, soprattutto, non può dedicare loro pochi minuti. Ciascuna sentenza richiede tempo.
Un tempo variabile in ragione della complessità della causa e
della abilità del giudice. Ma in ogni caso un tempo enormemente superiore a quello che era stato necessario perché la causa entrasse nel suo ruolo e nella sua agenda», Zan, Fascicoli e
tribunali, Bologna, 2003, 48-49.
(3) ACIERNO, Gli strumenti e le prassi acceleratorie nel processo
di cognizione e nei procedimenti sommari, Relazione al corso
di studio del CSM “La durata ragionevole del processo civile”,
8
anticipata, richieste di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, può accadere, e sarà accaduto frequentemente (3).
Più spesso, tuttavia, il giudizio segue per intero, fino alla foce delle
conclusioni (4), il naturale alveo
delineato dal legislatore. Rispetto
al cui farraginoso disegno qualcosa sono certo si possa fare, almeno per evitare che le udienze svolte nell’ignoranza (bilaterale, del
giudice e dell’avvocato) della causa, la richiesta di termini per ripetute memorie, verbali pieni di
insignificanti impugna e insiste
(5), l’espletamento di elefantiache
prove (colpa dell’avvocato che
non sa distinguere il necessario
dal superfluo, ma anche del giudice che non filtra adeguatamente le
istanze istruttorie), continuino a
dar mostra di sé in un processo
che si trascina quasi meccanicamente fino all’imbuto (6) della
sentenza. E per consentire, altresì,
di portare in decisione non tanto
un ristretto numero di liti, quanto
piuttosto, per ciascuna di esse, un
limitato numero di questioni davvero controverse (7).
13-15 gennaio 2003, nota 1: «…l’anticipazione dei provvedimenti in oggetto all’udienza ex art. 180 c.p.c. evidenzia l’esigenza del giudice di “esprimersi” ed “orientare” il processo rispondendo a tutte le istanze delle parti alla luce della cognizione fondata sulla base dei fatti allegati mentre la soluzione contraria privilegia la necessità di lasciare alle parti la libertà di
completare la discovery relativa all’allegazione dei fatti prima
di assumere provvedimenti anche anticipatori a contenuto deliberativo».
(4) Con la sentenza siamo nel mare aperto della “solitudine organizzativa del giudice”, ZAN, op. cit., 69.
(5) Come sempre lucida è l’analisi di CIPRIANI, Per un nuovo
processo civile, Foro it., 2001, V, 325: “I verbali delle udienze, sovente sgrammaticati e illeggibili, costituiscono un grosso problema sul quale non mi pare che si sia adeguatamente riflettuto.
Essi sono la conseguenza della teoria (e della norma) per la
quale la trattazione della causa deve essere orale. Ormai a verbale si dettano vere e proprie comparse, tanto che taluni avvocati si presentano in udienza con sette o otto pagine di verbale
già scritto o, meglio, dattiloscritto. Bisogna far capire agli avvocati che devono scrivere comparse e non verbali”.
(6) L’espressione è ancora di ZAN, op. cit., 49.
(7) VIAZZI, La riforma del processo civile e alcune prassi giurisprudenziali in materia di prove: un nodo irrisolto, Foro it.,
1994, V, 118, ricorda l’osservazione di Pivetti secondo cui “il so-
È inutile dire – lo avete letto nel
programma – che le riflessioni
che vi sottopongo avvengono de
iure condito. Non so se il nuovo è
alle porte; quel che so, invece, è
che non è inutile essere qui a discutere sul processo allo stato degli atti per evitare, ove il nuovo
dovesse sopraggiungere, di cadere negli stessi errori e assecondare altre prassi distorte.
Premesso che andrebbe
incentivato l’utilizzo dell’art. 168 bis, ult. co.,
c.p.c. – la cui pratica disapplicazione è dovuta
anche al fatto che in
molti uffici giudiziari la disposizione è tenuta in nessun conto
dalle cancellerie che, dopo la designazione e i conseguenziali
adempimenti, omettono di trasmettere la causa all’istruttore (8)
– muoviamo da un dato che possiamo considerare assodato. L’udienza di prima comparizione
serve al giudice al più per effet-
3.
tuare il ponderato smistamento
delle cause fissando la vera
udienza di merito, quella di trattazione, come se il giudizio iniziasse con ricorso.
E ciò indipendentemente dall’intervento della S.C. – soltanto l’accordo delle parti o l’espressa rinunzia del convenuto costituito,
consente di anticipare all’udienza
ex art. 180 c.p.c. attività destinate
a quella successiva (9) – perché
se il convenuto è legittimato a ritenere che la trattazione della
causa non inizi anteriormente alla
seconda udienza, l’attore vivrà
sonni tranquilli ché prima di
quella data nulla può accadere;
e il giudice dovrà impegnarsi
solo in vista di una ordinata calendarizzazione delle successive
udienze (10).
Dobbiamo rassegnarci, insomma,
alla considerazione che quel passaggio sia un momento ineludibile (11). Non dobbiamo rassegnarci al fatto che si tratti anche
vraccarico certamente esiste ma esso deriva anche dal fatto che
il giudice non conosce e non governa il processo perdendo a
causa di ciò quelle occasioni (numerosissime e importantissime) di chiarimento, di semplificazione, di conciliazione, di
scoraggiamento delle questioni inutili o pretestuose che una vigile e attiva presenza consentirebbe di utilizzare e, quindi, in
definitiva, perdendo la possibilità di avere meno cause da decidere e (ciò che più conta) di avere cause costituenti il risultato
di una razionale attività preparatoria e non la stratificazione
di elementi che si sono affastellati disordinatamente e perfino
casualmente”.
(8) La constatazione è di TEDESCO, Organizzazione ed «agenda»
del giudice; correttivi per abbreviare i tempi del processo; riflessioni sulla «specializzazione», Relazione al corso di studio del
CSM “Ragionevole durata del processo civile”, 13-15 gennaio
2003, il quale sottolinea come il giudice dovrebbe differire quanto meno le udienze che sa di non poter tenere, perché ammesso a un corso di formazione oppure in ferie.
(9) Cass. 24 maggio 2000 n. 6808, Foro it., 2000, I, 3163, annotata da CIVININI; Corr. giur., 2000, 1317, con commento di CONSOLO; Giust. civ., 2000, I, 229, con nota di SASSANI, La prima udienza di comparizione e il «diritto al termine» del convitato di pietra; Giur. it., 2001, 718, con nota di DIDONE, C’era una volta la
Cassazione e la concessione del termine ex art. 180 c.p.c. al
convenuto contumace, e SALETTI, Contumacia e prima udienza
di trattazione: ovvero del diritto alla lentezza del processo; SANTANGELI, L’udienza di prima comparizione in una interpretazione della Suprema Corte (Considerazioni sul «precedente giudiziario»), Riv. dir. proc., 2001, 559; CAPELLI, Prima udienza di trattazione: un passaggio necessario, Riv. trim. dir. e proc. civ.,
2001, 567. Peraltro Corte Cost. (ord.) 30 gennaio 2002 n. 3, Giur.
it., 2002, 2247, con nota di POLISENO, L’art. 180, 2° comma c.p.c.
di un momento inutile, poiché,
eseguite le verifiche preliminari
per le quali il giudice deve evidentemente essere a conoscenza
della causa, qualcosa si può fare.
Qualcos’altro, invece, si potrebbe
provare a non fare.
Sotto il primo profilo, all’esito
dell’udienza ex art. 180 c.p.c. il
giudice potrebbe inserire a verbale – quanto meno nelle cause in
cui, già in partenza, non può presumersene l’inutilità – l’espresso
invito alle parti a comparire personalmente a quella successiva,
per un libero interrogatorio realmente voluto e debitamente programmato.
I detrattori dell’istituto diranno
che se poi le parti non intendono
presentarsi, per propria scelta o
per scelta dell’avvocato, ci sarà
veramente poco da adoperarsi.
Sennonché, da un lato, è manifesta la diversa portata, anche psicologica, dell’ordine del giudice;
dall’altro, proprio perché questi
fra dubbi di legittimità costituzionale e prospettive di riforma, ha
dichiarato inammissibile la questione di illegittimità costituzionale della disposizione, sollevata quanto alla mancata previsione
dell’onere per l’attore di notificare al contumace il verbale contenente il termine per proporre le eccezioni non rilevabili d’ufficio.
Ricordo anche che, secondo Cass. 9.4.2001 n. 5262, Giut. civ.,
2002, I, 3242, ove il giudice si limiti a rinviare la causa all’udienza di trattazione, il termine di cui al 2° comma dell’art. 180 c.p.c.
deve intendersi fissato in misura pari a quella legale; mentre per
Cass. 29.10.2001 n. 13414, Foro it., 2002, I, 2787, la mancata assegnazione del termine non produce nullità della sentenza di primo grado, sempre che tra le udienze di prima comparizione e di
trattazione siano intercorsi almeno venti giorni.
(10) Non è mia intenzione entrare nella disputa tra fautori dell’udienza a ora fissa, a gruppi di cause per ciascuna ora, ad
adempimenti diversi (nell’ordine del codice) per ciascuna frazione di tempo. La raccolta di prassi dell’Associazione Nazionale Magistrati – punto 1.2. lett. c – suggerisce udienze per fasce
orarie destinate alla trattazione delle diverse fasi processuali. Da
un canto, però, sono convinto che le esigenze, e le attitudini organizzative, siano diverse da giudice a giudice; dall’altro, proprio perché ciascun giudice non può conoscere le udienze degli
altri, dinanzi ai quali l’avvocato quel giorno è parimenti impegnato, mi faccio promotore di un atteggiamento, un po’ partenopeo, di tolleranza.
(11) CHIARLONI, Giudice e parti nella fase introduttiva del processo civile di cognizione, Riv. trim. dir. e proc. civ., 1999, 390,
“Se il giudice non è più in grado, prima di incontrare le parti,
di conoscere l’altra metà dell’episodio della vita che è chiamato
a giudicare, egli continuerà a sentirsi sollecitato a mantenere la
comoda prassi di stare all’oscuro di tutto fino al momento dell’avvio della fase decisoria”.
9
ha espressamente dichiarato la
necessità dell’interrogatorio, più
facile sarà per lui trarre le conseguenze di una mancata comparizione che non potrà (salve le dovute eccezioni) non attribuirsi a
consapevole decisione.
All’udienza dell’art. 180 c.p.c., invece, non si dovrebbero concedere indiscriminatamente le memorie del 2° comma; a meno che,
è ovvio, siano sorte questioni,
dalla non facile soluzione orale,
di integrità del contraddittorio,
nullità della citazione, ecc. Contrastando, in tal modo, l’abitudine
degli avvocati di voler fornire risposte immediate alle difese della
controparte (è esperienza quotidiana che per alcuni difensori la
dialettica nel giudizio diventa
quasi un fatto privato).
È vero, manca nella norma una
stretta relazione tra verifiche e
comparse; ma, probabilmente,
perché si tratta dell’interpolazione nel nuovo testo dell’art. 180
c.p.c. della vecchia formulazione
che, tuttavia, si riferiva all’intera
trattazione della causa.
“Rare volte un interrogatorio libero, condotto
con impegno, omette di
lasciar traccia sul restante corso della causa…”. L’osservazione
4.
di Consolo (12), e l’auspicio della Associazione Nazionale Magistrati (al punto 1.2, lett. e, della
raccolta di prassi) di un’effettività
dell’interrogatorio non formale e
del connesso tentativo di conciliazione (13), non possono che
trovarmi d’accordo.
Alcuni anni fa diedi inizio al mio
intervento a uno dei corsi di formazione del CSM (14) narrando
di un giudice che, all’attrice seduta per il libero interrogatorio,
aveva domandato se avesse qualcosa da dichiarare. E di uno spiritoso avvocato che aveva risposto Non siamo alla dogana! Lei,
signor giudice, ha qualcosa da
chiedere?
Ne deducevo che eravamo in presenza di uno strumento poco conosciuto o, più semplicemente,
non adeguatamente utilizzato, e
ciò anche per motivi non strettamente processuali (eccessivo carico dei ruoli di udienza, difensori
che temono di vedere rovinare faticose costruzioni giuridiche per
mano del proprio assistito).
Invece, se la natura della causa
lo consente è certo che ci troviamo di fronte a un momento
particolarmente importante dell’udienza di trattazione.
Né bisogna cedere alla tentazione
di considerare la conciliazione
(12) CONSOLO, La trattazione nella fase introduttiva del processo: un primo bilancio nel (semi-)decennale, Giur. it., 2001,
1072.
(13) “…previa adeguata preparazione sull’oggetto della causa
e predeterminazione di uno spazio di tempo adeguato per tali
incombenti, tenendo conto della complessità della controversia
e del numero delle parti; svolgimento dell’interrogatorio solo alla presenza delle parti, dei loro procuratori generali o speciali e
dei rispettivi difensori; verbalizzazione delle dichiarazioni in
modo da far emergere se le stesse siano state rese a domanda
del giudice o spontaneamente dalla parte (ai fini della loro
eventuale efficacia confessoria) nonché i punti di convergenza
e di divergenza delle parti (onde circoscrivere il thema probandum)…”.
(14) La relazione, L’interrogatorio della parte: interrogatorio libero e interrogatorio formale, è pubblicata in Giur. merito,
2002, 1107.
(15) L’affermazione ha ottenuto l’avallo di Cass., Sez. un., 23
gennaio 2002 n. 761 (la si legga, insieme a Cass. 17 aprile 2002
n. 5526, Cass. 2 aprile 2002 n. 4685, Trib. Foggia 7 maggio 2002,
10
un’eventualità poco frequente:
anche quando fuori del giudizio
abbiano manifestato indisponibilità, le parti possono mutare atteggiamento proprio al cospetto
di un soggetto, rivestito dell’autorità del giudice, che riprenda il filo delle trattative, eventualmente
limando le intese raggiunte o promuovendone di nuove.
A questo punto delle due l’una: o
il giudice sarà riuscito a eliminare
la causa dal proprio ruolo, ovvero
avrà fatto aprire le parti sul giudizio, sui fatti, sulle domande, con
la certezza di un benefico effetto
quanto al prosieguo della lite.
È sufficientemente noto, infatti,
che le circostanze non contestate
sono quelle la cui esistenza non
viene messa in dubbio dalla controparte e che, conseguentemente, non hanno necessità di essere
dimostrate da colui che le ha allegate e intende giovarsene (15).
Ove, pertanto, al libero interrogatorio le parti si presentino, rispetto alle allegazioni e deduzioni di ciascuna di esse, in una collocazione per così dire neutra, la
momentanea irrilevanza probatoria delle rispettive prospettazioni potrà rimuoversi proprio
per effetto delle domande loro
informalmente rivolte dal giudice (16). E di una mirata verbaliz-
in Foro it., 2002, I, 2017, con nota di CEA, Il principio di non
contestazione al vaglio delle sezioni unite; nonché in Corr.
giur., 2003, 1342, annotata da FABIANI, Il valore probatorio della
non contestazione del fatto allegato). La Corte, nell’evidenziare
che le dichiarazioni delle parti, rese in sede di libero interrogatorio, su fatti conosciuti solo da esse e non contraddetti da contrari elementi probatori, possono rappresentare fonte unica del
convincimento del giudice, ha confermato “il principio a mente
del quale la prova è irrilevante ove abbia ad oggetto fatti pacifici per essere stati ammessi dalla parte e per avere la parte interessata basato il suo sistema difensivo su argomenti logicamente incompatibili con il loro disconoscimento”. Il ragionamento, formulato quanto all’interrogatorio ex art. 420 c.p.c.,
considerato doveroso a differenza di quello prescritto dall’art.
117 c.p.c. come mera facoltà che il giudice può esercitare in
ogni momento, può ovviamente estendersi all’interrogatorio dell’udienza di trattazione solo se gli si conferisce il medesimo carattere di obbligatorietà.
(16) Formulate le quali può accadere che: A) una delle due parti, non indotta dal giudice, affermi come vero un fatto a sé sfa-
zazione, eseguita in modo da far
emergere le questioni non controverse (sotto il duplice profilo
delle affermazioni che, senza
specifica sollecitazione del giudice, possono generare confessione, e delle risposte che, dando
luogo ad ammissione o non contestazione, consentono solo – ma
è già tanto – di eliminare i fatti
ammessi e non contestati dal thema probandum).
Per quanti sforzi si possano fare al fine di evitare attività processuali
superflue, è esperienza
comune che una non sia
proprio eliminabile. Mi
riferisco all’obbligatoria concessione – ove richiesti – dei termini
per le memorie dell’ultimo comma dell’art. 183 c.p.c. Tutti sappiamo, però, che nella maggior
parte dei casi l’avvocato vuole
soltanto riservarsi un momento di
riflessione e, anzi, talvolta si avvale di quella facoltà con finalità dilatorie.
Di regola, infatti, quei termini o
non sono utilizzati (specie quello
per le repliche), oppure lo sono a
sproposito (con memorie che, se
non fanno altro che ribadire concetti già espressi, contengono un
mero elenco di precedenti giurisprudenziali).
5.
Se, quindi, proprio non si è riusciti a convincere i difensori ad
avvalersi dell’ultima parte del
dell’art. 183, 4° comma, c.p.c.,
precisando e modificando in
udienza, allora l’uso accorto (17)
dei termini può servire a scoraggiare richieste pretestuose. Ancor
più, potrebbe tornare utile darne
atto nella sentenza (e tenerne
conto nella liquidazione delle
spese): segnalo Trib. Bologna
30.9.2003 (18) che conclude lo
svolgimento del processo affermando: “nel corso dell’udienza
ex art. 183 il tentativo di conciliazione non poteva essere esperito per la mancata comparizione
personale dei contendenti; i difensori chiedevano, quindi, termini per il deposito di memorie
ex art. 183, 5° comma, c.p.c. (atti in cui, nella sostanza, venivano ribadite le precedenti argomentazioni)”. Si trattava di una
complessa pronuncia in tema di
validità del cd. trust interno, cui è
logicamente conseguita la compensazione delle spese; in altri
casi, però, una tale affermazione
può (a quei fini di scoraggiamento) essere collegata quanto meno al mancato riconoscimento,
esplicitato in decisione, delle
competenze per un’attività a dir
poco sovrabbondante.
vorevole e favorevole all’altra. Ad onta dell’art. 229 c.p.c., per il
quale la confessione spontanea può essere contenuta in qualsiasi atto processuale firmato dalla parte personalmente salvo il
caso dell’art. 117, la giurisprudenza ritiene che, nelle cause relative a diritti disponibili, una volta sottoscritto il verbale si abbia
vera e propria confessione; B) indotta dal giudice, una parte
compia un’ammissione, confermando, cioè, la verità di un fatto
a sé svantaggioso e vantaggioso per l’avversario; tale comportamento non può costituire confessione, oltre che per il dato normativo appena veduto, perché le risposte alle domande avanzate in sede di libero interrogatorio non possono essere equiparate ad una dichiarazione provocata mediante interrogatorio formale (art. 228 c.p.c.); C) invitata dal giudice a prendere posizione sui fatti allegati da una parte, l’altra non li neghi, dando luogo al fenomeno della non contestazione, che a ben vedere si
configura come un’ammissione implicita. In queste ultime due
ipotesi, per quanto venga solitamente operata una netta distinzione tra ammissione e non contestazione (quest’ultima definendosi essenzialmente quale comportamento omissivo, a differenza della prima che si sostanzierebbe sempre in affermazioni
espresse), gli effetti che ne conseguono sono identici e consi-
Quanto, poi, ai termini dell’art.
184 c.p.c., mi sembra che non sia
opportuno cumularli con quelli
destinati all’ultimativa definizione
del thema decidendum; se scansione deve esserci è giusto che tra
le diverse fasi non si crei sovrapposizione.
Né sulla questione ha portato
qualcosa di nuovo l’interpretazione della Cassazione (19). La facoltà di chiedere le memorie
istruttorie deve essere esercitata
all’udienza di trattazione (o nella
sua appendice scritta), ma nulla
impedisce al giudice (e, tantomeno, può conseguirne una qualche
forma di nullità) di cadenzare le
memorie istruttorie “numero uno
e numero due” (20) fissando per
l’ammissione dei mezzi l’apposita
udienza.
In vista della quale il tema della
prova dovrebbe essere preventivamente approfondito al fine di
evitare il sistema della riserva,
che oltre a non essere in linea
con le intenzioni del legislatore
della novella, provoca in questa
fase, come in poche altre, un notevole scompenso dei tempi processuali.
Decidere in udienza, e concordare con gli avvocati, la data
della comparizione del consulente di ufficio o quella del-
stono nel porre i fatti ammessi o non contestati al di fuori del
thema probandum: né i fatti esplicitamente ammessi né i fatti
non contestati hanno bisogno di essere provati.
(17) Ma non punitivo. Ché se l’avvocato davvero deve precisare o modificare, concedergli cinque giorni, più altri cinque per
le repliche, vuol dire incidere eccessivamente sul diritto di difesa. In realtà, i trenta più trenta giorni della disposizione non
produrrebbero grave danno se il giudice potesse tenere l’udienza allo scadere del sessantesimo giorno. Mi rendo conto che
questo non sempre è possibile, ma occorrerebbe prendere atto
che quell’udienza, di norma, sarà di scarsissimo impegno per il
giudice che dovrà limitarsi a concedere i termini per le memorie
istruttorie.
(18) Guida al diritto, 22 novembre 2003, n. 45.
(19) Cass. 25 novembre 2002, n. 16571, Corr. giur., 2003, 447,
al quale rimando anche per il perspicuo commento di D’ASCOLA, L’inquietudine della Cassazione sulle preclusioni istruttorie.
(20) Secondo la felice definizione di CONSOLO, La trattazione,
cit., 1070.
11
l’escussione dei testimoni, o addirittura, programmare due o tre
udienze in sequenza, permette
se non altro di evitare un prolungamento del giudizio dovuto
ai concomitanti impegni dei legali (21).
Il tema della prova mi
induce a due brevi osservazioni, prima di
una riflessione conclusiva.
Le prove si articolano
secondo regole predeterminate
che, ovviamente, non sono qui a
ricordare.
Quelle regole, però, valgono per
tutti; per gli avvocati che, ad
esempio, devono formulare la testimonianza per capitoli specifici,
aventi ad oggetto fatti dedotti al
positivo.
Per il giudice, che deve effettuare
un penetrante controllo sulla prova, onde vagliarne non solo la rilevanza, ma anche e soprattutto
l’ammissibilità alla luce delle norme del codice (22).
Le quali, finché esistono, devono
essere rispettate, perché ammettere indistintamente ogni prova –
comportamento che può anche
essere diretto a non pregiudicare
la parte il cui difensore dimentica
le regole poste a presidio di una
corretta formulazione – finisce col
6.
danneggiare quella il cui avvocato alle regole si è strettamente attenuto.
E danneggia il giudice, che al momento della decisione si troverà a
fronteggiare decine di pagine malamente scritte (23) e piene di riferimenti a circostanze non utili ai
fini del decidere.
Espletate le prove, poi, sarebbe
opportuno far desistere gli avvocati dalla richiesta di rinvio per
l’esame.
Piuttosto, quanto alla consulenza
tecnica, all’atto del conferimento
dell’incarico il giudice potrebbe
fissare il termine per il deposito
della relazione, quello entro il
quale le parti devono produrre
proprie deduzioni, un nuovo termine al consulente per chiarimenti, l’udienza in cui, finalmente, l’intero campionario di notazioni tecniche è stato messo a
nudo.
Certo se l’ausiliare non deposita
nel primo termine, quelli successivi saltano; si tratterebbe, però,
di valorizzare soltanto i periti
puntuali e, soprattutto, di evitare
la finzione per cui il consulente
ha un termine (60, 90, 120 giorni), ma, visto che l’udienza è fissata a data successiva, deposita
soltanto pochi giorni prima di
questa.
(21) Può essere difficile dar corso in udienza, in cause anche
molto complesse, alle istanze delle parti. Qui, tuttavia, mi riferisco a una riserva per così dire preventiva, nel senso che il giudice, se prima dell’udienza avrà già chiara la situazione probatoria, potrà adeguatamente far fronte anche a situazioni impreviste. In ogni caso non intendo censurare il sistema della riserva, ma, dal punto di vista dell’avvocato, far notare che, quando
il giudice se ne avvale, è poi necessario rimanere in attesa della comunicazione della cancelleria e, una volta ricevuta, verificare le udienze del giorno fissato per la prova sperando che, a
quell’ora, vi sia uno spazio vuoto da dedicare alla causa. Se, invece, il giudice fissa la nuova udienza alla presenza dei difensori tutto ciò non si verifica. Una soluzione di compromesso,
che salvaguarderebbe le esigenze di tutti, sarebbe quella di rinviare l’udienza a breve e di sciogliere la riserva alla nuova
udienza.
(22) BARRECA, Gli strumenti e le prassi acceleratorie nel processo di cognizione, Relazione al corso di studio del CSM, “La durata ragionevole del processo civile”, 13-15 gennaio 2003: “La
prassi che andrebbe assolutamente evitata, in ossequio al canone ermeneutica tratto dall’art. 111 Cost., è quella …di ammet-
12
Sul punto le prassi dell’Associazione Nazionale Magistrati comprendono (1.2, lett. m) la possibilità di affidare alle parti una
bozza di elaborato che, dopo i
loro rilievi, prenderà forma definitiva.
A prescindere dalla difficoltà di
intendere il concetto di bozza, mi
sembra preferibile fissare più a
lungo la nuova udienza e consentire, attraverso il deposito in cancelleria, lo scambio organizzato
con l’ordinanza di conferimento
dell’incarico.
Un unico filo lega le mie
riflessioni. Ha un senso
ordinare la comparizione delle parti già dall’udienza dell’art. 180
c.p.c., si potrà svolgere
un proficuo libero interrogatorio
in quella di trattazione (per non
parlare delle altre attività previste
dall’art. 183 c.p.c.), tentare la conciliazione, distinguere le questioni ancora controverse, ammettere
le prove senza riservarsi, solo se
le udienze smetteranno di essere
quei momenti di distribuzione –
di termini e di memorie – quali
sono diventate oggi.
Per far ciò, tuttavia, l’attento
giudice non basta; è necessario
che gli si contrapponga l’attento
avvocato, perfettamente consa-
7.
tere le prove senza alcun vaglio preventivo della loro (ammissibilità e) rilevanza: è del tutto evidente che lo svolgimento di
un’attività probatoria inutile determina altrettanto ingiustificate (ed ingiustificabili) lungaggini processuali”.
(23) Il problema della verbalizzazione, a penna da parte degli
avvocati, a penna ad opera del giudice che vi inserisce una versione filtrata delle richieste dei legali (art. 84, 4° comma, disp.
att. c.p.c., Le parti e i loro difensori all’udienza non possono
dettare le loro deduzioni nel processo verbale se non ne sono
autorizzati dal giudice), al computer dal giudice che trascrive
in diretta le istanze dei difensori, meriterebbe più ampia trattazione. Allo stato non riesco ad appassionarmi al verbale redatto
dal giudice su PC. Si tratta, almeno presso il Tribunale di Napoli, di un evento non ancora frequente, ma ricordo che in occasione di un interrogatorio libero non sapevo se rivolgere la mia
attenzione alle domande da formulare e alle risposte date, oppure controllare quanto il giudice trascriveva sul suo computer.
Talvolta, si sa, basta un’espressione in più o in meno per cambiare il senso di intere frasi, e la successiva lettura del verbale
spesso non consente di risalire a tutte le affermazioni della parte o del testimone.
pevole del giudizio e del suo
stato (24).
Diviene fondamentale, insomma,
un continuo dialogo tra i protagonisti del processo, ed è indispensabile che il giudice a ogni udienza non rinvii ad altra scelta solo
perché il foglio del ruolo è più
bianco, ma fissi la nuova data
d’accordo col difensore che, consapevole dei propri impegni, assi-
curi la partecipazione sua o di altro legale in grado di gestire la
causa.
Ciò che – e lo dico da avvocato –
mal sopporto, è quel presentarsi
affannato di colleghi, spesse volte mandati da altri colleghi, che
nulla sanno e nulla sanno dire,
non essendo in grado di interloquire con l’altra parte e col giudice (25).
(24) In realtà, i termini sono più interdipendenti di quanto possa pensarsi; gli avvocati, infatti, parametrano la loro attenzione
su quella del giudice, disinteressandosi delle cause di cui quest’ultimo, in udienza, si disinteressa.
(25) L’abitudine mi sembra che abbia ricevuto istituzionalizzazione dal servizio che un Sindacato Forense mette a disposizione dei propri soci. Il cui regolamento offre la possibilità
L’avvocatura, è vero, tende a gestire il maggior numero possibile
di processi; ma non mi sembra
che le faccia onore l’offerta di un
servizio di delega processuale
che di recente mi è capitato di
leggere su un manifesto affisso in
un tribunale campano. C’era scritto: l’udienza via fax!
LELIO DELLA PIETRA
Avvocato
agli iscritti di reperire, in caso di necessità, un collega affidabile cui delegare la rappresentanza alle udienze alle quali si sarebbe impossibilitati a prendere parte. Il servizio, esattamente
disciplinato quanto alla richiesta (da avanzarsi nelle 48 ore precedenti), alla modulistica, ai diritti da corrispondere al delegato, difetta in un punto: non prevede affatto che il sostituto sia
messo a conoscenza del processo al quale viene inviato a partecipare.
13
L
M
CONSIDERAZIONI MINIME
SULLA GIUSTIZIA CIVILE
TRA PROBLEMI
DELL’ORGANIZZAZIONE
E RIFORME PROCESSUALI (*)
R
itengo di dover iniziare questo mio intervento leggendo un
verbale di mancato
(rectius, omesso) pignoramento di un Ufficiale Giudiziario di Verona, che
mi è stato trasmesso nei giorni
scorsi da un avvocato: «Si restituisce l’atto inevaso, significando
che non è stato possibile procedere esecutivamente per grave
carenza di personale: su 16 Ufficiali Giudiziari addetti alle esecuzioni previsti dalla pianta organica, ne prestano servizio – di fatto
– solo 5, di cui uno in part time al
50%. // A tali ufficiali giudiziari
superstiti, inoltre, è stato affidato
il compito di seguire le esecuzioni anche nel territorio circoscrizionale del Tribunale di Legnago,
ove non è in servizio nessuno dei
4 uff. giud. previsti. // Abbiamo
informato della gravità della questione tutti gli uffici gerarchicamente superiori ed abbiamo chiesto al sig. Ministro ed al sig. Presidente della Corte una rapida soluzione del problema ma, sinora,
senza alcun riscontro. // Siamo
consapevoli che lo stato di dissesto penalizza soprattutto i sigg.
Avvocati ed, in genere, gli utenti
della Giustizia. Siamo altrettanto
consapevoli, però, che il nostro
impegno, in questo momento, è
altissimo. // Confidiamo, perciò,
nella Sua comprensione e, se possibile, in un Suo intervento presso
tutti coloro che potrebbero risolvere il problema. // (omissis) //
Veramente rammaricati per la situazione creatisi e per il disagio
che la stessa sta causandoLe, restiamo a disposizione per eventuali ed ulteriori chiarimenti.».
La denuncia di questa situazione
fa, come si suol dire, pendant con
una serie di disfunzioni esistenti
nel tribunale di Milano, presso cui
esercito la mia professione.
In merito a queste disfunzioni sono state fatte dall’associazione forense a cui sono iscritto (Nuova
Professione Avvocato) alcune denunce (al Ministro, ai responsabili degli uffici, ecc.), l’ultima in data 31 marzo 2003, rimasta senza
riscontro.
Sintetizzo il contenuto della lettera. Si diceva che è inaccettabile
che in un Tribunale come quello
di Milano una richiesta di decreto ingiuntivo non possa essere
soddisfatta in meno di 45 giorni;
che, successivamente, per l’apposizione della formula esecutiva ai sensi dell’art. 647 c.p.c. siano necessari circa 6/7 mesi (1);
(*) Lo scritto riproduce l’intervento dell’A. al convegno nazionale dell’A.N.M. sul tema
“Processo ed organizzazione” (Roma, 12-13 dicembre 2003).
(1) Fortunatamente, dopo Corte cost. 6 dicembre 2002, n. 522, in Corriere Giuridico
2003, 3, 310 con mia nota, non è più necessario, per poter disporre del titolo esecutivo,
il previo pagamento dell’imposta di registro, che comportava ulteriori ritardi.
14
che nei procedimenti di espropriazione immobiliare tra il deposito della documentazione
ipo-catastale, nei termini perentori di cui all’art. 567 c.p.c. novellato, e la fissazione dell’udienza ex art. 569 c.p.c. passino non
meno di 18-20 mesi, ma molto
spesso anche tre anni.
itornando al procedimento monitorio, sono in grado di documentare che a fronte
dell’emissione del decreto da parte del
giudice in una certa data, il timbro di deposito in cancelleria è
stato apposto anche tre mesi dopo (nello specifico: 3 giugno
2003-8 settembre 2003) e, al di
fuori del periodo feriale, comunque in periodo variabile tra i 30
ed i 60 giorni. Non sto parlando
di casi eccezionali: ed è ovvio
che la verifica può effettuarsi soltanto laddove il magistrato abbia
avuto cura di apporre la data in
cui ha sottoscritto il provvedimento, non lasciando che essa
sia determinata esclusivamente
dal timbro del deposito apposto
dalla cancelleria.
Poiché escludo che i magistrati si
tengano in un cassetto un provvedimento dopo averlo sottoscritto,
penso che ogni commento sulle
disfunzioni della cancelleria sia
superfluo.
Indubbiamente a Milano si risente fortemente in questo settore
della situazione che già c’era in
Pretura prima dell’entrata in vigore della legge sul giudice unico.
R
Comunque, pensate lo stato d’animo del creditore che dopo aver
atteso tutto questo tempo (minimo una decina di mesi a conti fatti (2)) per la formazione di un titolo esecutivo – con buona pace
dei tempi previsti dalle direttive
comunitarie – si vede poi negata
anche l’esecuzione, come abbiamo visto poco fa essere avvenuto
in quel di Verona!
Sono solo alcuni casi di disfunzioni: ma potrei continuare, ad
esempio dicendo che le comunicazioni di cancelleria relative ai
depositi di sentenza sono in gravissimo ritardo: a tutt’oggi non ho
ricevuto avvisi di depositi di sentenza che, a seguito di ricerche in
cancelleria, ho verificato essere
avvenuti il 1° ottobre 2003.
E questa situazione si trascina da
mesi e riguarda qualsiasi comunicazione.
Ancora: quando il giudice dell’esecuzione scioglie una riserva,
noi avvocati non siamo in grado
di reperire il fascicolo in cancelleria per circa un mese e mezzo.
I termini contemplati dall’art. 168
bis c.p.c. sono di fatto disapplicati e non raramente il fascicolo
d’ufficio è reperibile secondo
quel che dovrebbe essere la normalità (cioè, nella cancelleria del
giudice, senza dover affrontare
ricerche onerose e, direi, polverose) solo nell’imminenza della
scadenza del termine dei venti
giorni precedenti la prima udienza fissata dall’attore, se non dopo, talché, se il G.I. non ha provveduto ai sensi dell’ultimo com-
(2) Ed infatti: 45 giorni di tempo per avere il decreto (ma in taluni casi i giorni sono molti, ma molti di più, come si è visto), a
cui si aggiungono i termini per la notificazione (diciamo, per comodità, 5 giorni), i termini per l’opposizione (40 giorni), i termini per l’apposizione della formula (6-7 mesi).
(3) Mi è capitato qualche anno fa di volermi costituire, per proporre riconvenzionale e contestuale istanza di provvedimento
cautelare, ben prima dei venti giorni precedenti la prima udienza (come ho detto, dovevo discutere un provvedimento d’urgenza) e circa una quindicina di giorni dopo la scadenza del
termine per l’attore per iscrivere la causa a ruolo. Mi fu richiesto dal cancelliere, al fine di portare la causa al Presidente del
ma del predetto art. 168 bis c.p.c.
al differimento della prima
udienza (con slittamento che,
peraltro, talvolta va ben al di là
dei 45 giorni previsti dalla norma: il che costituisce un altro
problema), si rischia di pregiudicare riconvenzionali (3) e chiamate di terzo.
La risposta che si suol dare a fronte delle contestazioni che vengono
mosse è sempre la stessa: la causa
è nella carenza di personale.
on ho motivo per dubitarne. Ma, in ogni
caso, delle due l’una:
o effettivamente la
causa è questa, ed allora occorrerà che il
Governo si attivi e subito, senza
ulteriori indugi, che sono intollerabili in un Paese europeo; o la
causa è nell’incapacità dei singoli
dirigenti, che andranno allora rimossi.
Da anni, ogni volta che mi occupo di questi temi, ricordo che,
come ho appena detto, siamo un
Paese europeo, siamo una potenza industriale (forse un po’ in declino…). Non è possibile tollerare questa situazione, poiché essa
pregiudica l’economia, con buona pace di tutti i discorsi (sui
quali ho dei forti dubbi - ma qui
non rileva) sulla logica ottimale
dei mercati. Per dirla col professor Normand dell’Università di
Reims: «Non si può avere una vera concorrenza sul mercato interno [europeo - n.d.r.] se i soggetti
economici non sono in una situazione di parità almeno approssi-
N
Tribunale per la designazione del giudice istruttore, un’«istanza
di immediata iscrizione a ruolo» (ovviamente in bollo!). È superfluo ogni commento! Devo, tuttavia, dare atto che dopo che
denunciai il fatto in occasione di un convegno [mi riferisco al
convegno Giustizia e riforme - quale politica per il personale,
quali strutture nella Giustizia che cambia - Milano 18 maggio
1998. Il testo della mia relazione, col titolo Brevi note sul rapporto tra giustizia e burocrazia (e circa il primato del pubblico sul privato), è pubblicato in La rivista del Consiglio (dell’Ordine degli Avvocati di Milano), fasc. n. 3 del 1998, pagg. 89
e segg.] a cui partecipò anche il direttore generale del Ministero della Giustizia dell’epoca (maggio 1998) non si sono più avute richieste simili.
15
mativa rispetto agli oneri che gravano su di essi. Ciò che vale per
gli oneri fiscali e sociali non è
meno valido per gli oneri giudiziali. Coloro che devono sopportare il peso di un sistema giudiziario più pesante, più lento, più
oneroso di altri sono doppiamente penalizzati nella competizione
intra-comunitaria. Lo sono, innanzi tutto, per il carico che rappresentano questi costi giudiziari
tra le loro spese generali. Rischiano di essere danneggiati nella
competizione internazionale a
causa della pubblicità negativa
che su di loro riflette la reputazione del processo nel loro paese
e le complicazioni senza fine che
esso permette quando sorge una
controversia tra le parti» (4) [il
corsivo è mio].
Aggiungo che le conseguenze
non sono soltanto queste: la sfiducia nell’amministrazione della
giustizia ha un’altra conseguenza,
ancor più devastante sulla vita sociale; il bisogno di giustizia non
ammette vuoti e laddove un vuoto si verifica viene riempito. E se
lo Stato abdica, lo sappiamo, vi
sono altre autorità – non legittime
– che sono pronte a «surrogarlo».
Né, visto i tempi che viviamo,
sarà il caso di esaltare le misure
alternative.
Non esaltiamo gli arbitrati: non
sono alla portata di tutti (5) … e
comunque, poi, vi è sempre la
necessità che qualcuno ne assicuri l’autorità sul piano esecutivo.
Come dire? … Verona docet!
Non confidiamo tanto nei tentativi obbligatori di conciliazione: sono uno dei possibili strumenti di
intervento, non costituiscono la
soluzione, a prescindere dal fatto
che culturalmente non hanno fatto ancora presa.
• • •
on entro nel merito
dei tempi di scioglimento di riserva.
Non ho i dati relativi
ai carichi di ruolo per
verificare se si giustifichino, in alcuni casi, ritardi di
mesi. Intendiamoci: non è che qui
ci si dolga del mancato rispetto
del termine di cinque giorni previsto dall’art. 186 c.p.c., che in
certi casi sarebbe umanamente
impossibile rispettare; tuttavia –
con tutta la comprensione possibile – riesce difficile giustificare
scioglimenti di riserva a distanza
di sei mesi su meno di una decina
di capitoli di prova, già discussi in
udienza e con una riserva assunta
per dichiarato scrupolo. Certamente, se una riserva ha questi
tempi, è difficile poi che i tempi
del processo siano contenuti nell’ambito di un triennio. Il problema è che certi ritardi finiscono
per avere una cassa di risonanza
maggiore rispetto ai casi di ordinario, buon andamento
Analogo discorso si può porre
purtroppo in relazione ai tempi di
pubblicazione delle sentenze, anche se qui, in concreto possono
intervenire nuovamente fattori di
inefficienze delle cancellerie. Ricordo sempre – ma è un fatto
molto risalente – il caso di un giudice che aveva scritto la sentenza
negli otto giorni successivi alla discussione collegiale, ma la minuta giacque in cancelleria nove
mesi (una gestazione …) perché
non c’era nessuno che la potesse
battere a macchina.
Il nuovo rito introdotto dalla leg-
N
(4) NORMAND J., Il ravvicinamento delle procedure civili in Europa, in Riv. dir. proc. 1998, 682 e segg.
(5) Cfr. sul punto le acute osservazioni e le forti perplessità
manifestate da VERDE G., Sul monopolio dello Stato in tema di
giurisdizione, in Riv. dir. proc. 2003, 371 e segg., spec. 382 e
segg.
16
ge 353 del 1990 ha portato indubbiamente ad una riduzione dei
tempi processuali. Tuttavia solo
tra qualche anno potremo davvero fare delle verifiche sulla tenuta
di questi tempi. Non dimentichiamo, infatti, che le cause di vecchio rito sono state assegnate ai
G.O.A. e, quindi, l’arretrato, cumulatosi al 30 aprile 1995, non è
venuto a pesare sull’organico effettivo dei giudici togati se non
per un periodo limitato.
Certo è che nelle Corti d’appello
– ove non vi è stato per lo smaltimento dell’arretrato cumulatosi
per le cause di vecchio rito l’ausilio di magistrati onorari – la situazione che viene segnalata è particolarmente grave. Noi abbiamo a
Milano la fissazione di prime
udienze, per cause che vengono
svolte col rito locatizio, a distanza
di oltre un anno e mezzo dal deposito del ricorso. Nelle cause di
rito ordinario, invece, è l’udienza
di precisazione delle conclusioni
che viene fissata a tale distanza di
tempo.
Mi consta che presso altre Corti
d’appello la situazione sia ancor
più grave.
Né ci si può confortare di questa
situazione assumendo che nel
frattempo vi è un titolo esecutivo
formatosi in primo grado.
A parte il fatto che, come è noto,
l’orientamento dominante in dottrina ed in giurisprudenza è nel
senso che le sentenze costitutive
e di mero accertamento non sono
provvisoriamente esecutive neppure quanto ai capi condannatori
connessi (6), va da sé che non è
affatto detto che chi è soccombente in primo grado lo sia a ragion veduta (l’errore giudiziario è
(6) Cfr. sul punto in giurisprudenza Cass. 12 luglio 2000, n.
9236, in Corriere Giuridico 2000, 12, 1599 con nota parzialmente critica di CONSOLO C., Una non condivisibile conseguenza (la
non esecutorietà del capo sulle spese) di una premessa fondata
(la non esecutorietà delle statuizioni di accertamento). In dottrina vedi TARZIA G., Lineamenti del processo civile di cognizione, Milano 2002, 252.
una realtà!), mentre l’interpretazione del disposto dell’art. 283
c.p.c. appare ispirato davvero a
criteri eccessivamente ristretti (7).
• • •
ono quasi 22 anni che
esercito la professione di
avvocato e sono sempre
più persuaso che potremo ritoccare quanto vogliamo le norme processuali, ma i problemi sono altri.
In altri termini: non metto in dubbio che nelle pieghe della legge si
possano trovare dei cavilli per ritardare il processo.
Oggi, tuttavia, il giudice ha molti
più strumenti di ieri per impedire
i rinvii a vuoto e manovre defatigatorie.
Non nego, peraltro, che si possa
intervenire ancora, ad esempio,
sulle norme relative alla fase di
prima comparizione (ed in tal
senso mi sembra condivisibile
quanto previsto dal disegno di
legge in discussione al Senato),
su quelle che regolano con una
certa rigidità il rapporto di strumentalità tra processo cautelare e
processo di merito (ed anche in
tal senso mi sembra condivisibile
la ratio sottesa alla riforma dell’art. 669-octies c.p.c., prevista dal
predetto disegno di legge - qualche dubbio l’ho sul tenore letterale della norma (8)).
Le perplessità nascono dal fatto
S
che immancabilmente quando si
hanno strumenti legislativi a disposizione, pare che molti operatori del diritto, avvocati e magistrati, facciano a gara per limitarne la portata.
È il caso dell’ordinanza ex art.
186-quater c.p.c..
Un amico magistrato, mi riferisco
a Carlo Verardi, mi disse una volta che magistrati ed avvocati facevano a gara per impedirne l’operatività. Ed io condivido questa
affermazione. Non solo, o, se si
vuole, non tanto per il fatto che
essa sia ritenuta inapplicabile alle
azioni costitutive (9) (soluzione
che non condivido, come non la
condivido per l’ordinanza ex art.
186-ter (10)), quanto per il fatto
che si rinvengono massime che
ne escludono l’applicabilità nelle
ipotesi di responsabilità aquiliana
(11), mentre vengono segnalati
tempi di fissazione della discussione dell’istanza che ben poco
hanno a che vedere con la natura
di provvedimento anticipatorio.
A proposito di tempi per la pronuncia di provvedimenti a contenuto anticipatorio, subito dopo
l’entrata in vigore del nuovo rito
si pose un problema in relazione
alla provvisoria esecuzione del
decreto ingiuntivo.
È noto che alcuni giudici ritenevano di poter disporre subito sull’istanza di sospensione della
(7) Cfr. sul punto cfr. App. Milano, 18 dicembre 1996, in Questione Giustizia 1997, 1, 236 con nota di RORDORF R. Sul fumus
boni iuris per la sospensione della sentenza di primo grado v.
CONSOLO C., Commentario alla riforma del processo civile, Art.
283, Milano 1996, 275 e segg. per il quale «colui che chiede l’inibitoria (...) dovrà certamente dimostrare la pesantezza delle
ripercussioni sulla sua sfera patrimoniale che si avrebbero in
caso di adempimento coattivo del debito (...). Tuttavia una inibitoria, anche solo parziale (...) non potrà essere concessa se il
giudice di appello, dalla lettura dell’atto di citazione anche alla luce della comparsa di risposta dell’appellato, non trarrà la
consapevolezza che la sentenza esecutiva rischia effettivamente di dover venire riformata almeno in parte ... » (p. 277). E
conclude: «se il danno fattuale è assai notevole il fumus boni
iuris dell’appello può bastare; se invece il danno è rilevante
ma contenuto la inibitoria postulerà una elevata probabilità
che la decisione appellata possa venire riformata». Sul punto
mi permetto di richiamare altresì le considerazioni che ho svolto nel mio La nozione di irreparabilità nella tutela d’urgenza
provvisoria esecuzione ai sensi
dell’art. 649 c.p.c., mentre assumevano di non poter discutere
prima dell’udienza di cui all’art.
183 c.p.c. l’istanza ex art. 648
c.p.c., sull’evidente presupposto
che pagare ciò che non si deve è
più grave che non ricevere ciò
che si ha diritto di ricevere.
Penso che in realtà le due fattispecie siano il rovescio della stessa medaglia e perciò ogni distinzione sul piano del trattamento
processuale sia errato. Né vale dire che occorre aspettare che l’opponente possa formulare ulteriori
eccezioni con la memoria difensiva che può depositare venti giorni prima dell’udienza di cui all’art.
183 c.p.c., contenente eccezioni
processuali e di merito non rilevabili d’ufficio: poiché sarebbe
come dire che nel vecchio rito
non si sarebbe potuto discutere
l’istanza di provvisoria esecuzione prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni, atteso
che eccezioni potevano essere
dedotte fino a tale udienza (12).
Siamo in presenza di una misura
sommaria, fondata su una predeterminazione di un periculum
connesso col ritardo effettuata a
monte dal legislatore: non vi è
spazio per tollerare ritardi nella
discussione, se non in via eccezionale.
Mutatis mutandis ciò non può
del diritto di credito, in Riv. Dir. Proc. 1998, 216 e segg., spec.
247 e segg.
(8) Mi permetto di richiamare sul punto il mio Progetti di riforma
al codice di rito e tutela sommaria: pro memoria per il legislatore,
in Corriere Giuridico 2002, 4, 546 e segg., spec. 549 e segg.
(9) Cfr. per tutte Trib. Bari, 17 giugno 1996, in Giur. It. 1998,
951 e contra Trib. Roma, 2 giugno 1997, ibid.
(10) Mi permetto di richiamare in proposito la mia monografia
L’ordinanza di ingiunzione nel processo civile, Padova 2003, 71
e segg.
(11) Cfr. Trib. Milano, 26 marzo 1996 e Trib. Monza, 20 settembre 1995, in Resp. civ. prev. 1996, 739.
(12) Sul punto mi permetto di rinviare al mio Prima udienza di
comparizione ex art. 180 c.p.c. novellato e provvisoria esecuzione del decreto opposto, in Giur. It. 1996, I, 2, 170. Conf.
CHIARLONI S., Giudice e parti nella fase introduttiva del processo
civile di cognizione, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1999, 401.
17
non valere anche per l’ordinanza
di ingiunzione ex art. 186-ter
c.p.c., che costituisce l’omologo
dell’ordinanza ex art. 648 c.p.c.
nel processo ordinario di cognizione (13).
• • •
o detto prima che ritengo che la soluzione dei problemi della
giustizia non è questione di riforme di
norme processuali o,
se si vuole, non lo è tanto (interventi andrebbero fatti in punto
determinazione delle aree di
competenza e, magari, per sgravare la Suprema Corte di cause
dal carattere «bagatellare»; dubito
fortemente, invece, sulla necessità ed opportunità di riforme radicali).
Prima di concludere, peraltro, mi
preme dire che sicuramente non
è questione di imbrigliare le facoltà interpretative del giudice,
come taluno sta inopinatamente
sostenendo.
Noi viviamo in un’epoca di repentini mutamenti nel sociale. È
assolutamente un’utopia – e neppure positiva – pensare che essi
non si riflettano sull’interpretazione delle leggi. Come se poi le
stesse leggi non mutassero e i
mutamenti che intervengono in
un ramo dell’ordinamento non
siano suscettibili di esercitare un
riflesso anche al di fuori del singolo settore in cui sono intervenuti.
Né possiamo dimenticare che il
nostro Paese ha una collocazione
internazionale e che le norme in-
H
ternazionali hanno una loro valenza nel nostro ordinamento giuridico, talché se si fa una legge
senza tener conto di queste norme, non ce la si può prendere
con chi questa nuova legge interpreta collocandola in un ambito
più vasto.
Insomma, quando sento disquisire sui problemi dei limiti dell’interpretazione, mi viene sempre in
mente una precisazione di Francesco Antolisei, secondo cui non
può «accogliersi l’antica massima
in claris non fit interpretatio, sia
perché ciò che appare chiaro ad
una persona, può non esser tale
per un’altra, sia perché in ogni caso l’interprete non deve arrestarsi
al risultato che si desume immediatamente dalle parole, vale a dire il significato apparente, ma deve cercare il senso più intimo e
profondo della disposizione e
l’effettiva portata di essa» (14).
Non è raro che si censuri l’interpretazione delle leggi. Anche Cesare Beccaria lo faceva (15): ma,
al di là del fatto che Beccaria
scriveva nel 1764, in un’epoca in
cui la chiarezza delle leggi – a
quanto ci dicono gli storici – lasciava molto, ma molto a desiderare (molto più di quanto non lo
lasci a desiderare oggi (16)), è
certo che il relativo passo è stato
segnalato come indice di ingenuità (17).
Ho accennato poc’anzi ai mutamenti sociali. E a tale proposito
vorrei fare una riflessione, che nasce dai miei studi sul provvedimento d’urgenza. Se guardiamo a
questo istituto con l’occhio dello
(13) Mi permetto ancora di richiamare il mio L’ordinanza di ingiunzione, cit., 194 e segg.
(14) ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale - parte generale,
Milano 1975, 59.
(15) BECCARIA C., Dei delitti e delle pene, al § IV.
(16) Cfr. PROTO PISANI A., Appunti sull’arretrato, in Foro it.
1995, V, 286. V. anche CAPPONI B., Il tentativo di conciliazione
obbligatorio in funzione deflattiva del contenzioso infortunistico, in Doc. Giust. 1996, 7, 1492.
(17) Cfr. JEMOLO A.C. nel saggio introduttivo al testo del Beccaria per i tipi della Bibl. Univ. Rizzoli, Milano 1981, 9 e segg.,
18
storico, partendo proprio da
quanto su di esso si dice nella Relazione ministeriale, non possiamo non considerare che esso nasce con finalità conservative e che
per lungo tempo come tale fu
considerato (18). A partire dagli
anni Settanta la portata della norma è stata ampliata, anche sotto
le forti pressioni di quel fenomeno che è definito la giurisdizionalizzazione dei conflitti sociali ed
oggi l’orientamento dominante in
dottrina e in giurisprudenza ammette che il provvedimento d’urgenza, non soltanto non è limitato alla sola tutela dei diritti assoluti, ma può avere un contenuto
totalmente anticipatorio del provvedimento finale (19).
ertamente, come in
ogni fenomeno evolutivo, si è passati attraverso un lungo travaglio, in cui non sono
mancati provvedimenti abnormi e soluzioni inaccettabili, che hanno sollecitato l’introduzione di sistemi di controllo, di
cui oggi è espressione l’art. 669terdecies c.p.c.. Ma – vivaddio –
se si fosse impedita ogni forma di
interpretazione oggi il nostro ordinamento sarebbe di gran lunga
meno al passo dei tempi di quanto, forse, in una certa misura, non
lo sia.
L’impedire una interpretazione
«evolutiva» significa scegliere a
monte su chi far ricadere i rischi
dell’inadeguatezza della norma rispetto alle nuove esigenze della
società: ma l’ordinamento giuridico non è una monade chiusa in
C
anche se lo stesso Jemolo è critico verso certe forme di interpretazione, politicamente orientate, che «riescono a far dire alle parole della legge l’opposto di ciò ch’esse esprimono» (op.
cit., 10).
(18) Cfr. TOMMASEO F., voce Provvedimenti d’urgenza, in Enciclopedia del diritto, XXXVII, Milano 1988, 858; ARIETA G., I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., Padova 1985, 56.
(19) Sul punto mi permetto rinviare ai miei studi Tutela d’urgenza tra diritto di difesa, anticipazione del provvedimento ed
irreparabilità del pregiudizio, in Riv. Dir. Proc. 1995, 216 e
segg. e La nozione di irreparabilità, cit., 234.
se stessa e imbrigliare l’interpretazione è una scelta politica di chi
vuol ricondurre, in un modo o in
un altro, la magistratura sotto il
controllo politico.
orrei concludere con
la citazione di un
passo di Giuseppe
Borrè: «Voi non avete
idea – parlo ai più
giovani – di quanto
fosse forte, nei primi anni Cinquanta, quando feci la scelta di
prepararmi per la magistratura,
quello che ho chiamato “conformismo”, e come esso si legasse –
tangibilmente – a una volontà di
conservazione politica. La cultura
giudiziaria dell’epoca era pesantemente dominata dal formalismo
giuridico. L’ordinamento era considerato autoreferenziale, perfetto, capace di autocompletamento
(qualcuno ricorderà, forse, la vecchia e singolare teoria dell’impossibilità logica delle lacune). La
legge ordinaria era avvertita come
unico e definitivo termine di riferimento. E la interpretazione della legge era rappresentata come
operazione meramente ricognitiva, ricerca dell’unico significato
estraibile dal testo normativo. //
V
Parallelamente a ciò, la magistratura rifiutava ogni rapporto con
l’esterno, si chiudeva come una
cittadella fortificata. Non solo era
tenuto fuori il «sociale» (con tutte
le sue contraddizioni, le sue irriducibilità, i suoi conti che non
tornano), ma si temevano anche
momenti di arricchimento del
quadro istituzionale che potessero in qualche modo disturbare il
tradizionale isolamento del corpo
giudiziario. Così fu guardata con
malcelato sfavore la istituzione
della Corte costituzionale. La
composizione mista del CSM fu
fonte di non poche recriminazioni. (…). // Nel noto e provocatorio dilemma di Maranini – “magistrati o funzionari” – la magistratura occupava allora, decisamente, il secondo termine: era burocrazia, funzionariato, non era ancora esercizio dell’autonomia voluta dalla Costituzione. E in questa logica funzionariale si produceva una sorta di rovesciamento
delle fonti, della gerarchia dei valori dell’ordinamento. La legge ordinaria dava il rassicurante appoggio della continuità. La Costituzione costringeva invece ai
confronti, a mettere in discussio-
ne assetti, certezze, regole del
gioco. Proprio per questo fu inventata la categoria delle norme
programmatiche.
Da burocrati in questo senso, da
servi legum in questo senso, non
era lungo il passo a diventare subalterni tout court, momenti di
pura consonanza (non importa
quanto consapevole dal punto di
vista soggettivo) con il sistema
politico ed economico dominante. Le apoliticità dell’apparato giudiziaro in quanto apparato burocratico e la neutralità della tecnica
altro non furono che strumento di
conservazione dei rapporti economici e di continuità del vecchio
Stato» (20).
cco, certamente non è
quella magistratura che
così bene ha inquadrato Borrè che vorremmo. Non è certamente
con un passo indietro
verso tale schema che si risolvono i problemi della giustizia.
E
RICCARDO CONTE
Avvocato
(20) BORRÈ G., Le scelte di Magistratura
Democratica, in Questione Giustizia,
1997, 2, 270.
19
L
M
LA GIUSTIZIA CIVILE
COME SERVIZIO
L
a mia presenza oggi
vuole
rappresentare,
nella veste recente di
coordinatore dell’osservatorio romano sulla
giustizia civile unitamente al Dott. Scaramuzzi, una
presenza solidale verso quanti
hanno a cuore la giustizia in Italia.
La giustizia civile che è Cenerentola di riforme e di attenzioni, ma
anche la giustizia penale che attende di adeguare codici e pene
ai principi di dignità, umanità e
cittadinanza sanciti dalla Costituzione.
Sono venuti nei Tribunali italiani gli studenti. Questo significa
molto.
Significa finalmente concepire la
Giustizia, e in primo luogo la giustizia civile, come ho già avuto
occasione di dire, come servizio
pubblico.
Questa è una definizione che non
si trova nei manuali, ma che è oggi coessenziale alla funzione della giustizia: un servizio pubblico
per gli utenti di questa giustizia,
sottoposto a regole certe, innanzitutto regole costituzionali.
Questo ci impone degli obblighi,
che non sono solo deontologici,
di corrispondere alle attese dei
fruitori del sistema giustizia.
Se noi ci guardiamo con occhio
spassionato, con l’occhio di chi in
questa giustizia è chiamato per le
più svariate ragioni e vi entra in
contatto, appaiono evidenti le lacune che producono disagi, recepiti innanzitutto come un disservizio del quale sono imputati dalla voce pubblica, allo stesso modo, giudici ed avvocati. In queste
voci che a volte sono proteste,
che ci arrivano, e che ascoltiamo
nel corso della nostra attività pro-
20
fessionale, c’è lo sappiamo bene
qualcosa di vero.
Se riflettiamo dobbiamo ammettere che per troppo tempo i soggetti che lavorano al processo, avvocati, giudici, personale, congegnati bene sulla carta del codice
di procedura civile quale unico
terreno di relazione, hanno in
realtà vissuto spesso come mondi
impermeabili se non talvolta addirittura ostili o conflittuali.
Aprire adesso la strada ad un nuovo costume giudiziario, a quelle
che vogliamo definire le prassi
virtuose, significa per l’Osservatorio romano sulla giustizia civile innanzitutto aprirsi alla comunicazione di esigenze una comunicazione con la C maiuscola di esigenze, aspettative, valori e anche
di disvalori… se ve ne sono.
Comunicare dunque per collaborare tra soggetti di un processo civile che è innanzitutto un servizio
pubblico prima ancora che una
palestra di scherma giudiziaria.
Il primo dovere di un avvocato o
di un magistrato non può essere
quello di duellare ma di fare vivere il processo e di farlo funzionare equamente per garantire l’assunto costituzionale dell’art. 111!
attuazione dunque costituzionale del diritto.
Infatti se é vero che
un lungo processo diventa un processo alla
lunga anche censitario, per chi se lo può permettere,
per chi lo può pagare, invece il
principio di eguaglianza dell’art. 3
della Costituzione deve informare
di sé anche il processo civile come giusto processo tra le parti come strumento di garanzia di diritti e di libertà. Se apriamo un testo
qualsiasi di quelli in uso presso le
L’
nostre università troviamo scritto
che il diritto processuale è quella
parte della scienza giuridica che
regola lo svolgimento del processo, e con esso la concreta funzione giurisdizionale.
L’attività giurisdizionale attua il
diritto ma allo stesso tempo l’attuazione del diritto è nella concretezza e nella fattibilità dell’azione giudiziaria. Se questa fallisce anche il diritto con essa fallisce, non si dichiara, viene meno
la sua funzione.
Scriveva Salvatore Satta che la verità del diritto è che questo è sempre in azione: non postulazione
teorica di diritti o di doveri, trovando riscontro nelle azioni umane prese nella loro concretezza, é
in quelle che si evidenzia e in
quelle che si riconosce con pienezza.
Nella dichiarazione della sentenza c’è la dichiarazione del diritto.
Occorre perciò che vi siano sentenze, ma il cammino che conduce ad esse, al farsi immanente del
diritto, deve essere un cammino
equo, giusto, garantito.
Ciò impone una collaborazione
nuova tra tutti gli operatori del diritto.
Anche il personale dell’amministrazione giudiziaria può e deve
essere coinvolto, al pari di analoghe esperienze vissute da altri osservatori italiani. E ancora il mondo universitario.
a questa collaborazione può svilupparsi un terreno più fertile per raccogliere
idee, suggerimenti,
lavori scientifici, analisi dalle quali soltanto, possono
scaturire le lezioni di riforma di
istituti processuali. Da questa base di lavoro quotidiano sul fondamento dei principi e dei valori
dell’ordinamento costituzionale,
si può muovere per attuarli, si
può discutere per renderli immanenti nella nostra società, per trovarne collegamenti trasversali che
D
accentuino garanzie e dignità, libertà e giustizie concrete.
Ed è proprio su questi valori, certi che un processo equo, giusto e
fonte e risultato al tempo stesso
di garanzie, richiede oggi nei nostri tribunali, come ho già detto,
una collaborazione nuova tra tutti gli operatori del diritto, che ci
siamo ritrovati in questo Tribunale di Roma, alcuni mesi fa, magistrati ed avvocati insieme, per la
creazione del Protocollo elaborato dall’Osservatorio romano sulla
giustizia civile.
Per quanti non conoscono ancora
questa realtà voglio qui dire in
breve, in una occasione come
questa di riflessione ma anche di
ricerca di linee di azione, che
l’Osservatorio romano vuole essere innanzitutto un movimento di
idee, un contributo forte di spinta, di traino, per migliorare la
qualità del processo civile ed attutire i disagi più evidenti.
È in questo Tribunale, che nella
scorsa primavera un gruppo di
magistrati ed avvocati si è ritrovato a progettare sul campo e nella
realtà del lavoro quotidiano correttivi immediati, prassi deontologiche e giudiziarie concrete.
Quelle prassi che su esperienze
analoghe sorte a Bologna, Bari,
Milano, Firenze, Salerno Reggio
Calabria e in altre città del nostro
paese vogliamo definire le prassi
virtuose.
Gli aspetti sui quali abbiamo concentrato la nostra attenzione sono
gli stessi che ci danno anche oggi
l’occasione di ritrovarci in questo
confronto, di ragionare insieme.
In primo luogo c’è non solo la necessità di attenuare i disagi ma
anche quella di favorire un generale recupero di fiducia dei cittadini-utenti verso l’amministrazione della giustizia.
Questo può avvenire anche attraverso un utilizzo più razionale e
meno dispersivo delle risorse
umane e materiali, attraverso l’individuazione di quella dotazione
aggiuntiva minima di personale e
mezzi indispensabile per poter
celebrare il processo. E ancora,
sussidio di enorme importanza, il
rafforzamento del processo di
informatizzazione.
Questi sono certamente alcuni
degli obiettivi a medio termine
sui quali intende convergere l’impegno dell’Osservatorio romano.
a
l’Osservatorio
propone da subito l’adozione di
una serie di regole rivolte a favorire uno svolgimento più ordinato e proficuo delle
udienze civili, a superare da subito, almeno in parte, il grave disagio esistente, a migliorare, da subito, la qualità del processo, a tutelare la riservatezza dei soggetti
coinvolti, ed a ridurre drasticamente i tempi di attesa di testimoni, parti ed avvocati.
A queste diciotto regole che prendono il nome di Protocollo per la
gestione delle udienze civili già
alcune decine di magistrati, e numerosi avvocati del Tribunale civile di Roma hanno aderito impegnandosi ad applicarle immediatamente e provvedendo ad operare in conformità i primi rinvii di
udienza. Così di qui a pochi mesi
andranno a pieno regime le prime udienze gestite secondo le regole del protocollo romano.
Quanto al protocollo romano,
che è stato presentato dall’Osservatorio romano nel recente incontro pubblico del 28 ottobre,
voglio dire qui brevemente che
nei primi sei punti si prefigge la
distribuzione dei diversi adempimenti secondo criteri di suddivisione dell’udienza in fasce orarie
e di omogeneità degli adempimenti stessi in modo da far cessare la pratica dell’accatastamento
dei fascicoli in un mucchio: sapete bene quanto me che in questo
modo sorprendentemente arbitrario si decide l’ordine di discussione delle cause.
M
21
Ma poi anche quando al mucchio si sostituisce la pratica di
chiamare le cause secondo l’ordine del ruolo di udienza (sempre che, per una opinabile interpretazione della normativa sulla
privacy, si possa ancora chiamare così) anche qui l’assenza di
regole puntuali che ne organizzino l’avvicendamento, si traduce anch’essa nell’affollamento
delle aule e dei corridoi, che oltre ad essere un malcostume, come gli avvocati sanno bene è un
fattore di disorientamento dei
clienti di fronte la macchina del
processo.
Tra gli altri punti qualificanti del
Protocollo vi è l’impegno dei giudici a privilegiare la decisione in
udienza sulle istanze formulate
dalle parti.
nfine che posso citare l’aspetto relativo alla privacy,
che richiama la necessità di
una rigorosa applicazione
dell’art. 84 disp. Att. Al
c.p.c. (“Le udienze del giudice istruttore non sono pubbliche”) per consentire non solo un
ordinato svolgimento dell’udienza ma anche per evitare che parti
e testimoni siano costretti a riferi-
I
22
re fatti personali innanzi a terzi
estranei. Per ovvie ragioni di tempo non mi dilungherò sugli altri
contenuti del protocollo romano,
anch’essi di estremo rilievo, e tuttavia mi preme osservare come
oggi il protocollo romano sia una
realtà alla quale si guarda da più
parti d’Italia con spirito di emulazione.
Il progetto “protocollo” è già entrato in una prima fase applicativa
che è sperimentale, aperto alla
adesione ed al contributo di tutti.
È inoltre prevista dall’Osservatorio romano la necessità di una verifica consultiva in fase di sperimentazione.
Un tavolo poi di studio elaborerà
suggerimenti e proposte che
giungeranno da professionisti e
operatori coinvolti, e monitorerà i
risultati pratici di questa sperimentazione.
Mi fermo qui, ma faccio però presente a chi fosse interessato, che
il testo del protocollo, distribuito
in Tribunale anche dalla Camera
civile, lo potete trovare inoltre in
distribuzione, unitamente al lavoro dell’Osservatorio a commento
della bozza del libro bianco che
l’A.N.M. ha in animo di redigere,
presso il tavolo della segreteria
del convegno, lì troverete il nostro indirizzo e-mail.
oglio tuttavia concludere dicendo che apprezziamo, come Osservatorio romano sulla giustizia civile, che
l’Associazione Nazionale Magistrati, nell’attenzione dedicata al tema dei protocolli
d’udienza e delle prassi virtuose,
abbia mostrato una sensibilità per
il lavoro e per le esperienze già
maturate da Osservatori sulla giustizia come quello romano e
guardi con concreto interesse e
fattivo intento collaborativo, a
quel rinnovamento culturale di
cui al pari degli altri Osservatori
vogliamo farci interpreti. Mi sento
così di dover sottolineare questo
fatto: di esserci ritrovati, nel rispetto della reciproca indipendenza ed autonomia, nel fare oggi un altro passo avanti in questo
comune cammino che ci siamo ritrovati a percorrere al pari di tante altre realtà italiane.
V
Per il coordinamento
dell’ Osservatorio romano
sulla giustizia civile
AVV. ALESSANDRO CAJOLA
APPUNTI SUL PROGETTO
DI RIFORMA
DEL PROCESSO CIVILE
E SUL NUOVO
RITO SOCIETARIO
L
M
1. Premessa. 2. La fase introduttiva nel progetto governativo e nel processo
societario: critiche. 3. Obiezioni dei sostenitori e replica. 4. Il nuovo processo
societario di cognizione e la Corte europea dei diritti dell’uomo.
1. PREMESSA
P
receduto da grande risonanza sulla stampa
quotidiana che annunciava finalmente una
svolta nell’opera di
riforma del processo
civile, in cui «saranno gli avvocati di attore e convenuto a scambiarsi memorie, documenti, comparse, in un ping pong che accentua la responsabilità del difensore» (1), proprio nel giorno
in cui si è svolto lo sciopero generale e contemporaneamente
venivano tratti in arresto numerosi presunti appartenenti alle
Brigate Rosse, il Consiglio dei
Ministri ha approvato un disegno
di legge di delega al Governo
per l’attuazione di modifiche al
codice di procedura civile.
Con il progetto di riforma, ha dichiarato il Ministro della Giustizia alla stampa, «tutto dovrebbe
diventare molto più veloce» e alla legge delega ha dato il benvenuto anche il presidente dell’Oua, Silvano Berti, per il quale
questa riforma rappresenta l’ultima spiaggia per un recupero di
efficienza con lo snellimento del
sistema processuale.
Senza dubbio, l’uomo della strada
sarà rimasto alquanto perplesso
nel constatare che a fronte di tali
annunci entusiastici la stessa testata giornalistica riportava contemporaneamente il giudizio severo di un apprezzato e noto processualista secondo il quale «è tutto da dimostrare che questo meccanismo possa portare a una diminuzione dei tempi processuali»,
trattandosi di soluzione «per molti
versi analoga a quella che si sperimenterà a breve nel processo
commerciale, ma in quel caso la
fase preliminare può durare anche un anno» (2).
Per vero, gli operatori del diritto
meno distratti certamente si saranno meravigliati meno dell’uomo della strada, se solo hanno
letto il resoconto di un recentissimo convegno tenuto dai processualisti italiani in merito alle riforme in cantiere (3) nel quale si dà
atto del giudizio negativo espresso da autorevoli studiosi sul progetto di riforma ora approvato dal
Governo. In particolare, si riferisce del disaccordo espresso dal
prof. Federico Carpi, secondo il
(1) Vedi «Il sole 24 ore» del 25 ottobre
2003.
(2) Cfr. Intervista a Verde: «Scelte da verificare», «Il sole 24 ore» del 25 ottobre
2003.
(3) QUERZOLA, Il convegno nazionale
su «Esperienze e prospettive della giustizia italiana», in Riv. Trim. dir. Proc. Civ.,
2003, pag. 361 ss.
23
quale il progetto mira ad una sorta di «privatizzazione» del processo civile «che porta con sé il pericolo che la libertà degli avvocati
si traduca in un sacrificio del diritto sostanziale della parte privata,
tanto più svantaggiata quanto più
debole, specie se il confronto la
vede opposta ad una parte forte
con un avvocato che lo è altrettanto» (4).
In realtà, proprio introducendo
quel convegno il presidente dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile aveva
ammonito a non dimenticare che
«la smania di modifiche normative
nasconde, per lo più, inesperienze o fini impropri» (5).
