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aprile-giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • pp. 85-159
Dermatologia pediatrica
(a cura di C. Gelmetti)
Dermatologia pediatrica: alcune novità rilevanti
Anomalie vascolari in età pediatrica:
nuove indicazioni terapeutiche, vecchi farmaci
Anomalie dei capelli in pediatria
Obesità infantile
Periodico trimestrale POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv.in L.27/02/2004 n°46 art.1, comma 1, DCB PISA Aut.
Trib. di Milano n. 130 del 17/03/1971 - Stampa a tariffa ridotta - tassa pagata - Aut. Dirpostel Pisa n. 1/36131/4/1 del 10/09/1993 - Taxe perçue - Italia
(a cura G. Bona)
Obesità in età evolutiva: news and update dal 2013 al 2015
Dalle obesità “genetiche” all’epigenetica nell’obesità
La sindrome metabolica: diagnosi ancora controversa?
Frontiere
(a cura di A. Biondi, A. Iolascon, L.D. Notarangelo, M. Zeviani)
La next generation sequencing è entrata nella pratica pediatrica?
Tavola Rotonda
(a cura di G. Andria, F. Sereni)
Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie
Vol. 45 • N. 178
aprile-giugno 2015
ISSN 0301-3642
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Vol. 45 • N. 178
aprile-giugno 2015
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Prospettive in Pediatria
INDICE N. 178
aprile-giugno 2015
Dermatologia pediatrica (a cura di Carlo Gelmetti)
Presentazione............................................................................................................................................... 85
Dermatologia pediatrica: alcune novità rilevanti
Carlo Gelmetti, Lucia Restano, Stefano Cambiaghi............................................................................. 87
Anomalie vascolari in età pediatrica: nuove indicazioni terapeutiche, vecchi farmaci
Pietro Dalmonte, Nadia Vercellino............................................................................................................ 95
Anomalie dei capelli in pediatria
Mario Cutrone, Ramon Grimalt.................................................................................................................. 102
Obesità infantile (a cura Gianni Bona)
Presentazione............................................................................................................................................... 113
Obesità in età evolutiva: news and update dal 2013 al 2015
Gianni Bona, Flavia Prodam, Roberta Ricotti......................................................................................... 115
Dalle obesità “genetiche” all’epigenetica nell’obesità
Laura Perrone, Pierluigi Marzuillo, Emanuele Miraglia del Giudice................................................ 123
La sindrome metabolica: diagnosi ancora controversa?
Enza Mozzillo, Giuliana Valerio, Adriana Franzese............................................................................... 131
Frontiere (a cura di Andrea Biondi, Achille Iolascon, Luigi D. Notarangelo, Massimo Zeviani)
La next generation sequencing è entrata nella pratica pediatrica?
Vincenzo Nigro................................................................................................................................................ 137
Tavola Rotonda (a cura di Generoso Andria, Fabio Sereni)
Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie
Domenica Taruscio, Carlo Dionisi Vici, Serena Battilomo, Paola Facchin,
Maria Alice Donati, Manuela Vaccarotto, Sara Casati.......................................................................... 143
Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 85
Prospettive in Pediatria
Dermatologia pediatrica
Per la dermatologia, gli ultimi cinque anni sono stati molto ricchi di novità, sia concettuali che pratiche. Da punto
di vista concettuale, ad esempio, il ruolo degli adipociti cutanei nelle difese antinfettive è del tutto nuovo, come
pure il ruolo del DNA batterico nello scatenamento di alcune forme di psoriasi; parimenti molto interessante è
la “saga” dei probiotici, degli integratori e della vitamina D nella dermatite atopica.
Nella pratica clinica, la dieta materna durante la gravidanza e l’allattamento non sembra utile nella gestione
della dermatite atopica; mentre in questa malattia si è riconfermato utile e sicuro il pimecrolimus.
Ancora, nella pratica quotidiana, il propranololo è divenuto ormai il farmaco di prima scelta per gli emangiomi
infantili; da quest’anno il pediatra dispone quindi di un farmaco efficacissimo e ben tollerato per il più comune
tumore infantile che è, sì, istologicamente benigno ma, spesso, clinicamente problematico quando non drammatico. La rapamicina sta cambiando la nostra visione delle malformazioni vascolari che possono avere una
tendenza evolutiva, che può quindi essere contrastata farmacologicamente e non più (e non solo) con modalità
chirurgiche. Questo farmaco è finora stato usato in alcune anomalie vascolari, rare ma severe, con risultati
insperati ma entusiasmanti che devono essere seguiti nel tempo.
Un articolo, poi, è interamente dedicato alle principali anomalie dei capelli in pediatria. I capelli, come altri
annessi cutanei e come la cute sic et simpliciter, possono essere spesso una chiave di accesso relativamente
facile e mai aggressiva per la diagnosi di svariate patologie del bambino. In un momento in cui la qualità della
diagnosi complessiva di un caso e l’operato dei medici sono sotto la lente di ingrandimento, l’opportunità di
avere più informazioni fidate da alcune metodiche sicure e non invasive, appare caldamente consigliabile.
Carlo Gelmetti
Clinica Dermatologica, IRCCS Ca’ Granda “Ospedale Maggiore Policlinico”, Milano
Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti della Università degli Studi di Milano
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Prospettive in Pediatria
Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 87-94
Dermatologia pediatrica
Carlo Gelmetti
Lucia Restano
Stefano Cambiaghi
Dermatologia pediatrica:
alcune novità rilevanti
Clinica Dermatologica, IRCCS
Ca’ Granda, “Ospedale Maggiore
Policlinico”, Milano,
Dipartimento di Fisiopatologia
Medico-Chirurgica e dei Trapianti
della Università degli Studi
di Milano
In aggiunta all’approvazione del propranololo per la cura degli emangiomi infantili (a cui,
in parte, è dedicato un articolo apposito in questo numero) si illustrano alcune importanti
novità tra le quali il ruolo degli adipociti cutanei nel mantenimento della funzione barriera
dell’epidermide e quello del DNA batterico nei pazienti con psoriasi in placca attiva. Nella
dermatite atopica si smentisce l’efficacia della dieta materna durante la gravidanza e l’allattamento, come pure l’utilità dei supplementi alimentari, mentre non sono univoci i dati
sulla vitamina D, probiotici e prebiotici. Un dato confortante viene dai lavori sulla sicurezza
del pimecrolimus, confermata a livello mondiale. Viene enfatizzata l’epidemia di malattia
“mani-piedi-bocca” atipica da Coxsackie A6 che è stata osservata anche nel nostro paese.
Si segnala infine il trattamento delle verruche con sinecatechine per uso topico, l’uso della
dermoscopia per la diagnosi di tinea capitis e la recentissima approvazione del vaccino
nonavalente per l’infezione da HPV.
Riassunto
Beyond the approval of propranolol in the treatment of infantile hemangiomas (a special
article is partially dedicated to this theme in this issue) some relevant news are illustrated:
e.g., the role of cutaneous adipocytes in the integrity of the barrier function of the skin and
the role of bacterial DNA in active plaque psoriasis. In atopic dermatitis, the efficacy of
maternal diet during pregnancy and breastfeeding as well as the utility of food supplementations has been discarded, while the findings on probiotics, prebiotics and vitamin D
are ambiguous. Reassuring data are coming from the use of pimecrolimus that has been
widely judged as safe. The epidemics of “hand-foot-mouth” disease from Coxsackie A6,
seen also in our country, has been highlighted. Finally, the topical treatment for warts with
sinecathechines, the use of dermoscopy for the diagnosis of tinea capitis and the very
recent approval of nonavalent vaccine for HPV infection, are quoted.
Summary
Ruolo degli adipociti cutanei
nel mantenimento della funzione
barriera dell’epidermide
Una delle funzioni principali della cute è quella di
fare da barriera all’entrata di patogeni nell’organismo.
Cellule epiteliali, mastociti e leucociti residenti rappresentano la prima risposta infiammatoria all’ingresso di
un patogeno nella cute, seguita dall’arrivo di neutrofili
e monociti. La produzione di peptidi antimicrobici da
parte delle cellule residenti nella cute svolge un ruolo
fondamentale. Un articolo pubblicato da un’autorevole
rivista, evidenzia che un ruolo importante nella difesa
dell’ospite dall’infezione microbica sarebbe svolto anche dagli adipociti cutanei (Zhang et al., 2015). Studi
precedenti avevano evidenziato che, in presenza di
patogeni, gli adipociti producono IL-6, una citochina
che stimola la produzione di epcidina, un batteriostatico. Gli autori hanno usato iniezioni sottocutanee di
MRSA (Staphylococcus aureus meticillino resistente)
in topi osservando una veloce e inaspettata espansione, sia numerica che dimensionale, della popolazione di adipociti nello strato adiposo sottocutaneo.
Tale effetto sarebbe dovuto alla presenza del fattore
di trascrizione ZFP 423, che a sua volta controlla un
altro fattore di trascrizione detto PPAR-g. Utilizzando
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C. Gelmetti et al.
topi con una mutazione in ZFP423 o inibendo PPAR-g
è stata evidenziata la necessità dei due fattori nell’espansione degli adipociti cutanei in risposta ad infezione da MRSA. Si è visto inoltre che animali con
adipogenesi non funzionante, non erano in grado di
produrre catelicidina, uno specifico peptide antimicrobico attivo contro lo Staphylococcus aureus. Sarebbe
quindi questa molecola la principale sostanza antistafilococco controllata dall’adipogenesi. Un altro studio ha poi valutato gli effetti di una dieta ricca di grassi
sulla produzione di catelicidina, osservando un suo
aumento ad opera degli adipociti proliferanti (Coimbra
et al., 2013). Questo sembra in contrasto con l’associazione vista nell’uomo tra obesità e aumentato rischio di infezioni della pelle e dei tessuti molli, ma
potrebbe essere spiegato da una difettosa produzione
di AMP (Anti Microbial Peptides) da parte degli adipociti maturi. Inoltre la catelicidina, che ha anche una
attività proinfiammatoria negli adipociti, potrebbe partecipare all’infiammazione cronica osservata nei soggetti obesi. La scoperta del ruolo degli adipociti nella
produzione di catelicidina potrebbe fornire nuovi bersagli terapeutici specifici per incrementare la resistenza alle infezioni cutanee da Staphylococcus aureus.
Possibile ruolo del DNA batterico
nei pazienti con psoriasi in placca
attiva
La psoriasi è una malattia infiammatoria sistemica autoimmune, che ha alcuni aspetti in comune con altre
patologie infiammatorie come il morbo di Crohn. La
capacità di frammenti di DNA batterico di provocare
una risposta immunologica sistemica nella malattia di
Crohn e in altre condizioni è ben nota. Basandosi su
questi presupposti, uno studio ha valutato la capacità di frammenti di DNA batterico (bactDNA) di agire
da fattore scatenante nelle riaccensioni della malattia,
nonostante che le emocolture siano per lo più negative nei pazienti con psoriasi. Lo studio ha preso in considerazione 54 pazienti psoriasici nei quali la malattia
in precedenza era in remissione o controllata solo con
terapia topica e che avevano avuto una riaccensione
della malattia, e 27 controlli sani omogenei per età e
razza. Sono stati analizzati i livelli di interleukina (IL)
1B, IL-6, IL-12, Tumor Necrosis Factor (TNF) e interferone g. È stata contemporaneamente effettuata una
emocoltura. Frammenti di DNA batterico sono stati
trovati nei campioni ematici di 16 pazienti con psoriasi
in riaccensione (tutti con psoriasi in placca); mentre 6
pazienti con psoriasi guttata, 3 con psoriasi invertita e
tutti i 27 controlli erano negativi per tale reperto (Ramirez-Boscá et al., 2015). L’identificazione della specie
batterica del DNA corrispondeva a Escherichia coli
(n = 9), Klebsiella pneumoniae (n = 2), Enterococcus faecalis (n = 2), Proteus mirabilis (n = 1), Streptococcus pyogenes (n = 1) e Shigella fresneli (n = 1),
microbi corrispondenti alla flora che comunemente si
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ritrova nel lume intestinale. Nel gruppo di pazienti con
bactDNA si aveva un significativo incremento di IL 1b,
IL-6, IL-12, TNF e interferone g; inoltre, i pazienti con
presenza di bactDNA erano caratterizzati da maggior
durata e insorgenza in età più precoce della malattia.
