Il profilo di Dori letto al funerale il 28 dicembre, da Ide Manici con le

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Il profilo di Dori letto al funerale il 28 dicembre, da Ide Manici con le
Il profilo di Dori letto al funerale il 28 dicembre, da Ide Manici
con le testimonianze
Doriana nasce a Trento in una famiglia unita, ha una sorella di vari anni piu grande di lei. Il
papà lavora giorno e notte nel panificio di famiglia e la mamma lo aiuta in negozio e per
l’amministrazione. Nei suoi primi anni, il rapporto più profondo è quello con il nonno che
copre spesso le sue marachelle. Dori infatti è una bambina molto vivace e ne combina sempre
tante. A sei anni fa la prima comunione. Vedendola uscire di chiesa con un grande mazzo di
garofani bianchi, la sua maestra le dice: “Sembri una sposa”. Parole che incidono
profondamente nel cuore di Dori. Appena sa leggere, si butta sui libri che rimarranno la sua
passione e col tempo comincia a scrivere, avendo già a disposizione una particolare fantasia
che l’accompagnerà tutta la vita. A proposito della sua fantasia, racconterà più tardi una sua
importante esperienza. Viaggiava verso Roma in treno, voleva prepararsi a un incontro con
Chiara ma la mente sempre vagava su tante cose, non riusciva a concentrarsi. A un certo
momento ha detto a Gesù che una volta per tutte lei gli donava la fantasia, non avrebbe più
voluto sognare, star fuori dell’attimo presente. Arrivata con alcune delle prime focolarine,
Chiara dice loro che sente giunto il momento di far qualcosa per dare l’Ideale al largo, con
mezzi nuovi e chiede a ciascuna di scrivere un libro, frutto delle loro esperienze di vita.
Rivolgendosi a Dori dice: “Tu, che hai tanta fantasia, scrivi un romanzo d’amore!”; nasce
così il libro: Amore ad alta quota.
Ma ritorniamo a Dori bambina. Nel tempo libero dalla scuola è quasi sempre da sola. Riversa
il suo amore sulle bambole che le sembrano persone vive. Un giorno conosce la bambina di
una signora povera che veniva a fare il bucato per la sua famiglia. La vede giocare con uno
dei suoi zoccoletti a mo’ di bambola ... Quando da lì a poco arriva il giorno del compleanno
di Dori, i genitori, impegnati come sempre col lavoro, anche questa volta si dimenticano di
farle un dono. Per lei è una sofferenza e manda indietro le lacrime. Questa volta però non
accondiscende alla delusione ... e subito un pensiero: “Forse esiste un modo di essere felici
anche quando si è delusi: far contenti gli altri”. Si precipita nella sua stanza, apre un piccolo
baule dove tiene tutti i suoi tesori, sceglie la bambola più bella e corre alla stamberga dove
viveva quella famiglia. Il suo cuore è pieno di una felicità nuova.
Nell’adolescenza, le amicizie di scuola sono superficiali, i genitori sempre occupatissimi col
lavoro, la sorella va a fare scuola lontano, in un paese sui monti. Nei lunghi pomeriggi a
casa, Dori ha davanti i libri di scuola ma più forte del dovere è la sua fantasia. Nei racconti
che continua a scrivere torna incalzante un sogno, quello di sposarsi e avere tanti
bambini. Alla fine dell’anno scolastico viene bocciata: dovendo ripetere l’anno si trova in
una nuova classe con compagne benestanti, evolute che le insegnano a ballare, a truccarsi, un
modo di vivere per lei sconosciuto. Lo scoppio della guerra la trova coinvolta con queste
nuove amicizie.
Un cugino, di 13 anni più grande di lei, si arruola volontario anche se benestante e figlio
unico. Lei lo ammirava, lo pensava bravo e buono ma un giorno Dori sente dire qualcosa di
negativo su di lui. Ricevendo Gesù, lo prega così: “Se per convertirlo vuoi qualcosa da me,
sono pronta a darti la vita”. In quel momento sente forte Qualcuno in lei che le parla, ma non
con parole udibili nelle orecchie. Capisce che è Dio, anche se non l’ha mai conosciuto, che le
chiede non tanto la vita ma quello che ha di più prezioso. Torna a casa sconvolta, si tormenta
senza trovare una via d’uscita e quando incontra qualche bambino, sente forte dentro di lei:
non è per me, non è per me, mai più. Cerca di convincersi che non era vera quella voce ma la
sera nella preghiera le risuona nell’anima “quella proposta”.