A giustificazione della soluzione
accolta dal progetto governativo
nel limitare l’intervento del giudice nella fase preparatoria del processo, un noto processualista, in
un commento pubblicato in tempo reale sul sito del Ministero della Giustizia, ha puntualizzato che
la riforma è ispirata al principio di
sussidiarietà, che viene esplicitato
nei seguenti termini: così come
nel favorire le varie forme di
composizione amichevole della
lite il progetto si ispira al principio di sussidiarietà della giurisdizione, «lo stesso principio di sussidiarietà ispira il progetto anche
con riferimento al ruolo del giudice all’interno del processo. L’attività del giudice è, in ogni caso,
un bene prezioso: lo è ancor di
più nella situazione italiana, dove
l’organico della magistratura è
nettamente sottodimensionato rispetto alle necessità. E dunque, si
deve utilizzare il giudice per
quella che veramente è la sua
ineliminabile funzione: giudicare,
cioè decidere. Non è bene comunque, e non lo è a maggior ragione nel nostro Paese, caricare il
giudice di compiti che possono
essere svolti dalle parti, oppure
da altri soggetti» (6).
Non è possibile dare atto compiutamente del contenuto del pro24
getto di riforma in un commento
a prima lettura, quale questo scritto vuole essere. Pertanto è opportuno limitare queste brevi osservazioni alla parte del progetto che
ha maggiormente attirato l’attenzione dei media e al principio di
sussidiarietà del «ruolo del giudice» come sopra illustrato, senza
mancare di segnalare la presenza
di altre condivisibili proposte innovative, peraltro già contenute
nel progetto di riforma redatto
dalla Commissione ministeriale
presieduta dal Prof. Tarzia oppure sollecitate nel corso di recenti
convegni dell’ANM (7).
2. LA FASE INTRODUTTIVA
NEL PROGETTO
GOVERNATIVO
E NEL PROCESSO
SOCIETARIO: CRITICHE
I
l discorso, dunque, può essere limitato, anche per restare nel tema tracciato dal
titolo di queste brevi osservazioni, a quattro disposizioni del disegno di legge
delega: le prime tre relative alla
fase di trattazione del processo in
primo grado (articoli 16, 17 e 18)
la quarta al processo di appello
(articolo 30).
I criteri direttivi della legge delega
in tema di fase preparatoria del
processo ordinario contenuti nell’articolo 16 del disegno di legge
delega impongono di prevedere:
a) che il processo sia introdotto
con atto di citazione, senza indicazione dell’udienza, da depositarsi in cancelleria con i
documenti offerti in comunicazione, entro un termine perentorio;
b) che nell’atto di citazione l’attore fissi al convenuto un termine, disciplinato dalla legge solo nel minimo, entro il quale il
convenuto può replicare con
una comparsa di risposta da
notificare, o comunicare, all’at-
tore e all’eventuale terzo e da
depositare in cancelleria con i
documenti offerti in comunicazione;
c) che, in caso di mancata costituzione in cancelleria dell’attore, il convenuto possa costituirsi chiedendo la fissazione
dell’udienza di discussione ovvero, in difetto, l’estinzione del
processo con salvezza degli effetti sostanziali della domanda;
d) che sia attribuita la facoltà per
l’attore costituito di replicare
con atto notificato, o comunicato, al convenuto, ovvero di
comunicare che intende depositare istanza di fissazione dell’udienza e la facoltà per il
convenuto, ove l’attore abbia
optato per la replica, di replicare a sua volta, ovvero di comunicare che intende depositare istanza di fissazione dell’udienza;
e) che l’estensione della trattazione scritta tra le parti si protragga fin quando una di esse, in
luogo di replicare, depositi e
notifichi alle altre parti istanza
di fissazione dell’udienza, entro un termine perentorio decorrente dall’ultima difesa effettuata;
f) infine dovrà essere prevista
l’estinzione del giudizio in caso di mancata presentazione
dell’istanza di fissazione dell’udienza.
L’articolo 17 disciplina l’istanza di
fissazione dell’udienza, la quale
potrà essere presentata, oltre che
per ottenere la decisione nel me(4) QUERZOLA, op. cit., pag. 363.
(5) FAZZALARI, Esperienze e prospettive
della giustizia italiana, in Riv. Trim. dir.
Proc. Civ., 2003, pag. 111.
(6) LUISO, in http://www.giustizia.it/editoriale/luiso.htm.
(7) Per tali aspetti e, in particolare, per
l’istruttoria di parte prevista dall’articolo
20 e per il procedimento abbreviato previsto dall’articolo 48 cfr. i suggerimenti in
DIDONE, Le priorità nella giustizia civile, in Riv. Dir. Proc., 2001, pag. 1158 ss.
rito della causa, anche per ottenere provvedimenti anticipatori di
condanna o cautelari, ovvero per
chiedere la decisione su «incidenti del processo quali la chiamata
di terzi o l’integrità del contraddittorio», pur dovendo, anche in tali
casi, «contenere le conclusioni finali di rito e di merito, salva sempre la facoltà di replica della controparte».
nfine, l’articolo 18 disciplina
le preclusioni processuali riducendone la rilevabilità ad
opera del giudice mentre
l’articolo 30, lett. f), disciplina il regime delle novità in
appello, escludendo in linea di
principio le nuove domande ma
«ammettendo le nuove allegazioni
e le nuove prove».
Orbene, se le nuove allegazioni –
in quanto contrapposte alle nuove domande – vanno intese anche come nuove eccezioni, la
riforma, tenendo conto dell’ammissibilità senza limiti di nuove
prove in appello, reintrodurrebbe
quel «rito del gambero» disciplinato dal codice vigente prima della
miniriforma entrata in vigore nel
1995, con la possibilità, quindi, di
riaprire il thema decidendum ed
il thema probandum finanche in
appello, con il procedere, dunque, tipico del «gambero» e con
evidenti conseguenze sulla durata
complessiva del processo (Strasburgo è di nuovo alle porte).
In ordine alla fase introduttiva del
processo, poi, è facile rilevare
che se il criterio direttivo verrà attuato mediante previsione di un
articolato simile a quello del processo societario di cui al Dlgs 17
gennaio 2003 n. 5, in vigore dal
1° gennaio 2004, resta l’obiezione (8) per la quale l’intreccio di
termini previsto dalla norma, tenuto conto che in caso di processo con più parti il decorso dei termini non è unitario ed è diverso
per ciascuna parte in relazione alla scadenza prevista per la notifica dello scritto difensivo di ognu-
I
na di esse, difficilmente gli avvocati (e soprattutto i cittadini parti
del processo civile) desiderosi di
ottenere una pronuncia sul merito della lite e non soltanto sulla
regolarità del processo, potranno
essere d’accordo sulla riforma.
Soprattutto, la scadenza di termini diversi per replicare a ciascuna
parte avversa costringerà gli avvocati a munirsi di sofisticato
software capace di segnalare l’epoca di notifica della propria replica all’una o all’altra parte senza
incorrere in decadenze. Obiezioni che restano valide anche dopo
le modifiche introdotte dal Dlgs 6
febbraio 2004 n. 37. Peraltro, riproducendo la riforma il processo formale del codice di procedura del 1865 è utilizzabile un «commento anticipato», autorevolissimo. Il Mortara, dopo avere stigmatizzato l’esagerata preoccupazione del legislatore per la «sicurezza dei litiganti», che aveva giustificato l’istituzione di termini e
modi ampi e comodi per l’istruzione e discussione della causa
con il «grande sacrificio» costituito
dalla «eliminazione di ogni attribuzione di vigilanza del magistrato» sopra lo svolgimento del processo, «affidato alla sollecitudine
e allo zelo dei patrocinatori, col
presidio di termini comminatorii
che ciascuno d’essi era abilitato a
far valere contro l’avversario»,
evidenziò il pericolo insito in tale
sistema. In particolare, l’insigne
Autore lamentò che «non si riflettè che avrebbe occorso che
ciascun procuratore tenesse un
solo affare giudiziario in corso e
in cura, per mantenere vive intorno ad esso la solerzia e l’attività
necessarie a farlo procedere in
modo sufficientemente rapido e
regolare» (9).
Il rappresentante dell’avvocatura
interpellato dalla testata giornalistica innanzi richiamata, prima di
formulare la propria soddisfazione per la proposta governativa, si
è accertato del gradimento dei
circa 150.000 avvocati italiani per
un tale sistema macchinoso già
criticato all’inizio del Novecento?
chi ha annunciato
una svolta nella procedura civile, o sostenuto le potenzialità acceleratorie della riforma (Ministro
della Giustizia) o, ancora, ha assicurato che quella governativa
non è «una proposta rivoluzionaria, nel senso che essa rovesci i
fondamenti del processo civile attualmente vigente» e che «ciò, oltretutto, non avrebbe senso, perché la struttura base del processo
civile moderno è comune a tutti
gli Stati occidentali» (10) mi permetto di segnalare un recentissimo documento redatto congiuntamente da avvocati e magistrati
francesi, desiderosi di risolvere
problemi comuni alle due categorie professionali in tema di giustizia civile (11). In esso, tra l’altro,
si auspica «una riforma più sostanziale della procedura civile
che tende a rafforzare – per riequilibrarli – i poteri del giudice civile rispetto a quelli del giudice
penale» e, in attesa dell’auspicata
riforma, si sollecita un «ruolo più
attivo» del giudice civile nell’istruzione delle cause, «d’ufficio o su
richiesta delle parti». In particolare, si precisa che «ciò che si può
desiderare, è, in alcuni casi specifici, una affermazione più netta
da parte del giudice civile delle
A
(8) Rinvio, in proposito, a DIDONE, Appunti sul nuovo processo societario di cognizione (con l’ausilio del «commento
anticipato» del Mortara e del Ricci), in
Giur. It., 2003, 1977 ss.
(9) MORTARA, Commentario del Codice
e delle Leggi di Procedura Civile, Milano,
1923 (VI ed.), III, 356.
(10) LUISO, op. cit.
(11) Eccessiva penalizzazione, di P. Bezard, J-F Burgelin, P. Courroye, J-M Darrois, M-N Dompé, F Franchi, D. Martin, E
Mulon-Montéran, C Vacandare, F Vert, in
Le Monde, versione on line del 1° ottobre
2003.
25
prerogative che sono sue in occasione della fase d’istruzione delle
cause. Nulla lo costringe ad accontentarsi di ciò che le parti vogliono dirgli e sono in grado di
fornirgli: può, sul modello del
giudice penale (…) verificare,
sentire, constatare, fare comparire, confrontare, indagare...».
Altro che «principio di sussidiarietà» del ruolo del giudice civile
all’interno del processo, se è vero
che «la struttura base del processo
civile moderno è comune a tutti
gli Stati occidentali».
3. OBIEZIONI
DEI SOSTENITORI
E REPLICA
A
questo punto si rende necessaria una
chiarificazione sul titolo di questo intervento per fugare
eventuali dubbi sul
tono polemico che il titolo stesso
potrebbe suscitare e, soprattutto,
per rendere merito ad un recente
contributo concernente il nuovo
processo societario, recante analogo titolo, dal quale ho tratto notevoli spunti per convincermi ulteriormente della fondatezza delle critiche formulate in un precedente intervento e riprodotte nel
paragrafo precedente (12).
Due illustri processualisti hanno
garbatamente replicato agli interventi critici che il disegno di legge delega relativo al codice di
procedura civile ha provocato ad
opera di «vari (più o meno blasonati) commentatori di cose processuali» e fra questi è stato
espressamente menzionato (e di
ciò sono immensamente grato)
anche chi scrive (13).
Ritenendomi senza dubbio il meno (anzi per nulla) blasonato fra i
commentatori chiamati in causa
e, dunque, non rischiando alcun
blasone, posso permettermi una
“controreplica” a caldo alla “repli26
ca” degli illustri contraddittori. Allo scopo ritengo di potermi avvalere di un recente contributo, di
cui ho ripreso parte del titolo,
proveniente proprio da un autorevole componente della Commissione ministeriale che ha redatto il disegno di legge delega in
questione (14).
Il termine “controreplica”, infine,
è usato intenzionalmente per ricordare la nuova complessa terminologia della disciplina del
processo societario: replica, controreplica e ulteriore replica, che
segna le fasi del cosiddetto “ping
pong”.
Le obiezioni mosse alle critiche al
progetto sono raggruppabili in
cinque proposizioni:
a) è da stigmatizzare che «la protesta si sia incentrata sull’introduzione della causa»;
b) non è vero che il processo
avrà una durata ancora maggiore di quella che ha attualmente;
c) il risultato del processo non
sarà più “ingiusto” di quanto lo
sia attualmente;
d) se è vero che i problemi della
giustizia dovrebbero essere
curati con interventi di altro tipo, l’unico intervento risolutore, almeno per il problema costituito dal «collo di bottiglia
del processo» della redazione
della sentenza, andrebbe individuato nel “drastico” aumento dell’organico della magistratura;
e) si ribadisce la validità del principio di sussidiarietà che ispirerebbe la riforma e si sostiene
che tale principio «è da sempre
il fondamento politico di quei
sistemi di common law, il cui
trend evolutivo è invocato dai
critici della riforma per contrastare le scelte fatte da quest’ultima».
L’entrata in vigore del
processo societario: nel
mio intervento ipotizzavo che in
a1)
ordine alla fase introduttiva del
processo di cognizione il criterio
direttivo del disegno di legge delega sarebbe stato attuato mediante previsione di un articolato
simile a quello del processo societario di cui al D.lgs 17 gennaio
2003 n. 5, in vigore dal 1° gennaio 2004.
Siffatta constatazione non ha ricevuto alcuna smentita dai miei illustri contraddittori.
Pertanto, in merito all’obiezione
di «singolare riduttività dei commenti» in quanto incentrati soltanto sulla progettata riforma della
fase introduttiva del processo ordinario di cognizione, ammetto la
portata effettivamente riduttiva
del mio intervento. Esso era riduttivo in relazione al progetto approvato ma in realtà solo in quanto finalizzato a richiamare l’attenzione degli operatori sull’imminenza dell’entrata in vigore del
nuovo processo di cognizione societario (o commerciale, stante
l’ampiezza della materia regolata), da cui ci separa poco più di
un mese, ad onta della richiesta di
rinvio formulata non solo dalla
stessa avvocatura e dagli stessi illustri processualisti autori della
replica innanzi menzionata ma
anche dalla migliore dottrina.
Quanto ai primi, infatti, dal verbale della riunione del 5 settembre
2003 della Commissione di studio
sulla riforma del processo societario costituita dall’Oua si evince,
tra l’altro, che nel corso della riunione si è stabilito di presentare e
far approvare al Congresso nazio(12) DIDONE, Dal “rito del gambero” al
“rito del ping pong”: brevi osservazioni
sul Ddl per le modifiche al codice di procedura civile, in «D&G» n. 39 dell’8 novembre 2003, p. 94.
(13) LUISO e SASSANI, Il progetto Vaccarella: c’è chi preferisce il processo attuale, in www.judicium.it.
(14) AULETTA, Il ranocchio e lo straniero: discutendo con Wolfgang Grunsky
della riforma italiana del diritto processuale societario, in www.judicium.it
nale forense, che si è tenuto in
Palermo nei giorni dal 2 al 5 ottobre 2003, una specifica mozione
contenente i principi e le motivazioni che hanno portato alla stesura del documento elaborato e
licenziato dalla Commissione di
studio, contenente proposte di
modifica alla disciplina del processo societario nonché «la richiesta di slittamento dell’entrata in
vigore della riforma del diritto societario, prevista per il 1° gennaio 2004, in attesa che venga
portata a compimento, in tutto il
suo iter, la riforma del processo
civile» (15).
È noto, peraltro, che la richiesta
di rinvio non è stata inserita nella
mozione finale del Congresso,
che ha recepito soltanto quella relativa alle modifiche che, a quanto pare, è stata già accolta dal legislatore (16). Modifiche che, a
mio avviso, non elidono l’inconveniente da me segnalato, che ribadisco, relativo all’intreccio di
termini previsto dal processo societario, tenuto conto di ciò che,
in caso di processo con più parti,
il decorso dei termini non è unitario ed è diverso per ciascuna parte in relazione alla scadenza prevista per la notifica dello scritto
difensivo di ognuna di esse, sì
che difficilmente i cittadini parti
del processo civile desiderosi di
ottenere una pronuncia sul merito della lite e non soltanto sulla
regolarità del processo, potranno
essere d’accordo sulla riforma.
Soprattutto, la scadenza di termini
diversi per replicare a ciascuna
parte avversa costringerà gli avvocati a munirsi di sofisticato
software capace di segnalare l’epoca di notifica della propria replica all’una o all’altra parte senza
incorrere in decadenze, mentre la
disciplina “degli incidenti” meramente processuali ci riporta indietro di un secolo nella disciplina del processo.
Quanto alla dottrina, mi limito a
segnalare i recentissimi rilievi del
Tarzia in merito alla necessità di
interventi correttivi della nuova
normativa e, soprattutto, il suo
invito a riflettere «sull’opportunità
di un differimento dell’entrata in
vigore» per attuare il coordinamento con la riforma generale
del processo civile «e magari anche con le “modifiche al codice
di procedura civile”», già approvate dalla Camera nel luglio scorso (17).
La durata: la critica relativa all’eccessiva durata
del nuovo modello processuale
(anche quello societario, dunque)
sarebbe, secondo i miei contraddittori, fondata su un equivoco e
falserebbe «i dati del problema
della imputazione della irragionevole durata del processo». Infatti,
«fino all’istanza di fissazione dell’udienza la controversia non impegna alcun giudice e non richiede alcuna spendita di pubblica attività. E poiché l’apparato giudiziario non contribuisce in alcun
modo a determinare i tempi del
processo (al contrario di quel che
accade ora in cui la rigida lunghezza dei tempi è una imposizione del sistema) la responsabilità dello Stato è fuori gioco».
Si tratta di un’argomentazione che
prescinde dal rilievo che da oltre
due anni mi affanno a ripetere
per dimostrare la non praticabilità
della reintroduzione del processo
formale del codice del 1865; ossia
il rilievo per cui i poteri che il giudice esercita in sede di fissazione
dell’udienza con una sorta di “despacho saneador” sono poteri
enormemente ridimensionati in
quanto vengono esercitati tardivamente e, quando ormai le parti
si sono scambiati scritti difensivi,
magari per mesi, il giudice stesso
può d’ufficio rilevare una questione di competenza o di giurisdizione o di integrità del contraddittorio o una nullità verificatasi precedentemente che comporterà
l’azzeramento dell’attività svolta
b1)
nel mentre oggi sin dalla prima
udienza di comparizione può
esercitare tale potere.
Infine, quanto alla inesatta conoscenza della giurisprudenza strasburghese, ricordo soltanto una
delle ultime decisioni della Cedu
nella quale si riafferma che è
compito dello Stato quello di organizzare il sistema giudiziario in
modo tale che le proprie giurisdizioni possano garantire a ciascuno il diritto di ottenere una decisione definitiva in un termine ragionevole (18).
Il risultato del processo
non sarà più “ingiusto”
di quanto lo sia attualmente: sarebbe priva di senso – secondo i
miei contraddittori – la denuncia
di un sistema processuale che
«porta con sé il pericolo che la libertà degli avvocati si traduca in
un sacrificio del diritto sostanziale
della parte privata, tanto più svantaggiata quanto più debole, specie
se il confronto la vede opposta ad
una parte forte con un avvocato
che lo è altrettanto» (19).
Chiarito che le obiezioni mosse al
progetto di riforma sono le stesse
che riguardano il processo societario, essendo simile la fase di
trattazione della causa “senza giudice”, appare evidente perché è
possibile rispondere alle obiezioni dei miei contraddittori con gli
stessi argomenti sviluppati a difesa del processo societario nello
c1)
(15) Il testo completo del verbale è leggibile in www.judicium.it.
(16) Vedi la bozza, dello schema di decreto legislativo di modifica del D.lgs
5/2003, in www.judicium.it.
(17) TARZIA, Interrogativi sul nuovo
processo societario, in Riv. Dir. Proc.,
2003, 650.
(18) Corte europea diritti dell’uomo, 16
ottobre 2003, Neves Ferriera Sande ed altri c. Portogallo.
(19) In realtà l’argomento è di Carpi,
riferito da QUERZOLA, Il convegno nazionale su «Esperienze e prospettive della
giustizia italiana», in Riv. Trim. dir.
Proc. Civ., 2003, pag. 363.
27
scritto innanzi citato dell’autorevole componente della Commissione ministeriale.
In esso si afferma con sicurezza
che il nuovo processo societario
“è innanzitutto conforme a un tipo di avvocato diffuso – in misura statisticamente prevalente –
nell’assistenza dei soggetti destinati ad assumere la qualità di parte nei giudizi rientranti nel campo
di applicazione del D.lgs 5/2003;
un avvocato – cioè – dal quale sia
“esigibile” (espressione usata da
un autorevole studioso in uno
scritto privato avente per oggetto
la proposta di riforma) la piena
assunzione di responsabilità nell’adozione di scelte agonistiche
che sono suscettibili di esaltare o
compromettere la posizione sostanziale difesa, un avvocato selezionato per l’ appartenenza a un
circolo più ristretto della classe
professionale e del quale siano riconoscibili – come per i membri
di un’élite – le abitudini e condivisi gli standard di organizzazione
del lavoro» (20).
Non sono i critici del processo societario e di quello previsto dal
progetto di riforma, dunque, a
definirlo processo d’«élite».
In un fascicolo della Rassegna penale del 1929 – vigente, dunque,
il codice di procedura del 1865
con le modifiche del 1901 – mi è
capitato di leggere una puntuale
descrizione della situazione della
giustizia civile dell’epoca: «Tra le
eredità dei vecchi regimi vi è ancora una giustizia lentissima e che
è in pieno contrasto con le tendenze del giorno, una giustizia
complicata, costosa, cavillosa,
snervante e che porta nel pubblico una grande sfiducia» (21).
Eppure questa valutazione riguardava il processo così come era
strutturato allorquando, per «la repugnanza della pratica all’uso del
procedimento formale», si era verificato l’adattamento del rito
sommario ai bisogni del contenzioso civile, con una spontanea
28
trasformazione ed evoluzione,
onde derivò poi il suo generalizzarsi nel foro, assorbendo quasi la
totalità delle controversie» (22) e
«il beneficio di portare immediatamente la controversia innanzi al
magistrato» aveva ottenuto «in generale l’apprezzamento che meritava» (23); al punto che la prassi
aveva ricevuto «legale sanzione»
con la riforma del 1901 (24), la
quale aveva fornito «il beneficio,
reclamato con insistente univocità
dalla pratica, della continua intervenzione e della efficace direzione del magistrato» ai processi innanzi ai tribunali e alle corti d’appello (25).
Opposto il giudizio dell’attuale
avvocatura, secondo la quale «la
gravità dello stato di dissesto in
cui versa la giustizia civile nel nostro Paese – al quale ha di certo
contribuito il fallimento delle precedenti riforme del rito che nessuna prassi virtuosa è in grado di rivitalizzare – impone il coraggio di
scelte di sistema che affidino ai
soggetti della giurisdizione compiti e conseguenti responsabilità
nella gestione del processo con la
finalità precipua di assicurare l’attuazione dei principi ispiratori del
giusto processo [...]. Il nuovo processo in materia societaria, che si
ispira ai principi informatori elaborati dalla commissione Vaccarella, costituirà utile occasione per
sperimentare la funzionalità del
nuovo modello proposto» (26).
Forse, rispetto al 1929, il numero
delle cause civili pendenti è diminuito, altrimenti non si spiegherebbe perché si spera che un sistema ritenuto inadeguato già alla
fine del 1800 nel 2004 possa dare
ottimi risultati. Invero, «pochi anni
dopo l’attuazione del codice non
vi fu quasi più nessuna lite che
fosse istituita e trattata col procedimento formale (una media inferiore al quattro per cento)» (27);
percentuale scesa al 3,75% nel
1898 e precipitata all’1,50% nel
1902 (28). «Accadde che, dove
più dove meno nelle varie regioni
d’Italia, il maggior numero delle
cause – per via di singole autorizzazioni dei presidenti (art. 154) –
si svolse a procedimento sommario» (29).
Rimedi: quanto all’obiezione per cui se è vero
che i problemi della giustizia dovrebbero essere curati con inter-
d1)
(20) AULETTA, Il ranocchio, cit.
(21) CAGGIANO, Residui, in Rass. Pen.,
1929, II, 824 s.
(22) MORTARA, op. cit., 358.
(23) MORTARA, op. cit., 359. Anche se
«per rimediare all’angustia delle discussioni improvvisate si adottò su larga scala il metodo dei differimenti o rinvii da
udienza a udienza, dividendo così d’intesa fra i difensori e col beneplacito del
magistrato, in una serie adeguata di atti
successivi, lo svolgimento delle operazioni preparatorie della disputa». (MORTARA, op. loc. cit.).
(24) MORTARA, op. cit., 363.
(25) MORTARA, op. cit., 364.
(26) Cfr. la mozione finale del Congresso di ottobre 2003, in www.oua.it
(27) MORTARA, op. cit., 359. Non è un
caso, dunque, che fioriscano in questi
tempi ristampe di codici del 1800: cfr.,
nella Collana Testi e Documenti per la
Storia del Processo - a cura di N. Picardi e
A. Giuliani. 2 Sezione: Codici degli Stati
Italiani Preunitari, AA.VV., Codice di procedura civile per gli Sati estensi, 1852,
Giuffrè, Milano, 2003; AA.VV., Regolamento generale del processo civile pel Regno-Lombardo-Veneto, 1815, Giuffrè,
Milano, 2003; AA.VV., Codice di processura di Maria Luigia, 1820, Giuffrè, Milano, 2003 e, più di recente, v. la ristampa dei Codici di procedura civile degli
Stati Sardi con introduzione di CHIARLONI, Il presente come storia: dai codici
di procedura civile sardi alle recentissime riforme e proposte di riforma, in corso di pubblicazione ed ivi, § 8, analoghe
considerazioni sulla «vittoria del procedimento sommario sul formale».
(28) Questi i dati forniti da CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile
(1923), rist. del 1980, Napoli, 707, nota 2:
processo formale, nel 1898 3,75%, nel
1899 3,63%, nel 1900 3,44%, nel 1901
3,16% e nel 1902 1,50%. Processo sommario: nel 1898 96,25%, nel 1899 96,37%,
nel 1900 96,56%, nel 1901 96,84% e nel
1902 98,50%.
(29) CHIOVENDA, op. cit., 706.
venti di altro tipo, l’unico intervento risolutore, almeno per il
problema costituito dal «collo di
bottiglia del processo» della redazione della sentenza, andrebbe
individuato nel «drastico» aumento dell’organico della magistratura, mi limito a suggerire il miglior
utilizzo delle risorse esistenti.
«Dobbiamo avere il coraggio di
mettere mano alle circoscrizioni
giudiziarie, vincendo campanilismi e corporativismi. In Italia oggi ci sono più di 100 tribunali con
meno di 20 giudici, che è ritenuta
la soglia minima per consentirne
il funzionamento in considerazione del sistema delle incompatibilità. Non si può andare avanti con
una geografia giudiziaria disegnata a metà dell’800».
Sono parole dell’onorevole Vietti,
non mie, pronunciate al Forum di
Firenze organizzato dall’Oua (30).
A ottobre è giunta la risposta dell’avvocatura, con la mozione finale del Congresso, secondo cui «la
capillare presenza delle sedi giudiziarie sul territorio è un dato
fondamentale per rendere la giustizia visibile ed accessibile».
Va condivisa, peraltro, di quella
mozione, la parte in cui ricorda
«al Governo … che non è immaginabile alcun serio progetto di
riforma in assenza di idonee previsioni di spesa … » e «al Ministro
… che l’articolo 110 della Costituzione lo rende responsabile dell’efficienza e dell’organizzazione
del servizio Giustizia».
Sussidiarietà della giurisdizione: da ultimo, quanto all’obiezione con la quale si ribadisce la validità del principio di
sussidiarietà che ispirerebbe la
riforma e si sostiene che tale principio «è da sempre il fondamento
politico di quei sistemi di common law, il cui trend evolutivo è
invocato dai critici della riforma
per contrastare le scelte fatte da
quest’ultima», lascio la risposta al
Lord Chancellor il quale, nella
e1)
prefazione a «The practice directions to the Civil procedure rules»
pubblicata nel gennaio 2002, così,
tra l’altro, si esprime: «On 26th
April 1999, I introduced the most
fundamental change to the civil
justice system in England and
Wales for over 100 years … In
pursuit of the overriding objective
enshrined in Part 1 of the Civil
Procedure Rules – that all cases
should be dealt with justly – the
onus for the management of cases was placed on the courts …
It should reduce the adversarial
nature of the process and ensure
that disputes are settled at the
earliest possible just opportunity.
… Almost 9 months in to the
new system, I am pleased to report that the early signs are very
good» (31).
A me sembra che se «the onus for
the management of cases was
placed on the courts», il principio
di sussidiarietà della giurisdizione, come non esiste nel nostro sistema costituzionale, non esiste
più neppure nel sistema di common law.
4. IL NUOVO
PROCESSO SOCIETARIO
DI COGNIZIONE
E LA CORTE EUROPEA
DEI DIRITTI DELL’UOMO
L’
entrata in vigore del
nuovo processo societario a far tempo dal
1° gennaio 2004 rende opportuno svolgere alcune considerazioni sulla conformità del nuovo
processo speciale di cognizione
che ha introdotto nel nostro sistema processuale il d.lgs. n. 5 del
2003 con l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
sotto il profilo della “ragionevole
durata” del processo e, di conseguenza, con la cosiddetta legge
Pinto. Anzi, in realtà, si tratta di ribadire concetti da me già espres-
si in un precedente intervento
(32) (ma contrastati da una parte
autorevole della dottrina processualcivilistica (33)) alla luce, oggi, del mutato quadro della giurisprudenza della CEDU in materia
di processo civile vigente nel sistema di common law prima della cosiddetta Woolf’s Reform.
Invero, la disciplina della fase introduttiva del processo prevista
dalla nuova normativa, la cui durata è rimessa integralmente alle
parti, posto che i termini per lo
scambio degli scritti difensivi sono fissati dalla legge soltanto
nel minimo (34), non è molto
dissimile da quella prevista dal
vecchio e superato modello adversary del sistema di common
law. Talché, alla luce della giurisprudenza costante della Corte di
Strasburgo, avevo dubitato della
conformità alla legge Pinto del
D.lgs. in questione che, dopo
aver previsto una serie di termini
per il deposito di scritti difensivi,
rimette alla volontà della parte
più diligente la fissazione dell’udienza di comparizione dinanzi
al giudice. Con la conseguenza
che solo con il decreto di fissazio(30) Cfr. resoconto in Diritto e Giustizia
on line del 9 maggio 2003.
(31) In www.open.gov.uk.
(32) Cfr., Appunti sul nuovo processo societario di cognizione (con l’ausilio del
«commento anticipato» del Mortara e del
Ricci), in Giur. It., 2003, 1977 ss.
(33) COSTANTINO, Il nuovo processo
commerciale: la cognizione ordinaria in
primo grado, in Riv. Dir. Proc., 2003, 387
ss., in particolare pag. 402-403 ove si afferma: «in mancanza di qualsivoglia attività dell’ufficio giudiziario, diversa dalla
custodia degli atti e dei documenti, fino
alla presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza di cui all’art. 8, appare
corretto negare che la notificazione della
citazione coincida anche con il dies a
quo computare il termine di ragionevole
durata del processo ai sensi dell’art. 2
della l. 24 marzo 2001, n. 89, sull’equa riparazione».
(34) CHIARLONI, intervento al Convegno dell’A.N.M. su «Processo e organizzazione», Roma, 12 e 13 dicembre 2003.
29
ne di questa il giudice può esercitare il potere di rilevare d’ufficio
una questione – di rito o di merito (articolo 12, comma 3 lettera a)
– (sulla quale, poi, le parti dovranno necessariamente interloquire), sia essa di competenza, di
giurisdizione, di integrità del contraddittorio o altro, che potrebbe
vanificare i mesi di lavoro profusi
dai difensori nella fase preliminare, con una evidente violazione
del precetto costituzionale della
ragionevole durata del processo.
Avevo anche rilevato che il legislatore delegato si era concretamente posto il problema del contrasto della disciplina proposta
con il precetto della ragionevole
durata di cui all’articolo 111 Costituzione ma aveva creduto di risolverlo osservando che «ai fini del
rispetto della direttiva costituzionale, fino a quando una delle parti non chiede la fissazione dell’udienza non può esserci ritardo
imputabile all’Amministrazione
della giustizia rimanendo il processo totalmente nella disponibilità degli antagonisti» (35).
L’argomento è del tutto simile a
quello speso dal nostro coagente
presso la Corte europea allorquando in passato faceva presente che nei processi di cosiddetto
«vecchio rito» vigeva (come tuttora vige) il sistema dispositivo e,
prima dell’introduzione del sistema di preclusioni rilevabili d’ufficio, non poteva essere imputato
allo Stato italiano il ritardo conseguente al comportamento dilatorio delle parti.
a Corte europea, però,
sin dal 1987 ha ritenuto che «il fatto che il
processo civile italiano
sia ispirato al principio
dispositivo non è in
contrasto con la convenzione, ma
non dispensa il giudice dall’obbligo di assicurare il rispetto dei limiti di durata prescritti dall’art. 6
par. 1, della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
L
30
dell’uomo e delle libertà fondamentali» (36).
Spesso la Corte di Strasburgo ha
ricordato che il principio dispositivo va coordinato con il poteredovere concesso al giudice civile
dall’art. 175 c.p.c., secondo cui il
giudice deve esercitare «tutti i poteri intesi al più sollecito e leale
svolgimento del procedimento».
È proprio dalla corretta comprensione dell’orientamento giurisprudenziale della CEDU che l’Ufficio
Studi del C.S.M. prima, e lo stesso
organo di autogoverno della magistratura, poi, sin dal 2000 hanno
sollecitato «la formulazione di una
sorta di protocollo delle prassi
applicative del processo civile in
linea con il diritto alla durata ragionevole del processo» (37), invito accolto dall’A.N.M. con il recente Convegno su «Processo e
organizzazione» del dicembre
2003.
Alla luce di tali premesse vanno,
dunque, esaminate le vicende
processuali che hanno comportato la condanna dell’Inghilterra da
parte della Corte strasburghese
con alcune recenti decisioni.
In proposito è significativo che,
proprio nella più recente decisione del luglio 2003 (38), la Corte
abbia richiamato come precedente la condanna dell’Italia per violazione dell’art. 6 Conv. nel caso
Capuano, innanzi ricordato, e ha
dato risposta affermativa al quesito posto dal Governo inglese se
lo Stato possa essere ritenuto responsabile per il periodo precedente il dibattimento della causa,
prima dell’introduzione del «case
management», che consente al
giudice di intervenire sin dall’inizio nello svolgimento sollecito
del processo.
In particolare, la Corte europea
ha ricordato di avere ripetuto in
numerose occasioni che il principio del diritto interno secondo cui
le parti di un procedimento civile
sono tenute a prendere l’iniziativa
in riguardo allo sviluppo del pro-
cesso, non dispensa lo Stato dal
conformarsi al requisito della trattazione delle controversie in un
tempo ragionevole, pur essendo
libero nel modo di prevedere
meccanismi per assicurare tale finalità «sia incrementando il numero dei giudici, ovvero mediante
automatici limiti di tempo e direzioni, o mediante qualsiasi altro
metodo». In ogni caso, però, «se
uno Stato lascia che i procedimenti continuino oltre il “termine
ragionevole” prescritto dall’art. 6
della Convenzione senza fare
qualche cosa per farli progredire,
esso sarà responsabile del conseguente ritardo».
ovvio – come si desume dalla lettura
della sentenza integrale – che, nel mentre la durata complessiva del procedimento sarà valutata ai fini dell’accertamento della violazione del
precetto della ragionevole durata,
l’equa riparazione sarà commisurata soltanto al periodo del ritardo
direttamente imputabile agli organi dello Stato e non anche al ritar-
E’
(35) Cfr. Relazione D.lgs. n. 5 del 2003.
(36) Corte europea dir. uomo 25 giugno
1987, in Foro it., 1987, IV, 385.
(37) V. il parere dell’Ufficio Studi in La
durata ragionevole del processo, Quaderni del C.S.M., 2000, n. 113, pag. 91.
(38) V., in proposito, Corte europea dei
diritti dell’uomo, 29 luglio 2003, Price
and Lowe v. the United Kingdom (applications nos. 43185/98 and 43186/98), in
D&G, 2004, n. 1, con mia nota di commento, secondo la quale nel computo
della durata complessiva di un processo
civile svoltosi in un paese di common
law prima della riforma del 1999 e della
introduzione del case management, va ricompresa anche la durata della fase predibattimentale (pre-trial) al fine dell’accertamento della violazione dell’art. 6
della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, sotto il profilo della “ragionevole
durata” (in fattispecie riguardante un procedimento civile svoltosi in Inghilterra
secondo la procedura civile vigente prima della cosiddetta Woolf’s Reform, con
durata complessiva di 12 anni, 1 mese e
18 giorni).
do causato dal comportamento
dilatorio delle parti. Ma si tratta di
due piani distinti: da un lato la
violazione da parte dello Stato del
dovere di organizzare il sistema
giudiziario in modo tale che le
proprie giurisdizioni possano garantire a ciascuno il diritto di ottenere una decisione definitiva in
un termine ragionevole (39), dall’altro di determinare il diritto all’equa riparazione per la parte del
ritardo non imputabile al comportamento delle parti. Dimensioni
distinte di un unico fenomeno negli stessi termini disciplinate dalla
legge Pinto.
el pari importante è
che da altra decisione richiamata dalla
predetta sentenza si
evince che i ricorrenti avevano premesso che la causa del ritardo
del processo civile, protrattosi
per 10 anni, 4 mesi e 17 giorni,
andava individuata nel sistema
«adversary» prima dell’introduzione della cosiddetta «Woolf’s
Reform» e del «case management». Anche in quella vicenda
la Corte di Strasburgo ha ritenuto
sussistente la responsabilità dell’Inghilterra affermando che «anche se un sistema consente ad
una parte di accelerare i procedimenti, ciò non dispensa le corti
dal garantire che il requisito della ragionevole durata dell’articolo 6 della Convenzione sia assicurato, giacché il dovere di amministrare giustizia in modo rapido incombe in primo luogo sulle
competenti autorità» e, disattendendo le richieste del Governo
inglese, non ha ritenuto di dovere sottrarre dal computo della
durata complessiva della causa il
ritardo imputabile al comportamento delle parti prima di quella
che, nel nuovo processo societario, è la fase che segue alla presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza, anche se il
detto lasso di tempo va detratto
D
dalla durata imputabile agli organi dello Stato (40).
Ancora, in altra decisione riguardante una causa civile protrattasi
per oltre 14 anni, sotto il previgente sistema interamente «adversarial», la Corte europea ha osservato, pur riconoscendo che in
quel sistema sono previsti diversi
mezzi procedurali che «consentono a ciascuna parte di prevenire
un ritardo eccessivo da parte dell’altra», che «tuttavia, le corti domestiche conservano un dovere
di assicurare la conformità con le
garanzie dell’art. 6 della Convenzione» (41).
Vorrei concludere con un paradosso.
Un comparativista straniero ci riferisce: «i miei viaggi mi indussero
a comprendere – ripensandoci –
uno strano paradosso: più lontano mi spostavo dal mio confine
originale, più apprendevo sul
luogo che avevo lasciato, e sulla
sua “procedura civile”» (42).
Nel mio piccolo, viaggiando soltanto su internet, nella relazione
svolta al Convegno A.N.M.O.U.A. di Palermo, nel giugno
2001, riferendomi alla proposta
avanzata da alcuni parlamentari
del centrosinistra diretta ad accelerare il processo civile «affidando al giudice il compito di intervenire solo se richiesto dalle parti, alla cui disponibilità resterebbero affidate tutte le fasi precedenti alla decisione e che attualmente si svolgono dinanzi al giudice» (43) – circostanza che elimina in radice la colorazione
ideologica attribuita da taluno alle critiche rivolte dalla dottrina e
dalla magistratura associata al
Progetto Vaccarella e all’analogo
processo societario (44) – mi ero
permesso di richiamare l’attenzione sull’esperienza dell’Australia, ove una commissione governativa aveva concluso il suo rapporto rilevando come il «sistema
della giustizia civile funziona bene quando gli uffici giudiziari
prendono un ruolo attivo negli
atti di gestione da una fase iniziale» della controversia (45) ed
avevo rilevato la contraddittorietà delle tendenze riformatrici
in Italia rispetto a quelle sperimentate felicemente nei sistemi
di common law (46).
bbene, il paradosso
consiste in ciò, che a
distanza di due anni
dal quel convegno
uno studioso australiano ha esaminato – certamente inconsapevole della mia
precedente attenzione al suo sistema – le proposte di riforma del
processo civile propugnate dall’avvocatura ed ora accolte dal
Progetto Vaccarella e dalla disci-
E
(39) Corte europea diritti dell’uomo, 16
ottobre 2003, Neves Ferriera Sande ed altri c. Portogallo.
(40) Corte europea dei diritti dell’uomo,
17 dicembre 2002 – definitiva il 21 maggio 2003 –, Mitchell and Holloway v.
the United Kingdom, Application no.
44808/98.
(41) Corte europea dei diritti dell’uomo,
22 ottobre 2002 (def. 22 gennaio 2003),
Foley c. Regno Unito, Application no.
39197/98.
(42) OSCAR G. CHASE, ‘Culture and Disputing’ (1999) 7, Tulane Journal of International and Comparative Law 81, citato da ADAM C. REYNOLDS, Dimensions of Justice in Italy: a Practical Review, in Global Jurist Advances, Vol. 3,
Issue 2 2003, Article 1, in www.bepress.com.
(43) D.d.l. n. 4703 d’iniziativa dei senatori Russo, Senese, Calvi, Smuraglia, De
Luca Michele, Maritati e Fassone, comunicato alla Presidenza del Senato il 4 luglio 2000 ed assegnato alla Commissione
il successivo 18 luglio.
(44) V., in proposito, anche i rilievi di
Costantino, op. cit., 431, il quale rileva
come la riforma del processo societario è
stata «presentata come ideologicamente
caratterizzata, insinuando il sospetto che
ogni critica del testo abbia, a sua volta,
una caratterizzazione ideologica».
(45) MANAGING JUSTICE: A review of
the federal civil justice system, Report No
89 on the law as at 31 December 1999 in
Commonwealth of Australia, 2000.
(46) DIDONE, Le priorità nella giustizia
civile, in Riv. Dir. Proc., 2001, 1158 ss.
31
plina del nuovo processo societario di cognizione e si è chiesto, in
relazione alle proposte di introduzione di un sistema simile a
quello vigente nei sistemi di common law prima della Woolf’s
Reform e dell’introduzione del case management: «ci si potrebbe
interrogare sulla probabilità di
successo nell’importare simili
riforme legislative, quando esse
sono spesso viste come causa di
ritardo nei paesi di common law.
Esse possono diminuire la durata
dinanzi al giudice (in-court time),
ma si sono mostrate protrarre la
complessiva durata delle controversie, e incrementano i costi introducendo significativo lavoro
extra per gli avvocati» (47).
Qualcuno, forse, non ha compreso (o non vuol riconoscere) che
«l’essenza del case management
sta in ciò che, da un lato, il giudice dirige il caso verso il percorso
che è maggiormente proporzionato alla sua complessità (il concetto di proporzionalità … sembra il concetto chiave della riforma); dall’altro, egli controlla e
regola lo svolgimento del processo, adottando qualsiasi misura
32
egli pensi adatta per perseguire
“l’obiettivo di maggiore importanza”» (48). Ossia “ the overriding
objective ” della Woolf’s Reform,
che non è certo quello di prolungare la durata dei processi.
Conclusivamente, «time, cost, and
accuracy» sono le dimensioni della giustizia con le quali qualsiasi
riforma – sia essa strutturale o anche solo processuale – deve confrontarsi e alla luce delle quali deve essere valutata (49).
Non senza dimenticare che le dimensioni del tempo, dei costi e
dell’accuratezza non esistono isolatamente ma sono fra esse correlate (50).
er contro, la riforma del
processo societario di
cognizione se da un lato riduce il tempo della
controversia limitatamente alla fase svolta
dinanzi al giudice (in-court), rischia di dilatare irragionevolmente la durata complessiva del processo, incidendo anche sui costi
connessi con il maggior lavoro richiesto agli avvocati nella fase introduttiva. Di ciò il legislatore del
2002, così come i parlamentari
P
del centrosinistra che nel 2000
avevano intrapreso la strada inversa a quella seguita dai sistemi
di common law, non hanno tenuto conto (51).
ANTONIO DIDONE
Consigliere Corte Appello
L’Aquila
(47) REYNOLDS, op. cit.
(48) VARANO, Some Re ections on Procedure, Comparative Law, and the Common Core Approach, in Global Jurist Topics, Vol. 3, Issue 2, 2003, Article 4, in
www.bepress.com.
(49) REYNOLDS, op. cit.
(50) REYNOLDS, op. cit.
(51) Per analoghe considerazioni cfr.
TARUFFO, Comparazione e riforme processuali, passim, in AA.VV., Io comparo,
tu compari, egli compara: che cosa, come e perché?, Milano, 2003 e VARANO,
op. cit., 5 ss., il quale ricorda come il
trend in altri Paesi, come l’Inghilterra, gli
Stati Uniti, l’Australia, la Spagna, la Francia e la Germania, sia esattamente opposto a quello seguito dal Progetto Vaccarella, posto che in quegli ordinamenti si è
perseguito il fine del rafforzamento della
fase preparatoria mediante il rafforzamento dei poteri del giudice. Secondo tale a., la proposta di trasferire sulle parti la
responsabilità della direzione della fase
preparatoria della causa costituisce un
aspetto della riforma «which can make
the whole castle collapse» (ivi, 6).
GLI INTERVENTI
SULLA DISCIPLINA
DEL PROCESSO CIVILE
A
distanza di otto anni
dall’entrata in vigore
della legge n. 353/
1990, il nostro legislatore si è dunque
incamminato in un
nuovo itinerario riformatore del
processo civile.
A tanto si appresta, in realtà, con
un tono apparentemente dimesso, quasi di soppiatto. Il Testo
Unificato del Disegno di legge,
approvato dalla Commissione
Giustizia della Camera in sede legislativa nella seduta del 16 luglio
2003 ed ora all’esame della Commissione Giustizia del Senato con
il n. 2430, avanza con il titolo di
“Modifiche al codice di procedura civile”. Anche lo schema di disegno di legge delega varato dal
Consiglio dei Ministri il 24 ottobre
scorso, su proposta del Ministro
della Giustizia, nel riprendere il
progetto elaborato dalla commissione presieduta dal professor
Romano Vaccarella, composto da
63 articoli, non osa proporre, in
sede di intitolazione, un nuovo
codice di procedura civile, ma
identicamente propugna “l’attuazione di modifiche al codice di
procedura civile”; all’art. 1, al più,
ci si spinge a propugnare la
“riforma organica del codice di
procedura civile”.
Da qualche anno, per nostra
buona sorte, gli studiosi delle cosiddette organizzazioni complesse hanno preso ad interessarsi
fattivamente degli affanni della
giustizia civile. Ciò facendo, questi teorici ci hanno imposto un loro primo obiettivo: la “messa a
punto di un quadro teorico-metodologico di lettura organizzati-
L
M
va del processo civile in chiave
assolutamente descrittiva per ricostruire le logiche d’azione del
processo stesso” (S. ZAN, Fascicoli e tribunali, Il processo civile in
una prospettiva organizzativa,
Bologna 2003, 12). La premessa
operativa di questo ragionamento è molto amara: “In un periodo
storico in cui tutti quotidianamente propongono soluzioni ai
mali della giustizia continuo a
ritenere, seguendo gli insegnamenti del maestro Michel Crozier, che sia ancora più importante dedicare i propri sforzi a
comprendere la reale e profonda
natura dei problemi, prima di
pensare a soluzioni che rischiano di essere peggiori del male che
vogliono curare” (S. ZAN, Fascicoli e tribunali, Il processo civile
in una prospettiva organizzativa, cit., 2003, 13).
uò destare un iniziale
stupore costatare come
l’identico sospetto di
una superficiale diagnosi dei mali della
giustizia civile sia venuto pure a qualche civilprocessualista, che ha fatto ricorso alla stessa parabola del medico e della
malattia: “Per operare in maniera
opportuna e senza creare guasti,
un qualsiasi legislatore ben intenzionato dovrebbe individuare
ciò che non va (la malattia) per
stabilire i rimedi (le medicine)”
(G. VERDE, La cura del codice di
procedura civile è nel superamento delle contrapposizioni, in
Guida al diritto del 15 novembre
2003, n. 44, 12).
A dire di molti è l’irragionevole
durata il morbo letale della giusti-
P
33
zia civile italiana. La scelta che il
legislatore è chiamato a compiere
è, allora, quella di allocare le responsabilità di questa durata, ovvero di individuare i germi patogeni del male.
L’analisi di alcuni commentatori
parte da lontano e minimizza le
colpe della legge processuale:
l’irragionevole durata dei giudizi
civili dipenderebbe, piuttosto,
dalla mancanza di filtri preventivi d’accesso, dalla disfunzionale
geografia degli uffici giudiziari e
dalla mancanza di elasticità nell’organizzazione del lavoro dei
magistrati (ancora G. VERDE, La
cura del codice di procedura civile è nel superamento delle contrapposizioni, cit. 12).
Ciò significherebbe porsi più
ambiziosi (e più “costosi”) obiettivi legislativi: ridurre il contenzioso, ridisegnare l’articolazione
organizzativa territoriale dei tribunali, affrontare le questioni
professionali dei diversi soggetti
protagonisti del processo. Si è
scelta, invece, la via più breve di
intervenire ulteriormente sul codice di rito, stavolta con un’operazione che pare di sì ampia portata da presumersi tendenzialmente definitiva.
n realtà, il Disegno di legge
approvato dalla Camera
(che per brevità si chiamerà
d’ora in poi Dis. L. n. 2430)
anticipa già alcune delle soluzioni auspicate in via di
principio dallo schema di disegno
di legge delega voluto dal Consiglio dei Ministri (Dis. L. Del. 24
ottobre 2003), mentre alcuni altri
dei criteri direttivi della delega
chiesta dal Governo soddisfano
proprio convinte richieste avanzate dalla A.N.M., da ultimo nella
Scheda di osservazioni tecniche
sul Testo unificato del disegno di
legge, inviata ai gruppi parlamentari e reperibile sul sito dell’A.N.M. (www.associazionemagistrati.it).
Il Testo unificato di “Modifiche al
I
34
codice di procedura civile” votato
dalla Camera attua, ad esempio,
le modifiche in tema di competenza per valore e di procedimento per i giudizi davanti al giudice
di pace (art. 1 e art. 24, Dis. L. n.
2430), di cui è poi menzione all’art 3, Dis. L. Del. 24 ottobre
2003.
Gli artt. 3 e 4 Dis. L. n. 2430, con
cui viene apprezzabilmente modificata la disciplina delle spese
processuali e della responsabilità
aggravata, sembrano consapevoli
premonizioni dell’art. 11, Dis. L.
Del. 24 ottobre 2003.
Gli artt. 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13
e 23 Dis. L. n. 2430, che mirano a
realizzare una maggiore semplificazione delle forme, ad agevolare
gli adempimenti degli uffici giudiziari e dei difensori, ed a tutelare
in modo più puntuale i diritti di
difesa, possono forse soddisfare
le aspettative degli artt. 14 e 15,
Dis. L. Del. 24 ottobre 2003.
osì pure, l’art. 62 Dis.
L. n. 2430, sulla “consulenza tecnica preventiva ai fini della
composizione della lite”, va nel senso degli
artt. 20, co. 3°, e 49, Dis. L. Del.
24 ottobre 2003; l’art. 21 Dis. L.
n. 2430 allestisce forme di esecuzione indiretta della sentenza
conformemente alle aspettative
dell’art. 42, Dis. L. Del. 24 ottobre
2003; l’art. 29 Dis. L. n. 2430, laddove impone al debitore esecutato un onere di collaborazione,
consistente nell’indicazione dei
beni utilmente pignorabili e dei
luoghi dove essi si trovino, corrisponde ad un criterio propugnato
dall’art. 38 Dis. L. Del. 24 ottobre
2003.
Ciò inteso, lo schema del disegno
di legge delega varato dal Consiglio dei Ministri il 24 ottobre 2003
potrebbe trovare in parte immediata concretizzazione se si sovrapponessero alcuni dei suoi
principi e criteri direttivi con il
Testo Unificato del Disegno di
C
legge approvato a luglio scorso
dalla Camera.
eraltro, come prima si
accennava, se l’A.N.M.
ha espresso il convincimento che le modifiche
previste nel Testo unificato n. 2430, ora all’esame del Senato, possano favorire il recupero di funzionalità e
di razionalità della giustizia civile,
non deve ignorarsi come la stessa
Associazione Magistrati avesse
ancora di recente insistito per ulteriori interventi novellatori della
legge processuale, intendendo
perseguire risultati che stanno a
cuore pure allo schema di legge
delega 24 ottobre 2003. Ci si riferisce:
• alla semplificazione del regime
della procura alle liti (su cui
vuol incidere l’art. 10 Dis. L.
Del. 24 ottobre 2003);
• alla eliminazione o riduzione
dei regolamenti di giurisdizione e di competenza, della sospensione obbligatoria e dalle
rimessioni al primo giudice (e
di ciò si preoccupano gli artt. 7,
10, lett. g, e 27, ult. co., Dis. L.
Del. 24 ottobre 2003);
• alla semplificazione della disciplina relativa alla competenza territoriale ed alla prosecuzione del giudizio davanti al
giudice dichiarato competente
o avente giurisdizione (che si
propongono gli artt. 4 e 2, co.
1°, Dis. L. Del. 24 ottobre
2003);
• all’introduzione di meccanismi
semplificati di decisione della
causa e di redazione della sentenza, con generalizzazione
delle modalità previste dall’art.
281 sexies c.p.c. (cui sembra
propenso l’art. 22, co. 2°, Dis.
L. Del. 24 ottobre 2003);
• alla riforma del sistema delle
impugnazioni, con la previsione generalizzata dell’appello e
la modifica del giudizio di cassazione, intervenendo sull’art.
360, n. 5 c.p.c. (verso cui pos-
P
sono indirizzarsi gli artt. 30 e
31 Dis. L. Del. 24 ottobre
2003);
• alla previsione di un procedimento non cautelare a cognizione sommaria per la tutela di
situazioni tipiche a contenuto
non patrimoniale, o non prevalentemente patrimoniale (e qui
va richiamato l’art. 48 Dis. L.
Del. 24 ottobre 2003).
uesta parziale identità
di auspici tra l’attuale
legislatore delle riforme e l’A.N.M. rende
immeritate le critiche
rivolte alla magistratura di voler difendere lo status
quo, o di essersi corporativamente affezionata al vigente modello
processuale – giacché portatrice
di un sostegno ideologico ad una
parte dell’Accademia – e di voler
scaricare all’esterno la colpa del
malfunzionamento dei giudizi civili. Sono del resto i giudici, e non
altri, che pur se ne dicono angosciati, a dover registrare quotidianamente in prima persona il malcontento dei cittadini per l’andamento delle liti civili. Se da alcuni
studiosi (B. SASSANI, La riforma
del processo societario, in Italia
oggi, Società Il dizionario della
riforma, 1 ottobre 2003, 40 ss.) si
leva l’allarme per la burocratizzazione e la deresponsabilizzazione
dell’attuale modello di giudice civile, per la “scandalosa lontananza nel tempo delle udienze”,
per i tempi morti intollerabili in
danno della parte che ha ragione,
è facile aggiungere che così si
conclamano le doglianze più sentite dall’Associazione Magistrati. E
come non condividere la convinzione di quei medesimi studiosi
che, se le cause del lento incedere del contenzioso civile sono più
d’una, “tra esse giganteggia il disastro delle strutture”? È antistorico, invece, rinfacciare alla magistratura di opporsi all’aumento
dei propri organici, ora che una
simile questione sembra del tutto
Q
sconosciuta alla “agenda politica”
e che il problema di assoluta attualità è divenuto, piuttosto, come proprio l’A.N.M. denuncia,
quello di colmare l’enorme scopertura dell’organico esistente.
utto sommato, però,
una prima conclusione sembra legittima:
vista la conformità di
buona parte dei loro
contenuti, il Testo
Unificato del Disegno di legge
approvato dalla Camera e lo
Schema di legge delega non sarebbero poi agli antipodi; né la
Magistratura associata, a proposito del processo civile, avverte
esigenze e prospetta soluzioni
tanto diverse da quelle che ispirano l’attuale politica della giustizia e settori dell’Accademia.
È un fatto, tuttavia, che il confronto culturale sulle necessità
pratiche del processo civile sia
trasceso in un dibattito ideologico povero di concretezza. Gli slogans davvero non mancano, ma
ne fa uso anche chi dice di deprecarli (sono al riguardo indicative le letture del resoconto
predisposto da L. QUERZOLA, Il
convegno nazionale su “Esperienze e prospettive della giustizia italiana”, in Riv. trim. dir. e
proc. civ. 2003, 361 e ss.). Si va
davvero verso la “privatizzazione del processo civile”? Si persegue un “modello procedimentale
pensato per la parte litigante”, o
si “baratta la libertà degli avvocati col sacrificio della parte più
debole”? Chi critica la cosiddetta
“bozza Vaccarella” lo fa soltanto
perché ormai adoratore di un
“tabù”? È invocabile un “principio di sussidiarietà” nel rapporto
tra intervento del giudice e poteri delle parti?
Non è allora addebitabile alla distrazione ed alla superficialità
dei soli commentatori critici l’attenzione riduttiva rivolta allo
Schema di legge delega, isolando dal contesto generale dell’in-
T
tervento riformatore gli artt. 16,
17, 18, 19 e 20. È che queste norme si stanno trasformando in un
vessillo da sbandierare sul pennone più alto.
n relazione a questi articoli, volendosi accuratamente
evitare di parlare di “privatizzazione del processo”,
potrebbe parlarsi, piuttosto,
di “privazione del giudice
dalla trattazione”. Il modello prescelto ipotizza, dopo l’iniziale
scambio della citazione e della
comparsa di risposta, una teoria
potenzialmente illimitata di “repliche” e di “repliche a sua volta”,
eventualmente culminante nell’istanza di fissazione dell’udienza,
in analogia a quanto dettato negli
artt.2 e ss. del D. Lgs. 17 gennaio
2003, n. 5, relativo ai procedimenti in materia di diritto societario, bancario e creditizio. Quale
extrema ratio nella scala gerarchica dei rimedi idonei a definire
la lite, il Giudice entra dunque in
scena con la dirompente pronuncia del decreto di fissazione dell’udienza. In questo decreto il
giudice indicherà le questioni rilevabili d’ufficio, stando peraltro
attento a non rilevare d’ufficio le
preclusioni in ordine alla tardività
della proposizione di riconvenzionali o di chiamate in causa di
terzi, ovvero alla intempestività
delle eccezioni di merito in senso
stretto. C’è da augurarsi che mai il
giudice si avveda dell’esistenza di
problemi attinenti alla costituzione delle parti, o all’integrazione
del contraddittorio, o alla chiamata in causa di terzi, o alla notificazione della citazione, giacché, in
un sistema improntato alla pattizia indeterminatezza temporale
del momento antecedente al contatto in udienza con le parti, è arduo intuire quale sia “l’adeguato
differimento dell’udienza … necessario per consentire il pieno
contraddittorio anche con i terzi”, di cui parla l’art. 19 Dis. L.
Del. 24 ottobre 2003.
I
35
A
ltro totem del progetto di legge delega è
la previsione dell’attività istruttoria di parte (art. 20 Dis. L. Del.
24 ottobre 2003), ovvero l’utilizzabilità nel processo
delle dichiarazioni testimoniali
assunte dai difensori prima dell’inizio del giudizio, facendosi salvo
il potere del giudice di disporre al
riguardo accertamenti istruttori. Si
tratta di un modello di testimonianza che ha il suo intraprendente precursore nell’art. 819 ter
c.p.c. in materia di arbitrato, e che
è destinato a rappresentare una
singolarità tutta italica, dopo che
pretrial e discovery anglosassoni
sono recentemente state erose
dall’operato del temibile Lord
Woolf (J. A. JOLOWICCZ, Il nuovo ruolo del giudice del giudice
del “pre-trial” nel processo civile
inglese, in Riv. trim dir. proc. civ.
2002, 1263 ss.; F. CORSINI, Le
proposte di “privatizzazione” dell’attività istruttoria alla luce delle
recenti vicende della “discovery”
anglosassone, in Riv. trim dir.
proc. civ. 2002, 1273 ss.).
Risulta sicuramente convinzione
comune quella che l’attuale scansione delle fasi di trattazione del
processo, con i ritmi impressi dagli artt. 180, 183 e 184 c.p.c., costituisca un inutile appesantimento, che imbriglia il diritto della
parte ad aver subito ragione diluendolo in troppe udienze. Ma
questo è davvero un esempio del
principio di eterogenesi dei fini:
per non aver troppe udienze dedicate alla trattazione ed all’istruzione della causa, le si sopprimono tutte!
Si tratta, in realtà, di una meta che
lascia praticabili altre strade.
Gli artt. 14 e 15 del Testo Unificato del Disegno di legge approvato dalla Camera, consentono
espressamente, in proposito, che
il giudice proceda sin dall’udienza di prima comparizione all’immediata trattazione della causa,
36
se vi sia in tal senso istanza di
tutte le parti costituite, e sin dalla prima udienza di trattazione
all’ammissione dei mezzi di prova, riservandogli altresì il potere
di valutare l’opportunità di assegnare i termini per nuove deduzioni istruttorie. Nella Scheda di
osservazioni tecniche predisposta dall’A.N.M. sul Testo unificato del disegno di legge, si propone di arrivare immediatamente
alla fusione tra udienza di prima
comparizione e prima udienza di
trattazione, lasciando impregiudicata la facoltà di avvalersi dei
termini di cui agli artt. 183, ult.
co., e 184 c.p.c.
art. 70 del Testo Unificato del Disegno di
legge approvato dalla
Camera è adeguato a
restituire maggior rigore alla disciplina
della prova testimoniale, ripristinando l’effettività del limite di valore alla prova dei contratti, nonché delle sanzioni disposte per la
mancata comparizione ingiustificata dei testi. Non è vincente l’obiezione che in alcuni tribunali
sia comunque ormai invalsa la
prassi della raccolta delle prove
testimoniali in assenza del giudice, al quale si chiede unicamente
di apporre dopo la firma in calce
al verbale: che metodo è quello
che, per sovvertire una prassi distorta, la legalizza?
È sensazione avvertita non solo
dai magistrati che nel dibattito
sulle riforme si stiano premiando
gli aspetti evocativi rispetto a
quelli operativi, tentando un approccio in nome dei principi in
un contesto che è afflitto, innanzitutto, da una desolante obsolescenza organizzativa e tecnologica, dove la affermazione dei diritti dei cittadini è quotidianamente
barattata con una mastodontica
opera di semplice manipolazione
delle carte.
L’indulgenza per le ideologie
può portare a leggere nelle Ri-
L’
forme più di quanto esse stesse
abbiano finora detto e forse anche voluto. Il dibattito in corso
rischia, perciò, di venire contaminato da furia iconoclasta. Si
arriva a dubitare che la ragionevole durata costituisca oggi un
indicatore di giustizia del processo, al pari della sua idoneità
ad esercitare il controllo di legalità ed a pervenire ad una decisione giusta. Si stanno rievocando le contrapposte concezioni
del processo civile, citando i
Maestri del secolo scorso per dar
sostegno, a secondo dei punti di
vista, una volta all’una e una volta all’altra delle avverse tesi. Ma
anche la più autorevole delle citazioni dovrà tener conto di
quanto siano mutati i contesti rispetto alla vigilia del Codice del
1940. C’è ora il nuovo comma 2°
dell’art. 111 Cost, e prima di esso già c’era l’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo; c’è un numero di
cause affidato ai giudici togati
che non è nemmeno paragonabile a quello di sessanta anni fa.
Se la disponibilità del rapporto
sostanziale deve tuttora significare il diritto delle parti a prender tempo per riflettere nel corso del giudizio, ciò si può fare
bilanciando la permanente esigenza di garanzia con l’aumentato bisogno di efficienza: la via,
per dire, può essere quella di
ampliare la possibilità di sospensione concordata ben oltre gli
anacronistici limiti tuttora segnati dall’art. 296 c.p.c., proprio come propugna l’art. 27, lett. c) del
Dis. L. Del. 24 ottobre 2003.
iacché tutti ammettono che la giustizia civile sia, comunque
vada, in primis un
servizio pubblico, è
inutile ricordare come non ci sia servizio pubblico
che rimetta totalmente ai suoi
utenti di scegliere modalità e durata dell’erogazione. All’evocazio-
G
ne chiovendiana secondo cui “le
parti sono i migliori giudici della
loro difesa” dovrebbe rispondersi
che, ad un tempo, “le parti sono i
peggiori giudici della difesa altrui”, e così potrebbe proseguirsi
all’infinito senza costrutto.
Andando quindi al di là del contenuto normativo esplicitato nei
progetti di riforma del codice di
rito, il discorso si è artificiosamente spostato sui diversi tipi di
giudice civile.
Fino ai nostri giorni, la dottrina
ne aveva conosciuto tre elaborazioni.
Il primo tipo, unanimemente ripudiato, è quello del giudice dit-
tatore, che si regge sul sistema inquisitorio.
l secondo tipo è quello del
giudice direttore, che ha poteri di ingerenza nel processo dall’inizio alla fine e che
sottrae ai contendenti il diritto di disporre dei tempi
del processo. Sembrava ineccepibile funzionalizzare questa immagine giudiziale ad espressione del
principio di collaborazione, felice
sintesi non tanto dei postulati dell’uguaglianza formale e dell’uguaglianza sostanziale, quanto delle
garanzie costituzionali del contraddittorio e della parità tra le
parti. Sennonché, nelle più recen-
I
ti ricostruzioni storiche, la scomoda paternità del modello del giudice direttore si è attribuita al ministro austroungarico Franz Klein,
e tale genealogia è valsa a connotare quel modello con un tratto
autoritario e liberticida.
Il terzo tipo di giudice, però, a
tutt’oggi noto è, senza ulteriori
stadi intermedi, quello del giudice spettatore, proprio degli ordinamenti liberali. Sta al legislatore
italiano della Riforma processuale
smentire l’attendibilità di questa
rigida tripartizione.
ANTONIO SCARPA
Giudice presso il Tribunale
di Nocera Inferiore
37
L
M
IL “LIBRO BIANCO”
SUL PROCESSO CIVILE
C
ome è noto, il ruolo
del giudice civile negli
ultimi anni si è fortemente modificato: il
coagularsi di nuove
aspirazioni, l’affacciarsi di nuove e più complesse pretese, la nuova dimensione sovranazionale e comunitaria del diritto e dei diritti, hanno esponenzialmente aumentato il numero
delle controversie portate all’attenzione dei tribunali; ed il giudice civile si è trovato a gestire
un’emergenza fatta non solo di
grandi numeri, ma anche nuove
difficoltà interpretative ed applicative; in tale situazione di emergenza, paradossalmente divenuta
“ordinaria”, la preparazione del
giudice, per quanto elevata possa
essere, non basta più, ma deve
essere accompagnata da attitudini
manageriali, che consentano al
giudice una migliore organizzazione del proprio lavoro per tentare di soddisfare le sempre più
pressanti istanze di giustizia provenienti dei cittadini.
Questo aspetto ‘manageriale’ è
stato, sino ad alcuni anni orsono,
rimesso alla libera iniziativa del
singolo, continuandosi a privilegiare l’idea che il bravo magistrato, in particolare nel settore civile,
è quello che redige ‘belle sentenze’, da pubblicare in riviste giuridiche e magari da spendere quali
titoli per eventuali nomine a posti
di prestigio (incarichi direttivi,
massimario, ufficio studi, comitato scientifico, etc.).
Ma la prospettiva è radicalmente
mutata negli ultimi anni, ove si è
assistito ad una sorta di “normativizzazione” del concetto secondo
cui la professionalità del magistrato non si misura solo dalla
38
bravura tecnica, dall’aggiornamento dottrinale e giurisprudenziale, ma anche dalla “celerità
nella conduzione del processo”,
dalla “capacità di sintesi e di individuazione delle questioni da decidere”, dalle “modalità di conduzione dell’udienza”. Invero, il
CSM, dopo analoghe modifiche
nel marzo 2003 relative ai pareri
per il passaggio dalle funzioni
giudicanti e requirenti e viceversa, nel luglio 2003 ha emanato
una circolare che, modificando
quella “base” del marzo 1985, ha
indicato espressamente i criteri di
cui sopra quali necessari parametri cui gli organi preposti devono
attenersi nella formulazione dei
pareri per la progressione in carriera ed altre eventualità; è importante richiamare testualmente
il passaggio in cui la circolare afferma che “appare opportuno ....
procedere ad una puntualizzazione dei parametri .... per la valutazione della preparazione
della capacità del magistrato, introducendo un riferimento alla
capacità di predisporre idonei
moduli organizzativi del proprio
lavoro, in attuazione delle disposizioni non solo della legge processuale, ma anche delle circolari consiliari e delle disposizioni
tabellari”.
li interventi “paranormativi” dell’organo di autogoverno si
raccordano con le
sollecitazioni provenienti in questi anni
dall’ANM, che, come detto, ha fatto dell’“efficienza” il punto centrale di discussione, spingendo
sempre più la valutazione di professionalità del magistrato nell’ottica della laboriosità e delle capa-
G
cità organizzative. Questo è
quanto si legge anche nella proposta sulle valutazioni periodiche
di professionalità formulata dall’ANM in alternativa all’attuale
progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario, e questo è il
senso di altre iniziative dell’ANM,
l’ultima delle quali organizzata
nel dicembre ultimo scorso, avente ad oggetto proprio il tema dei
rapporti tra “Processo civile ed organizzazione”.
Su questa linea si è mossa l’attività del Gruppo civile dell’ANM,
il quale, oltre a valutare i disegni
di legge in materia processuale,
sin dalla sua costituzione si è occupato del problema prioritario
dell’efficienza della giustizia civile, non solo organizzando il
convegno di cui si è appena detto, ma elaborando anche un “libro bianco” ove sono state indicate una serie di prassi e regole
operative funzionali ad un più
rapido ed efficace svolgimento
sia del processo civile che di
quello esecutivo.
a stessa espressione
“libro bianco” dà il
senso del documento,
che, lungi da pretese
di esaustività ed esattezza, si propone solo
di creare una traccia di lavoro, finalizzata a stimolare il dibattito
piuttosto che a cristallizzare una
volta per tutte delle verità inoppugnabili. Ed infatti del “libro
bianco”, già oggetto di una prima
valutazione nel corso del Convegno di dicembre, si parlerà prossimamente nelle sedi locali in incontri organizzati dalle giunte distrettuali, e in sede centrale in tavole rotonde e/o riunioni del
Gruppo civile “aperte” alla partecipazione di docenti universitari, scienziati dell’organizzazione,
rappresentanti degli organismi
rappresentativi dell’avvocatura e
del personale di cancelleria; e si
auspica fortemente che, a seguito
di tale iter, il “libro bianco” avrà
L
una struttura e una dimensione
più complete, articolate e condivise.
Rinviando in seguito ulteriori riflessioni sui possibili sviluppi del
“Progetto libro bianco”, va detto
che esso, nella sua articolazione
attuale, è ripartito in tre capitoli:
• il primo sulla “conduzione
del processo” civile, che
contiene i paragrafi sulla “fase
preliminare”, sulla “gestione
dell’udienza” e sulla “consulenza tecnica d’ufficio”;
• il secondo, che riguarda “l’organizzazione dell’ufficio” e
contiene i paragrafi sui “rapporti tra Presidente ed i Presidenti di sezione”, sul “confronto giurisprudenziale”,
sull’“assegnazione dei processi” e sull’“informatizzazione dell’attività giudiziaria”;
• il terzo, che concerne il “processo esecutivo”.
Nel primo capitolo, tranne casi
eccezionali, ad esempio allorché
si auspica l’applicazione d’ufficio
della disciplina di cui agli artt.