Gli autori ipotizzano che il bactDNA trovato nei pazienti dello studio avesse origine dal lume intestinale,
e che sia legato alla maggior permeabilità intestinale, che è stata riportata essere presente nei pazienti
psoriasici. Lo studio suggerisce che vi sia un ruolo
della traslocazione del DNA batterico nella psoriasi in
placca in fase di riaccensione.
Dermatite atopica (DA)
Dieta materna durante la gravidanza
e l’allattamento
Alcuni antigeni alimentari passano la barriera placentare e la pratica di evitare alcuni cibi in gravidanza e
in allattamento e/o di imputare alla qualità del latte
materno i disturbi del bambino è ancora molto sentita;
le sue origini si perdono nella notte dei tempi. Una
revisione Cochrane ha preso in considerazione l’effetto della dieta materna di allontanamento di antigeni
durante la gravidanza o l’allattamento sull’insorgenza
di DA. In 5 studi su 952 donne in gravidanza, non è
stato evidenziato effetto protettivo di tale dieta sull’insorgenza di DA nel bambini nei primi 18 mesi di vita;
la dieta era associata a un lieve ma significativa riduzione dell’aumento di peso gestazionale (Kramer
et al., 2014). L’effetto della dieta materna di allontanamento antigenico durante l’allattamento è invece
stato valutato in 2 studi su 523 partecipanti: anche
in questo caso non è stato evidenziato un effetto protettivo significativo sull’incidenza di eczema nei bambini durante i primi 18 mesi di vita, né sulla positività
dei test epicutanei per uova, latte e arachidi a 1, 2,
e 7 anni. Per contro, un piccolo studio crossover su
17 bambini allattati al seno con DA ha mostrato un
riduzione non significativa della severità dell’eczema
con la dieta materna di allontanamento antigenico. Gli
autori della revisione concludono che la prescrizione
di una tale dieta a donne in gravidanza o allattamento
verisimilmente non influenza il decorso della DA.
Integratori alimentari
Il tentativo di influenzare l’andamento della DA con
l’impiego di integratori alimentari continua ad essere
in auge, spesso associato all’idea che a questi bambini “manchi qualcosa” e al timore degli effetti collaterali di steroidi e di inibitori della calcineurina. Una
recente revisione Cochrane, che ha analizzato 11
studi riguardanti gli integratori alimentari per un totale
di 596 partecipanti, non ha trovato evidenza convincente di beneficio sulla DA con la supplementazione
di selenio, vitamina E, vitamina D, vitamina D + E, pi-
Dermatologia pediatrica: alcune novità rilevanti
ridossina, zinco solfato, olio di olivello spinoso, olio di
semi di canapa, olio di girasole, olio di pesce, acido
docosaesanoico (DHA). Due piccoli studi con olio di
pesce hanno suggerito un modesto beneficio, ma il
disegno di tali studi era giudicato criticabile. Gli autori
concludono che prima di cambiare la pratica clinica
occorrono risultati positivi più convincenti derivanti da
studi più ampi con protocolli meglio controllati, e al
momento non vi è evidenza convincente del beneficio
degli integratori alimentari in oggetto sull’andamento
della DA (Bath-Hextall et al., 2012). Un analogo studio Cochrane ha analizzato 27 articoli per un totale di
1592 adulti e bambini con eczema che hanno assunto
olio di borragine o di enotera vs placebo, concludendo che non è stato osservato alcun effetto sull’andamento della malattia e sulla qualità di vita (Bamford
et al., 2013). Gli studi che hanno trovato una associazione tra deficit di vitamina D e malattie infiammatorie
della cute, tra cui la DA sono tuttavia in aumento. Tale
dato, seppure interessante, non è univoco, in quanto
vi sono stati anche lavori che riferiscono di alti livelli di
vitamina D associati a DA (Benson et al., 2012). Uno
studio in doppio cieco contro placebo in 60 pazienti
adolescenti e adulti con DA lieve ha mostrato che la
supplementazione con 1600 IU al giorno di vitamina
D ha migliorato la malattia (Amestejani et al., 2012).
Probiotici e prebiotici nella terapia e nella
prevenzione primaria della DA
Il rapido aumento nell’uso dei probiotici e prebiotici
in diversi campi della medicina negli ultimi anni ha
confermato il loro profilo di sicurezza. Essi sono stati
impiegati come modulatori della risposta immune in
molte malattie infiammatorie, tra cui la DA. Gli studi
che sembrano mostrare un ruolo promettente di alcuni probiotici nella terapia della DA sono numerosi,
e prendono in considerazione diversi microorganismi,
tra i quali Lactobacillus paracasei, L. plantarium,
L. salivarius, L. brevis, Bifidobacterium lactis. La limitatezza numerica e l’eterogeneità dei trial, l’esistenza di ceppi diversi di probiotici, problemi di metodo
di alcuni studi e la presenza di studi che non hanno
confermato l’efficacia di tale terapia, rendono tuttavia
i dati raccolti finora insufficienti per raggiungere l’evidenza. Uno studio in doppio cieco contro placebo con
L. plantarium per 12 settimane in 83 bambini con DA,
ha mostrato una riduzione dello SCORAD statisticamente significativa anche se modesta (Han et al.,
2012). Tale dato non è stato confermato un uno studio
successivo su 100 bambini con DA lieve e moderata;
una miscela di probiotici tra cui L. plantarium somministrata per 6 settimane ha colonizzato con successo
la mucosa intestinale nel gruppo dei pazienti trattati,
ma non ha dimostrato, rispetto al placebo, un effetto
terapeutico sullo score clinico della DA ed un effetto immunomodulatorio sulle cellule intestinali (Yang
et al., 2014). Più omogenei sembrano essere gli studi
su L. salivarius, da solo o associato a L. brevis (per
ora solo su adulti). In uno studio controllato contro
placebo, il L. salivarius è stato impiegato vs maltodestrina in 38 pazienti adulti con AD per 16 settimane.
Nel gruppo dei pazienti trattati si è avuta una riduzione dello SCORAD e del DLQI (Dermatology Life
Quality Index). Inoltre, 4 mesi dopo il trattamento, si
è avuto un miglioramento del profilo Th1/Th2 e una
riduzione dei ceppi di stafilococchi fecali (Drago et al.,
2011). In uno studio su 48 pazienti adulti con DA trattati con L. salivarius + Bifidobacterium brevis per 12
settimane, si è avuto miglioramento clinico della DA,
riduzione del rapporto Thelper/Treg senza riduzione
del rapporto Th1/Th2 e riduzione della traslocazione
microbica a livello della flora intestinale (Iemoli et al.,
2012). Le ultime linee guida per il trattamento della
DA dell’American Academy of Dermatology non raccomandano l’impiego di integratori alimentari, probiotici e prebiotici, assegnando a questo presidi un
livello di evidenza III (Sidbury et al., 2014). Sembra
invece ormai consolidato il ruolo dei probiotici nella
prevenzione primaria della DA. Il primo studio randomizzato in doppio cieco che ha dimostrato l’efficacia
dei probiotici sulla prevenzione primaria della DA risale al 2001; numerosi altri studi simili sono seguiti e
diversi ceppi sono stati esaminati nel tempo. Una recente meta-analisi ha preso in considerazione 16 studi su diversi di ceppi di probiotici (sia lattobacilli che
lattobacilli+bifidobatteri); gli autori concludono che i
probiotici sembrano avere un ruolo nella prevenzione
primaria della DA, con una riduzione dell’incidenza di
circa il 20% quando somministrati sia nel periodo prenatale (alla mamma) che nel periodo postnatale, sia
nella popolazione generale che nella popolazione a
rischio; la somministrazione in età postnatale tuttavia
non si è dimostrata protettiva (Panduru et al., 2015).
Sicurezza d’uso di pimecrolimus
Gli inibitori della calcineurina hanno ormai un ruolo
ben stabilito per il controllo dell’infiammazione nei
pazienti con dermatite atopica, in special modo per
l’area del viso e del collo, zone dove il timore degli effetti collaterali degli steroidi è maggiore. Tuttavia, nelle
avvertenze per l’impiego di tali molecole è presente,
negli Stati Uniti, una “black box warning” (una avvertenza di speciale rilevanza) che riporta il potenziale
rischio di linfomi o tumori cutanei associato all’uso
locale di questi farmaci. Tale avvertenza deriva dall’analogia con gli inibitori della calcineurina usati per os
nei trapianti d’organo e dalla presenza di segnalazioni dell’occorrenza di questi tumori in bambini che ne
facevano uso. Un ampio studio longitudinale ha analizzato i casi di tumore in una coorte di 7457 bambini
arruolati nel Pediatric Eczema Elective Registry (per
un totale di 26.792 persone-anno) con storia di DA e
uso di pimecrolimus (in media 793 g di pimecrolimus
usato a paziente) confrontandoli con una popolazione
omogenea. Non sono state trovate differenze statisticamente significative tra l’insorgenza di tumori nella
89
C. Gelmetti et al.
popolazione trattata e il numero di tumori atteso nella
popolazione confrontata. Gli autori, basandosi su più
di 25.000 persone-anno al follow-up, concludono che
è improbabile che il pimecrolimus, usato per via topica nel modo corretto per trattare la DA, sia associato
ad un aumentato rischio di tumore (Margolis et al.,
2015). Uno studio in aperto su 2.418 bambini durato 5
anni ha comparato efficacia e sicurezza di pimecrolimus e steroidi topici per il trattamento a lungo termine
della DA lieve-moderata. Dopo 5 anni rispettivamente
> 85% e il 95% dei pazienti trattati con pimecrolimus
e steroidi hanno riportato un successo terapeutico. Il
gruppo trattato con pimecrolimus ha richiesto un numero sostanzialmente inferiore di giorni di steroide (7
vs. 178). Il profilo e la frequenza degli effetti collaterali
sono stati simili nei 2 gruppi, e non vi è stata evidenza
di alterazione dell’immunità umorale o cellulo-mediata. Gli autori concludono che il trattamento a lungo
termine della DA lieve-moderata può essere condotto
con sicurezza sia con pimecrolimus che con steroide topico, senza rischi sull’immunità (Sigurgeirsson
et al., 2015).