Un giovane frate cappuccino l’invita a conoscere un’insegnante del Terz’ordine di San
Francesco. Due giorni dopo le arriva una cartolina da una certa signorina Silvia Lubich che la
invita a casa sua per “dirle una cosa bella”.
Dori si sente attratta dalla cartolina colorata e il giorno dopo si veste più elegantemente
possibile e va in Via Goccia d’oro, 3. E’ il suo primo incontro con Chiara da cui rimane
conquistata, portata in un altro mondo, tutto luce. Quell’amore che cercava da anni,
quell’essere amata come desiderava, l’ha trovato! Ha conosciuto che Dio è Amore, è
l’Amore. Dori ha 17 anni, ma è indietro di un anno negli studi. Chiara le propone di
prepararla privatamente per fare due anni in uno. Pur di avere l’occasione di stare con Chiara,
Dori accetta anche di …mettersi a studiare. Tanti anni più tardi, nel ’91, risponderà così, ad
un gen che le chiede cosa sia stato per lei studiare alla luce dell’Ideale: “Chiara mi aveva
dato da fare una traduzione. Quando mi ha riconsegnato il compito, c’era più rosso che
nero. Non mi meravigliava più di tanto perché era sempre stato cosi! Ma sull’altra pagina
Chiara aveva scritto: 'Come vedi così non va perché, se non ti impegni nello studio, non
posso prometterti di portarti all’esame'. E aggiungeva: 'Se non studi, non sei nella volontà di
Dio e se non fai la volontà di Dio, non ami Dio'. Questa era una vera ferita, perché avevo
appena scoperto che Dio è Amore, realtà enorme ..., tutte le cose belle sulla terra erano state
create come un dono da quel Dio-Padre, quel Dio-Amore! Volevo rispondergli con il mio
amore. E Chiara mi diceva: “Non è vero che lo fai”! E così ho capito che per me amare Dio
voleva dire studiare latino”.
Durante le lezioni, oltre alle varie materie, Chiara le spiega varie frasi del Vangelo: una
grande novità per Dori e spesso una folgorazione. Per metterle in pratica segue in tutto
Chiara, va a Messa la mattina presto, comincia ad andare a trovare i poveri: un’esperienza
dopo l’altra che riempie la sua vita di una gioia sconosciuta prima. In una di queste visite,
prende un’infezione al volto. “Faceva freddo – racconta Dori - e poiché i miei genitori mi
avevano proibito di uscire, Chiara chiese a un padre cappuccino di portarmi la Comunione.
Fu in quell’occasione che il sacerdote disse a Chiara che ‘il momento nel quale Gesù aveva
sofferto di più era stato quando ha gridato: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’.
Appena il Padre se ne andò, mi rivolsi a Chiara, sicura d’una spiegazione. Mi disse: ‘Se il
più grande dolore di Gesù è stato l’abbandono da parte del Padre suo, noi lo scegliamo
come Ideale e lo seguiamo così’. In quel momento, nella mia mente, nella mia fantasia, si
impresse la convinzione che l’ideale nostro era Gesù col volto straziato che grida al Padre. E
le mie povere piaghe sul viso, che m’apparivano ombre del suo dolore, mi davano gioia,
perché mi facevano un po’ simile a Lui. Da quel giorno Chiara spesso, anzi sempre, mi parlò
di Gesù Abbandonato. Era il personaggio vivo della nostra esistenza”.
Un giorno Chiara, quasi come un gioco, divide il mondo in 5 parti, i 5 Continenti e li affida
ad alcune delle prime focolarine: a Dori toccherà l’Europa! Quando nel 1958 il Movimento
varca le Alpi, inizia per Dori la conoscenza di alcune nazioni europee. Dal ’58 al 75 sarà in
Francia, Belgio, Gran Bretagna, Paesi Scandinavi. Ovunque semina e raccoglie l’Amore,
frutto della sua comunione profonda con Gesù Abbandonato in chi più Gli rassomiglia.