208 c.p.c. e 104 disp. att. c.p.c. in
tema di decadenza dalla prova
per testi (punto 1.2.h), non si impongono specifiche interpretazioni su questioni controverse, limitandosi invece a suggerire modalità di gestione del ruolo, dell’udienza, dei momenti di contatto con le parti, nonché modelli
decisionali (sentenza tipo, sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., ordinanza ex art. 186 quater c.p.c.)
ispirati alla figura di un giudice
protagonista del processo, che
dirige e conduce al fine di portarlo in un tempo ragionevole alla
decisione finale, con la massima
valorizzazione del contraddittorio effettivo tra le parti.
E la valorizzazione di questo ruolo centrale e propulsivo del giudice, organizzatore del proprio lavoro più che giurista, è sottolineata sin dall’inizio, nella “fase
preliminare” del processo: il
giudice esamina il fascicolo per-
venuto alla sua attenzione e ne
individua l’oggetto, verificando se
ha precedenti sul tema o se ha
molte cause dello stesso tipo da
trattare insieme (punto 1.1.a);
• applica il differimento d’udienza ex art. 168 bis solo in casi
eccezionali ovvero per fissare
udienze monotematiche (punto 1.1.b);
• si raccorda con la cancelleria
per delibare immediatamente
le istanze di chiamata in causa
(punto 1.1.c);
• fissa apposita udienza per i
procedimenti cautelari, mentre,
per evitare ingolfamenti, rinvia
alla prima udienza la decisione
sulle istanze meramente anticipatorie (punto 1.1.d).
oi, nell’attività di “gestione dell’udienza”,
egli studia anticipatamente le cause e prepara già, per la generalità dei casi, modelli
standards di provvedimenti, onde evitare ritardi in udienza ovvero l’applicazione dell’istituto della
“riserva”, che produce inevitabili
rallentamenti per i dovuti adempimenti di cancelleria (punto
1.2.e);
• prepara eventuali udienze monotematiche, che gli consentono di studiare e decidere unitariamente un filone analogo di
cause (punto 1.2.f);
• organizza le udienze per fasce
orarie a seconda delle singole
attività previste (prima comparizione, trattazione, istruttoria
orale, incarico ad un CTU, discussione finale delle cause),
garantendo in tale modo una
più agile gestione delle udienze e consentendo sia ai legali
che alle parti un più semplice
contatto con il giudice (punto
1.2.g);
• evita ritardi derivanti da eventuali rinvii d’ufficio, assicurando, in caso di impedimento allo svolgimento dell’udienza, la
sua sostituzione con altro giu-
P
39
•
•
•
•
•
•
40
dice, ovvero rinvii ad udienze
non troppo lontane, se del caso mediante la fissazione di
udienze straordinarie, con i dovuti avvisi alle parti (punto
1.2.h);
investe parte del suo tempo
per studiare la causa prima della trattazione e per gestire il libero interrogatorio delle parti
al fine di enucleare l’effettivo
“thema decidendi” e “probandi” ovvero di tentare la conciliazione tra le parti, evidenziando tutti i vantaggi che possono derivare da una definizione immediata della causa e, al
contempo, i rischi del futuro
esito di quest’ultima (punto
1.2.i);
utilizza modelli standards per
la predisposizione dei verbali
di causa, limitando la verbalizzazione ai soli elementi essenziali (punto 1.2.j);
utilizza forme più moderne e
semplificate per l’attuazione
del contraddittorio cautelare,
per gli avvisi al CTU e per la
prosecuzione del giudizio interrotto (1.2.k);
esercita i suoi poteri per velocizzare l’istruttoria orale, applicando d’ufficio le decadenze
ex artt. 208 c.p.c. e 104 disp.att.
c.p.c., disponendo subito l’accompagnamento coattivo o applicando sanzioni pecuniarie ai
testi non comparsi (punto
1.2.l);
non consente continui rinvii in
caso di pendenza di trattative
di bonario componimento, ma
richiede l’applicazione dell’istituto della sospensione volontaria ex art. 296 c.p.c. (punto
1.2.m);
adotta percorsi motivazionali
nella stesura di ordinanze sommarie o istruttorie utili a definire i temi controversi ai fini di
eventuali possibilità conciliative o agevolare la successiva
stesura della sentenza (punto
1.2.n); utilizza in percentuali
sempre crescenti la forma della
sentenza ex art. 281 sexies c.p.c
ovvero invita le parti ad utilizzare lo strumento dell’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c.
(sempre punto 1.2.n).
n paragrafo a parte è
stato dedicato alla
“consulenza tecnica d’ufficio”, la quale nell’attuale processo civile riveste sempre una maggiore importanza ma
che, non raramente, rallenta in
modo significativo la durata del
procedimento; per questo anche
qui si è cercato di enucleare un
modello diretto ad eliminare
“tempi morti” attraverso:
• l’immediata formulazione dei
quesiti prima dell’udienza di
conferimento dell’incarico, anche per consentire alle parti di
controdedurre al riguardo;
• la fissazione diretta in udienza
della data di inizio delle operazioni peritali, senza avvisi e
conseguenti ritardi;
• la fissazione di tempi non lunghi per il deposito della relazione peritale;
• l’invito al CTU di consegnare
alle parti bozza della relazione
prima del suo deposito onde
consentire rilievi tecnici cui rispondere in sede di elaborato
definitivo;
• l’esclusione del rinvio, non
previsto dalla legge, per esame
CTU;
• l’invito al CTU di consegnare
“file” della relazione peritale,
da trasfondere, per le parti
condivise, direttamente in sentenza.
È indubbio che il “libro bianco”
non contiene solo l’elencazione
di “prassi esistenti o possibili”, come si legge nel sottotitolo, ma
contempla anche “prassi doverose”, nel senso che menziona alcune forme di gestione del processo
civile imposte dalla legge, quali
ad esempio lo studio preventivo
dei fascicoli, l’effettività del libero
U
interrogatorio, la verbalizzazione
sintetica non rimessa ai legali, la
non concessione di un rinvio per
esame CTU (punti 1.1.a, 1.1e,
1.2.e, 1.2.j. 1.3.q). Ma si tratta di
prassi che, seppur “doverose”,
devono essere ribadite e ricordate
in quanto esse, purtroppo, ancora
oggi non appartengono alla generalità dei magistrati, e dunque il
richiamo ad esse significa sollecitazione ad acquistare quel ruolo
“centrale” assegnato dal legislatore, coerentemente con il disposto
dell’art. 175 c.p.c. che assegna al
giudice la “direzione” del procedimento.
Sempre al centro di tutto, in funzione propulsiva, c’è il giudice, il
quale non conosce solo le norme
sostanziali da applicare alla controversia, ma prima ancora conosce il fascicolo, le parti, l’importanza dell’ausilio della cancelleria, il ruolo indispensabile dei difensori; in definitiva, prima ancora conosce la stessa funzione del
processo, con tutti i suoi protagonisti.
Questa è la chiave di lettura, una
visione complessiva dei problemi
del processo civile, demandata al
giudice e che consenta altresì a
quest’ultimo di confrontarsi con
problemi organizzativi più generali, relativi ai rapporti con l’utenza e i difensori, nonchè con tutto
l’ufficio di appartenenza, anche
nelle sue articolazioni amministrative. Cosicchè dal singolo giudice si passa all’intero ufficio giudiziario, ove è decisiva la funzione del dirigente, chiamato a garantire il processo produttivo dell’intera “macchina giudiziaria” di
cui è a capo.
u questo binario si colloca il capitolo 2 del
“libro bianco”, relativo
appunto all’“organizzazione dell’ufficio”. Il
singolo giudice, qualsiasi sforzo faccia, ha bisogno di lavorare all’interno di una macchina che funziona, appunto perché,
S
nell’ottica meramente organizzativa, rappresenta una ruota di un
ingranaggio più articolato e complesso. Per questo il capo dell’ufficio, il conducente di tale macchina, deve continuamente seguire il funzionamento di tutti gli ingranaggi di cui si compone:
• proponendo riunioni periodiche coi presidenti di sezione
sulle questioni tabellari, sulle
questioni organizzative e sulla
definizione delle cause più risalenti, sui flussi degli affari,
sui rapporti con le sezioni distaccate, sugli orientamenti
giurisprudenziali contrastanti
(par. 2.1.a);
• verificando la produttività dei
singoli magistrati e delle singole sezioni (par. 2.1.b);
• monitorando il funzionamento
dei servizi di cancelleria (par.
2.1.c). Ma, soprattutto, al capo
ufficio compete il compito di
redigere i progetti tabellari, le
norme generali di funzionamento dell’ufficio, ciò in ossequio ai criteri dettati in via generale dal CSM e facendo salvi
in genere l’esigenza di semispecializzazione, il ricorso a
programmi informatizzati di
assegnazione dei processi, un
efficace utilizzo dei GOT, magari destinati a particolari cause di minore difficoltà (par.
2.3.f e g).
aturalmente, decisivo
è anche il ruolo dei
presidenti di sezione,
che non solo devono
collaborare col capo
dell’ufficio per il funzionamento complessivo di quest’ultimo, ma devono controllare
l’attività dei propri giudici e della
propria cancelleria, stimolando
poi il confronto fra i magistrati
adempiendo ai compiti specificamente assegnati dall’art. 47 quater ord. giud (par. 2.2.d ed e).
Come si vede, anche in questo
caso, si tratta non di “prassi virtuose” ma “doverose”, ossia del-
N
l’applicazione delle norme e dell’adempimento dei doveri posti a
carico dei dirigenti, i quali, peraltro, soprattutto in materia di redazione di tabelle, sono vincolati a
disposizioni abbastanza rigide
provenienti dal Consiglio. Ma anche in questo caso è opportuno
richiamare l’importanza di tali regole di condotta, doverose ma
che non sempre trovano concreta
e precisa attuazione nell’esperienza di tutti gli uffici.
Così come, in questo medesimo
senso, è più che mai opportuno
ribadire la necessità della sempre
maggiore diffusione della cultura
informatica all’interno degli uffici
giudiziari, tra gli operatori amministrativi ma anche fra gli stessi
giudici, che devono essere capaci
di gestire le incredibili utilità che
possono derivare dall’uso degli
strumenti informatici, per attività
di ricerca e di diffusione dei dati
(par. 2.4.h. ed i).
Ed infine, anche per il “processo
di esecuzione”, trattato al capitolo 3, si suggeriscono standards
organizzativi ed operativi funzionali ad un più efficace svolgimento nella fase attuativa dei comandi giurisdizionali. In particolare
per il processo esecutivo immobiliare, che più degli altri risente
storicamente di problemi di eccessiva lentezza e macchinosità,
da un lato si sollecita l’applicazione di alcune novità normative che
consentono di velocizzare i tempi
processuali, quali ad esempio il
ricorso alla delega notarile ex L.
302/98 per la vendita degli immobili o l’utilizzo ai sensi del nuovo
art. 567 c.p.c. della certificazione
notarile sostitutiva dei certificati
catastali e dei registri immobiliari;
dall’altro si segnalano prassi virtuose che hanno sortito importantissimi risultati in termini di tempi
e misura dei realizzi, quali ad
esempio la nomina dell’esperto
prima dell’udienza di autorizzazione con giuramento reso senza
la presenza delle parti, la nomina
del custode in tutte le procedure
con attribuzione in suo favore
della facoltà di ottenere il titolo
per la liberazione di tutti gli immobili prima della vendita, il ricorso ad adeguate e più moderne
(per tutti Siti Web specializzati)
forme di pubblicità delle vendite
all’asta, complementari rispetto a
quelle imposte dall’art. 490 c.p.c.
La semplice lettura dei dati statistici di alcuni uffici giudiziari fa
comprendere gli effetti positivi
dell’applicazione di tali ultime
prassi; ed è questa la ragione per
la quale esse sono contenute nel
“libro bianco”, che in questo caso
assume in via eccezionale il valore di strumento propositivo di
specifiche interpretazioni tecnicoprocessuali; ma, ancora una volta,
la prospettiva non è quella di imporre opzioni interpretative, bensì di sottoporle all’attenzione di
tutti, per evidenziare ancora una
volta, ferma l’autonomia decisionale del singolo magistrato, il valore centrale dell’efficienza del
processo.
i è detto in precedenza
dell’importantissimo ruolo rivestito da tutte le altre componenti del processo, gli operatori di
cancelleria e gli stessi
avvocati. Il continuo confronto,
la fattiva collaborazione di tali
componenti, peraltro, non solo
sono necessarie per la buona riuscita, in termini qualitativi e di
tempi, di ogni singolo processo,
ma costituiscono altresì una condizione imprescindibile per l’applicazione efficace delle prassi
del “libro bianco”, in particolare
quelle sull’organizzazione dell’udienza, le quali in molti uffici non
solo sono state concordate tra
magistrati, nell’ambito del coordinamento di cui all’art. 47 quater
ord. giud., ma sono confluite in
“protocolli” proposti da organismi a composizione mista quali
gli Osservatori per la Giustizia,
“protocolli” in alcuni casi recepiti
S
41
in appositi decreti di Capi ufficio
e la cui rilevanza, al fine di “rendere il miglior servizio giustizia
possibile”, è stata evidenziata anche dal Consiglio Superiore con
la delibera del novembre 2002 oltre che con la recentissima delibera del luglio 2003 sulla formulazione dei pareri.
Questi “protocolli” toccano in genere anche gli snodi principali del
processo civile, indicando soluzioni concordate che consentono
agli utenti della giustizia, e agli
stessi magistrati, una semplificazione delle problematiche legate
allo svolgimento del processo. Di
questo progetto concordato possono, dunque, fare parte non solo gli aspetti, tipici, della organizzazione delle udienze per fasce
orarie o per temi, ma anche altri
menzionati nel “libro bianco”, come quelli dei rapporti con la cancelleria per le verifiche preliminari, della fissazione delle udienze
per istanze cautelari, delle forme
di notificazione semplificate, delle stesse prassi sull’assunzione
della prova orale e sull’espletamento della CTU (punti 1.1.c,
1.1.d, 1.2.l. 1.2.m.). Ed ancora,
nell’ambito di questi accordi tra
tutti gli operatori del settore, accordi che traggono origine da un
confronto aperto tra gli stessi, diventa ammissibile anche la fissazione di regole – rectius proposte
– comuni sulle tematiche ricorrenti nel processo civile, quali ad
esempio i provvedimenti adottabili all’udienza di prima compari-
42
zione, i delicati passaggi tra
udienza di trattazione, appendice
scritta ex art. 183 ult. comma
c.p.c. e concessione dei termini
ex art. 184 c.p.c..
unque, i “protocolli
d’udienza”, proprio
per la loro natura
condivisa tra tutti i
protagonisti del processo, adattata alle
diverse realtà territoriali, possono
assumere un ambito operativo
maggiore rispetto a quella del “libro bianco”, che, si ripete, per
esplicita scelta (e tranne poche
eccezioni), non tocca le questioni
interpretative di norme processuali. Anzi, proprio per questa
particolare natura condivisa tra
tutti gli operatori di una particolare realtà territoriale, i “protocolli”
potrebbero al limite prevedere
modelli diversificati di definizione
dei processi, immaginando anche, per particolari cause, semplici o da non istruire, verbali standards nei quali le parti rinunzino
a tutti i termini ordinari del codice per l’immediata spedizione
della causa a sentenza, ovvero vi
rinunzino in parte per saltare alcune fasi processuali, oggi imprescindibili alla luce delle norme
del nuovo rito e dell’interpretazione da esse date dal Supremo
Collegio. Questa è, probabilmente, la strada da intraprendere per
realizzare quei moduli procedimentali flessibili, più rapidi ed efficaci, auspicati da una parte della dottrina, anche in occasione
D
dell’ultimo convegno ANM del dicembre ’03 su “Processo civile ed
organizzazione”.
Ciò non riduce, tuttavia, la decisiva importanza del “libro bianco”,
col quale per la prima volta
l’ANM è voluta passare dalle affermazioni generali di principio a
più puntuali e concrete proposte
operative per migliorare, a legislazione invariata, i tempi e l’andamento del processo civile; non
più, come accaduto in passato,
mera raccolta di prassi, ma proposizione di regole operative, che
certo in alcuni casi non costituiscono novità, si impongono dalla
stessa lettura delle norme, ma comunque da richiamare per la loro
essenzialità ai fini del rapido e razionale e svolgimento del processo. Se questo “libro bianco”, costituente una prima bozza, una
traccia di un “work in progress”, si
svilupperà ulteriormente per recepire i suggerimenti provenienti
da tutti i magistrati delle diverse
realtà territoriali, dall’avvocatura,
dai funzionari di cancelleria, oltre
che dalla dottrina e da scienziati
dell’organizzazione, ecco che si
potrà dare uno strumento di assoluta importanza: una sorta di banca-dati, utile magari per elaborare
un concordato “Protocollo” generale di riferimento che esprima un
sentire comune degli operatori
del settore in nome di una giustizia civile davvero al servizio dei
cittadini.
ALESSANDRO PEPE
Giudice Tribunale di Napoli
I RIMEDI ORGANIZZATIVI
PER UN PROCESSO
PIÙ EFFICIENTE
1.
L’efficienza della giustizia
è strettamente connessa
all’effettiva vigenza del
principio di indipendenza
della magistratura.
In un paese in cui il servizio giustizia non dà risposte
adeguate, o non le dà tempestivamente, l’attività del giudice (e
la stessa credibilità della sua funzione agli occhi dei cittadini) in
effetti è subordinata al (mal)funzionamento della complessiva
macchina amministrativa della
giustizia. Il giudice inefficiente
(per ragioni che non necessariamente sono a lui imputabili, ed
anzi nella stragrande maggioranza dei casi sono ascrivibili esclusivamente alla (dis)organizzazione dei servizi della giustizia) è
un giudice che non è “indipendente”; ciò che realizza di per sé
una violazione della Carta costituzionale.
L’efficienza della giustizia è, parimenti, misura dell’effettività del
diritto di azione e di difesa e,
quindi, del ruolo dell’avvocatura,
valori centrali nel nostro ordinamento costituzionale democratico, anch’essi suscettibili di pericolose compressioni in conseguenza di una manchevole organizzazione dei servizi giudiziari.
Com’è stato affermato, sussiste, in
particolare, un ovvio nesso tra il
finanziamento del sistema giustizia, da un lato, e la realizzazione
addirittura dei principi della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, oggi chiaramente “costituzionalizzati” nel nuovo art. 111
Cost.: l’accesso alla giustizia ed il
diritto ad un equo procedimento
non sono garantiti adeguatamen-
L
M
te se un affare non viene definito
entro un lasso temporale ragionevole da un Tribunale che possa
fruire di risorse adeguate. I principi generali e gli “standards” del
Consiglio dell’Europa sul finanziamento della giustizia impongono agli Stati di rendere disponibili risorse finanziarie che fronteggino le necessità dei diversi sistemi giudiziari (1).
La giustizia civile in Italia soffre, più di ogni
altro settore della giustizia e dello stesso
complessivo
settore
“pubblico”, di cronica
indigenza.
Stenotipia e fono/videoregistrazione – quali modalità di documentazione degli atti consentite
dalle moderne tecnologie che, sino ai recenti “tagli” di bilancio governativi, sembravano acquisite
nel settore penale – non sono mai
state concesse al processo civile,
a dispetto del fatto che, negli altri
paesi europei, riforme di procedura civile sono state incentrate
proprio sull’eliminazione della
necessità di documentazione cartacea del processo, quale fattore
di costo e di lungaggine (2).
Giudici ed avvocati sembrano
2.
(1) Così il parere n. 2 del Consiglio Consultivo dei Giudici Europei presso il Consiglio d’Europa del 23 novembre 2001,
ove è suggerito che le decisioni in tema
di stanziamenti per la giustizia tengano
conto delle opinioni espresse dalla magistratura, raccolte ad es. nell’ambito dell’organo di autogoverno.
(2) Il riferimento è, in particolare, alla
riforma del processo civile spagnolo introdotta con la “Ley” 1/2000, del 7.1.2000,
sull’“Enjuiciamiento Civil”, entrata in vigore l’8.1.2001.
43
quasi rassegnati all’idea che in
Italia non si debba, poi, mai eguagliare uno “standard” medio europeo, entro il quale uno “staff”
preparato e disponibile, potendo
contare su adeguate risorse materiali, coadiuva il giudice, gli avvocati e lo stesso processo, predisponendo gli adempimenti e la
documentazione processuale di
“routine” e consentendo che avvocati e giudice si concentrino
sull’“in sé” della controversia, sul
piano istruttorio e decisorio.
Gli stessi “luoghi” dove la giustizia civile è amministrata sono
spesso “di risulta”, mancando
quasi sempre spazi idonei per
l’audizione delle parti e dei testi,
la verbalizzazione, la ricezione e
la conservazione degli atti, ed in
generale per lo svolgimento del
lavoro dell’avvocato e del giudice
del settore civile.
Interventi su questi fronti sono
sempre solo futuribili, non divengono mai “concreti” nell’agenda
politica del Paese.
Il dibattito politico si concentra,
semplicisticamente, sul tentare di
verificare, non senza polemiche
circa l’attendibilità dei dati, se o
meno il livello di spesa complessivo (non – si badi – gli stanziamenti specifici per la giustizia civile) sia paragonabile a quello degli altri Paesi.
Anche a prescindere da tale dibattito, sembra peraltro che in Italia qualsiasi miglioramento della
giustizia civile debba passare non
per interventi organizzativi e
strutturali, ma per una riforma
processuale (senza aversi riguardo a se, eventualmente, riforme
siano state già di recente varate,
onde logica vorrebbe che se ne
debbano riscontrare gli effetti in
prosieguo di tempo) (3).
La magistratura associata
è consapevole, e intende
riaffermare anche attraverso questo Convegno,
che l’assetto del processo è una variabile tutto
3.
44
sommato secondaria (pur se importantissima di fronte alle esigenze di tutela dei diritti e del
contraddittorio) rispetto all’obiettivo di una giustizia civile efficiente.
Anche il migliore dei processi sulla “carta”, meglio idoneo a tutelare in astratto le esigenze delle
parti, non può funzionare se
mancano le risorse, strutturali ed
umane, minime per la sua attuazione.
La magistratura associata deve
responsabilmente ricordare che
– pur essendo evidenti le inadempienze governative che si
trascinano da anni, a fronte del
precetto costituzionale che affida
al Ministro della giustizia l’organizzazione ed il funzionamento
dei servizi (art. 110 Cost.) – gli
stessi magistrati possono e debbono operare nel senso di rafforzare la propria attività sul fronte
organizzativo, con una doverosa
autocritica per le disattenzioni
del passato.
È nell’ottica che ho tratteggiato che la sessione
che ho il privilegio di
coordinare, nell’ambito
di questa “Assemblea
aperta”, andrà a trattare
sia temi che rimandano ad evidenti competenze dell’esecutivo
(in ordine ai quali, in questa sede
associativa, dovremo far sentire
chiare le rivendicazioni dei magistrati addetti al settore civile e, auspicabilmente, degli avvocati); sia
temi che implicano l’esercizio di
potestà dell’auto-governo in raccordo con l’avvocatura (ed in
questo senso il ruolo comune dell’ANM e delle organizzazioni forensi deve porsi nel senso della
sottoposizione di adeguati stimoli
all’attività del CSM); sia, infine, temi che afferiscono al profilo interno dell’attività dei capi degli uffici (non potendo l’ANM tacere in
ordine a quale debba essere, al riguardo, un adeguato modello di
dirigente).
4.
5.
Spetta, ovviamente, ai
relatori affrontare le specifiche tematiche di loro
competenza, in merito
alle quali si svilupperà
poi il dibattito.
A me preme affrontare, da un
punto di vista per così dire “generalista”, quali siano gli snodi individuati quali critici dalla Commissione di studio dell’ANM di cui
faccio parte, e sui quali crediamo
si debba giocare una qualsiasi
“proposta” credibile.
Al primo posto tra le priorità – priorità valevole per
tutti i settori della nostra giustizia,
e di spiccata spettanza politica –
va ovviamente inserita la revisione delle circoscrizioni giudiziarie.
Per la giustizia civile questa priorità assume un valore “simbolico”
di ricerca di un equilibrio “moderno” (quello attuale rimontando a decenni e, più spesso, addirittura secoli addietro) tra i profili
(territoriale e per materia) della
domanda di giustizia, da un lato,
e della composizione (per numeri e, possibilmente, per vocazione
per settori di contenzioso) degli
apparati di giustizia (i giudici entro le strutture dei tribunali ma
anche la classe forense che vi afferisce), dall’altro.
La classe politica ha sempre ma-
a)
(3) La riforma proposta dalla Commissione ministeriale presieduta dal Prof.
Vaccarella, con relazione depositata nel
luglio 2003, è stata recepita in un d.d.l.
delega governativo approvato dal Consiglio dei ministri il 24 ottobre 2003, mentre divenivano evidenti i sensibili miglioramenti del quadro della giustizia civile
promossi dalla “novella” processuale del
1990-1995 ed ulteriormente rafforzati dall’introduzione del giudice di pace, delle
sezioni stralcio e del giudice unico di primo grado. Un’ulteriore razionalizzazione
potrebbe provenire, sì come auspicato
dall’ANM e da organismi dell’Avvocatura,
dall’approvazione anche da parte del Senato del testo unificato di mini-riforma
varato dalla Camera dei deputati il 16 luglio 2003 (v. le osservazioni dell’ANM sul
sito www.associazionemagistrati.it).
nifestato difficoltà ad affrontare
questo tema, spesso mascherando dietro altisonanti proclami di
favore per la diffusione degli uffici sul territorio (slogan sempre
meno valido all’esito dell’indubbia razionalizzazione del sistema
dei trasporti conosciuta dal nostro
Paese dall’ultimo dopoguerra) vere e proprie pressioni campanilistiche.
L’Associazione Magistrati non
può più tacere. Si deve passare,
d’intesa con l’Avvocatura, alla denuncia documentata del fatto che
troppi uffici giudiziari scontano
inammissibili “costi fissi” connessi
alla necessità di mantenere comunque una dimensione minima,
non giustificata dal contenzioso
in essere. Vanno così liberate risorse a favore di realtà territoriali
che, invece, conoscono uffici perennemente in affanno.
Quale strumento rispetto al
fine di cui innanzi, ma anche per il perseguimento di ulteriori fini a sé stanti, nel momento
in cui si deve procedere alla razionalizzazione degli assetti della
magistratura civile “togata”, non
può ulteriormente dilazionarsi la
risistemazione della magistratura civile onoraria.
L’Associazione
Magistrati
ha
avanzato proposte che mirano ad
un complessivo ripensamento del
ruolo dei giudici onorari, ed in
particolare del giudice di pace.
L’apporto del giudice di pace è
stato senz’altro importante in
questi anni, ma sulla base dell’esperienza avutasi possono registrarsi i limiti dell’attuale quadro
normativo.
Limitandomi a taluni aspetti, credo che si possa e si debba anzitutto ridiscutere del riparto di
competenza tra giudice di pace e
giudice professionale, anche al fine di chiarire agli occhi del cittadino che determinati settori di
contenzioso, anche più importanti di quelli attualmente previsti,
debbono e possono essere affida-
b)
ti ad un servizio giustizia non propriamente “minore”, ma avente
diverse caratteristiche.
Va ripensata la sottrazione all’appello del giudizio di equità, il cui
ambito potrebbe invece essere
ampliato a fronte di un riesame
semplificato dinanzi al giudice
professionale.
Va poi rilanciata la funzione conciliativa del giudice di pace, del
tutto trascurata dagli operatori.
Va rivisto – coraggiosamente – il
sistema di reclutamento (onde
scongiurare il diffondersi di situazioni – pur giuridicamente ineccepibili – di incompatibilità “larvata”) e di formazione.
In quest’ottica di necessità di un
ripensamento complessivo sulla
magistratura onoraria, su cui sono
“in itinere” elaborazioni ministeriali, non pare accettabile una mera “prorogatio” dei g.o.a., di cui si
discute in questi giorni. Per essi,
come pure per i giudici di pace
ed i g.o.t., non pare opportuna né
auspicabile la creazione, attraverso una stabilizzazione di fatto, di
un circuito di “precariato” giudiziale (4).
Un incisivo intervento riorganizzativo della giustizia
civile non può non passare, come
da anni l’Associazione Magistrati
rivendica, con l’appoggio dell’Avvocatura, attraverso la valorizzazione della funzione di cancelleria e la creazione dell’“ufficio
del giudice”.
A differenza che nel settore penale, il giudice (e l’avvocato) civilista operano, nel processo, senza
alcuna assistenza né di cancelleria, né di personale di supporto al
giudice.
Mentre la carenza di personale di
cancelleria, in presenza di una disciplina che prevede ed impone
la partecipazione al processo del
cancelliere (e di ulteriore personale amministrativo ed ausiliario),
è del tutto riconducibile alla sola
politica limitativa del personale
adottata in sede governativa, pur-
c)
troppo allo stato senza sensibili
proteste da parte degli operatori,
la mancanza di una struttura di
personale “dedicata” al supporto
del giudice e del processo (si è affermata ormai la dizione di “ufficio del giudice”, a somiglianza
della “law clerkship” anglosassone) è anche ascrivibile ad una carenza normativa.
Il giudice italiano, del tutto isolato nel panorama europeo, si ritiene possa efficientemente operare, non solo senza alcun ausilio
nella gestione dell’udienza, nella
verbalizzazione del processo e
nella estensione dei provvedimenti (tipici compiti del cancelliere), ma anche senza alcun supporto nella predisposizione della
documentazione più varia, nell’effettuazione delle ricerche, nella elaborazione, anche a mezzo
di strumenti informatici, di provvedimenti di “routine”, dell’agenda del giudice, ecc. (compiti di
una moderna struttura di supporto “dedicato” al giudice).
Siamo consapevoli del fatto che
sul tema della costituzione dell’ufficio del giudice, già prevista
dalla disciplina contrattuale collettiva (inattuata), sussistono posizioni diversificate dei sindacati
del personale amministrativo;
sussistono altresì disegni di legge
in Parlamento, confluiti – a mio
avviso del tutto impropriamente –
nell’ambito del dibattito sulla
riforma dell’ordinamento giudiziario (5).
(4) Successivamente rispetto all’intervento di cui al testo veniva emanato il
D.L. 24 dicembre 2003, n. 354, convertito
poi, con modificazioni, nella legge 26
febbraio 2004, n. 45, che prorogava di
due anni il termine massimo di scadenza
dei g.o.t. in servizio.
(5) Successivamente rispetto all’intervento di cui al testo, in sede di approvazione da parte del Senato in data 21 gennaio 2004 del d.d.l. - delega in tema di
riforma dell’ordinamento giudiziario, è
stata inserita, a seguito di emendamento,
una norma recante l’istituzione di un “ufficio del giudice”, connotato però da trat-
45
La giornata di oggi deve servire
ad un confronto anche su questo
tema, cruciale per un recupero di
efficienza ed un allineamento del
nostro servizio di giustizia civile a
quello degli altri Paesi.
Il dibattito odierno dovrà
poi sottolineare l’importanza che, in un sistema improntato
alla migliore gestione dei carichi
e dei flussi di contenzioso (“case
load management” e “case flow
management”), può svolgere lo
strumento organizzativo che – a
differenza degli altri – è nella disponibilità del circuito dell’autogoverno: le tabelle degli uffici
giudiziari.
Lo strumento tabellare ha visto
opportunamente, negli anni, viste
ampliate le sue applicazioni e potenzialità.
Esso, opportunamente utilizzato,
può, grazie alla sua flessibilità,
dare molti risultati nel senso del
recupero di efficienza.
Tuttavia, la sua concreta operatività di strumento di allocazione di
d)
46
risorse dipende da una variabile
che, invece, non è nella disponibilità esclusiva dell’auto-governo,
dipendendo da decisioni ministeriali e dei capi degli uffici. Alludo
alle rilevazioni statistiche ed
alla loro veicolazione entro appositi uffici da costituirsi ai diversi livelli dei Tribunali e delle Corti.
Solo un sistema statistico attendibile e significativo (qualità non
sempre riconoscibili nelle attuali
metodologie) può servire infatti a
pianificare, a verificare (monitoraggio), a modificare di tempo in
tempo le scelte organizzative
operate attraverso le tabelle.
Le sperimentazioni sono significative. Gli interventori odierni ci
forniranno degli utili spunti di riflessione.
Bisognerà, infine, guardare
al futuro. L’esame del corretto impiego degli strumenti
informatici, a fini di supporto
“globale” all’attività giudiziaria,
formerà l’oggetto di ulteriori momenti di confronto.
e)
Il processo telematico, che
stenta a decollare, deve rappresentare un traguardo prossimo,
superandosi le resistenze di carattere culturale di tutti gli operatori.
Una ricognizione dell’esperimento “Polis”, che tende ad una
“reductio ad unum” degli aspetti
gestionali e processuali dell’attività degli uffici, costituirà anch’essa oggetto di discussione.
RAFFAELE SABATO
Giudice Tribunale di Napoli
ti difficilmente compatibili con le sollecitazioni degli operatori. L’organico, infatti,
sarebbe del tutto insufficiente, di sole
2.250 unità, assunte con contratto atipico
per un periodo biennale rinnovabile per
una sola volta, con retribuzione su tredici mensilità ciascuna di importo pari a
euro 1.032, al netto delle imposte e degli
oneri previdenziali, oltre ISTAT, oneri cui
si provvederebbe mediante l’istituzione
di una singolare imposta pari al 3 per
cento della massa attiva risultante dalle
procedure concorsuali chiuse nell’anno.
Ciò che più stupisce, però, è il fatto che
l’ufficio sarebbe istituito solo in via sperimentale, per quattro anni!
LE RIFORME PROCESSUALI
Il Testo Unificato del Disegno di legge recante
“Modifiche al codice di procedura civile”
U
na giustizia civile
efficace e funzionale costituisce lo
strumento indispensabile per la
tutela dei cittadini, in un momento storico connotato dalla nascita di nuovi diritti che premono alla porta della
giurisdizione e dal parziale affievolirsi di molte garanzie giurisdizionali”.
Da questa affermazione – costituente l’incipit del documento
conclusivo del convegno “Processo ed Organizzazione: assemblea
aperta sui problemi della giustizia civile”, tenutosi a Roma, su
iniziativa dell’Associazione Nazionale Magistrati, l’11-12 dicembre
2003 – può ricavarsi, allora, la
grande rilevanza del tema delle
riforme del codice di rito, soprattutto in considerazione di quello
che definirei il conclamato stato
di grave crisi in cui versa attualmente il processo civile.
Nell’ultima relazione del Procuratore Generale presso la Corte di
Cassazione in occasione della recente cerimonia di apertura dell’anno giudiziario, si evidenzia,
infatti, che i dati statistici in essa
riportati – ed in particolare quelli
relativi ai giudizi di primo grado
davanti al tribunale – “mettono in
luce miglioramenti significativi,
ma ancora inadeguati rispetto
alla gravità della crisi di efficienza che attanaglia il nostro sistema di giustizia civile. Una crisi
che è avvertita quotidianamente
dai cittadini, che ne soffrono le
conseguenze, e dagli osservatori
stranieri che, mentre apprezzano
la nostra giurisdizione per il suo
livello di professionalità e di indipendenza, guardano invece
“
L
M
con preoccupazione all’abnorme
lentezza dei processi nel nostro
Paese”.
La responsabilità di questa crisi,
peraltro, non può essere semplicisticamente ascritta – se non in
proporzioni minime e riconducibili a specifici casi di inosservanza dei doveri di professionalità e
diligenza – alla magistratura, né
agli altri operatori: è chiaro, infatti, che la stessa va attribuita essenzialmente alla carenza di mezzi e strutture, statisticamente e burocraticamente evidenziabili come cause di omissioni, ritardi, rallentamenti e discrasie nel servizio
giustizia.
Lo stesso Procuratore Generale,
infatti, nella citata relazione, ha
affermato che “la giustizia civile
è ancora in crisi, specie per il fatto che non è in grado di affrontare il problema del progressivo
aumento dei nuovi procedimenti,
avendo scarsi margini di recupero in punto di produttività, soprattutto negli uffici giudiziari
più importanti e non essendo perciò in grado di avviare, con l’attuale apparato normativo e organizzativo, un sia pur lento e graduale miglioramento dell’efficienza, che richiederebbe non solo di eliminare progressivamente
il lavoro arretrato, destinato a
produrre la durata eccessiva dei
processi, ma anche di fronteggiare a pieno la sopravvenienza dei
nuovi processi”.
ppare di tutta evidenza, allora, l’urgente necessità di
porre in essere misure che siano idonee
non soltanto a sgombrare il tavolo dal pesante arretrato che lo appesantisce, ma soprat-
A
47
tutto che riescano, per quanto
possibile, ad evitare, per il futuro,
il formarsene di altro (conclusione forse troppo ottimistica).
Il raggiungimento di tali finalità,
peraltro, richiederebbe la destinazione al settore giustizia di maggiori risorse economiche ed operative: poiché, invece, nell’ultimo
periodo, si è concretizzata una
consistente diminuzione di interventi economici, al punto che alcuni programmi si sviluppo –
specie in ambito informatico –
che molto promettevano lo scorso anno, sono stati se non eliminati, molto ridimensionati, occorre prendere atto che la magistratura ha il dovere di cercare di raggiungere gli obbiettivi suddetti
con il proprio massimo impegno
ed utilizzando nel modo migliore
possibile gli strumenti e le risorse
comunque disponibili.
In quest’ottica, pertanto, deve effettuarsi la valutazione del Testo
unificato di "Modifiche al codice
di procedura civile", così come
approvato dalla Commissione
Giustizia della Camera in sede legislativa nella seduta del 16 luglio
2003 ed ora all’esame della Commissione Giustizia del Senato con
il n. 2430.
Tale testo legislativo si compone
di circa 74 articoli che investono
la disciplina del processo civile in
modo ampio.
n particolare, – pur rinviandosi, per i maggiori approfondimenti di natura tecnica, alla apposita scheda
elaborata dalla commissione studi del civile costituita
all’interno dell’A.N.M. – può, in
questa sede, succintamente evidenziarsi che alcune disposizioni
di tale Testo mirano a conseguire
effetti acceleratori e deflattivi, anche colpendo la dilazione ingiustificata e l’abuso del processo (si
pensi, ad esempio, alla nuova disciplina in tema di responsabilità
processuale aggravata), ovvero
introducendo tecniche di coerci-
I
48
zione indiretta per l’esecuzione
delle sentenze di condanna a prestazioni infungibili.
Altre disposizioni tendono ad attuare una semplificazione delle
forme o ad agevolare gli adempimenti degli uffici giudiziari e dei
difensori, mentre con ulteriori aggiustamenti si persegue l’intento
di restituire maggior rigore alla disciplina della prova testimoniale.
Gli interventi sugli artt. 180-184
c.p.c. hanno lo scopo di conferire
maggiore duttilità alla fase di trattazione della causa, pur mantenendola sotto il controllo direttivo del giudice. La soluzione proposta, per quanto tecnicamente
non sia l’unica possibile, ha, come si è già evidenziato, il pregio
di non determinare sconvolgimenti nell’impianto attuale, di
mantenere il rapporto trilatero
giudice/parti nell’alveo del dialogo e del contraddittorio sin dalla
fase iniziale della controversia, di
ribadire il metodo dell’oralità come cardine del processo, e di preservare – con un regime temperato di preclusioni e decadenze – la
caratteristica essenziale del processo che è (e deve essere) una
funzione pubblica dello Stato anche quando sono privati gli interessi in gioco.
Un giudizio positivo deve essere
espresso con riguardo alla previsione che i provvedimenti cautelari emessi ai sensi dell’articolo
700 c.p.c. o comunque anticipatori degli effetti della sentenza di
merito, previsti dal codice civile o
da leggi speciali, ed i provvedimenti di danno temuto emessi ai
sensi dell’art. 688 c.p.c. mantengano la loro efficacia anche in assenza dell’inizio del giudizio di
merito. Pur essendosi preferito
mantenere una disciplina ibrida
dei provvedimenti possessori,
vengono in questo modo parzialmente accolte le istanze, ripetutamente formulale anche in sede
associativa, in ordine all’allentamento del rapporto di strumenta-
lità necessaria tra provvedimento
cautelare e giudizio di merito.
ositivamente, poi, va
accolta la previsione di
modifica dell’art. 319
del c.p.c. sulla costituzione in giudizio delle
parti innanzi al giudice
di pace, mentre, quanto al previsto aumento della sua competenza per valore, non può negarsi, in
questa sede, che verosimilmente
sarebbe preferibile operare una
modifica contenente una attribuzione di competenza accentrata
su materie di più semplice regolamentazione giuridica.
Il disegno di legge si propone di
intervenire anche sul giudizio di
cassazione, sia opportunamente
prevedendo che all’udienza di discussione le parti prendano la
parola dopo le conclusioni motivate esposte oralmente dal Procuratore Generale, sia introducendo l’obbligo di pubblicazione
del dispositivo della sentenza o
dell’ordinanza entro il termine di
legge o in quello prorogato dal
Presidente del collegio con decreto motivato. Quanto, invece,
alla previsione di modifica dell’art. 70 c.p.c. e dell’art. 76 ord.
giud., la Giunta ANM della Cassazione ha già avuto modo di esprimersi manifestando critiche e
preoccupazioni per il “vulnus”
che ne verrebbe arrecato al ruolo
istituzionale del Pubblico ministero di rappresentare nel giudizio di Cassazione l’interesse pubblico all’uniforme interpretazione
della legge.
Gli interventi relativi al processo
di esecuzione si ispirano, infine, a
condivisibili finalità di razionalizzazione complessiva della disciplina, perseguite per il tramite:
della limitazione dell’intervento ai
soli creditori muniti di titolo esecutivo oltre che a quelli titolari di
diritti di prelazione risultanti da
pubblici registri; dell’estensione a
tutte le forme di espropriazione
del potere del creditore pignoran-
P
te di indicare agli intervenuti altro
bene utilmente pignorabile; di alcune previsioni dirette a favorire
la ricerca dei beni da pignorare;
dell’ampliamento del rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi
anche per le contestazioni derivanti dalla distribuzione del ricavato; della commisurazione degli
effetti del pignoramento presso
terzi al credito per cui il pignoramento viene attuato; del conferimento al giudice dell’opposizione
al precetto del potere di sospendere l’efficacia del titolo ovvero
dell’esecuzione iniziata.
n conclusione, anche interventi di semplice razionalizzazione possono favorire il
recupero di funzionalità
della giustizia civile, e
l’ANM, associandosi alle valutazioni positive già espresse
dall’AIGA e dall’OUA, ha già manifestato apprezzamento per le linee complessive del disegno di
legge auspicandone una rapida
approvazione in Parlamento.
Il testo della proposta è naturalmente perfettibile, e l’ANM, con
le osservazioni contenute nella
I
“scheda tecnica” che recepiscono
indicazioni della dottrina, di
gruppi associativi, degli Osservatori sulla giustizia civile, di singoli magistrati, si propone di fornire
un contributo costruttivo in questa direzione.
Preme qui osservare, comunque,
che il disegno di legge, senza
sconvolgere il sistema e senza
imporre mutamenti radicali che
sottoporrebbero la pratica a inesigibili sforzi di adattamento, si
inserisce in modo del tutto coerente nel solco tracciato con le
riforme processuali del 1973 e
del 1990. Diventano ancora più
forti, allora, le perplessità per la
divaricazione che si è venuta a
creare tra il rito adottato con riguardo ai procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione bancaria e creditizia
di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003,
n. 5, ed il rito che, almeno per il
momento, disciplinerà le restanti
controversie civili.
Neppure la specialità degli interessi coinvolti nel primo “tipo”
processuale, infatti, può giustificare una divaricazione così netta,
che si traduce nella coesistenza,
all’interno di uno stesso sistema
processuale, di antitetiche concezioni del processo, per cui in
quello societario e bancario alle
parti sarebbe consentito di incidere sui tempi e sulla durata della lite, di prendersi pause di surplace, di disporre delle preclusioni e delle decadenze, con sottrazione della fase di definizione del
thema decidendum al contatto
tra giudice e litiganti, in contrapposto alla versione “pubblicistica", propria del rito ordinario comune, che eleva il giudice a motore del procedimento anche
contro la volontà temporeggiatrice dei contendenti, e nel cui ambito il processo si svolge fin dall’inizio in un rapporto dialettico
che, anche per effetto dei controlli preliminari e di un meccanismo razionale di preclusioni e
decadenze, porta alla graduale e
non dispersiva individuazione
del thema decidendum e del thema probandum.
EDUARDO CAMPESE
Giudice
presso il Tribunale di Napoli
49
L
M
BREVI CONSIDERAZIONI
SULLE RIFORME
DEL PROCESSO CIVILE
P
er rispondere al pessimismo
irreversibile
espresso da più parti
sulle sorti del processo
civile l’ANM ha voluto
testimoniare il proprio
impegno con il convegno Processo e Organizzazione del dicembre scorso, nella consapevolezza che il buon funzionamento
del processo civile è fattore di
equilibrio sociale e di strumento di garanzia dei diritti.
E lo ha fatto cercando di aprire un
tavolo di confronto aperto a tutti,
ed a tutto campo, indicando, in
quella sede, una strada alternativa, alla riforma complessiva
del processo, che passa per la
diffusione di prassi ragionevoli, già elaborate in molti uffici giudiziari, esempio di una proficua
dialettica fra il giudice e le parti,
ma che debbono essere necessariamente accompagnate da interventi radicali sul piano delle
risorse materiali ed umane, affinché si creino le condizioni strutturali, organizzative e culturali indispensabili per il buon funzionamento della giustizia civile.
L’ANM intende però coltivare con
profonda convinzione anche il
confronto sulle riforme. Ed anzi, ha offerto esplicitamente di
farsi promotrice del dibattito sulle
prospettive del processo civile, ritenendo che il dialogo e l’analisi
costruttiva possano davvero condurre al superamento delle divisioni ed all’individuazione delle
soluzioni più conformi all’interesse generale della collettività.
Nessuno intento polemico, dunque, da parte dell’ANM, ma solo il
convincimento che gli interventi
50
sul processo da soli non riescono
ad assicurare alcun risultato rivoluzionario in termini di recupero
dell’efficienza e di riduzione dei
tempi.
E tuttavia questo è l’unico campo
nel quale l’attuale maggioranza
ha deciso di sperimentarsi con il
disegno di legge delega (1) che
recepisce il progetto della Commissione presieduta dal prof. Romano Vaccarella, la cui discussione alla camera è prevista per il
mese di marzo.
Si tratta di un progetto, le cui linee tendenziali, sono ormai note
(2), che ha optato per un processo di natura strettamente privatistica, in forza della quale la lite è
una cosa delle parti, dal cui scontro scaturisce la migliore soluzione delle controversie.
Anche se colpisce, che il nuovo
modello procedimentale muova
dal pregiudizio secondo cui affidare il processo al giudice significa intralciarne la speditezza, quello che occorre chiedersi è se un
simile processo garantisca una ragionevole durata.
li interventi sulla disciplina processuale,
specie se sorretti da
un radicale mutamento di prospettiva
del rapporto giudiceparti, debbono dimostrare una
coerenza fra gli obiettivi dichiarati ed i risultati raggiungibili.
G
(1) Approvato in Consiglio dei Ministri il
24.10.2003.
(2) Le linee tendenziali del processo oggetto del progetto di riforma Vaccarella
sono state sostanzialmente anticipate dal
d. lgs. n. 5 del 7 gennaio 2003 sulla riforma del diritto e del rito societario.
E qui il nuovo modello che si propone, quello con cui ci si propone un po’ troppo enfaticamente
di “portare la nostra società nel
terzo millennio” (3), mostra subito la sua debolezza.
La lunghissima trattazione scritta
avrà forse l’effetto di restringere la
durata del processo in senso stretto, a partire dal primo intervento
del giudice alla sentenza, ma non
riduce, neppure in minima parte,
il tempo della risposta giurisdizionale alla domanda di giustizia,
che per il cittadino è quello che
passa dal momento in cui egli affida il proprio caso al difensore alla pronuncia finale. In più, e si
tratta di una considerazione che
deve suscitare preoccupazione, la
privatizzazione della fase preparatoria acutizza la disparità sostanziale ed economica fra le parti.
Laddove infatti si mettono in gioco le abilità difensive (e chi ha i
difensori migliori gioca meglio le
sue carte nel prepocesso senza
giudice) piuttosto che la fondatezza delle posizioni sostanziali,
ci si sposta su un piano di assoluta astrattezza rispetto ai diritti
controversi rendendo possibile il
formarsi di un solco sempre più
profondo fra la verità sostanziale
e quella processuale.
Ma è questo il giusto processo
della Carta Costituzionale?
Il processo giusto, infatti, non
può e non deve essere solo quello che assicura l’imparzialità del
giudice, la ragionevole durata, la
parità delle armi dei contendenti.
Il processo giusto è quello che assicura a chi chiede tutela la possibilità effettiva di ottenerla, in modo per quanto più possibile indipendente dalla sua capacità economica e dalla scaltrezza processuale dei suoi difensori.
on solo ma appare
davvero illusorio pensare che gli ingorghi
processuali evitati con
la trattazione preprocessuale senza giudi-
N
ce non tornino a formarsi nella fase successiva, con l’istanza di
fissazione dell’udienza, momento nel quale si realizza finalmente il primo contatto fra il giudice e le parti; o che affidarsi ad
sistema meccanico di preclusioni, sostanzialmente oggetto
dell’eccezione della parte interessata, ponga il giudice, nelle condizioni migliori per la pronuncia
di una decisione giusta sotto il
profilo sostanziale.
Ma vi sono altri aspetti della
riforma che, pur senza intervenire direttamente sui tempi del processo, possono destare qualche
inquietudine per i possibili riflessi sulla vita dei cittadini,
terzi rispetto alla controversia. Si
tratta delle previsioni in ordine
all’attività istruttoria delle
parti, secondo cui i difensori
avranno la possibilità di assumere, anche prima del giudizio, dichiarazioni testimoniali scritte,
sulla semplice base del conferimento del mandato. La dilatazione del potere dispositivo della
parte in ordine alla formazione
della prova, sfuma in un vero potere di indagine Ora, è pur vero
che altri ordinamenti conoscono
simili istituti (affidavit e attestation), ma occorre valutare seriamente se da noi esistano le condizioni culturali per una simile rivoluzione.
E non è tutto, perché il potere
delle parti si spinge fino alla possibilità di chiedere ed ottenere
dalla pubblica amministrazione
documenti ed informazioni scritte
in vista del giudizio, ed indipendentemente dalla sua instaurazione, con buona pace in ordine alla
tutela della privacy dei cittadini.
Anche con la riforma del sistema
delle impugnazioni, la logica
dell’efficienza e della rapidità viene perseguita solo a parole.
Un processo d’appello che se
esclude in linea di principio le
nuove domande, ammette nuove
allegazioni e nuove prove dive-
nendo così del tutto simile al
processo di primo grado, con
tutte le possibili conseguenze in
ordine alla celerità di definizione
della controversia.
ambiziosa riforma
del giudizio di cassazione infine, rivolta, nelle intenzioni
espresse dai compilatori, alla disciplina
della funzione nomofilattica della
Corte, contiene in sé alcune disposizioni che possono condurre
ad un ulteriore e sicuro aggravio
di lavoro:
• come la previsione che impone l’enunciazione del principio
di diritto in relazione a tutti i
motivi del ricorso per cassazione, anche quando assorbibili;
Le perplessità sino ad ora manifestate con riguardo alla idoneità
della nuova disciplina a permettere il raggiungimento dell’effettiva
diminuzione della durata del processo, non significano affatto
disconoscere che vi sono nel
progetto di riforma alcune misure capaci in concreto di dare
impulso e speditezza alla lite:
• come la disposizione che introduce la generalizzazione del
meccanismo di discussione
orale e della immediata pronuncia della sentenza, con lettura del dispositivo e della concisa motivazione, riservando
alle sole ipotesi di particolare
complessità della lite, il deposito della decisione nei trenta
giorni successivi all’udienza;
• come le previsioni che introducono il procedimento sommario di cognizione, ispirato al référé, che risponde bene alle esigenze di creazione di
un titolo esecutivo, reclamabile, che prescinda dall’accertamento, assai utile qualora og-
L’
(3) Sono le parole dell’editoriale con
cui F.P. Luiso dal sito www.giustizia.it
presenta il disegno di legge delega ai
cittadini.
51
getto della controversia siano
diritti di credito, e consente
una definizione immediata della lite;
• come l’introduzione del procedimento sommario anticipatorio, anche nel corso
del processo a cognizione
piena, con l’idoneità del
provvedimento ad eventualmente definire il processo.
ondimeno anche se è
opportuno cogliere
ciò che di buono e di
utile è contenuto nel
complessivo progetto Vaccarella, vanno
ribaditi i rischi che l’abbandono
dell’oralità e della funzione direttiva del giudice sul processo possono comportare per la domanda
di giustizia.
Indifferibili infine appaiono, sotto
il profilo delle riforme, da un lato,
la costituzionalizzazione del rito
camerale, tuttora rimesso alla pura discrezionalità del giudice, e
dall’altro, una riforma organica
N
52
della magistratura onoraria, capace di superare le logiche dell’emergenza e di affrontare pubblicamente ed in modo trasparente
il ruolo affidato al giudice non
professionale.
Il processo, quanto più la società
è complessa, tanto più deve diventare un luogo di comprensione dei conflitti che essa esprime;
e deve rimanere un momento in
cui la dialettica e l’oralità consentono al cittadino di essere ascoltato e di concorrere alla formazione del convincimento del giudice.
Finché l’accesso alla giustizia e la
promozione della eguaglianza
sostanziale restano fra i cardini su
cui si fonda lo stato di diritto non
può interessare solo che pronunciare la sentenza sia il giudice,
ma deve interessare anche il modo con cui si perviene alla pronuncia.
Spesso sentiamo dire che l’inefficienza è ingiustizia, dobbiamo
nondimeno dire con forza che
per coniugare efficienza e giustizia, abbiamo bisogno di riforme
che non dimentichino la delicatezza del mestiere del giudice,
il bisogno che questi avverte di
assicurare a ciascuna controversia tutto il tempo necessario al
suo studio ed alla sua risoluzione efficace e sostanzialmente
giusta.
n questo senso occorre accogliere l’esortazione di
Carlo Verardi a dare attuazione al “giusto processo” partendo “da una riforma delle culture e della
deontologia, che consegni al
processo protagonisti culturalmente preparati, efficacemente
organizzati, legati da una comunanza di valori di fondo”, nella
consapevolezza che l’indipendenza è anche una garanzia
di impegno che il cittadino ha
diritto di riconoscere ogni giorno
nel nostro lavoro.
I
MAURA NARDIN
Giudice Tribunale di Sassari
L’ESPERIENZA DEL PROCESSO
NELL’ASSETTO ATTUALE
Le prassi esistenti e quelle possibili
S
ebbene l’elenco delle
“questioni per il dibattito” sembri richiamare la
disciplina di ben definiti
istituti processuali che
scandiscono lo svolgimento di un tipico processo ordinario di cognizione di primo
grado, un’attenta lettura dello
stesso elenco (nel quale è detto di
“controllo del flusso di cause”;
“adempimenti di prima udienza”; “svolgimento dell’udienza
di trattazione”; soprattutto, “adozione di protocolli di udienza”), coordinata col titolo che si è
voluto dare al dibattito di “le
prassi esistenti e quelle possibili”
rende legittima l’affermazione che
non di norme processuali si deve
trattare, per comprendere “l’esperienza del processo nell’assetto at-
L
M
tuale”, bensì di professionalità
dei protagonisti del processo
(giudici ed avvocati), ma anche di
efficienza dell’ufficio (inteso sia
nell’articolazione in sezioni, che
nell’organizzazione dei servizi di
cancelleria).
Affrontando, per intanto, la questione – centrale nel dibattito associativo (1) e, come è ben noto,
politico (2) di questi ultimi tempi
(3) – della professionalità del magistrato, in generale, e del giudice
civile, in particolare, s’impongono, senza alcuna pretesa di completezza, le seguenti considerazioni.
Attualmente la valutazione di professionalità è essenzialmente legata alla progressione in carriera
dei magistrati, anche se presenta
il correttivo della valutazione
(1) Cfr. I magistrati e la sfida della professionalità, IPSOA, 2003, dove sono stati raccolti i contributi del seminario conclusivo tenutosi a Roma il 20 marzo 2003 sul tema
della valutazione della professionalità dei magistrati, già affrontato nella Conferenza nazionale di Bardolino del dicembre 2000 (cfr. La Magistratura n. 3/2000) e quindi sviluppato in cinque seminari (svolti tra i mesi di febbraio e marzo 2003 a Genova, Cagliari, Ancona, Catania e Bari), che hanno preparato il seminario di Roma, nel corso del
quale è stato approvato il documento conclusivo del ciclo di iniziative.
(2) È in discussione al Senato il disegno di legge n. 1296/S di delega al governo per la
riforma dell’ordinamento giudiziario, presentato dal Ministro della Giustizia Castelli nel
marzo 2002, al quale sono stati presentati vari emendamenti governativi nell’autunno
2002 ed, infine, il c.d. maxi-emendamento il 20 marzo 2003, che è stato definitivamente approvato alla Commissione Giustizia, con ulteriori rilevanti modifiche, il 25 settembre 2003. Il CSM, prima delle modifiche parlamentari dell’ultima ora, ha espresso due
importanti pareri nelle date del 12 giugno 2002 e del 22 maggio 2003, cui si rimanda,
in particolare per quanto interessa in questa sede, per la critica dell’idea ispiratrice del
concorso interno come strumento di selezione dei magistrati ai fini della progressione
in carriera e delle valutazioni di professionalità previste per chi non fa i concorsi in numero di tre nell’intera carriera, desunte “dall’attività giudiziaria e scientifica, dalla
produttività e dai pareri conseguiti nell’ambito dei corsi organizzati dalla scuola superiore della professioni giuridiche”. Anche l’ANM si è pronunciata sul testo originario
col documento “L’ANM sulle proposte del governo di riforma dell’ordinamento giudiziario”, pubblicato in appendice al volume di cui alla nota n. 1, che sintetizza gli interventi svolti dalla delegazione dell’ANM dinanzi alla Commissione Giustizia del Senato presieduta dal sen. Antonino Caruso il 25 giugno 2002.
(3) Per la verità, già nel 1996 venne presentato in Parlamento un c.d. pacchetto di proposte del Ministro della Giustizia Flick, tra le quali vi era il disegno di legge riguardante “Norme in materia di funzioni e valutazione di professionalità” (cfr. Documenti giustizia, nn. 8, 9 e 12/1996).
53
comparativa da operarsi al momento del conferimento in concreto di nuove funzioni. Secondo
l’attuale sistema la valutazione di
professionalità, da effettuarsi secondo scansioni temporali predeterminate (collegate, come detto,
all’attribuzione delle qualifiche
superiori), è riferita ai parametri
della preparazione, laboriosità,
capacità, diligenza (oltre che dell’equilibrio): come è stato osservato, “non si può chiedere di più
ad un magistrato” (4). Tuttavia,
sono noti gli inconvenienti legati
ad una valutazione collegata alle
modalità di progressione in carriera e comunque rivelatasi insufficiente a garantire un diffuso ed
elevato livello di professionalità e
comunque il suo corretto controllo. Molto dipende, oltre che dagli
strumenti conoscitivi e dalle modalità di svolgimento del compito
di valutazione da parte dei soggetti istituzionali coinvolti, dalla
specificità e dalla predeterminazione del contenuto di ciascuno
dei parametri costituenti le “doti”
del magistrato.
l contenuto dei detti parametri risulta fissato da tre
circolari emanante dal Consiglio Superiore della Magistratura nell’esercizio dei
suoi poteri di normazione
secondaria: la circolare n. 1275
del 22 maggio 1985 (che disciplina tutti i pareri che i Consigli Giudiziari sono chiamati ad esprimere, quindi non soltanto quelli relativi alla progressione in carriera); la circolare n. 17003 del 24
settembre 1999 (che invece disciplina specificamente la verifica
periodica della professionalità dei
magistrati all’atto della loro progressione in carriera, ma con riguardo più al procedimento di
valutazione che ai criteri pratico-
I
applicativi dei parametri fissati
dalla legge); infine, la circolare n.
16103 del 30 luglio 2003, che integra la circolare del 1985 in punto di fonti di conoscenza e di
uniformità dei pareri formulati dai
diversi consigli giudiziari, ma anche – per quel che rileva nella
presente sede – in punto di parametri di valutazione) (5).
Vale certamente anche per il giudice civile l’indicazione, contenuta nella circolare sui pareri, che la
preparazione e la capacità si
manifestano, oltre che nell’aggiornamento dottrinale e giurisprudenziale, nella “concreta
professionalità manifestata dal
magistrato nell’esercizio delle
proprie funzioni”; tra gli elementi
da cui desumere preparazione e
capacità del giudice civile si annoverano, oltre a quelli – di ordine generale – della libertà da condizionamenti o da vincoli e delle
qualità di carattere significative
per l’attività giudiziaria, la “celerità nella conduzione del processo”, la “capacità di sintesi e
di individuazione delle questioni da decidere”, le “modalità di conduzione dell’udienza”. Nella deliberazione del
C.S.M. del 23 luglio 2003, cui è seguita la circolare n. P 16103 del 30
luglio 2003 (in vigore dal 1° novembre 2003), si legge, inoltre,
quanto segue: “Appare opportuno
… procedere ad una puntualizzazione dei parametri previsti
dalla circolare per la valutazione
della preparazione e della capacità del magistrato, introducendo
un riferimento alla capacità di
predisporre idonei moduli organizzativi del proprio lavoro, in attuazione delle disposizioni non solo della legge processuale, ma anche delle circolari
consiliari e delle disposizioni ta-
(4) Silvestri, Verifica di professionalità versus indipendenza dei
magistrati: una falsa contrapposizione, in I magistrati e la sfida
della professionalità, cit., 89.
(5) Merita menzione, pur se soltanto parzialmente attinente al
54
bellari” e pertanto si introduce,
quale ulteriore elemento di valutazione, il seguente: “capacità
del magistrato di organizzare
il proprio lavoro”; l’esemplificazione che, nella delibera in discorso, viene fatta, ai fini dell’accertamento di tale capacità per i
giudici civili e del lavoro, riguarda
“la gestione dell’udienza, della
comparizione delle parti, del tentativo di conciliazione, della discussione orale”; comunque, per
tutti, “dovrà essere evidenziata la
capacità del magistrato di organizzare la parte pubblica della sua attività in modo da ridurre al minimo il disagio degli
utenti della giustizia e dei loro
difensori”. È evidente che si tratta
di indicazioni significative perché
rivelatrici di una nuova attenzione per gli aspetti qualitativi e, comunque, dinamici dell’attività del
giudice; tuttavia l’esemplificazione manca del riferimento a due
aspetti che, della “capacità di organizzare il proprio lavoro” sono
fondamentali, vale a dire alla capacità di gestire, nel suo complesso, il ruolo istruttorio, e, singolarmente, ciascuna controversia (o
tipologia di controversie).
e linee lungo le quali
operare per individuare “prassi possibili”
che facciano funzionare l’attuale rito ordinario di cognizione, oggetto del presente intervento, sono funzionalmente tra loro collegate nel perseguimento dell’ unico obiettivo di dare maggiore efficienza alla giustizia civile, ma vanno tenute distinte: l’una concerne
l’organizzazione del lavoro, quindi, in primo luogo, i criteri di gestione del ruolo da parte dell’istruttore; l’altra, riguarda, più specificamente, l’andamento dei pro-
L
tema trattato, anche la delibera adottata dal C.S.M. in data 13
marzo 2003 relativa al passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti (e viceversa) ed all’accertamento delle attitudini del
magistrato alle nuove funzioni ex art. 190 ord. giud.
cessi, quindi i criteri di conduzione delle controversie; la terza, infine, attiene ai criteri di organizzazione di determinate attività processuali. Siffatta distinzione si impone anche per una corretta lettura delle indicazioni contenute nella scheda di questioni per il dibattito redatta per la preparazione al
presente convegno, tra le quali è
bene considerare separatamente
quelle destinate ad una efficiente
programmazione del lavoro nel
suo complesso, quelle destinate
ad una corretta impostazione della singola controversia e quelle
destinate a diminuire il disagio degli utenti e ad evitare ritardi e disfunzioni negli adempimenti processuali, in udienza e fuori.
È bene peraltro intendersi su
un’indispensabile premessa per la
quale autonomia ed indipendenza del giudice non riguardano, in
linea di principio, nessuno di
questi aspetti, poiché operano sul
diverso piano del giudizio, cioè
della decisione, ma anche dell’interpretazione delle regole processuali, non sul piano delle prassi
operative, rispetto alle quali, in-
vece, subentra il giudizio di professionalità e, nelle ipotesi estreme, di responsabilità disciplinare.
e è vero che, per il giudice istruttore civile, capacità di organizzare il proprio lavoro significa soprattutto capacità di gestire il ruolo, non ci si
può nascondere che questa solo
in parte dipende da quelle che
potremmo definire variabili individuali, collegate cioè all’impegno
ed alla professionalità del singolo,
essendo per altra parte dipendente da quelle che potremmo definire variabili esterne, collegate principalmente alla consistenza ed alla composizione del ruolo, quindi
ai criteri di ripartizione degli affari
tra le sezioni e di assegnazione di
essi ai singoli giudici di ciascuna
sezione, nonché all’esistenza di
un programma di lavoro, tendenzialmente per obiettivi, predisposto, in via generale, dal capo dell’ufficio in occasione della redazione delle tabelle biennali e, specificamente, per la sezione dal suo
presidente (6); ed ancora, collegate alla ripartizione delle risorse
S
personali e materiali tra settori e
sezioni del tribunale.
Questi ultimi sono temi (cui sono
evidentemente collegati quelli di
una seria raccolta di dati sull’esistente, del corretto monitoraggio
dei flussi giudiziari e dell’elaborazione di adeguati sistemi di rilevazione dell’attività giudiziaria
(7)), per i quali non posso che fare rinvio ai lavori pomeridiani
(8), segnalando soltanto che i
punti di contatto riguardano non
solo l’efficienza complessiva del
sistema, ma anche la produttività
e la valutazione di professionalità
del singolo magistrato (9). Peraltro, con riguardo a queste, pur riconoscendo l’importanza del rapporto numerico tra i giudici civili
ed il numero delle controversie
loro affidate (10), acquista rilievo, come si diceva, la capacità di
governare comunque il ruolo,
piuttosto che di subirlo (11).
La delibera consiliare sulla valutazione di professionalità del luglio
di quest’anno prevede nello schema di rapporto proposto ai dirigenti degli uffici (12), “l’indicazione di dati numerici attinenti
(6) Spera, Per ogni ufficio idonee rilevazioni statistiche. Per
ogni giudice un obiettivo da raggiungere, in Questione Giustizia, 2003, 3, 505.
quater ord. giud.”, nonché di “uffici statistici, analisi dei flussi,
monitoraggio dell’attività” e de “la valorizzazione delle cancellerie e dell’ufficio del giudice”.
(7) Con delibere del 28 aprile 1999, 16 febbraio 2000, 13 dicembre 2000, 6 febbraio 2002 il Consiglio Superiore della Magistratura costituì un gruppo di lavoro composto da magistrati, di diverse
provenienze e funzioni, con l’incarico di collaborare con la Settima Commissione nell’elaborazione di criteri e contributi per realizzare un sistema di rilevazione dati che consentisse al Consiglio
di disporre di informazioni omogenee e affidabili: a) per la compiuta conoscenza della struttura e della organizzazione degli uffici giudiziari; b) per la valutazione del lavoro del magistrato ai fini
propri dell’organo di autogoverno. Gli esiti dell’incarico, svolto
con magistrati in rappresentanza del Ministero della Giustizia,
vennero approvati con le delibere consiliari del 22 dicembre 1999
e del 4 luglio 2001. Il gruppo misto di lavoro è stato reintegrato,
per la parte di competenza del CSM, con delibera del 6 febbraio
2002, a seguito della trasmissione da parte del Ministero di una
nota contenente un “Progetto per lo sviluppo di un sistema di misurazione dell’efficienza del sistema giudiziario”; il gruppo misto
ha presentato alla Settima Commissione un documento riepilogativo dei lavori svolti e delle linee di sviluppo da perseguire in futuro, che è stato approvato dal Consiglio Superiore della Magistratura con delibera 10 luglio 2002. Relazione del gruppo misto e
circolare del C.S.M. si leggono in Quaderni CSM, 133, 314.
(9) Già la circolare n. 1275 del 1985 prevede, con riferimento al
parametro dell’operosità, che “il C.G. terrà conto, altresì, in
quanto rilevino, delle condizioni dell’ufficio nel quale l’interessato esercita le funzioni”, nonché che “i dati quantitativi verranno forniti anche come dati relativi, curando di utilizzare riferimenti omogenei quanto a tipo di uffici e sufficientemente
ampi”.
(8) Si vedano in particolare le questioni de “la formazione delle tabelle degli uffici giudiziari” e de “l’attuazione dell’art. 47
(10) In Cipriani, Civinini, Proto-Pisani, Una strategia per la giustizia civile nella XIV Legislatura, in Foro it. 2001, V, 81, si individua in cinquecento processi sul ruolo il numero massimo per
“assicurare il rispetto del principio internazionale e oggi anche
interno della ragionevole durata dei processi”.
(11) La contrapposizione è di Braccialini, Priorità, obiettivi e
tecniche di gestione del processo civile, in Nuova Giurisprudenza Ligure 2001, 3.
(12) La delibera precisa che uno degli obiettivi dell’integrazione della circolare n. 1275 del 1985 è di fissare ai dirigenti degli
uffici ed ai Consigli giudiziari “l’obbligo di redigere, rispettivamente, il loro rapporto ed il loro parere secondo un iter argomentativo prefissato, basato su dati ed elementi valutativi da
esplicitare in uno schema prefissato e contenuto in un modulo
riassuntivo, che sarà messo a disposizione in versione cartacea
ed informatica, secondo un formato standard…”.
55
la quantità e la qualità del lavoro del magistrato in valutazione” (13). I dati numerici riguardano, per il periodo in valutazione
(ad es. per la nomina a magistrato di Corte d’Appello gli ultimi
cinque anni), quanti procedimenti sono stati assegnati al giudice,
quante udienze sono state tenute
e quanti decreti, ordinanze e sentenze sono stati depositati (14).
Facendo riserva di tornare in seguito sulla questione concernente
il numero delle udienze, va detto
che il rapporto tra cause assegnate e cause definite ha significato
modesto, per il giudice civile, se
si tiene conto soltanto della definizione con sentenza e se si considera isolatamente il dato quantitativo (15): ciò sia perché i processi civili “definiti” sono anche
quelli conclusi con una transazione giudiziale o stragiudiziale (la
quale spesso è favorita dal giudice, sia all’esito di una corretta
conduzione della fase introduttiva, che all’esito di un’attenta conduzione della fase istruttoria, essendo frequente l’«abbandono»
del processo ex art. 309 c.p.c. anche dopo la pronuncia di un’ordinanza anticipatoria od interlocutoria ben fatta), sia perché non
può escludersi che ad un numero
elevato di sentenze non corrisponda un’elevata o comunque
soddisfacente risposta alla domanda di giustizia sostanziale degli utenti, tenuto conto della qualità della cognizione.
eraltro, un correttivo si
rinviene già nella delibera consiliare laddove
accenna anche al dato
qualitativo (e, come si
dirà, prevede l’esame a
campione dei provvedimenti
emessi) ed invita il capo dell’ufficio ad “effettuare le sue valutazioni sul complesso dell’attività svolta dal magistrato stesso,
alla luce delle funzioni concretamente esercitate”.
Ebbene, avere riguardo al “complesso dell’attività svolta” dal giudice civile significa, in primo luogo, valutarne la capacità di analizzare il proprio ruolo, previa l’indispensabile conoscenza delle cause che lo compongono, e fissare
quindi degli obiettivi di priorità
nella loro trattazione (16).
Gran parte delle indicazioni contenute nella scheda di questioni per
il dibattito redatta per la preparazione al presente convegno sotto
il titolo “La conduzione del pro-
P
(13) La delibera si preoccupa di chiarire che “l’indicazione di
tali dati costituisce un ulteriore elemento di valutazione posto a
disposizione del Consiglio Giudiziario e del C.S.M., ma non sostituisce le statistiche del lavoro svolto dal magistrato interessato redatte secondo modelli ministeriali, le quali pertanto dovranno essere lo stesso allegate”.