Epidemia di malattia mani-piedibocca atipica da Coxsackie A6
La malattia “mani-piedi-bocca” è un comune esantema infantile sostenuto da Enterovirus e Coxsackie,
il cui quadro clinico classico è ben noto, con l’insorgenza di lesioni ulcerative tipicamente dolenti al cavo
orale, seguita dall’eruzione di lesioni vescicolari dalla
caratteristica forma ovalare e dal bordo lillaceo con
localizzazione limitata a mani e piedi non “a grappolo”. L’eruzione è spesso preceduta da prodromi modesti (febbricola, irritabilità, malessere con possibili
sintomi gastrointestinali o respiratori). L’evoluzione
vescico-crostosa delle lesioni cutanee si osserva raramente, e il decorso è verso la risoluzione completa
in una settimana o poco più. La popolazione preferenzialmente colpita è rappresentata dai i bambini al
di sotto dei 5 anni. Negli ultimi decenni sono state
descritte epidemie a fine autunno ogni 3 anni circa;
i virus più comunemente implicati erano Coxsackie
A16 e Enterovirus 71, anche se sono state registrate
in passato epidemie da Coxsackie A 4-7, A9 e B5. Recentemente è stata descritta una forma atipica della
malattia, sostenuta da Coxsackie A6, con lesioni più
estese e severe e durata più prolungata. I primi report
di tale forma si sono avuti a Taiwan nel 2008, seguiti da casi in Finlandia nel 2010 e in Giappone nel
2011; negli Stati Uniti, nell’inverno 2011-2012 è stato
emesso un report del CDC (Center for Disease Control) che segnalava 63 pazienti con malattia “atipica”
o “severa” sostenuta da Coxsackie A6, allertando i
sanitari sulla presenza di questa nuova forma clinica,
che nonostante la presentazione inconsueta tende
alla guarigione spontanea senza complicanze come
la forma classica della malattia (CDC, 2012). La nuo90
va forma è stata successivamente osservata in molti
altri paesi, e numerose segnalazioni sono apparse
in letteratura (Lott et al., 2013; Feder et al., 2014). Un
recente articolo descrive la tendenza di tale eruzione a presentarsi in modo particolarmente severo in
soggetti affetti da dermatite atopica. Il lavoro descrive
80 casi di bambini da 4 mesi a 16 anni (età media:
un anno e mezzo) nei quali l’eruzione ha interessato
più del 10% della superficie cutanea, con tendenza
delle lesioni a disseminarsi nelle zone di preesistente
dermatite atopica. Gli autori hanno denominato questa forma particolare della malattia: “eczema coxsackium” (Mathes et al., 2013). La forma atipica della
“mani-piedi-bocca” è diventata frequente anche nel
nostro paese. A Milano abbiamo iniziato a registrare casi sporadici di coxackiosi atipica nell’autunno
2011, casi che sono divenuti via via più numerosi negli anni seguenti. Le caratteristiche dei pazienti che
abbiamo osservato, analogamente quanto descritto
in letteratura, sono così sintetizzabili: 1) interessamento della zona periorale e delle coane nasali con
aspetto impetiginoide, soprattutto nei bambini di età
< 3 anni (Fig. 1); 2) minore impegno del cavo orale e
delle zone palmo-plantari e possibile interessamento faringeo con lesioni aftoidi; 3) presenza di lesioni
papulovescicolari cutanee estese anche al di fuori
delle sedi classiche, con più frequente evoluzione
vescicocrostosa (Fig. 2); 4) decorso più impegnativo
e prolungato; diversi casi anche tra gli adulti, possibile recidiva della malattia, verisimilmente legata a
infezione con ceppi diversi. Tale quadro clinico può
essere inizialmente di difficile interpretazione. In particolare, l’interessamento faringeo con lesioni aftoidi
che interessano solo in minima parte il cavo orale
entra in diagnosi differenziale con una faringite batterica; l’interessamento della zona periorale e delle
coane nasali può venire facilmente interpretato come
una impetigine o con lesioni erpetiche, l’eruzione
cutanea può essere particolarmente estesa e poco
riconoscibile, entrando in diagnosi differenziale con
Figura 1. Un lattante affetto da “mani-piedi-bocca” atipica
con interessamento della zona periorale e delle coane nasali con aspetto impetiginoide.
Dermatologia pediatrica: alcune novità rilevanti
Trattamento delle verruche
con sinecatechine per uso topico
Figura 2. Un altro lattante affetto da “mani-piedi-bocca”
atipica con lesioni crostose ematiche che si estendono agli
arti inferiori sino ai glutei.
l’impetiginizzazione di una dermatite preesistente, la
varicella, le eruzioni da farmaco, l’eczema erpeticato.
Infine, si ricorda che è stata segnalata ormai da tempo una onicomadesi postinfettiva “epidemica” associata alla coxsackiosi; tale fenomeno, osservato ampiamente anche nel nostro paese, è divenuto molto
più frequente dopo l’emergenza del nuovo sierotipo
della malattia. L’onicomadesi diviene visibile 30-40
giorni dopo la guarigione dalla fase acuta (prima alle
mani e poi ai piedi a causa della differente rapidità di
crescita della lamina ungueale), non appare correlata alla gravità dell’eruzione cutanea, ed è osservabile
anche negli individui venuti a contatto coi pazienti affetti, ma che non avevano sviluppato sintomatologia
cutaneo-mucosa, per verosimile decorso subclinico
dell’infezione (Apalla et al., 2015). Il quadro clinico
(Fig. 3) è caratterizzato da un solcatura trasversale
della lamina ungueale (linea di Beau) che in molti
casi porta all’interruzione completa della stessa (onicomadesi). Tale condizione non richiede trattamento
e risolve spontaneamente con la progressiva sostituzione da parte della lamina nuova che cresce indenne sotto la lamina “vecchia” che viene man mano
spostata in senso distale e alla fine cade spontaneamente. In questi casi la diagnosi differenziale, più
che con un’onicomicosi, si pone con un’onicopatia
traumatica, psoriasica o eczematosa.
Le verruche virali sono proliferazioni benigne della
cute e delle mucose causate dall’infezione da papillomavirus umani. Le verruche extragenitali, che
interessano più comunemente mani e piedi ma che
possono localizzarsi ovunque sulla cute, sono in genere asintomatiche, ma occasionalmente possono
causare dolore o fastidiose alterazioni estetiche. Nonostante la risoluzione spontanea sia frequente, le
verruche possono persistere per mesi e anni e rappresentare un problema terapeutico. I trattamenti più
comuni comprendono la crioterapia e prodotti topici
contenenti acido salicilico o miscele di acidi vari. I casi
refrattari sono trattati con laser CO2, bleomicina intralesionale, 5-fluorouracile topico, imiquimod, terapia
fotodinamica, elettrocoagulazione e cimetidina per via
orale. Poiché le terapie proposte per trattare le verruche sono molto numerose e eterogenee, ma nessuna
di esse raggiunge l’efficacia del 100%, l’aggiunta di
un nuovo presidio terapeutico con una buon profilo
di tollerabilità e sicurezza è senz’altro interessante.
Un articolo assai recente presenta 2 casi di verruche
cutanee refrattarie alla terapia, trattate con successo
con una pomata contenente sinecatechine (Alcántara
González et al., 2015). Le sinecatechine sono estratti di foglie di tè verde di Camelia sinensis. Impiegate
nella terapia delle verruche genitali e perianali con
una percentuale di successo tra il 45 e il 65%, sono in
genere ben tollerate; il loro effetto collaterale più importante è la possibile irritazione locale. Il componente principale delle sinecatechine è rappresentato dai
Figura 3. Due casi di onicomadesi e di linee di Beau ben
evidenti su alcune unghie in due bambini dopo 1-2 mesi
dalla “mani-piedi-bocca” atipica.
91
C. Gelmetti et al.
polifenoli del tè, e in particolare dai flavonoidi, l’85%
dei quali sono catechine. Le catechine si legano agli
enzimi coinvolti nella produzione di mediatori dell’infiammazione, alle proteasi che promuovono l’invasione tumorale e alle chinasi coinvolte nel signaling delle
cellule tumorali, nella modificazione del ciclo cellulare
e nell’induzione della apoptosi. L’effetto terapeutico
delle sinecatechine è stato attribuito alla loro attività
immunomodulatoria, antiossidante e antitumorale. Il
gallato di epigallocatechina è la principale sostanza
contenuta nei prodotti commerciali, ed è la molecola
con la maggiore attività di questo gruppo.
Uso della dermatoscopia
per la diagnosi di tinea capitis
La diagnosi di tinea capitis tricofitica può non essere
agevole, soprattutto in presenza di aree alopeciche
modeste con desquamazione del cuoio capelluto. Il
“gold standard” per la diagnosi consiste nell’effettuazione dell’esame micologico, diretto e colturale; tale
esame tuttavia non è in genere facilmente e rapidamente disponibile. L’utilità dell’esame dermatoscopico nella diagnosi di tinea capitis è confermata in uno
studio su 15 bambini con tinea capitis confermata e
su 10 bambini con alopecia in chiazza di altra natura
(Ekiz et al., 2014). Nel gruppo di pazienti con tigna, la
dermatoscopia ha evidenziato la presenza di capelli
distrofici nel 100% dei casi, di capelli a cavaturacciolo
nel 80% dei casi e di capelli a virgola nel 100% dei
casi (Fig. 4). Queste anomalie erano assenti nei pazienti con alopecia da altre cause. Questa serie sottolinea il ruolo della dermatoscopia, un esame non invasivo di facile accessibilità e con risultato immediato,
nel depistaggio della tinea capitis quando il quadro
clinico è dubbio, condizione molto frequente e di più
facile riscontro nei pazienti con cute e capelli molto
scuri o con particolari acconciature dei capelli.
Approvazione del vaccino
nonavalente per HPV e nuove
raccomandazioni vaccinali
Il 10 dicembre 2014 è stato approvato dalla Food and
Drug Administration, l’uso del vaccino nonavalente
per l’HPV (Gardasil 9, Merck and Co., Inc.). Nell’incontro del febbraio 2015, la commissione statunitense per le buone pratiche di immunizzazione (Advisory
92
Figura 4. Dermatoscopia di un caso di tigna in cui si vedono facilmente i capelli distrofici: sia quelli a cavaturacciolo, sia quelli a virgola.
Committee on Immunization Practices) ha introdotto
l’uso di tale vaccino nonavalente, insieme al vaccino
tetravalente e a quello bivalente, come uno dei 3 tipi
di vaccini che possono essere usati nella vaccinazione della popolazione, che è raccomandata all’età di
11 o 12 anni. Tale commissione ha aggiornato le indicazioni vaccinali, aggiungendo la raccomandazione
anche per le femmine tra i 13 e i 21 anni se non sono
state vaccinate in precedenza, per i maschi fino ai 26
anni che hanno rapporti sessuali con altri maschi e
per i pazienti immunodepressi (inclusi i pazienti con
HIV) che non sono stati vaccinati in precedenza (Petrosky et al., 2015). Il vaccino nonavalente per HPV è
costituito da frammenti non infettivi similvirali, (viruslike particle = VLP) che includono gli HPV 6, 11, 16,
and 18 come il vaccino quadrivalente, al quale sono
stati aggiunti gli HPV 31, 33, 45, 52 e 58. Ricordiamo che il vaccino bivalente contiene solo VLP per gli
HPV 16 e 18.
Dermatologia pediatrica: alcune novità rilevanti
Box di orientamento
• Cosa si sapeva prima
Gli adipociti cutanei erano conosciuti per il loro ruolo meccanico e di riserva energetica mentre il ruolo
delle infezioni nella psoriasi veniva imputato ad una somiglianza di alcuni epitopi tra capside dello streptococco e proteine cheratinocitarie. Nella dermatite atopica, da alcuni, si invocava la necessità di una
dieta materna durante la gravidanza e l’allattamento come pure l’utilità degli integratori alimentari e, più di
recente della somministrazione di vitamina D, probiotici e prebiotici. Nonostante la mancanza di dati solidi, vi erano remore per l’uso degli inibitori topici della calcineurina. La malattia “mani-piedi-bocca” è stata
sempre ritenuta un esantema molto modesto. Nel trattamento delle verruche prevalevano terapie fisiche
e la dermatoscopia per la diagnosi di tinea capitis non era ipotizzata. Per l’infezione da HPV esisteva il
vaccino bivalente e quadrivalente.
• Cosa sappiamo adesso
Gli adipociti cutanei sono utili anche nel mantenimento della funzione barriera dell’epidermide tramite il
contrasto alle infezioni; nella psoriasi in placca attiva, i batteri potrebbero avere un ruolo diverso da quello
infettivo. Nella dermatite atopica si smentisce l’utilità della dieta materna durante la gravidanza e l’allattamento come pure l’uso degli integratori alimentari, mentre i dati sulla vitamina D, probiotici e prebiotici
sono promettenti. Dati molto confortanti confermano la sicurezza del pimecrolimus. La malattia “manipiedi-bocca”, se causata da Coxsackie A6, può essere atipica e più aggressiva. Le sinecatechine per uso
topico appaiono un trattamento non aggressivo delle verruche; la dermatoscopia può essere impiegata
per la diagnosi di tinea capitis e la disponibilità del vaccino nonavalente per l’infezione da HPV amplia la
prevenzione del tumori genitali.