In Gran Bretagna, così la ricordano Dimitri Bregant (focolarino sacerdote cattolico, allora coresponsabile con Dori della zona) e Lesley Allison (prima focolarina anglicana).
Dimitri Bregant: Ho conosciuto Dori quando Chiara mi ha chiamato in Inghilterra dagli
Stati Uniti. Eravamo ai primi contati con il mondo della Chiesa anglicana. Gli incontri con
vescovi cattolici e anglicani, con i sacerdoti e laici dell’una e dell’altra Chiesa erano molto
frequenti. Come co-responsabile accompagnavo Dori a tutti questi incontri, ma potevo essere
solo testimone di quello che lei presentava e diceva agli ascoltatori in quanto il dialogo
ecumenico era per me ancora una pagina bianca. In quelle occasioni ammiravo la passione
con cui Dori presentava il carisma e la sua grande virtù di ascolto e di pazienza. Spesso non
era capita, soprattutto dalla parte cattolica, ma questo la spronava ancora di più a non
fermarsi a seminare. E ha seminato il seme del carisma in tanti cuori. Molti anni dopo un
sacerdote anglicano, ricordandosi del suo primo incontro con lei, mi diceva: “Tutti eravamo
presi da questa scena a cui non eravamo abituati: una focolarina (Dori) parlava in italiano,
un’altra la traduceva in inglese, ma noi non capivamo quasi niente di quello che si diceva.
Sentivamo invece che in quei momenti succedeva qualcosa di grande e di importante, che
attirava la nostra attenzione e ci convinceva”.
Lesley Allison: Appena ho conosciuto l’Ideale a Liverpool negli anni ’60, sono stata invitata
a un incontro mensile nella casa di Padre Pugh, sacerdote anglicano, con un piccolo gruppo
di Anglicani di tutte le età e vocazioni. Veniva Dori e mi ricordo solo che parlava di Gesù in
un modo così nuovo, così diverso e così personale, che mi sembrava di conoscerlo per la
prima volta, come una persona reale. Più tardi sentivo la chiamata a entrare in focolare, e
sono andata a Loppiano per fare la scuola per le focolarine. Alla fine del corso, sembrava
che essendo Anglicana, non sarebbe stato possibile per me entrare in un focolare. Però a
Chiara è venuta l’idea che avrei potuto stare con Dori a Londra. Mi ha detto: “Hai finito la
scuola di Loppiano – ora fai la scuola della Dori!”. Così ho vissuto per un anno con Dori, ed
è stato una vera scuola di vita fra lei e quel Gesù che ci aveva già fatto conoscere prima, ma
che ora mi presentava come lo Sposo, sopratutto nel suo abbandono. Lei riconosceva in me
l’angoscia di sentirmi “diversa” dalle altre focolarine per il fatto che non ero Cattolica. Per
esempio, avrei tanto desiderato di fare i voti o le promesse come le altre, ma in quel
momento sembrava che non fosse possibile. Così è venuta in mente alla Dori l’idea che avrei
potuto fare un colloquio con un sacerdote Anglicano e fare delle promesse a Dio con la sua
benedizione. E così ho fatto durante la Mariapoli. Subito dopo siamo andate in vacanza e
Dori mi ricordava continuamente, ogni giorno, che questi erano i giorni della “Luna di
miele”, perché mi ero sposata con Dio.
Dal ’76 al 2002 Chiara affida a Dori la diramazione delle volontarie, nominandola
Responsabile Centrale. Di questo contributo di Dori, ce ne parlano Maria Ghislandi (che
nel 2002 ha succeduto Dori come Responsabile centrale) e Patience Lobe, attuale
Responsabile Centrale.
Maria Ghislandi: Sono stati anni decisivi per la vocazione perché, come ci scriveva Chiara
in un suo messaggio, “dopo il lavoro indefesso e prezioso di Claretta e Turnea, era arrivata
l’ora di rilanciare le volontarie e i volontari nel cuore dell’Opera, al Centro e in periferia”.