(14) È del tutto evidente che il riferimento ai provvedimenti
“depositati” comporta la mancata considerazione del lavoro dell’istruttore civile che dà i provvedimenti in udienza.
(15) Si condividono le considerazioni svolte da Ranieri, Processo
civile vigente e spazi di razionalizzazione, articolo in corso di
pubblicazione su Questione giustizia 2003, 5, il quale, tra l’altro,
nota che “dare esclusivo rilievo al provvedimento finale disincentiva i giudici dal curare la fase istruttoria, dato che non acquista rilievo statistico” e che “il mero dato quantitativo delle definizioni annuali, ove presenti un dato di anomalo eccesso, può essere indice di una cattiva professionalità …”, potendo costituire
“il segnale di sentenze emesse senza approfondimento istruttorio
o senza adeguata valutazione delle tesi prospettate dalle parti”.
(16) Gerardis, L’organizzazione del lavoro del giudice, in Quaderni CSM 128, I, 15.
(17) Cfr., per l’interessante esperienza in atto al Tribunale di
Milano, Spera, Statistiche, organizzazione e valutazione di pro-
56
cesso” riguarda appunto il profilo
del quale si è appena detto.
Più specificamente, la fissazione
degli obiettivi di priorità nella
trattazione delle controversie e la
loro migliore distribuzione nelle
udienze dal punto di vista qualitativo (oggetto della singola controversia e fase processuale nella
quale si trova) e quantitativo (numero di cause da portare ad
udienza) presuppongono – oltre
alle rilevazioni statistiche delle
quali si è detto sopra (17), la cui
predisposizione prescinde dall’intervento del singolo giudice –
lo svolgimento di tutte quelle attività che nello schema sono indicate al n. 1.1, sotto il titolo “fase
preliminare” (18), nonché l’eventuale organizzazione di udienze
monotematiche (19), indicata al
n. 1.2, sotto il titolo “gestione dell’udienza”, alla lettera b), cui si
potrebbe aggiungere l’organizzazione di udienze “straordinarie” o
“riservate”, per il compimento di
determinate attività, ovvero di
udienze “di smistamento”, nelle
quali far confluire più cause che
si trovino nella stessa fase processuale, destinate ad essere
nuovamente distribuite secondo
criteri di priorità (20).
fessionalità. L’esperienza del Tribunale di Milano, in Questione
Giustizia 2002, 2, 445.
(18) a) esame di tutti i fascicoli assegnati e verifica del loro oggetto; b) uso limitato del differimento della prima udienza ex
art. 168 bis, solo nell’ipotesi di cause molto complesse previste in
udienze con un già eccessivo carico di lavoro ovvero per fissare udienze monotematiche; c) istanza di chiamata del terzo e
differimento di udienza: …omissis…d) valutazione di eventuali istanze cautelari od anticipatorie formulate prima della data
della prima udienza: …omissis…
(19) L’accorpamento alla medesima udienza non necessariamente deve riguardare cause omogenee per oggetto, ma potrebbe trattarsi di diversi gruppi di cause seriali ovvero anche di cause giunte alla medesima fase processuale o per le quali si preveda il medesimo adempimento (es. udienze istruttorie ad horas, prime
udienze di cause di opposizione a decreto ingiuntivo con richiesta
di sospensione della provvisoria esecuzione etc.: cfr., anche per altre questioni trattate nel testo, Breggia, L’organizzazione del ruolo
e gli effetti acceleratori dell’attività preparatoria, relazione tenuta
all’incontro di studio “Il punto sul processo civile” organizzato dal
CSM nel novembre 2003, reperibile sul sito www.cosmag.it).
(20) Il suggerimento è di Braccialini, op. cit. ed è ovviamente
adattabile alle diverse caratteristiche del ruolo istruttorio.
F
ondamentale, pur se
spesso trascurata, si
presenta, per il raggiungimento delle finalità di efficiente gestione del ruolo, la questione del numero delle udienze
che ciascun istruttore tiene in un
determinato arco temporale (settimana/mese). È noto che questa
non è sempre una variabile dipendente da una libera scelta del
capo dell’ufficio (e men che meno del singolo giudice), essendo
spesso condizionata dalla disponibilità di aule e di personale (sia
amministrativo, che giudiziario,
essendo endemica la carenza del
primo e frequenti le occasioni di
applicazioni e supplenze del secondo, nel contesto di un panorama nazionale assolutamente disomogeneo). In proposito la circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il biennio
2002/2003 (21) prevede che nelle proposte tabellari debbano essere indicati i giorni di udienza
settimanale di ciascun magistrato
e specifica, al paragrafo 34.2, che
“nel settore civile dovranno essere indicati per ciascun magistrato i giorni delle udienze monocratiche e i giorni delle udienze
collegiali, distinguendo le udienze per le trattazioni degli appelli,
dalle udienze per la discussione
delle cause e dalle udienze per le
procedure in camera di consi-
glio” ed, al paragrafo 61, che “le
proposte tabellari devono indicare i giorni di udienza settimanale per ciascun magistrato
…omissis… Le udienze per i processi già attribuiti al giudice collegiale ed ora decisi dal giudice
monocratico devono essere
fissate in numero superiore
a quello stabilito prima dell’unificazione dell’ufficio di
primo grado. I capi degli uffici
devono sorvegliare circa il rispetto dell’orario e dello scaglionamento degli orari per i singoli
processi”. Sarebbe interessante
verificare come si sia dato attuazione, per il settore civile, alle
dette prescrizioni nelle proposte
tabellari presentate dai diversi
Presidenti di Tribunale, anche al
fine di riscontrare se quanto si diceva a proposito della diversa disponibilità di strutture e personale sul territorio nazionale si traduca nella previsione di un diverso numero di udienze settimanali per ciascun giudice civile destinatario di processi civili ordinari; sarebbe peraltro il caso di
chiedersi se la previsione tabellare di un determinato numero di
udienze (soprattutto ove eccessivamente ridotto) risponda effettivamente ad esigenze dell’ufficio
adeguatamente considerate ed illustrate dal proponente; sarebbe
da discutere della possibilità (22)
di fissare udienze straordinarie,
oltre quelle tabellari, e delle mo-
(21) Si tratta della circolare n. 24710/2001. La circolare sulle tabelle per il biennio 2004/2005 è ancora in corso di elaborazione
presso la Settima Commissione consiliare.
(22) Sebbene la questione sia controversa non mi sembra che
ragioni normative ostino all’attribuzione, in linea di principio, al
giudice istruttore civile di fissare udienze c.d. straordinarie. Piuttosto, l’esercizio di tale potere deve rispondere a criteri di buona amministrazione per i quali pare opportuno avere l’assenso
del dirigente dell’ufficio (o del presidente di sezione) alla fissazione di dette udienze; ed invero, questa comporta un ulteriore
impegno organizzativo della cancelleria, che potrebbe influire
sull’andamento ordinario dei servizi amministrativi, soprattutto
quando già l’ufficio si trovi sottodimensionato, come accade in
numerose realtà territoriali; potrebbe allora discutersi delle ragioni che possano indurre, in via generale o volta a volta, a prevedere, per determinati controversie o categorie di controversie
dalità di esercizio di tale facoltà
da parte di ciascun istruttore, nel
contesto peraltro dell’organizzazione del lavoro dei giudici dell’intera sezione.
trettamente connessa a
quanto appena detto è
la questione del numero dei fascicoli da “portare” ad ogni udienza, o
meglio del numero delle controversie, distinte per oggetto e/o fase processuale, fissate per ciascuna udienza. Proprio
le esigenze di garantire la conoscenza della composizione del
proprio ruolo da parte dell’istruttore e di assicurare la ragionevole durata del processo nel
suo complesso, in modo che
ogni udienza sia utilmente tenuta, nonché l’esigenza – di cui si
dirà appresso – di adattare il rito
alla singola controversia (eventualmente seguendo dei c.d.
protocolli, o comunque schemi
routinari, di gestione per tipologie omogenee di controversie)
impongono di limitare il numero
delle cause da trattare ad ogni
udienza, in modo che sia possibile studiare preventivamente i
fascicoli (23), predisporre preventivamente i provvedimenti
che saranno adottati in udienza
(eventualmente previa verifica,
discutendone con i difensori, di
quali siano le reciproche domande e contestazioni), svolgere nel tempo adeguatamente
S
o per alcuni adempimenti processuali, apposite udienze al di
fuori della programmazione tabellare.
(23) Cfr. Lamorgese, Proposte di razionalizzazione del processo civile di primo grado, in Questione giustizia 2003, 1, 35, il
quale nota come “il giudice, al quale pure si chiede di dirigere
la trattazione e l’istruttoria (art. 175 cpc), sprechi troppe energie dovendo ritornare sul fascicolo per ristudiarlo numerose volte a distanza di mesi e anni prima di ciascuna udienza e, spesso, inutilmente…” e si chiede “se l’articolazione del processo per
udienze cadenzate nel tempo sia insopprimibile o, per meglio
dire, se ogni decisione seppur interlocutoria del giudice debba
necessariamente «passare» per l’udienza, dovendo rendersi conto che ogni udienza o rinvio della causa per il compimento di
un’attività non strettamente necessaria ha un «costo» insostenibile in termini di tempo e, quindi, di durata complessiva del
processo…”.
57
prefissato l’attività cui l’udienza
è destinata (24).
Rientrano nel tema dell’organizzazione del lavoro del giudice civile, al fine di assicurare quantità
e qualità del complesso dell’attività svolta, altre due questioni
fondamentali, tra loro peraltro in
parte connesse, cui in questa sede si può soltanto accennare.
una concerne il calendario di trattazione delle cause secondo criteri di priorità;
l’altra l’organizzazione della spedizione a
sentenza e quindi della scelta dei
modelli possibili di motivazione.
La prima, come già detto, presuppone l’attento monitoraggio del
ruolo; quindi, l’individuazione di
criteri, non casuali, ma predeterminati e resi noti all’utenza (preferibilmente concordati nell’ambito della sezione e rispondenti ad
obiettivi di smaltimento delle
controversie programmati periodicamente), in base ai quali predisporre corsie preferenziali per i
procedimenti più urgenti, previa
loro individuazione (25); particolare attenzione devesi rivolgere al
tempo di instaurazione della controversia (26), essendo rilevante
L’
verificare in quale misura il giudice riesce a definire le cause più risalenti ed in quale percentuale rispetto al carico diviso per anni
(27), dal momento che un’errata
impostazione che tenda a privilegiare il dato quantitativo potrebbe
indurre (e di fatto induce) a definire le cause più recenti perché
più semplici a scapito di quelle
più risalenti, ma più complesse
(la cui decisione con relativa motivazione comporta necessariamente un “rallentamento” produttivo).
Quanto appena detto consente di
accennare alla questione della
programmazione del numero di
sentenze che possano essere redatte in un determinato periodo
di tempo e di una pianificazione
dei tempi relativi che risponda ai
criteri di priorità come sopra individuati. Ribadita l’importanza di
un modus operandi che consenta
la definizione della lite con forme
diverse dalla decisione (28),
quando questa è necessaria, pare
opportuno distinguere, ancora
una volta, per tipologie di controversie, semplificando le motivazioni per cause di difficoltà media, anche ricorrendo a schemi
predefiniti per cause del medesi-
(24) Breggia, op. cit., nota come occorra guardarsi dagli strumenti pseudo-acceleratori, essendo “preferibile un rinvio più
lungo che consenta al giudice di studiare la controversia e
quindi, all’udienza, discutere con i difensori il thema probandum ed emettere in udienza il provvedimento ammissivo delle
prove, piuttosto che disporre un rinvio più breve, da cui partorisca una semplice riserva da sciogliere magari in tempi assai
più lunghi di quelli indicati per la prima ipotesi”.
(25) Gerardis, op. cit., 23, individua i seguenti criteri: 1) natura
della controversia, 2) soggetti interessati, allorché il loro stato
costituisca l’oggetto o quanto meno il necessario presupposto
della tutela invocata; 3) interessi coinvolti; 4) urgenza già risultante dagli atti.
(26) Tra i principi generali fissati nella circolare sulle tabelle
2002/2003 è prevista: “…b) l’illustrazione dei programmi di definizione dei procedimenti che ciascun ufficio si propone di
realizzare a partire da quelli più risalenti nel tempo, tenendo
conto delle risorse disponibili, dei carichi pendenti e sopravvenuti, della qualità e quantità dei flussi di lavoro degli anni precedenti; …”.
(27) Così Ranieri, op. cit., che richiama in nota la circolare adottata dal Presidente del Tribunale di Torino in data 4 dicembre
2001 ed intitolata “programma Strasburgo”.
58
mo tipo o che presentino analoghe questioni giuridiche (pur nella diversità degli elementi di fatto); utilizzando lo strumento processuale della motivazione contestuale ex art. 281 sexies c.p.c.
(29); destinando la motivazione
più articolata alle cause più complesse, senza tuttavia indulgere
alla tentazione di trasformarla in
una sorta di monografia (30).
otrebbe sembrare in
contrasto con quanto
si va dicendo la previsione, contenuta nella
recente già citata circolare sulla valutazione
di professionalità, di far allegare
alla relazione del dirigente provvedimenti giudiziari redatti dal
magistrato in valutazione, onde
fornire “un oggettivo strumento
di riscontro del giudizio formulato”, da individuarsi – secondo
criteri automatici indicati dal
Consiglio Giudiziario, relativi ad
almeno quattro bimestri nell’arco
del periodo di valutazione e nel
numero non inferiore a venti –
nell’ambito di tipologie di provvedimenti significativi per le varie funzioni del magistrato da approvarsi da parte del Consiglio
Superiore (31): tutto sta ad in-
P
(28) Sembra riferirsi alla questione trattata nel testo l’indicazione contenuta al punto 1.2 j) dello schema di questioni preparato per il dibattito nel convegno (“Utilizzo di percorsi motivazionali nell’adozione di ordinanze sommarie … ed istruttorie, tramite l’enucleazione del tema controverso al fine di
indurre le parti alla conciliazione o di agevolare la successiva stesura della sentenza. Maggiore utilizzo dello strumento
dell’ordinanza ex art. 186 quater ove richiesto dalle parti.
Uso della discussione orale e dello strumento ex art. 281
sexies …”).
(29) Per non appesantire la trattazione, mi permetto di rimandare alla relazione “Gli strumenti e le prassi acceleratori nel processo di cognizione” da me tenuta all’incontro di studio su “La
ragionevole durata del processo” organizzato dal CSM nel gennaio 2003, reperibile sul sito www.cosmag.it.
(30) Cfr. Cipriani, Per un nuovo processo civile, in Foro it.
2001, V, 321, 13.
(31) La delibera del 23 luglio 2003 prevede una nuova disposizione transitoria della circolare con cui si demanda al CSM di
istituire un gruppo di studio, su proposta della Quarta Commissione, perché, d’intesa con la Commissione Mista composta da
CSM e Ministero della Giustizia, individui la tipologia di provvedimenti da acquisire a campione.
tendersi sulle finalità di tale acquisizione e sui criteri di valutazione del contenuto dei provvedimenti (in primo luogo da parte
del dirigente dell’ufficio che, ai
sensi della stessa circolare, ne
deve illustrare “dettagliatamente
le caratteristiche complessive”).
Dovrà, cioè, essere chiaro che il
pregio del lavoro del giudice (civile) non sta nella redazione di
dotte motivazioni, bensì nella dimostrata “capacità di sintesi e di
individuazione delle questioni
da decidere”, nella “celerità nella conduzione del processo” (e/o
“sollecita trattazione e definizione dei procedimenti”), nella
“puntualità nel deposito della
minuta dei provvedimenti”, secondo i contenuti dei parametri
della “preparazione e capacità” e
della “diligenza” individuati già
nella circolare n. 1275 del 1985:
trattasi, come è evidente, di giudizi che si possono esprimere
traendone i dati necessari dall’analisi del campione. In conclusione, tale analisi dovrebbe consentire di superare le ricadute
negative di una valutazione formulata soltanto su dati quantitativi, indirizzando però la valutazione qualitativa secondo parametri di effettività ed efficienza
della risposta giudiziaria, piuttosto che di sfoggio di preparazio-
ne dottrinale dell’estensore, del
tutto fine a se stessa (32).
• • •
ollegato, ma nient’affatto assimilabile al tema sin qui trattato –
pur se entrambi dipendenti, oltre che
dalle c.d. variabili
esterne delle quali si è detto sopra, dal modello processuale delineato dal legislatore – è quello
della gestione diretta da parte del
giudice della dinamica del processo, al fine di controllare i tempi di ogni causa, nonchè individuarne i punti effettivamente
controversi e, soprattutto, lo
“schema” di procedimento più
appropriato (33): anche tale questione è inerente alla professionalità del giudice civile; la differenza, rispetto alla capacità di gestire
il ruolo, si coglie nel fatto che la
gestione della causa presuppone
l’attuazione del fondamentale
principio di collaborazione tra
giudici e parti (34), quindi l’insostituibile apporto dei difensori
(col correlato bagaglio di competenza e professionalità, sul quale
non è mio compito intrattenermi,
pur se tanto ci sarebbe da dire), sì
che acquista rilevanza il confronto – processuale, ma anche extraprocessuale – sull’interpretazione
delle norme del codice di rito, su
C
(32) La delibera del CSM si preoccupa di precisare che “lo scopo di tale acquisizione non è quello di imporre la lettura dei
provvedimenti ai fini di una loro valutazione preliminare, strumentale ad un giudizio di idoneità alla progressione in carriera, ma quello di acquisire un elemento di riscontro ulteriore
che, assieme a tutti gli altri dati indicati nella griglia di valutazione sottoposta agli organi di valutazione, consenta una verifica immediata della congruità della valutazione effettuata.
In altre parole, l’obiettivo che si intende perseguire è quello di
responsabilizzare i soggetti chiamati a effettuare la valutazione
a dare un giudizio in linea con il dato concreto acquisito agli
atti del procedimento”.
(33) Grosso modo secondo lo schema del case management,
tipico di altre esperienze processuali: cfr. De Cecco, “Case management”, la riforma del processo civile in California, in Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, a cura di M.G. Civinini e C.M. Verardi, Milano 2001.
(34) Grasso, La collaborazione nel processo civile, in Riv. dir.
proc., 1966, 580 e seg.; ma cfr. anche Civinini, Poteri del giudi-
prassi applicative, su modalità di
semplificazione del procedimento o di tipi omogenei di procedimenti. Piuttosto, una precisazione, a mio modesto avviso, s’impone: la materia che forma oggetto del confronto di cui stiamo
parlando non si presta ad essere
inserita nei c.d. protocolli o comunque in intese convenzionali
tra organismi istituzionali o tra
componenti
di
aggregazioni
spontanee, che valgano a priori
per ogni controversia e per tutte
le controversie trattate da un certo ufficio o da una certa sezione.
Non è certo questa la sede per affrontare il complesso problema
dei poteri discrezionali del giudice civile, sul quale già Chiovenda
scriveva: “un grave problema di
legislazione processuale è se le
forme debbano essere determinate dalla legge o se debba essere lasciato all’arbitrio del giudice di
regolarle volta per volta secondo
le esigenze del caso concreto”
(35) e sul quale si è tornati a discutere, con nuovi argomenti, dopo l’introduzione della previsione
costituzionale del “giusto” processo “regolato dalla legge” (36).
Per quanto rileva ai nostri fini va
detto che, essendo in linea di
principio indiscutibile che “il valore della cognizione piena sia
dato dalla circostanza che le mo-
ce e poteri delle parti nel processo ordinario di cognizione. Rilievo ufficioso delle questioni e contraddittorio, in Foro it. 1999,
V, 1, nonché, D’Ascola, Poteri del giudice e poteri delle parti nel
processo civile, in Quaderni C.S.M. n.92; in una particolare prospettiva, in rapporto al nuovo testo dell’art.111 Cost., Proto Pisani, Il nuovo art.111 Cost. e il giusto processo civile, in Foro it.
2000, V, 2241 e seg.
(35) G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli
1923. Sul tema vanno segnalati, oltre a Raselli, Il potere discrezionale del giudice civile, Padova 1927, anche Fabbrini, Potere
del giudice (dir.proc. civ.), voce dell’Enciclopedia del diritto, Milano 1985, XXXIV, 721; Marengo, La discrezionalità del giudice
civile, Torino 1996; Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli 1991.
(36) Si vedano in proposito gli scritti di Chiarloni, Pivetti, Proto-Pisani, Trocker, raccolti nel volume Il nuovo art. 111 Cost. e
il giusto processo civile, cit. Cfr. anche Comoglio, Le garanzie
fondamentali del “giusto” processo, in La nuova giur. civ. comm.
2001, 12 e seg.
59
dalità di realizzazione del principio del contraddittorio non sono rimesse alla determinazione
discrezionale del giudice, bensì
sono nella loro massima parte
predeterminate dalle leggi attraverso la previsione di forme e termini e la corrispondente attribuzione di poteri doveri e facoltà
processuali alle parti e al giudice” (37), è innegabile che il potere discrezionale del giudice non è
affatto estraneo allo svolgimento
del processo a cognizione piena,
essendovi numerosi spazi in cui
esso va esercitato, primo fra tutti
quello della direzione del processo e della fissazione delle udienze, secondo il disposto dell’art.
175 c.p.c. (38).
bbene, a legislazione
processuale vigente
(39), la strada da percorrere è quella di
riempire gli spazi tra le
regole processuali generali ed astratte ed il potere di
direzione del processo da parte
del singolo giudice adottando
quelle, che forse con una certa
enfasi, definirei “strategie proces-
E
suali differenziate”, secondo le
prassi operative, di giudici e avvocati, sulle quali si sono intrattenuti pregevolmente i relatori che
mi hanno preceduto (40).
Peraltro, è questo un tema molto
delicato, sul quale è opportuno
sgomberare il campo dagli equivoci.
Quando di parla di “prassi” applicative, interpretative, gestionali ci
si può riferire, piuttosto impropriamente, alla singola controversia, che, come è stato scritto, “è
diversa dall’altra e merita un rito
su misura che possa condurla
verso una giusta e rapida conclusione” (41): qui, in effetti, si tratta
di adattare al caso concreto le regole processuali, nel rapporto di
collaborazione tra giudici e parti
di cui si diceva. Sono inerenti al
profilo in esame le indicazioni
contenute nello schema di questioni per il dibattito ai punti 1.2
a), e), i), ed, in parte, j), nonché,
quanto alla CTU, il punto l) (42):
rispetto a tali indicazioni pare
piuttosto fuorviante ragionare in
termini di “prassi”, in quanto si
tratta di adempimenti doverosi
(37) Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art.
737 ss. (appunti sulla tutela giurisdizionale dei diritti e sulla gestione degli interessi devoluta al giudice) in Riv. dir. civ. 1990, I,
393, nonché in I procedimenti in camera di consiglio di M.G. Civinini, Torino 1994. L’A. è tornato sull’argomento con lo studio
“Appunti sul valore della cognizione piena”, in Foro it. 2002, V,
65. Per un interessante dibattito sulle procedure camerali si vedano gli atti del convegno “Giustizia civile tra legalità ed efficienza” organizzato dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Reggio Calabria nel novembre 2002, IPSOA 2003.
(38) Esula dal tema trattato la questione, peraltro primaria nel
dibattito sui poteri discrezionali del giudice, del controllo dell’esercizio di tali poteri, per la quale si rimanda, anche per ulteriori richiami dottrinali, agli scritti menzionati alle note precedenti.
Qui basta solo accennare al fatto che di norma il controllo sui
poteri idonei ad influire sul contenuto della decisione si rinviene nel sistema delle impugnazioni, mentre il cattivo esercizio
degli altri poteri discrezionali è (o dovrebbe essere) altrimenti
sanzionato (per es. in ambito disciplinare o in applicazione della c.d. legge Pinto).
(39) Deliberatamente non si toccano, nel presente intervento,
le problematiche poste dai progetti di riforma del codice di rito,
oggetto della seconda sessione dei lavori del convegno, dal titolo “Gli interventi sulla disciplina del processo”.
(40) Il tema cui si accenna nel testo è stato già affrontato da Costantino in Il processo civile tra riforme ordinamentali, organiz-
60
per il giudice civile che intenda
svolgere correttamente il proprio
ruolo.
La questione si pone in termini
parzialmente diversi quando invece si affronta il tema dell’elaborazione di moduli organizzativi di
gestione di categorie omogenee
di controversie, per i quali pare
certamente più appropriato discorrere in termini di prassi applicative e gestionali. Ebbene, rispetto a tali prassi, cui possono
corrispondere protocolli istruttori
concertati tra i magistrati che si
occupano delle stesse controversie, preferibilmente in esito a riunioni organizzate dal presidente
di sezione ai sensi dell’art. 47
quater ord. giud., non vi è solo
un problema di condivisione da
parte del Foro (essendo comunque sempre da preferire un confronto sulla funzionalità e sulle ricadute di scelte routinarie di conduzione delle fasi introduttiva,
istruttoria e decisoria), ma anche
un problema di conoscenza o,
meglio, di conoscibilità da parte
degli utenti (43).
• • •
zazione e prassi degli uffici. Una questione di metodo, in Riv.
trim. dir. proc. civ. 1999, 77 ss., nonché in Giustizia e principio
di legalità, in Questione giustizia 2002, 4, 749 ed, ancora, nell’intervento svolto al Convegno Nazionale “Giustizia civile tra legalità ed efficienza”, cit.
(41) Lamorgese, op. cit., il quale nota che “A questo scopo il
mezzo è obbligato: fare affidamento sui protagonisti del processo, parti e giudice, che, conoscendo la controversia, sono gli
unici nelle condizioni di imprimere ad essa, in modo condiviso, il ritmo migliore per un risultato di giustizia”.
(42) Sinteticamente, si tratta delle indicazioni concernenti lo
studio dei fascicoli prima dell’udienza, con predisposizione di
provvedimenti sulle questioni già oggetto di contraddittorio; dell’effettività (rectius, efficacia o utilità) dell’interrogatorio libero e
del tentativo di conciliazione; della sospensione volontaria del
processo ex art. 296 c.p.c.; dell’utilizzo di particolari “percorsi
motivazionali” dei provvedimenti anticipatori, istruttori e decisori; del momento in cui disporre la CTU.
(43) Ancora una volta la soluzione da preferire non può che essere rinvenuta nell’individuazione di luoghi comuni di confronto
e dialogo (esempi dei quali si possono rinvenire in iniziative indette da Prassi Comune, denominazione dell’osservatorio della
giustizia civile di Bologna, ma anche da altre analoghe realtà territoriali); cui si può aggiungere la comunicazione di determinati
orientamenti condivisi dai giudici di una sezione da parte del suo
presidente, con decreti o circolari destinati al Foro ed agli utenti.
A
me pare che discorso
parzialmente diverso
debba essere fatto
per i c.d. protocolli
di udienza, destinati,
non tanto a riempire
gli spazi lasciati alle scelte discrezionali del giudice, quanto a regolare momenti meramente organizzativi dell’udienza e delle attività connesse, promuovendo,
piuttosto che “prassi virtuose”,
come si è soliti dire, regole comuni di comportamento che consentano “di ridurre al minimo il disagio degli utenti della giustizia e
dei loro difensori”, tentando di
perseguire altresì l’obiettivo, che
integra ormai un precetto costituzionale, della ragionevole durata
del processo (44).
Sebbene, in principalità, anche
quello in discorso rientri tra i
compiti del giudice – tanto è vero
che vi si è intrattenuta la delibera
del CSM sulla valutazione di professionalità del luglio di quest’anno e che forma oggetto di apposita previsione del codice etico dei
magistrati approvato dal CdC dell’ANM il 7 maggio 1994 (45) –
non vi è dubbio che un’analisi del
momento organizzativo e un’adeguata concertazione di regole minime di comportamento con gli
avvocati ed il personale di cancelleria (cui aggiungerei, per la parte
che li riguarda, anche i CTU) consente di realizzare forme di collaborazione e di garantire una diffusione nell’applicazione ben più
efficaci dell’imposizione di regole
non condivise e perciò spesso destinate al fallimento. È bene precisare che, a differenza di quella
che, atecnicamente, potrebbe essere definita collaborazione “endoprocessuale”, le “regole” di cui
si sta discutendo in tanto possono
funzionare in quanto siano seguite non soltanto (e comunque
sempre) dal giudice, ma anche
dagli altri soggetti del processo, la
cui partecipazione all’elaborazione ed all’osservanza è perciò assolutamente indispensabile per il
conseguimento dello scopo di efficienza perseguito (46).
(44) Si legge nella premessa del “Protocollo per le udienze civili” promosso dall’Osservatorio romano sulla giustizia civile
che trattasi di una proposta di “adozione di una serie di regole volte a favorire uno svolgimento più ordinato e proficuo
delle udienze civili, a superare (almeno in parte) il grave disagio esistente, a migliorare la qualità del processo, a tutelare la riservatezza dei soggetti coinvolti ed a ridurre drasticamente di tempi di attesa di testimoni, parti ed avvocati”. Analogamente nel “Protocollo per le udienze civili” promosso dall’Osservatorio per la giustizia di Salerno si legge la seguente
premessa: “Allo scopo di conseguire uno svolgimento ordinato e proficuo delle udienze civili nell’interesse dei Giudici, degli Avvocati e delle Parti, l’Osservatorio sulla Giustizia del Distretto di Salerno ha elaborato alcune regole che, se osservate, eviteranno contrattempi e disfunzioni nonché incomprensioni e contrasti”.
(45) Art. 11 – Condotta nel processo. Nell’esercizio delle sue
funzioni, il magistrato, consapevole del servizio da rendere alla
collettività, osserva gli orari delle udienze e delle altre attività di
ufficio, evitando inutili disagi ai cittadini e ai difensori …
(46) Un banalissimo esempio varrà a rendere più chiaro il concetto espresso nel testo: se è compito precipuo del giudice gestire il ruolo ed organizzare le udienze, esaminare i fascicoli,
chiedere chiarimenti alle parti, condurre con capacità l’interrogatorio libero e/o il tentativo di conciliazione, adottare tempestivamente i provvedimenti anticipatori ed istruttori e motivarli
adeguatamente, scegliere modelli di decisione alternativi e così
via.; non potrebbe mai il giudice, senza la collaborazione delle
parti (e del CTU quando è coinvolto), assicurare il rispetto di un
I c.d. protocolli di udienza adottati già in alcune sedi (Salerno e
Roma (47)) ed in via di elaborazione presso altre (Firenze), sotto
la spinta di organismi a composizione mista, quali sono gli Osservatori sulla giustizia civile (48),
mirano a realizzare delle intese,
allo stato, non formalizzate in alcun modo, ma certamente ispirate ai principi di collaborazione e
di buona amministrazione riguardo a momenti processuali significativi.
rocedendo in questa sede, ad individuare, per
grandi linee, un possibile contenuto dei c.d.
protocolli di udienza,
prescindendo dal merito delle soluzioni adottate (inevitabilmente connesse anche alle
peculiarità delle varie realtà territoriali ed alle diverse dimensioni
degli uffici di primo grado), esso
dovrebbe avere riguardo alle
questioni enucleate ai punti 1.2
c), d), f), g), h), k), m), n) dello
schema di discussione più volte
P
dato orario di udienza, compiere un adempimento programmato in assenza del difensore sostituito da un collega non informato della causa, escutere testi la cui presenza non sia stata curata
da una tempestiva citazione da parte del difensore ( a prescindere dalla previsione dell’art. 103 disp. att. c.p.c.), evitare lunghe
attese a parti e testimoni citati per orari diversi da quelli fissati,
evitare i disguidi dovuti alla mancata osservanza da parte del
CTU o dei CTP dei termini stabiliti per il deposito della relazione d’ufficio e di parte e così via.
(47) L’Osservatorio sulla giustizia civile di Reggio Calabria, all’esito di due assemblee, tenute il 29 settembre 2000 ed il 10 novembre 2000, pur non avendo approvato un vero e proprio protocollo, ha concordato dei criteri organizzativi delle varie fasi
processuali, che vengono generalmente seguiti dai giudici delle
sezioni civili dei Tribunali del distretto; analogamente si è proceduto all’esito di un incontro tenuto nel maggio 2003 per le
problematiche concernenti la CTU; peraltro, alcune indicazioni
circa l’orario delle udienze, lo svolgimento per fasce orarie, le
modalità di redazione dei verbali delle udienze di precisazione
delle conclusioni e la produzione di floppy disk sono state discusse tra il Presidente delle sezioni civili del Tribunale di Reggio Calabria ed il Presidente del Consiglio dell’Ordine e quindi
trasfuse in note e comunicazioni reciproche.
(48) Ma non vanno trascurati luoghi di incontro del tutto analoghi, pure presenti in alcune sedi giudiziarie (quale, ad esempio la Consulta per la Giustizia a Sassari) che, a prescindere
dalle denominazioni, consentano un proficuo scambio di esperienze ed un continuo confronto tra i diversi operatori della
giustizia.
61
citato (49), cui peraltro ben se ne
potrebbero aggiungere delle altre
(50).
Se il contenuto dei c.d. protocolli
di udienza è effettivamente limitato alle questioni di tipo organizzativo sopra accennate (51) appare piuttosto agevole l’individuazione dei destinatari e, correlativamente, delle modalità per
giungere alla loro elaborazione;
restano comunque problematici
l’«ufficializzazione» (o ricezione in
atti o documenti idonei alla diffusione), in termini tali da renderli
effettivamente conoscibili, ed il livello di vincolatività per i destinatari (cui si correla, in ipotesi, anche l’eventuale questione degli
strumenti idonei ad assicurarne
l’osservanza).
Si segnala a questo riguardo la
delibera adottata dal CSM in data
20 novembre 2002 con cui si è
data risposta al seguente quesito:
“Quesito sulla competenza a decidere in ordine alle modalità di
gestione dell’udienza penale di-
battimentale – Poteri del Presidente di Sezione – Valore dei c.d.
“protocolli” eventualmente stipulati con l’avvocatura, ovvero dei
relativi decreti del Presidente del
Tribunale o del Presidente della
Corte d’Appello” (52).
a prima parte della deliberazione è estranea
all’oggetto del presente intervento poiché
concerne le norme relative alla competenza
a decidere in ordine alle modalità
di gestione dell’udienza penale
dibattimentale collegiale e monocratica; pertinente anche alla giurisdizione civile, ma comunque
estranea all’argomento in discorso, anche la seconda parte della
deliberazione concernente la definizione dei poteri dei presidenti
di sezione (53); quanto al valore
dei c.d. protocolli stipulati con
l’Avvocatura, il C.S.M., richiamate
le proprie precedenti risoluzioni
(54), con le quali erano stati invitati i capi degli uffici ad adottare
L
(49) Sinteticamente, si tratta dell’organizzazione delle udienze
per fasce orarie; del rinvio dell’udienza per impedimento del
giudice; dell’utilizzo di modelli per la redazione dei verbali di
udienza; di forme alternative di comunicazione (a mezzo fax o
posta celere o posta elettronica); di applicazione d’ufficio della
disciplina degli artt. 208 c.p.c. e 104 disp.att. c.p.c., dell’uso dei
poteri ex art. 255 c.p.c., della disciplina della prova delegata,
della programmazione oraria della prova testimoniale; di accorgimenti da adottare con riguardo alla CTU (per i quali si rinvia
ai punti k, m. n, essendo invece il punto l, concernente il momento in cui disporre la consulenza tecnica, incompatibile, a
mio parere, con indicazioni generalizzate, quali quelle di un
protocollo).
(50) A mero titolo esemplificativo, si possono menzionare l’impegno dei difensori a “concentrare” in un unico atto difensivo
(memorie ex art. 184 c.p.c.) tutte le richieste istruttorie, il deposito di floppy disk contenenti gli atti introduttivi e/o le conclusioni e/o le comparse conclusionali, la previsione generalizzata
della concessione di termini per il deposito di brevi note illustrative prima dell’udienza di discussione ex art. 281 sexies
c.p.c. etc.
(51) Più delicate sono le previsioni concernenti la possibilità di
concedere rinvii e la relativa durata, nonché la previsione di limiti massimi di intervallo tra udienze, in quanto non si tratta di
misure prettamente organizzative, ma involgenti la conduzione
della singola controversia. In via generale, e fatte salve le deroghe giustificate dalla particolarità dei casi concreti, si potrebbe
prevedere che risulti chiaramente dal verbale di udienza la ragione della richiesta di rinvio e che sia specificato anche il termine che le parti concordemente chiedono, privilegiando la di-
62
le opportune iniziative d’intesa
con i Consigli forensi dirette ad
eliminare comunque ogni ritardo
ingiustificato nel rispetto delle
esigenze e dell’autonomia degli
uffici giudiziari competenti e dei
diritti di difesa, e ribadite le prescrizioni della circolare sulle tabelle circa l’audizione del Presidente dell’Ordine degli Avvocati
in merito ai criteri di fissazione
dei ruoli d’udienza (che peraltro
riguarda soltanto il settore penale) (55), ha definito il protocollo
richiamato nel quesito come
“una intesa convenzionale tra
istituzioni diverse, nell’ottica
di confronto su problematiche comuni alla magistratura
e all’avvocatura” e, dopo aver
precisato che le indicazioni concernenti le modalità temporali per
lo svolgimento dell’udienza devono “cedere rispetto alle norme
processuali, che riservano al giudice che tiene l’udienza il potere
di valutare le esigenze connesse
alla trattazione dei singoli pro-
chiarata (e comprovata) volontà di trovare un accordo stragiudiziale, fermo comunque restando il potere attribuito al giudice
dall’art. 175 c.p.c.
(52) Per come si legge nella stessa delibera, la vicenda traeva
origine dall’avvenuta stipulazione, nell’anno 1997, in Salerno, da
parte di alcuni magistrati, tra cui l’istante, con rappresentanti del
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, di un protocollo per la celebrazione delle udienze penali. Tale protocollo era stato successivamente disatteso tramite l’emissione da parte dell’istante di
un decreto emesso ai sensi dell’art. 47 quater O.G.; in epoca ancora successiva il Presidente del Tribunale aveva inoltrato ai Presidente di sezione uno schema relativo alla regole per la celebrazione delle udienze penali contenente, tra l’altro, un paragrafo in cui si avvertiva che l’ingiustificato mancato rispetto delle regole ad opera di una delle parti processuali poteva costituire oggetto di riferimento disciplinare da parte dell’organo a tanto rispettivamente deputato.
(53) Definiti “dirigenti intermedi che all’esercizio quotidiano
delle funzioni giudiziarie aggiungono le attribuzioni di natura
organizzativa nel settore di competenza, da esercitare secondo
le direttive del capo dell’ufficio”.
(54) Delibere del 15 settembre 1999 e del 6 luglio 2000, relative alle risoluzioni in tema di ragionevole durata del processo, in
Quaderni CSM n. 113, 17.
(55) In attesa della nuova circolare tabellare, va richiamata la
”Circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli
uffici giudiziari per il biennio 2002/2003”, nella quale la prescrizione richiamata nel testo si rinviene al paragrafo 34.3.
cessi”, ha aggiunto significativamente che si deve ritenere che
“l’inosservanza delle indicazioni
contenute nel protocollo e non
tradotte in criteri tabellari sia affidata ai doveri di collaborazione e di buona amministrazione in capo alle autorità a diverso titolo chiamate a rendere il
miglior servizio giustizia possibile”; il plenum del CSM ha quindi
riservato alla competenza esclusiva degli organi disciplinari la valutazione della eventuale rilevanza della violazione delle indicazioni del protocollo e delle “ricadute in termini di disservizio”.
La traccia segnata da questo precedente è significativa e consente
di offrire al dibattito i seguenti
spunti di riflessione.
ndubbiamente da preferire,
come detto, l’elaborazione
concertata nel contesto di
organismi misti, ma, laddove questi non esistono, non
può escludersi che l’iniziativa provenga da singoli giudici o
da singole sezioni dei vari uffici
ovvero da membri di associazioni
forensi od, ancora, dalle giunte o
da componenti delle sezioni locali dell’Associazione Nazionale
Magistrati e l’elaborato venga offerto al dibattito ed al confronto,
sia in pubbliche assemblee, appositamente convocate, che sollecitando interlocuzioni e proposte,
anche da parte di organismi istituzionali, quali i consigli dell’ordine
o i dirigenti degli uffici.
Dopo di che, il testo, risultato dal
confronto e reso conoscibile, può
I
restare “confinato” nella forma
della mera “raccomandazione” a
giudici, avvocati, cancellieri e
CTU a tenere determinati comportamenti, ovvero tradursi in atti
di maggiore pregnanza, quali, ad
esempio, per quanto riguarda più
specificamente i magistrati, un
decreto adottato dal presidente di
sezione nell’esercizio delle attribuzioni ex art. 47 quater c.p.c.,
previo confronto con i giudici
della sezione o dal presidente del
tribunale (56) ovvero previsioni
tabellari, concernenti specifiche
misure organizzative (eventualmente con la previsione, nell’uno
e nell’altro caso, di possibili e motivate deroghe).
Pur restando fermo ed insuperabile il precetto dell’art. 175 c.p.c.,
che attribuisce al giudice istruttore della singola controversia “tutti i poteri intesi al più sollecito e
leale svolgimento del processo”,
non si può trascurare che la sistematica ed immotivata inosservanza di regole concordate e generalmente condivise in una determinata sede giudiziaria può determinare seri disservizi, con conseguenze rilevanti sul giudizio di
professionalità del magistrato; e
ciò a prescindere dal giudizio di
responsabilità disciplinare, per la
quale evidentemente non appare
sufficiente la mera inosservanza
del c.d. protocollo.
Analogamente è a dirsi per i difensori, rispetto ai quali le sanzioni processuali non possono che
conseguire alla violazione di precise norme del codice, pur non
potendosi escludere che, soprattutto in caso di adesione del locale Consiglio dell’Ordine, l’inosservanza di regole di condotta fissate in un c.d. protocollo d’udienza,
purchè conoscibili e generalmente applicate, venga in qualche
modo stigmatizzata o sanzionata.
e è vero, peraltro, che,
per quanto riguarda la
magistratura, fintantoché
i protocolli d’intesa non
si traducono in direttive
interne non assumono
vero e proprio carattere vincolante, ma sono espressione di accordi che si muovono lungo linee di
correttezza e reciproco affidamento tra le parti che le hanno
raggiunte, è pur innegabile che
proprio questo è il portato veramente innovativo dello strumento; portato, che ha alla base la
convinzione, che dovrebbe essere comune a tutti gli operatori del
diritto, che un processo “virtuoso” è possibile, sì che non di obblighi veri e propri e correlate
sanzioni debba trattarsi, ma di
contributi spontanei per il raggiungimento dell’obiettivo di un
processo in grado di fornire in
tempi ragionevoli un’effettiva tutela giurisdizionale.
S
LUCIANA BARRECA
Giudice Tribunale
di Reggio Calabria
(56) Come accaduto presso il Tribunale
di Salerno con il decreto di adozione del
protocollo di udienza del marzo di quest’anno, riguardante il protocollo delle
udienze penali.
63
L
M
LE PRASSI VIRTUOSE
AL BIVIO TRA METODO
E INUTILITÀ
L’a. si chiede se sia proponibile un “discorso del metodo” anche
per le prassi virtuose nel processo civile, le quali non consistono in
un catalogo fisso ma vanno adattate alla specificità del contenzioso trattato, e devono puntare non solo ai tempi ma anche alla
qualità degli atti: e conclude che supportabilità, conoscibilità, nascita delle prassi dal confronto tra gli operatori e verifica sperimentale sul campo ne debbano essere i tratti distintivi anche utilizzando le riunioni dell’art. 47 quater O.G. o nell’ambito di osservatori sul civile. Si chiede infine che utilità possano avere le
prassi virtuose in un processo, come quello prefigurato da d.d.l.
governativo del 24 ottobre 2003, che veda emarginato il giudice
dalla trattazione e dalla raccolta delle prove.
1.
Guardando il titolo di
questo convegno mi sono
chiesto se si può tentare
un “discorso del metodo”
sulle prassi processuali
virtuose: ovviamente, senza nessuna pretesa di sistematicità
cartesiana.
Ho letto con attenzione e qualche
stupore l’elenco degli esempi virtuosi proposto dal gruppo di lavoro sul processo civile dell’ANM
nell’introduzione di questa assemblea aperta. Molto generosamente non è stata stilata la lista
delle prassi negative, quelle che
tutti abbiamo presente e che per
moto di reazione hanno portato
settori non trascurabili dell’avvocatura a invocare controriforme
come la Vaccarella. Però gli stessi
avvocati che dai loro tribunali lamentano ogni giorno le sciatterie
di non pochi magistrati, come la
sistematica ignoranza del contenuto del fascicolo o la raccolta
delle prove ad opera dei difensori – non tutte e non sempre imputabili alla cronica penuria dei
mezzi ma anche alle colpevoli disattenzioni dei giudici, dei semi-
64
direttivi e dei dirigenti degli uffici
– non si accorgeranno minimamente del passaggio dal rito civile paradisciplinare al processo
privatizzato secondo Vaccarella:
non mi pare che il primo modello
abbia dato grandi soddisfazioni
professionali al Foro, e ai cittadini
da loro rappresentati, per cui mi
sorprende la richiesta di elevarlo
a regola processuale.
Veniamo ai modelli virtuosi di cui all’elenco
che oggi discutiamo.
Qui la prima considerazione da fare è che non
esistono prassi valide
in assoluto per tutti gli uffici e per
tutti i generi del contenzioso civile. Quello che per certi filoni di
cause può rappresentare un’accelerazione dei tempi, in altri casi
può determinare un rallentamento senza nessuna utilità istruttoria
o conciliativa. Penso, in primo
luogo, all’interrogatorio libero e
ricordo sempre con gratitudine la
sentenza n. 6808 del 2000 della II
Sezione della Cassazione che ci
consente di concertare con le parti se, quando, come farlo. Per an-
2.
ni mi sono opposto alla mitologia
dell’interrogatorio libero come
centro di gravità permanente del
processo, laddove è necessario
distinguere settori in cui tale
adempimento è effettivamente
essenziale ed imprescindibile in
esordio di causa (tanta parte del
contenzioso contrattuale, la famiglia), da altri in cui non ha nessuna utilità, o almeno non è utile
prima di una certa fase o un certo
adempimento. Nel caso della
r.c.a., per esempio, dove c’è un
convenuto estraneo al fatto immediato ma solvibile, tutti sappiamo che il tentativo di conciliazione ha un senso ed una possibilità
di riuscita solo dopo l’esperimento delle prove.
Quindi, in primo luogo, valore relativo delle prassi, da calare nella
concretezza del tipo di contenzioso affidato al singolo istruttore, tenendo presente che le prassi virtuose non sono solo quelle che
possono contenere i tempi istruttori o decisionali, ma anche quelle che aumentano i momenti di
dialetticità ed approfondimento
sui nodi realmente controversi
del processo, oppure che incidono positivamente sulla qualità
dell’ istruttoria e delle prove raccolte: per capirci, non sono l’esame dei testimoni condotto con la
conferma “a pappagallo” dei capitoli di prova. Sono invece prassi che si muovono all’interno di
una logica di qualità e non solo di
tempi: spesso è seguendo percorsi di qualità che fioriscono le
conciliazioni extraprocessuali.
Le prassi virtuose devono essere
poi supportabili o forse sopportabili, perché indubbiamente costano tempo e fatica. Voglio dire che
l’organizzazione dell’attività lavorativa secondo obiettivi di qualità,
individuazione delle priorità dei
casi ed efficacia presuppone la
conoscibilità del proprio ruolo da
parte del magistrato e la conseguente ripartizione omogenea del
carico di lavoro per ogni udienza,
come pure l’equilibrio tra ruolo
istruttorio e ruolo decisorio.
Per questa ragione, la precondizione assoluta, la questione pregiudiziale per cominciare a dibattere sulle prassi acceleratorie e/o
virtuose riguarda la consistenza
dei ruoli che amministriamo: di
fronte a 900, 1.000, 1.200 fascicoli, non è possibile alcun governo
del ruolo, ma l’unica prassi percorribile sensatamente è alzare
bandiera bianca.
Da qualche tempo – per l’esattezza, dal convegno dell’isola d’Elba
promosso da Carlo VERARDI e
Giuliana CIVININI nel giugno
1998 – si è diffusa l’idea che 500600 fascicoli sia il carico medio
accettabile per ciascun istruttore.
Concordo, e credo che non si
tratti di numeri dati a caso ma abbiano un fondamento quasi
scientifico: questa taglia infatti è il
numero di fascicoli che, con un
qualunque sistema di database,
un normale giudice può aggiornare scaglionato udienza per
udienza, in modo da avere così
sempre in tempo reale il polso
della situazione del suo contenzioso, magari raccolto ed esportabile in un terzo di capacità di un
floppy disk. Superando tali numeri, l’investimento di tempo che fa
il magistrato – naturalmente, privo di ogni collaborazione perché
sarebbe perniciosa per la sua salute – per aggiornare progressivamente e sistematicamente tutto il
suo ruolo diventa assolutamente
antieconomico.
Non è ovviamente sul piano delle
prassi che si risolve il nodo della
crescita del contenzioso, più o
meno “autoreferenziale”. È abbastanza chiaro che volendo agire
sul rubinetto, cioè sul flusso del
contenzioso in entrata, si richiedono interventi coordinati e contestuali su diversi livelli di discorso: ampliamento delle sedi di tutela, non necessariamente contenziose; strategia di impiego della magistratura onoraria; selezio-
ne sugli accessi alla professione
legale; razionalizzazione ed organizzazione delle strutture e delle
risorse umane e materiali. Poi,
certamente, si tratta di intervenire
anche rispetto al contenitore, cioè
il processo: ma di questo parliamo in un’altra sessione del convegno, per cui ritorniamo al nostro
tema ed in particolare alla praticabilità delle prassi.
Inventare e gestire prassi virtuose
significa disporre di supporti
combinati di risorse umane e
mezzi – il mitico ufficio del giudice – che si riscontrano ben organizzati solo in pochissime sedi
giudiziarie: per il resto, i “potenti
mezzi” per determinare conoscibilità ed equilibrio del carico di
lavoro sono affidati alla “scienza
privata” dei giudici civili, molti
dei quali, in attesa di qualcosa di
equivalente al “sistema informativo aziendale”, si sono autodotati
di programmi di gestione del contenzioso, o li hanno sviluppati in
proprio sui PC in dotazione, ed in
totale solitudine li aggiornano
senza nessuna utile sinergia con
le cancelleria. Per farla breve, in
questa dimensione “fai da te”,
propria di una Giustizia civile non
convenzionata con Alpitour ma
con altre società di consulenza, i
giudici sono diventati le più costose dattilografe di tutto il pubblico impiego.
Le prassi devono poi essere conoscibili non meno dell’editto pretorio o della giurisprudenza di sezione. Non del tutto a torto il
prof. Zan, e con lui tutti gli avvocati, lamentano che ogni 3.000
giudici ci siano 3.000 prassi diverse. Forse, in realtà, il quadro reale è un po’ meno fosco perché
non mancano casi interessanti di
coordinamento delle prassi giudiziarie nelle sezioni anche attraverso, per esempio, protocolli
istruttori concertati tra i magistrati
istruttori, oppure attraverso una
modulistica uniforme. Non sottovalutiamo i prestampati: possono
65
avere una loro precisa etica e
spesso hanno alle spalle un vero
e proprio lavoro giurisprudenziale collettivo.
Quello che certamente manca ancora, e qui le critiche colgono nel
segno, è un massimario delle
prassi conoscibile da parte dei
magistrati e del Foro, possibilmente collettivo, frutto del lavoro
delle riunioni dell’art. 47 quater
ordinam. giudiziario.
Dalle tabelle degli uffici giudiziari, negli ultimi tempi e nelle ultime due circolari del CSM, si pretende molto in termini di progetto di attività (quello che nei contesti aziendali si chiama, con terminologia religiosa, “missione”)
da parte della sezione di un tribunale, sezione che viene giustamente identificata come l’unità
operativa standard, su cui si deve
ragionare per l’analisi dei flussi.
Non è fantascientifico pensare
che, come il CSM chiede di conoscere i criteri di priorità nella
gestione dei flussi, così si preveda un’apposita appendice alle tabelle in cui si elencano le misure
organizzative anche individuali
con cui si pensa di cogliere tali
obiettivi, magari in chiave sperimentale.
Un esempio concreto: rispetto alle priorità nel settore del danno
alla persona, quello che tratto
quotidianamente e che meglio
conosco, le tecniche utili per far
procedere più speditamente i
processi relativi ai casi prioritari
di grandi invalidità o decessi possono essere le udienze dedicate,
gli spazi liberi in agenda, l’udienza di smistamento nella fase decisoria. Di quest’ultima tecnica ho
parlato specificamente in un distinto contributo che consegno
agli organizzatori: potrei definirla
un’invenzione di perfezionamento che consiste in una trasposizione, nella fase decisoria civile,
dell’udienza filtro del penale. Naturalmente presuppone una visione d’insieme del ruolo delle
66
cause in decisione, e questo si
può realizzare speditamente solo
con una certa confidenza con
programmi informatici tipo Access o Excell.
Ho fatto una gran fatica per quattro anni a spiegare, tutte le volte,
lo scopo e l’articolazione dell’udienza di smistamento delle p.c.,
e solo adesso quando la propongo mi si risponde con un sorriso
d’intesa: “Ah, l’udienza filtro!”.
Forse sarebbe stato meglio mandare subito una comunicazione
esplicativa al Consiglio dell’Ordine, oppure organizzarci sopra
qualche bel seminario di studi.
È importante comunque che tutte
le tecniche acceleratorie siano conoscibili dai magistrati e dagli
utenti, anche in quei brevi istanti
di trattazione orale “contratta” che
ancora esistono, anche per poi
procedere ad una valutazione
comparativa della loro efficacia
ed esportabilità, valutazioni da
farsi sempre all’interno delle sezioni e sempre nel contesto dell’insostituibile art. 47 quater.
Terzo passaggio: le prassi devono
essere oggetto di confronto e,
quando possibile, di concertazione. Il rischio di atteggiamenti arroganti, che sta sempre dietro la
nostra professione, ci porta talora
a concepire come assolutamente
perfette le personali soluzioni che
escogitiamo come rimedio ai nostri problemi di compatibilità tra
flussi di lavoro, paletti normativi e
capacità di smaltimento individuale.
Qui il richiamo al metodo sperimentale, e qualche professione di
umiltà, ci dovrebbero indurre ad
ascoltare maggiormente i destinatari sulle ricadute delle nostre
prassi organizzative, non foss’altro perché prassi condivise e funzionali sono certamente più efficaci di quelle imposte dall’alto,
per quanto geniali. Potrei fare alcuni esempi di prassi apparentemente ingegnose introdotte da
questo o quel collega che però,
per la loro derivazione solipsistica, non concertata neppure con i
colleghi della sezione, sono cadute presto in desuetudine. Prendiamo, a caso, lo scaglionamento in
fasce orarie dell’udienza di trattazione “generalista” (vulgo: mercato del pesce). Se queste fasce orarie non vengono concordate tra
tutti gli istruttori, e si prevedono
nel tribunale fasce orarie molto
diverse, è abbastanza prevedibile
che presto si torni ai vecchi andazzi.
Vorrei infrangere anche la visione
mitologica della sentenza contestuale dell’art. 281 sexies c.p.c.,
sempre più percepita come panacea di tutti i mali anche nelle
riforme in gestazione. Mi guardo
bene dal contestarne la validità in
generale e intendo continuare ad
utilizzarla ancora, ma cum grano
salis perché se si fanno troppe
sentenze contestuali, si rallenta di
molto la trattazione e le prove per
gli altri fascicoli. Mi sembra importante portare progressivamente tale istituto, certamente eccentrico rispetto al tradizionale processo scritto civile, alla portata
dell’intero foro che ha la sfortuna
di frequentarmi senza determinare meccanismi di rifiuto.
Certo, qui bisogna fare qualche
esercizio di ascolto in più. Quando ho cercato di accelerare su tale strumento, che per me non era
una novità vista la provenienza
dal penale, ho trovato rigidità che
non immaginavo anche da parte
dei professionisti più preparati.
Come mai? Mi è stato spiegato
che la sentenza contestuale incide
sui tempi di programmazione del
lavoro dell’avvocato esattamente
come potrebbe incidere sul ruolo
decisorio di un giudice, ad esempio, una decisione urgente su una
questione preliminare a fronte di
cause in decisione già tutte fissate
per i prossimi 3 anni.
Mi è stato anche obiettato che
non tutti gli avvocati civilisti, abituati da decenni ad una gestione
cartacea del processo, possiedono uguali capacità dialettiche e
dialogiche orali. Devo replicare
agli avvocati che sono problemi
loro se non hanno fatto i penalisti, che non me ne potrebbe importare di meno perché io devo
tenere una certa rata di smaltimento, oppure devo chiedermi
se per caso questa forma di conclusione del processo non possa
determinare anche, in certe situazioni, una “disparità delle armi”, che si sa sempre a chi nuoce? Ho preferito allora puntare su
una specie di trattazione mista,
simile a quella dell’art. 281 quinquies c.p.c. (brevi note conclusionali + nota spese depositate
10 giorni prima dell’udienza),
che coglie l’obiettivo di avere
prospettazioni conclusive già abbastanza sviluppate, per poi determinare repliche orali realmente mirate sui nodi decisori e, a
questo punto, abbastanza interessanti: il tutto, condito dalla
decisione immediata.
Non so se ho fatto bene oppure
ho fatto male ad andare dietro
agli avvocati in questo modo, ma
credo che sia sempre un utile investimento ascoltare le ragioni, le
obiezioni ed i suggerimenti da
parte di un ceto forense che nel
nostro settore, in generale, e nel
mio tribunale in particolare, non
vive il processo come una quotidiana battaglia da fare contro il
giudice per non andare avanti.
Naturalmente, se il confronto sulle prassi processuali avviene all’interno di organismi misti come
possono essere gli Osservatori
sulla giustizia civile, variamente
fioriti nella Penisola anche come
luogo di formazione comune e di
analisi del momento organizzativo, e addirittura qui si concertano
prassi innovative e virtuose come
nei protocolli di udienza, tanto di
guadagnato: si avrà il vantaggio
di una buona diffusione del modello di prassi comune; ci sarà
una possibilità di verifica sui ritorni; si riuscirà a contrapporre, alla
stucchevole rassegnazione della
maggioranza dei giudici civili, l’idea positiva che un altro processo civile è possibile.
Un ultimo punto, con cui chiudo.
La riflessione sulle prassi virtuose
e l’analisi dei modelli processuali
vanno a braccetto: in tanto si può
pensare di sperimentare modelli
virtuosi sul campo, in quanto ci
siano regole di procedura che
presuppongono un giudice “partecipante” in tutte le fasi del processo. L’oracolo decidente di cui
parlava Mortara, o l’automa a gettone secondo Chiovenda, cioè il
giudice estromesso dalla trattazione e dall’assunzione delle prove,
come quello che amministrava il
vecchio processo del 1865 e che
tali Maestri combattevano con
energia, è un giudice che di prassi virtuose non deve preoccuparsi
minimamente: ci penserà un rito
antideologico a garantire per lui
una durata minima di 265 giorni
della fase di trattazione in senso
stretto, senza mettere ad essa alcun limite massimo; senza programmare i tempi del processo,
senza immaginare filtri e percorsi
dedicati per le priorità o le cause
più impegnative.
Se insomma le prassi deviate vengono elevate a norma processuale, se la patologia processuale di
oggi diventa paradigma della
riforma futura, non c’è ragionevole durata del processo che tenga e
non c’è prassi virtuosa che possa
essere utilmente escogitata. Potrà
esistere solo un giudice non creativo ridotto a macchina del diritto
sotto forma di parchimetro: a pagare il conto però – ben più salato di prima – saranno i cittadini
che chiedono giustizia.
ROBERTO BRACCIALINI
Giudice Tribunale di Genova
67
L
M
L’ANM E LA FORMAZIONE
PROFESSIONALE:
UN NUOVO IMPEGNO
D
a quando dei problemi organizzativi
del servizio Giustizia hanno incominciato ad occuparsi
esperti (veri: penso,
uno per tutti, al già molto noto libro del prof. Zan) di organizzazione, abbiamo più chiaro che
tutta la nostra buona volontà,
unita alle più felici tra le prassi
ideate dai migliori tra i colleghi,
darebbe un prodotto che non si
avvicinerebbe neppure a qualcosa che possa essere seriamente
chiamato “organizzazione” della
Giurisdizione.
La mia opinione personale è che
questo richieda a tutti un ripensamento radicale del proprio ruolo,
e che anche l’ANM si debba porre come co-protagonista di un approccio che restituisca ai cittadini
italiani il diritto ad avere qualcuno responsabile (nel senso che ne
risponda) “dell’organizzazione e
del funzionamento dei servizi relativi alla Giustizia”. La delicatezza (anche di tipo costituzionale)
del tema non può bastare ad arretrare davanti a questa necessità,
in un momento in cui c’è chi spera di poter profittare dell’insufficiente funzionalità della giurisdizione per collocarla, a poco a poco, nella soffitta delle istituzioni
superate.
Ebbene, mi sento di affermare
che con il Convegno di giugno
2003 sui procedimenti di separazione e divorzio l’ANM abbia già
percorso una tappa significativa
di un possibile ripensamento del
ruolo proprio della nostra associazione. Nel documento di presentazione di quel Convegno di
68
studio (che per comodità allego)
mettevamo in evidenza la grande
varietà di trattamento che le coppie in crisi trovano nei vari tribunali quando chiedono l’intervento
del giudice, ma sottolineavamo
anche che la rilevazione delle varie realtà aveva dovuto essere
condotta per iniziativa dell’ANM
perché non vi erano stati soggetti
istituzionali che se ne fossero dati carico. Non si trattava di una
polemica, e meno ancora di una
fuga dalle responsabilità: con
quel convegno, al contrario,
l’ANM le responsabilità proprie
dei magistrati, e delle loro prassi
più o meno conformi alle previsioni legislative le ha messe in
primo piano, senza flagellazioni
ma senza ipocrisie. Proprio nel
confrontare le norme con le realtà
dei singoli uffici, l’ANM ha svolto
una nuova funzione, che difficilmente soggetti istituzionali potrebbero svolgere con eguale vastità di partecipazione. Come sapete, il questionario predisposto
dalla stessa ANM (con preziosi
contributi esterni, specie degli avvocati attivi in alcuni Osservatori)
ha raggiunto la maggior parte dei
tribunali, ed è tornato compilato
da 50 uffici, con un effetto-verità
che risulta – all’esame delle risposte raccolte nei questionari – per
più aspetti inquietante. Ugualmente però, e proprio per contrasto, spicca dai questionari una serie di prassi e di situazioni organizzative positive, che si pongono
come naturali punti di riferimento
per un lavoro di arricchimento
della professionalità di tutti.
E qui viene la seconda novità che
questa esperienza ha prodotto,
cioè l’iniziativa (inedita anch’essa,
per modalità e impegno) delle
nove giornate di lavoro che la IX
Commissione del C.S.M. ha fondato, nell’ambito di un’iniziativa
di formazione, proprio sui materiali raccolti dalla commissione
ANM sul diritto di famiglia. Di
questa iniziativa è troppo presto
per fare un bilancio, perché essa
troverà la sua conclusione solo tra
qualche giorno; ma credo sia la
prima volta che il CSM affronta
esplicitamente l’ambizione di precisare, in un settore di attività giudiziaria, alcune “linee guida” ricalcate sulle realtà professionali
più avanzate, così cercando di
porre un primo rimedio all’assenza, nella giurisdizione, di una
strategia di coordinamento ed integrazione professionale, che è
invece presente in qualsiasi altra
istituzione basata sulla professionalità (ZAN, Fascicoli e tribunali,
pagg. 58-60 e 84-88, ci confronta
con scuole, ospedali, università).
Ed anche questo mi sembra un
esempio di riflessione concreta
(da parte questa volta del CSM)
sul proprio ruolo.
enza modificare alcuna
normativa, dunque, si
sono prodotte nel campo del diritto di famiglia
delle novità nel modo di
operare sia dell’ANM sia
del CSM. Manca, purtroppo e come sempre, una risposta parallela
dell’apparato ministeriale, perché
la commissione di lavoro congiunta CSM-Ministero sul monitoraggio dei flussi giudiziari non
sembra sinora aver dato origine
ad un lavoro di revisione degli organici degli uffici impostata sulla
verifica della sufficienza degli organici (specie negli uffici più
grandi) rispetto agli obiettivi propri dell’art. 111 e delle esigenze di
specializzazione dei singoli settori; ma questo potrebbe essere il
dato più influenzato dalla politica
contingente, come vi è più di una
ragione per credere. Piuttosto che
S
compiacermi di una troppo facile
polemica, preferisco guardare
avanti, ed immaginare che analoghe iniziative di ricerca sul campo, messe in opera da associazioni professionali con la collaborazione di magistrati ed avvocati,
possano mettere in futuro in evidenza (attraverso un confronto
non improvvisato) le modalità più
avanzate di gestire singoli tipi di
procedimenti che le concrete
esperienze professionali rendono
già disponibili (questa sarebbe
una prima revisione dei modi di
fare associazione); che simili indicazioni possano trovare attenzione e risposta da parte del CSM
(per mettere a punto linee guida,
modelli o protocolli che dir si voglia; e questa sarebbe una seconda evoluzione del modo di operare della formazione professionale); e che, infine, il Ministro di
Giustizia recuperi finalmente una
parte attiva in un onesto ruolo
strumentale, tuttavia necessario
per organizzare anzitutto una verifica ragionata degli organici dei
singoli uffici, ed in secondo luogo
la diffusione non casuale delle
informazioni, degli stampati e del
software che abbiano accompagnato le esperienze pilota riconosciute (dal Consiglio Superiore
della Magistratura) come più
avanzate.
Capisco bene che questi suggerimenti non sciolgono nessuna delle anomalie (frammentazione delle regole e delle competenze) che
il quadro istituzionale dell’amministrazione giudiziaria offre oggi
agli occhi dello studioso di organizzazione; ma credo che, prima
di pensare a riformare delicati
equilibri istituzionali, si possa
provare a sperimentare qualche
intelligente innovazione dei modi
di operare di tutti i soggetti che
animano il mondo della giurisdizione.
Potrei interrompermi qui, ma sono sicuro che aggiungere un
esempio non può che migliorare
la comprensione del discorso. Vi
propongo dunque come per
esempio (di un nuovo modo di riflettere sulle realtà giudiziarie) il
tema della conciliazione della lite
in una fase pre-contenziosa, attorno al quale si confrontano tante
ricette, che potremmo collocare
tutte sotto l’etichetta del “governo
dei flussi in entrata”.
nziché attingere ad
esperienze straniere,
che spesso sottendono strutture sociali
differenti, proviamo
dunque ad applicare
a questo tema le fantasie che ho
appena esposto sul ruolo che può
avere, nel nostro mondo, l’individuazione delle “best practices”.
Nel settore del diritto di famiglia,
le udienze presidenziali di separazione costituiscono un punto di
osservazione privilegiato di una
forma di conciliazione specifica,
consistente nella trasformazione
del procedimento di separazione
in consensuale. Le riflessioni che
potrebbero essere proposte sono
di vario tipo: la prima è che proprio la ricerca compiuta dal nostro gruppo di lavoro ha reso evidente come lo stesso strumento
processuale (udienza presidenziale) possa dare risultati diversissimi (in termini di percentuale di
trasformazione delle separazioni
giudiziali in consensuali già nella
fase presidenziale) secondo il tipo di contesto (risorse in termini
di numero di magistrati, di quantità di udienze e di durata delle
stesse) ma anche secondo il tipo
di impostazione che questa particolare attività assume: e questo
consiglia di affiancare sempre, allo studio di uno strumento processuale, una precisazione attorno alla quantità di risorse che vi
viene destinata, ed agli investimenti che vengono compiuti in
termini di formazione professionale.
La seconda riflessione è che, nei
tribunali nei quali lo strumento
A
69
fornisce le prove migliori, viene
definita senza alcuna prosecuzione processuale una percentuale
rilevantissima (tra il 60 e l’80% del
flusso di nuovi procedimenti in
entrata) di procedimenti: poiché
le variabili che il procedimento
consente riguardano essenzialmente il rapporto tra il magistrato
che conduce l’udienza presidenziale e quello che viene poi incaricato della trattazione dell’istruttoria, sarebbe inoltre interessante
verificare se il maggior numero di
conciliazioni (uso qui la parola
non in senso stretto, ma nel senso
ampio di definizione del procedimento in una sede non ancora
pienamente contenziosa) intervenga nelle sedi in cui l’udienza
presidenziale viene tenuta dal
presidente (o comunque da magistrati destinati in base all’anzianità), con assegnazione della fase
istruttoria ad altro magistrato, ovvero in quelle sedi in cui le udienze presidenziali vengono distribuite tra tutti i magistrati della sezione, con prosecuzione dell’istruttoria davanti al medesimo
magistrato.
a queste verifiche
potrebbero
venire
spunti utili, mi sembra, per riflettere, più
in generale, anzitutto
sulla rilevanza dell’autorevolezza professionale delle figure alle quali affidare funzioni conciliative (proporre alle parti
una conciliazione richiede infatti,
per mia esperienza, un’autorevolezza personale superiore – nel
rapporto con gli avvocati – a
quella sufficiente per la pronuncia di una sentenza) ed in secondo luogo sull’affiancamento tra
funzione conciliativa e poteri di
prima decisione che trovino fondamento non nella completezza
dell’indagine (le udienze presidenziali hanno una struttura cognitiva più che sommaria) ma
nella comune esigenza delle parti, che hanno necessità immediata
D
70
o di un assetto conciliativo o di
una pronuncia comunque esecutiva.
Mi rendo ben conto che la esigenza di un assetto provvisorio
presenta, nei procedimenti di separazione personale, un’urgenza
particolare, di solito non presente in altri tipi di cause; ma la mia
personale opinione è che in molte altre controversie tutte le parti
sarebbero interessate a chiedere,
se la legge desse loro questa
possibilità, una pronuncia provvisoria immediata, che dia loro
comunque una prima decisione
di un soggetto imparziale in esito ad una prima trattazione più
che sommaria da parte del presidente della sezione, se avessero
la garanzia che tale decisione
fosse immediatamente modificabile dall’istruttore lungo tutto
l’arco successivo del procedimento; questo consentirebbe loro, se non altro, di usufruire della decisione immediata come immediato punto di riferimento per
la prosecuzione di trattative di
componimento, oltre che, naturalmente, come immediato intervento giurisdizionale produttivo
di effetti esecutivi.
a mia (personale) fantasia, dunque, è che la
previsione (necessaria
naturalmente per riforma legislativa, data la
tipicità dei titoli esecutivi) della espressione di un consenso di tutte le parti ad una simile forma di trattazione con decisione anticipata (su uno o più capi della materia in discussione)
possa vincere le resistenze del
nostro legislatore ad introdurre
un procedimento sommario generalizzato sul modello del référé;
che la sua introduzione possa offrire un nuovo modello di intervento, funzionalmente destinato
ai presidenti di sezione, con una
generalizzazione delle udienze
presidenziali come fase di delibazione precontenziosa; e che attra-
L
verso questo strumento possano
trovare una prima risposta giurisdizionale (in alternativa alla conciliazione, che dovrebbe in queste udienze essere sempre tentata) quantomeno le controversie
vere, quelle nelle quali entrambe
le parti ritengono davvero di aver
ragione ed hanno bisogno di un
giudice che decida, e non di un
luogo ove la vertenza sprofonda
in sabbie mobili. Si tratterebbe,
insomma, di strappare in tempo
reale, per le controversie più autentiche, un immediato spazio di
ragionamento
(potenzialmente
aperto sia alla conciliazione sia ad
una decisione anticipatoria) alla
massa del contenzioso soffocato
dalle cause dei debitori che vogliono soltanto rinviare il tempo
del redde rationem.
ALLEGATO
CONVEGNO ANM 3 GIUGNO 2003
VIAGGIO NEI PROCEDIMENTI
DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
DOCUMENTO
DI PRESENTAZIONE
Con questo Convegno l’Associazione Nazionale Magistrati insiste nel suo intento di costituire,
nel rapporto con le istituzioni e
con i cittadini, un luogo caratterizzato da valori di professionalità, di concretezza e di trasparenza.