• Per la pratica clinica
Nella dermatite atopica non appare utile né la dieta materna durante la gravidanza e l’allattamento né
l’impiego degli integratori alimentari mentre il beneficio dell’impiego della vitamina D, probiotici e prebiotici attende conferme. Una conferma importante è invece quella sulla sicurezza d’uso del pimecrolimus di
cui si preconizza l’uso anche prima dei due anni di vita. Utile è sapere che la malattia “mani-piedi-bocca”
può avere un decorso più severo e che si può tentare un trattamento non aggressivo delle verruche. La
praticità della dermatoscopia nella diagnosi di tinea capitis e la disponibilità del vaccino nonavalente per
l’infezione da HPV sono un chiaro vantaggio per la popolazione.
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*** La quarta sezione di una esaustiva
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col maggior numero di pazienti affetti da
dermatite atopica e trattati con un inibitore
topico della calcineurina.
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Placebo-controlled Trial. Allergy Asthma
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Corrispondenza
Carlo Gelmetti
Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti della Università di Milano, IRCCS “Ca’ Granda, Ospedale
Maggiore Policlinico”, via Pace 9, 20122 Milano - E-mail: [email protected]
94
Prospettive in Pediatria
Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 95-101
Dermatologia pediatrica
Anomalie vascolari
in età pediatrica:
nuove indicazioni
terapeutiche, vecchi
farmaci
Pietro Dalmonte
Nadia Vercellino
U.O. Centro Angiomi,
Dipartimento Cardio-ToracoAddominale
“Istituto Giannina Gaslini”,
Genova
Le anomalie vascolari sono lesioni eterogenee che possono interessare tutti i tessuti. La
potenziale aggressività di queste lesioni pone spesso indicazione a trattamenti terapeutici in età precoce, anche quando sono ancora asintomatiche. Le malformazioni vascolari
circoscritte sono suscettibili di trattamenti terapeutici mirati convenzionali (chirurgia, scleroembolizzazione, laser), in genere con risultati favorevoli, mentre per le forme estese e
complicate le possibilità terapeutiche sono sempre state poco soddisfacenti. Negli ultimi
anni è diventato sempre più frequente l’utilizzo di farmaci immunomodulatori, già noti da
tempo per altre patologie di tipo tumorale o nei trapianti d’organo, per il trattamento in
forma sperimentale delle malformazioni vascolari complesse. Il principio è stato quello di
utilizzare vecchi farmaci che hanno dimostrato avere anche proprietà antiangiogenetiche.
Fra questi, certamente uno dei più promettenti è la rapamicina (sirolimus), che trova oggi
indicazione, sebbene in forma sperimentale, nel trattamento delle malformazioni venose
e linfatiche complesse, refrattarie alle terapie convenzionali e ad evoluzione invalidante
o a rischio di vita. Sono in atto studi clinici estesi su questa ed altre terapie farmacologiche, che, tuttavia, sono ormai ampiamente utilizzate, con ottica multidisciplinare, presso
le strutture di riferimento dedite alla cura delle anomalie vascolari. Il propranololo, invece,
è ormai entrato nella comune pratica clinica per la cura degli emangiomi infantili ed è già
stato registrato sia dalla FDA che dall’EMA.
Riassunto
Vascular anomalies are heterogeneous and evolutive lesions that can affect all tissues.The
potential aggressive nature of these lesions often raises indication in therapeutic treatments at an early age, even when children are still asymptomatic. Localized vascular malformations are susceptible to conventional therapeutic treatments (surgery, sclerotherapy,
embolization, laser), usually with favorable results, while for extensive and complicated
vascular diseases therapeutic possibilities have always been empirical and not satisfactory. In recent years it has become more and more evident of the use of immunomodulatory drugs, introduced years ago for other diseases like cancer or organ transplants, and
now also used as an experimental therapy for complex vascular anomalies because of
their antiangiogenic properties. Among these, certainly one of the most promising is rapamycin (sirolimus). It finds indication in the treatment of disabling or life-threatening venous
and lymphatic malformations refractory to conventional therapies. Clinical trials are underway on rapamicyn and other drug therapies. Propranolol, at opposite, is now commonly
used for the treatment of infantile hemangiomas and it has been already approved both
by FDA and EMA.
Summary
Metodologia
della ricerca bibliografica
La ricerca degli articoli rilevanti più recente è stata ef-
fettuata sul motore di ricerca PubMed, utilizzando le
parole chiave: “angiogenesis, vascular malformations,
rapamicyn, lymphatic malformations, vascular anomalies”. Sono stati inclusi solo gli articoli in lingua inglese.
95
P. Dalmonte, N. Vercellino
Introduzione
La classificazione dell’International Society for the
Study of Vascular Anomalies (ISSVA), recentemente
rivista ed aggiornata in occasione del Convegno internazionale di Melbourne dell’Aprile 2014, conferma
la suddivisione delle anomalie vascolari in due grandi
gruppi: i tumori vascolari e le malformazioni vascolari,
secondo quanto proposto in origine da Mulliken (Mulliken e Glowacki, 1982; Marler e Mulliken, 2001).
I tumori vascolari sono lesioni di tipo proliferativo e
comprendono le forme benigne (di cui in assoluto la
più frequente è l’emangioma infantile), quelle ad aggressività locale (di cui la forma più frequente è l’emangioendotelioma con consumo piastrinico) e quelle maligne (angiosarcomi).
Le malformazioni vascolari sono invece suddivise sulla
base del pattern istologico in forme semplici (arteriose,
venose, capillari, linfatiche) oppure combinate (Tab. I).
(Dasgupta e Fishman, 2014) (Bruder et al., 2009).
L’uso di una comune nomenclatura ed il riferimento
ad una classificazione riconosciuta a livello internazionale garantiscono la correttezza del percorso diagnostico e delle successive terapie. L’utilizzo di nomenclature e classificazioni non corrette è causa di
diagnosi improprie, prognosi inaccurate e, soprattutto,
trattamenti terapeutici inappropriati.
La terapia farmacologica
delle anomalie vascolari
Nell’ambito delle lesioni proliferative, esistono terapie
farmacologiche ormai consolidate, alcune da decenni
(Marler e Mulliken, 2005). In particolare, per gli eman-
giomi infantili, è stato utilizzato per oltre trent’anni il
cortisone, sfruttandone le caratteristiche antiangiogenetiche capaci di arrestarne la fase proliferativa nei
primi mesi di vita, con una percentuale di successo
attorno al 75% (Enjolras, 1997). Per le forme tumorali
a maggiore aggressività, sono stati utilizzati i chemioterapici (la vincristina è il farmaco di prima scelta) con
ottimi risultati (Wang e Li, 2015; Margolin et al., 2014;
Jahnel et al., 2012; Tlougan et al., 2013).
Negli ultimi anni, la terapia cortisonica dell’emangioma
infantile è tramontata, definitivamente sostituita dal propranololo, farmaco beta-bloccante di prima generazione
che si è rivelato capace di arrestare la fase proliferativa ed indurre una rapida involuzione dell’emangioma
infantile, con una percentuale di successo superiore
al 95%. Il propranololo oggi rappresenta la terapia farmacologica di prima scelta per questi tumori vascolari
(Léauté-Labrèze et al., 2015; Solman et al., 2014; Luo
et al., 2015) (Tab. II) 1. Mentre storicamente il trattamento
medico delle anomalie vascolari è stato piuttosto empirico, i recenti progressi della genetica molecolare e della
biologia cellulare hanno aperto la strada all’applicazione
della farmacologia anche al campo delle malformazioni
vascolari, ed è apparso nella letteratura medica internazionale un numero progressivamente crescente di articoli relativi all’argomento.
Tradizionalmente, le malformazioni vascolari sono trattate con procedure di scleroterapia (malformazioni venose e/o linfatiche), embolizzazione arteriosa (malformazioni artero-venose), escissione chirurgica (Hammill
et al., 2011; Lee et al., 2014). I farmaci chiamati in causa
nel campo malformativo vascolare sono farmaci immunomodulatori, non di nuova generazione, ma già utilizzati da molti anni per altre patologie e dei quali è nota
Tabella I. Classificazione ISSVA (International Society for the Study of Vascular Anomalies) delle Anomalie Vascolari) –
Revisione al Convegno ISSVA di Melbourne, Aprile 2014.
TUMORI
VASCOLARI
Benigni
Ad aggressività locale
Maligni
MALFORMAZIONI VASCOLARI
Comuni
Combinate
Vasi maggiori
Associate
ad altre anomalie
Capillari
MCVL
Arteriose
SKT
Linfatiche
MLV
Venose
SSW
Venose
MVL
Linfatiche
SPW
MAV
MCAV
Fistole AV
MCLAV
S. Maffucci
S. Proteus
S. CLOVES
MCVL: malformazione capillaro-veno-linfatica; MLV: malformazione linfatico-venosa; MVL: malformazione veno-linfatica; MCAV: malformazione capillaro-artero-venosa; MCLAV: malformazione capillaro-linfatico-artero-venosa; SKT: Sindrome di Klippel-Trenaunay; SSW:
Sindrome di Sturge-Weber; SPW: Sindrome di Parkes-Weber; CLOVES: acronimo per: Congenital, Lipomatous, Overgrowth, Vascular
Malformations, Epidermal Nevi, Spinal/Skeletal Anomalies e/o Scoliosis.
1
96
Il propranololo fu registrato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1967. Il farmaco, in forma di sciroppo ad uso pediatrico, è stato commercializzato negli USA nel marzo 2014 (col nome di Hemangeol®) ed in Francia nel aprile 2014 (col nome di Hemangiol®) ma non
è ancora in commercio in Italia, per cui la prescrizione è ancora per poco off-label con preparazione galenica. Nel nostro Paese la
disponibilità dovrebbe esserci a partire dai prossimi mesi.
Anomalie vascolari: nuove indicazioni, vecchi farmaci
Tabella II. Propranololo.
Il propranololo (P.) è il farmaco di prima scelta per il trattamento degli Emangiomi Infantili.
Il propranololo (P.) è un antagonista beta adrenergico non selettivo. Sembra agire attraverso un’azione vasocostrittrice o antiangiogenetica o un’azione di inibizione del VEGF e del bFGF o all’induzione di apoptosi dell’endotelio. Le controindicazioni al P. sono: asma o storia di broncospasmo, ipotensione, peso inferiore ai 2 kg, ipersensibilità nota al P. o ai suoi eccipienti, alcune patologie cardiache (blocco A/V di II e III, l’insufficienza cardiaca
scompensata) ed il feocromocitoma.
Timing, dose e follow-up del trattamento
• Una valutazione cardiologica con ECG va eseguita per ottenere il nulla osta al trattamento.
• Il trattamento, qualora indicato, deve essere avviato il prima possibile, preferibilmente tra la 5° settimana ed il 5° mese
di vita.
• Il trattamento deve essere iniziato in ambiente esperto e protetto.
• Nei bambini ad alto rischio (età corretta inferiore alle 5 settimane, comorbidità cardiovascolare o respiratoria o del metabolismo glucidico, inadeguato supporto sociale), la terapia deve essere iniziata in regime di degenza. In tutti gli altri
casi la cura può essere iniziata in regime di DH con monitoraggio dei parametri vitali e della glicemia.