Questo voleva dire fare uno scatto nuovo, come Chiara stessa precisava ancora, e cioè
“diventare adulti soprannaturalmente…”. (dal messaggio 11.1.77). Nella fedeltà a queste
parole, Dori ci ha guidato nel fare i passi necessari per attuare la consegna di
Chiara. Abbiamo subito colto il valore inestimabile di questo dono per la branca, da Chiara
stessa sottolineato donandoci una delle sue prime compagne. Con lei abbiamo sempre
trovato la luce per incarnare l’Ideale nel vissuto quotidiano, ma con lo sguardo aperto sugli
orizzonti del Carisma. Lei che era stata uno strumento per la rivelazione a Chiara di G.A. ci
richiamava, soprattutto con la sua vita, a rinnovare sempre la scelta di Lui per essere vere
figlie di Chiara. Desidero aggiungere anche un grazie personale per aver vissuto insieme
momenti di luce, ma anche di prova, che in una vita d’unità non possono mancare. Tutti sono
stati momenti di grazia. Dori mi ha amato “nella verità” per aiutarmi a crescere idealmente
e umanamente ed essere così atta a collaborare con lei nel seguire la branca e a dire poi il
mio ‘sì’ a Dio per il compito di delegata delle volontarie. In una sua lettera alle volontarie
del Centro, Dori espone vari pensieri e idee riguardanti il nostro compito a servizio della
branca. Sono state linee programmatiche, fondanti per la formazione delle
volontarie. Grazie, carissima Dori. La tua scia di luce ci indica ancor oggi come attuare la
nostra splendida chiamata a servizio dell’umanità.
Patience Lobe: Grazie Dori, grazie perché hai saputo amare in ognuno di noi ciò che
rimarrà. E perché il piano di Dio si possa realizzare in ciascuno, non hai risparmiato
energie per curare il corpo e l’anima. Lo posso testimoniare con la mia vita. Il tuo amore
vero non lasciava posto all’uomo vecchio e allo stesso momento cercavi sempre la nostra
felicità: ti ricordi quando mi sono lamentata per non aver avuto l’ora della verità dalla mia
responsabile? Ecco la tua risposta: “Devi ancora meritarla”. Tu ci hai impresso nell’ anima
la Spiritualità attraverso la tua vita e specialmente le tue esperienze dei primi tempi che ci
hanno portato Chiara molto vicina. Fino all’ultimo respiro, sei rimasta con noi, cercando di
sapere come va la branca. Come non ricordare con emozione il biglietto che mi hai scritto
subito dopo la mia elezione, in cui fra altro dicevi: “Lo Spirito Santo ha scelto te; anch’io
desideravo te in questo incarico. Ora pensa a prenderti su questa Croce e Maria Assunta,
Protettrice delle volontarie, ti sarà accanto...”. Nel tuo biglietto, avevi promesso di venire
l’indomani nonostante il tuo stato fisico. E sei venuta. Momenti indimenticabili per la nostra
branca. Due mesi fa, non potendo più pronunciare tante parole, hai voluto manifestare il tuo
amore per noi facendomi due domande: “le volontarie vivono la comunione dei beni?Le
responsabili delle volontarie comunicano quanto vivono nelle varie parti del mondo e quanto
la loro vita irradia e trasforma la società?”. E parlando a tutto il centro ci hai detto: “la
Vergine è con voi, saluto tutte le volontarie”. Grazie Dori, grazie per quella che sei stata per
l’Opera, per noi volontarie, per me. La nostra, la mia riconoscenza sarà, con la grazia di
Dio, con l’intercessione di Chiara e di tutta la Mariapoii celeste - dove ormai tu ti trovi - la
nostra, la mia fedelta all’Opera di Maria.
Vorremmo ora lasciar dire a Dori stessa qualcosa, rispondendo a questa domanda: “Nell’83 i
volontari sono usciti a vita pubblica, con la manifestazione di Umanità Nuova al Palaeur.
Come si è sviluppata la branca dopo?”