Di professionalità: per cui, anche
in questo momento di tragedia e
di aspre polemiche nel mondo
della politica, noi diamo priorità
alle nostre responsabilità verso i
singoli cittadini che ricorrono al
giudice per affrontare le crisi della famiglia.
Di concretezza: per cui scegliamo
di misurarci, anziché con principi astratti, con la realtà delle vicende processuali dei procedimenti di separazione e divorzio,
esaminati nei loro aspetti più critici e rapportati alla misura ed
alla qualità delle risorse che gli
uffici giudiziari hanno realmente a loro disposizione.
Di trasparenza: per cui abbiamo
preso noi l’iniziativa di richiedere la collaborazione dei magistrati che operano nel settore del
diritto di famiglia, per condurre
un’indagine a mezzo di un questionario molto articolato, al
quale hanno risposto 50 Tribunali; in questo modo la riflessione sui processi in materia di famiglia può finalmente avere per
oggetto non opinioni preconcette
o discorsi mai verificabili, ma le
realtà di uffici giudiziari che sono caratterizzati non solo da
una varietà di dimensione e di
collocazione geografica ma anche – e qui incominciamo ad entrare nel merito del problema –
da una grande varietà di comportamenti e di interpretazioni.
Vi sono tribunali presso i quali
un procedimento di separazione
consensuale richiede un mese, e
tribunali presso i quali ne occorrono quattordici; se poi si guarda
alle separazioni che vengono introdotte come giudiziali, constatiamo che la fase presidenziale
porta a trasformare in separazione consensuale un numero di
procedimenti che variano (in
percentuale) da un minimo del
2% sino ad un massimo dell’80%, con aggregazioni statistiche significative attorno ai valori
del 10%, del 20%, del 30%. Per
un procedimento di divorzio i
tempi di definizione sono compresi tra una settimana e quattordici mesi per i divorzi ad
istanza congiunta, e tra quaranta giorni e quattro anni per i divorzi contenziosi. I procedimenti
di separazione giudiziale giungono a definizione in un arco di
tempo che in alcuni tribunali è
inferiore a 15 mesi, in altri è contenuto entro due anni, in altri
ancora giunge a 3 o anche a 4
anni.
Se poi guardiamo ai risultati con
gli occhi degli addetti ai lavori,
saltano all’occhio le differenze
procedurali, che vanno dalla presenza o assenza degli avvocati a
fianco dei coniugi nell’udienza
presidenziale alle varie modalità
di ascolto (e di non ascolto) dei
figli minori, toccano i diversi
strumenti che vengono adottati
per l’accertamento delle condizioni patrimoniali dei coniugi ed
investono (ma questo lo si sapeva, in assenza di riforme processuali che colmino la lacuna legislativa) tutta la fase introduttiva
del procedimento davanti al giudice istruttore.
Sulla base di questi dati crediamo che sorgano spontanee alcune domande, in parte retoriche
ed in parte reali.
Dobbiamo considerare normale
che i cittadini siano esposti, in
momenti così delicati dei loro
rapporti familiari, ad esiti tanto
diversificati? Il Ministro della
Giustizia può ritenere di avere
ben organizzato le risorse ed i
servizi relativi, oppure queste diversificazioni lo interpellano e
gli pongono il dovere di dare risposte?
All’interno degli uffici i dirigenti
hanno consapevolezza del problema dei tempi in questi particolari procedimenti? A parità di risorse, hanno provato a confrontare varie soluzioni per cercare di
avvicinare i tempi di durata
complessiva delle separazioni e
dei divorzi, o almeno quelli propri delle fasi presidenziali?
Quali correlazioni esistono tra
dimensioni dell’ufficio, modi di
trattare il procedimento ed esiti
di questi procedimenti?
Quali correlazioni si colgono tra
le situazioni degli uffici in cui
questi procedimenti vengono assegnati ai magistrati secondo criteri di specializzazione e quelle
in cui essi vengono distribuiti in
modo casuale ed omogeneo rispetto al resto del lavoro giudiziario?
Sarebbe possibile estendere la formazione professionale, curata
dal Consiglio Superiore della Magistratura soprattutto (sinora)
agli aspetti di interpretazione delle norme processuali e sostanziali , anche allo studio di moduli
organizzativi che possano essere
proposti in virtù di migliori risultati raggiunti a parità di risorse?
Durante i lavori del Convegno
cercheremo tutti (ciascuno nel
ruolo che gli è proprio) di mettere
meglio a fuoco queste ed altre domande, e soprattutto di abbozzare qualche prima risposta. L’Associazione Nazionale Magistrati
intende poi proseguire il lavoro,
appunto con criteri di professionalità concretezza e trasparenza, per approdare a risultati concreti. Il nostro impegno viene dichiarato sin d’ora. Nell’attenzione del Ministero della Giustizia,
del Consiglio superiore e dei dirigenti degli uffici giudiziari confidiamo. Tutti insieme, potremmo
contribuire ad offrire ai cittadini
che attraversano una crisi nei loro rapporti familiari un terreno
di discussione più civile, un livello di professionalità più sorvegliato, tempi di soluzione più uniformi ed accettabili.
Vale la pena di compiere uno
sforzo.
PAOLO MARTINELLI
Presidente Sezione
Tribunale di Genova
71
L
M
ALCUNE COSE CHE I GIUDICI
POSSONO FARE
IMMEDIATAMENTE
PER MIGLIORARE
LA GESTIONE DEL PROCESSO
L
a giustizia civile costituisce un sistema assai
complesso; per migliorarlo occorre una pluralità di interventi, a
tutti i livelli, tutti necessari: legislativo, amministrativo,
organizzativo-gestionale, professionale. È anche un sistema che
in Italia funziona a macchia di
leopardo; ci sono isole felici, zone tranquille, zone infernali. Sul
tema è già stato detto e scritto
tantissimo, da studiosi dell’organizzazione, professori di diritto,
avvocati, magistrati.
Mi limito a svolgere alcune
brevi osservazioni, rimandando
per un approfondimento agli articoli contenuti nell’«Obiettivo sulla
giustizia civile» di prossima pubblicazione sulla rivista Questione
Giustizia.
La prima: è possibile pervenire ad un miglioramento della
funzionalità in tempi rapidi,
anche con l’attuale assetto legislativo, ed anche con l’attuale situazione organizzativa e strutturale che, come è noto, in molte
sedi giudiziarie è assai grave; anche dove vi sono gravi difficoltà
dovute a carenza di stanze, di
strumenti informatici, di personale di cancelleria, anche in presenza di ruoli istruttori di 1.000 e più
cause.
Giudici, avvocati, personale di
cancelleria, a Bologna come a Milano, a Roma, Reggio Calabria, Firenze, Salerno, hanno in corso
72
positive esperienze, maturate all’interno degli Osservatori sulla
giustizia civile.
Giudici, avvocati, cancellieri, possono e devono agire, pur avendo
la piena consapevolezza che qualunque assetto processuale, qualunque riforma normativa, ha bisogno di uomini mezzi e risorse
finanziarie, non conferibili da loro, ma ha anche bisogno di intelligenze, di proposte e di comunità di intenti, che non possono
non provenire in primo luogo
dalle professioni che sono protagoniste del processo.
I magistrati addetti al settore
civile devono fare la loro parte, devono accrescere sempre più
la loro professionalità, devono
contribuire a migliorare da subito
l’attuazione della riforma processuale del 1990-1995, che ha l’indubbio merito di aver razionalizzato le fasi processuali e di aver
favorito la concentrazione del
processo.
I magistrati devono saper porre
al servizio dei cittadini una rinnovata professionalità. Lo richiedono una lettura del principio
costituzionale della ragionevole
durata del processo non disgiunta dal diritto dei cittadini di vedere deciso nel merito il conflitto
insorto, l’ambito europeo in cui
siamo inseriti, il ruolo assegnato
alla giurisdizione dalla Costituzione, di tutela e di promozione
dei diritti, in funzione della realizzazione degli alti valori di ci-
viltà consacrati nella carta costituzionale.
Senza attendere taumaturgici interventi del legislatore e del governo, attesi da troppi anni, ci sono comportamenti positivi che i
giudici possono adottare.
COSE CHE PUÒ FARE
IL SINGOLO GIUDICE
L’
udienza deve essere
il momento centrale
del processo, e ciascuna udienza deve
conseguire un risultato utile per tutti.
Per far ciò, il singolo giudice:
• deve elaborare idonee prassi
processuali ed organizzative di
gestione del proprio ruolo, anche partendo da alcune specifiche tipologie di cause, e progredendo per gradi progressivi, laddove la situazione dei
ruoli istruttori sia oltremodo
difficile;
• deve usare i poteri di indirizzo
e di controllo di cui dispone,
deve curare la trattazione
istruttoria delle cause, sia pur
con tutti i limiti imposti dalle
concrete difficili situazioni in
cui opera.
Alcuni esempi tratti dalla quotidiana esperienza:
possono eliminarsi alcune udienze che sono del
tutto inutili: per giudici,
avvocati, cancellieri.
A) Va salutata a mio parere con
favore la prassi – non ancora
diffusa a livello nazionale –
secondo cui alla prima udienza di trattazione vengono concessi congiuntamente – sollecitando la richiesta delle parti
in tal senso – sia i termini ex
art. 183 c.p.c., sia i termini ex
art. 184 c.p.c. In tal modo gli
avvocati risparmiano la comparizione in un’udienza che si
risolve nella mera assegnazione di termini.
1.
B) Va anche eliminata quell’udienza che, cadendo immediatamente dopo il deposito
della ctu, si risolve spesso nella richiesta di rinvio “per esame e note critiche alla ctu”. È
sufficiente assegnare, all’udienza di conferimento dell’incarico, un termine alle parti per depositare osservazioni
alla ctu, di modo che alla prima udienza successiva al deposito possono immediatamente discutersi le questioni
eventualmente insorte.
C) Probabilmente può eliminarsi
anche l’udienza di precisazione delle conclusioni potendo
il giudice, direttamente all’udienza in cui l’istruzione
probatoria termina, far precisare le conclusioni con fissazione del dies a quo ad una
certa data ai fini della decorrenza del termine per il deposito delle comparse conclusionali.
Come si vede, si risparmiano ben
tre udienze, inutili per tutti, giudici ed avvocati, e che comportano
anche un inutile aggravio di lavoro della cancelleria, che deve movimentare fascicoli a vuoto e
compiere adempimenti privi di
alcuna utilità. In tribunali come
Roma, il risparmio di energie lavorative si rapporta a decine di
migliaia di fascicoli.
Sono queste le udienze inutili da
eliminare, non quelle di effettiva
trattazione e di acquisizione delle
prove orali. Il giudice può – e deve – dedicare il tempo dell’udienza alla trattazione di quelle cause
dove vi sono questioni da discutere con gli avvocati, ovvero bisogna decidere sull’ammissione delle prove, ovvero ancora vanno
sentiti i testi.
Altro esempio. L’udienza
deve svolgersi in modo ordinato, portando
in udienza un numero di cause gestibile, programmandole
per fasce orarie, prevedendo
2.
il tempo necessario di trattazione per ciascuna udienza.
Il giudice deve giungere preparato all’udienza, deve privilegiare l’emissione in udienza dei
provvedimenti. Un’altra udienza
inutile (e siamo a quattro) che si
tiene ancora troppo spesso è
quella in cui il giudice “si riserva” sulle istanze istruttorie delle
parti. Giustamente l’avvocato si
chiede cosa sia venuto a fare in
udienza, quando ha depositato
nei termini ex art. 184 le memorie istruttorie definitive. Ma anche l’avvocato deve giungere
preparato all’udienza, evitando
ad esempio che vi sia un suo sostituto ignaro della causa da trattare.
L’esperienza dei protocolli d’udienza elaborati dagli Osservatori
sulla giustizia civile in alcune sedi
giudiziarie dimostra che la questione di una ordinata gestione
dell’udienza è diffusa e sentita in
tantissimi uffici.
Programmazione dei tempi dell’udienza ed udienza tenuta a
porte chiuse, costituiscono presupposti essenziali per ridare dignità e forma all’attività professionale del giudice e dell’avvocato.
Anche il CSM ha avvertito l’importanza di tali questioni. Con
recentissima circolare del 30
luglio scorso (in vigore dal 31
ottobre 2003) è stata integrata la
circolare n. 1275 del 22 maggio
1985 in materia di criteri per la
formulazione dei pareri per la
valutazione di professionalità
dei magistrati, innovando il parere richiesto ex art. 190 ord.
giud. per l’idoneità al mutamento delle funzioni. Ha predisposto
un modello standard di relazione da parte del dirigente dell’ufficio, modello che, tra l’altro, –
alla voce “laboriosità” del magistrato – richiede di specificare, per ciascun anno, dal primo
al sesto, quanti procedimenti sono stati assegnati al giudice,
quanti sono stati conclusi, quan73
te udienze sono state tenute (1).
Ha altresì introdotto – e ciò mi
pare assai rilevante – il parametro di valutazione consistente
nella “capacità del magistrato
di organizzare il proprio lavoro” indicando, a titolo esemplificativo, la rilevazione delle
capacità di “gestione dell’udienza, della comparizione
delle parti nel tentativo di
conciliazione, della discussione orale. In particolare
dovrà essere evidenziata la
capacità del magistrato di organizzare la parte pubblica
della sua attività in modo da
ridurre al minimo il disagio
degli utenti della giustizia e
dei loro difensori”.
Ancora. In una certa misura percentuale è possibile
aumentare le definizioni dei procedimenti civili, senza gravare ulteriormente sul carico di lavoro complessivo ancora
troppo spesso insostenibile.
Troppo spesso i giudici ritengono
che l’essenza della loro professionalità risieda nella redazione di
una dotta e ridondante sentenza;
certo, la motivazione dei provvedimenti è elemento essenziale
della decisione, per l’ineludibile
controllo di razionalità e di
conformità alla legge delle decisioni. È necessario però che si
diffonda una nuova cultura della
motivazione, che deve divenire
molto più agile e concisa, superando il tradizionale schema che
ricalca un tema di italiano da liceo classico. Così come vanno incentivate le decisioni ex art. 281
sexies c.p.c., quanto meno nelle
materie e nelle cause che consentono una maggiore concisione. I
dati di un recente questionario
diffuso dall’Osservatorio sulla
giustizia civile di Firenze tra i giu-
3.
dici civili di quel tribunale evidenziano un uso ancora sporadico di tale istituto. Dati analoghi
sono emersi in una indagine svolta nel 2001 presso il tribunale di
Roma. Sentenza immediata non
significa sentenza sommaria. Significa invece un diverso approccio del giudice con la causa; significa approfondirne lo studio
già nel momento istruttorio e decidere quando il ricordo dei fatti
di causa è ancora vivo; significa
un minor dispendio di tempo per
il giudice. Si tratta di saper lavorare meglio e con un nuovo approccio al fascicolo.
COSE CHE POSSONO FARE
I PRESIDENTI DI SEZIONI
o, nei piccoli tribunali,
direttamente i capi degli uffici,
d’intesa
con i dirigenti delle cancellerie
V
a realizzato un programma di lavoro
collettivo, con cadenza annuale.
Anche alla luce delle
più recenti circolari
del CSM in materia, i presidenti di
tribunale devono elaborare un
programma generale in occasione della redazione delle tabelle
biennali.
Il presidente di sezione deve
predisporre un programma specifico della sezione, in relazione
alla quantità ed alla difficoltà delle cause pendenti presso la sezione; previe idonee riunioni ex
art. 47 quater ord. giud. in cui
anche i singoli giudici indicano
procedure e prassi ritenute idonee a realizzare gli obiettivi, tenendo conto della specifica
realtà giudiziaria in cui si opera e
delle materie trattate.
(1) Nella circolare si precisa che ogni procedimento di volontaria giurisdizione vale 0,50 e che vanno indicate solo le sentenze;
vanno sommate le udienze pubbliche e quelle in camera di consiglio.
74
Per controllare l’attuazione del
programma occorre però prevedere una griglia di indici rilevatori del lavoro svolto dal
singolo giudice, perché solo dal
loro raffronto incrociato è possibile controllare quanto il giudice
ha fatto in un dato periodo, e
confrontarlo col lavoro svolto dagli altri, ed è possibile così evidenziare comportamenti negligenti ed attivare utilissimi controlli interni tra giudici e tra giudici e
dirigenti. In tale prospettiva, sarebbe utile la predisposizione da
parte del CSM di un modello standard di rilevazione da utilizzare in
tutti gli uffici giudiziari che rilevi,
per ogni anno di lavoro:
a) sia quante udienze vengono
tenute sia quanto tempo il giudice dedica all’attività istruttoria (riportando l’orario di inizio
e di fine delle udienze istruttorie) (2);
b) quanti procedimenti vengono
definiti ogni anno ex art. 309
c.p.c., ed in quale stato dell’istruttoria. È evidente che una
cancellazione della causa dal
ruolo che avviene dopo l’esaurimento dell’istruttoria può essere indice di un buon lavoro
istruttorio svolto dal giudice;
una cancellazione avvenuta all’inizio della causa è invece indice di un buon lavoro stragiudiziale svolto dagli avvocati;
c) su quante domande introdotte
nello stesso processo (o in
cause riunite) il giudice si è
dovuto pronunciare;
d) quante cause vengono definite
per una ragione processuale –
e di che tipo – o vengono decise nel merito;
e) in quale misura ogni anno il
giudice riesce a definire le
cause più risalenti, ed in che
percentuale rispetto al carico
(2) Si deve segnalare che anche tale indice di per sé può avere significato ambiguo, potendo il giudice avere ammesso prove del tutto inutili ed irrilevanti rispetto alle questioni da decidere.
complessivo diviso per anni,
dovendosi altresì differenziare
le cause per tipologia e per
complessità in concreto verificatasi (3).
La percentualizzazione deve tener conto della competenza interna attribuita tabellarmente a ciascuna sezione di tribunale (appalti, sinistri stradali, contratti, e così
via). Tale indice è utile sia perché
evidenzia la capacità di organizzazione del proprio ruolo sia perché un eccesso di definizione di
cause più recenti può segnalare
che il giudice si concentra solo su
cause di pronta soluzione, non
curando la gestione del proprio
ruolo in modo omogeneo ed attento, procrastinando nel tempo
le decisioni più complesse e scomode (4).
videntemente, una rilevazione di questo tipo richiede un aggiornamento costante dell’agenda di lavoro
da parte del giudice e
della cancelleria, udienza dopo
udienza. Presuppone anche che
l’assegnazione delle cause avvenga in modo omogeneo tra i
giudici, ripartendole equamente
quanto a tipologia, che il ruolo
del giudice non subisca improvvise e significative integrazioni o
variazioni – ad esempio assegnazioni di cause già attribuite ad
altro giudice –, altrimenti l’agenda del giudice viene sconvolta
E
ed i dati non sono più in grado
di indicare le capacità organizzative del giudice. Nel caso in cui
si presenti la necessità di modificare l’assegnazione di blocchi di
cause, dovrebbero esser previsti
criteri oggettivi di trasferimento
e di ripartizione tra i giudici, caricandoli in modo omogeneo
per quantità e qualità (5).
Un’ultima riflessione. Occorre
distinguere il piano organizzativo generale da quello individuale del giudice.
Probabilmente, solo con riferimento ad un programma elaborato dalla sezione e ad un programma elaborato dalla dirigenza del tribunale può parlarsi propriamente di “efficienza” e di
“produttività”. Rispetto al singolo giudice deve parlarsi di
“professionalità”, da valutare
tenendo conto dei vari aspetti
espressivi di essa. Una più netta
differenziazione tra efficienza
dell’ufficio giudiziario e professionalità del singolo giudice
consente anche di dare nuovo
contenuto alle funzioni ed alle
responsabilità del presidente di
sezione e del dirigente la cancelleria (6).
In proposito, da una recente indagine compiuta un anno fa dall’Osservatorio di Reggio Calabria
(7) emerge che non sono pochi
i presidenti di sezione che utilizzano ancora in modo inadeguato i poteri/doveri di cui all’art.
(3) La questione della definizione delle pendenze più risalenti
ha costituito oggetto di specifica circolare del 4.12.2001 da parte del Presidente del tribunale di Torino titolata “programma
Strasburgo”.
(4) L’indice in questione risulta meno significativo nei casi in
cui vi sia una sola sezione promiscua e dunque il giudice deve
occuparsi di tutte le materie, oppure laddove – anche in grandi
uffici giudiziari – sorprendentemente non sia ancora prevista tra
le sezioni una ripartizione tabellare della competenza per materia. Sotto altro profilo, la peculiarità della materia successoria
potrebbe rendere utile concentrare solo in alcune grandi sedi
giudiziarie le relative controversie. In tal modo si eviterebbe di
richiedere al giudice l’approfondimento tecnico di una materia
che sarà poi sfruttato per un numero non significativo di casi.
(5) Il tema del controllo del lavoro del singolo giudice è stato
posto da D. Spera in “Statistiche, organizzazione e valutazione
47 quater ord. giud., specie in
relazione alla predisposizione di
programmi di medio periodo. La
nuova circolare del CSM del 30
luglio scorso richiede una nuova
capacità organizzativa alle due
figure professionali. Occorre che
il Csm affronti la questione della
selezione e della qualità dei dirigenti e dei semidirettivi.
Dovrebbero poi essere calendarizzate periodiche riunioni di
sezione anche allo scopo di divulgare e discutere tra i giudici i
risultati del lavoro svolto da ciascuno e di discutere la situazione
complessiva della sezione, il tipo
di contenzioso in ingresso, la percentuale di definizione delle cause più risalenti, gli obiettivi perseguibili nell’immediato e nel medio periodo, il grado di organizzazione delle cancellerie e di funzionalità ed utilità del sistema
informatico (8).
arebbe anche importante che i magistrati dirigenti promuovano riunioni ex art. 47 quater allargate, in cui
giudici, avvocati, cancellieri discutano insieme, nella prospettiva di acquisire la più
ampia conoscenza dei problemi
concreti vissuti da ciascuna figura
professionale e di migliorare il
servizio reso ai cittadini.
S
FRANCESCO RANIERI
Giudice Tribunale di Roma
di professionalità. L’esperienza del Tribunale di Milano”, in
Questione Giustizia, 2002, 2, 445 ss.
(6) Per utili spunti di approfondimento v. G. Xilo e S. Zan, “Il
problema organizzazione nella giustizia civile italiana”, Rivista
cit., 2000, 3, 484 ss., nonché S. Zan, “Fascicoli e tribunali. Il processo civile in una prospettiva organizzativa”, il Mulino 2003.
(7) Trattasi dei dati raccolti dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Reggio Calabria e diffusi al convegno del novembre 2002
“Giustizia civile tra legalità ed efficienza”, i cui lavori sono editi da Ipsoa. V. in argomento anche A. Ricciardi, “Le modalità di
applicazione dell’art. 47 quater nel tribunale di Milano” e F.
Vigorito, “Potenzialità e limiti del nuovo ruolo del presidente di
sezione”, Rivista cit., 2003, 1, 109 ss.
(8) In molti grandi uffici ancora non si avvertono i benefici che
l’informatizzazione dovrebbe portare al lavoro del giudice.
75
L
M
UN PROTOCOLLO ROMANO
PER LA GESTIONE
DELLE UDIENZE CIVILI
«They wanted lawyers who went into any
federal courts (...) to know what to
expect and not to have to undergo a
initiation period or to rely on the wisdom
of local pratictioners» (D. SHAPIRO, Federal Rule 16: A Look at the Theory and
Practice of Rulemaking, in 137 U. Pa. L.
Rev., 1989, 1974)
L’
Osservatorio romano
sulla giustizia civile,
composto di giudici
ed avvocati ed aperto al contributo di
tutti gli operatori della giustizia, ha predisposto un
protocollo per la gestione delle
udienze civili e, con l’Ufficio del
Referente distrettuale per la formazione decentrata, il 28 ottobre
2003, lo ha presentato al pubblico, «consapevoli – come è indicato nella locandina – della centralità del tema dell’organizzazione del lavoro quale componente
della stessa professionalità del
giudice».
Il protocollo, nelle intenzioni di
chi lo ha elaborato tende ad «individuare alcune regole volte a
favorire uno svolgimento più ordinato e proficuo delle udienze
civili, a superare, almeno in parte, i disagi esistenti, a migliorare
la qualità del processo, a tutelare
la riservatezza dei soggetti coinvolti ed a ridurre drasticamente i
tempi di attesa dei testimoni, delle parti e degli avvocati».
Quali che siano i contenuti del
protocollo, suscettibile di essere
arricchito ed integrato, l’evento
appare importante e meritevole
di essere segnalato sulle colonne
di questa Rivista.
Il presupposto è che l’esercizio
dei poteri discrezionali del giudi-
76
ce di direzione del processo «intesi – ai sensi dell’art. 175 c.p.c. –
al più sollecito e leale svolgimento del procedimento» non sempre
rispondono alla ratio legis e non
sempre offrono adeguate garanzie. I criterî di valutazione della
economia processuale, che dovrebbero essere alla base della
scelte del giudice, non solo sono
insindacabili in sede di impugnazione, ma difficilmente potrebbero, anche de jure condendo, essere predeterminati da norme generali ed astratte. Eppure non è
chi non veda che l’efficienza del
processo civile e la effettività della tutela giurisdizionale dipendono anche, se non soprattutto, dai
provvedimenti ordinatorî. I criterî
di valutazione della economia
processuale, inoltre, influiscono
sulla concreta struttura del processo, che, a seconda dei criterî
in concreto adottati, finisce con
l’essere diverso da ufficio a ufficio, se non, addirittura, da giudice a giudice.
ll’indomani dell’entrata in vigore della
riforma del processo
civile, avvocati, magistrati,
professori
universitari, operatori di cancelleria, hanno condiviso
l’idea che l’efficienza della giustizia civile è questione che riguarda
solo in parte la disciplina proces-
A
suale; riguarda, invece, le concrete prassi operative; che tra le regole processuali generali ed
astratte e il potere del singolo
giudice di dirigere il processo esistono spazi che possono e devono essere colmati con il contributo di ciascuno degli operatori del
diritto, nella consapevolezza che
la cattedrale della giustizia è un
edificio comune, alla manutenzione del quale tutti possono collaborare in funzione della attuazione del principio di effettività
della tutela giurisdizionale.
La prima iniziativa in tal senso ha
visto la luce a Bologna per impulso del giudice Carlo Maria Verardi. Altre, in modi affatto informali, sono sorte altrove. Delle attività
di alcuni osservatori è notizia nella rete: per «Prassi comune» v.
http://www.edinbo.it/prassi1/pra
ssiho.htm, per l’Osservatorio di
Salerno, v. http://it.groups.yahoo.
com/group/osservatorio_giudizia
rio/, per quello di Bari v. http://
groups.yahoo.com/group/Osservatorio_barese, per quello di Reggio Calabria v. http://www.giustizia.unirc.it/tribrc/osscivile/index.htm. Uno strumento di dialogo e di comunicazione è la mailing list Civilnet: http://it.groups.yahoo.com/group/civilnet/.
La Fondazione Carlo Maria Ve-
rardi, che è stato l’anima e l’ispiratore di queste iniziative, fornisce il collegamento tra i diversi
osservatori.
el maggio 1997 gli
Osservatorî della giustizia si incontrarono
per la prima volta a
Bari per il Convegno
«Un progetto per la
giustizia civile»; l’anno successivo, a Bologna, discussero di «Giudice unico e sezioni stralcio. Le
riforme tra prassi ed organizzazione»; nel 1999 si ritrovarono
a Bari per il Convegno «Il Giudice unico e la giustizia civile: dalle riforme dei processi alla riforma dell’organizzazione»; all’isola
d’Elba, nel 2000, fu esaminato il
tema «Il giusto processo civile»; a
Vietri, nel 2001, si discusse «Quale giustizia per il giusto processo».
A Reggio Calabria, nel 2002, sotto
il titolo «Giustizia civile tra legalità ed efficienza» l’attenzione è
stata orientata sul ruolo e sui
compiti dei presidenti di sezione,
ai sensi dell’art. 47 quater dell’ordinamento giudiziario. Quest’anno, a Roma, hanno discusso dei
processi in tema di famiglia, a Bologna della nuova disciplina dei
termini di pagamento nelle transazioni commerciali e delle novità
processuali nel giudizio di oppo-
N
PROTOCOLLO PER LE UDIENZE CIVILI
L’
Osservatorio romano sulla giustizia civile, composto da avvocati e magistrati
che operano presso il Tribunale Civile
di Roma, pur riaffermando l’improcrastinabile necessità di adeguati interventi volti a superare le gravi carenze
delle strutture materiali e delle risorse economiche
e la persistente penuria di personale ausiliario
(problemi oggetto di altre iniziative dell’Osservatorio), propone a Giudici ed Avvocati l’adozione di
una serie di regole volte a favorire uno svolgimento più ordinato e proficuo delle udienze civili, a
superare (almeno in parte) il grave disagio esistente, a migliorare la qualità del processo, a tutelare la
riservatezza dei soggetti coinvolti ed a ridurre dra-
sizione ad ingiunzione e, a Milano, delle prassi sulla liquidazione
dei danni alla persona.
L’aspirazione è quella di eliminare ogni ipotesi di dissenso occulto, affinché la decisione sia il
frutto di una scelta consapevole,
all’esito di un percorso trasparente ed adeguato alle specifiche
esigenze del tipo di controversia,
non un oracolo o un favor principis ispirato alla logica della appartenenza, in funzione della
realizzazione di standards operativi uniformi, che consentano
la effettiva informatizzazione degli uffici giudiziari, che in tali
standards trova un indefettibile
presupposto.
oma è il più grande
ufficio giudiziario. La
nascita di un Osservatorio romano e la elaborazione di un «protocollo per la gestione
delle udienze civili» appare un
evento estremamente significativo soprattutto in un contesto quale l’attuale nel quale l’attenzione
sembra prevalentemente orientata sulle prospettive de jure condendo, trascurando quanto è possibile fare con i mezzi e gli strumenti a disposizione.
R
GIORGIO COSTANTINO
Docente Universitario
sticamente i tempi di attesa di testimoni, parti ed
avvocati.
I giudici e gli avvocati che aderiscono all’Osservatorio si impegnano ad applicare, in via sperimentale e
tenuto conto delle particolarità di ogni sezione, le regole di seguito indicate, la cui adozione intendono
proporre anche ai giudici e agli avvocati che non
compongono l’Osservatorio.
L’udienza è divisa in 4 fasce orarie: 9,30-10,30;
10,30-11,30; 11,30-12,30; dalle 12,30 in poi, con
possibilità, per adempimenti di particolare durata
e/o complessità, di concordare tra giudici ed avvocati la fissazione di udienze pomeridiane.
1.
All’interno di ciascuna fascia si svolgono adempimenti omogenei stabilendo per ogni causa, al
momento del rinvio, orari precisi interni alla fascia
2.
77
oraria (es. 9.10, 9.20, ecc.) e concordati tra giudici ed
avvocati.
La 1ª fascia è destinata all’udienza di prima
comparizione di cui all’art. 180 c.p.c. nonché alla precisazione delle conclusioni.
3.
4.
5.
La 2ª ed eventualmente la 3ª fascia sono destinate agli adempimenti previsti dagli artt. 183 e
184 c.p.c. e ad altre attività di durata prevedibile.
La 4ª ed eventualmente la 3ª fascia sono destinate all’espletamento delle prove orali, alla discussione ex art. 281-sexies c.p.c., ai chiarimenti dei
CTU, ad altre attività di durata difficilmente prevedibile.
6.
7.
La 4ª fascia è destinata anche alle cause rinviate
ai sensi dell’art. 181 o dell’art. 309 c.p.c.
Al momento del rinvio di una causa ad un’udienza successiva deve essere prevista la verosimile durata dei programmati adempimenti in modo
da fissare ogni volta all’interno di ciascuna fascia un
numero di cause che potrà essere compiutamente
trattato senza superare i limiti di tempo prefissati.
I giudici debbono privilegiare la decisione in
udienza sulle istanze formulate dalle parti, soprattutto ove queste siano state già proposte in precedenza (es. formulazione delle richieste istruttorie
nelle memorie ex art. 184 c.p.c.).
8.
Deve essere realmente applicata la disposizione
dell’art. 84 disp. att. c.p.c. (“le udienze del giudice istruttore non sono pubbliche”) onde consentire un ordinato svolgimento dell’udienza ed evitare
che parti e testimoni siano costretti a riferire fatti personali dinanzi a terzi estranei al processo.
9.
Il giudice deve svolgere in modo effettivo il
ruolo inderogabilmente attribuitogli dalla
legge di guida e direzione del processo anche nella
fase dell’assunzione delle prove.
10.
11.
78
Il giudice, in caso di impossibilità di tenere
l’udienza con la collaborazione del persona-
le amministrativo, procede alla verbalizzazione di
persona ovvero autorizza, sull’accordo delle parti e
sotto la sua direzione, la redazione del verbale ad
opera di uno degli avvocati.
L’avvocato costituito, nel caso in cui non
possa essere presente in udienza, si deve
adoperare per farsi sostituire da un collega che sia a
conoscenza degli atti di causa e degli adempimenti
da compiersi nel corso dell’udienza.
12.
Il giudice, venuto a conoscenza della sua impossibilità di tenere l’udienza, si deve impegnare ad organizzare la propria sostituzione con un
collega che sia in grado di conoscere gli atti di causa e di adottare, quindi, i necessari provvedimenti
sulle istanze formulate dalle parti.
13.
Qualora, per l’imprevedibilità dell’assenza o
per l’opportunità che l’attività istruttoria sia
svolta dal giudice titolare, l’udienza debba essere comunque rinviata, il rinvio deve essere contenuto e,
possibilmente, non superiore a 3 mesi.
14.
Gli avvocati ed i C.T.U. si impegnano a fornire tutti i dati utili per consentire un’agevole comunicazione reciproca (numeri di telefono e di
fax, indirizzi di posta elettronica).
15.
In sede di convocazione del C.T.U. quest’ultimo deve essere invitato a comunicare senza ritardo alle parti ed al giudice il suo eventuale impedimento a comparire all’udienza nonché a fornire
ogni utile indicazione in vista della fissazione della
nuova udienza.
16.
Gli avvocati devono congiuntamente avvisare il CTU della sopravvenuta inutilità della
sua presenza in udienza qualora fosse intervenuta la
definizione stragiudiziale della lite.
17.
Gli avvocati devono provvedere alla citazione dei testi e delle parti da interrogare almeno 30 giorni prima dell’udienza prevista per la loro
audizione.
18.
OSSERVATORIO
SULLA GIUSTIZIA
NEL DISTRETTO DI SALERNO
I
l protocollo per le udienze
civili elaborato dall’Osservatorio sulla giustizia nel Distretto di Salerno, che è stato già reso disponibile agli
atti del Convegno di modo
che ognuno possa prenderne visione, è sorto dall’esigenza di
conseguire uno svolgimento ordinato e proficuo delle udienze civili nell’interesse dei Giudici, degli Avvocati e delle Parti, come
detta la sua premessa, ed è, ciò ci
preme dirlo, a sua volta, figlio di
un altro protocollo d’intesa. La
Camera penale, già aderente all’Osservatorio salernitano agli albori dell’entrata in vigore della
riforma istitutiva del Giudice Unico, unitamente ai magistrati penalisti componenti dell’organizzazione, ritenuta l’opportunità di
fissare delle regole per la celebrazione delle udienze, elaborò e
produsse il primo protocollo della storia dell’Osservatorio, d’interessante articolazione che mi piace citare nei soli punti salienti,
dovendo, in questa sede, soffermarci sul processo civile. Si compone di due fasi: organizzazione del ruolo e organizzazione
dell’udienza. La prima, di competenza del Presidente o del Giudice monocratico, una volta elaborata, viene resa nota, mediante
stralcio ed affissione a cura della
Cancelleria, almeno due giorni
prima di ciascuna udienza. La seconda, frutto dell’elaborazione
comune tra avvocati e magistrati,
con previsione e regolamentazione dell’udienza antimeridiana,
con attività fondamentali (contingenze sopravvenute, ordine di
chiamata ecc.) da svolgersi all’ini-
L
M
zio della stessa e ordine conseguente. Do una breve lettura dei
passaggi. Viene prevista, nei casi
di consenso delle parti o di processi a carico d’imputati in stato
di custodia cautelare, un’udienza
pomeridiana.
Viene data anche regolamentazione delle istanze di rinvio fuori
udienza.
Questo protocollo d’intesa, redatto in piena armonia d’intenti, può
senz’altro definirsi uno dei primi
risultati concreti dell’Osservatorio
salernitano, ma il suo esordio non
fu facile e la sua approvazione
non immediata. Inviato, dal Presidente del Tribunale, a tutti gli Organi preposti e ai Presidenti di Sezione, raccolse qualche dissenso
che ne frenarono l’adozione per
circa tre anni durante i quali fu interpellato anche il CSM. Questi tre
anni di confronto, però, non assunsero mai toni d’improficua polemica ma, nello sforzo del raggiungimento comune dell’individuazione e approvazione di un
protocollo d’udienza, costituirono
un valido momento di confronto
tra Presidenti di sezione, magistrati e avvocati che ben potrebbe
configurarsi come una serie di 47
quater dei quali si parlerà in altra
sede ma che, anche in questa sede, hanno un loro ruolo tutt’altro
che marginale. Proprio sulla base
della nota del CSM, fu possibile
giungere ad un punto d’intesa
che consentì, il 7 marzo di quest’anno, al Presidente del Tribunale, Dott. Vitiello, l’emanazione
del Decreto di adozione del protocollo di udienza penale, il n. 81,
con entrata in vigore il 10 marzo
2003. Copia cartacea del decreto
79
viene da me depositata agli atti
del Convegno a disposizione di
chi voglia prenderne visione. È
notizia di questi giorni che il protocollo dell’udienza penale è stato adottato ufficialmente anche
presso il Tribunale di Vallo della
Lucania, facente parte del nostro
Distretto.
el settore civile del
nostro Tribunale, intanto,il carico di lavoro, la problematica
applicazione delle tabelle, la carenza di risorse, l’inadeguatezza degli spazi,
sono stati e sono tuttora argomenti di accesa discussione e terreno di proposte, ma il fattore
propulsivo che, di lì a poco, spinse i civilisti a seguire l’esempio
del settore penale, fu che il processo cambiava e bisognava adeguarvi regole che ne agevolassero
la speditezza. La scelta di un modello di regolamentazione semplice, fu voluto. Poche, ma fondamentali, regole sono più immediate da recepire e diventano flessibili adattatori ad ogni fattispecie
processuale.
Do lettura di tali regole motivando le ragioni delle stesse.
La scelta di dividere l’udienza in
non più di due fasce è stata determinata dal numero considerevole di cause che in alcune
udienze vengono chiamate e dall’oggetto delle stesse che avrebbe
reso impossibile la previsione di
ulteriori fasce di suddivisione del
tempo disponibile. In considerazione del carico d’udienza e dell’oggetto delle vertenze, due fasce
sembrano poter consentire una
maggiore libertà gestionale e razionalizzazione dell’intera udienza. La necessità di udienze straordinarie, con orari particolari, ad
esempio per l’esame di persone
interdicende che, nel nostro Tribunale, subiscono lunghe attese
in angoli di corridoio, unitamente
ai familiari che li accompagnano,
in un ambiente sovraffollato, ru-
N
80
moreggiante, frenetico, irrispettoso del divieto di fumo,cittadini in
attesa di una risposta di giustizia
che, frattanto, mostra loro uno dei
suoi aspetti meno edificanti. La
suddivisione delle udienze di separazione e divorzio consensuali
da quelle giudiziali, nonchè la regolamentazione delle audizioni
dei coniugi che, sovente, richiedono attese di ore. La tempestiva
comunicazione dei rinvii di ufficio che, spesso, sono noti con anticipo rispetto alle udienze. Provvedimenti di cancellazione di
cause a fine udienza. Rinvii brevi,
atteso che sono giustificabili solo
i lunghi intervalli dovuti alla concessione dei termini di cui al V
comma art. 183 c.p.c., o all’espletamento della C.T.U.
resentato ufficialmente
ai Sigg.ri Presidenti della Corte d’Appello e del
Tribunale di Salerno
nel giugno del 2002, il
protocollo, a livello distrettuale, non ha avuto ancora il
riscontro auspicato, nel mentre, il
Presidente del Tribunale, trasmetteva lo stesso ai Presidenti di
sezione per il loro parere al riguardo. Do una scorsa ai pareri e
alle osservazioni che, nel complesso, non appaiono negative.
Nonostante il costante interesse
all’approvazione definitiva da
parte dell’Osservatorio, motivi
contingenti, tra i quali, non certo
da ultimo, l’aggravarsi delle condizioni di salute del Presidente
Francesco Vitiello, che oggi non
è più tra noi e il susseguirsi dei
Presidenti F.F. alle prese con problematiche quotidiane che assorbono tutto il loro tempo, non ha
agevolato il compito. Tuttavia,
quasi quotidianamente, al termine delle nostre attività, forti anche del precedente penalistico,
non disdegnamo di bussare, in
piccola delegazione, alla porta
del Presidente (F.F.) che, negli
ultimi tempi, e apparso più sensibile all’argomento.
P
D
a oltre un anno, tra
l’altro, il protocollo
civile, ha un fratello
minore (ma solo in
ordine di nascita): il
protocollo d’intesa
tra avvocati e magistrati della sezione lavoro del Tribunale di Salerno sullo svolgimento dell’attività di udienza, articolato e promosso da un considerevole numero di avvocati giuslavoristi, e
con la collaborazione di alcuni
magistrati della sezione. Sull’approvazione di tale protocollo sono state sollecitate e tenute una
serie di riunioni, a cadenza mensile tra il Presidente della sezione
lavoro di primo grado e i magistrati della stessa, in prima fascia
oraria dedicate al 47 quater, in
seconda convocazione, aperte
agli avvocati. Anche se la discussione non ha portato al risultato,
anche per le numerose osservazioni, non è di trascurabile importanza che magistrati e avvocati si riuniscano in una tavola
rotonda per discutere dei problemi della Sezione e che continuino a farlo anche con la partecipazione agli incontri in materia
organizzati da Referenti per la
formazione decentrata. Il protocollo d’intesa per l’udienza del
lavoro, peraltro, che fornisco in
cartaceo unitamente al testo dell’intervento, è composto anch’esso di pochi punti, affatto contrastanti con quelli del protocollo
civile, quali, ad esempio, la fissazione di un orario (dopo le ore
11) per la sola escussione dei testimoni e/o discussione della
causa (punto 2), la più interessante al punto 1 che prevede la
fissazione dell’udienza di comparizione nel termine effettivo
dell’art. 415 c.p.c.al solo scopo di
consentire la prima comparizione (la composizione del contraddittorio) e/o l’eventuale conciliazione. Al punto 3 la previsione di
un’udienza settimanale per la sola trattazione del contenzioso
previdenziale. La nascita di questa nuova proposta adattata all’udienza del lavoro, ci ha convinti più che mai della validità di
un sistema di protocollo determinato da regole generali duttili,
adattabili.
adozione dei protocolli d’udienza, la diffusione degli stessi,
(guardiamo con interesse a quello di Roma), ci trova consensienti e consapevoli, sia dell’importanza coordinativa dello strumento,e non soltanto a livello lo-
L’
cale, sia delle implicazioni che
esso inevitabilmente comporta,
quali la diffusione dei 47 quater,
indipendentemente dal risultato,
sia per le inevitabili (forse anche
piccole, ma che comunque comportano la necessità di una collocazione) problematiche d’interpretrazione procedurale che comporta.
Non certo da ultimo anche perchè, come gli avvocati ben sanno,
ci sono pochi altri momenti del
processo civile di più elevato impatto sul cittadino (che attenda o
meno una risposta di giustizia)
dell’udienza (quando questi è tenuto a presenziare o a testimoniare). È luogo comune che il non
addetto ai lavori tragga, della Giustizia, l’immagine che gli si è formata dall’aver assistito ad un’udienza. E un’udienza ordinata
contribuisce, quantomeno, a restituire dignità e rispetto sia al cittadino che si rivolge alla Giustizia, che all’Avvocato che ne è il
Suo tramite.
AVV. MARIA FAGGIANO
della Segreteria dell’Osservatorio
sulla Giustizia
nel Distretto di Salerno
81
L
L’OSSERVATORIO
DI FIRENZE
M
L’
Osservatorio di Firenze si è costituito
da pochi mesi: la data di nascita, per così
dire, può essere indicata nel 18 giugno
2003, in occasione di un incontro
pubblico nel quale sono stati presentati i dati emergenti dalla elaborazione dei risultati di un questionario a suo tempo distribuito
tra i venticinque giudici civili (di
cui tre presidenti di sezione) del
tribunale di Firenze.
Il questionario era stato distribuito per iniziativa di alcuni giudici
al fine di raccogliere dati informativi in ordine alle prassi applicative e organizzative del processo
ordinario di cognizione, e consentire una successiva elaborazione per verificare gli orientamenti
giurisprudenziali in ordine alle
varie questioni processuali, individuare i problemi ancora irrisolti, focalizzare le eventuali disfunzioni: vi erano domande sulle varie fasi del processo e altre riguardanti l’organizzazione del lavoro
del giudice.
L’idea dell’Osservatorio è nata nel
corso di questo lavoro, raccogliendo stimoli provenienti anche
dal mondo dell’università e dalle
esperienze già esistenti in altri distretti e grazie al deciso sostegno
dell’avvocatura.
A un certo punto è sembrato naturale, infatti, che l’incontro da
dedicare alla presentazione delle
“prassi interpretative e organizzative del processo civile” rilevabili nel nostro tribunale fosse anche l’incontro da cui far nascere
dell’Osservatorio sulla giustizia
civile a Firenze: le motivazioni
che avevano spinto alla raccolta
ed elaborazione dei dati sulle
82
prassi si àncoravano in modo particolarmente significativo e immediato a quelle che erano e sono le
finalità dell’Osservatorio sulla
giustizia: creare un’occasione per
favorire una riflessione critica da
parte di ogni giudice sulle proprie
prassi interpretative e applicative
e un utile confronto con quelle
seguite dagli altri colleghi; coinvolgere in tale riflessione anche
l’avvocatura e il personale di
cancelleria, nella convinzione
che solo dallo scambio tra tutti
coloro che intervengono in qualche modo nel processo possa nascere una riflessione che sia davvero feconda, perché non limitata
ad una faccia del prisma, ma estesa alle diverse angolazioni da cui
un problema può essere esaminato; effettuare ogni sforzo, nonostante le riforme in vista, perché
il processo funzioni a legislazione esistente: non solo per le esigenze legate all’esperienza quotidiana, ma anche perché proprio
dalla riflessione sul lavoro di ogni
giorno possono venire utili spunti per l’innovazione legislativa e
l’approfondimento di temi che
trascendono quelli su cui la norma può di per sé esplicare influenza.
nche l’Osservatorio
di Firenze, come altre esperienze simili,
parte dalla convinzione che l’effettività
della tutela giurisdizionale vada ricercata con la predisposizione di misure che raramente coincidono con il semplice
uso dello strumento normativo alla ricerca del rito ideale: oltre a
regole idonee, occorrono mezzi
materiali sufficienti, la razionalizzazione dell’organizzazione com-
A
plessiva e l’adozione di concrete
scelte operative “virtuose”, negli
spazi che qualunque riforma lascerà inevitabilmente ai vari attori
che si muovono sulle scene giudiziarie. I veri nodi della giustizia
civile, insomma, rimarrebbero tali
anche con un impianto normativo
completamente diverso: perché
sono punti critici che non con le
norme hanno a che fare, ma
affondano le radici in carenze organizzative o costumi distorti.
Raccolti i dati dei questionari
(avevano risposto 21 giudici su
25) ci siamo quindi ritrovati con
esponenti dell’avvocatura, dell’università e del personale di cancelleria per organizzare l’incontro
del 18 giugno: l’Osservatorio di
Firenze parte quindi con la presentazione dell’ elaborazione dei
dati sulle prassi interpretative e
organizzative, una sorta di fotografia dell’esistente, che scontava
ovviamente tutti i limiti che la rigidità del questionario di per sé
implicava, ma costituiva un utile
spunto per fare di ciò che accadeva nella concretezza nelle aule
del nostro tribunale e non di tematiche astratte, materia di discussione ed elaborazione.
ello stesso tempo, a
tale presentazione è
stata collegata la proposta di creare tre
gruppi di lavoro: all’incontro furono distrubuite schede di adesione con
la presentazione dei tre gruppi di
cui ora dirò, con una serie di dati
dell’aderente (qualifica, indirizzo
e mail, telefono, e simili nonché
l’opzione per uno dei tre gruppi:
le adesioni furono tante, circa 75,
in grandissima prevalenza avvocati; all’incontro erano presenti
circa 250 persone).
I gruppi erano i seguenti: i primi
due riguardavano il processo (diviso per fasi) e il terzo i problemi
dell’organizzazione e dell’informatica: partendo dalle prassi riscontrate si è voluto insomma por
N
mano alla ricerca, nell’ambito delle prassi applicative, operative e
organizzative, di quegli strumenti
che possono favorire il buon funzionamento del processo “a legislazione esistente”, attraverso la
collaborazione del giudice con le
parti, attraverso la trasparenza dei
criteri organizzativi e degli orientamenti interpretativi del giudice
e dell’ufficio a cui appartiene:
questo essenzialmente attraverso
due linee d’azione:
la prima riguarda la elaborazione di regole condivise
da giudici, avvocati, personale di
cancelleria in ordine allo svolgimento delle udienze e delle varie
fasi processuali, per proporre le
opzioni ritenute migliori in vista
del funzionamento celere e razionale del processo e giungere alla
redazione di protocolli di udienza e all’adattamento dello schema processuale esistente a seconda della diversa tipologia di cause: questa sorta di normazione
“secondaria” affidata all’elaborazione degli operatori appare una
via dalle potenzialità ancora non
compiutamente esplorate, con
vantaggi innegabili sotto il profilo
dell’uniformità di applicazione
delle norme (essendo poco accettabile che i contrasti interpretativi
non siano oggetto di confronto e
addirittura di conoscenza all’interno di un medesimo ufficio),
della conoscenza preventiva da
parte dei difensori dell’opzione
interpretativa del giudice, del
controllo di fatto sui poteri del
giudice, “costretto” ad esplicitare
il fondamento della soluzione
prescelta, della semplificazione
del procedimento, depurato di
contrasti in ordine a questioni su
cui avvocati e giudici abbiano
raggiunto soluzioni condivise, da
ultimo del potenziale interscambio tra prassi applicative e riforme processuali.
Attualmente i lavori sono in corso
e dovremmo organizzare un incontro pubblico per la presenta-
1)
zione dei protocolli entro febbraio o marzo: il materiale che mi
è stato consegnato in vista di questo convegno rappresenta dunque ancora un momento di passaggio, ma testimonia la notevole
mole di lavoro svolta dai gruppi
che, in linea di prima approssimazione, sembra dipanarsi su tre filoni: il primo concerne aspetti
semplici (ma comunque fondamentali, come ben sappiamo), ad
esempio, gli orari di fissazione
delle varie cause a seconda delle
attività processuali da svolgere;
un secondo filone riguarda temi
che incidono molto di più nella
organizzazione dell’udienza e
della trattazione della causa sino
a coinvolgere il momento decisorio: ad esempio, l’opportunità di
trattare in prima udienza le istanze ex art. 648 cpc; l’opportunità di
disporre già in prima udienza la
ctu in certi casi: qui si individua
una regola che va a colmare gli
spazi bianchi lasciati dalle norme;
un terzo profilo riguarda enunciati di carattere molto generale, come ad esempio, la necessità che il
giudice e i difensori siano a conoscenza degli atti processuali: anche nel “protocollo romano” vi è
una regola analoga (punto 10): “il
giudice deve svolgere in modo effettivo il ruolo inderogabilmente
attribuitogli dalla legge di guida e
direzione del processo anche nella fase di assunzione delle prove”.
Qui la regola di protocollo non
mira a colmare lo spazio bianco
della norma generale e astratta,
ma semplicemente richiama norme di comportamento già direttamente o indirettamente codificate: questo, da un lato colpisce,
perché svela l’evidente disapplicazione di quelle regole che si
sente la necessità di riaffermare
come cogenti,dall’altro tuttavia
appare un ambito meritevole di
sviluppo proprio perché rientra in
pieno nelle finalità del protocollo: che, in fondo, esprime prassi
“doverose” più che “virtuose”.
83
Nelle prossime riunioni si cercherà di “scremare” da tutto il materiale di studio fin qui elaborato,
le regole da introdurre nel protocollo: dobbiamo ancora discutere
sino a che punto tali regole potranno espandersi da momenti
puramente organizzativi a momenti che incidano sui poteri di
decisione del giudice in tema di
provvedimenti ordinatori: se è vero che l’efficienza del processo e
l’effettività della tutela giurisdizionale dipendono in buona misura
dalle scelte discrezionali nell’adozione di provvedimenti di tale tipo (si pensi, a titolo di esempio,
alla scelta di assumere la causa in
decisione immediatamente, in
presenza di questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito ex
art. 187 cpc ovvero di disporre
che tali questioni siano decise
unitamente al merito), è su questo piano che il protocollo potrebbe esplicare effetti particolarmente favorevoli: d’altronde, è rilievo diffuso quello per cui proprio il cattivo uso del potere discrezioneale del giudice al riguardo sia la fonte legittimante di interventi che quel potere mirano
ad eliminare (ricordo che la cd
miniriforma prevede l’obbligo e
non già la facoltà del giudice,
com’è previsto nell’attuale art.
187, 2° e 3° co., c.p.c., di pronunciarsi con sentenza sulle eccezioni impedienti nel rito o preliminari di merito sollevate dal convenuto).
Ripeto, tuttavia, che l’ampiezza
del protocollo è una questione
ancora aperta, così come è ancora aperta la questione di quale via
percorrere per favorire la effettiva
osservanza del protocollo: il lavoro è in via di svolgimento e farà
tesoro anche delle indicazioni
emerse in questo convegno.
La seconda linea di azione
concerne l’individuazione
di interventi attuabili a risorse
esistenti dal punto di vista organizzativo: con riferimento all’uf-
2)
84
ficio nel suo complesso e, all’interno di questo, alle singole sezioni,
e all’organizzazione del lavoro
del singolo giudice. Uno dei problemi più rilevanti che questo
gruppo si è trovato e si troverà ad
affrontare è quello della statistica
giudiziaria: anche nel nostro Tribunale, per motivi che ora è inutile ripetere (sinteticamente: farraginosità e disomogeneità del sistema, manuale e cartaceo, di rilevamento dei dati; scarso rilievo
attribuito alla tempestiva disponibilità dei dati quantitativi rispetto
alle decisioni di gestione delle risorse; ambiente culturale refrattario all’elaborazione dei dati e alla
ricerca di correlazioni significative tra più elementi, solitamente
raccolti nell’ambito di adempimenti vissuti come un inutile appesantimento burocratico),i rilievi
statistici finora sono risultati inaffidabili, disomogenei e scarsamente espressivi della realtà giudiziaria.
L’osservatorio si propone diffondere e far maturare una nuova
sensibilità verso l’importanza dei
dati quantitativi, quale base di verifica dell’andamento del servizio
giudiziario e degli interventi volti
a incidere sulle disfunzioni e gli
squilibri rilevati e di un sistema
di monitoraggio dei flussi giudiziari, da porre a presupposto di
qualunque corretta impostazione
dell’attività giurisdizionale dal
punto di vista organizzativo.
Al riguardo vi è di buono da segnalare l’avvio della informatizzazione delle cancellerie: a questo
scopo è stata ed è determinante
l’esperienza dei tirocini di formazione e orientamento previsti dalla legge 24 giugno 1997, n. 196 e
dal DM n. 142/98: lo svolgimento
dei tirocini (volti, tra l’altro, all’apprendimento delle attività di cancelleria, delle tecniche di gestione
dei procedimenti in carico alle
cancellerie in rapporto alle fasi di
sviluppo del processo, all’analisi
dei processi di servizio e reinge-
gnerizzazione degli stessi) ha
consentito di accelerare l’informatizzazione delle cancellerie grazie
al contributo dei tirocinanti, che
si è rivelato utilissimo: si tratta di
un’esperienza che dovrebbe essere diffusa il più possibile (come
auspicato anche dal Ministero
della Giustizia, Direzione Generale del personale e della Formazione con la nota del 21.11.2002
prot.1152). Da febbraio dovrebbe
anche avviarsi il sistema Polis, almeno in via sperimentale.
Sempre sotto il profilo organizzativo vi sono interventi a costo zero (a parte il costo in termini di
impegno e serietà) che si possono già ora attuare: se è scontata
l’esigenza di disporre di idonee risorse strutturali, deve essere altrettanto scontata la necessità di
sfruttare le risorse esistenti: sotto
tale profilo, le risorse a Firenze
sono già disponibili, ad esempio
per organizzare un archivio informatico dei precedenti di sezione
(di cui ora nessuna sezione dispone) ovvero per utilizzare una
base di dati per la gestione del
proprio ruolo (che invece è utilizzato solo dal 14 % dei giudici).
Inoltre solo il 32 % dei giudici ha
dichiarato che nella sezione di
appartenenza si svolgono le riunioni previste dall’art. 47 quater
della legge sull’ordinamento giudiziario ed anche questa è un’attività che non richiede particolare
necessità di beni materiali, ma solo impegno e sensibilità.
L’Osservatorio, come si è detto,
vuole essere anche a Firenze un
luogo di confronto e scambio con
il foro: vorrei sottolineare la importanza della collaborazione
con il ceto forense per l’attuazione delle prassi virtuose.
Pe fare un esempio: non è certo
ipotesi rara che in udienza si presentino “sostituti” ignari della vicenda posta all’esame del giudice
o che le parti non compaiano,
non per impedimento, ma per la
tendenza, rilevabile nell’atteggia-
mento di molti avvocati, a svalutare la loro comparizione personale: è quindi indispensabile
coinvolgere i difensori sin dall’udienza in cui viene stabilito l’incombente processuale futuro (ad
esempio, decisione sulle prove o
assunzione degli interrogatori liberi), avvertendo che la decisione
sulle istanze probatorie verrà
adottata in udienza ovvero stimolando la presenza delle parti per
chiedere chiarimenti o tentare la
conciliazione della lite. L’esperienza dimostra come spesso i difensori calibrino l’impegno e la
partecipazione all’udienza a seconda dell’atteggiamento del giudice e la preventiva informazione
circa le concrete modalità di trattazione della causa da parte del
giudice può avere, alla lunga, utili effetti.
L’insegnamento che può venirci
dall’esperienza degli ordinamenti
di common law (case management) può appunto suggerire il
coinvolgimento del foro (peraltro
difficilmente anticipabile, nel nostro modello processuale, prima
dell’udienza ex art. 180 c.p.c.),
auspicabile sin dalla fase preparatoria scandita dalle udienze
180/183, per la preventiva conoscenza da parte dei difensori del
modus procedendi seguito in
concreto dal singolo giudice (o
dalla sezione) e dell’impostazione
tendenzialmente predefinita della
trattazione per alcune tipologie di
cause (ad esempio, la pronuncia
di sentenza ex art. 281 sexies
c.p.c. o l’anticipazione della ctu
prima della decisione sulle istanze di prova, ove ne ricorrano le
condizioni).
A proposito della necessaria collaborazione con i difensori, vorrei
però sottolineare un punto critico: vi sono colleghi che sono tuttora diffidenti rispetto alla collaborazione con il foro: si tratta di
un atteggiamento molto più diffuso in passato e che tuttavia, almeno quanto ad alcune delle moti-
vazioni, presenta profili meritevoli di rispetto e comprensione: il
salto di mentalità consiste proprio
nel superare l’idea che la collaborazione implichi una contiguità
da guardare con sospetto perché
potrebbe minare l’imparzialità o
l’apparenza di imparzialità del
giudice per arrivare a concepirla
come un’indispensabile ruota per
far girare il processo nel senso
giusto, nel rispetto pieno del ruolo e delle funzioni di ciascun soggetto, in vista di valori condivisi.
Del resto, nessun sospetto dovrebbe, ragionevolmente, nascere
quando appaia con chiarezza che
l’atteggiamento di rispetto e collaborazione non è tenuto dal giudice nei confronti di un singolo avvocato, a scapito di un altro, ma
è, invece, l’abituale maniera di
porsi del giudice nei confronti di
tutti gli avvocati e della loro imprescindibile funzione difensiva,
spoglia di potestà giuridiche, ma
nobile nel fine e anche nei mezzi,
puramente intellettuali, necessari
ad esercitarla (noi magistrati siamo più portati a vedere le patologie, che sono, senz’altro, tante,
non lo nego; però quelle ci sono
anche in casa nostra, e le vediamo di meno)
questo proposito va
sottolineato come a
Firenze l’osservatorio
sia nato con il patrocinio del Consiglio
dell’Ordine e con il
coinvolgimento delle associazioni
A
di avvocati e credo che a questo
si debba il gran numero di adesioni avute per i gruppi di lavoro
e la disponibilità manifestata dal
foro per l’elaborazione di regole e
prassi condivise.
Nella prospettiva della collaborazione, particolarmente sentita come base dell’azione dell’osservatorio, il terzo gruppo di lavoro ha
elaborato un questionario da distribuire agli avvocati (a Firenze
gli iscritti all’Albo sono 2.900).
Il questionario ha lo scopo di raccogliere dati informativi per conoscere l’organizzazione degli
studi e in genere della professione, i dati sulle prassi del foro e
loro motivazioni, le valutazioni
del foro sulle prassi dei giudici
del tribunale e anche su quelle
degli ufficiali giudiziari e delle
cancellerie, in generale elementi
che consentano di conoscere le
esigenze degli avvocati, quindi il
loro punto di vista. Potrà essere
criticabile, potrà essere condivisibile, ma prima di tutto deve essere conoscibile.
Il questionario verrà distribuito
con il Foglio del Consiglio dell’ordine di Firenze di gennaio; dobbiamo ancora decidere se l’elaborazione dei datti sarà svolta dallo
stesso osservatorio o sarà necessario ricorrere ad esperti esterni.
Da ultimo segnalo che è in corso
di costruzione un sito internet
(indirizzo: osservatoriogiustiziacivile.firenze.it.), realizzato dalla regione Toscana: si sono posti problemi non tanto nella ideazione,
quanto nella gestione, come potete immaginare. Nell’ultima riunione dell’Osservatorio si è deciso di avvalersi anche dell’opera di
un tecnico che provveda all’inserimento dei dati e all’aggiornamento costante in base alle indicazioni dei responsabili. Speriamo di essere “operativi” da gennaio prossimo.
LUCIANA BREGGIA
per l’Osservatorio
sulla Giustizia civile di Firenze
85
L
M
PROPOSTE PER UN NUOVO
DISEGNO ORGANIZZATIVO
DEI SERVIZI GIUDIZIARI
DI AREA CIVILE
L’APPROCCIO ATTUALE.
LA MANCANZA
DI INTERVENTI EFFICACI
L’
inefficienza dell’organizzazione giudiziaria italiana è
ancora più evidente nel
confronto con la maggior parte
dei Paesi europei, nei quali la risposta giudiziaria appare più soddisfacente ai cittadini ed agli operatori, per tempi e qualità dei servizi.
Potrebbe essere utile approfondire la conoscenza dei modelli organizzativi europei, non per importare in modo automatico ed
acritico assetti diversi – che sono
coerenti con il sistema di provenienza e potrebbero non esserlo
con quello italiano –, bensì per
proporre moduli organizzativo/
giudiziari più efficienti, ma in armonia con il sistema giuridico
italiano, dalla Costituzione ai codici di diritto sostanziale e processuale.
Altro elemento essenziale, imprescindibile per un approccio efficace nella ricerca di soluzioni,
consiste nell’adottare una visione
finalmente e scientificamente sistemica.
Gli interventi proposti negli ultimi
due anni, specialmente per la giustizia civile, appaiono piuttosto
orientati a prendere in considerazione singoli aspetti, soprattutto
di carattere normativo-procedurale, per ottenere, con interventi sul
rito, automatici quanto improbabili effetti migliorativi del servizio.
Purtroppo, nessuna delle proposte di riforma recentemente avanzate (“Vaccarella”, mini-riforma
del processo civile, processo societario), in parte già approvate,
appare capace di generare sia pure indirettamente simili effetti.
Inoltre, sono rare le analisi del
complesso dei problemi organizzativi che generano inefficienza (1).
Prima di passare ad un tentativo
di ricerca di soluzioni attuabili nel
breve periodo e con un impiego
di risorse finanziarie contenuto, è
necessario accennare a due macro-variabili astrattamente capaci
di incidere sull’efficienza del sistema giustizia: eventuali modifiche alla geografia degli uffici giudiziari – revisione delle circoscrizioni – (2); diverso/maggiore impiego della magistratura onoraria.
Sulla prima questione, sembrano
(1) Un’eccezione è rappresentata dallo studio di S. Zan, Fascicoli e tribunali. Il processo civile in una prospettiva organizzativa, Bologna, 2003, che guarda all’organizzazione della giustizia nelle tre essenziali dimensioni tecnica, manageriale e istituzionale,
evidenziando la forte interdipendenza dei tre livelli e la necessità di interventi non settoriali e che considerino il sistema nella sua complessità; v. pagg. 101 e ss.
(2) D. Marchesi, in Litiganti, avvocati e magistrati. Diritto ed economia del processo
civile, Bologna, 2003, guarda ai problemi giudiziari in ottica interdisciplinare, da economista e da giurista, con prevalente attenzione ai profili macroeconomici; propone,
tra le misure capaci di introdurre efficienza nella giustizia, la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, pagg. 39 e ss.
86
sussistere molte resistenze (degli
ordini professionali, degli enti territoriali, etc.) e localismo, approcci che impediscono di vedere i
benefici ricavabili da una diversa
distribuzione geografica degli uffici giudiziari, che permetta di recuperare risorse e di reimpiegarle
in modo più efficiente: occorre
individuare un punto di equilibrio
tra costi ed esigenza di visibilità
delle strutture giudiziarie.
a un lato, deve essere garantito e facilitato l’accesso
dei cittadini alla giustizia e
deve essere assicurata la presenza
dello Stato in aree del Paese caratterizzate da gravi problemi socio-economici o elevato tasso di
criminalità e di conflittualità.
D’altra parte, i costi di esercizio di
strutture troppo esigue, in rapporto al “prodotto” giudiziario
erogato, appaiono una sorta di
“privilegio” non sostenibile. Tribunali che vivano più del proprio
mantenimento – con prevalenza
di carico per gli uffici ad evidenza
interna, quali economato, personale, amministrazione, etc. – che
del servizio orientato all’esterno –
cancellerie per il processo, certificazioni, servizi all’utenza, etc. dovrebbero essere seriamente
analizzati e dovrebbero esserne
verificate le ragioni di mantenimento in funzione.
Quanto alla magistratura onoraria, numerosi sistemi giuridici europei la prevedono accanto a
quella professionale.
Nel sistema italiano, occorrerà valutare criticamente la reale necessità di spostare ulteriore parte del
carico giudiziario sulla magistratura non professionale; tale scelta
D
potrebbe condurre, paradossalmente, ad un incremento del contenzioso, nella speranza che un
giudice non togato appaia meno
rigoroso e selettivo di quello professionale e che, anche in presenza di scarse ragioni “per contendere”, possa risultare conveniente
esperire un tentativo (3).
LA PROGETTAZIONE DI NUOVI
ASSETTI ORGANIZZATIVI
PER LA GIUSTIZIA CIVILE
C
on riferimento ai servizi civili, volendo adottare un
orientamento pragmatico, ricercare soluzioni raggiungibili nel
breve periodo e tenere conto della scarsità delle risorse disponibili,
sarebbe necessario individuare:
1. in generale, figure professionali adeguate, rispetto
ai bisogni attuali degli uffici giudiziari;
2. un nuovo disegno organizzativo dei servizi, che tenga
conto della progressiva informatizzazione degli stessi e
che punti alla soluzione del
riparto di competenze direzionali al vertice dell’ufficio giudiziario;
3. modalità serie di riqualificazione del personale, che
consentano di rispondere a
tali bisogni, gratificando il
personale che possieda requisiti culturali e professionali
meritevoli di riconoscimento;
proposta di istituzione del
Rechtspfleger/funzionario
giudiziario;
4. una adeguata redistribuzione delle risorse esistenti,
(3) La questione della magistratura onoraria è, ovviamente, molto più ampia e complessa; il presente elaborato si
sofferma maggiormente sulle figure professionali amministrative.
(4) Anche tale tema non è possibile approfondire, nell’economia del presente lavoro; la questione della redistribuzione
delle risorse esistenti coinvolge soprattutto le responsabilità
del Ministero della Giustizia; quella di eventuali maggiori stanziamenti finanziari è da spostare sul piano politico, non es-
non disgiunta, possibilmente,
da una maggiore effettiva disponibilità di mezzi finanziari per la giustizia, considerato
che, dell’apparente incremento annuale – minimo – di
stanziamenti, la maggior parte viene assorbita dai capitoli
per stipendi ed interventi sulle
strutture giudiziarie (4).
1. Figure professionali adeguate,
rispetto ai bisogni attuali
degli uffici giudiziari
G
li uffici giudiziari sono caratterizzati da notevoli vuoti
di organico (in misura più
consistente nel Nord del Paese) e
occorrerebbe altresì riqualificare
le risorse interne; tuttavia, una immissione di forze indistinte non
avrebbe alcuna efficacia; occorrerebbe preventivamente stabilire
in quale direzione muovere, quali profili e qualifiche siano
maggiormente necessari oggi agli
uffici giudiziari.
Tralasciando, nella presente disamina, i fabbisogni delle strutture
ministeriali, centrali o periferiche
(5), occorre considerare che agli
uffici giudiziari, oltre al lavoro più
strettamente collegato a quello
giurisdizionale, vengono attribuite progressivamente sempre nuove competenze.
In tal senso, più che riempire i
vuoti di organico di personale a
competenza “giudiziaria”, parrebbe necessario sostenere maggiormente l’impianto organizzativo generale dell’ufficio, dotando almeno gli uffici di vertice distrettuale di un adeguato
numero di appartenenti ai profili
sendo una variabile disponibile da parte dell’apparato amministrativo.
(5) È di palmare evidenza che l’assetto interno specifico dei servizi ministeriali può condizionare anche notevolmente l’efficienza
degli uffici giudiziari; ciò prescinde, tra l’altro, dagli indirizzi politici, considerato che l’“apparato” è impermeabile ai mutamenti politici, se si esclude il livello dei dirigenti generali, i soli, in fatto, ad
essere soggetti al sistema dello spoils system. Per economia del presente elaborato, si circoscrive l’osservazione agli uffici giudiziari.
87
specializzati che possano essere
di utilità per tutti gli uffici del distretto:
– analisti di organizzazione: data
la complessità dell’organizzazione giudiziaria, almeno a livello distrettuale, andrebbe valutata l’opportunità di prevedere tale profilo, che potrebbe
esercitare un ruolo di consulenza interna in caso di riorganizzazione dei servizi, di entrata in vigore di nuove norme,
così come per redistribuzione
interna delle risorse, etc. (6);
– contabili: per le attività amministrativo/contabili, contrattuali
e del funzionario delegato; le
loro competenze potrebbero
essere altresì impiegate per gestire taluni aspetti della fiscalità
degli atti giudiziari e per gli
adempimenti del già citato T.U.
Spese di Giustizia;
– statistici: non solo per i compiti
affidati alla periferia dalla Direzione Generale di Statistica, o
dal Procuratore Generale per la
stesura della relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, ma altresì per sostenere i
capi degli uffici nella elaborazione tabellare (7), per dare
supporto alle rilevazioni connesse alle ispezioni periodiche,
per collaborare con il vertice
dell’ufficio in caso di riorganizzazione dei compiti o delle
unità organizzative interne, fornendo dati di carico; più in ge-
nerale, per sostenere gli uffici
nell’attività di cura e “buona tenuta” delle basi di dati informatiche;
– informatici: è una prospettiva
che potrebbe fare ridurre i costi
dell’assistenza esterna: numeri
adeguati di tecnici presso gli
uffici permetterebbero di limitare l’acquisizione di servizi in
outsourcing (8);
– bibliotecari, traduttori…: forse,
meno rilevanti ai fini che qui
interessano, anche se, quanto
ai traduttori, potrebbe valutarsi
l’opportunità di disporre di
qualche specialista per distretto, per tutti gli scambi “internazionali”, sia giudiziari (carteggi
delle rogatorie e delle estradizioni; impiego nelle udienze
quali interpreti, al posto del
personale esterno, etc.), sia
amministrativi (bandi delle istituzioni internazionali e altro
carteggio in lingua straniera),
che sono sempre meno occasionali.