• La dose del farmaco è di 2-3 mg/kg/die suddivise in 2 somministrazioni per 6 mesi. Tale dose può essere preceduta
da un periodo di trattamento di una settimana a metà dosaggio. Invece la fine del trattamento non richiede gradualità.
• È raccomandato un monitoraggio mensile per la sorveglianza di eventuali effetti collaterali con valutazione clinica e
documentazione fotografica, controllo del peso, misurazione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa.
• Ad ogni visita di controllo è raccomandato:
1. investigare eventuali sintomi respiratori quali la tosse, sibili, stridore.
2. controllo della glicemia in caso di insorgenza di sudorazione anomala, irritabilità, malessere.
Il riscontro di tali sintomi deve indurre alla sospensione transitoria del trattamento.
• Una ulteriore valutazione cardiologica è richiesta in caso di bradicardia (< 70 bpm; < 80 in neonati) o di ipotensione
(< 50/30 mmHg) o in caso di presenza o storia di aritmia/cardiopatia o di storia materna di connettivopatia.
• In caso di procedure diagnostico/terapeutiche che richiedono il digiuno è indicata la sospensione della terapia o, se
ciò non fosse possibile, la somministrazione di glucosata per via e.v.
• Il P. non richiede modifica nel calendario vaccinale.
• In caso di recidiva è possibile effettuare un nuovo ciclo di terapia.
È raccomandata un’opportuna educazione dei genitori o dei caregiver per la somministrazione del farmaco e per la sorveglianza di possibili effetti collaterali.
la potenzialità anti-angiogenetica (Margolin et al., 2014).
Oggi sappiamo che anche le malformazioni vascolari
hanno potenzialità proliferativa che si attivano in occasione di traumi, infezioni e variazioni ormonali. In particolare, le malformazioni vascolari che non interessano
i grandi vasi, definite extratronculari, rappresentano
residui embrionari dovuti ad arresto di sviluppo nelle
fasi precoci dell’embriogenesi. Si tratta di tessuto vascolare “immaturo”, con caratteristiche cellulari di tipo
mesenchimale, che conserva la potenzialità di crescita se stimolato (ad esempio in occasione di menarca,
gravidanza, terapie ormonali, traumi, infezioni, interventi chirurgici). In sintesi, possiamo affermare che
le malformazioni vascolari (capillari, ma soprattutto
quelle linfatiche, venose ed artero-venose) tendono ad
accrescersi nel tempo, infiltrando i tessuti e causando
distorsioni, ostruzioni o compressioni vasculo-nervose
e sulle vie aeree, gravi problematiche estetiche e problemi funzionali in genere (Hassanein et al., 2012).
In una recente revisione di queste opzioni terapeutiche, sono stati identificati oltre 20 farmaci utilizzati.
Nella Tabella III sono riportati i farmaci utilizzati nelle malformazioni vascolari, con indicazione del loro
meccanismo d’azione ed i livelli di evidenza.
Sono comunque necessari studi clinici randomizzati
multicentrici e con numeri più consistenti per provare
l’efficacia di queste nuove terapie (Blatt et al., 2013).
D’altra parte, l’osservazione clinica ed il riproporre
vecchi farmaci (vecchi farmaci per nuove indicazioni)
sono stati, in passato anche recente, mezzi potenti
per individuare nuove terapie per i tumori vascolari;
ora si fa lo stesso per le malformazioni (Blatt et al.,
2013).
La terapia con rapamicina
delle malformazioni vascolari
Tra i nuovi farmaci riportati in Tabella III, uno dei più
promettenti ed all’attenzione internazionale è la rapamicina, anche comunemente nota come sirolimus
(Rössler et al., 2014).
97
P. Dalmonte, N. Vercellino
Tabella III. Terapie farmacologiche “off-label” utilizzate nel trattamento delle anomalie vascolari.
Farmaco
Anomalia Vascolare
Meccanismo d’azione
Livello di Evidenza
Propranololo
Emangioma infantile
beta-bloccante
R
EK, tufted angioma
antagonista VEGF
S
Linfangiomatosi
vasocostrittore
C
antiangiogenico
Rapamicina (sirolimus)
Amartoma (PTEN
mutations)
mTOR-inibitore
C
ML e MV
antagonista VEGF
rs
Linfangiomatosi
generalizzata
apoptosi
C
Linfangiomatosi ossea
C
EK con SKM
C
Malformazioni capillari
C
MV intestinali (BRBNS)
C
Talidomide
MAV intestinale
antagonista FGF
R
Doxiciclina
MAV del SNC
inibitore VEGF2
S
Emangioma infantile
antagonista VEGF
S
TEE
Bevacizumab
S
MAV in TEE
S
Emangioblastoma del SNC
S
Marimastat
MAV
inibitori MMP
C
Imiquimod
Emangioma infantile
inibitori MMP
rs
Octeotride
MV intestinali
analogo somatostatina
S
ML intestinali
antagonista VEGF
S
ML micro e macrocistiche
inibitore fosfodiesterasi
C
ML dell’osso (S. di Gorham)
ignoto
S
MC
Sildenafil
Bifosfonati
(acido zoloedronico, pamidronato)
C
R: randomized clinical trial; S: single arm clinical trial; sr: serie retrospettiva, > 5 casi con dimostrata efficacia: C ≤ 5 casi con dimostrata
efficacia; EK con SKM: Emangioendotelioma kaposiforme con fenomeno/sindrome di Kasabach-Merritt; BRBNS: Blue Rubber Bleb Nevus
Syndrome; FGF: fattore di crescita dei fibroblasti; MAV: Malformazione artero-venosa; MC: Malformazione capillare; ML: malformazione
linfatica; MMP: metallo proteinasi; MV: malformazione venosa; PTEN (phosphatases and tensin homolog): SNC: sistema nervoso centrale;
TEE: Telengectasia emorragico-ereditaria; VEGF: fattore di crescita vascolare dell’endotelio.
Si tratta di un antibiotico macrolide prodotto da un
batterio (Streptomyces hygroscopicus) estratto dalla radice delle rape, originariamente introdotto per il
trattamento del rigetto dei trapianti d’organo (in particolare di rene); il farmaco è comunemente noto agli
oncologi come “mTOR”-inibitore. L’acronimo “mTOR”
sta per “mammalian Target Of Rapamycin”, vale a dire
“bersaglio della rapamicina nei mammiferi”. Più precisamente, l’“mTOR” è una protein-chinasi che regola
la crescita, la proliferazione, la motilità e la sopravvivenza delle cellule, la sintesi proteica e la trascrizione
(Thomson e Woo, 1989; Sehgal, 1995).
Poiché l’“mTOR” interagisce con diverse vie che portano alla neoangiogenesi, si è ipotizzato che uno dei
suoi inibitori (sono noti diversi farmaci tumorali di questo tipo), il sirolimus, avrebbe proprietà antiangiogenetiche (prevalentemente di tipo anti-linfangiogeneti98
co). Proprio per tali proprietà, il sirolimus si utilizza
anche negli stent coronarici a rilascio di farmaco
Tali proprietà antiangiogenetiche, sebbene più specifiche per i tessuti linfatici, sembrano avere effetti
favorevoli anche nelle malformazioni vascolari a prevalenza venosa. La terapia è riservata alle malformazioni vascolari estese ed evolutive, soprattutto a
localizzazione viscerale ed ossea, nelle quali hanno
fallito o non trovano indicazione le più standardizzate
procedure terapeutiche (chirurgia, laser, scleroterapia, embolizzazione).
Il farmaco necessita di essere integrato con terapie
anticoagulanti, profilassi antibiotica, farmaci analgesici ed antiflogistici e richiede adeguato monitoraggio
dei potenziali effetti collaterali e dell’andamento clinico. La gestione ottimale di questa terapia è di tipo
Anomalie vascolari: nuove indicazioni, vecchi farmaci
multidisciplinare e va effettuata utilizzando protocolli
operativi specifici e condivisi (Rössler et al., 2014).
Nella Tabella III sono riportate le indicazioni attuali
all’impiego della rapamicina come risultano dalla letteratura medica internazionale.
Tra le indicazioni riportate in letteratura, è particolarmente interessante l’anomalia linfatica generalizzata
o linfangiomatosi, malformazione diffusa ed evolutiva
a carattere invalidante e spesso letale, che può coinvolgere mediastino, polmoni, retroperitoneo, milza,
ossa, tessuti molli e cute, e che si complica con chilotorace recidivante nel 40-50% dei casi. La terapia con
rapamicina sembra stabilizzare e migliorare il quadro
clinico e ridurre l’entità dei versamenti pleurici chilosi
(Wang et al., 2015).
Nel 2012 è stata riportata la prima segnalazione di esito favorevole del sirolimus in un caso di malformazione
venosa diffusa cutanea ed intestinale, complicata da
frequenti enterroragie nell’ambito della Blue Rubber
Bleb Nevus Syndrome. In questo paziente la terapia
ha ridotto rapidamente il volume delle localizzazioni
malformative ed arrestato completamente il sanguinamento di quelle intestinali (Yuksekkaya et al., 2012).
Altri report hanno documentato l’esito favorevole della
terapia nelle localizzazioni cutanee e gastrointestinali della teleangectasia emorragico-ereditaria (Skaro
et al., 2006).
Un’altra recente segnalazione è il trattamento di una
malformazione venolinfatica periorbitaria ad elevato
rischio di ambliopia in un neonato; in questo caso, tuttavia, si segnala la recidiva della lesione a distanza
di qualche mese dalla sospensione del farmaco (Kim
et al., 2015).
Nel 2011, Hammill ha riportato la risposta favorevole al
sirolimus in 6 pazienti con anomalie vascolari responsabili di prognosi infausta e refrattarie ad altre terapie;
il farmaco è stato utilizzato in questa serie a scopo
compassionevole. La diagnosi è stata di emangioendotelioma kaposiforme con sequestro piastrinico in 1
caso, malformazione linfatica microcistica con interes-
samento osseo e pleurico in 4 casi, e malformazione
combinata diffusa capillaro-linfatico-venosa in 1 caso.
A seguito di questa esperienza, Hammill e Colleghi
hanno evidenziato la necessità di una sperimentazione clinica con sirolimus in pazienti con anomalie
vascolari, ed hanno avviato uno studio clinico di fase
2 (studio clinico governativo NCT00975819). Questi
Autori sottolineano anche l’importanza di studi clinici
per definire la dose massima tollerata, la dose minima necessaria per l’efficacia e la necessità di stabilire
protocolli operativi per il monitoraggio della sicurezza
(Hammill et al., 2011).
Considerazioni e conclusioni
Quando si utilizza il sirolimus per il trattamento delle
malformazioni vascolari, ci si devono porre molti quesiti. Data l’eterogeneità e la complessità delle lesioni,
è probabile che non tutti i pazienti risponderanno con
esito favorevole. Inoltre, non è chiaro se l’indicazione
alla terapia dovrebbe riguardare soltanto le malformazioni vascolari complesse a predominanza linfatica.
Esistono poi interrogativi relativi alla durata della terapia, rischio di recidiva alla sospensione del farmaco,
dose appropriata. Un altro interrogativo riguarda la
maggiore o minore efficacia del sirolimus in monoterapia o in abbinamento a corticosteroidi o ad altre
terapie. Inoltre, non sappiamo ancora se l’inibizione
della via enzimatica nota come “mTOR” possa causare la deregolazione di altri percorsi enzimatici.
Ed esistono anche incognite circa gli effetti a lungo
termine del sirolimus in età pediatrica; ad esempio, va
chiarito se esiste il rischio di compromissione dell’angiogenesi a livello delle cartilagini di accrescimento in
età pediatrica (Trenor, 2011).
Si auspica che le risposte a questi ed altri interrogativi possano emergere dallo studio clinico governativo
americano effettuato presso il Children’s Hospital Medical Center di Cincinnati in USA, che si è recentemente concluso e di cui si attende l’esito.