(video di 2’): Certamente è stato una dimostrazione che un mondo nuovo è possibile, che
partendo anche da piccole cose si può arrivare ad un grande successo, nel senso di
rinnovamento dell’ambiente sociale, ma anche un ambiente sociale che non è soltanto
rigidamente sociale, ma che ha sotto una forza, una luce, un entusiasmo che solo l’Ideale può
dare. Ed è proprio questo Ideale che ha cambiato le persone dal di dentro e, perché dal di
dentro sono cambiate, possono anche influire sul mondo che le circonda con delle azioni
nuove, originali e che non sono solo delle azioni singole che sono fatte e non ci si pensa più,
ma qualche cosa che avvia una novità di vita, di pensiero, di attuazione nel lavoro, negli
studi, tale che porta nel mondo di oggi qualcosa di nuovo che magari per chi lo vede dal di
fuori non si capisce, ma che sente che è una cosa bella che è una cosa dovuta, che è una cosa
che il mondo attende.
Per quanto riguarda lo speciale rapporto di Dori con la rivista Città Nuova, ascoltiamo
Paolo Loriga (per diversi anni caporedattore) e Giannino Dadda (già Direttore generale).
Paolo Loriga: Dori ha seguito per molti anni, su incarico di Chiara, la rivista Città Nuova
italiana. Prendeva parte agli incontri di redazione, dove si definivano gli argomenti e la
fisionomia di ogni numero. Ogni raduno era denso di riflessioni. Una varietà di percorsi
culturali e di sensibilità caratterizzava i redattori, cosicché i temi di attualità venivano
analizzati da molteplici punti di vista. Dori interveniva spesso ma non sempre. Aveva molta
fiducia in Guglielmo Boselli, Gino Lubich, Giuseppe Garagnani e Anna Maria Pericoli, ma
ascoltava con particolare attenzione gli interventi dei giovani. Non faceva differenze, ma
verso questi ultimi aveva un po’ di predilezione. Le interessavano e la incuriosivano le chiavi
di lettura fornite da loro. Emergeva così un tratto della sua personalità: era aperta al nuovo,
ai diversi dinamismi culturali e sociali, era interessata alle voci dissonanti. Attingendo alla
luce di Chiara, ma anche al suo vissuto, ci portava a vedere le vicende del presente e lo
stesso passato da un punto di osservazione molto più elevato. Per chi crede, si potrebbe dire
dall’occhio di Dio, perché sapeva donare una visione unitaria e unificante, e invitava a
scorgere i segni dei tempi, e tra quelli, ciò che indicava il percorso pur travagliato verso il
mondo unito. Dopo aver letto il numero appena uscito, non mancava di far presente il suo
parere. Lo diceva con semplicità, evitando troppe parole, diretta e chiara, senza diversità di
trattamento tra esperti e apprendisti. Erano rilievi sempre pertinenti, argomentati,
illuminanti. Non venne meno il suo sguardo partecipe sulla rivista anche quando altri
incarichi non le consentirono di continuare a partecipare agli incontri di
redazione. Recentemente sono andato a trovarla e mi suggerirono di stare con lei non più di
20 minuti. Allo scadere del tempo, provai a chiudere la conversazione. Ma parlavamo di temi
d’attualità e di comunicazione e lei era intenzionatissima a continuare. Solo dopo più di
un’ora ci salutammo. Una settimana fa non aveva quasi più parola, ma quando mi vide, una
luce attraversò i suoi occhi. Il suo saluto finale resterà nei miei. Disse un “ciao” molto
chiaro, alzò la mano quasi nel gesto di impartire una benedizione e poi drizzò l’indice della
mano destra a indicare e a consegnare la ragione della sua vita: uno, unità.