Una revisione di organico degli
uffici giudiziari dovrebbe, in ogni
caso, tenere conto delle prospettive di decentramento del Ministero, recentemente rilanciate e viste
con favore anche dagli operatori
appartenenti all’Amministrazione:
se ben attuato, l’avvicinamento alla periferia della sede delle decisioni sul riparto delle risorse umane e materiali dovrebbe costituire
un fattore di maggiore efficienza.
(6) Oggi, tale ruolo, presente in alcuni CISIA (Coordinamenti
Interdistrettuali per i Sistemi Informativi Automatizzati), in Direzione Generale Sistemi Informativi Automatizzati e in altre aree
del Dipartimento Organizzazione Giudiziaria, appare “ad esaurimento”: molti analisti hanno preferito optare per il lavoro di ricerca o per altre Amministrazioni.
(7) A Milano, il Consiglio Giudiziario ha istituito la Commissione Flussi, nella quale sono stati coinvolti anche i funzionari
statistici distrettuali e il dirigente CISIA, per definire modelli di
rilevazione del carico di lavoro e dell’organizzazione degli
uffici, che dovranno accompagnare le proposte tabellari formulate dai capi. In tal modo, il Consiglio dovrebbe essere
posto in condizione di esprimere il proprio parere sulle tabelle disponendo di un discreto patrimonio di dati conoscitivi. È questo un caso di positiva e finalizzata cooperazione
tra soggetti e organi appartenenti alla giurisdizione e soggetti
88
Molte delle figure sopra elencate,
ove venga attuato il decentramento, potrebbero trovare adeguata
collocazione negli uffici ministeriali periferici dell’organizzazione
giudiziaria.
2. Nuovo disegno organizzativo
dei servizi
P
reliminarmente, appare opportuno evidenziare l’illusorietà di proposte orientate
prevalentemente al c.d. ufficio
del giudice, quale possibile rimedio all’attuale crisi organizzativa
giudiziaria.
La qualità del supporto che i magistrati sentono di ricevere dall’apparato amministrativo, allo
stato, appare scarsa o nulla.
Tuttavia, l’ufficio del giudice, per
costituire un ausilio efficace al lavoro del magistrato, è istituto che
andrebbe meglio definito, ma, soprattutto, dovrebbe essere introdotto unitamente ad altre modifiche organizzative, alle quali si
farà cenno di seguito.
In particolare, sull’ufficio del giudice delineato nel c.d. “emendamento Caruso” al disegno di legge sull’ordinamento giudiziario,
possono essere svolte alcune
considerazioni:
1. Il disegno C4636, all’art. 9,
descrive una figura ibrida, che
oscilla tra il ricercatore universitario di elevato livello culturale e il segretario personale,
dell’amministrazione. Anche la prospettiva del futuro “cruscotto” per la valutazione della produttività dei magistrati potrebbe costituire nuova materia per la figura dello statistico,
oltre che per nuove esperienze collaborative tra professionalità diverse.
(8) È una problematica notevole, da approfondire: occorrerebbe poter “fidelizzare” e motivare le risorse umane specializzate,
poiché le retribuzioni di pubblica amministrazione non sono incentivanti per professionalità – ingegneri e laureati in informatica – che trovano migliore collocazione di ruolo e sistemazione stipendiale più adeguata nel mondo del lavoro privato; vi
sono, altresì, i costi per l’aggiornamento di profili che hanno un
know how che diviene obsoleto in tempi rapidissimi, etc. Certamente, può essere trovato un maggiore equilibrio rispetto all’attuale distribuzione tra interni ed esterni all’Amministrazione
in tale settore.
2.
3.
4.
5.
al quale si chiede di alleviare il
magistrato “da tutti gli incombenti che non riguardino lo
stretto esercizio della funzione
giurisdizionale”.
La professionalità in questione
viene proposta solo in via sperimentale, con assunzione a
tempo determinato – con la
prospettiva di istituire, in buona sostanza, una nuova forma
di precariato –.
Il numero degli assunti previsto – 2.250 – non permette una
copertura nemmeno dei fabbisogni legati alla sola magistratura civile. Crea altresì profili
problematici rispetto alle future valutazioni di produttività
del giudice: si dovrà tenere
conto, e in che modo, dell’assegnazione degli “ausiliari”,
nei confronti dei giudici che se
ne avvantaggiano? A tale riguardo, appare significativa la
discrezionalità della quale dispone il Presidente della Corte
nell’assegnazione degli ausiliari, anche se è previsto che sia
sentito il Consiglio Giudiziario
e che l’assegnazione avvenga
soltanto su richiesta espressa.
La stipulazione dei contratti
per l’assunzione e la gestione
amministrativa degli ausiliari
diviene una nuova competenza alla quale le Corti (recentemente già poste in discreto affanno dagli adempimenti connessi al T.U. Spese di Giustizia) dovranno fare fronte.
Stante la modalità di selezione
e la temporaneità del rapporto
con l’Amministrazione della
giustizia (rectius, con il singolo Distretto giudiziario), il vincolo di segretezza sugli atti conosciuti nell’esercizio della attività appare una ben scarsa
garanzia per tutelarsi rispetto
alla possibilità di introdurre
soggetti “non pienamente affidabili”, affiancandoli a coloro
che esercitano la delicata funzione giurisdizionale.
6. La figura verrebbe sottratta all’ordinario inquadramento del
personale, venendo posta
“sotto la diretta responsabilità
del magistrato” e creando
quantomeno una disarmonia
nel quadro dell’organizzazione generale del personale e
potenziali elementi di conflittualità interna all’ufficio giudiziario.
Appare necessario, altresì, tenere
conto della effettiva scarsità di risorse, anche strutturali (spazio fisico negli uffici e postazioni di lavoro minimamente adeguate),
che non sembrano consentire di
dotare di assistenza amministrativa individuale tutti i singoli magistrati, almeno non nel breve periodo (9).
È possibile lasciare temporaneamente impregiudicata la questione del contenuto da dare ad una
eventuale figura di assistente giuridico dotato di elevata preparazione culturale, ma soprattutto è
opportuno lasciare al dibattito dei
magistrati la definizione di tale
contenuto e le proposte, che dovranno successivamente essere
inquadrate in un sistema complessivo di interventi, coinvolgendo nella discussione gli altri “attori” della giustizia.
Piuttosto, a chi scrive sembra più
urgente e più realistico agire nell’ambito delle risorse disponibili e
ricercare metodologie innovative
di lavoro per le cancellerie, capaci di apportare benefici in breve tempo.
Muovere, ad esempio, verso l’ufficio per il processo, prima che
verso l’ufficio del o per il giudice,
(9) Si potrebbe richiedere ai Comuni di mettere a disposizione un
numero maggiore di strutture per la giustizia, ma, coloro che hanno una minima esperienza di “commissioni manutenzione”, sanno
bene quale resistenza oppongano oggi gli enti locali a qualsiasi
permetterebbe di guardare al lavoro giudiziario in modo più integrato e coerente con tutti i bisogni ai quali l’ufficio deve oggi rispondere.
Un primo passo in tale direzione
sarebbe rappresentato dalla revisione dei compiti della cancelleria, distinguendoli tra quelli più
tradizionali e quelli di maggiore
prossimità con il giudice, che per
ora si potrebbero enucleare come
segue, riservando ad un dibattito
più ampio la ricerca di più efficaci definizioni:
area del trattamento degli atti in generale e delle relazioni con l’utenza:
– iscrizione a ruolo, ricezione di
ricorsi, depositi, istanze, etc.;
inserimento nei rispettivi fascicoli; tenuta dell’archivio;
– gestione delle correlate interazioni con parti e avvocati
(che dovrebbero progressivamente ridursi grazie a Polis
Web, sistema informatico di
accesso diretto degli avvocati
alle basi di dati di area civile
dell’ufficio giudiziario, senza
necessità di intermediazione,
presente in alcune sedi giudiziarie; tali scambi si ridurranno ulteriormente, con la
futura diffusione del processo
telematico, in sperimentazione attualmente presso sette tribunali, individuati quali “sedi pilota”);
– trattamento informatizzato dei
dati connessi ai depositi documentali;
– qualifiche adeguate: secondo
disponibilità; ideale sarebbe la
disponibilità di una figura di
funzionario elevata (C2), per
coordinare e sostenere il lavoro di tutto il “gruppo” (per poter puntare al team building;
v. oltre);
A.
spesa per i palazzi di giustizia (anche quelle indispensabili: adeguamenti al decr. leg.vo 626/94, o per riparazioni urgenti, etc.),
considerato che anche tali soggetti pubblici hanno visto di molto
ridotte le proprie disponibilità finanziarie negli ultimi anni.
89
– riqualificazione necessaria: incrementare le conoscenze informatiche del personale appartenente ai diversi livelli
(10), specialmente sugli applicativi SICC Sistema Informatico
del Contenzioso Civile (area
dell’inserimento e trattamento
dei dati; area della consultazione), Polis (area della pubblicazione/post-produzione
dei
provvedimenti), Polis Web; migliorare la cultura della comunicazione (11).
area della preparazione/gestione preventiva e
successiva dell’udienza (hearing management, l’organizzazione dell’udienza; da inquadrare
all’interno della cancelleria della
sezione e, quindi, ancora coordinata dal funzionario, ma “dedicata” all’assistenza dei magistrati
della sezione - a rotazione, al bisogno, prevedendo calendari delle rispettive udienze che consentano di seguire tutti, secondo le
possibilità concrete):
– controllo documentale e delle
notifiche, preparazione e consegna del fascicolo al giudice,
etc.;
– organizzazione delle citazioni
(se e quando le norme di procedura lo consentono, stabilendo orari distinti per blocchi di
procedimenti, secondo la complessità degli stessi, etc.);
B.
– assistenza e verbalizzazione
udienza (tenendo conto delle
disponibilità concrete);
– produzione di copie (si dovrebbe presumere che tali figure dispongano di maggiore cognizione delle carte processuali);
– assistenza al magistrato per la
verifica che i dati nel sistema
informativo civile siano adeguati, per poter redigere la
sentenza con preintestazione
automatica (grazie al sistema
Polis);
– qualifiche adeguate: B3 (o
prossima);
– riqualificazione
necessaria:
incrementare le conoscenze
informatiche del personale appartenente alla qualifica B3,
specialmente su SICC (area
della consultazione e dell’aggiornamento del registro informatizzato), Polis (area della
produzione documentale).
Peraltro, si osservi che l’enucleazione delle competenze sopra descritte non può apparire, ai conoscitori degli attuali ruoli e mansioni del personale, come “rivoluzionaria” o eversiva”: si tratta soltanto di orientare in modo più definito e netto le risorse umane, di
renderle coscienti degli obiettivi
che
dovrebbero
conseguire,
creando due distinti indirizzi interni alla cancelleria, senza fare
perdere l’unitarietà della struttura
(10) Il contratto collettivo integrativo del personale del Ministero della Giustizia per gli anni 1998-2001, prorogato, prevede, all’art. 20 co. 2, che “a prescindere da quanto specificamente previsto per determinati profili professionali, tutti i dipendenti, ad
eccezione di quelli inquadrati nel settore della professionalità
giudiziaria, area funzionale A, posizione economica A1 [=commessi e autisti] sono tenuti ad avvalersi, nell’espletamento delle
mansioni affidate, della strumentazione informatica in dotazione
all’ufficio, nel rispetto del decr. leg.vo n. 626/94 e della legge
1204/71”.
(11) L’istituzione degli Uffici Relazioni con il Pubblico non ha
trovato in ambito giudiziario la risposta da molti attesa; con l’eccezione di Genova, poche sedi dispongono di un vero e proprio
URP, rispondente alla normativa in materia, dalla legge 241/90
sulla trasparenza amministrativa, alla legge 150/2000 sulle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni; poche dispongono di personale qualificato.
Peraltro, il lavoro delle cancellerie è di natura giudiziaria, in gran
parte sottratto alla applicabilità della legge 241/90, come sanci-
90
e senza sottrarla al vertice organizzativo, ma con l’impegno di
garantire entrambe le tipologie di
servizi.
Contestualmente, occorrerebbe
promuovere ad ogni livello il lavoro di squadra, attraverso il
team building, la creazione di
uno spirito di gruppo, che richiede un presidio costante di figure
di vertice organizzativo formate
agli strumenti di management. Il
personale viene organizzato in
gruppi di lavoro, che operano
con precisi obiettivi loro assegnati, possibilmente per progetti, e
viene motivato e formato in una
attività costante di coaching (letteralmente “allenamento”) da parte del dirigente.
È una modalità estremamente impegnativa per le figure di vertice,
soprattutto nelle situazioni nelle
quali sia scarsa la dotazione di
“quadri” e nei grandi uffici.
Tuttavia, è una modalità di conduzione delle organizzazioni che
ha ritorni certi, in termini di conseguimento degli obiettivi.
La direzione delle singole cancellerie prospetta il problema del
raccordo con l’art. 47 quater del
decr. leg.vo 51/98 sull’istituzione
del giudice unico; la funzione di
vigilanza riservata da detta norma
al presidente di sezione non può
essere intesa nel senso che il presidente determini i destini del
to dai decreti ministeriali 540/95, regolamento di attuazione della legge 241/90 per i procedimenti di competenza degli organi
dell’Amministrazione della giustizia, e 115/96, sui documenti
stabilmente formati o detenuti dal Ministero della Giustizia e
dagli organi periferici sottratti al diritto di accesso.
Sarebbe, pertanto, più efficace pensare ad un “URP diffuso”,
cioè a cancellerie tutte in grado di porsi come uffici relazioni
con il pubblico, più che ad un ufficio centralizzato, che poco
potrebbe dire o fare per il cittadino/utente, se non indirizzarlo
alla cancelleria del giudice competente per il procedimento che
lo riguarda.
Diversa è la progettazione all’interno degli uffici giudiziari di
punti informativi informatizzati con il sistema Polis Web, che
permette a ciascun avvocato (non ancora al singolo cittadino) di
accedere alle proprie cause, previa verifica automatica della sua
identità con utilizzo di nome/utente e password; i punti sono assistiti, ma è sufficiente un presidio minimo, poiché l’utente effettua autonomamente le proprie ricerche nell’archivio civile
informatico del tribunale o della corte d’appello.
personale assegnatogli fuori da
qualsiasi logica di confronto.
Un approccio cooperativo con i
funzionari permetterà al presidente di disporre di maggiori e
più curate informazioni (il presidio sul trattamento/gestione dei
dati attualmente è molto spostato
sulle figure amministrative dalla
normativa sulla tenuta informatizzata dei registri, D.M. 264/2000 e
D.M. 24/5/2001), nonché di raccordare fra loro l’impiego delle risorse amministrative e quello delle risorse giurisdizionali, per il miglioramento della produttività e la
riduzione dei tempi di definizione
dei procedimenti.
Le ultime considerazioni rimandano alla questione del vertice organizzativo dell’ufficio ed al nodo, non ancora risolto, della dirigenza degli uffici, anche perché
l’esigenza della cooperazione tra
area giurisdizionale e area amministrativa si pone ancora più nettamente passando al piano della
direzione complessiva dell’ufficio
giudiziario.
Un momento significativo, in tal
senso, è rappresentato dalla predisposizione delle c.d. tabelle, il piano organizzativo del lavoro giurisdizionale, secondo indicazioni
fornite in apposite circolari dal
Consiglio Superiore della magistratura: un piano tabellare predisposto in solitudine dal capo magistrato, senza tenere conto delle
forze disponibili e della necessità
di garantire anche la produzione
dell’ufficio richiesta da una serie di
norme di natura più strettamente
amministrativa, lascerebbe scoperti alcuni obiettivi imprescindibili
per l’ufficio giudiziario.
La complessità di tale tema in ambito giudiziario discende dalla
compresenza di un capo magistrato, dotato di prerogative e
guarentigie costituzionali di autonomia e di non interferenza da
parte dell’apparato ministeriale, e
di un dirigente amministrativo, figura definita dal decr. leg.vo
29/93 e successive modifiche, fino al decr. leg.vo 165/2001, nuovo “testo unico” del personale
delle pubbliche amministrazioni,
dirigenza inclusa.
Il dirigente amministrativo risponde della propria “attività di direzione”, secondo la normativa sul
controllo di gestione – decr.
leg.vo 286/99 – e viene valutato
annualmente secondo i risultati
conseguiti.
In realtà, poiché la titolarità dell’ufficio è in capo al magistrato dirigente, il vertice amministrativo
risponde per una gestione non
necessariamente/interamente propria, soprattutto nelle ipotesi nelle
quali non riesca a “conquistare”
degli spazi direzionali o questi
non gli vengano riservati discrezionalmente dal capo magistrato.
Tutto ciò è poco rispondente alle
norme e poco efficiente.
Come lucidamente ha sostenuto
il prof. Zan, in ambito giudiziario
è chiaramente avvertibile una
sorta di deresponsabilizzazione
nella conduzione degli uffici giudiziari (12).
Potrebbe rilanciarsi la funzione di
(12) S. Zan propone quale soluzione all’accennato problema, alternativamente, o di “acquisire competenze manageriali (pubbliche) dall’esterno…” o di specializzare “attraverso appositi percorsi di formazione … alcuni giudici alla funzione manageriale
che comunque dovrebbe essere svolta, almeno temporaneamente, a tempo assolutamente pieno”, op. cit., pagg 114-115.
Meriterebbe, peraltro, di essere valorizzato il patrimonio conoscitivo dei dirigenti amministrativi giudiziari, in gran parte ex
funzionari, pertanto in possesso degli specifici meccanismi operativi, formati alle procedure, ma anche al senso di eticità che si
respira in ambito giudiziario, nonché dotati dello strumentario
manageriale più moderno, per la formazione gestionale/organizzativa della quale sono stati destinatari in anni recenti.
organizzazione/direzione degli
uffici proprio riservando un effettivo e definito spazio gestionale al
dirigente amministrativo giudiziario, anche per ricondurre tale figura al complesso delle regole di
diritto amministrativo vigenti per
l’area della dirigenza pubblica.
Si propone uno scenario che potrebbe fare salva la titolarità dell’ufficio giudiziario al capo magistrato, ampliando, contemporaneamente, la sfera delle attività
dirigenziali/gestionali del dirigente amministrativo:
– riservare al capo dell’ufficio
l’organizzazione tabellare, il
lavoro dei giudici e tutto ciò
che abbia stretta attinenza con
lo jus dicere;
– riservare al dirigente amministrativo l’organizzazione e la
gestione delle risorse umane e
materiali, con le correlate responsabilità e con l’impegno di
garantire alla giurisdizione tutto il supporto necessario, in relazione alle risorse disponibili;
– formalizzare tale impegno in
un progetto annuale di organizzazione dell’ufficio, negoziato e concordato tra capo e
dirigente, definendo gli obiettivi e le modalità di massima
della loro attuazione (13);
– prevedere, per il caso di conflitti, la composizione attraverso
un soggetto arbitro, che garantisca l’equilibrio delle componenti giurisdizionale ed amministrativa (parità delle rappresentanze di CSM e Ministero)
(14).
(13) Le modalità di attuazione del citato decreto 286/99, sul
controllo di gestione nell’ambito dell’amministrazione della giustizia, già attualmente prevedono un tale strumento di raccordo.
(14) È una ipotesi che qui viene proposta a titolo del tutto personale da chi scrive, per cercare un punto di conciliazione tra i
principi che governano le due distinte aree giurisdizionale ed
amministrativa e tradurre concretamente in un riparto di competenze capace di produrre maggiore efficienza organizzativa; è
facile immaginare che ai magistrati possa apparire troppo spostata a vantaggio dell’area della dirigenza amministrativa, mentre ai dirigenti amministrativi possa sembrare troppo “timida”.
Invero, non è una prospettazione del tutto nuova, poiché si po-
91
L’impianto organizzativo sopra
descritto permetterebbe di assimilare maggiormente il dirigente
amministrativo al court manager
di molti Paesi europei, con competenze e responsabilità gestionali proprie, distinte da quelle del
magistrato dirigente dell’Ufficio
giudiziario.
Inoltre, la necessità di esercitare
un coaching continuo nei confronti del personale e l’applicazione delle regole sul controllo di
gestione avvalorano l’ipotesi della
necessità di una riserva di competenza direzionale autonoma al dirigente amministrativo nella gestione delle risorse umane e materiali degli uffici giudiziari.
3. Riqualificazione
del personale e proposta
di introduzione
del Rechtspfleger
I
l concetto di riqualificazione è
stato già richiamato a proposito della proposta di ridefinizione dei compiti della cancelleria in
una sorta di doppio binario.
Una più radicale forma di riqualificazione, da riservare ai funzionari laureati, appartenenti almeno
al livello C2, potrebbe essere
orientata alla istituzione di una figura nuova per il nostro ordinamento, capace astrattamente di
apportare maggiore efficienza
agli uffici giudiziari: l’istituzione
del “funzionario giudiziario”,
equivalente al Greffier francese,
al Rechtspfleger tedesco e austriaco, al secretario judicial di cui al-
la recente riforma dell’ordinamento spagnolo, secondo un modello, tra l’altro, riconosciuto dal
Consiglio d’Europa quale possibile strumento di deflazione del carico giurisdizionale, in piena armonia con la raccomandazione
(R)86/12, che suggerisce agli Stati
aderenti di ricercare misure per
contenere le procedure da assegnare ai magistrati (15).
Le competenze attribuite a tale tipologia di funzionario hanno natura “paragiurisdizionale”, si trovano un po’ al confine tra ciò che
è di spettanza del magistrato e ciò
che è riferibile al cancelliere.
In Germania e Austria tale figura
decide e firma (non solo prepara
provvedimenti o li istruisce) in
materia di:
– ingiunzioni di pagamento;
– esecuzioni civili;
– esecuzioni penali;
– alcune aree di volontaria giurisdizione (ad esempio, la materia successoria; inoltre, il registro delle società, i registri immobiliari (16)).
Le procedure dei paesi che hanno tale istituto prevedono una distinzione molto netta tra la fase
contenziosa e quella precedente
o successiva, essendo in ciò il discrimine della competenza rispetto ai magistrati togati; inoltre,
il Mahnbescheid, che corrisponde al decreto ingiuntivo del sistema italiano, viene emesso sulla
base della presentazione di una
adeguata documentazione; non
si fa riferimento a “valutazione di
prove”.
ne sullo stesso piano del c.d. “accordo La Greca”, sottoscritto da
rappresentanti della magistratura, del personale e del ministero
nel gennaio 1997 e rimasto inattuato.
(15) È del tutto diversa la figura descritta nel disegno di legge
S2457, presentato dal Sen. Magnalbò, sul “funzionario giudiziario”, una sorta di miscuglio tra le competenze Rechtspfleger europeo, l’ufficio del giudice e il ruolo della vicedirigenza, che, ex
art. 17 bis del decr. leg.vo 30.3.2001 n. 165 sull’ordinamento del
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, si
estende anche “al personale non laureato che, in possesso degli
altri requisiti richiesti, sia risultato vincitore di procedure concorsuali per l’accesso alla ex carriera direttiva anche speciale”;
92
L’introduzione nell’ordinamento
di un tale istituto consentirebbe di
dare soddisfazione alle aspirazioni di parte del funzionariato più
legato alle competenze giudiziarie, che non a quelle organizzative, e richiederebbe probabilmente alcuni adattamenti normativi
nei codici di procedura.
Ovviamente, occorrerebbe un
approfondito studio e la definizione delle competenze dovrebbe essere prodotta in accordo fra
tutte le componenti del sistema
giustizia (magistratura, avvocatura, rappresentanze del personale amministrativo, inclusa la
dirigenza, ministero), nonché
con la consulenza del mondo
accademico.
LA CIRCOLAZIONE
DELLE “BUONE PRATICHE”.
L’EFFICIENZA GIUDIZIARIA
E IL SENSO
DELL’ETICITÀ PUBBLICA
S
i richiama, infine, la questione della circolazione delle
“buone pratiche”, quale ulteriore elemento capace di apportare efficienza.
Vi sono, già oggi, situazioni di
buon funzionamento dei servizi
giudiziari, in alcune aree territoriali o in singole strutture, delle
quali vi è scarsa conoscenza, perchè non esistono luoghi e soggetti preposti alla raccolta e diffusione di tali informazioni.
Qualcosa si apprende nei pochi
momenti formativi, o nei conve-
ancora, contiene la previsione di una sorta di promozione automatica di tale “funzionario giudiziario” alla dirigenza di seconda
fascia, in deroga alle norme ordinarie sull’accesso a quest’ultima, contenute nel citato decr. leg.vo 165/2001, senza verifica
della effettiva professionalità conseguita. Di qualche interesse è
la lista delle competenze immaginate per il funzionario giudiziario agli artt. 8 e 9 del disegno citato, da approfondire e verificare se adeguati per una ipotesi di “Rechtspfleger italiano”.
(16) Gli ultimi riferimenti rendono evidenti le differenze ordinamentali: nel sistema giuridico italiano, il registro delle società
è affidato alle Camere di Commercio, mentre quelli immobiliari
sono di pertinenza dell’autorità finanziaria.
gni, ma si tratta di scambi informali e sporadici.
Vi è ancora poca circolazione,
poca conoscenza delle prassi virtuose, poichè non esistono luoghi
e soggetti preposti alla raccolta;
qualcosa si scambia nei momenti
formativi, ma si tratta di scambi
informali; l’istituzionalizzazione è
sempre pericolosa, può aumentare i livelli di burocrazia, tuttavia,
non può continuare ad essere casuale e sporadica la conoscenza
di esperienze positive che meriterebbero di essere diffuse e praticate su più larga scala.
n un momento storico nel quale imperversa la parola d’ordine della privatizzazione, sembra, altresì, opportuno fare riferimento ad un valore che, nella crisi attuale della giustizia, costituisce un punto di forza ad effetto
“unificante”: il senso etico insito
nel fatto di prestare un pubblico
servizio, elemento certamente
condiviso da molti operatori della
giustizia, indipendentemente dal
tipo di professionalità.
Sembra un aspetto dimenticato,
qualcosa che può sembrare coerente con le vecchie lezioni di
educazione civica delle scuole
medie di tanto tempo fa.
Al contrario, vi è ancora tutta e
piena la forza degli artt. 97 e 98
della Costituzione.
L’accostamento tra principio del
I
buon andamento e criterio di imparzialità – art. 97 – al quale deve
ispirarsi l’attività della pubblica
amministrazione (inclusa l’amministrazione giudiziaria) impone
un approccio attento al problema
dell’efficienza, che non può essere fine a se stessa e perfettamente coincidente con una visione
puramente economicistica. Sotto
un certo profilo, i citati principi
impongono anche qualche sacrificio in più, un impegno addirittura maggiore, ma il vantaggio è
nel fatto che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della
Nazione” – art. 98 – (privilegio
che i lavoratori privati non possono condividere, essendo alle
dipendenze di un privato imprenditore).
Fare leva su tali principi e valori
potrebbe risultare motivante, per
un rilancio dell’efficienza in ambito giudiziario, perché la porrebbe
dentro una visione etica.
Si tenga altresì in conto che, in
certi raffronti, il “pubblico” esce
vincente sul privato.
Da un lato, le grandi imprese vanno “burocratizzandosi” in modo
sempre più accentuato, a discapito dei singoli lavoratori, che,
soprattutto ai livelli meno elevati
di inquadramento professionale,
perdono il contatto con gli obiettivi, con la mission d’impresa.
Si pensi, poi, allo spirito impren-
ditoriale necessario a magistrati,
funzionari e dirigenti amministrativi per condurre una qualsiasi
(“normale”) giornata di vita giudiziaria, per garantire i servizi essenziali all’utenza, l’assistenza minima alle udienze, la ricezione
degli atti, la risposta alle richieste
dei più diversi soggetti, tutto ciò
in mezzo a gravissime carenze
strutturali e di risorse.
on sembra che tali aspetti
siano sufficientemente valorizzati: fanno notizia i grandi processi, le questioni familiari
particolari; la stampa si sofferma
sui soli fatti idonei a “bucare gli
schermi”.
Non fa notizia la capacità di molte persone, che operano nei vari
palazzi di giustizia del Paese, di
sapere anche solo fronteggiare i
bisogni e gli obblighi del servizio,
in modo collaborativo, fra loro e
verso i cittadini, in condizioni
estremamente precarie e con dotazioni di risorse progressivamente ridotte, con l’ovvia conseguenza che, a causa di strumenti tanto
carenti, gli utenti rimangano per
ora alquanto insoddisfatti.
N
DANIELA INTRAVAIA
Dirigente Informatico
Coordinamento Interdistrettuale
Sistemi Informativi
Automatizzati di Milano
Ministero della Giustizia
Direzione Generale
Sistemi Informativi Automatizzati
93
L
M
RELAZIONE CONCLUSIVA
DEL CONVEGNO DI ROMA
1.
Rispetto ad un dibattito
che è stato così ricco ed
intenso sarebbe fuori luogo tentare di tracciare
delle conclusioni. Mi limiterò pertanto, anche per
ragioni di tempo, a poche considerazioni, scusandomi sin da ora
per il loro carattere disorganico e
frammentario.
Intendo esprimere innanzi tutto,
un ringraziamento agli animatori
della tavola rotonda, che hanno
dimostrato come sia ancora possibile portare avanti un dialogo
proficuo e costruttivo esponendo
con serenità le proprie opinioni
anche quando – com’è naturale –
esse non sono del tutto convergenti, e facendo toccare con mano che il parlarsi senza pregiudizi
giova a individuare con maggior
chiarezza le questioni su cui si è
d’accordo oltre che a ridurre le distanze anche rispetto ai contrasti;
ai relatori ed agli interventori i
quali – talora anche rinunciando,
al pari dei partecipanti alla tavola
rotonda, ad altri impegni: e di ciò
siamo loro ancora più grati – si
sono avvicendati nella giornata di
ieri portando un importante contributo di conoscenza, di analisi e
di proposte sui temi del convegno; ai partecipanti tutti, molti dei
quali non hanno potuto trattenersi a causa di impegni precedentemente assunti; agli Osservatori
per la giustizia civile, che hanno
dato ancora una volta un’impronta di grande significato culturale;
al gruppo di lavoro dell’ANM che
in tempi assai ristretti si è sforzato
di dare un contributo al dibattito
sulle riforme del processo civile
ed alla preparazione del convegno, dimostrando come sia del
tutto naturale trovarsi ad esprime-
94
re un linguaggio comune e posizioni unitarie intorno ad obiettivi
condivisi: e voglio qui ricordare,
accanto ad Alessandro Pepe. Antonio Scarpa e Raffaele Sabato
che hanno coordinato le due sessioni di ieri, ad Antonio Didone e
Patrizia Pompei che sono intervenuti ed a Luciano Gerardis che ha
letto il documento conclusivo –
anche Pasquale D’Ascola, Mario
Fresa, Maria De Cecco, Luciano
Maura Nardin, Alfonso Pappalardo, Francesco Ranieri, i quali, al
pari di Luciano Gerardis, hanno
rinunciato a svolgere interventi
per lasciare spazio agli altri.
Un ringraziamento, infine, voglio
rivolgere anche alle signorine Cristina Carli, Emanuela Setzu e Monica Vari della segreteria amministrativa dell’ANM il cui lavoro –
meno visibile, ma non per questo
meno essenziale – è stato come
sempre insostituibile e prezioso.
L’ANM era consapevole
che la preparazione del
convegno avrebbe incontrato difficoltà organizzative, anche a causa del susseguirsi delle
iniziative degli ultimi tempi e dell’accavallarsi con altri importanti
appuntamenti, di alcuni dei quali,
purtroppo, siamo venuti a conoscenza troppo tardi per poter decidere un rinvio.
Nonostante queste difficoltà, in
un momento storico caratterizzato dall’emergere con sempre
maggiore evidenza di un “diritto
diseguale” e dalla progressiva
scomparsa delle garanzie giuridiche nella vita quotidiana, cui fanno riscontro fenomeni crescenti
di impoverimento e di esclusione
anche in ciò che riguarda i più
“vecchi” diritti ed i bisogni più
2.
elementari di giustizia, l’ANM ha
voluto testimoniare il proprio impegno anche sul terreno della
giurisdizione civile, nella consapevolezza che il suo corretto funzionamento costituisce fattore essenziale per la tenuta dello Stato
di diritto e passaggio strategico rispetto agli stessi compiti affidati
al diritto punitivo.
Questo convegno intende collocarsi in una linea di continuità
ideale non solo con il convegno
di Roma del gennaio 2002, ma anche con le iniziative in tema di
professionalità e con le giornate
per la giustizia che si sono svolte
a novembre in tutta Italia, facendoci tra l’altro riscoprire quanto
sia importante ritrovare un linguaggio che sia più comprensibile ai cittadini perché “costretto” a
ridefinirsi alla stregua dei beni
della vita e dei bisogni concreti di
giustizia.
Certo, la partecipazione non è
stata numerosa; e ciò dipende in
gran parte dalle difficoltà organizzative a cui ho fatto accenno, oltre che da ingenuità ed anche errori, al punto tale che fino a pochi
giorni fa nei palazzi di giustizia
non si vedeva (e forse non ancora si vede) neppure una locandina del convegno. Ma ciò conferma, in primo luogo, quanto sia
impegnativo il lavoro che l’ANM
deve ancora svolgere sul terreno
della giustizia civile e sui temi
dell’organizzazione, temi rispetto
ai quali la scarsa sensibilità di
molte giunte distrettuali e, reciprocamente le “diffidenze” che
continuano a manifestarsi verso
l’ANM (a volte – devo dirlo con
franchezza – in modo del tutto ingeneroso) si alimentano reciprocamente in una curva negativa di
distacchi e di incomprensioni. E
conferma, insieme, proprio la
premessa da cui siamo partiti nell’immaginare il convegno quella,
cioè, che sui temi della giustizia
nulla potrebbe essere più dannoso quanto la separatezza, l’inco-
municabilità, le distanze, il procedere delle proposte in ordine
sparso e ciascuna per conto suo.
All’ANM è stato attribuito, erroneamente, un intento polemico, quasi la
volontà di escludere dal
convegno le voci dissonanti rispetto a ciò che
l’Associazione pensa intorno alle
riforme del processo. Che non sia
così, sta a dimostrarlo lo stesso
pluralismo delle voci che ha caratterizzato il dibattito, ma lo conferma, prima ancora, la duplice
convinzione che ci ha mosso e,
cioè:
a) quella relativa alla necessità di
stimolare un confronto che vada oltre il nostro specifico
orizzonte professionale, nella
linea del dialogo che ha costituito la caratteristica portante
di tutte le iniziative assunte
dall’ANM negli ultimi tempi;
b) il proposito di non mettere al
centro della discussione le
riforme del processo, convinti
come siamo che, se al buon
funzionamento della giustizia
giovano anche modifiche della
disciplina processuale, altre
sono le urgenze del sistema
giudiziario italiano.
Naturalmente, anche l’ANM – e
non solo quel “milieu” di “irriducibili oppositori” a cui ha fatto riferimento il Prof. Sassani nella relazione di ieri – ha delle sue convinzioni a proposito del processo.
Essa è convinta, ad esempio, che
su molti aspetti esista una larghissima convergenza, ribadita con
chiarezza e convinzione anche in
questo convegno da qualificati
esponenti dell’avvocatura e del
mondo accademico e dallo stesso
Sottosegretario alla giustizia,
on.le Vietti. Non vi è ragione,
dunque, perché queste proposte
(molte delle quali contenute nel
testo del disegno di legge unificato approvato dalla Camera il luglio scorso, che anticipano a loro
volta alcune di quelle previste dal
3.
disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei Ministri il 24
ottobre 2003), per quanto “minimali”, non si traducano rapidamente in legge, come l’ANM ha
auspicato, formulando anche suggerimenti migliorativi, in un documento generale ed in una articolata “scheda” di osservazioni
tecniche sul testo unificato di disegno di legge approvato dalla
Commissione giustizia della Camera il luglio scorso (ed a proposito dell’accenno, che ho sentito
fare, a forme procedimentali dotate di maggiore flessibilità e meno ancorate al “mito” del giudicato, non posso fare a meno di ricordare come l’ANM abbia all’opposto sottolineato nei suoi documenti la non più differibile urgenza di una disciplina dei procedimenti camerali che – a differenza
di quella prevista dal d. lgs. n.
5/2003, e conformemente a quanto indicato nelle proposte di riforma delle procedure concorsuali –
valga a risolvere finalmente i problemi di “costituzionalizzazione”
del rito camerale, tuttora rimesso
nei suoi snodi fondamentali alla
pura discrezionalità del giudice).
Su altre proposte invece non vi è
accordo; e l’ANM – non per ragioni ideologiche, ma nell’intento di
fornire un contributo al dibattito –
ha manifestato le proprie riserve
sottolineando come:
• se il processo è – e non può
non essere alla luce del sistema
costituzionale e, in particolare,
degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione – una funzione pubblica dello Stato, l’attività processuale, anche sotto il profilo
degli obblighi internazionali,
non può non implicare un ruolo di impulso e di coordinamento che deve essere necessariamente individuata nella figura del giudice, essendo logicamente da escludere che il
centro di imputazione possa
essere individuato nelle parti.
Vi è, dunque, una ragione isti95
tuzionale e, per così dire, assorbente, legata alla considerazione che, con l’iscrizione a
ruolo della causa, il processo
diventa automaticamente oggetto di valutazione sotto il
profilo della sua “ragionevole
durata”;
• ogni intervento sulla disciplina
processuale, specie se ispirato
all’idea di incidere globalmente
sul codice di rito, non può sottrarsi ad una valutazione di
coerenza tra obiettivi dichiarati
e risultati che possono ragionevolmente essere ottenuti; e
non ho sentito una sola parola,
una sola ragione, né dentro né
fuori al convegno capace di
chiarire perché mai una diversa configurazione del rapporto
giudice-processo, quale è stato
anticipato nella riforma del rito
in materia commerciale e quale si prefigura nel disegno di
legge delega approvato dal
Consiglio dei Ministri, dovrebbe favorire l’obiettivo della ragionevole durata e, comunque,
di una durata più ragionevole
rispetto a quella conseguibile
con l’attuale configurazione
(nessuno, credo, può illudersi
davvero che gli ingorghi forse
evitati in una trattazione senza
giudice, non tornino a formarsi
nella fase successiva, una volta
che il giudice sia stato chiamato dalle parti a fissare l’udienza);
• ad uno Stato di diritto, che annovera tra i suoi cardini la garanzie dell’accesso alla giustizia e la promozione dell’uguaglianza sostanziale, non interessa soltanto che a pronunciare la sentenza sia il giudice, ma
interessa anche il modo in cui
si perviene alla pronuncia; e
l’apporto del giudice, fin dalla
fase iniziale del processo, alla
individuazione del tema della
lite, alla chiarificazione dei fatti
rilevanti, alla verifica di questioni che possono impedire la
96
prosecuzione del processo, all’indicazione delle questioni di
merito e di rito rilevabili d’ufficio, alla verifica della necessità
o dell’opportunità dell’estensione del contraddittorio, è stata appunto ritenuta, nell’evoluzione secolare della nostra
esperienza giuridica, elemento
coessenziale ad un processo
concepito come metodo di ricerca della verità in una successione razionale e non dispersiva di attività;
• quanto più la società ed i conflitti che in essa si esprimono
diventano complessi, tanto più
– mi sembra – si rafforza l’esigenza di una struttura del processo volta a favorirne la comprensione attraverso la dialettica e l’oralità, espressione altresì del carattere democratico del
processo e del diritto del cittadino ad essere ascoltato ed a
concorrere direttamente alla
formazione del convincimento
del giudice.
Sappiamo bene che
l’attrazione esercitata,
su una parte anche
consistente dell’avvocatura, da un modello di
“processo senza giudice”, ha ragioni ben precise: le ha
ricordate ieri, esprimendo contrarietà a quel modello, il prof.
Chiarloni, e le ha sottolineate –
legando proprio ad esse la necessità della riforma – il prof. Sassani. Come ha detto Chiarloni,
udienze “trasformate in un rituale
indecoroso in cui decine di avvocati si affollano e si affannano
nella stanza d’udienza” per ottenere una riserva di provvedimento o un rinvio “da un giudice che
nella stragrande maggioranza dei
casi nulla sa della causa affidatagli e si limita, spendendo peraltro
una grande quantità del suo tempo di lavoro, a riservarsi per un
provvedimento fuori udienza o a
fissare i rinvii per un gran numero di fascicoli”; trattazioni slabbra-
4.
te; prove testimoniali che vedono
a volte gli avvocati “raccogliere
direttamente le deposizioni dei
testi magari nei corridoi davanti
alla stanza d’udienza, scrivendo
direttamente i relativi verbali”; disfunzioni nelle comunicazioni o
nelle notifiche, rinvii all’ultimo
momento, ritardi e altro ancora,
costituiscono parte purtroppo
non marginale dell’esperienza
concreta del processo civile italiano, un’esperienza entro la quale
finisce spesso per restar frustrata
ogni illusione di oralità, di immediatezza e di concentrazione.
Ma a differenza di coloro che
hanno dichiarato di nutrire una
visione di “pessimismo irreversibile” rispetto alla situazione attuale, abbiamo la convinzione che
un’alternativa vi sia e che essa
consiste in un rovesciamento di
metodo nella lettura della realtà.
Se è vero, infatti, che quando il
rapporto dialettico giudice/parti
riesce ad esplicarsi fin dall’inizio
in modo pieno ed effettivo, in
una sequenza ordinata di atti, in
un comune contraddittorio che
mira a sfrondare l’inutile e il vano, in un contesto organizzativo
adeguato, con un ruolo di udienze umano e tollerabile – se ne
giova la speditezza del processo,
ne guadagna la qualità della risposta giudiziaria, ne risulta agevolato lo stesso svolgimento dell’attività dei difensori, il rimedio
non può risolversi in una resa, ma
deve consistere in una reazione
alle prassi deresponsabilizzanti,
sforzandosi di creare le condizioni strutturali, organizzative, culturali e professionali che consentono di rendere ovunque proficua
ed effettiva la dialettica interna al
processo, remote le perdite di attività di udienza, rari i rinvii e –
quando si verificano – sempre
contenuti. In questo contesto –
senza necessità di stravolgere il
rapporto giudice/parti all’interno
del processo, e senza continuare
a moltiplicare modelli processuali
che complicano la vita ai magistrati, agli avvocati, ai cancellieri
e, prima di tutto, agli utenti - c’è
spazio sicuramente anche per
modifiche che incidano sulla
scansione delle udienze, secondo
le indicazioni contenute, ad
esempio, negli artt. 14 e 15 del
Testo unificato del disegno di legge approvato dalla Camera, o mediante la fusione tra udienza di
prima comparizione e prima
udienza di trattazione, come suggerito nella scheda di osservazioni tecniche predisposta dall’A.N.M., o con modalità più flessibili come quelle, ad esempio,
suggerite dall’AIGA ed a cui ha
fatto riferimento anche il prof.
Chiarloni nella sua relazione.
Sui “mali” del processo e sui rimedi per farlo funzionare si possono avere, naturalmente, opinioni diverse; ma l’ANM è convinta
che il processo non possa trasformarsi in fattore di divisione e di
scontro. Esso dovrebbe costituire,
all’opposto, luogo di analisi costruttiva in cui – confrontando le
diverse soluzioni – si possano trovare quelle più conformi all’interesse generale della collettività.
Avviare quel confronto che sino
ad oggi è mancato sarebbe di
grande aiuto per superare visioni
astratte ed evitare soluzioni affrettate; mi pare perciò positiva la
proposta, cui ha accennato il consigliere Salmé, di un tavolo di lavoro offerto dal C.S.M. e che, naturalmente, potrebbe aprirsi anche presso l’ANM od al quale, comunque, l’ANM potrebbe fornire
il proprio contributo.
Se modifiche della disciplina del processo possono essere utili al buon
funzionamento
della
giustizia, promuovendo
questo convegno l’ANM
ha inteso ribadire per l’ennesima
volta – con la frustrazione e il disagio che si prova a ripetere parole logorate dall’uso per tutte le
volte che si è stati costretti a ripe-
5.
terle inutilmente nel tempo – che
la ragionevole durata del processo postula prima ancora che si incida sulle risorse e sulla loro distribuzione, che si dia risposta al
secolare problema della revisione
delle circoscrizioni giudiziarie e
dell’adeguatezza degli organici
dei singoli uffici; che non si lascino trascorrere anni prima di dare
attuazione alla legge sull’aumento
dell’organico della magistratura o
di ricoprire ed adeguare l’organico del personale amministrativo e
degli ufficiali giudiziari; esige che
non restino nella palude quei fattori di vero e proprio rinnovamento culturale, di riappropriazione della dignità e della qualità
di ciascuna funzione, che sono il
processo telematico, i piani di
informatizzazione degli uffici giudiziari e la costruzione di un sistema statistico veridico, affidabile, idoneo a soddisfare le necessità di conoscenza del lavoro giudiziario e dinamicamente funzionale agli adattamenti organizzativi; richiede che al giudice sia data
quella struttura di supporto che
non ha mai avuto; che siano ridisegnati e valorizzati nella logica
complessiva del servizio i compiti della magistratura onoraria, al
cui riordino rimanda anche l’ormai prossima scadenza dell’art.
245 lgs. n. 51/1998; impone di far
crescere nei fatti, con un serio sostegno di mezzi e di strumenti e
non solo declamandoli a parole,
strumenti conciliativi capaci di favorire il superamento e la composizione dei conflitti senza necessità di ricorrere al giudice; se non
si risolve, conseguentemente,
quel nodo cruciale costituito dal
numero di cause che ogni giudice
può ragionevolmente trattare senza restare schiacciato dalla mole
degli arretrati destinati a crescere
in continuazione.
Tutto ciò – lo sappiamo – comporta per il bilancio dello Stato
spese e costi. Ma la democrazia è
complessa, implica che si investa
e che si spenda, perché immettere mezzi e risorse è l’unica scelta
consentita dall’art. 110 della Costituzione.
Ma in nessun momento
le responsabilità degli
altri debbono far dimenticare le proprie.
Uno dei valori più alti e
visibili di questo convegno, quale è emerso da tanti interventi carichi di tensione morale e di vera e propria passione civile, è che l’essere indipendenti
non significa comportarsi come
se del modo in cui si organizza e
si fa il proprio lavoro non si dovesse rendere conto a nessuno. Si
assiste, invece, a sedi giudiziarie
nelle quali parti ordinamentali di
primaria importanza restano pressoché lettera morta; le proposte
tabellari non esprimono un progetto organizzativo calato nella
concreta realtà della domanda e
dei bisogni di giustizia; mancano
occasioni di confronto e di dibattito sui problemi dell’ufficio e sugli orientamenti giurisprudenziali;
sono assenti o carenti le funzioni
di vigilanza.
Non dobbiamo essere stanchi di
ripetere che il corretto funzionamento dell’autogoverno rimanda
anche al nodo dei criteri di scelta
per ciò che concerne il conferimento degli incarichi direttivi e
semidirettivi o forse, meglio, alla
coerenza nella loro applicazione;
implica come precondizione assoluta e indeclinabile un flusso di
informazioni completo e costante
della realtà organizzativa entro
cui le funzioni organizzative sono
destinate ad esplicarsi; richiede
effettività dei controlli e capacità
di intervento contro ogni forma di
sciatteria, di inettitudine o di inerzia, come richiede capacità di riconoscere le esperienze positive,
di incentivarle e di favorirne la
diffusione.
E qui vorrei ricordare, per contrastare quella immagine di cupa negatività tracciata nel suo interven-
6.
97
to dal prof. Sassoni, il quale ha
descritto un mondo della giustizia
quasi irreparabilmente segnato
dalla sconfitta, che la realtà conosce anche altre cose. Protocolli di
udienza; svolgimento delle riunioni previste dall’art. 47 quater
ord. giud. e di quelle connesse ai
compiti propri dei dirigenti degli
uffici giudiziari; analisi dei flussi
di lavoro anche con la costituzione di specifici uffici statistici e di
apposite commissioni di studio e
di supporto; progetti organizzativi
proficuamente elaborati e periodicamente monitorati; incontri di
formazione decentrata e riunioni
degli “Osservatori” per discutere
sugli orientamenti interpretativi e
sulle questioni organizzative, costituiscono aspetti di un incoraggiante fermento che anima la vita
di diversi uffici giudiziari italiani,
una positiva realtà in espansione
che ha dimostrato nei fatti come
tante cose potrebbero migliorare,
in termini di efficienza e di qualità
del servizio, se solo vi fosse la volontà di far funzionare gli strumenti esistenti, nel processo di
cognizione come in quello di esecuzione. Nell’esperienza concreta
degli uffici, che si sono posti consapevolmente l’obiettivo di governare il processo esecutivo e le
procedure concorsuali, sottraendoli alla routine burocratica ed alla casualità dell’esperienza quotidiana, l’adozione di opportune
procedure informatiche e di adeguati sistemi di informazione ha
consentito di raggiungere risultati
straordinari in termini di ordinato
svolgimento delle procedure, di
drastica riduzione dei tempi morti, di razionalità complessiva del
servizio, con esiti soddisfacenti
per la massa dei creditori e per lo
stesso debitore esecutato.
Questi esempi non possono restare isolati, ma debbono trasformarsi in veri e propri criteri organizzativi di carattere generale.
Deve perciò esprimersi il massimo apprezzamento all’opera di
98
incentivazione e di diffusione
perseguita dal CSM in sede di formazione professionale, sia centrale sia decentrata; al fatto che nelle ultime circolari sull’organizzazione degli uffici all’insieme di regole preordinate al rispetto del
giudice naturale sia stata affiancata una ancor più esplicita configurazione delle tabelle come progetto organizzativo secondo obbiettivi di funzionalità e di efficienza, e che anche per gli uffici
del giudice di pace siano state
dettate direttive più precise e rigorose nel senso della maggiore
trasparenza e di una migliore organizzazione del servizio; al fatto,
infine, che nella delibera del 30
luglio 2003 di modifica ed integrazione della circolare n.
1275/1985 sui pareri per le valutazioni di professionalità sia stata
attribuita specifica evidenza, tra
l’altro, al parametro relativo alla
“capacità del magistrato di organizzare il proprio lavoro” anche
in funzione della necessità di “ridurre al minimo il disagio degli
utenti della giustizia e dei loro difensori”. Ma sono ancora molte le
cose da fare; e le hanno sottolineate ieri, tra gli altri, con grande
efficacia, Luciana Barreca e Roberto Fontana.
L’ANM, anche mediante la formazione di un “libro bianco” – una
ricognizione priva di definitività e
di prescrittività, che si offra in
ogni distretto al dibattito di tutti
gli operatori, arricchendosi ogni
volta di nuovi contributi, precisandosi, modificandosi, operando
come strumento di discussione e
di confronto anche per sollecitare
miglioramenti organizzativi – intende svolgere la sua parte proponendosi come luogo di verifica
e di discussione critica delle prassi, nonché come tramite di diffusione delle esperienze positive. E
vorrei qui sottolineare come fatto
di grande rilievo la disponibilità
alla collaborazione manifestata
anche oggi dagli avvocati presen-
ti al convegno e dai loro organismi rappresentativi, una collaborazione che nell’esperienza concreta di diversi distretti giudiziari
costituisce già oggi una risorsa di
inestimabile valore.
Come ci ha ricordato in
tante occasioni Carlo Verardi, l’attuazione del
giusto processo passa,
prima di ogni altra cosa,
“da una riforma delle culture e della deontologia, che consegni al processo protagonisti
culturalmente preparati, efficacemente organizzati, legati da una
comunanza dei valori di fondo”.
All’antitesi, ancora irrisolta, tra il
modello burocratico tradizionale,
che non è riuscito a dare efficienza alla giustizia italiana, e la visione opposta, basata su parole d’ordine come “gerarchia degli uffici,
principio di autorità, meritocrazia,
che sarà forse capace di ripristinare alcuni margini di credibilità e
di prestigio ma che è assoggettata
all’inaccettabile costo di dividere i
magistrati tra loro e di restaurare
pericolosi meccanismi di controllo interno”, dobbiamo contrapporre l’unico modello possibile di
un giudice professionalmente
preparato, capace di far fronte alla complessità con la specializzazione, consapevole che l’indipendenza non è una nicchia in cui
starsene comodamente protetti
ma una garanzia di impegno che
il cittadino ha il diritto di vedere
attuata ogni giorno.
Ciò che conta per la corretta amministrazione della giustizia, non
è tanto la selezione dei più «bravi», quanto un sistema idoneo ad
assicurare che ogni magistrato assolva ai propri compiti con capacità e impegno, quale che sia la
funzione in concreto esercitata. È
in questa prospettiva che l’ANM
ha assunto il tema della professionalità come terreno specifico del
proprio impegno, formulando –
dopo un ampio e serrato dibattito
– un insieme articolato di propo-
7.
ste di cui il CSM ha tenuto conto
nella nuova circolare sulle valutazioni di professionalità.
Un rinnovamento di professionalità che vale anche per il personale amministrativo per le cancellerie, per gli “operatori” della giustizia in genere e, naturalmente, anche per l’avvocatura, chiamata essa pure a concorrere al processo
di integrazione europea ed alla
costruzione di uno spazio giuridico comune e che – sono parole
dell’avv. Danovi – consapevole di
questa sfida, rivendica come suo
preciso dovere “per tutti gli avvocati in tutti i paesi difendere in
ogni occasione la professionalità,
tutelare la formazione dei giovani, assicurare la formazione permanete degli iscritti, garantire l’elevazione culturale e professionale, migliorare la qualità”.
È l’etica della responsabilizzazione la via per costruire quella “leadership” – culturale e non autoritaria – cui hanno fatto riferimento
il prof. Zan ed il prof. Xilo nei
propri interventi. In quest’ambito
di positiva proiezione verso ciò
che è doveroso e concretamente
possibile, non solo acquistano
peso e significato la logica del
coordinamento e quella della
partecipazione al fine di realizzare progetti organizzativi condivisi,
come il CSM si è sforzato di affermare anche attraverso le circolari
in materia tabellare, ma lo stesso
art. 175 c.p.c. viene ad emergere
quale proiezione dell’art. 111 della Cost. La funzione direttiva del
giudice, spogliata di ogni riferimento concettuale di carattere
autoritario e di ogni connotazione
di privilegio, si manifesta cioè oltre che come espressione di un
potere-dovere che deve esplicarsi
per il corretto, leale e sollecito
svolgimento del processo, prima
ancora come direttiva che deve
operare nei confronti dello stesso
magistrato, come criterio deontologico di organizzazione del lavoro di ogni singolo giudice perché,
se non si è capaci di organizzare
il proprio lavoro indirizzandolo
verso le esigenze di buon funzionamento del servizio, è più difficile che la funzione direttiva possa poi esercitarsi nel processo.
Come ha ricordato
l’avv. Berti al congresso
di Palermo dell’OUA,
«nel nostro paese c’è un
crisi di legalità che è
difficile contrastare se si
vive in uno scontro permanente
che delegittima la giurisdizione.
Anche perché impedisce di fare
riforme serie che facciano funzionare la macchina giudiziaria, e
una macchina giudiziaria che non
funziona crea illegalità».
È la logica del dialogo la finalità
principale di questo convegno.
Una logica imperniata sulla convinzione che la giurisdizione resta
fatalmente priva di significato se
perde il contatto con la vita, se
non resta ancorata come parte integrante alla realtà di ogni giorno
e non riesce a dare tempestivo riscontro alle domande di giustizia,
di legalità, di certezza dei rapporti giuridici, di sicurezza che le
provengono dalla collettività. Se
la giurisdizione non riesce a svolgere il compito, che le compete,
di fattore di equilibrio sociale e di
strumento di garanzia dei diritti,
8.
alle regole entro cui debbono essere ricondotte anche le spinte e
le logiche del mercato si sostituirà
sempre più facilmente un mercato senza regole, che farà a meno
dei giudici anche perché non può
attendere i tempi lunghi della giustizia.
Eppure è proprio alla giurisdizione civile – spesso lasciata ai margini di ogni dibattito e quasi dimenticata; sottoposta, dall’esterno, ad un processo continuo di
erosione e di marginalizzazione e
considerata ancora, all’interno,
come il serbatoio a cui si può
continuare ad attingere per ogni
esigenza del settore penale – che
spetta oggi il compito di concorrere a ricucire gli strappi, a trovare una sintesi sul terreno della difesa e dell’affermazione quotidiana dei diritti, a ricostruire una
concezione unitaria della giurisdizione come strumento di promozione di uguaglianza e di legalità.
I cinquantacinque anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo sono stati ricordati nei
giorni scorsi sottolineando amaramente che un terzo dell’umanità è
privo dei fondamentali diritti politici e civili; 3 miliardi di persone
vivono in condizioni di povertà;1,
3 miliardi in condizioni di “assoluta povertà”.
Uscendo di qui, vorremmo impegnarci a fare in modo che ogni distretto diventi – nel più ampio circuito “virtuoso” della formazione,
degli organismi associativi, dei diversi ambiti professionali, delle
università, degli Osservatori –
espressione di un grande laboratorio ove ogni segmento concorre
con gli altri a migliorare ogni
giorno il concreto funzionamento
della giustizia ed a far sì che il
processo torni ad essere strumento a servizio dei cittadini, e non
luogo dal quale essi rifuggono
spaventati dai suoi costi, dai suoi
ritardi e dalle sue ingiustizie.
GIANFRANCO GILARDI
Consigliere Corte di Cassazione
99
DOCUMENTO CONCLUSIVO
U
na giustizia civile efficace e funzionale costituisce lo strumento indispensabile per la tutela dei cittadini, in un momento storico connotato dalla nascita di nuovi diritti “che
premono alla porta della giurisdizione” e dal parziale affievolirsi di molte garanzie giurisdizionali.
L’effettività della giurisdizione civile richiede, da
un lato, un rinnovamento della professionalità e
dell’efficienza della magistratura togata ed onoraria, sull’esempio delle esperienze positive elaborate in molti uffici giudiziari (che hanno trovato ampia esposizione nella sessione di questo
convegno dedicata alle “prassi” esistenti ed a
quelle possibili) e, dall’altro, interventi radicali
sul piano delle risorse materiali ed umane.
Alla realizzazione di questi obiettivi sono certamente utili interventi di razionalizzazione della
disciplina processuale, ma è anche necessaria
l’assunzione di un forte impegno dei magistrati per la riorganizzazione del lavoro del
giudice e per la diffusione di prassi processuali “ragionevoli”.
A questo fine l’ANM propone che:
➢ i magistrati incaricati di funzioni direttive e
semidirettive discutano, all’interno degli uffici, specifici ed idonei programmi con l’individuazione di obiettivi d’ufficio e di sezione,
finalizzati a dare una risposta di giustizia ai
cittadini in tempi ragionevoli in riferimento
alla tipologia delle controversie (anche avvalendosi dello strumento previsto dall’art. 47
quater ord. giud. per permettere la condivisione ed il controllo sulla realizzazione degli
obiettivi programmati), formulando le conseguenti proposte tabellari;
➢ siano discusse con la classe forense e con il
personale amministrativo, pur entro i limiti
oggettivi posti dalle concrete realtà operative
delle diverse sedi giudiziarie, tutte le prassi
processuali ed organizzative atte ad evitare
ogni inutile disagio ad utenti ed avvocati;
➢ l’esigenza di uniformità di tempi e di prassi
di gestione dei processi civili trovi adeguata
espressione in termini di autogoverno e di
formazione dei dirigenti;
100
e invita le giunte locali a far sì che le proposte e
le soluzioni adottate e ritenute utili nelle diverse
sedi giudiziarie siano raccolte e segnalate già in
occasione del prossimo congresso della ANM
del 5-8 febbraio 2004.
L’ANM ritiene che il confronto tra giudici, avvocati e personale amministrativo, in funzione del miglioramento della risposta del servizio giustizia, possa contribuire all’efficienza del
sistema.
L’obiettivo della funzionalità del processo deve
comunque passare attraverso un sostanziale
mutamento di prospettiva della politica
giudiziaria che assicuri:
➢ un’adeguata distribuzione delle risorse economiche;
➢ una risposta al secolare problema della revisione della geografia giudiziaria;
➢ l’attuazione della legge sull’aumento di organico della magistratura e l’adeguamento
dell’organico del personale amministrativo
alle esigenze di un servizio moderno ed efficiente;
➢ una struttura di supporto funzionale ai vari
momenti del processo e del giudizio;
➢ la completa informatizzazione degli uffici
giudiziari e l’attuazione del processo telematico;
➢ un sistema statistico affidabile ed accessibile
in tempo reale.
È importante che su questi obiettivi, indipendentemente da ogni valutazione sulle riforme
processuali in itinere, si realizzi una vasta convergenza tra gli operatori, che possano così
esprimere un comune intervento su Parlamento
e Governo: gli interventi necessari su organizzazione e strutture sono da tempo largamente condivisi, l’individuazione va ampliata con temi
propri dell’avvocatura e sviluppata in sede nazionale e nelle singole realtà giudiziarie elevando il confronto tra i protagonisti del mondo giudiziario a metodo non episodico.
Solo in questo modo la giustizia civile potrà
essere uno strumento di reale tutela dei diritti e non un luogo dal quale i cittadini rifuggono spaventati dai costi e dai ritardi.
UNA CAMPAGNA
PER LA GIURISDIZIONE CIVILE
I
sottoscritti avvocati, funzionari amministrativi e magistrati, intervenuti al Convegno organizzato dall’ANM su PROCESSO CIVILE
ED ORGANIZZAZIONE
prendono atto
che tra le varie esperienze già in corso presso taluni uffici giudiziari sono stati realizzati modelli
migliorativi in tema di
a) adeguamento delle proposte tabellari alla
concreta realtà dei flussi di lavoro e degli
obiettivi raggiungibili presso ciascun ufficio;
b) analisi dei flussi di lavoro e delle modalità di
funzionamento dell’ufficio tramite l’uso del
programma ministeriale SIC;
c) raccolta della giurisprudenza dell’ufficio in
archivi elettronici consultabili direttamente
non solo dai magistrati ma anche dagli avvocati tramite l’uso del programma ministeriale
Polis;
d) gestione delle esecuzioni immobiliari in tempi abbreviati e con innalzamento dei valori
medi realizzati nelle vendite;
esprimono la convinzione
che la diffusione di tali modalità di lavoro in tutti gli uffici giudiziari provocherebbe un netto
miglioramento nella risposta che la giurisdizione
civile fornisce ai cittadini;
assumono l’impegno
di attivarsi, nel luogo ove svolgono la loro attività, per provocare i mutamenti necessari alla
diffusione delle prassi indicate – e di altre che
venissero in futuro individuate come meritevoli
– ricercando la collaborazione delle associazioni
professionali attive localmente, dei consigli giudiziari, dei magistrati incaricati di funzioni direttive e semidirettive, di tutte le persone interessate ad un simile progetto;
richiedono
all’ANM, ed in particolare alle commissioni di lavoro per la Giustizia civile e per il Diritto di famiglia di fornire la loro collaborazione per rendere possibile l’illustrazione delle prassi indicate
e la loro adozione nelle singole sedi.
101
L
DOCUMENTO
ANM SALERNO
M
L’
Associazione Nazionale Magistrati - Sezione di Salerno esprime la sua preoccupazione per i disegni di
riforma del processo
civile che, prendendo a pretesto
l’obiettiva situazione di complessiva inefficienza del rito, mirano
non già a mettere gli strumenti e
le risorse attuali in condizione di
funzionare, bensì a limitare il
ruolo del giudice e a riportare il
processo in una logica di mercato, abbandonato a se stesso e –
inevitabilmente – alla suggestione
di una parità assoluta di armi che
cela invece una sorta di ultraliberismo, idoneo soltanto a minare
definitivamente il principio fondamentale dell’effettiva uguaglianza di ognuno dinanzi alla
Legge.
L’A.N.M. - Sezione di Salerno condivide, sul punto, in pieno le valutazioni sulla c.d. miniriforma
del processo civile e sulla c.d.
bozza Vaccarella espresse dall’A.N.M. Del resto, l’esperienza
dei primi otto anni di vigenza del
nuovo rito civile e delle riforme
processuali succedutesi negli anni successivi denota invero, anche nel Distretto di Salerno, la
possibilità di un’inversione di tendenza significativa in termini di
recupero di funzionalità, produttività e, quindi, efficienza del servizio della Giustizia civile.
Esso è certamente ancora ben
lontano da livelli ottimali, ma i
mutamenti riscontrati denotano
che si può, se solo si vuole, iniziare a raggiungere buoni risultati
anche con gli strumenti e persino
con le risorse attuali, se adeguatamente impiegati e razionalmente
organizzati.
102
Uno sforzo applicativo è quindi
indispensabile per dimostrare
una volta di più la disponibilità
dei giudici a migliorare il rendimento complessivo del sistema
persino in una situazione di gravi
carenze da sempre denunciata: e
questo per legittimare con ancora
maggior forza la richiesta degli ulteriori interventi sulle risorse che
pure si invocano e respingere la
facile accusa, mossa ai giudici, di
nascondersi sempre dietro generiche denunce di carenze per giustificare una loro complessiva
inettitudine od inefficienza.
Uno sforzo ulteriore, pertanto:
non quale riconoscimento che la
situazione attuale sia colpa dei
giudici, ma quale mezzo per
smentire chi vuole attribuire l’esclusiva colpa della situazione attuale ai giudici. La situazione del
maggiore ufficio giudicante del
Distretto è negativamente condizionata dalla presenza di un numero di sezioni distaccate – ben
cinque – sproporzionato rispetto
alla popolazione servita.
ul punto, da tempo
l’A.N.M. Sez. di Salerno
ha chiesto una radicale
revisione del numero di
sezioni distaccate, fino a
proporre la soppressione di quattro di esse, sul presupposto che, se non è possibile dotarle di un numero di magistrati
adeguato, è preferibile per l’utenza il disagio di spostarsi di qualche decina di chilometri, verso la
sede centrale, per rinvenire un
ufficio che almeno possa funzionare.
Del resto, in sede di Osservatorio
sulla Giustizia – di cui l’A.N.M.
Sez. di Salerno fa parte –, è stata
chiesta, in via transitoria e fino a
S
quando la soppressione non sarà
stata disposta, quanto meno l’applicazione dell’art. 48 quinquies
cpv. Ord. giud., con l’accentramento presso la sede centrale di
numerose materie civili delle sezioni distaccate meno guarnite,
cioè Mercato S.S. e Montecorvino
R.: e tale richiesta è stata accolta
dal Presidente del Tribunale, il
quale, nelle tabelle vigenti da poco (giugno 2003) approvate dal
C.S.M., ha adottato appunto una
simile disposizione.
Nonostante questo, drammatica
resta la situazione delle sezioni
distaccate e, tra queste, della sezione di Eboli, che amministra
una popolazione in pratica eguale in numero a quella della sede
centrale, ma con appena due
giudici togati: al riguardo, si rimanda all’allegato 1. Ma grande
attenzione va posta alla ripartizione degli affari all’interno dei
Tribunali, gravati ora da una
preoccupante sperequazione del
carico di lavoro tra le diverse sezioni (si veda, in allegato quattro, la situazione della III sez.
civ. del Tribunale del Capoluogo), ora – in assoluto – soffocati
da un carico complessivo assai
notevole (si veda, in allegato
cinque, la situazione del Tribunale di Vallo della Lucania).
Nonostante tutto ciò, qualche risultato positivo in settori tradizionalmente condannati ad una apparenza di cronica inefficienza si
è pure registrato con l’applicazione di prassi organizzative ed interpretative particolari.
n primo esempio riguarda le esecuzioni
immobiliari del Tribunale del capoluogo. Per esse la produttività in termini di
aggiudicazioni di lotti si è incrementata, a parità di personale, del
1242% in cinque anni (1997/
2002), con la congiunta applicazione: a) della previsione della
vendita senza incanto (ad un
U
prezzo decurtato) come fase necessariamente preliminare agli incanti; b) della previsione di un’estinzione c.d. atipica in caso di
numero eccessivo di vendite vane
o di condotte inerti dei creditori;
c) di un rinnovato ruolo per il custode estraneo (diverso dal debitore); d) di forme di pubblicità
elettronica a mezzo di un fornitore unico, per favorire il più possibile la diffusione delle notizie sulle vendite tra il pubblico.
Un secondo esempio riguarda
l’appello lavoro, come modificato
dall’istituzione di un’apposita sezione nel Tribunale del capoluogo del Distretto e, al contempo,
della sezione di Corte di Appello.
Finché non vi è stata una Sezione “ad hoc”, le udienze erano
fissate a Salerno anche ad oltre 6
anni e mezzo dal deposito del ricorso, tanto da pervenire ad un
arretrato di oltre 4.000 cause.
Ora, con l’istituzione della Sez.
Lavoro presso la Corte di Appello, gravata dal carico proveniente dall’intero distretto e, parallelamente, con l’attivazione di un
ruolo collegiale ad esaurimento
per il pregresso, i nuovi ricorsi
vengono fissati entro l’anno e le
definizioni sono tali da non consentire la formazione di nuovo
arretrato, mentre quello precedente è prossimo ad essere definitivamente eliminato.
Il risultato è significativo anche
perché esso discende da fattori
che possono, opportunamente
calibrati, rivelarsi davvero incisivi: riorganizzazione di adeguate risorse (anche del personale
di cancelleria), specializzazione,
buona produttività e motivazione dei singoli, ausilii informatici,
utilizzo di determinate prassi
processuali (tra queste ultime ricordo, ad esempio, la drastica riduzione delle CTU medico-legali in appello ritenendo le stesse
non obbligatorie ex artt. 445
c.p.c. e 149 disp. att. c.p.c., ma
necessarie solo a fronte di caren-
ze convincentemente e specificamente criticate degli accertamenti svolti in primo grado, ovvero
di aggravamenti riscontrati; la
declaratoria di improcedibilità
dell’appello in taluni casi di
omessa notifica e pur in contrasto con un consistente orientamento delle SS.UU.; una particolare attenzione all’osservanza
della specificità dei motivi di impugnazione ex art. 434, co.I
c.p.c., nonché dell’onere di
espressa riproposizione di domande ed eccezioni ex art. 346
c.p.c., come pure dei divieti ex
art. 437, co. II, c.p.c.; la decisa
contrazione della (inutile?) relazione ex art. 437, co. I, c.p.c.).
on riferimento – poi –
alle prassi applicative
da definirsi “virtuose”
e suscettibili di applicazione in tutti i processi, peraltro:
– si può sfatare, almeno in via
tendenziale, il mito della sistematica devoluzione del raccoglimento delle prove testimoniali agli avvocati: consta che
sia generalizzata l’applicazione
corretta della normativa del codice sul punto e quindi l’assunzione delle prove direttamente
da parte del giudice;
– in qualche ufficio giudiziario
(ad es. Tribunale di Nocera
Inf.; in modo limitato anche
presso l’ufficio esecuzioni immobiliari del Tribunale di Salerno) si inizia ad applicare la
prassi del conferimento di incarichi ai Consulenti Tecnici di
Ufficio fuori udienza; la validità
della prassi è più evidente per
le cause o i processi seriali, ma
il ruolo di un’attiva presenza
del Consulente all’udienza di
conferimento è di estrema importanza per le cause più delicate, nelle quali persino la formulazione dei quesiti può risultare più efficace con il contributo – nel contraddittorio delle
parti – del Consulente;
C
103
– può suggerirsi la pronuncia dei
provvedimenti ordinatori, anziché con ordinanza riservata da
comunicarsi poi a cura della
cancelleria, direttamente con
differimento ad altra udienza
ad hoc: nonostante qualche
perplessità pure avanzata, l’utilità si apprezza soprattutto per i
benefici effetti sugli adempimenti di cancelleria; è comunque indispensabile calibrarlo
a seconda del tipo di udienza o
del tipo di processo di cui trattasi (si è rivelato utilissimo in
processi con rilevante numero
di avvocati costituiti, come
quelli esecutivi immobiliari); e
non può comprimersi comunque il rischio di novità assertive
o di nuove richieste che, essendosi comunque differita l’udienza, bisogna mettere nel
conto; né può farsi a meno di
conseguire il maggior coinvolgimento possibile delle parti
proprio per il maggior impegno che esso loro richiede;
– ancora limitata, ma con buoni
risultati ove realizzata, è l’applicazione della decisione con
motivazione contestuale, ex art.