Tabella IV. Terapia farmacologica con rapamicina delle anomale vascolari complesse. Indicazioni e criteri di inclusione.
Indicazioni
Emangioendotelioma kaposiforme con SKM
Tufted Angioma con SKM
Malformazione capillaro-veno-linfatica
Malformazione veno-linfatica
Malformazione linfatica microcistica
Criteri di inclusione
Piastrinopenia
Piastrinopenia
Coagulopatia da consumo
Dolore cronico
Interessamento viscerale
Linfangiomatosi multifocale
Interessamento osseo
Malformazione capillaro-linfatica-artero-venosa
Complicanza ulcerativa
PTEN Overgrowth Syndrome con anomalie vascolari
Disfunzione cardiaca
Sindromi linfangectasiche
SKM: Sindrome di Kasabach-Merritt.
99
P. Dalmonte, N. Vercellino
Il trial è intitolato “A Phase 2 Study - Clinical Trial Assessing Efficacy and Safety of the mTOR inhibitor sirolimus in the treatment of complicated vascular anomalies”. È iniziato nel Settembre 2009 e si è concluso
nel Febbraio 2015 sotto l’egida della “Food and Drug
Administration”. L’obiettivo primario è quello di determinare efficacia e sicurezza dell’impiego del sirolimus
nel bambino e nel giovane adulto.
I criteri di inclusione sono gli stessi di quelli riportati
nella Tabella IV.
In attesa di risposte, è giustificato l’utilizzo di terapie
farmacologiche sperimentali nelle malformazioni va-
scolari complesse refrattarie alle terapie convenzionali; l’evidenza di risultati favorevoli, a fronte di una
prognosi altrimenti infausta, sopravanza il rischio della terapia sperimentale.
Nel frattempo, i progressi della genetica molecolare
stanno aprendo la strada alla comprensione dell’intima genesi delle anomalie vascolari, ed oggi sono
stati identificati molti geni nei quali le mutazioni provocano forme recessive e dominanti di queste malattie.
Da questi progressi potranno presto derivare terapie
innovative su basi razionali.
Box di orientamento
• Cosa sapevamo prima
Le malformazioni vascolari sono lesioni ubiquitarie che possono presentarsi in forma diffusa interessando tessuti molli, ossa e visceri. Per molto tempo si è detto che non esistono terapie farmacologiche per
le malformazioni vascolari, mentre esistono per i tumori vascolari.
Nelle malformazioni vascolari invalidanti e a rischio di vita, la terapia è sempre stata fino ad oggi piuttosto
empirica, per lo più sintomatica e palliativa, con risultati scarsi e senza prospettive per il paziente.
• Cosa sappiamo adesso
Le malformazioni vascolari hanno tendenza evolutiva nel tempo e potenzialità proliferativa; quest’ultima si
attiva in occasione di traumi, infezioni, variazioni ormonali. Negli ultimi anni sono state applicate in forma
sperimentale nuove terapie farmacologiche per il trattamento delle malformazioni vascolari complesse, invalidanti ed a rischio di vita, utilizzando farmaci noti da tempo e con altre indicazioni, che hanno dimostrato
avere anche proprietà antiangiogenetiche. Fra questi, certamente il più interessante sembra essere la rapamicina (sirolimus), che ha fornito risultati molto promettenti per il trattamento delle malformazioni venose
e linfatiche refrattarie alle terapie convenzionali. Gli studi clinici sono ancora nella fase sperimentale.
• Per la pratica clinica
Le malformazioni vascolari complesse, sintomatiche ed invalidanti, refrattarie a terapia medica, possono giovarsi di nuove terapie farmacologiche, di cui la rapamicina sembra essere la più promettente. Queste terapie
vanno gestite in ottica multidisciplinare presso strutture di riferimento dedite alla cura delle anomalie vascolari.
Bibliografia
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Si tratta di una revisione recente e
completa delle terapie farmacologiche attuali nel trattamento di tumori e malformazioni vascolari, con particolare riferimento
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Riporta una casistica di 6 pazienti
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esito favorevole. Riporta interessanti considerazioni sui quesiti ancora da chiarire
legati a questa terapia.
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Anomalie vascolari: nuove indicazioni, vecchi farmaci
della terapia orale con propranololo nel primo anno di vita degli emangiomi infantili.
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* È la prima segnalazione degli esiti favorevoli della rapamicina nel trattamento
delle malformazioni venose intestinali responsabili di grave sanguinamento.
Interessante segnalazione degli esiti
favorevoli della rapamicina nel trattamento
delle teleangectasie gastro intestinali della
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* Si tratta di una delle prime segnalazioni
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* Studio retrospettivo con importante casistica relativa al trattamento chemioterapico dell’emangoerndotelioma kaposiforme.
Corrispondenza
Pietro Dalmonte
Centro Angiomi, Dipartimento Cardiovascolare, Istituto “Giannina Gaslini”, largo G. Gaslini 5, 16147 Genova - E-mail:
[email protected]
101
Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 102-111
Prospettive in Pediatria
Dermatologia pediatrica
Anomalie dei capelli
in pediatria
Mario Cutrone,
Ramon Grimalt*
Ospedale dell’Angelo, Mestre;
*
Universitat Internacional de
Catalunya, Barcelona, Spain
Le patologie dei capelli sono sempre state considerate, dai pediatri, patologie “minori”
(perché con “sola” valenza estetica e prive di sintomatologia soggettiva o danno funzionale). Questo atteggiamento minimizzante, tuttavia, non è assolutamente condiviso dai
genitori dei pazienti e dai pazienti stessi quando raggiungono un’età che consenta loro
di esprimere un’opinione in merito. La conseguenza inevitabile di questa discrepanza di
vedute tra curante e famiglia è il ricorso (diffusissimo) a metodiche diagnostiche e terapeutiche “alternative” costose, inefficaci (quando anche nocive) e dal profilo di sicurezza non
noto. Le anomalie dei capelli sono in ogni caso di fatto poco conosciute dalla maggioranza
dei pediatri, e vengono per questo motivo poco studiate (nel senso dell’approfondimento
diagnostico) e ancor meno trattate. L’obiettivo di questa review è presentare una panoramica dei principali quadri e delle nuove conoscenze in merito ad inquadramento clinico e terapia, che fornisca al pediatra un punto di partenza per eventuali ulteriori approfondimenti
della materia in caso di necessità. Verranno esaminate le principali anomalie dei capelli
in età pediatrica: alopecia areata, alterazioni del ciclo del capello, alopecia traumatica,
alopecia androgenetica nel bambino e adolescente, anomalie del fusto del capello, alopecia congenita localizzata, alopecia cicatriziale (Scarring alopecia). Non sono state invece
prese in considerazione, a causa della loro rarità e complessità di trattazione le ipotricosi
ereditarie e congenite e l’alopecia congenita generalizzata.
Riassunto
Hair alterations in children have always been considered a minor alteration and many
pediatricians do not take them much into account (probably because hair abnormalities
are not causing symptoms and for many doctors hair alterations are just an aesthetic
problem).
Parents of patients and patients themselves, however, do absolutely not share this minimizing attitude, when they reach an age that allows them to express their opinion about.
The inevitable consequence of this discrepant view between physician and family is the
use of widespread alternatve diagnostic and therapeutic approaches.
In fact, hair anomalies are not much known by the majority of pediatricians, and for this
reason are poorly studied and much less treated.
The aim of this review is to present an overview of the main clinical presentations and the
new knowledge regarding clinical diagnosis and therapy, that could provide to the pediatrician a starting point for further information.
We will cover the main hair abnormalities in children: alopecia areata, abnormal hair cycle
(disturbances of hair cycle), traumatic alopecia, androgenetic alopecia in children and
adolescents, hair shaft disorders, congenital localized alopecia, and some forms of scarring alopecia.
Summary
102
Anomalie dei capelli in pediatria
Metodologia della ricerca
bibliografica
La ricerca degli articoli rilevanti più recente è stata
effettuata sul motore di ricerca PubMed. Sono stati inclusi solo gli articoli in lingua inglese.
Alopecia areata
L’alopecia areata (AA) è una malattia caratterizzata da una caduta non-cicatriziale di capelli e peli, su
base autoimmune e infiammatoria. Questa malattia
comprende sottogruppi di pazienti caratterizzati da
comparsa di chiazze singole o multiple, dalla completa assenza dei soli capelli (alopecia totale) (Fig. 1) e
dalla perdita totale di capelli e peli (alopecia universale). L’AA è comune, e il rischio di contrarre questa
malattia nella popolazione generale nel corso della
vita è stimato all’1,7%. La malattia si manifesta in entrambi i sessi e in tutte le età, inclusa l’età pediatrica.
L’AA si presenta infatti prima dei 16 anni in circa il
20% dei pazienti. Nei lattanti e nei bambini piccoli,
l’AA è stata considerata in passato un fenomeno raro
(Olsen, 2006). Autori recenti hanno però suggerito
che questo disturbo in queste fasce di età è più comune di quanto precedentemente supposto.
L’AA può essere sia congenita che acquisita. Un suo
esordio precoce sembra indicare una più probabile successiva progressione diffusa della malattia.
Walker e Rothman hanno evidenziato come un esordio prima della pubertà si correli a una maggiore gravità del decorso (il 50% dei loro casi ad insorgenza
prepubere aveva sviluppato alopecia totale rispetto
al 23% dei casi a esordio post-puberale) (Walker e
Rothman 1950). Nonostante ciò, è comunque opportuno sottolineare che non è possibile prevedere
l’andamento della malattia nel singolo caso specifico.
Prima di formalizzare una diagnosi di AA nel bambino, devono essere considerate anche altre condizioni, come la alopecia occipitale del lattante (tipica del
periodo tra le 8 e le 12 settimane di vita), la presenza di nevi congeniti come il nevo sebaceo, l’alopecia
congenita triangolare, l’aplasia cutis congenita, le lesioni malformative della linea mediana e le alopecie
associate a disordini complessi dello sviluppo.
Due condizioni rare, che sono però importanti da considerare nella diagnosi differenziale delle alopecie
neonatali/infantili sono: l’atrichia con lesioni papulose
e il rachitismo vitamina D resistente. Entrambe le malattie sono caratterizzate da una normale densità dei
capelli alla nascita, seguita dalla loro perdita totale, di
solito a partire dai 3-15 mesi di età, senza successiva
ricrescita. L’atrichia con lesioni papulose è caratterizzata da normale presenza di capelli e peli alla nascita
con successiva perdita permanente di tutti i capelli e
dei peli del corpo (tranne le ciglia, che sono generalmente risparmiate). A una età compresa tra i 2 ed i 26
anni, i pazienti sviluppano su testa, tronco e arti, nu-
Figura 1. Alopecia totale in età infantile. L’età (14 mesi)
è testimoniata dalla presenza di un emangioma infantile
ancora senza segni di significativa regressione.
merose cisti papulari cheratiniche che assomigliano
a milia. Queste lesioni sono tipiche e permettono la
diagnosi differenziale con pazienti affetti da alopecia
totale/universale. La seconda condizione è il rachitismo resistente alla 1.25- diidrossivitamina D. Questi
pazienti presentano, in genere entro i primi 15 mesi
di vita, perdita di alcuni o tutti i capelli, peli del corpo e
del viso (con o senza perdita di ciglia). I bambini affetti presentano segni clinici e radiologici di rachitismo,
come gli arti ad arco, fratture degli arti, osteopenia diffusa, e anomalie di laboratorio. Nei primi mesi di vita,
tuttavia, può essere difficile distinguere il rachitismo
vitamina D resistente dall’AA, perché i segni clinici
tipici del rachitismo possono non essere ancora comparsi. Sebbene siano state pubblicate molte ricerche
sulla patogenesi della AA, i dati relativi all’efficacia
dei trattamenti proposti, sono scarsi per gli adulti e
soprattutto per i bambini. L’AA, nell’età infantile può
essere psicologicamente devastante e anche se un
approccio conservativo può essere soddisfacente per
alcuni bambini, altri desiderano fortemente un trattamento attivo della loro alopecia. I corticosteroidi topici
sono comunemente usati per il trattamento dell’AA e
sono la terapia di prima scelta per molti dermatologi.