Giannino Dadda: Il 20 settembre ’87, a un incontro di Città Nuova per le zone italiane, Dori
sottolinea come il giornale “è un cibo che dobbiamo preparare perché sia gustato dagli
altri”. Esso è espressione dell’ultimo dei sette aspetti che ha come parola di vita: “Molti un
sol corpo”. E la carità vissuta in tutti i suoi aspetti è proprio quello che supporta, sostiene il
giornale. “Chi scrive per il giornale dovrebbe poter dare sempre cose nuove… aiutare i
lettori - non perché lo leggano ma perche li amiamo – a passare di cielo in cielo ogni volta
che si parla di energia atomica, del mercato, della musica… Questo mi sembra ci obblighi ad
avere tra noi vivo quel rapporto che ci immette nel Paradiso. Perché il Paradiso cos’è? E’ la
vita della Trinità, cioè quel dono: tutto dare e tutto ricevere… Per questo mi sembra che in
ogni articolo bisognerebbe che l’autore mettesse tutta la sua anima, cioè il nuovo di quel
giorno, la luce di quel giorno… Bisogna avere sempre davanti l’Ideale, sicuri che l’Ut
Omnes arriverà… dovremo essere i primi a crederci a questo, non per noi certamente ma per
il Carisma che abbiamo ricevuto” e Dori conclude: “Finché il giornale sia frutto di questa
collaborazione interna che diventa esterna, cioè una collaborazione alla Trinità”.
Emmaus, dandoci la notizia della partenza di Dori, ci ha scritto: “Riconoscenti, ci uniamo a
questa preghiera corale e chiediamo a Maria di accoglierla, dandole la gloria
corrispondente al suo essere, per tutti noi, prima testimone dello svelarsi a Chiara di Gesù
Abbandonato e suo specchio fedele”.
E a proposito di fedeltà, il 7 dicembre ‘93 Dori stessa si era chiesta: “Sono stata fedele in
questi 50 anni?”. Lasciamo, con questa sua risposta, che sia lei stessa a concludere.
(Video di 5)’: Adesso io non so dire se sono stata fedele in tutti questi anni, in questi 50 anni,
a questo primo sì completo a Gesù. Certamente mi sembra che nei dolori dell'Opera grandi,
o nei miei piccolini, c'era Qualcuno, probabilmente lo Spirito Santo, che mi spingeva a dirgli
di sì e che c'era l'amore delle pope, Gesù in mezzo, che mi sosteneva e che mi aiutava a fargli
festa, ad andargli dietro. Sempre mi veniva in mente quella canzone che dice: "No, non ti
lascerò perché ti voglio bene", e questo mi ha aiutata a superare tantissimi momenti difficili
della nostra vita, che voi tutti conoscete: in focolare, fuori focolare, con le anime, con le
persone, con la salute, con tutte queste cose. Qualcuno mi ha chiesto, venendo qui, cosa
posso dire adesso, in questo momento. Forse anche questo non star bene, questa malattia che
va così per le lunghe, non saprei dire cosa mi ha portato. Mi viene in mente che anni fa ero
stata all'ospedale e quando sono tornata Chiara mi ha detto: "Mi sembra che sei diventata
più buona!" Spero che sia successo questo anche adesso, ma mi sembra che sono troppo
vicina…Voi sapete che quando si guarda un quadro bisogna allontanarsi un pochino per
capirlo, per comprendere cosa c'è scritto. Credevo di conoscere la pazienza e mi sono
accorta invece che è una cosa da imparare continuamente. E poi mi sono trovata davanti alla
realtà della volontà di Dio che tutti conosciamo e che io credevo di farla ma che forse tante
volte la facevo a modo mio, ma che in questo ultimo tempo, dovuto anche alle circostanze, al
dover fare quello che vogliono i medici, a fare quello che vuole il fisico, a non poter fare
tutto quello che voglio, anche nelle piccolissime e minime cose, il dire: "Faccio la volontà di
Dio" è una fatica a volte, perché ho visto che devo ancora impararla, che devo incominciare,
perché quella realtà che Gesù dice: "Non la mia ma la tua volontà" è una cosa da fare ogni
attimo presente, anzi, mi dà l'impressione che l'amare è fare la volontà di Dio, perché lo dice
Gesù, ma che è come un pendolo che dice: "Io vorrei far questo". "No, devo fare la volontà
di Dio". E' proprio come Lui: "Non la mia ma la tua". E' Gesù che dice: "Dio mio, perché mi
hai abbandonato?", e poi dice: "Nelle tue mani…". E' che l'amare sta proprio fra questa
realtà continua di uscire da noi, di entrare nel divino, e che probabilmente è lo Spirito Santo
che dà la carica a questo pendolo per riuscire a farcela.