281 sexies cod. proc. civ., che
pure va raccomandata come
utile semplificazione tutte le
volte che la minima complessità del caso la consenta;
– troppo limitata, invece, dal
punto di vista organizzativo,
l’applicazione dell’art. 47 quater ord. giud., se non con riferimento alla sezione lavoro del
Tribunale del Capoluogo di Distretto; estremamente positiva
è peraltro l’esperienza qui maturata, con concessione agli avvocati del settore della possibilità di assistere e di interloquire
su almeno una parte dell’OdG,
in modo da favorire il confronto con i magistrati della sezione
anche al di fuori del momento
strettamente giurisdizionale e
nel quadro di problematiche di
respiro generale.
104
In qualche caso – presso il Tribunale di Nocera Inf. – si è proposto
poi un intervento di riorganizzazione del lavoro dei magistrati,
con una maggiore attenzione alla
ripartizione del carico in rapporto
sia all’obiettiva natura degli affari
(ad es. l’adozione di un sistema di
punteggi per le singole tipologie
di cause o di processi), sia alla
produttività del singolo magistrato (con un punteggio per i provvedimenti in concreto resi, onde
consentire un minor aggravio con
le nuove assegnazioni a coloro
che più hanno lavorato) per conseguire dati statistici realistici e
concreti e, se del caso, per disporre gli opportuni aggiustamenti e riequilibri.
n questo quadro complessivo, di luci ed ombre,
sembra possibile cogliere,
quindi, uno sforzo pregevole, seppure affidato allo
spontaneismo dei singoli
colleghi, di razionalizzare l’esistente, a dispetto di situazioni di
partenza oggettivamente insostenibili: e su questa strada, continuando ad invocare a gran voce l’adeguamento delle risorse,
occorre rilanciare, quale ipotesi
di lavoro, la necessità di applicare al meglio le opportunità interpretative consentite anche solo
dalle norme vigenti, sia pure a
costo di un rinnovato ed ancor
maggiore sforzo dei Magistrati in
prima persona. E tutto con il
prezioso aiuto che può venire
dalla cooperazione tra Magistrati
ed Avvocati, in ogni utile occasione di confronto e di discussione, siano esse gli Osservatori
o le riunioni ex art. 47 quater
ord. Giud.: purché tutti animati
dal sincero anelito ad una Giustizia più moderna ed efficiente,
vista sempre di più come un servizio per il cittadino e per le finalità dello Stato democratico,
che sull’effettività della tutela dei
diritti di tutti ancora basa uno
dei suoi fondamenti.
I
ALLEGATO UNO
SITUAZIONE della Sezione distaccata di Eboli del Tribunale di Salerno
(red. Catallozzi).
Statistica del settore civile della Sez.
dist. di Eboli
Pendenze al 30 giugno 2003:
– procedimenti contenziosi civili (totale): 5.632 di cui, cognizione ordinaria 4.695;
– procedimenti speciali: 937;
– procedimenti non contenziosi: 18;
– procedimenti esecutivi immobiliari: 480;
– procedimenti esecutivi mobiliari:
4.134;
– tutele: 343.
Sopravvenienze nel secondo trimestre dell’anno (1° aprile - 30 giugno
2003):
– procedimenti contenziosi civili (totale): 757 di cui, cognizione ordinaria: 309;
– procedimenti speciali: 348;
– procedimenti non contenziosi:
138;
– procedimenti esecutivi immobiliari: 47;
– procedimenti esecutivi mobiliari:
637;
– tutele: 4.
La valutazione di tali dati statistici
con quelli relativi ai periodi precedenti riportati evidenziano, quanto
alle pendenze, un graduale, progressivo ed inesorabile aumento (basti
pensare che al 31 dicembre 2000 il
totale dei procedimenti contenziosi
civili ammontava a 2.904; al 31 dicembre 2001 a 4.191; al 31 dicembre
2002 a 5.211; al 31 marzo 2003 a
5.419), senza mai registrare un’inversione di tendenza o, quanto meno, la
possibilità di ... frenare l’emorragia,
benché l’ufficio, nel periodo preso in
considerazione (ossia, secondo trimestre dell’anno), esaurito 444 procedimenti contenziosi civili, di cui
191 di cognizione ordinaria e 253 di
cognizione speciale. A fronteggiare il
carico di lavoro sono addetti, secondo le tabelle del Tribunale (sia quelle approvate che quelle da approvare), due magistrati togati, oltre a cinque magistrati onorari; tuttavia, uno
dei due posti di magistrato togato è
stato per circa un anno e mezzo vacante, venendo coperto solo nel feb-
braio di quest’anno, mentre il giudice
assegnato all’altro posto ha dovuto
dividere il proprio impegno anche
con quello derivante da un’applicazione infradistrettuale ancora in atto.
ALLEGATO DUE
Situazione e Proposte per la II sez.
civ. del Trib. Di Nocera Inf. (red.
Scarpa)
N.B. Sono stati eliminati i riferimenti ai cognomi dei singoli.
Situazione
Dai dati statistici elaborati in data 22
ottobre 2002 dal funzionario addetto
ai rilevamenti risulta la seguente situazione relativa ai quattro magistrati
della II sezione civile addetti alla trattazione delle controversie ordinarie
(essendo gli altri tre magistrati togati
appartenenti alla II sezione civile assegnati unicamente alla trattazione di
controversie di lavoro e previdenza):
– dott. UNO procedimenti pendenti
n. 807 (760 ordinari + 47 sommari);
– dott. DUE procedimenti pendenti n.
861 (819 ordinari + 42 sommari);
– dott. TRE procedimenti pendenti n.
933 (866 ordinari + 67 sommari);
– dott. QUATTRO procedimenti pendenti n. 972 (904 ordinari + 68 sommari).
Alla data del 23 ottobre 2003 TRE ha
depositato nell’anno 2003 n. 135 sentenze e 180 provvedimenti sommari.
Quanto alle sentenze relative all’anno 2002, TRE aveva depositato n. 176
sentenze e 136 provvedimenti sommari. È indicativo al riguardo che il
dottor QUATTRO aveva pure lui depositato nell’anno 2002 il ragguardevole numero di 189 sentenze; e che,
rispetto all’anno 2000, la produttività
di TRE e QUATTRO deve dirsi esattamente raddoppiata… è ben noto che
la II sezione civile di codesto Tribunale non tratta la materia del diritto
di famiglia, né dello stato e capacità
delle persone, né la materia fallimentare: nei numeri riportati non vi sono,
pertanto, sentenze di separazione dei
coniugi, o di cessazione degli effetti
civili del matrimonio, o di interdizione, o di dichiarazione di fallimento.
Trattasi, piuttosto, di contenzioso in
materia di successioni, diritti reali,
opposizioni a decreto ingiuntivo, obbligazioni e contratti, responsabilità
da atto illecito, locazioni, impugnati-
ve di delibere condominiali. Dalla
data odierna all’udienza del 9 febbraio 2005 sono già fissate sul ruolo
TRE n. 186 cause per la precisazione
delle conclusioni secondo il metodo
di decisione a seguito di trattazione
scritta ex artt. 281 quinquies e 190
c.p.c. A queste 186 potenziali sentenze da assumere in decisione nei
prossimi sedici mesi lavorativi, vanno
aggiunte le controversie trattate secondo il rito di cui all’art. 447 bis
c.p.c., che vanno in decisione senza
previa udienza di precisazione delle
conclusioni, nonché le cause soggette al rito di cognizione ordinario rinviate per la decisione a seguito di
trattazione orale ex art. 281 sexies
c.p.c. È ragionevole, visto che sul
ruolo TRE sono previste in ogni mese non meno di sei locazioni in decisione e non meno di due discussioni
ex art. 281 sexies c.p.c., che alle 186
sentenze prima calcolate debbano
sommarsene altre 102, per un totale
di n. 288 sentenze da estendere da
oggi al 9 febbraio 2005. L’enorme ingolfamento del ruolo TRE (sarebbe
indicativo il confronto comparativo
con i ruoli dei Giudici Istruttori del
Tribunale di Napoli, che dista, in effetti, soli 37 chilometri da Nocera Inferiore), soprattutto nella fase di decisione della causa (giacché, in pratica, circa 1/3 dell’intero ruolo pende
nella fase di conclusione del procedimento) è dovuto in parte all’enorme
sopravvenienza, ed in parte all’adozione da parte del magistrato di tecniche di organizzazione del lavoro e
di gestione degli affari estremamente
acceleratorie, idonee quindi a comprimere il numero delle udienze
istruttorie o di mero rinvio: ciò,
com’è intuibile, nell’auspicio di perseguire il supremo obiettivo della ragionevole durata dei procedimenti.
Altra causa di proliferazione della
cause in decisione è rinvenibile nell’assegnazione fatta due anni or sono
a questo Giudice di duecento cause
rientranti nella vecchia competenza
pretorile, per lo più prima trattate dai
Vice Pretori Onorari Avv. CINQUE
ed Avv. SEI, i quali le avevano tutte
integralmente istruite, ed anzi sovente le avevano rimesse sul ruolo istruttorio dopo averle già assunte in decisione, per la sola incombenza di ac-
quisire la nota delle spese ex art. 75
disp. Att. C.p.c. mancante in atti. Il
contenzioso gravante sul ruolo TRE,
ed in genere della II sezione civile, è,
peraltro, connotato dal fisiologico ricorso a prove costituende (testimonianze ed interrogatori formali: si
pensi ai giudizi di responsabilità civile automobilistica, o di usucapione,
in pratica mai forniti di rapide prove
precostituite), sicché le incombenze
di assunzione delle medesime intasa
ulteriormente il calendario dei rinvii.
Ritenendosi la descritta situazione
pregiudizievole al diritto delle parti a
processi di ragionevole durata, il sottoscritto si permette di proporre un
progetto di riduzione dell’arretrato,
fatto di soluzioni non necessariamente concomitanti, rimettendosi ovviamente alle diverse determinazioni
che i Dirigenti riterranno meglio opportune al riguardo.
Proposte
1) Sospensione delle assegnazioni di
cause al ruolo TRE (e, col consenso dell’interessato, al ruolo
QUATTRO) fino all’effettiva perequazione delle pendenze tra i
giudici addetti alla trattazione di
cause ordinarie appartenenti alla
II sezione civile del Tribunale.
2) Previsione di un’udienza mensile
del ruolo TRE (e, se voluto, del
ruolo QUATTRO) da far svolgere
ad un Giudice Onorario di Tribunale, udienza in cui convogliare
(previa selezione dei fascicoli per
materia e per complessità, curata
dall’Istruttore e vistata dal Presidente di Sezione) alcune delle
cause del mese fissate per la precisazione delle conclusioni o per
l’assunzione di prove per testimoni o per interrogatorio formale.
3) Predisposizione di dati statistici
effettivamente attendibili, verificando
a) il numero dei procedimenti assegnati nell’anno ai singoli magistrati;
b) quante cause ciascun magistrato
abbia rinviato per precisazione
delle conclusioni;
c) quante cause siano state assegnate in decisione;
d) quante cause siano state cancellate dal ruolo;
e) quante cause si siano estinte;
105
f) quante cause siano state conciliate;
g) quali siano stati i termini di deposito delle sentenze osservati dai
magistrati;
h) quanti ordinanze ex artt 186 bis,
186 ter, 186 quater, 648, 649, 665
e quanti provvedimenti cautelari
siano stati emessi da ogni magistrato;
i) quante udienze siano state tenute
dal magistrato per ogni causa decisa con sentenza.
4) Analisi qualitativa dei flussi delle
cause in entrate ed analisi qualitativa dei flussi delle cause in uscita
esitate con sentenza, mediante
adozione di indici di reale produttività dei magistrati rapportati alla
consistenza qualitativa dei medesimi flussi di lavoro. Tornerebbe
utile, ad esempio, per la valutazione delle sentenze, un metodo basato sull’attribuzione di punti (metodo tante volte proposto in progetti di leggi ed in uffici giudiziari,
e troppe volte, per comprensibili
motivi, ripudiato) del tipo:
a) sentenze in materia societaria, di
diritti reali, di successioni, o comunque superiori a 20 pagine
dattiloscritte da 25 righi cadauno:
3 punti;
b) sentenze in materia di obbligazioni e contratti, fallimentare, di lavoro o locazione, o comunque
superiori a 10 pagine dattiloscritte
da 25 righi cadauno: 2 punti;
c) sentenze rese nel restante contenzioso, o comunque inferiori a 10
pagine dattiloscritte da 25 righi
cadauno: 1 punto. Il criterio di attribuzione di punteggi diversificati per materia si rivelerebbe adeguato pure a disaggregare il dato
dei flussi della cause in entrata. È
presumibile che il conseguimento
di più attendibili dati statistici induca i Dirigenti degli Uffici a rivedere i criteri di ripartizione tabellare per materia tra le due sezioni
civili del Tribunale.
5) Miglioramento dei servizi di cancelleria nelle funzioni di assistenza dei Magistrati:ad esempio, necessità di prevedere per ciascun
Giudice un’unica casella di allocazione dei fascicoli da esitare,
laddove ora i Magistrati della II
106
sezione civile trovano in luoghi
delle Cancellerie tutti fisicamente
diversi le cause per cui sono scaduti i termini ex art. 190 c.p.c., i ricorsi perdecreti ingiuntivi loro assegnati, i cautelari e sommari loro
assegnati, lecause delle successive udienze da studiare, le riservate da sciogliere, leperizie da liquidare, gli appelli di lavoro, le istanze di difensori e CTU;trasporto
dei fascicoli dell’udienza nelle
stanze dei singoli magistrati già
una settimana prima della rispettiva celebrazione, onde consentire
lo studio anticipato dei procedimenti e l’eventuale predisposizione anticipata di provvedimenti
istruttori o decisori (si pensi alle
cause locative o dadecidere ex
art. 281 sexies c.p.c.).
ALLEGATO TRE
Dati statistici Corte di Appello - sez.
Lavoro - Salerno.
Dati statistici: Corte di Appello - sez.
Lavoro:
– procedimenti pendenti: 1.098 al 31
dicembre 2000; 1.305 al 31 dicembre 2001; 1.457 al 31 dicembre
2002; 1.656 ad oggi;
– procedimenti definiti: 1.100 anno
2001; 1.531 anno 2002; 1.321 anno
in corso;
– procedimenti sopravvenuti: 1.307
anno 2001; 1.683 anno 2002; 1.520
anno in corso.
Le udienze di discussione sono fissate entro l’anno dal deposito; i rinvii
avvengono entro i 6 mesi.
Appello Lavoro in Tribunale:
– pendenze: 657 ruolo Lavoro; 227
ruolo Previdenza;
– definizioni: circa 700 con sentenza
da inizio anno.
Qualche nota:
Sulla base dell’andamento degli ultimi anni (circa 4.000 pendenze), è
previsto il completo esaurimento del
ruolo per l’inizio del prossimo periodo feriale.
Le riunioni ex art. 47 quater O.G. si
svolgono con cadenza mensile insieme ai colleghi della S.L. che trattano
il primo grado, e contemplano una
parte aperta agli Avvocati.
L’udienza si tiene in aula inadeguata
al numero delle parti; il ruolo di
udienza è diviso tra lavoro e previ-
denza e le cause patrocinate dall’Avvocatura dello Stato sono chiamate
per prime e di seguito per ridurre i
disagi.
ALLEGATO QUATTRO
Statistiche relative alla Terza Sezione
Civile del Trib. di Salerno.
N.B. Sono stati eliminati i riferimenti ai cognomi dei singoli.
Pendenze al 16 settembre 2003:
– Ruolo ALFA (attualmente scoperto): 255, di cui 254 in istruttoria + 1
al collegio;
– Ruolo BETA: 1.172, di cui 1.114 in
istruttoria + 12 al collegio + 46 in
190 c.p.c.;
– Ruolo GAMMA: 1.415, di cui 1.322
in istruttoria + 3 al collegio + 86 in
190 c.p.c. + 4 riservate;
– Ruolo DELTA: 1.081, di cui 1.081
in istruttoria + 8 al collegio + 38 in
190 c.p.c.
ALLEGATO CINQUE
Statistiche del Tribunale di Vallo della Lucania (civile).
– Procedimenti civili pendenti comprese procedure concorsuali ed
espropriazioni: 8.945 al 31 dicembre 2000; 9.096 al 31 dicembre
2001; 9.386 al 31 dicembre 2002;
– procedimenti civili definiti comprese procedure concorsuali ed
espropriazioni: 3.062 anno 2000;
2.446 anno 2001; 2.770 anno 2002;
– procedimenti civili sopravvenuti
comprese procedure concorsuali
ed espropriazioni: 3.076 anno
2000; 2.597 anno 2001; 3.060 anno
2002.
SEZIONE STRALCIO:
– procedimenti
civili
pendenti:
3.071 al 31 dicembre 2000; 2.626 al
31 dicembre 2001; 2.280 al 31 dicembre 2002;
LAVORO-PREVIDENZA
PRIMO GRADO:
– procedimenti pendenti: 6.370 al 31
dicembre 2000; 6.288 al 31 dicembre 2001; 6.980 al 31 dicembre
2002;
– procedimenti definiti: 1.825 anno
2000; 2.549 anno 2001; 1.110 anno
2002;
– procedimenti sopravvenuti: 3.263
anno 2000; 2.467 anno 2001; 1.802
anno 2002.
■
LE VENDITE FORZATE
E LA RAGIONEVOLE DURATA
DEL PROCESSO ESECUTIVO
1. GARANZIA ED EFFICIENZA
NEL PROCESSO ESECUTIVO
I
llustrando in numerosi incontri le prassi nella gestione delle procedure esecutive immobiliari elaborate dai tribunali di
Bologna e Monza e i risultati
estremamente positivi ottenuti ci
è parso talvolta di cogliere il timore, sia pur non chiaramente
esplicitato, che il perseguimento
di obiettivi di efficienza e quindi
l’esercizio dei poteri del giudice
anche nella prospettiva del risultato finale potesse allontanare il
giudice da una funzione di garanzia.
La nostra tesi è che la funzione di
garanzia possa essere pienamente
attuata solamente in un quadro di
efficienza.
La funzione di garanzia non può
essere infatti intesa solo come assicurazione del contraddittorio in
base a corrette notificazioni e in
genere alla regolarità degli atti ma
investe anche il piano dell’effettività della tutela dei diritti ed interessi sostanziali che si vogliono
tutelare tramite il processo. Nel
processo esecutivo sono coinvolti
il diritto dei creditori a soddisfare
i propri crediti mediante l’espropriazione di beni del patrimonio
del debitore e il diritto (o quantomeno l’interesse) del debitore a
non subire un sacrificio patrimoniale maggiore rispetto al valore
dei propri debiti. La tutela delle
due posizioni può essere assicurata solamente tramite un processo esecutivo rapido che si concluda con la vendita del bene al normale prezzo di mercato. Quando
una procedura esecutiva, pur in-
L
M
staurata in forza di un valido titolo e in base a regolari notifiche, si
traduce, come accade in buona
parte degli uffici giudiziari, nella
vendita dell’immobile dopo 5-6
anni ed a un prezzo inferiore del
30, 40 o 50 per cento rispetto al
valore di mercato non può certo
ritenersi effettivamente attuata la
funzione di garanzia del giudice
posto che tramite il processo si è
di fatto verificata una grave lesione dei diritti sia dei creditori sia
del debitore.
Queste considerazioni, volte ad
evidenziare la giuridicità della
prospettiva del risultato nell’ambito del processo, trovano conferma nella scelta del legislatore
di attribuire al giudice dell’esecuzione poteri che implicano valutazioni discrezionali in termini di
opportunità e in una prospettiva
essenzialmente gestionale come
ad esempio quelli inerenti la scelta delle forme di pubblicità o la
nomina di un custode giudiziario.
Trattasi evidentemente di poteri
che sono stati attribuiti al giudice
in funzione di garanzia sostanziale degli interessi coinvolti e che
devono essere, per loro natura,
esercitati secondo un metro sostanzialmente di buona amministrazione in base alla valutazione
di funzionalità della scelta adottata rispetto alla finalità da perseguire. Che l’ottica del legislatore
fosse proprio quella di mantenere l’espropriazione nell’ambito
processuale per assicurare una
maggiore tutela sostanziale degli
interessi coinvolti lo si evince
espressamente dalla relazione al
re sul codice di procedura civile
nel passaggio in cui si affermava
107
che la “presenza continua del
giudice dell’esecuzione servirà
da una parte a rendere vani i tentativi fatti a danno del creditore
procedente dal debitore o dai
suoi compari o prestanomi, ma
servirà anche a sventare le speculazioni di certi affaristi delle
espropriazioni che vedono nel
processo esecutivo uno strumento per arricchirsi sulle miserie altrui” e “deve nello stesso tempo
assicurare che i beni di cui il debitore è espropriato siano venduti per il loro giusto prezzo, e che
non siano strappati per cifre irrisorie da chi vuol profittare della
sua disavventura per spogliarlo
del patrimonio. Su questo piano
la tutela del creditore onesto e la
difesa del debitore sciagurato
coincidono”.
E che la prospettiva dell’efficienza s’imponga al giudice come parametro fondamentale nell’esercizio dei propri poteri è oggi definitivamente sancito dalla recente
modifica dell’art. 111 della Costituzione con l’espressa introduzione del principio della ragionevole
durata del processo.
Il diritto alla ragionevole durata
del processo è espressione, con
riferimento al profilo temporale,
di un più generale diritto all’efficienza che trova fonte anche nell’art. 97 della Costituzione e, nel
caso delle esecuzioni immobiliari,
riguarda, oltre la durata, anche
l’adozione di scelte funzionali ad
assicurare la vendita dei beni ad
un giusto prezzo di mercato. La
concretizzazione del principio involge sia i poteri di organizzazione dell’ufficio da parte dei dirigenti sia l’esercizio dei poteri endoprocessuali da parte di ogni
giudice. Con riferimento a questi
ultimi risulta evidente che il giudice, nel rispetto delle garanzie
previste dal codice, deve compiere quelle scelte che risultano più
funzionali rispetto all’obbiettivo
di una gestione efficiente.
L’efficienza in altri termini non è
108
solo un metro di valutazione delle scelte organizzative dell’ufficio
ma è, a tutti gli effetti, un parametro interno al processo.
In questa prospettiva, quindi,
modalità di gestione del processo
esecutivo che, in un contesto di
risorse fortemente limitate, implicano lo svolgimento di attività
inutili e comunque vani allungamenti dei tempi, senza alcunché
aggiungere sul piano delle garanzie, violano palesemente il precetto giuridico che impone il perseguimento dell’efficienza. Emblematica al riguardo è, ad esempio, la prassi, per nulla prevista
dal codice, di pervenire alla pronuncia dell’ordinanza di vendita
soltanto nella quarta e spesso
quinta udienza (udienza per nominare il perito, udienza per fare
giurare il perito, udienza per concedere i termini per l’esame della
perizia e finalmente udienza per
la pronuncia dell’ordinanza di
vendita) quando invece è possibile nominare l’esperto e farlo
giurare direttamente davanti al
giudice senza comparizione delle
parti (l’incarico all’esperto ex art.
568 c.p.c. non è infatti riconducibile alla consulenza tecnica d’ufficio in senso proprio) imponendogli di depositare la perizia e di
comunicarla direttamente a tutte
le parti con congruo anticipo rispetto alla prima udienza (che
quindi diventa di regola l’udienza
in cui si pronuncia l’ordinanza di
vendita).
D’altro canto risulta contrastante
con il dovere dell’efficienza, con
riferimento all’obbiettivo di assicurare una vendita del bene rapida ed al suo pieno valore di mercato, l’esercizio da parte del giudice del potere di disporre forme
di pubblicità commerciale senza
alcuna attenzione al profilo funzionale e quindi senza un’adeguata valutazione dell’efficacia
comunicativa delle inserzioni e
del rapporto tra efficacia e costi.
Analogamente contrasta con il
dovere dell’efficienza il non farsi
carico nella direzione della procedura esecutiva del problema fondamentale della visita dell’immobile da parte di chi manifesta interesse all’acquisto: solo assicurando ai potenziali acquirenti la
possibilità di visitare l’immobile è
possibile infatti superare la netta
cesura tra vendite giudiziarie e
normale mercato immobiliare evitando così che le prime siano di
fatto riservate a chi opera in
un’ottica speculativa e consentendo la partecipazione ai comuni
cittadini che, acquistando nella
prospettiva di destinare il bene a
propria abitazione, sono interessati all’acquisto ai normali prezzi
di mercato.
Il tema del rapporto tra funzione
di garanzia del giudice ed efficienza meriterebbe ben altro approfondimento che tuttavia non è
possibile sviluppare per ragioni
di tempo. In questa sede appaiono sufficienti queste brevi considerazioni per dimostrare che l’individuazione delle scelte processuali e delle soluzioni organizzative che andrò sinteticamente ad illustrare non rappresentano un’attività ultronea rispetto ai compiti
del giudice dell’esecuzione ma
costituiscono un tentativo, sfociato in risultati indubbiamente positivi, di concretizzare il dovere del
giudice di perseguire l’obbiettivo
dell’efficienza in un contesto, come quello del processo esecutivo,
in cui l’obbiettivo si specifica non
solo sul piano temporale della
durata del processo ma anche sul
piano dei valori dei realizzo dei
beni sul mercato, con conseguente necessità per il giudice di riflettere e di compiere delle scelte
con riferimento non solo ai meccanismi interni del processo (ad
esempio il numero delle udienze)
ma anche all’interazione con la
realtà extragiudiziaria del mercato
immobiliare. In altri termini il perseguimento dell’efficienza implica l’assunzione di parametri di ra-
zionalità tecnica che, nel caso di
attività giudiziale sfociante nella
collocazione di beni sul mercato
(in sede di procedure esecutive
ordinarie o in sede di procedure
concorsuali), impone la massima
attenzione alle effettive dinamiche del mercato ed alle esigenze
che condizionano l’incontro tra la
domanda e l’offerta, perché se da
queste esigenze si prescinde la
conseguenza è che il bene viene
liquidato a condizioni deteriori in
contrasto con il dovere dell’efficienza e con lesione dei diritti
delle parti coinvolte nel processo.
2. I RISULTATI
DELLE NUOVE PRASSI
L
e esperienze di tribunali come Monza e Bologna, ma
ora di molti altri tribunali,
dimostrano che è possibile in
tempi brevi, con la normativa vigente e con le pur scarse risorse
attualmente disponibili, modificare radicalmente la situazione delle procedure esecutive immobiliari caratterizzata spesso da una
sostanziale paralisi o comunque
da gravi fenomeni di turbativa
d’asta e dai tempi lunghi della
vendita degli immobili, che avviene dopo molti anni dal pignoramento e a prezzi molto inferiori a
quelli di mercato con grave danno sia per i creditori sia per i debitori esecutati.
Con le nuove prassi nel Tribunale
di Monza, partendo da una situazione, che avrebbe condotto, entro 5 anni ad una durata media
delle procedure esecutive di circa
venti anni, che vedeva gravi turbative d’asta e oltre l’80% della
aste deserte con la vendita di non
più di 40-50 immobili l’anno (a
fronte di oltre 3.500 procedure
pendenti e una sopravvenienza di
600 nuove procedure annue) già
nel primo anno – anno 2000 – si
sono venduti 500 immobili, il 65%
delle aste ha avuto esito positivo,
to delle certificazione ipocatastale
e l’effettiva distribuzione del ricavato, quando non sono i creditori
a chiedere un rallentamento, è inferiore ai 18 mesi. Il numero delle
procedure pendenti è sceso in soli tre anni, nonostante la sopravvenienza di 600 procedure all’anno, da ca. 3.500 a ca. 1.500 mentre, in assenza delle innovazioni
introdotte, oggi supererebbe le
5.000 unità. Va rilevato anche un
notevole aumento degli interventi
e questo evidentemente è l’effetto
dei maggiori valori di realizzo che
consente quasi sempre un’effettiva partecipazione alla distribuzione di tutti i creditori e molto spesso anche un la restituzione al debitore di parte del ricavato.
Questi dati si possono evincere in
modo più chiaro dalle seguenti
tabelle.
il ricarico medio sui prezzi base è
stato del 22% e le procedure estinte per accordi tra le parti sono nettamente aumentate superando le
700. Nel 2002 risulta eliminato tutto l’arretrato, tant’è che si sono
dovute ridurre le udienze di vendita inizialmente programmate
per la mancanza di sufficienti immobili da vendere, la percentuale
delle aste con esito positivo è salita al 70% e il ricarico medio rispetto al prezzo base al 29%. L’effetto indotto della maggiore efficienza delle procedure è risultato
ancora superiore: le procedure
estinte per accordo tra le parti
rappresentano ben il 63% delle
procedure definite, quindi, quasi
il doppio di quelle concluse per
effetto dell’avvenuta espropriazione. Attualmente la durata delle
procedure esecutive, tra il deposi-
TABELLE DI RAFFRONTO DELLE VENDITE IMMOBILIARI
DEL TRIBUNALE DI MONZA
TRA L’ANNO 2000 E GLI ANNI PRECEDENTI NEI QUALI
NON ERANO STATE ANCORA INTRODOTTE LE NUOVE PRASSI
NUMERO DI IMMOBILI POSTI IN VENDITA
1998
1999
2000
280
280
952
Incremento nel numero di immobili posti in vendita rispetto al 1999: + 340%
NUMERO DI IMMOBILI VENDUTI
1994
1995
1996
1997
1998*
1999**
2000
43
44
67
41
77
175
498
Immobili venduti nel 2000 rispetto a quelli venduti nel 1994: + 1158%
** Negli ultimi mesi del 1998 sono iniziate le pubblicazioni di parte degli annunci su Il Corriere della Sera.
** Le modifiche nelle prassi sono state introdotte a partire da settembre 1999.
IMMOBILI VENDUTI RISPETTO A QUELLI IN VENDITA
In vendita*
760
Venduti
498
Percentuale dei lotti venduti rispetto a quelli posti in vendita nel 2000: 65,5%
* Nelle procedure in cui non è intervenuta sospensione della vendita a seguito di conversione o accordo tra
le parti.
NUMERO DI IMMOBILI VENDUTI A SEGUITO DI EFFETTIVA GARA
Totale lotti aggiudicati a base d’asta
158
Totale lotti aggiudicati a seguito di gara
340
Percentuale di immobili venduti per i quali si è svolta gara tra più offerenti: 68,3%
109
FASCICOLI ESAURITI
(PER VENDITA DI TUTTI I LOTTI O PER ESTINZIONE)
PER VENDITA
DI TUTTI I LOTTI
PER ESTINZIONE
TOTALE
375
702
1.077
Percentuale di fascicoli pendenti al 31 dicembre 1999 esauriti
nel 2000: - 33,3%
INCREMENTO DI PRODUTTIVITÀ PER MAGISTRATO
1997
2000
Immobili venduti
41*
498*
Numero magistrati
14*
493*
Incremento di lotti venduti per magistrato: + 1219%
* Nel 2000 i tre magistrati addetti alle esecuzioni immobiliari erano destinati
prevalentemente alle attività di giudice delegato nelle procedure concorsuali,
mentre nel 1997 alle attività di giudice in sezione civile ordinaria.
TABELLE DI RAFFRONTO DELLE VENDITE IMMOBILIARI DEL TRIBUNALE DI MONZA
NEGLI ANNI 2000-2001-2002
PERCENTUALE LOTTI VENDUTI
2000
2001
2002
Numero di lotti in vendita
760
646
647
Numero lotti venduti
498
383
454
65,53%
60,06%
70,17%
Percentuale lotti venduti
PERCENTUALE LOTTI VENDUTI CON GARA TRA I PIÙ OFFERENTI
2000
2001
2002
Numero lotti venduti
498
383
454
Lotti venduti con gara tra più offerenti
340
255
319
68,27%
65,72%
70,26%
2000
2001
2002
Aste senza rilanci
31,73%
34,28%
29,74%
Aste con rilanci: fino al 10%
13,45%
11,08%
19,69%
dal 10% al 20%
19,84%
17,47%
17,71%
dal 20% al 30%
11,65%
11,08%
19,69%
dal 30% al 50%
15,26%
17,01%
17,18%
dal 50% al 70%
18,23%
19,10%
10,79%
oltre il 70%
19,84%
10,05%
15,20%
100%
100%
100%
Percentuale lotti venduti con gara tra più offerenti
ENTITÀ DEI RILANCI
INCREMENTO DEGLI IMPORTI REALIZZATI RISPETTO AI PREZZI A BASE D’ASTA
2000
2001
2002
Ammontare complessivo degli importi di base d’asta
196.123.413.200
70.587.645.000
€ 38.382.449,00
Realizzo complessivo
117.388.060.000
86.406.020.000
€ 49.740.025,00
Incrementi sulle basi d’asta
+ 21.264.646800
Incrementi sulle basi d’asta
+ 22,12%
+ 15.818.375.000 + € 11.357.576,00
+ 22,41%
+ 29,59%
PROCEDURE DEFINITE NEL PERIODO 1º GENNAIO 2000 - 30 MARZO 2003
PENDENTI AL 1º GENNAIO 2000
SOPRAVVENUTE NEL PERIODO
DEFINITE NEL PERIODO
PENDENTI AL 30 MARZO 2003
3.590
+ 1.902
- 4.057
1.435
EFFETTO DIRETTO ED EFFETTO INDOTTO DELLA MAGGIORE EFFICIENZA DELLE PROCEDURE ESECUTIVE
NEL PERIODO 1º GENNAIO 2000 - 30 MARZO 2003
Procedure definite a seguito di vendita o conversione
36,5%
Procedure definite a seguito di intervenuti accordi tra le parti (estinzioni ex artt. 567, 629 e 631 c.p.c.)
63,5%
110
DURATA DELLE PROCEDURE: ANALISI DELLE PROCEDURE IN CUI È STATA DEPOSITATA
LA DOCUMENTAZIONE IPOCATASTALE NEL MESE DI GENNAIO 2003
NUMERO
PROCEDIMENTI
DEPOSITO
DOCUMENTAZIONE
IPOCATASTALE
ART. 567 C.P.C.
DATA EMISSIONE
PROVVEDIMENTO
ART. 569 C.P.C.
33
gennaio 2003
30 gennaio 2003
DEPOSITO PERIZIA
DATA UDIENZA
IN CANCELLERIA
PER PRONUNCIA
E INVIO DELLE COPIE
ORDINANZA
A MEZZO FAX
DI VENDITA
O POSTA
E NOMINA CUSTODE
AI CREDITORI
GIUDIZIARIO
E DEBITORE
aprile 2003
maggio 2003
DATA DI VENDITA
PREVISTA
DATA PREVISTA
PER
APPROVAZIONE
PROGETTO
DI DISTRIBUZIONE
settembre 2003
gennaio 2004
ANALISI DELLE PRIME 100 PROCEDURE IN CUI È STATA DEPOSITATA LA DOCUMENTAZIONE IPOCATASTALE
NEL GIUGNO 2001
NUMERO
PROCEDIMENTI
100
DEPOSITO
DOCUMENTAZIONE
IPOCATASTALE
ART. 567 C.P.C.
giugno 2001
DATA EMISSIONE
PROVVEDIMENTO
ART. 569 C.P.C.
30 giugno 2001
In una prospettiva generale questi dati del Tribunale di Monza sono molto significativi sia perché il
Tribunale di Monza è un ufficio di
medio-grandi dimensioni con un
bacino di oltre 1.200.0000 persone sia, soprattutto, perché i dati
esposti risultano coincidenti con
quelli del Tribunale di Bologna.
Questo dimostra che i risultati
non sono la conseguenza di peculiarità socio-economiche della
realtà dell’hinterland milanese ma
sono il frutto di una metodologia
condivisa dai magistrati dei due
uffici. Qualcuno potrebbe però
pensare che comunque si tratta di
realtà accomunate dall’essere inserite in aree particolarmente sviluppate di regioni settentrionali.
Ma al riguardo si deve osservare
che in tribunali confinanti con
quello di Monza ancora oggi l’8090% delle aste vanno deserte e la
media durata delle procedure è
notevolmente superiore ai 5 anni
e che all’opposto in tribunali siti
in province del meridione, dopo
l’adozione di prassi analoghe a
quelle di Bologna e Monza (recentemente ad esempio i tribuna-
DEPOSITO PERIZIA
DATA UDIENZA
IN CANCELLERIA
PER PRONUNCIA
E INVIO DELLE COPIE
ORDINANZA
A MEZZO FAX
DI VENDITA
O POSTA
E NOMINA CUSTODE
AI CREDITORI
GIUDIZIARIO
E DEBITORE
novembredicembre 2001
gennaio 2002
li di Brindisi, Lecce e Patti), si ottengono risultati che, anche in
termini statistici, si stanno rapidamente avvicinando a quelli ora
esposti.
Questi risultati non dipendono
pertanto, se non in minima parte,
dal contesto economico (che semmai incide sui valori del mercato
immobiliare e quindi sui valori di
realizzo in termini assoluti).
E neppure dipendono dalle strutture e dal personale a disposizione dell’ufficio, per quanto carenti
esse possano essere: ciò perché
prassi, come quelle sperimentate
a Monza prevedono e comportano un recupero di risorse tramite
la eliminazione di attività non necessarie e un’ampia delega di attività a soggetti terzi, delega che
produce un corrispondente sgravio di lavoro per la cancelleria e
che consente quindi di trattare un
maggior numero di processi a parità di strutture.
Il Tribunale di Monza ha infatti
instaurato le nuove prassi con soli tre magistrati, – che, peraltro, si
occupavano principalmente della
gestione delle procedure falli-
STATO DELLE PROCEDURE NEL MESE
DI OTTOBRE 2002
• N. 33 Estinte a seguito di rinuncia
• N. 37 “congelate” per accordo tra creditori e debitore o
in cui è in corso la conversione
• N. 30 in cui è stata eseguita
la vendita ed approvato o in
corso di approvazione il progetto di distribuzione
mentari (con circa 500 fallimenti a
testa) e facevano parte anche della sezione stralcio – e con quattro
addetti alla cancelleria esecuzioni
immobiliari: pur con forze così limitate è stato possibile in un solo
anno, tramite l’eliminazione di attività inutili e la valorizzazione di
varie figure di ausiliario, far redigere circa mille perizie di stima,
pronunciare circa mille ordinanze
di vendita, svolgere 760 aste, vendere 500 immobili, emettere 500
decreti di trasferimento e, infine,
redigere, approvare ed eseguire i
conseguenti progetti di distribuzione.
3. LE NUOVE PRASSI PER
UN PROCESSO ESECUTIVO
EFFICIENTE: INDIVIDUAZIONE
DELLE CAUSE DELLA CRISI
DELLE PROCEDURE
ESECUTIVE IMMOBILIARI
P
er un’illustrazione puntuale
della prassi elaborata dai
giudici dell’esecuzione del
Tribunale di Monza si rinvia all’articolo “Sintesi delle peculiarità
111
nelle prassi delle vendite immobiliari nel tribunale di Monza”,
pubblicato nella Rivista dell’Esecuzione Forzata n. 4/2001, unitamente ad un intervento del Prof.
Avv. Achille Saletti, Ordinario di
Diritto dell’Esecuzione Civile nell’Università degli Studi di Milano,
che sottolinea la rispondenza di
tale prassi alle previsioni del codice di procedura civile.
In questa sede si possono focalizzare soltanto i profili essenziali.
Punto di partenza dell’elaborazione delle nuove prassi è stata una
riflessione, condotta insieme dai
magistrati e dagli avvocati più interessati alla materia, sulle cause
della crisi delle procedure esecutive immobiliari.
Ad un primo esame, questa crisi
appare inspiegabile secondo le
leggi che regolano il mercato: un
soggetto che colloca sul mercato
un bene che risponde ad una domanda diffusa, ad un prezzo concorrenziale, offrendo le massime
garanzie quanto al rischio di evizione o di revocatorie, senza far
pagare oneri di intermediazione
deve trovare, secondo le normali
dinamiche del mercato, un’ampia
platea d’interessati all’acquisto.
Nel caso delle esecuzioni immobiliari invece, pur presentando esse
tutte le caratteristiche della fattispecie descritta, la regola è che i
beni si vendano soltanto dopo
molti anni a prezzo notevolmente
inferiore ai valori di mercato.
Muovendo da questo paradosso,
si è pervenuti alla conclusione
che tre sono le principali cause
dell’inefficienza delle procedure
esecutive immobiliari:
a) l’assenza dei cittadini nelle
aste ossia l’isolamento delle
vendite giudiziarie rispetto al
normale mercato immobiliare
con la conseguenza del susseguirsi di aste deserte;
b) la circostanza che si pongono
in vendita in un numero significativo di procedure quote indivise;
112
c) l’appesantimento delle procedure con attività inutili che
ne allungano ulteriormente i
tempi.
3.1. L’assenza dei cittadini
alle aste
A
ffinché il processo esecutivo risulti efficiente occorre
che sfoci nella vendita del
bene pignorato nei tempi più brevi possibili, al prezzo non inferiore a quello di mercato, con il minor costo possibile.
Perché ciò accada occorre assicurare la più ampia partecipazione
dei comuni cittadini alle aste. Occorre in altri termini che le vendite giudiziarie non rappresentino
una realtà sostanzialmente separata rispetto al normale mercato
immobiliare.
Nella maggior parte dei tribunali
la situazione, sotto tale profilo, è
disastrosa.
Le vendite immobiliari sono in
genere appannaggio di pochi
speculatori che hanno interesse
ad acquistare ad un prezzo fortemente ridotto rispetto al reale valore e sono peraltro privi della capacità economica di assorbire tutti gli immobili posti in vendita da
un tribunale anche di piccole dimensioni. In questo contesto è
frequentissimo che gli operatori
abituali delle aste concludano tra
loro accordi illeciti per mandare
ripetutamente deserte le aste ed
ottenere una drastica riduzione
dei prezzi di vendita o che, nel
caso di presentazione di offerte
da parte di comuni cittadini, cerchino di indurli a ritirarsi oppure
chiedano loro delle tangenti con
la minaccia di rilanci strumentali
o della riapertura della gara mediante l’offerta dell’aumento del
sesto prevista per la vendita con
incanto.
Il risultato è che la realtà delle
aste giudiziarie è comunemente
percepita come fortemente inquinata da condotte illecite, i cittadi-
ni sono scoraggiati dal parteciparvi e che, con il susseguirsi di aste
deserte più o meno “pilotate”, si
perviene alla vendita dei beni pignorati dopo molti anni a prezzi
di regola molto inferiori (40 o anche 50%) al loro valore di mercato e che una parte dei beni rimane addirittura invenduta nonostante risulti offerta a prezzo vile.
La situazione si modifica completamente quando si assicura
un’ampia partecipazione con il
pieno inserimento delle vendite
giudiziarie nel normale mercato
immobiliare in quanto il comune
cittadino che acquista l’immobile
per destinarlo a propria abitazione è disponibile a pagare il pieno
prezzo di mercato e talvolta, se
ha un particolare interesse (ad
esempio per la vicinanza con il
luogo di lavoro o con l’abitazione
di un familiare o per particolari
caratteristiche del bene), anche
un prezzo superiore e il mercato
è in grado di assorbire rapidamente tutti gli immobili posti in
vendita (quantomeno quelli ad
uso abitativo siti nelle aree urbane o comunque nei centri maggiori).
3.2. La cause dell’assenza
dei cittadini dalle aste
P
er evitare che le aste giudiziarie siano appannaggio di
pochi speculatori con tutti i
conseguenti effetti degenerativi
occorre individuare puntualmente i fattori che ostacolano la partecipazione del comune cittadino
al fine della loro rimozione.
Si è appena rilevato che una prima causa è ravvisabile nella percezione diffusa dei fenomeni di
turbativa d’asta ed in particolare
di quelle condotte che si risolvono in richieste di tangenti agli aggiudicatari.
Le altre cause possono così sinteticamente elencarsi:
a) l’inadeguatezza delle forme
pubblicità usualmente dispo-
ste (annunci spesso non chiari,
pubblicati in giornali diversi e
in giorni diversi, di norma appena 20 giorni prima dell’asta,
per cui il cittadino che volesse
monitorare tutte le vendite di
un tribunale per trovare il bene di suo interesse dovrebbe
acquistare tutti i giorni più
quotidiani ed avrebbe poi a disposizione un tempo palesemente insufficiente per ottenere le ulteriori informazioni,
compiere le valutazioni comparative, verificare la possibilità di ottenere un finanziamento bancario di denaro idoneo al pagamento del prezzo);
b) l’impossibilità o la grave difficoltà per il cittadino di ottenere informazioni più specifiche
su un determinato immobile
della cui vendita sia venuto a
conoscenza (per prendere visione della perizia è necessario prendersi un giorno di ferie
e recarsi nelle affollate e disorganizzate cancellerie dei tribunali, in orari spesso rigidamente limitati, magari a giorni alterni senza che il personale di
cancelleria sia ovviamente in
grado di fornire informazioni
ulteriori rispetto a quelle evincibili dalla perizia);
c) le frequenti carenze delle perizie (per chi compera nella prospettiva dell’uso proprio ed a
prezzo pieno è essenziale avere informazioni precise sullo
stato di conservazione del bene, sull’esistenza di eventuali
irregolarità edilizie anche interne e sulla loro sanabilità,
sull’opponibilità o meno del titolo in forza dei quali il bene è
occupato da terzi, sull’ammontare annuo delle spese condominiali, sull’esistenza di spese
condominiali pregresse di cui
potrebbe essere chiamato a rispondere in via solidale e in
ordine a questi profili spesso
nulla risulta dalle perizie o le
informazioni riportate risulta-
no imprecise e talvolta completamente errate, spesso perché il perito non è stato in grado di effettuare l’accesso all’immobile);
d) l’impossibilità di visitare l’immobile prima della vendita
(che rappresenta il fattore
maggiormente disincentivante
posto che praticamente nessuno è disposto ad acquistare un
immobile per andarvi ad abitare senza previamente visitarlo);
e) la necessità di versare, solo
per partecipare all’asta, una
somma spropositata, pari ad
euro del prezzo base (10% per
cauzione e 15% per spese presunte);
f) la necessità di attendere per
molti mesi il decreto di trasferimento;
g) la necessità di farsi carico, dopo l’attesa del decreto di trasferimento, della liberazione
dell’immobile dal debitore;
h) il rischio che solo in quella sede si scopra che il bene è occupato in forza di un contratto
di locazione opponibile per alcuni anni;
i) la necessità di provvedere in
proprio all’effettiva cancellazione del pignoramento e delle ipoteche.
Questi fattori possono essere
ininfluenti per uno speculatore,
che svolge questa attività per professione e acquista il bene ad un
prezzo notevolmente ribassato
concludendo in ogni caso un affare: non certamente per un cittadino, abituato alle regole del mercato commerciale, che acquista
l’immobile per uso proprio, lo paga il normale prezzo di mercato
e, di norma, ha la necessità di essere immesso subito nel possesso, dovendo consegnare a sua
volta il precedente immobile di
sua proprietà che ha venduto per
pagare il prezzo di aggiudicazione o non essendo in grado di pagare contemporaneamente il canone di locazione per la vecchia
abitazione e le rate del mutuo stipulato per il versamento del saldo
prezzo.
Queste cause vanno quindi eliminate
3.3. La vendita
delle quote indivise
N
el verificare lo stato delle
procedure si era constatato
che un numero significativo di procedure pendenti da molti anni dopo varie aste infruttuose
avevano ad oggetto quote indivise. Questa situazione risultava
una conseguenza del fatto che i
precedenti giudici dell’esecuzione quando era pignorata una
quota indivisa all’udienza ex art.
600 c.p.c., a prescindere dalla
condotta dei comproprietari non
pignorati, provvedevano ad ordinare la vendita della quota. In
molti casi queste procedure si
esaurivano nella vendita del bene
a prezzo irrisorio, spesso a malapena sufficiente a coprire le spese
del giudizio, ad un comproprietario e talvolta ad uno speculatore
(che poi provvedeva a regolare i
rapporti con gli altri comproprietari). In altri casi, dopo molti anni
di attività e ingenti spese da parte
del creditore procedente, la procedura era abbandonata senza alcuna vendita.
3.4. Le attività inutili
nell’ambito
del processo esecutivo
I
tempi del processo esecutivo
sono gravemente pregiudicati
dal fenomeno delle aste deserte determinato dalla mancata
partecipazione dei cittadini. La
lunghezza del processo esecutivo
è tuttavia ulteriormente dilatata
dallo svolgimento di numerose
udienze nella fase iniziale della
procedura che non sono richieste
dalla legge e risultano del tutto
inutili. Posto che l’esperto nominato per la stima del bene in se113
de esecutiva non è equiparabile
al consulente nominato in un
giudizio di cognizione, è pacifico
che né la sua nomina né l’assunzione dell’incarico (e lo stesso
svolgimento delle operazioni di
stima) debbano avvenire nel contraddittorio delle parti. Ne consegue che l’udienza per la nomina
dell’esperto nominato e l’udienza
per il giuramento dell’esperto sono udienze del tutto inutili. Il giudice può nominare l’esperto fuori udienza contestualmente all’emissione del provvedimento con
cui fissa la prima udienza, stabilendo che questi compaia dopo
pochi giorni, senza la presenza
delle parti, per l’accettazione dell’incarico e che depositi la perizia
almeno trenta giorni prima dell’udienza inviandone copia a mezzo
fax o posta a tutte le parti: la prima udienza è quindi destinata alla pronuncia dell’ordinanza di
vendita. Questo significa che l’ordinanza di vendita può essere
pronunciata entro sei mesi dal
deposito della documentazione
ipocatastale anziché dopo due
anni come normalmente avviene.
In un tribunale in cui iniziano
ogni anno 600 nuove procedure
esecutive significa inoltre che,
evitandosi tre udienze per ogni
procedura, si eliminano (ipotizzando che in ogni udienza siano
trattate 20 procedure) 90 udienze: se tre sono i giudici dell’esecuzione ciò equivale al risparmio
di tre udienze al mese per ciascuno di essi. In altri termini, nel tribunale che segue la prassi tradizionale non solo i tempi delle
procedure si allungano di due
anni, ma ogni giudice destina
quasi un giorno di udienza alla
settimana per svolgere attività
inutili.
Un discorso analogo può farsi
con riferimento alla fissazione, a
seguito dell’asta deserta, di una
nuova udienza per la pronuncia
dell’ordinanza di vendita, ben potendosi, nel rispetto della ratio
114
della norma del codice, pronunciare subito l’ordinanza di vendita
e fissare l’udienza per l’esame
delle istanze di assegnazione soltanto nel caso di effettiva presentazione di tali istanze (circostanza
estremamente rara).
4. L’ELIMINAZIONE DELLE
CAUSE DELL’ASSENZA
DEI CITTADINI DALLE ASTE
4.1. Realizzazione di
un sistema d’informazione
articolato su più livelli
a) informazione
di primo livello
P
er informazione di primo livello deve intendersi quella
finalizzata a rendere edotti i
cittadini di quali beni sono di volta in volta posti in vendita.
Essa deve essere strutturata in
maniera tale da avere la più ampia diffusione possibile, con strumenti multi-livello, che siano in
grado di raggiungere diverse fasce di destinatari, con mezzi diversi.
Qui di seguito sono indicati i diversi strumenti utilizzati dal Tribunale di Monza:
1) pubblicità su quotidiano
di rilievo nazionale
in pagina unica
In primo luogo, tutti gli annunci –
nessuno escluso – vengono pubblicati su quotidiani di rilievo nazionale, in date fisse – in genere
ogni due mesi –, in unica pagina,
dedicata esclusivamente agli annunci del Tribunale. In ogni pagina è già indicata la data della successiva inserzione.
La pubblicazione a data fissa e la
inserzione di tutti gli annunci in
unica pagina consentono ai cittadini di seguire efficacemente e
con minima spesa tutte le vendite
immobiliari del Tribunale.
Inoltre l’acquisto dello spazio
pubblicitario a pagina intera, per
più pagine all’anno, consente di
ottenere congrue riduzioni di
prezzo.
Ulteriori risparmi in termini di costo derivano dalla possibilità,
pubblicando tutti gli annunci nella stessa pagina, di non ripetere le
modalità di presentazione delle
offerte ad ogni annuncio, ma di
indicarle una volta per tutte in cima alla pagina.
Gli annunci sono redatti secondo
specifiche istruzioni dei giudici,
con eliminazione di ogni riferimento a elementi non strettamente indispensabili, nello stile
della normale pubblicità commerciale. Ciò, oltre a rendere
l’annuncio più accattivante, è ulteriore fattore di abbattimento
dei costi, che sono ridotti a circa
un quinto rispetto ad un annuncio pubblicato secondo le precedenti prassi.
Il giornale interessato (Il Corriere
della Sera) è stato scelto sulla base di una preventiva identificazione dei quotidiani aventi maggiore
diffusione nella circoscrizione; tra
queste testate si è poi scelta quella che offriva il minor costo per
contatto (importo del costo complessivo della pagina diviso per il
numero di lettori).
Gli immobili a destinazione commerciale o industriale ovvero anche abitativa ma di maggior pregio (di valore superiore a lire
500.000.000) sono altresì pubblicizzati in altra pagina unica sul
Sole 24 Ore.
2) riproduzione e diffusione
della pagina in 40.000 copie
La pagina contenente gli annunci
viene riprodotta in 40.000 copie
poste in distributori fissi presso
uffici postali, uffici giudiziari, uffici finanziari, e distribuita nelle
principali stazioni ed in alcuni
centri da personale di una società
di servizi specializzata.
Il costo per la stampa e la distribuzione è di qualche decina di
euro per ciascuna procedura.
3) pubblicità su pagine regionali
di due quotidiani
in pagina unica
La stessa pagina pubblicata su il
Corriere della Sera è pubblicata,
al fine di coprire diverse aree di
lettori, a costi minimi, tra le pagine regionali de La Repubblica e
de Il Giornale.
4) Inserimento degli avvisi
di vendita nelle caselle postali
degli immobili adiacenti
Il custode nominato dal Tribunale
provvede tra l’altro a inserire, nelle caselle degli immobili adiacenti a quello in vendita, brevi volantini contenenti l’informazione che
è in vendita un immobile nella via
e l’invito a rivolgersi al custode.
Ciò consente da un lato di raggiungere utenti diversi dai lettori
di quotidiani o di altri giornali;
dall’altro di far giungere il messaggio ad utenti potenzialmente
maggiormente interessati all’acquisto in quanto già abitanti nella
zona
5) pubblicazione degli annunci
su rete Internet
Tutti gli annunci della pagina
vengono riprodotti altresì su sito
Internet (tribunaledimonza.net)
È possibile accedere rapidamente
agli annunci di maggior interesse
per l’utente, attraverso una ricerca
per località e per tipologia dell’immobile.
Il sistema consente una assoluta
riservatezza per l’utente e le informazioni sono accessibili 24 ore al
giorno.
6) pubblicazione degli annunci
su giornali free press
Tutti gli annunci della pagina
vengono riprodotti altresì sul
quotidiano City distribuito gratuitamente in 200.000 copie nelle
stazioni della metropolitana e sul
quindicinale QuiCasa distribuito
gratuitamente in 40.000 copie nei
comuni del circondario.
b) informazione
di secondo livello:
accesso alle ordinanze
di vendita ed alle perizie
mediante internet,
a mezzo fax o posta
U
na volta che il cittadino abbia notato un annuncio di
suo interesse, è necessario
fornirgli le ulteriori informazioni
che potrebbero interessargli e che
sono contenute, sostanzialmente,
nella ordinanza di vendita e nella
perizia.
Quest’ultima, in particolare, è di
assoluto rilievo: in essa il cittadino deve trovare una descrizione
esauriente del bene, con l’indicazione di tutti gli elementi necessari per decidersi all’acquisto. In
particolare nella perizia devono
essere chiaramente esplicitati i
criteri di stima, deve essere esattamente indicata le superficie, individuati i vincoli gravanti sul bene e non cancellabili con il decreto di trasferimento, quantificate
l’ammontare annuo delle spese
condominiali e le spese pregresse
non pagate nell’ultimo biennio,
precisato se l’immobile è occupato da terzi in base ad un contratto
opponibile o se è stato assegnato
ad un coniuge con provvedimento giudiziale, se risultano irregolarità urbanistiche e riportato ogni
altro elemento incidente sulle
possibilità di godimento o sfruttamento (ad esempio nel caso di
aree edificabili deve eseere verificato che non siano intervenute
cessioni di quote di cubatura). È
poi importante che le perizie siano redatte secondo un modello
uniforme, allo scopo di renderle
più leggibili e facilmente consultabili.
Questi obiettivi sono stati realizzati, a Monza, predisponendo
uno schema vincolante di relazione e, per essere maggiormente
certi della sua osservanza, si è imposto ai periti l’uso di un software gratuito che, acquisiti i dati,
consente al computer di scrivere
automaticamente il testo della perizia, senza intervento del perito.
Sia la perizia sia l’ordinanza di
vendita – che contiene il prezzo e
le altre condizioni – sono consultabili sul sito Internet e possono
essere scaricate – cioè acquisite
nel proprio computer, per essere
poi visualizzate, stampate e archiviate – in ogni momento e gratuitamente.
Per coloro che non dispongono
di un computer lo stesso provider
gestisce un servizio di spedizione
gratuita mezzo fax o posta attivabile telefonando ad un numero
verde.
c) istituzione dell’Ufficio
Vendite Immobiliari
P
ur con le possibilità di acquisire la documentazione
nei modi sopra indicati è
inevitabile che alcuni preferiscano recarsi personalmente in Tribunale.
Allo scopo di evitare di sottoporre il cittadino alla necessità di dover fare la fila insieme con gli altri operatori (avvocati, periti ecc.)
nella cancelleria esecuzioni ovvero nella cancelleria fallimenti, già
notevolmente oberate di lavoro,
si è creato un apposito ufficio, il
quale funge da interfaccia tra il
Tribunale e i cittadini interessati
all’acquisto.
Tale ufficio, oltre ad altri compiti,
come il ricevimento delle offerte,
consente la consultazione, sei
giorni su sette, ad orario pieno,
delle perizie ed ordinanze e ne rilascia copia a richiesta.
L’ufficio svolge la sua attività sia
per le vendite fallimentari che per
le esecuzioni, consentendo al cittadino di avere un unico referente per ogni necessità.
Nel medesimo tempo costituisce
un prezioso filtro per entrambe le
cancellerie interessate, evitando
che queste siano intasate da un
flusso di utenti poco avvezzi alla
115
frequentazione degli uffici e quindi più impegnativi perché necessitanti di maggiori attenzioni e disponibilità.
d) modulo organizzativo
per la gestione
del sistema della pubblicità
A
l fine di evitare che l’introduzione di un sistema
complesso di pubblicità
(che vede coinvolti un provider
per il sito internet, tre o quattro
editori, uno stampatore per la riproduzione delle pagine dei giornali locali ed un altro operatore
per la distribuzione delle copie
tramite i contenitori fissi e presso
le stazioni) creasse delle difficoltà
ai legali dei creditori si determinassero degli errori o delle omissioni si è messo a punto un modulo organizzativo che prevede a
carico del legale unicamente la
compilazione e sottoscrizione di
un modulo e il suo deposito in
Cancelleria.
Per la stessa ragione il meccanismo è congegnato in modo che
tutti i costi siano anticipati da un
unico operatore (il provider) e alla parte sia inviata un’unica fattura coprente tutti i servizi.
Di seguito si descrive il modulo
organizzativo:
– l’avvocato del creditore:
– redige la prima bozza del testo dell’inserzione sull’apposito modulo indirizzato al
provider e contenente in calce anche i dati per la fatturazione;
– il modulo o è depositato in
cancelleria o è inviato direttamente al provider mediante posta elettronica o fax;
– il provider:
– verifica la corrispondenza
del testo agli standard stabiliti a livello distrettuale, eventualmente lo reimposta e
quindi lo redige su supporto
informatico e lo invia al richiedente mediante posta
116
elettronica per presa visione
e conferma;
– provvede quindi a scannerizzare perizia, ordinanza di
vendita e scheda catastale se
allegata alla perizia;
– il provider, assemblando le varie inserzioni secondo tipologie
dei beni e luoghi in cui i beni si
trovano, forma su supporto
informatico la pagine dei quotidiani nazionali e locali e le invia ai rispettive editori;
– il provider carica sul sito web
del tribunale interessato le inserzioni, le copie delle perizie,
delle ordinanze e delle schede
catastali;
– il provider fa riprodurre la copia de Il Corriere della Sera in
40.000 ed incarica una società
di servizi affinché provveda a
ritirare le copie presso lo stampatore ed a distribuirle nei contenitori fissi collocati presso le
varie sede del tribunale, gli uffici dell’Agenzia delle Entrate e
gli uffici postali centrali dei comuni con più di 20.000 abitanti. Lo stesso operatore provvede con frequenza quindicinale
ad alimentare i contenitori ed
organizza anche la distribuzione presso le principali stazioni
ferroviarie e metropolitane
comprese nel circondario. Cura
inoltre la consegna alle banche
che si sono dichiarate disponibili all’erogazione dei mutui
per lo smistamento nelle rispettive agenzie.
Sia i vari editori, sia lo stampatore che la società che si fa carico
della distribuzione fatturano al
provider che emette un’unica
fattura per ogni procedura: la
fattura comprende il compenso
spettante al provider per il servizio internet, il numero verde e
il fax a richiesta, nonché pro
quota il prezzo delle inserzioni
sui quotidiani e il prezzo dei servizi di riproduzione delle pagine
dei quotidiani e la loro distribuzione.
e) minori costi
della pubblicità
N
onostante la molteplicità
delle forme pubblicitarie, i
costi sono notevolmente
ridotti rispetto alla pubblicità che
prima veniva fatta: i costi complessivi a carico di ciascuna procedura per il complesso di queste forme di pubblicità ammontano infatti a meno di un terzo di
quel che costava prima la sola
pubblicazione di un annuncio
isolato – senza quindi visibilità e
senza efficacia – sul Corriere della Sera.
Ciò è possibile in primo luogo
perché il prezzo di una pagina intera risulta molto inferiore all’equivalente spazio occupato da
tanti annunci pubblicati separatamente; in secondo luogo per la
nuova forma dell’annuncio, più
breve e stringata, possibile grazie
al sistema di non ripetere in
ognuno di essi le modalità di presentazione delle domande e le altre notizie necessarie.
Il totale dei costi per la pubblicità di una vendita ammonta mediamente a euro 830 (euro 500
ca. per Il Corriere della Sera e
City, euro 50 per la stampa e la
riproduzione in 40.000 copie
della pagina del Corriere, euro
50 per La Repubblica ed euro
50 per Il Giornale, euro 50 per
Qui Casa ed euro 130 per il provider (compresi la gestione del
sito internet e tutte le attività accessorie).
L’efficacia è però incomparabilmente superiore risultando del
tutto evidente che è nettamente
superiore il numero delle persone
raggiunte attraverso una pubblicità che si articola su rete internet,
quotidiani nazionali, quotidiani
locali e riproduzione e distribuzione delle pagine dei quotidiani
locali in decine di migliaia di copie presso uffici pubblici, uffici
postali, stazioni ed altri luoghi di
grande flusso.
4.2. L’adozione del sistema
di vendita senza incanto
È
stata una scelta essenziale
per eliminare le turbative
d’asta.
Sono infatti i meccanismi della
vendita con incanto, erroneamente ritenuta di maggior garanzia,
che rendono possibili le turbative
d’asta: nella vendita con incanto
l’offerta non è irrevocabile e
quindi gli offerenti possono mandare l’asta deserta senza perdere
la cauzione depositata con la conseguenza, da un canto, che possono partecipare all’asta senza alcun rischio di perdita della cauzione anche soggetti che non
hanno alcuna intenzione di acquistare ma intendono unicamente estorcere tangenti ad altri partecipanti e, d’altro canto, che sono sempre possibili accordi illeciti tra gli offerenti per “pilotare” al
ribasso le aste al fine di assicurare
ad uno di essi l’acquisto del bene
a prezzo vile; nella vendita con
incanto l’aggiudicazione non è
definitiva in ragione dell’istituto
dell’aumento del sesto che quasi
mai si traduce nell’effettiva riapertura della gara ed invece è frequentemente utilizzato per estorcere denaro agli aggiudicatari.
Viceversa la vendita senza incanto, con le modalità adottate dal
Tribunale di Monza, garantisce la
massima trasparenza e la massima efficacia: nell’ordinanza di
vendita è già fissata l’udienza per
l’esame delle offerte e la gara tra
gli offerenti il giorno successivo al
termine per la presentazione delle offerte; l’ampia ed articolata
pubblicità assicura, come si è visto, che per oltre il 70% dei lotti è
presentata l’offerta, che nel 70%
dei casi si procede a gara tra più
offerenti e che i prezzi di aggiudicazione superano del 29% i valori
base.
L’efficacia della vendita senza incanto nell’eliminare le turbative
d’asta diviene ancora maggiore se
si adotta, come a Monza, un sistema di presentazione di offerte in
una busta chiusa che non rechi
all’esterno alcuna indicazione se
non il nome del giudice e la data
dell’asta, oltre ad uno pseudonimo dell’offerente, noto a lui solo.
In tal modo si rende impossibile,
prima dell’udienza, associare la
busta ad una procedura (in
udienza vi sono sempre non meno di 10-15 procedure) e si evitano quindi fughe di notizie in ordine alla esistenza di offerte per un
determinato bene: in udienza, all’ora fissata nell’ordinanza di vendita, si presentano gli offerenti e
ciascuno di essi identifica la propria busta e solo in quel momento si viene a conoscenza se per
un lotto sono state presentate offerte.
Quando nel termine stabilito non
pervengono offerte si pronuncia
una seconda ordinanza di vendita
operando una riduzione del prezzo minimo del 20%. Per effetto
della maggiore appetibilità del
bene e quindi dell’ampia partecipazione il prezzo di aggiudicazione risulta tuttavia quasi sempre
superiore a quello originario.
4.3. Nomina
del custode giudiziario
per assicurare
a chi intende acquistare
un interlocutore
per ulteriori informazioni
e per poter visitare
l’immobile
I
l custode giudiziario nella
nuova prassi rappresenta la figura centrale dell’esecuzione
immobiliare. Il custode giudiziario è specificamente previsto nel
codice ma, tranne in pochi casi in
cui ne è chiesta la nomina per
l’incasso di canoni di locazione,
nella gestione tradizionale delle
procedure esecutive è sostanzialmente dimenticato. Il Tribunale di
Bologna è stato il primo, alcuni
anni fa, a introdurre la nomina
generalizzata del custode in tutte
le procedure con risultati subito
eccellenti.
Nel caso di Monza la consapevolezza della decisività di una figura
come il custode è nata dal raffronto tra l’andamento delle vendite in sede fallimentare e l’andamento delle vendite in sede di
esecuzione ordinaria: in una prima fase, in cui si erano unificate
le forme di pubblicità ma nelle
procedure esecutive non veniva
nominato il custode, si era potuto
rilevare che la maggiore efficacia
della pubblicità dava risultati
estremamente positivi in sede fallimentare e minimi in sede ordinaria. S’intuì allora che la spiegazione era da ricercarsi nel fatto
che in sede fallimentare il potenziale interessato all’acquisto trovava nel curatore fallimentare un
interlocutore che era in grado di
fornirgli le informazioni richieste
e soprattutto gli faceva visitare
l’immobile. Per le vendite in sede
di esecuzione ordinaria, l’interessato non poteva certo trovare
questo interlocutore nella cancelleria, già oberata di lavoro, e soprattutto non poteva visitare l’immobile.
L’impossibilità di visitare l’immobile escludeva, sostanzialmente,
tutti i cittadini dalle vendite giudiziarie: d’altro canto, è del tutto
evidente che il cittadino che intende acquistare un’immobile per
uso proprio non è disposto a farlo senza una preventiva visita; solo chi opera in un’ottica speculativa può comprare senza vedere il
bene.
Ora in tutte le procedure esecutive del Tribunale di Monza si nomina il custode.
Egli è il referente principale degli
interessati all’acquisto: il suo nome e numero di telefono compaiono nell’annuncio e consentono un immediato contatto. Il custode da tutte le informazioni necessarie, anche di carattere giuridico, fornisce copia della perizia
117
e ordinanza di vendita, e, soprattutto, accompagna gli interessati a
visitare l’immobile.
L’attività del custode d’altro canto
evita che migliaia di persone per
effetto della più efficace possibilità si riversino sulla cancelleria
per informazioni: si è calcolato
che nel 2000 le persone che si sono rivolte ai custodi giudiziari sono state 18.000.
Il custode è nominato solitamente
nella persona di professionista
che svolge anche la funzione di
curatore fallimentare.
Il compenso gli è liquidato soltanto a vendita avvenuta ed è calcolato in percentuale sul prezzo
di realizzo (mediamente 1,5% con
un tetto massimo, per gli immobili di valore oltre euro 500.000, di
euro 5.000). Il compenso è prelevato dal prezzo di vendita senza
alcuna anticipazione da parte dei
creditori e comprende anche l’attività di liberazione dell’immobile
e l’attività di predisposizione della bozza del progetto di distribuzione che lo stesso professionista
redige nella qualità di consulente
nominato al momento dell’aggiudicazione.
4.4. Cauzione del 10%
ed eliminazione
del deposito per le spese
N
ell’ottica di non gravare il
cittadino di adempimenti
onerosi, il Tribunale al momento del deposito dell’offerta
non richiede alcun versamento
anticipato per le spese, prima dovuto invece nella misura del 15%.
Per depositare l’offerta di acquisto è sufficiente quindi allegare, a
titolo di cauzione, un assegno circolare di ammontare pari al 10
per cento del prezzo offerto.
Quanto alle spese si è ritenuto
sufficiente il loro versamento da
parte del solo aggiudicatario contestualmente al saldo prezzo posto che il pagamento delle imposta di registro e degli altri oneri fi-
118
scali è comunque successivo all’emissione del decreto di trasferimento. D’altro canto se l’aggiudicatario non provvedesse al versamento non si procederebbe all’emissione del decreto di trasferimento.
4.5. Finanziamenti per
il pagamento del prezzo
garantiti con ipoteca
sull’immobile aggiudicato
U
lteriore motivo che allontana gran parte dei potenziali acquirenti dalle vendite
giudiziarie è la necessità di versamento in contanti dell’intero importo.
Le banche, infatti normalmente
non finanziano gli acquirenti se
questi non hanno altri beni da offrire in garanzia, perché per il
mutuo richiedono un bene libero
da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli. Il bene in asta è invece
un bene che ha sempre iscrizioni
o trascrizioni pregiudizievoli, che
saranno cancellate solo con il decreto di trasferimento; ma questo
può essere emesso solo se il prezzo è stato versato per intero: il
classico circolo vizioso.
Il Tribunale, a seguito di numerosi incontri con le banche, ha invece definito (già nel 1998 per i fallimenti e nel corso del 1999 per le
procedure esecutive) un percorso
operativo in base al quale è ora
possibile concedere tali mutui
con garanzia ipotecaria sul medesimo bene acquistato all’asta.
Dopo aver profilato e sperimentato diverse soluzioni giuridiche
(ad esempio il decreto di trasferimento condizionato), nella prassi
si è privilegiata la emissione del
decreto di trasferimento contestuale alla sottoscrizione ed erogazione del mutuo ed all’incasso
del prezzo ed: in tal modo il Tribunale acquisisce l’assegno circolare dal funzionario della banca in
presenza del notaio; consegna il
decreto di trasferimento, conte-
nente l’ordine di cancellazione
delle formalità pregiudizievoli e il
notaio, acquisito il decreto, provvede alla sua trascrizione e alla
immediatamente successiva iscrizione della ipoteca a garanzia del
mutuo, così garantendo il grado
della nuova iscrizione. In tal modo l’aggiudicatario mutuatario
non entra mai in possesso del denaro, essendo l’assegno circolare
direttamente intestato alla procedura esecutiva in forza di una delegazione di pagamento contenuta nel contratto di mutuo.