I corticosteroidi topici sono infatti un’opzione ideale
per l’età pediatrica, perché possono essere applicati
in modo indolore e hanno modesti effetti collaterali.
Tuttavia, la loro efficacia rispetto al placebo non è
stata dimostrata e la ricaduta con l’interruzione del
trattamento è comune. Anche il minoxidil è comunemente usato nei bambini, ma i dati sulla sua efficacia
in pediatria sono limitati. Il farmaco topico è stato am103
M. Cutrone, R. Grimalt
piamente utilizzato senza significativi effetti collaterali, ma l’uso nei bambini con alopecia diffusa non è
del tutto privo di rischi e richiede follow-up regolare
(Fig. 2). Altri trattamenti utilizzati per l’AA sono: immunoterapia, antralina, fototerapia, immunosoppressori e immunomodulatori. Negli ultimi mesi sono stati
pubblicati alcuni lavori relativi all’utilizzo degli JAK inibitori (tofacitinib e ruxolitinib), già utilizzati in campo
reumatologico ma non ancora approvati per l’AA, con
risultati che sembrano essere promettenti (Craiglow e
King, 2014; Xing et al., 2014).
Nel campo della terapia con laser, sono stati pubblicati recentemente lavori sull’efficacia del laser a eccimeri, per il quale ancora mancano dati sul follow up
a distanza.
Alterazioni del ciclo del capello
La crescita dei capelli si verifica in un ciclo di 3 fasi:
fase di crescita (anagen), fase transizionale (catagen), e fase di riposo (telogen). La durata della fase
di crescita dei capelli varia dai 2 ai 6 anni. Gli individui
con un’anagen più lunga sono in grado di far crescere
capelli più lunghi (Messenger e Dawber, 1997; Sinclair et al., 1999).
Tra il 90% e il 95% dei capelli sono normalmente in
fase anagen. La fase catagen è caratterizzata dalla
regressione transitoria della parte inferiore del follicolo. Meno dell’1% dei capelli sono in catagen, fase che
dura circa tre settimane. Dal 5% al 10% dei capelli
sono in telogen, che dura circa 3 mesi, e precede la
caduta. Sono stati descritte due nuove fasi del ciclo
di capelli: kenogen e exogen. Il kenogen è l’intervallo
fisiologico del ciclo del capello, in cui il follicolo pilifero rimane vuoto dopo che i capelli telogen sono stati
estrusi e i nuovi capelli non sono ancora emersi. La
Figura 2. Il trattamento dell’alopecia areata con minoxidil
può occasionalmente indurre ipertricosi nelle zone limitrofe a quelle trattate.
104
frequenza e la durata del kenogen sono maggiori negli uomini e nelle donne con alopecia androgenetica
(Guarrera e Rebora, 2005). L’exogen è la fase del
ciclo dei capelli in cui avviene l’espulsione totale della
parte rimanente del fusto del pelo. Normalmente, in
una giornata in cui non viene eseguito uno shampoo
cadono tra i 40 e i 100 capelli; ne cadono il doppio
quando lo shampoo viene fatto. I capelli caduti vengono sostituiti da nuovi capelli che crescono dallo
stesso follicolo. I bambini sono soggetti alle stesse
cause di anomalie della fase telogen e anagen.
Caduta in anagen (Anagen loss)
La caduta in anagen è sempre anormale e, con l’eccezione della Loose anagen syndrome e della alopecia areata, è legata generalmente una esposizione
a sostanze tossiche. La perdita dei capelli è importante, poiché quasi il 90% dei capelli si trova normalmente in anagen, e la perdita si verifica generalmente
entro giorni o settimane dopo l’esposizione. La causa più comune e facilmente riconoscibile di anagen
effluvium è la radioterapia o la chemioterapia. Altre
cause di caduta in anagen includono la Loose anagen syndrome, l’alopecia areata e l’esposizione ad
acido borico o a metalli pesanti (mercurio, arsenico,
tallio). Anche una severa ipoproteinemia può dare
luogo a un effluvium in anagen, come l’esposizione
alla colchicina. La Loose anagen syndrome non presenta una caduta improvvisa e diffusa, e anche l’alopecia areata si presenta in questo modo solo molto
raramente. In genere, l’alopecia areata si manifesta
come caduta focale e mostra i tipici capelli a punto
esclamativo che possono aiutare a distinguerla dalle
altre cause di effluvium.
La sindrome dell’anagen debole
(Loose anagen syndrome)
Questo disturbo è caratterizzato dalla diminuita aderenza del fusto del capello al follicolo pilifero. Dal
momento che i capelli in crescita non sono ancorati
normalmente, essi possono essere facilmente estratti
dal follicolo in modo indolore. La maggior parte dei
capelli non rimangono nel follicolo per tutta la durata dell’anagen e così non riescono a raggiungere la
lunghezza normale. I genitori riferiscono che essi non
hanno mai bisogno di tagliare i capelli del bambino
perché la crescita si arresta spontaneamente. Questa
condizione è familiare e molto probabilmente ereditata in modo autosomico dominante. I gemelli e i genitori del bambino affetto spesso mostrano capelli facilmente estraibili. La sindrome può essere associata a
diversi tipi di displasia ectodermica. Alla microscopia
è caratteristico l’accartocciamento della cuticola del
capello prossimale (ruffing), anche se questo non è
patognomonico e si verifica anche in capelli normali.
Non sono necessarie terapie, e i capelli si normalizzano con l’età. Durante l’infanzia è consigliabile una
Anomalie dei capelli in pediatria
manipolazione delicata che può diminuire notevolmente la caduta dei capelli.
Telogen effluvium
Lo stress sul follicolo pilifero necessario a innescare
un effluvio telogen è più leggero di quello in corso di
effluvio in anagen e, invece di portare danni alla matrice, porta ad una brusca trasformazione di capelli
anagen a capelli in telogen.
La diagnosi di telogen effluvium viene fatta quando il
test della trazione (pull test) risulta positivo in più aree
del cuoio capelluto e quando si conferma al microscopio che si tratta di capelli in fase telogen. Normalmente cadono ogni giorno circa 50-100 capelli in telogen,
numero che dipende dal fatto che il 10-15 % dei capelli
totali è in telogen. Nel telogen effluvium, cadono circa
100-300 capelli al giorno ed il 20-50% dei capelli totali
sono in telogen. Il disturbo è meno comune nei bambini che negli adulti, e nei bambini è più probabile che
sia correlato a una malattia improvvisa e transitoria,
piuttosto che a farmaci o a fluttuazioni ormonali (causa
invece più comune nell’adulto) (Rebora et al., 2005).
Ogni farmaco, potenzialmente, può innescare un effluvio telogen, come qualsiasi farmaco può causare una
reazione allergica cutanea. Tra i fattori scatenanti il telogen effluvium ci sono le malattie febbrili, i traumi, le
malattie sistemiche, gli interventi chirurgici, le malattie
endocrine, i disturbi alimentari, la fame, il malassorbimento, le emorragie, l’anemia, il grave stress emotivo e
le vaccinazioni. Il ruolo dei bassi livelli di ferritina sierica
non è invece stato completamente chiarito. Recentemente, sono stati segnalati due casi di telogen effluvium in bambini dopo vaccinazione HPV. I due bambini
hanno iniziato a perdere i capelli dopo la seconda dose
di vaccino HPV, con un peggioramento dopo la terza
dose e una risoluzione spontanea nel giro di pochi
mesi (Tuccori et al., 2012). Il telogen effluvium si risolve
in 3-6 mesi, e in 6 mesi circa c’è la restitutio alla densità
normale. Se la caduta si protrae oltre i 6 mesi, il fenomeno viene definito telogen effluvium cronico (descritto soprattutto nelle donne adulte). Un telogen effluvium
cronico si può osservare nei bambini con malnutrizione (con capelli radi, facilmente staccabili) e nei bambini
con deficit di zinco (sia genetico che acquisito), così
come nel deficit di acidi grassi essenziali (in genere
nei bambini con prolungata alimentazione parenterale
non perfettamente supplementata). Il telogen effluvium
cronico può verificarsi anche in caso di disturbi della
tiroide, malattie del pancreas e in corso di malassorbimento da altre cause.
del capo sul cuscino e che fosse quindi una alopecia
da frizione. Ma l’alopecia occipitale del lattante può
essere osservata anche in assenza di strofinamento
sul cuscino ed è provocata dal fatto che i capelli in
sede occipitale non cadono in utero, come quelli delle
altre sedi, ma nel periodo tra le 8 e le 12 settimane di
vita (Cutrone e Grimalt, 2005 e 2006).
Tricotillomania
La tricotillomania è definita dal DSM-IV come “caduta
di capelli per trazione autoprocurata dal paziente”. La
presentazione comune della tricotillomania è un insolito pattern di caduta dei capelli, caratterizzato da capelli
molto corti, spezzati, e con lunghezza irregolare in una
zona di cuoio capelluto per il resto normale. Il cuoio
capelluto e le sopracciglia sono i siti più comuni, ma
può essere coinvolto ogni sito con peli. Normalmente si
tratta di un fenomeno transitorio, senza esiti definitivi,
ma forme particolarmente gravi con autotrazione molto
insistita possono portare a esiti cicatriziali permanenti.
Si possono distinguere gruppi di pazienti: bambini in
età prescolare, preadolescenti e giovani adulti, e adulti. Nel gruppo dell’età prescolare, la tricotillomania può
essere considerata un’abitudine, come il mangiarsi le
unghie o succhiare il pollice, e il decorso è generalmente benigno. Diversi articoli correlano comunque
l’insorgenza di questa patologia nei bambini piccoli con
l’esposizione a situazioni stressanti. L’età più comune
di presentazione per la tricotillomania è quella tra la
Alopecia traumatica
Alopecia neonatale transitoria
(Transient neonatal hair loss)
Tra le forme “minori”, si pensava che l’alopecia occipitale del lattante fosse provocata dallo strofinamento
Figura 3. La tricotillomania è generalmente un fenomeno
lieve e transitorio. Ma in alcuni casi, come quello nell’immagine, il disturbo è così severo da richiedere una consulenza di tipo neuropsichiatrico e un tentativo con terapia
per via sistemica.
105
M. Cutrone, R. Grimalt
preadolescenza e la giovinezza, con età media tra i 9 e
i 13 anni di età e predominanza femminile (Fig. 3). I pazienti di questo gruppo tendono ad avere più facilmente un decorso cronico-recidivante, con negazione del
proprio ruolo attivo (come nelle dermatiti artefatte). I
genitori e il paziente sono spesso riluttanti ad accettare
la diagnosi. L’intervento psicologico può aiutare a identificare il problema di fondo e a modificare il comportamento risolvendo il quadro. La consulenza psichiatrica
è invece obbligatoria nei casi gravi e recidivanti. Recentemente sono state proposte delle terapie farmacologiche (non con farmaci psicotropi). È stata infatti
segnalata una discreta efficacia della N-acetilcisteina,
in assenza di effetti collaterali, e sono in corso studi per
dimostrare l’efficacia dell’inositolo (Grant et al., 2009;
Taylor e Bhagwandas, 2014).
Tricotemnomania
Tricotemnomania (da temnein greco = tagliare) è la
perdita di capelli dovuta a taglio o rasatura ripetuta da
parte degli stessi pazienti nel contesto di disturbo ossessivo-compulsivo. Il taglio viene messo in atto per
alleviare lo stress, e i pazienti sono restii ad ammettere la realtà. I capelli sono di solito tagliati con le forbici
oppure rasati, e per la diagnosi è decisiva la presenza di osti follicolari con normale fusto del capello nel
contesto di un cuoio capelluto normale. La tricoteiromania è una variante dovuta al continuo sfregamento
del cuoio capelluto con conseguente frattura del fusto.