Il cittadino che si rivolge alla banca trenta giorni prima dell’asta ha
diritto a che la banca concluda l’istruttoria prima dell’asta e, in caso
di esito positivo, si impegni formalmente all’erogazione condizionatamente ovviamente all’avvenuta aggiudicazione. Ai fini dell’istruttoria la banca utilizza la perizia redatta nell’ambito della procedura e l’unica spesa che il richiedente deve sostenere è quella poco più che simbolica di euro 50.
Circa il 30% degli acquisti avviene
oggi ricorrendo a finanziamenti
erogati secondo questa modalità
da 15 istituti.
4.6. Eliminazione di gravosi
adempimenti burocratici
P
er favorire la partecipazione
dei cittadini occorre rendere
il procedimento più semplice e meno gravoso possibile.
Vanno in questa direzione, oltre
all’eliminazione dell’anticipazione delle spese, le seguenti misure:
– il versamento del prezzo avviene in ogni caso unicamente sul
conto bancario intestato alla
procedura: ciò anche per la
quota di prezzo spettante al
creditore fondiario mentre normalmente l’acquirente deve fare due versamenti, uno diretto
al creditore fondiario e l’altro,
per le spese e l’eventuale supero, al Tribunale. La banca pres-
so cui è depositato il prezzo
provvede poi subito al bonifico
al creditore fondiario con valuta al medesimo giorno dell’incasso;
– il Tribunale provvede non solo
a ordinare la cancellazione delle trascrizioni ed ipoteche, ma
anche a eseguirla effettivamente, a spese della procedura, attuando, tramite un proprio ausiliario, i necessari adempimenti presso la Conservatoria. Il costo è nullo per la procedura,
perché se non si provvedesse
in tal modo, le spese di cancellazione dovrebbero comunque
essere preventivamente dedotte dal prezzo d’asta, per compensare la differenza di valore
di mercato rispetto a un immobile di caratteristiche simili, ma
privo di formalità pregiudizievoli; è allora economicamente
neutro per la procedura includere tali spese nel prezzo, incassarle con il saldo e poi erogarle successivamente per effettuare la cancellazione. Vi è
anzi un lieve vantaggio, perché
le spese, nel dedurle dal prezzo, dovrebbero essere considerate secondo tariffe di mercato
(del notaio o del professionista
che dovrebbe provvedere);
mentre il Tribunale agisce sulla
base di un tariffario concordato
con i propri ausiliari, che comporta un notevole abbattimento dei costi;
– emesso il decreto di trasferimento (in genere entro 15 giorni dal versamento del prezzo),
e registrato, si provvede ad inviare all’acquirente la copia autentica del medesimo al suo
domicilio, evitando (anche nell’interesse della Cancelleria) la
necessità di successivo accesso
al Tribunale;
– con il decreto di trasferimento
si ordina la cancellazione anche delle ipoteche eventualmente iscritte dopo la trascrizione del pignoramento: si trat-
ta di ipoteche certamente inopponibili all’acquirente, ma se
questi, successivamente, vuole
accedere ad un mutuo con garanzia ipotecaria o rivendere
l’immobile non può di fatto farlo senza prima ottenere la loro
cancellazione. L’ordine di cancellazione in sede di decreto di
trasferimento elimina in radice
ogni problema.
Va rilevato che l’emissione del
decreto di trasferimento entro 15
giorni dal pagamento del saldo
prezzo così come la cancellazione delle ipoteche successive al pignoramento sono possibili in
quanto la bozza del decreto di
trasferimento, previa aggiornamento delle visure ipotecarie, è
effettuata da un ausiliario nominato dal giudice dell’esecuzione.
È lo stesso ausiliario che provvede a predisporre materialmente il
Modello F23 per il pagamento
dell’imposta di registro ed a effettuare la trascrizione del decreto e
le cancellazioni di tutti i gravami.
4.7. Liberazione dell’immobile
a cura
del custode giudiziario
P
er il cittadino che intende
acquistare un immobile per
uso proprio è estremamente
importante poter contare su dei
tempi certi ai fini dell’immissione
nel possesso. Si tenga al riguardo
presente che molto spesso per
pagare il prezzo d’aggiudicazione il cittadino ha venduto l’immobile dove abitava prima e si
trova quindi nella condizione di
doverlo a sua volta subito liberare. In altri casi ha sottoscritto un
mutuo e, se non entra subito in
possesso del bene acquistato, si
trova a dover pagare contemporaneamente le rate del mutuo e il
canone di locazione della vecchia abitazione.
Prima che si introducesse la nuova prassi nel Tribunale di Monza
passavano, dal versamento del
prezzo, oltre sei mesi prima che
venisse emesse il decreto di trasferimento, questo ritornasse dall’Ufficio del Registro e l’acquirente potesse finalmente ottenere copia esecutiva. A quel punto doveva quasi sempre rivolgersi ad un
avvocato per avviare la procedura
di esecuzione sostenendo i conseguenti costi e soltanto dopo un
notevole ulteriore lasso temporale riusciva ad ottenere la consegna del bene.
Questa situazione era una delle
cause che disincentivava fortemente la partecipazione dei comuni cittadini alle aste. Il valore
di realizzo del bene peraltro ne
avrebbe peraltro comunque fortemente risentito: nel normale mercato immobiliare quando si vende un immobile come libero s’intende con tempi certi di consegna; un immobile occupato, pur
in presenza di un titolo esecutivo,
non ha il valore di un immobile libero. La conseguenza era quindi
che l’incertezza sui tempi di liberazione degli immobili incideva
in modo molto negativo sulle
concrete possibilità di soddisfacimento dei propri crediti da parte
dei creditori.
La nomina generalizzata del custode giudiziario ha consentito di
superare questo stato di cose.
Con la nomina del custode giudiziario il debitore, come si evince
dall’art. 559 c.p.c., può continuare
ad abitare nell’immobile soltanto
in quanto a ciò espressamente autorizzato dal giudice. Da ciò consegue che il giudice dell’esecuzione può disporre l’immediata liberazione dell’immobile e l’ordinanza ha direttamente efficacia
esecutiva. Lo ha stabilito la Corte
di Cassazione con la risalente ma
mai disattesa sentenza n. 744 del
31 marzo 1949, che rimane ad oggi l’unico precedente noto in argomento e che è stato ripreso negli anni novanta nell’elaborazione
giurisprudenziale del Tribunale di
Bologna. La Cassazione ha sanci119
to che “l’ordinanza che dispone
la sostituzione di altra persona al
debitore nelle funzioni di custode
dei beni pignorati è per se stessa
esecutiva in quanto impone
senz’altro al debitore di consegnargli la cosa custodita. Pertanto l’immissione in possesso effettuata a mezzo di ufficiale giudiziario del nuovo custode nei confronti del debitore, previa notifica
dell’ordinanza e del precetto di
rilascio non integra gli estremi di
uno spoglio in danno del debitore medesimo”.
A Monza in tutte le procedure
esecutive, subito dopo la pronuncia dell’ordinanza di vendita, il
custode giudiziario provvede a
notificare l’atto di precetto ed avvia quindi la procedura per la liberazione dell’immobile. In concreto la liberazione effettiva è
sempre successiva alla data dell’aggiudicazione ed il risultato è
che il debitore si vede costretto a
lasciare il bene quando questo è
ormai venduto e sono trascorsi
circa sei mesi dalla notifica del
precetto mentre l’acquirente viene immesso nel possesso in prossimità del pagamento del prezzo
e senza doversi fare carico di particolari attività.
In questo modo le vendite giudiziarie effettivamente rispondono
alle aspettative del normale mercato immobiliare, condizione essenziale per la loro efficienza.
5. L’ELIMINAZIONE
DEL PROBLEMA
DELLE QUOTE INDIVISE
I
l problema delle quote indivise è stato eliminato ponendo i
comproprietari non pignorati
nell’alternativa di manifestare la
volontà di acquisto della quota alla prima udienza o subire il giudizio di divisione che di regola sfocia nella vendita dell’intera unità
immobiliare.
A tal fine il provvedimento di fis120
sazione della prima udienza contiene un espresso avviso ai comproprietari sulla loro facoltà di
presentare offerta di acquisto e
sull’orientamento del Tribunale di
procedere di norma, in assenza di
offerte, al giudizio di divisione.
In questa ottica nel quesito allo
stimatore è previsto che, ove si
tratti di quote , debba essere fatta
una valutazione anche dell’intero
bene (nella prospettiva della vendita unitaria) e si debba precisare
se esso sia o meno comodamente
divisibile.
Quando i comproprietari alla prima udienza manifestano la volontà di acquistare viene fissata a
breve la vendita della quota indivisa di norma con pubblicità semplificata.
Se invece i comproprietari non
compaiono o comparendo non
dichiarano di voler acquistare la
quota (oppure non depositano
l’offerta nel termine concesso) il
giudice, ai sensi dell’art. 600
c.p.c., concede sempre il termine
di 4 mesi per l’introduzione del
giudizio di divisione disponendo
l’instaurazione del contraddittorio
anche nei confronti dei creditori
iscritti non intervenuti e i creditori con diritti iscritti sulle quote
non pignorate (affinché possano
intervenire e, nel caso di vendita
dell’intero bene con conseguente
cancellazione di tutte le formalità,
possano far valere il loro diritto
sulla parte del ricavato che andrebbe restituita al comproprietario non esecutato) motivando con
riferimento al fatto che, in mancanza di un interesse dei comproprietari, una quota indivisa non è
concretamente collocabile sul
mercato se non a prezzo vile.
I giudizi di divisione è estremamente rapido in quanto non si verifica mai alcuna contestazione
sulla sussistenza del diritto allo
scioglimento della comunione e
quindi lo scioglimento è pronunciato in prima udienza con ordinanza ai sensi dell’art. 785 c.p.c.
Nella stessa udienza quando il
bene non è comodamente divisibile (nella quasi totalità dei casi
posto che di norma è pignorata
una unità immobiliare per la cui
divisione sarebbero necessarie
opere murarie), non risultando
mai contestazione sul punto, si
dispone la vendita dell’immobile
con ordinanza ai sensi dell’art.
788 c.p.c..
Per assicurare che queste siano le
normali cadenze temporali del
giudizio nelle tabelle del Tribunale è previsto che i giudizi di divisione promossi ai sensi dell’art.
600 c.p.c. siano automaticamente
assegnati agli stessi magistrati che
svolgono le funzioni di giudice
dell’esecuzione nelle procedure
esecutive interessate.
Avvenuta la vendita ed effettuate
le cancellazioni delle formalità,
prelevando le somme occorrenti
dal ricavato, si provvede contestualmente alla ripartizione dello
stesso tra i comproprietari (ed
eventualmente i creditori iscritti
intervenuti nel giudizio di divisione) ed alla distribuzione della
somma spettante al comproprietario pignorato tra il creditore
procedente e i creditori intervenuti nella procedura esecutiva. La
durata media del giudizio di divisione è di 6-8 mesi.
L’espropriazione delle quote pignorate avviene quindi in tempi e
con risultati in termini di realizzo
pienamente in linea con quelli
delle normali unità immobiliari.
6. QUANTITÀ ED EFFICIENZA
DELLE PROCEDURE
ESECUTIVE IMMOBILIARI:
L’ELIMINAZIONE
DELLE ATTIVITÀ INUTILI
E LA DELEGA
DI ATTIVITÀ AD AUSILIARI
L’
esperienza ha inequivocabilmente dimostrato che
prassi come quelle elaborate a Bologna ed a Monza sono
idonee a collocare il bene pignorato sul mercato rapidamente ed
al suo giusto prezzo.
Ma ai fini di risultati soddisfacenti
sul piano dell’efficienza va affrontato il problema della quantità
delle procedure esecutive immobiliari. Non muterebbe molto nella sostanza se si introducessero le
nuove prassi senza un piano organico di rapido smaltimento dell’arretrato (ad esempio due anni)
e la contestuale determinazione
di un bilancio positivo dei flussi
(che consenta di non accumulare
più arretrati nel futuro).
Il problema si pone più precisamente sotto due profili.
In molti tribunali risultano ferme
migliaia di procedure: il perseguimento di un obbiettivo di efficienza impone di agire per l’eliminazione dell’arretrato in tempi
brevi (nel caso di Monza in circa
un anno e mezzo tre giudici, destinati prevalentemente alla procedure fallimentari, hanno eliminato l’arretrato di oltre 3.000 procedure; attualmente, fatta eccezione per le procedure rimaste
congelate per accordo tra le parti,
le vendite riguardano procedure
iniziate nell’ultimo anno e la durata complessiva delle nuove procedure in cui non intervengano
accordi tra le parti è scesa sotto i
18 mesi).
La messa in moto di migliaia di
procedure determina di per sé un
enorme aumento di attività.
La maggiore efficienza delle procedure provoca un ulteriore grande aumento di attività: nel caso di
Monza si è ad esempio passati da
40 decreti di trasferimento e 40
progetti di distribuzione all’anno
a 500 decreti di trasferimento e
500 progetti di distribuzione.
È evidente che, ponendo come
dato di partenza, ragionevolmente non modificabile nel breve periodo, che non vi saranno aumenti del numero dei magistrati e del
personale di cancelleria, questi risultati mai potrebbero essere rag-
giunti senza modificare le modalità di gestione delle procedure
esecutive.
L’ottica deve essere quindi del
modulare le procedure esecutive,
nei limiti ovviamente consenti
dalla legge, per reperire le indispensabili risorse.
Ciò può avvenire soltanto in due
modi: eliminando attività non
strettamente necessarie; delegando a terzi molte delle altre attività
e comunque avvalendosi dell’ausilio di terzi per il loro compimento.
6.1. L’eliminazione di attività
non necessarie
R
ichiamando in parte quanto
precedentemente già detto,
sotto il primo profilo va rilevato che la riduzione da quattro-cinque ad una delle udienze
necessarie per pervenire alla pronuncia dell’ordinanza di vendita
(a seguito della nomina dell’esperto per la stima fuori udienza,
nonché con l’invio delle perizie, a
sua cura, alle parti prima della
prima udienza) consente una
enorme liberazione di risorse: Nel
tempo, infatti, in cui un giudice,
che opera secondo lo schema
usuale, è pervenuto all’ordinanza
di vendita in 20 procedure, il giudice, che opera secondo la nuova
prassi, perviene alla pronuncia di
100 ordinanze di vendita; nel
tempo in cui il primo giudice ha
pronunciato 100 ordinanze di
vendita il secondo ne ha pronunciate 500.
In caso di asta deserta, se si adotta la prassi di pronunciare la nuova ordinanza di vendita nella stessa udienza e di fissare l’udienza
per l’esame delle istanze di assegnazione del bene soltanto nel
caso in cui queste pervengano effettivamente (il che è rarissimo),
si dimezza il numero delle udienze successive alla prima.
Nel Tribunale di Monza si è compiuto un ulteriore passo per ra-
zionalizzare l’uso del tempo disponibile per le udienze: si è stabilito che non sono concessi rinvii ad altra udienza per pendenza
di trattative o di piani di rientro
tra le parti (questo tipo di rinvio il
codice non lo prevede né per il
processo di cognizione né, tantomeno, per il processo esecutivo)
ma, su richiesta di tutti i creditori
con titolo, si dispone, in via analogica rispetto alla previsione della sospensione concordata del
processo di cognizione ex art. 296
c.p.c., la concessione di una sola
sospensione da un minimo di 12
mesi ad un massimo di 24 mesi
(con facoltà del creditore di chiedere la fissazione immediata in
caso di mancato rispetto degli accordi da parte del debitore). Attualmente, circa un 30% delle
procedure esecutive si ferma in
questo modo alla prima udienza:
la grande maggioranza è destinata all’estinzione al termine del periodo di sospensione. A tale esito,
a differenza di prima, si perviene
togliendo i relativi fascicoli dal
flusso delle udienze, con notevole alleggerimento del lavoro e
con il risultato di mettere a disposizione del giudice udienze libere
da utilizzare per altre procedure o
per altre attività (calcolando in 30
i fascicoli per udienza e mediamente in 4 le udienze di mero rinvio, tenendo conto che il 30%
delle nuove procedure sospese
corrisponde a circa 200 procedure sospese all’anno, il tempo
udienza liberato è di circa 26
udienze all’anno, ossia quasi tre
udienze al mese).
Posto che con l’adozione delle
nuove prassi si vendono circa il
70% dei lotti in prima asta e la restante parte in seconda asta
(queste sono le percentuali pressoché identiche del Tribunale di
Monza e del Tribunale di Bologna), si può calcolare che mediamente, per la definizione delle
procedure esecutive occorrono 1
udienza ex art. 569 c.p.c., 1,3
121
udienze di vendita e 1 udienza
per l’esame del progetto di distribuzione. Questo significa che
con le nuove prassi un giudice,
dedicandosi solamente alle esecuzioni immobiliari e tenendo
tre udienze alla settimana, potrebbe, senza delega ai notai, definire da solo 800 procedure esecutive, mentre lo stesso giudice,
cadenzando le udienze secondo
la prassi usuale, avrebbe una potenzialità di definizione non superiore a 140 procedure.
In altri termini, a pari di percentuali di aste con esito positivo, la
differente modulazione delle
udienze fa sì che il lavoro di un
magistrato è equivalente, sul piano della definizione delle pendenze, a quello di sei magistrati:
l’incidenza è quindi pari al potenziamento dell’organico dell’ufficio di cinque unità.
Questi conteggi, ovviamente approssimativi, rendono l’idea del
concreto impatto sull’efficienza di
una modulazione razionale del
processo esecutivo nella prospettiva dell’eliminazione di attività
non necessarie.
Questi rilievi valgono anche per
l’ipotesi in cui si opti per la delega ai notai, posto che in ogni caso la delega, con la modulazione
prospettata, la si può fare in prima udienza anziché dopo 3 o 4
udienze.
6.2. La delega di attività
e il ricorso ad ausiliari
per il compimento di atti
L’
eliminazione di udienze
non necessarie non è tuttavia sufficiente per assicurare la realizzazione di efficaci programmi di definizione degli arretrati. L’aumento delle procedure
trattate e soprattutto l’aumento
delle procedure in cui si perviene
effettivamente alla vendita (passando dal 10-20% di aste con esito positivo al 60-70%) determina
un aumento speculare di attività a
122
cui il giudice non avrebbe la possibilità di far fronte da solo.
Nel caso di Monza, come già detto, non sarebbe stato possibile
che tre giudici destinati prevalentemente al fallimentare fossero in
grado di mettere in moto in un
solo anno centinaia di procedure,
pronunciare mille ordinanze di
vendita, svolgere 760 aste, vendere 500 immobili, emettere 500 decreti di trasferimento e, infine, redigere, approvare ed eseguire i
conseguenti progetti di distribuzione, senza avvalersi dell’opera
di ausiliari.
Avrebbero dovuto subito arrendersi e rinunciare al progetto di
eliminazione di tutto l’arretrato
entro due anni e di riduzione,
nello stesso termine, dei tempi
del processo a meno di 18 mesi.
Questo non è accaduto e gli obbiettivi sono stati pienamente raggiunti.
Nella prassi di Monza le attività
svolte da ausiliari (alcune di competenza della Cancelleria) sono
essenzialmente le seguenti:
a) preesame della
documentazione ipocatastale
e preverifica delle
pubblicazione degli avvisi
e delle notificazioni
del creditore a debitore,
agli eventuali comproprietari
e ai creditori iscritti
I provvedimenti di fissazione dell’udienza ex art. 569 c.p.c. vengono stampati (con un programma
informatico che assicura la rotazione degli esperti) e sottoscritti
entro ca. 15 giorni dal deposito
della documentazione ipocatastale in base ad elenchi trasmessi
dalla Cancelleria e senza quindi
un esame preventivo dei fascicoli
da parte dei giudici. Il primo esame lo effettua, compilando un apposito schema, il perito nominato
per la stima il quale, in caso di
anomalie o comunque di dubbi,
notizia immediatamente il giudice
e, a mezzo fax, il creditore inte-
ressato. La verifica definitiva si
compie in sede di prima udienza:
viene compilato, con la collaborazione anche degli avvocati, un
verbale già strutturato il cui riempimento consente di verificare
puntualmente la completezza degli adempimenti formali. Questo
modus procedendi consente di tenere la prima udienza, in cui viene pronunciata l’ordinanza di
vendita, entro 4-6 mesi dal deposito della documentazione ipocatastale
b) predisposizione della bozza
della comunicazione
del cancelliere
del provvedimento
ex art. 569 c.p.c.
Il programma utilizzato dai periti
per la redazione informatica delle
perizie di stima contiene anche lo
schema della comunicazione del
cancelliere ex art. 485 c.p.c. Il perito provvede ad estrarre dalle notificazioni effettuate dal creditore
procedente tutti gli indirizzi occorrenti e li riporta nella bozza
della comunicazione che trasmette quindi subito alla Cancelleria
per la firma da parte del cancelliere e la notificazione ai destinatari unitamente ai provvedimenti
ex art .569 c.p.c. La bozza della
comunicazione è anche su supporto floppy e quindi può essere
archiviata per le successive comunicazioni, fatti salvi ovviamente
gli aggiornamenti per i creditori
successivamente intervenuti.
c) predisposizione
dell’ordinanza di vendita
Alla prima udienza il giudice nell’apposito spazio del verbale si limita a fissare l’udienza per l’esame delle offerte, il prezzo base e i
rilanci minimi in caso di gara. Posto che nella stessa udienza viene
nominato il custode giudiziario
questi nei giorni immediatamente
successivi provvede a redigere la
bozza dell’ordinanza di vendita
ed a portarla alla firma del giudi-
ce. L’ordinanza di vendita è in
realtà strutturata in due parti: una
è fissa e contiene le condizioni
generali della vendita e la previsione delle modalità di presentazione delle offerte e degli adempimenti pubblicitari; l’altra contiene la descrizione del bene con
tutti i data catastali, la data della
vendita, il prezzo base e i rilanci.
Questa seconda è quella che predispone il custode. Ultimamente,
posto che il programma informatico per la redazione delle perizie
redige automaticamente anche la
seconda parte dell’ordinanza di
vendita lasciando in bianco solo il
prezzo base e i rilanci e che il perito deposita la bozza insieme alla perizia, è sempre più frequente
che l’ordinanza sia completata e
firmata dal giudice direttamente
in udienza;
d) predisposizione
dell’ordinanza
di liberazione dell’immobile
Il custode giudiziario, contestualmente alla bozza dell’ordinanza
di vendita, redige anche la bozza
dell’ordine di liberazione dell’immobile;
e) predisposizione di parte
del verbale
dell’udienza di vendita
Il custode giudiziario predispone
per l’udienza di vendita la parte
del verbale modulare che contiene l’elenco di tutte le notificazioni
e di tutte le pubblicità effettuate e
la parte del provvedimento di aggiudicazione contenente i dati
identificativi dell’immobile;
f) adempimenti post-vendita
L’ausiliario, appositamente nominato in calce al provvedimento di
aggiudicazione, provvede ai seguenti adempimenti:
– invia all’aggiudicatario raccomandata con indicate le coordinate del conto bancario su cui
deve essere versato il saldo
prezzo indicandone l’ammon-
–
–
–
–
–
tare unitamente a quello dovuto per imposte;
aggiorna le visure ipocastali e
provvede a redigere la bozza
del decreto di trasferimento;
predispone i modelli F 23 per il
pagamento dell’imposta di registro o i modelli F 24 per l’IVA,
ove prevista;
effettua la trascrizione del decreto di trasferimento;
presenta alla Conservatoria dei
R.R.I.I. le istanze di liquidazione delle cancellazioni dei gravami e provvede quindi alle
cancellazioni anticipando i relativi importi;
invia all’acquirente, a mezzo
posta, copia autentica del decreto di trasferimento
g) predisposizione
del progetto di distribuzione
Con il provvedimento di aggiudicazione viene direttamente fissata
a circa 4 mesi l’udienza per l’esame del progetto di distribuzione e
il custode giudiziario (che di norma è un commercialista o un ragioniere essendo stato scelto nell’elenco dei curatori fallimentari)
viene nominato consulente per la
predisposizione della bozza del
progetto. I creditori inviano al
consulente a mezzo fax copia delle note di precisazione dei crediti
con la relativa documentazione,
mentre l’originale viene depositato direttamente in udienza. Il consulente opera in base ad una analitica circolare in cui sono state affrontate tutte le problematiche ed
in particolare quelle attinenti all’art. 2855 c.c. Il consulente sollecita tutte le integrazioni di documentazione necessarie e redige
quindi, su modelli uniformi, la
bozza del progetto di distribuzione inviandola a tutti i creditori ed
al debitore a mezzo fax o posta in
tempo utile per l’esame prima
dell’udienza e per le eventuali osservazioni. In questo modo la
quasi totalità dei progetti di distribuzione è approvato direttamente
all’udienza già fissata all’atto dell’aggiudicazione.
Va rilevato che questo modo di
procedere evita tra l’altro alla
Cancelleria di dover notificare il
provvedimento di fissazione dell’udienza per l’esame del progetto
di distribuzione in quanto la fissazione della data in udienza di aggiudicazione evita la necessità di
ulteriori comunicazioni. Si deve
inoltre aggiungere che all’udienza
(ma spesso già antecedentemente) i creditori depositano la dichiarazione sulle modalità di pagamento delle somma utilizzando
l’apposito modulo che nella parte
superiore contiene le coordinate
del conto bancario del creditore
per il relativo bonifico e nella parte inferiore la bozza dell’ordine di
pagamento. All’udienza il giudice, contestualmente alla dichiarazione di approvazione del progetto di distribuzione, firma gli ordini di pagamento. Nei giorni immediatamente successivi la Cancelleria trasmette copia del progetto di distribuzione con tutti gli
ordini di pagamento alla banca
presso cui è depositato il ricavato
della vendita affinché provveda
all’effettuazione dei bonifici.
7. EFFETTI DIRETTI
ED EFFETTI INDOTTI DELLA
MAGGIORE EFFICIENZA
DELLE VENDITE
GIUDIZIARIE
C
on riferimento al profilo
quantitativo, l’esperienza
offre un ulteriore elemento
di riflessione: a seguito delle innovazioni introdotte con la conseguente maggiore efficienza delle vendite, risultano in misura, ancora maggiore, aumentate le procedure che si definiscono per
estinzione a seguito di accordo
tra le parti ed ancora prima per
inefficacia del pignoramento in
conseguenza del mancato deposito dell’istanza di vendita. Le
123
procedure che si definiscono in
tal modo sono circa il doppio di
quelle che si concludono con la
vendita del bene e la distribuzione del ricavato.
La ragione è ovvia: una parte significativa degli esecutati non pagavano non perché si trovassero
nell’impossibilità di pagare ma
perché contavano sullo stato di
sostanziale paralisi e sulla loro
esorbitante lunghezza.
L’improvvisa accelerazione delle
procedure e, soprattutto, la circostanza che in un anno circa dal
deposito dell’istanza di vendita si
perviene alla vendita dell’immobile, ha stroncato queste condotte
speculative. E ben maggiore risulterebbe l’effetto se si considerassero le posizioni di sofferenza che
si chiudono ancora prima del pignoramento. Al riguardo, numerosi avvocati ce ne hanno dato
conferma con riferimento al mancato pagamento di spese condominiali.
Questo significa che l’adozione di
misure, che in modo organico
perseguano un obbiettivo di efficienza, innesca un processo virtuoso. Significa, nel contempo,
che, senza una strategia razionale
che intervenga su tutti i punti critici del sistema, individuando le
misure necessarie per dare efficienza, difficilmente si ottengono
risultati apprezzabili.
8. LA QUESTIONE
DELLA DELEGA AI NOTAI
I
giudici del Tribunale di Monza
hanno escluso di avvalersi
della delega ai notai in quanto
la scelta fondamentale compiuta
per bonificare le vendite giudiziarie da gravi fenomeni di turbativa
d’asta è stata quella di optare
sempre per la vendita senza incanto e il legislatore ha previsto la
possibilità di delega ai notai unicamente per la vendita per incanto (anche se nel disegno di legge
124
in corso di esame è prevista l’estensione alla vendita senza incanto).
Va peraltro rilevato che in molti
tribunali non si sono per nulla
prese in considerazioni le indicazioni emergenti dalle nuove prassi nella convinzione che la delega
ai notai potesse risolvere ogni
problema.
L’esperienza sta dimostrando che
si è trattato di un’illusione sorta
dalla mancanza di una vera analisi delle cause del non funzionamento delle procedure esecutive.
Certamente la delega di una parte
degli adempimenti della procedura ad un notaio può essere utile
per sgravare il giudice e quindi è
indubbiamente positivo che il legislatore abbia introdotto questa
possibilità ampliando il novero
delle soluzioni organizzative. Ma
se la pubblicità non è effettuata in
modo efficace e non vi è un custode che organizzi, da parte degli interessati, le visite degli immobili in vendita, così davanti al
notaio, come davanti al giudice,
la maggior parte delle aste andrà
deserta e i prezzi di aggiudicazione finale saranno notevolmente
inferiori rispetto a quelli realizzabili in una normale dimensione di
mercato.
In altri termini per imprimere efficienza alle procedure esecutive
non basta sostituire parzialmente
il giudice con il notaio ma occorre incidere sui meccanismi di collocazione del bene sul mercato.
In questa prospettiva, le nuove
prassi, tendenti ad aggredire alla
radice le cause dell’inefficienza
delle esecuzioni immobiliari, si
integrano perfettamente anche
con la delega ai notai: il giudice
può delegare al notaio parte delle
operazioni e nel contempo stabilire forme di pubblicità efficaci e
nominare un custode giudiziario
che organizzi tra l’altro le visite all’immobile di tutti gli interessati.
Ma questo non accade nella maggioranza degli uffici con la conse-
guenza che la delega ai notai ha,
per i creditori, l’unico effetto di
aumentare i costi senza una sostanziale diminuzione della aste
deserte e senza quindi un reale
miglioramento dei valori di realizzo degli immobili.
9. LA QUESTIONE DEI COSTI
DEL PROCESSO ESECUTIVO
L’
inefficienza del processo
esecutivo, oltre a determinare una drastica perdita
per la riduzione dei valori di realizzo degli immobili e l’incidenza
degli oneri finanziari per la durata della procedura, si risolve in un
aumento delle spese che i creditori devono anticipare e questo
soprattutto in conseguenza del
susseguirsi di aste deserte.
Sono quindi di tutta evidenza i benefici portati dalle nuove prassi.
Tuttavia un timore, che talvolta è
manifestato rispetto alle nuove
prassi (e spesso proprio da operatori che lavorano in contesti caratterizzati da grave inefficienza),
attiene ai costi che il creditore dovrebbe sostenere ed in particolare
la spesa per la pubblicità e il compenso del custode giudiziario. Si
tratta di un timore del tutto infondato che nasce dall’assenza di
una qualsiasi razionale valutazione economica.
Quanto ai costi della pubblicità si
è gia rilevato precedentemente
che essi si sono ridotti in termini
assoluti (anche senza considerare
la precedente reiterazione delle
pubblicità per effetto delle aste
deserte) ma che soprattutto la loro incidenza economica va valutata alla luce dell’incomparabile
maggiore efficacia.
Analoghe considerazioni valgono
per il compenso del custode. Il
compenso del custode non è anticipato dal creditore, è contenuto
rispetto all’entità del lavoro richiesto al professionista ed alle
difficoltà che spesso insorgono e
soprattutto risulta irrisorio se raffrontato alla valorizzazione del
bene che la sua attività comporta
(basta un solo rilancio per pagare
tutto il compenso).
È opportuno quindi per fugare
ogni dubbio procedere a qualche
osservazione più puntuale.
Il custode giudiziario nella prassi
monzese ha diritto al compenso
soltanto a vendita avvenuta e il
compenso è calcolato a percentuale sul prezzo di aggiudicazione (mediamente 1,5%: 2,5% nello
scaglione fino a euro 50.000, 2%
da euro 50.000 a euro 100.000,
1% da euro 100.000 a euro
150.000 e via via decrescendo fino a 0,25% da euro 350.000 a euro 500.000 e nessuna percentuale
oltre tale tetto). Ora, prima che
fosse generalizzata la nomina del
custode, a Monza l’80% delle aste
andavano deserte e gli immobili
erano venduti, dopo 6-7 anni, ad
un prezzo inferiore al suo valore
dal 30 al 50%. Attualmente gli immobili, principalmente per effetto
della nomina in tutte le procedure dei custodi giudiziari (che assicurano una pubblicità integrativa
e soprattutto la possibilità di visitare il bene), sono venduti in prima asta nella misura del 70%. Gli
altri sono venduti in seconda asta.
Il prezzo realizzato supera mediamente di oltre euro il prezzo base
d’asta.
Questo significa che, ad esempio,
un appartamento con prezzo base di euro 200.000 che, con le
modalità di gestione del processo
precedenti sarebbe stato venduto
sicuramente a meno di euro
150.000 dopo circa 6-7 anni (e
con un costo per reiterate pubblicità sicuramente superiore al
compenso del custode), ora viene
aggiudicato in un anno a euro
250.000. In altri termini per un
immobile di euro 200.000 ogni
asta deserta, per effetto dell’abbattimento del 20%, “costa” ai
creditori (nonché al debitore) euro 40.000. Il compenso del custode su un prezzo di realizzo di euro 250.000 ammonta ad euro
3.000, di poco superiore ad un
solo rilancio. Ma questo costo di
euro 3.000, non anticipato dai
creditori, ha consentito (sulla
base dei dati statistici) un realizzo superiore di almeno euro
100.000.
A ciò si deve aggiungere che il
custode giudiziario, assumendo la
veste di consulente tecnico e senza alcun ulteriore compenso, redige la bozza del progetto di distribuzione. Senza l’ausilio dei
consulenti non sarebbe possibile
che tre giudici, destinati principalmente al fallimentare, in un
anno depositino 500 progetti di
distribuzione, tutti entro 60 giorni
dal pagamento del prezzo e tutti
redatti applicando rigorosamente
l’art. 2855 c.c. con i complessi calcoli che ciò comporta. Nella valutazione economica anche questo
assume notevole rilevanza, tenuto conto che altrimenti non si sarebbe potuto attuare lo smaltimento dell’arretrato in un solo anno e ridurre i tempi per la definizione delle nuove procedure al di
sotto dei 18 mesi.
10. CONCLUSIONI
L
e esperienze dei tribunali
che hanno innovato le modalità di gestione delle procedure esecutive immobiliari dimostrano che è possibile, con riferimento a questo settore della
giustizia civile, dare effettiva attuazione al principio della ragionevole durata del processo e più
in generale assicurare l’efficienza
in linea con i parametri europei
senza attendere riforme legislative e senza, pur auspicabili, potenziamenti delle risorse umane e
materiali a disposizione.
La chiave di volta è nell’uso pieno
da parte dei giudice dei poteri
che la legge loro attribuisce operando in una prospettiva anche di
risultato e quindi valutando le
scelte non solo secondo criteri di
legittimità ma anche di razionalità
tecnica.
■
125
L
M
TRIBUNALE DI MONZA
Sezione Fallimenti-Esecuzioni
Ai sigg. Curatori Fallimentari,
ai sigg.Commissari e Liquidatori
di Concordati Preventivi
I
giudici delegati alle procedure concorsuali, con riferimento alla decisione di
pubblicare sul sito tribunaledimonza.net i principali
atti delle procedure concorsuali, osservano:
1. ESIGENZE
DI INFORMAZIONE
DEI CITTADINI IN ORDINE
ALLA DICHIARAZIONE
DI FALLIMENTO
È
di essenziale importanza
per qualsiasi cittadino, specie se operatore commerciale, giungere tempestivamente
a conoscenza della esistenza e del
contenuto delle sentenze dichiarative di fallimento, sia al fine di
potersi efficacemente insinuare al
passivo, sia per ogni valutazione
concernente la solvibilità di eventuali terzi che siano stati in rapporti commerciali con l’impresa
fallita.
Tale conoscenza deve essere
possibile prima ed indipendentemente dalle comunicazioni obbligatorie a carico del Curatore,
sia per evidenti esigenze di tempestività (la comunicazione da
parte del Curatore, pur con l’ausilio dei sistemi di posta telematica in uso al Tribunale di Monza, può non essere immediata,
comunque presupponendo indagini non sempre agevoli volte
126
ad identificare i componenti del
ceto creditorio), sia per esigenze
di certezza della comunicazione
(certezza che può non essere indefettibilmente assicurata dagli
attuali sistemi di informazione),
sia perché le comunicazioni del
Curatore sono indirizzate esclusivamente ai creditori risultanti
dalle scritture contabili, i quali
possono costituire, in numerosi
casi, solo una parte del più ampio numero dei soggetti comunque interessati alla tempestiva
conoscenza dello stato di insolvenza.
Il contenuto dell’informazione offerta deve ricomprendere non solo la notizia del fallimento, ma anche i diversi elementi della sentenza (motivazione, dispositivo
comprensivo del nome del Curatore e della data della verifica allo
stato passivo e dei termini per la
presentazione della domanda), e
ciò proprio per poter integrare
(quanto ai creditori) o sostituire
(quanto ai terzi) la comunicazione del Curatore.
Tali esigenze informative non
possono efficacemente essere
soddisfatte neppure dagli attuali
sistemi di pubblicità previsti dalla
legge, i quali, risentendo delle
lentezze connesse con la necessità di trasmettere le informazioni tra i diversi enti (es. Camera
di Commercio), non si rivelano
sufficientemente tempestivi.
Necessità di limitare
gli accessi alla Cancelleria
È
inoltre evidente che tali necessità informative non
possono in alcun modo essere risolte dall’accesso dei creditori e dei terzi nella Cancelleria,
sia per l’evidente gravosità di tali
accessi per i soggetti interessati,
sia per l’insostenibilità di un tale
flusso di utenti per le strutture
dell’ Ufficio.
2. ESIGENZE
DI INFORMAZIONE
DEI CREDITORI IN ORDINE
ALLA SITUAZIONE
DEBITORIA DEL FALLITO
A
fallimento dichiarato costituisce incontestabile necessità dei creditori quella di avere chiara e tempestiva
conoscenza del complesso dei
debiti gravanti sulla massa,
dell’identità degli altri creditori,
del fondamento dei singoli crediti ammessi e dell’eventuale
privilegio riconosciuto, della
motivazione del provvedimento
del giudice, allo scopo di poter
efficacemente tutelare i propri
interessi qualora siano stati ammessi crediti che si ritengono
insussistenti o di minore importo o privi del privilegio riconosciuto.
Insufficienza degli attuali
sistemi di informazione
I
n relazione a esigenze di così
pregnante rilievo, si rivelano
del tutto inadeguati gli attuali
mezzi di informazione a disposizione dei creditori, che si riducono, in sostanza, o alla richiesta di
rilascio di copia dello stato passivo da parte della Cancelleria oppure alla richiesta al Curatore di
copia del medesimo.
Entrambi tali strade si rivelano di
fatto estremamente onerose e
ciò sia per il creditore sia per la
Cancelleria o per il Curatore (si
pensi, quanto a questi ultimi
soggetti, alla onerosità di provvedere alla formazione di copia
di uno stato passivo di appena
maggiore complessità, sino alla
concreta impossibilità di rilasciare copia a tutti i creditori in quei
fallimenti che vedano centinaia
di creditori insinuati). Tale onerosità si traduce, in concreto,
nella sostanziale impossibilità,
per la generalità dei creditori, di
esercitare un reale controllo in
ordine alla composizione della
massa dei crediti ammessi al
concorso.
A questo va aggiunto che una
parte rilevante dei crediti è ammessa a seguito di insinuazione
tardiva per cui i creditori dovrebbero continuare ad accedere alla
Cancelleria per tutta la durata
della procedura al fine di una conoscenza aggiornata dello stato
passivo.
3. ESIGENZE
DI INFORMAZIONE
DEI CREDITORI IN ORDINE
ALLA NATURA E SPECIE
DEI BENI ACQUISITI
È
del pari evidente la necessità, per i creditori, di conoscere agevolmente e senza
particolari oneri quali beni il Curatore sia riuscito ad acquisire.
Ciò sia per poter immediatamente valutare la concreta possibilità
di soddisfazione del proprio credito, sia per verificare che non
sia stata omessa l’acquisizione di
beni noti.
La soddisfazione di tali esigenze
di informazione appare del resto
in armonia anche con l’obiettivo,
sempre perseguito da questo Tribunale, di offrire la massima trasparenza in ordine all’operato degli organi della procedura.
Sotto altro aspetto, il Curatore
non potrebbe che giovarsi delle
eventuali indicazione dei creditori in ordine alla esistenza di beni
occultati o dispersi e quindi non
inventariati.
Insufficienza degli attuali
sistemi di informazione
V
algono anche in relazione a
tali profili le osservazioni
svolte in tema di inadeguatezza delle attuali fonti di informazione, che similmente fanno
capo alla Cancelleria o al Curatore, e per le quali si ripropongono
le criticità già rilevate.
4. ESIGENZE DI CONTROLLO
DA PARTE DEI CREDITORI
IN ORDINE
ALLA CORRETTA STIMA
DEI BENI RINVENUTI
È
noto che uno dei profili più
delicati della liquidazione
dei beni fallimentari è costituito dalla correttezza e congruità
del valore di stima degli stessi.
Pur operando il Tribunale con
periti qualificati e di notevole
esperienza, è infatti sempre possibile che possa verificarsi un errore di valutazione, specie in
quei campi ove si tratti di beni di
particolare natura, per i quali
non siano disponibili, ad esempio, abituali valutazioni di beni
simili da assumere quali elementi di comparazione (es. beni strumentali per lavorazioni di alta
specializzazione, eseguiti da un
ristretto numero di imprese, in
Italia o, talvolta, nel mondo); ovvero in quei casi in cui il valore
del bene sia soggetto ad ampie
oscillazioni in relazione alla particolarità del mercato specifico di
essi.
È evidente che la possibilità di
una valutazione di tali beni da
parte dei creditori, che sono
spesso operatori nel medesimo
settore o in settori connessi, può
correggere eventuali errori del
perito e fornire al Curatore ed al
giudice preziosi elementi di riscontro.
127
Insufficienza degli attuali
sistemi di informazione
N
on possono che ripetersi
qui le osservazioni già più
volte esposte circa l’insufficienza di sistemi informativi che
facciano riferimento unicamente
al Curatore o alla Cancelleria.
5. ESIGENZE
DI INFORMAZIONE
DA PARTE
DI TERZI INTERESSATI,
SULLA NATURA
E SUL PREZZO DEI BENI
L
a possibilità di conoscere
agevolmente e in modo
semplice quali beni siano
stati acquisiti dal fallimento e
quale valutazione sia stata loro attribuita dal perito costituisce innegabile incentivo, per i terzi interessati all’acquisto, a formulare
proposte di acquisto al Curatore.
Tali proposte da un lato potranno
fornire ulteriori elementi in ordine alla correttezza della stima
(qualora siano in armonia o in
dissonanza rispetto ai valori del
perito), dall’altra consentiranno di
ampliare in modo decisivo la platea dei possibili interessati all’acquisto, con evidenti benefici per
il fallimento.
Insufficienza degli attuali
sistemi di informazione
L
e attuali procedure prevedono che ogni indicazione
circa la natura e la valutazione dei beni venga portata a conoscenza dei terzi solo nel momento in cui si sia disposta la
vendita, e con sistemi di pubblicità – quanto alle cose mobili –
ancora onerosi ed inadeguati,
specie in caso di scarso valore dei
cespiti.
La asincronicità delle informazioni in ordine ai beni presenti nei
diversi fallimenti (come si è detto,
la pubblicità viene eseguita solo
128
al momento della vendita) impedisce ai singoli operatori di avere
un quadro completo ed organico
dei diversi beni presenti nei fallimenti, e quindi da un lato penalizza gli interessati; dall’altro si
traduce in una dispersione e
frammentarietà delle notizie, che
non incentiva il pubblico a seguire in modo abituale le vendite del
Tribunale.
6. ESIGENZE
DI INFORMAZIONE
E CONTROLLO
DEI CREDITORI
SULLO STATO
DELLA PROCEDURA
U
no dei momenti di maggiore carenza del complesso
di informazioni concernente il singolo fallimento e insieme
di maggiore interesse per i creditori riguarda la conoscenza dell’effettivo stato della procedura.
Per il creditore conoscere lo stato della procedura è estremamente importante: in primo luogo al fine di poter formulare una
ragionevole previsione circa la
possibilità e i tempi di soddisfazione del proprio credito; in secondo luogo per sincerarsi che
la durata della procedura non dipenda da inerzia degli organi
della procedura, che le operazioni di liquidazione siano svolte con tempestività ed efficacia e
che analogamente si operi riguardo alle revocatorie ed in
materia di responsabilità degli
organi sociali.
È vero che l’esame del rendiconto è la fase propriamente destinata al controllo sullo svolgimento della procedura. Ma in
una prospettiva di funzionalità
della procedura e di massima
tutela degli interessi coinvolti
è opportuno prevenire le situazioni patologiche o comunque intervenire tempestivamente
quando è ancora possibile introdurre delle correzioni. E a tal fi-
ne risulta molto importante il
ruolo di controllo diffuso, stimolo ed impulso dei creditori che
trova il suo presupposto nella
disponibilità di corrette e organiche informazioni.
Insufficienza degli attuali
sistemi di informazione
L
e informazioni in ordine allo stato della procedura sono oggi sostanzialmente impossibili da ottenere.
Esse, infatti, non possono essere
tratte in alcun modo dalla consultazione del fascicolo fallimentare, sia perché una indiscriminata consultazione dei documenti in esso contenuti non può
essere consentita al singolo creditore per evidenti motivi di segretezza in ordine ad alcuni degli atti; sia perché il fascicolo
non contiene in ogni caso alcun
elemento valido per poter arguire quale sia il reale stato della
procedura e per formulare una
qualsiasi prognosi circa la sua
evoluzione e durata; né, infine,
per poter valutare la correttezza
dell’operato del Curatore.
Tali informazioni potrebbero in
astratto essere attinte dal Curatore; ma è evidente che, anche a
voler ipotizzare una piena disponibilità del professionista, la
necessità di informare via via
tutti i creditori si tradurrebbe in
una attività defatigante e onerosa, e dunque sostanzialmente
impossibile, specie in fallimenti
che vedano un alto numero di
creditori.
7. ESIGENZE
DI INFORMAZIONE
DEI CREDITORI IN ORDINE
AI PIANI DI RIPARTO
L
a completa e tempestiva
conoscenza del piano di riparto nella sua globalità è
anch’essa esigenza primaria del
creditore, il quale deve essere
posto in grado di controllare che
la graduazione dei crediti e la
conseguente distribuzione dell’attivo avvengano nel rispetto
delle norme giuridiche e del proprio diritto.
Insufficienza degli attuali
sistemi di informazione
L
e attuali norme prevedono
che il piano di riparto sia
depositato in Cancelleria e
che ai creditori sia dato notizia
esclusivamente di tale deposito.
Ciò comporta che il creditore, per
poter prendere effettiva conoscenza del documento, è costretto a recarsi in Cancelleria e estrarre copia del medesimo (con evidenti oneri per bolli e diritti) ovvero a procedere alla consultazione in loco.
Tale sistema di informazione poteva forse essere adeguato nel
momento in cui la legge fallimentare era stata promulgata, quando
la maggior parte delle imprese
aveva dimensione familiare, un limitato numero di creditori ed
operava in un ambito territoriale
limitato, costituito essenzialmente
dal Comune ove trovavasi l’Ufficio Giudiziario.
È invece del tutto inadeguato nella attuale realtà economica, in cui
le imprese, per quanto di ridotte
dimensioni, intrecciano rapporti
con un ampio numero di soggetti, e, avvalendosi dei nuovi sistemi di comunicazioni e di una rete
di servizi sempre più ampi e sofisticati, riescono a operare in contesti territoriali virtualmente senza
confini.
La conseguenza di ciò è che sovente il creditore – spesso avente
sede a notevole distanza dal Tribunale – rinuncia ad esercitare il
proprio diritto di controllo.
Il flusso di quei creditori che vogliano comunque accedere al piano di riparto costituisce in ogni
caso un pesante onere della Cancelleria, tenuto anche conto del
fatto che molto spesso la parte interviene personalmente e quindi
si presenta come utente che necessita di particolare assistenza e
cura da parte delle strutture, con
ulteriore onere per queste ultime
e con evidente spreco di risorse.
Né appare possibile – in fallimenti appena più complessi e caratterizzati da un elevato numero di
crediti – inviare a ciascun creditore copia integrale del piano di riparto.
8. ESIGENZE
DI INFORMAZIONE
DEI CREDITORI IN ORDINE
AL RENDICONTO
L’
ultimo elemento di conoscenza necessario al creditore per esercitare il proprio diritto all’informazione ed al
controllo dell’operato degli organi della procedura è costituito dal
rendiconto.
Tale documento costituisce infatti
il sostanziale termine della attività
del Curatore e il momento della
approvazione è l’ultimo limite
temporale entro il quale è possibile sindacare efficacemente sul
suo operato.
Insufficienza degli attuali
sistemi di informazione
V
algono anche per tale atto
le osservazioni già formulate per il piano di riparto.
Anche in tal caso le possibilità di
prendere effettiva conoscenza del
documento sono severamente limitate dalla circostanza che la
consultazione del medesimo è
prevista solo presso la Cancelleria
e che la difficoltà ed onerosità dei
necessari accessi inducono sovente il creditore a non esercitare
i propri diritti di preventiva verifica; con la conseguenza che, alla
udienza prevista per la sua approvazione, non si è in grado, da
parte dell’utente, di formulare alcuna valida osservazione.
9. ESIGENZE DI CONTROLLO
DA PARTE
DEL GIUDICE DELEGATO
I
l compito di vigilanza e controllo sull’operato del Curatore
da parte del giudice può essere certamente svolto in modo più
pregnante ove le informazioni
concernenti il fallimento siano
condivise – nei limiti in cui ciò è
possibile – dal più ampio numero
di soggetti possibile, i quali possano tempestivamente segnalare
eventuali anomalie e offrire quindi al giudice uno stimolo ed una
ulteriore possibilità di intervento.
La diffusione delle informazioni
costituisce pertanto il presupposto per una maggiore efficienza
ed una maggiore qualità nell’operato del Tribunale.
10. ESIGENZE
DI RISERVATEZZA
E DIFFUSIONE SELETTIVA
DELLE INFORMAZIONI
L
e esigenze sopra indicate
devono essere conciliate
con i limiti derivanti dalle
norme in tema di privacy e in genere dalle esigenze di riservatezza degli atti della procedura fallimentare.
È dunque necessario che sia operata una selezione delle informazioni, in relazione alla qualità ed
alla natura dei soggetti destinatari
di esse, nonché degli interessi di
cui ciascuno di essi è portatore.
11. PUBBLICAZIONE
SU RETE INTERNET ED
ACCESSO DIFFERENZIATO
ALLE INFORMAZIONI
L
e esigenze sin qui esaminate possono essere integralmente soddisfatte mediante
pubblicazione delle informazioni
e degli atti che le contengono su
rete Internet, nel sito ove il Tribunale effettua la pubblicità delle
vendite.
129
Il sito, per la parte che interessa,
sarà strutturato a differenti livelli,
contenenti ciascuno l’insieme delle informazioni selezionate in ragione della qualità e natura dell’utente cui saranno destinate.
L’accesso a ciascun livello sarà
consentito solo ai soggetti a ciò
autorizzati.
L’accesso sarà dunque possibile
in forma anonima e indifferenziata per quelle informazioni destinate alla generalità dei cittadini (sentenza di fallimento, elenco dei beni e valutazione degli
stessi).
Sarà invece consentito unicamente con password unica e collettiva
per il successivo livello, destinato
ai creditori e contenente, oltre ai
precedenti documenti, anche lo
stato passivo, il piano di riparto, il
rendiconto, un estratto delle relazioni periodiche.
Il solo giudice delegato ed il Curatore potranno accedere al livello ulteriore, contenente, oltre agli
atti già nominati, quelli coperti da
maggiore riservatezza (relazione
periodica in forma integrale, relazione ex art. 33).
12. NATURA DELL’ATTIVITÀ
DI PUBBLICAZIONE
ED ONERI
AD ESSA CONNESSI
L’
attività di pubblicazione
sopra descritta viene esercitata nel precipuo interesse della massa dei creditori e viene disposta dal giudice delegato
di ciascun fallimento nell’ambito
dei poteri di direzione e controllo
a lui attribuiti dalla l. n. 267 del
1942.
Gli oneri da essa derivanti sono
conseguentemente a carico di ciascun Fallimento e sono soddisfatti in via di prededuzione, ai sensi
dell’art. 111 n. 1 l.fall.
Nessun onere è posto a carico
della Amministrazione giudiziaria
ovvero di altri soggetti di diritto
pubblico.
130
C
iò premesso, i giudici
delegati alle procedure concorsuali dispongono la pubblicazione
sul sito tribunaledi
monza.net dei seguenti documenti secondo le modalità indicate:
A) LIVELLO
DI ACCESSO LIBERO
a.1) Sentenze dichiarative di
fallimento, decreti di ammissione a concordato preventivo e sentenze di omologa, decreti di ammissione ed amministrazione
controllata
L
a copia dei provvedimenti è
acquisita direttamente dal
provider che accede presso
la Cancelleria Fallimenti il mercoledì e il venerdì di ogni settimana
e provvede nella stessa giornata
alle operazioni di scannerizzazione e di inserimento sul sito.
I provvedimenti sono pubblicati
in copia integrale.
Il provvedimento è ricercabile per
nome dell’imprenditore individuale o della società (nel caso di
nomi composti è sufficiente la digitazione di una delle parole che
compongono il nome), numero
della procedura, nome del curatore o commissario-liquidatore.
È altresì consultabile l’intero elenco delle procedure pendenti organizzabile, a scelta di chi accede, in base a ciascuno dei tre parametri indicati.
Oltre al nome è riportato anche il
numero telefonico e l’ìndirizzo email del curatore o commissario –
liquidatore.
Per ciascuna procedura è pubblicata anche copia del certificato del Registro delle Imprese relativo all’impresa fallita o ammessa alla procedura concorsuale
minore.
Entro due giorni dall’accettazione dell’incarico il curatore o il
commissario verifica che i documenti siano stati correttamente
caricati.
a.2) Provvedimenti di chiusura
delle procedure
C
ontestualmente alla pubblicazione del decreto di chiusura del fallimento la Cancelleria ne trasmette copia al provider che provvede subito al suo
inserimento sul sito.
Analogamente si procede relativamente all’atto che sancisce la
conclusione della procedura concorsuale minore.
Il curatore o il commissario verifica che il provvedimento sia stato
correttamente caricato.
a.3) Inventario-perizia
L’
inventario e la perizia di
stima, redatti utilizzando
excell secondo lo schema
già predisposto, sono trasmessi al
provider via e-mail a cura del perito contestualmente al deposito
della perizia.
Il perito invia il documento al seguente indirizzo: fallimentimonza.inventari…
Entro due giorni dal deposito il
perito controlla che i documenti
siano stati correttamente caricati.
Per i beni di valore non modesto
il perito inserisce nella perizia le
relative fotografie in formato digitale.
Gli interessati possono sia consultare tutti gli inventari-perizia nella
loro interezza sia effettuare la ricerca per specifico oggetto (con
riferimento a tutti i beni inventariati nelle procedure fallimentari e
pignorati nelle procedure esecutive mobiliari che non siano già
stati venduti). La ricerca per singolo oggetto può essere effettuata sia con riferimento alla denominazione utilizzata dal perito sia
utilizzando l’indice delle categorie delle Pagine Gialle. A tal fine
nella perizia, in corrispondenza a
ciascun bene stimato, il perito in-
serisce la categoria contenuta nell’indice delle Pagine Gialle a cui
la stessa sia riconducibile. Effettuando la ricerca per oggetto l’interessato trova tutti i beni corrispondenti alla denominazione o
categoria utilizzata, il valore di stima, la fotografia, la data, il luogo
e il prezzo eventualmente fissati
per la vendita e vede se il bene è
posto o è destinato ad essere posto in vendita come bene singolo
o nell’ambito di un più ampio lotto. Non appena il singolo bene o
lotto è venduto l’I.V.G. ne da comunicazione via e-mail al provider che provvede immediatamente a cancellarlo dal sito. L’I.V.G.
entro 2 giorni dall’invio della comunicazione al provider verifica
che la cancellazione sia stata effettuata.
B) LIVELLO DI ACCESSO
RISERVATO AI CREDITORI
(con password uguale per
tutti i creditori del fallimento
comunicata al curatore dal
provider all’inizio del fallimento e indicata dal curatore in tutte le comunicazioni
a mezzo posta inviate ai creditori)
b.1) Stato passivo
del fallimento
Stati passivi già approvati
N
el corso dei mesi di agosto
e settembre sono stati
scannerizzati e pubblicati
quasi tutti gli stati passivi relativi
ai fallimenti dichiarati negli anni
1997-2002 approvati fino al 15 luglio 2002 aggiornati con l’inserimento per ciascun fallimento di
un documento in excel contenente tutte le domande di insinuazione tardiva e i relativi provvedimenti definitori; nei mesi successivi sono stati pubblicati i nuovi
stati passivi e gran parte degli stati passivi relativi ai fallimenti dichiarati prima dell’1 gennaio 1997
ed ancora aperti.
Gli stati passivi mancanti devono
essere trasmessi al provider entro
il termine improrogabile del 15
febbraio 2002. Il curatore trasmette al provider la fotocopia dello
stato passivo e foglio exel contenente tutte le domande d’insinuazione passiva con i relativi provvedimenti e le domande presentate tempestivamente in relazioni
alle quali è stato proposta opposizione allo stato passivo.
Nuovi stati passivi
E
ntro 5 giorni dalla data di
esecutività, il curatore deve
trasmettere via e-mail al
provider all’indirizzo fallimentimonza.statopassivo… il file
dello stato passivo redatto in formato excel secondo lo schema già
predisposto (ogni riga corrisponde ad una domanda di ammissione; nella prima colonna è indicato
il numero della domanda; nella
seconda il contenuto della domanda; nella terza i documenti
prodotti a fondamento; nella
quarta il provvedimento del giudice; nella quinta e nella sesta sono
riportati gli importi ammessi in via
chirografaria e in via privilegiata).
Nello stesso termine il curatore
deve trasmettere a mezzo fax al
provider il decreto di esecutività
dello stato passivo con la firma
del Giudice Delegato; è cura del
provider eseguire la scannerizzazione del documento, procedendo poi al ricongiungimento con il
documento in formato excel.
b.2) Aggiornamento
dello stato passivo
E
ntro il giorno 5 di ciascun
mese il curatore provvede a
trasmettere via e-mail al
provider all’indirizzo fallimentimonza.statipassivi lo stato passivo aggiornato al giorno 30 del
mese precedente. L’aggiornamento è effettuato dal curatore con riferimento a:
– intervenuta opposizione: nella
colonna (del documento in ex-
cel) in cui è riportato il provvedimento del giudice di ammissione o esclusione del credito il
curatore inserisce la frase “proposta opposizione in data…”;
– intervenuta definizione del giudizio di opposizione: nella colonna (del documento in excel)
in cui è riportato il provvedimento del giudice in sede di
verifica il curatore inserisce il
dispositivo e la data della sentenza;
– intervenuta notificazione di ricorso per insinuazione tardiva:
le domande tardive sono inserite, nello stesso documento excel, in coda allo stato passivo,
rimanendo dallo stesso staccate
da alcune righe in cui compare
il titolo “INSINUAZIONI EX
ART. 101 L.F.”; all’atto della notificazione del ricorso sono riportati il contenuto della domanda e i documenti prodotti
mentre nella colonna destinata
al provvedimento del giudice si
inserisce l’espressione “sub sudice”;
– intervenuta pronuncia sulla domanda di ammissione tardiva:
quando interviene il decreto di
ammissione del credito o la
sentenza in esito al giudizio ex
art. 101 c.3 L.F. il dispositivo
è riportato nella relativa colonna del documento in formato
excel;
Il termine deve essere rigorosamente rispettato in quanto sul sito è espressamente indicato che
tutti gli stati passivi sono aggiornati al giorno 30 del mese precedente. Ricevuto il file il provider
trasmette la risposta di conferma
affinchè il curatore possa documentare l’avvenuta trasmissione.
Il documento aggiornato comprende l’intero stato passivo e il
programma che gestisce il sito, all’arrivo del file, procede automaticamente alla sostituzione dello
stato passivo precedentemente
caricato.
In ogni caso è onere del curatore
131
verificare tempestivamente il corretto caricamento dello stato passivo.
Il curatore non trasmette alcun file nel caso in cui nel mese precedente non sia stata presentata alcuna opposizione o domanda di
insinuazione tardiva e non sia intervenuta alcun provvedimento
decisorio.
b.3) Prospetto semestrale
E
ntro il 30 marzo ed entro il
30 settembre di ciascun anno i curatori devono trasmettere via e-mail al provider all’indirizzo fallimentimonza.prospettisemestrali… il prospetto
semestrale predisposto contenente tutti i dati rilevanti per valutare
lo stato della procedura e l’efficienza della gestione.
Il prospetto deve risultare puntualmente compilato in tutte le
sue parti.
Il provider provvede a inserire
nell’area accessibile ai creditori
copia del prospetto da cui sono
espunti i dati relativi alle segnalazioni di reati alla Procura della
Repubblica ed ai procedimenti
penali in corso.
Analogamente i commissari (nei
concordati preventivi per cessione dei beni i liquidatori) provvedono a trasmettere i prospetti semestrali relativi ai concordati preventivi e le relazioni periodiche
nelle procedure di amministrazione controllata.
Trenta giorni prima della scadenza del termine il programma
che gestisce il sito provvede a
trasmettere automaticamente a
tutti i curatori e commissari via
e-mail un promemoria. Il messaggio è ripetuto con cadenza
settimanale fino alla scadenza
del termine.
Il programma informatico per la
verifica e l’elaborazione dei prospetti semestrali provvede alla
scadenza a segnalare, via e mail,
al curatore interessato ed al giudice delegato la procedura in cui
132
non risulti eventualmente depositato il nuovo prospetto con sollecito a provvedere entro giorni 10.
b.4) Progetti di ripartizione
e piani di riparto
L
o stesso giorno dell’invio
ai creditori dell’avviso di
avvenuto deposito del
progetto di ripartizione, sia parziale sia finale, il curatore deve
trasmettere via e-mail al provider
all’indirizzo fallimentimonza.
pianidiriparto… il file del progetto e via fax copia del provvedimento del giudice che concede
il termine per la presentazione di
osservazioni.
Entro 5 giorni dalla data di
esecutività il curatore deve trasmettere a mezzo fax al provider
il piano di riparto sottoscritto dal
giudice.
In entrambi i casi il provider
provvede in giornata a caricare i
documenti sul sito.
b.5) Rendiconto
E
ntro 5 giorni dalla data di
deposito del rendiconto, il
curatore deve trasmettere
via fax al provider il rendiconto e
il provvedimento del Giudice Delegato che fissa l’udienza per l’esame.
Entro 5 giorni dalla data di
esecutività il curatore deve trasmettere a mezzo fax al provider
il verbale di dell’udienza.
In entrambi i casi il provider
provvede in giornata a caricare i
documenti sul sito.
C) LIVELLO DI ACCESSO
RISERVATO AL CURATORE
E AL GIUDICE DELEGATO
c.1) Prime informazioni
sulla fallita
e sui soggetti collegati
E
ntro 30 giorni dalla dichiarazione del fallimento devono essere trasmessi al provider per l’inserimento sul sito tutti
i dati acquisibili attraverso banche
dati su: compagine sociale ed amministrativa della fallita negli ultimi 3 anni; partecipazioni della fallita in altre società; partecipazioni
e cariche dei soci e degli amministratori della fallita in altre società;
bilanci della fallita negli ultimi
due anni; pregiudizievoli da Conservatoria e protesti su società fallita, amministratori ed altre società individuate.
Sul sito vanno inserite tutte le ulteriori informazioni mediante successive ricerche più approfondite
su altre società, sul patrimonio
degli amministratori o di altri soggetti per i quali si prospettino
profili di responsabilità
Nel caso in cui tali accertamenti
siano commissionati a società di
servizi questa stessa provvede a
trasmettere via e-mail tutti i documenti al provider.
c.2) Prospetto semestrale
E
ntro il 30 gennaio ed entro
il 30 luglio di ciascun anno i
curatori e i commissari-liquidatori di concordati preventivi
devono trasmettere via e-mail al
provider il prospetto semestrale,
redatto utilizzando lo schema
predisposto dai magistrati della
sezione, contenente tutti i dati rilevanti per valutare lo stato della
procedura e l’efficienza della gestione.
Analogamente devono essere inseriti i prospetti semestrali relativi
ai concordati preventivi e le relazioni periodiche del commissario
nelle procedure di amministrazione controllata.
Il programma informatico per la
verifica e l’elaborazione dei prospetti semestrali provvede, a ciascuna scadenza, a segnalare, via
e-mail, al curatore ed al giudice
delegato la procedura in cui non
risulti eventualmente depositato il
nuovo prospetto con sollecito a
provvedere entro giorni 10.
Nel caso di mancato deposito nel
nuovo termine viene inviata nuo-
va segnalazione via e-mail al giudice delegato.
Entro 15 giorni dalla scadenza del
termine il provider trasmette a
ciascun giudice delegato un c.d.
rom con riprodotti tutti i prospetti semestrali e le relative schede
di analisi elaborate dal programma. Il provider provvede inoltre
alla stampa di tali documenti ed
alla loro raccolta in volumi, organizzati in base al nome del curatore, trasmettendoli quindi a ciascun giudice delegato.
Contestualmente è trasmesso ai
giudici delegati il prospetto generale di sintesi di tutti i fallimenti in
cui sono evidenziate le anomalie
più rilevanti riscontrate dal programma in ordine alla gestione
delle procedure desumibile dagli
incroci dei dati contenuti in ciascun prospetto.
S
i invitano pertanto i curatori fallimentari e i
consulenti tecnici di ufficio, per quanto di loro
competenza e al fine di
rendere possibile una
adeguata fruizione del servizio in
rete, ad attenersi rigorosamente
alla presente circolare, trasmettendo nei tempi programmati i
documenti all’indirizzo e-mail [email protected].
Si ricorda che incombe sulla curatela l’obbligo del controllo dell’esattezza delle informazioni
fornite sui vari fallimenti e si
invita pertanto alla necessaria collaborazione ed interazione con il
Provider Planetcom.
Monza, 30 novembre 2002
DR. F. LAPERTOSA
Presidente Sezione
DR. C. MIELE
Giudice
DR. A. PALUCHOWSKI
Giudice
DR. R. FONTANA
Giudice
DR. F. D’AQUINO
Giudice
133
L
M
ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI
XXVII CONGRESSO-VENEZIA
Documento conclusivo
1.
I magistrati italiani vivono
quotidianamente con i cittadini l’insoddisfazione profonda per lo stato di crisi in cui
versa l’amministrazione della giustizia.
L’insostenibilità della situazione è
oggi anche esperienza comune
delle associazioni forensi, della
cultura giuridica, degli altri operatori della giustizia.
L’ANM, per tutto ciò che le compete, intende contribuire a determinare le condizioni affinché la
giustizia riacquisti appieno credibilità ed efficienza.
Da tempo la magistratura ha manifestato il proprio favore, anche
con proposte specifiche, alle riforme che migliorino la professionalità dei magistrati e l’organizzazione complessiva del sistema.
Ma presupposto indefettibile per
un autentico e condiviso percorso
di riforme è che nel paese si ristabilisca, come più volte auspicato
dal Capo dello Stato, un atteggiamento rispettoso dell’esercizio
della funzione giurisdizionale e
della connessa dignità dei magistrati.
Consapevoli del primato della
funzione legislativa, nel quadro
dei principi della Costituzione, i
magistrati, da parte loro, ribadiscono il doveroso rispetto, da
sempre manifestato e praticato,
nei confronti del Parlamento e del
Governo.
2.
Il recupero di funzionalità
ed efficienza richiede investimenti commisurati alle
reali dimensioni della domanda
di giustizia, progetti, capacità di
razionale impiego delle risorse.
134
Tutto ciò è oggi assolutamente insufficiente rispetto ai bisogni degli uffici giudiziari.
Occorrono anche riforme organiche delle procedure che trovino
un punto di equilibrio tra garanzie processuali e funzionalità: valori niente affatto contrapposti ma
da portare a sintesi in modo da
assicurare la ragionevole durata
dei processi e l’effettiva tutela dei
diritti.
3.
I magistrati sono consapevoli della necessità di migliorare il funzionamento
dell’autogoverno sia per aumentare la credibilità della giurisdizione sia per fornire adeguate soluzioni alle esigenze di trasparenze
e di buona organizzazione degli
uffici giudiziari.
4.
La magistratura italiana è
impegnata con convinzione nella ricerca di uno spazio comune europeo in materia
di libertà, sicurezza e tutela dei
diritti.
5.
La riforma dell’ordinamento
giudiziario è assolutamente
necessaria soprattutto per
quanto riguarda la valutazione di
professionalità dei magistrati, la
formazione, selezione e responsabilità dei dirigenti, la temporaneità degli incarichi direttivi, la
scuola della magistratura, la costituzione dell’ufficio del giudice, la
tipizzazione degli illeciti disciplinari, il rafforzamento delle funzioni dei consigli giudiziari.
Il disegno di legge delega per la
riforma dell’ordinamento giudiziario approvato dal Senato, a
queste esigenze dà risposte complessivamente insoddisfacenti e
tende a ripristinare un ordinamento gerarchico che vulnera il
principio costituzionale della pari
dignità delle funzioni giudiziarie.
Esso non è idoneo ad assicurare
una migliore funzionalità ed efficienza del servizio giustizia, né
una magistratura professionalmente più qualificata, né ad aumentare il livello di garanzie e di
tutela dei diritti dei cittadini.
La magistratura ha più volte rappresentato le critiche e i dubbi,
anche di ordine costituzionale,
sulla disciplina proposta.
Ciò che maggiormente preoccupa è il modello di un giudice burocrate e gerarchicamente organizzato contrapposto al modello
di giudice delineato dalla Costituzione.
Il ripristino di un metodo di selezione interno basato su concorsi a
cascata comporta il rischio di ri-
durre l’indipendenza interna senza garantire una migliore professionalità in quanto stimola il
conformismo giurisprudenziale
ed induce a privilegiare una preparazione tecnico-giuridica astratta e slegata dalla concreta attività
giudiziaria.
L’attribuzione al procuratore della
repubblica dell’autocratico ed
esclusivo esercizio dell’azione penale, l’esasperata gerarchizzazione dell’Ufficio di procura, il ripristino di un generalizzato potere
di avocazione in capo al procuratore generale, esporrebbe al rischio di usi strumentali in violazione, come è già accaduto in
passato, dei principi di eguaglianza e di legalità.
L’introduzione, sotto forma di illecito disciplinare, di limiti all’attività di interpretazione, rinnega l’
essenza stessa delle funzioni giudiziarie. Così pure, la limitazione
degli spazi di partecipazione alla
vita sociale si traduce nella pretesa di imporre un modello di giudice avulso dalla realtà del suo
tempo.
La previsione di percorsi separati
fra giudici e pubblici ministeri implica una separazione di fatto delle carriere che allontana il pubblico ministero dalla cultura della
giurisdizione.
6.
Il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario
unitamente alla perdurante
inerzia nella razionalizzazione dei
sistemi processuali e all’insufficienza degli interventi organizzativi, sembra volta al restringimento dell’ambito della funzione giudiziaria.
È a rischio la tutela dei diritti e
della legalità demandata dalla Costituzione alla magistratura autonoma ed indipendente.
Venezia, 8 febbraio 2004
Gli atti del Congresso Nazionale dell’ANM
«Giustizia più Efficiente e Indipendenza dei Magistrati
a Garanzia dei Cittadini»
(Venezia 5-8 febbraio 2004)
e quelli del Convegno Nazionale
«Processo e organizzazione: “assemblea” aperta sui problemi
della giustizia civile»
(Roma 11-12 dicembre 2003)
saranno prossimamente pubblicati integralmente
su altre riviste.
135
La Rivista
è aperta ai contributi
di tutti i Colleghi.
Chi desideri intervenire,
su temi
di interesse associativo
o su quelli
oggetto di dibattito
nei numeri precedenti,
è pregato di inviare
il suo articolo
(da contenere,
per esigenze di spazio,
in non più
di tre cartelle),
alla Segreteria
dell’Anm
(fax n. 06.68300190).
136