In questo caso si osservano aree glabre con capelli di
lunghezza differente, simili a capelli tagliati con le forbici. Sono presenti caratteristiche punte bianche sulla
parte distale dei capelli. Un altro tipo di perdita dei
capelli con comorbidità psichiatrica associata è la tricodaganomania (abitudine compulsiva di masticare e
mordere i propri capelli), con la variante (descritta negli adulti) denominata tricorizofagia, in cui il paziente
mangia esclusivamente la radice dei capelli.
Alopecia da trazione
Più comune nelle femmine, è dovuta alla tensione costante esercita sui capelli da acconciature come code
di cavallo strette, trecce, dreadlocks1. Si osservano
capelli corti e spezzati, follicolite e papule follicolari.
L’alopecia è inizialmente reversibile se si cambia il
tipo di pettinatura, ma in caso contrario, può dare un
danno cicatriziale permanente.
L’alopecia androgenetica
in bambini e adolescenti
L’alopecia androgenetica (AGA) è la causa più comune di caduta di capelli negli adulti. Anche se ci sono
1
differenze nell’età di esordio, in entrambi i sessi la
malattia inizia dopo la pubertà, quando c’è sufficiente quantità di testosterone per la trasformazione in
diidrotestosterone. Non si dovrebbero quindi teoricamente osservare pazienti con AGA in età prepuberale
se non in caso di anomalia del livello degli androgeni,
e per questo motivo è sempre indicata in questi casi
una valutazione endocrinologica. Il verificarsi di AGA
in bambini prepuberi sani è stato in realtà (anche se
raramente) descritto in letteratura, e probabilmente
non è eccezionale. Tosti et al. hanno ad esempio segnalato 20 bambini tra 6-10 anni con AGA con pattern
di caduta tipico (Tosti et al., 2005). Negli adolescenti
l’AGA non è invece rara. Ci sono due studi che hanno
documentato la prevalenza e la giovane età di insorgenza dell’AGA. Nel primo studio su 496 adolescenti
selezionati casualmente, il 15% ha mostrato i primi
segni di AGA. Nel secondo studio, su 448 adolescenti, l’esordio della malattia era tra i 7 ed i 17 anni, con
un’età media di insorgenza di 14,8 anni nei maschi e
13,8 anni nelle femmine. Un’attenta valutazione clinica è comunque importante per confermare l’assenza
di eccesso di androgeni, e, a discrezione del clinico,
possono essere necessari esami di laboratorio per un
inquadramento più preciso. La soluzione topica di minoxidil sembra essere un trattamento efficace e ben
tollerato negli adolescenti con AGA. L’assorbimento
percutaneo del farmaco è minimo e simile a quello
osservato negli adulti. La finasteride per via sistemica
non è stata studiata nei pazienti con meno di 18 anni,
e non sono quindi disponibili dati di sicurezza ed efficacia nell’adolescente e nel bambino. L’uso topico
della finasteride è invece ancora in via di valutazione per quanto riguarda sia l’assorbimento sistemico
sia la reale efficacia (Caserini et al., 2014). Nel corso
degli ultimi mesi è stata proposto anche l’utilizzo del
Platelet Rich Plasma (PRP), proposto per le forme
medio lievi di AA (Trink et al., 2013) ma per il quale
mancano ancora dei dati che confermino la reale efficacia (d’Ovidio e Roberto, 2014).
Alopecia congenita localizzata
L’alopecia congenita triangolare (CTA= Congenital
Triangular Alopecia o TTA=Temporal Triangular Alopecia), nota anche come alopecia triangolare temporale, è una chiazza di alopecia non cicatriziale e non
infiammatoria unilaterale o, meno frequentemente, bilaterale nella regione fronto-temporale (Fig. 4). Anche
se la CTA è una caratteristica congenita, di solito è
notata dalla famiglia quando il bambino ha più di 2
anni. Ne sono stati segnalati in letteratura meno di
100 casi, probabilmente perché la lesione è benigna
e non progressiva. La frequenza stimata è dello 0,11%
(García-Hernández et al., 1995). La maggior parte dei
I dreadlocks o dreads (Jata in Hindi, anche chiamati, erroneamente, rasta) sono delle trecce particolari formate aggrovigliando i capelli
su se stessi.
106
Anomalie dei capelli in pediatria
Aplasia cutis congenita, miopia grave, e
alterazione funzionale di coni e bastoncelli
Come novità relativa alla aplasia cutis congenita, è
stato descritto un nuovo disordine autosomico recessivo unico, caratterizzato da aplasia congenita della
cute sulla linea mediana del vertice, miopia grave e
alterazione funzionale di coni e bastoncelli (GershoniBaruch e Leibo,1996).
Nevo sebaceo
Figura 4. Nell’alopecia triangolare congenita il triangolo
glabro mostra la base in basso, delimitata da un bordo di
capelli.
casi sono sporadici, ma occasionalmente sono possibili casi familiari. La perdita di capelli è descritta come
“triangolare” a base frontale con una “linea” di capelli
alla base come caratteristica tipica di questa malattia. La CTA di solito si verifica come anomalia isolata,
ma è stata descritta anche come associata a diverse
malattie congenite (facomatosi pigmento-vascolare,
sindrome di Down, malformazione di Dandy-Walker,
ritardo mentale e convulsioni, cardiopatie congenite,
anomalie dell’osso e dei denti, lentigginosi multipla e
macchie café-au-lait).
Aplasia cutis congenita (e sindrome
di Adams-Oliver e altre associazioni)
L’aplasia cutis congenita è la manifestazione di un
gruppo eterogeneo di malattie caratterizzate dall’assenza di una porzione di pelle in una zona localizzata
o diffusa alla nascita. Si manifesta più comunemente
come un difetto isolato sul cuoio capelluto, ma a volte
può verificarsi sotto forma di lesioni multiple. Nell’aplasia cutis possono essere assenti anche ossa e
dura madre, ma nella maggioranza dei casi il danno
è limitato al derma e dell’epidermide; le dimensioni
variano tipicamente da 0,5 a 3 centimetri. L’ecografia
e la risonanza magnetica sono comunque utili strumenti diagnostici per determinare l’estensione della
lesione. La sindrome di Adams-Oliver è l’associazione dell’aplasia cutis con anomalie digitali terminali
ossia accorciamento delle dita delle mani e dei piedi,
assenza di falange o più raramente assenza dell’intero arto. Una revisione della letteratura ha rivelato un
tasso del 13,4% per le malformazioni cardiache congenite nei soggetti con questa sindrome, suggerendo
che le anomalie cardiache possono essere una manifestazione frequente. Di conseguenza, tutti i pazienti
con sindrome di Adams-Oliver dovrebbero essere valutati per anomalie cardiache.
Il Nevo sebaceo di Jadassohn è un amartoma benigno, presente alla nascita. Sembra a volte lievemente
regredire nell’infanzia, e riaumentare durante la pubertà, suggerendo un possibile controllo ormonale.
Alla nascita è una lesione glabra di colore giallastro
rosato, lineare, circolare o irregolare. Alla pubertà la
lesione diventa verrucosa e nodulare. Può raramente
sviluppare tumori in età adulta, in particolare siringocistoadenoma papillifero e tumori benigni del follicolo
pilifero (il carcinoma a cellule basali è stato osservato
in circa il 5% dei casi).
Anomalie del fusto del capello
Le malformazioni del fusto sono molto probabilmente
legate a difetti di un singolo gene. La maggior parte
di queste sono congenite ed ereditarie, mentre altre
sono acquisite. Possono essere localizzate o generalizzate e il difetto può essere semplicemente un problema locale o può invece essere un segno diagnostico importante per la diagnosi di una genodermatosi.
I pazienti presentano un’anomalia della struttura dei
capelli, dell’aspetto, della pettinabilità e della capacità
di far crescere i capelli lunghi. Una caratteristica fondamentale della valutazione clinica è di determinare
se vi è fragilità dei capelli con la rottura alla trazione.
Anomalie del fusto del capello
con sua maggiore fragilità e rottura
Monilethrix
Il monilethrix è un raro disturbo del fusto del capello, dovuto a una mutazione della cheratina corticale
a tipo hHb6 e hHb1II. Quando è ereditato come carattere dominante, il monilethrix è di solito a causa
di mutazioni in geni che codificano cheratina, tra cui
KRT81, KRT83, e KRT86. Quando è ereditato come
un carattere recessivo, esso è causato da mutazioni
in DSG4, che codifica per la desmogleina 4. Questo
quadro fa somigliare il capello a un filo di perle (da cui
il nome). Al dermatoscopio, si osserva una alternanza
di segmenti più larghi e più stretti lungo il fusto del
capello disposti come una clessidra dopo un’altra. I
capelli si rompono spontaneamente o come risultato
di attrito. La sede interessata è normalmente il cuoio
capelluto, in particolare nella regione occipitale, ma
possono essere coinvolti anche i peli corporei. I ca107
M. Cutrone, R. Grimalt
pelli sono corti ed è osservabile una ipercheratosi follicolare anche su schiena e spalle. C’è uno spettro di
manifestazioni cliniche molto ampio, da capelli quasi
normali, a capelli che sono in grado di crescere solo
pochi millimetri. Alla nascita i capelli sono normali, ma
dopo la prima muta assumono il caratteristico aspetto, diventano fragili e si rompono facilmente. L’età di
esordio è variabile e può essere ritardata fino all’adolescenza. Non esiste un trattamento efficace per il
monilethrix. I retinoidi, l’acido glicolico e il minoxidil
possono essere utili in alcuni casi, ma si assiste a
un miglioramento spontaneo nel tempo. Nell’attesa è
utile proteggere questi capelli così fragili da eccessivi
traumatismi.
Pseudomonilethrix
Questo quadro è ereditario, anche come tratto autosomico dominante. Si tratta di una particolare fragilità
dei capelli alle normali operazioni di spazzolatura e
pettinatura. Questo porta a diffusa o localizzata ipotricosi con immagini di falsi nodi al fusto del capello. Non è accompagnato da ipercheratosi follicolare,
colpisce diversi membri della stessa famiglia ed è un
difetto molto raro, da non confondere con pseudomonilethrix iatrogeno o acquisito (dovuto ad artefatto al
momento del prelievo).
Pili torti
I pili torti sono capelli con un aspetto “attorcigliato”, che
mostrano angolazioni regolari sul proprio asse longitudinale. I capelli non riescono a crescere molto, si
rompono facilmente, e si osservano aree di rottura in
regione occipitale e temporale (dovute all’attrito). Caratteristica di questo quadro è la lucentezza dei capelli che cambia a seconda dell’incidenza della luce. Si
tratta di un difetto familiare ad ereditarietà dominante,
isolato o associato ad altre condizioni (sindromi di
Beare, Bazex, Crandall e Bjørnstad). Forme atipiche
di pili torti sono stati trovati nella sindrome di Menkes (capelli “crespi”, kinky hairs) e angolazioni isolate sono descritte in altre displasie dei capelli. Poichè
sono possibili associazioni ad altri difetti congeniti, è
sempre necessaria una attenta valutazione per possibili disturbi neurologici e ectodermici.
Capelli a “Cavatappi” (Corkscrew hair)
Questa forma atipica acquisita di pili torti è clinicamente caratterizzata da capelli spessi e scuri avvolti
in una doppia spirale. Può essere associata alla forma comune di pili torti e con la displasia ectodermica.
Sindrome di Menkes (Kinky hairs)
La sindrome di Menkes è un disturbo letale, multisistemico dovuto ad anomalie del trasporto del rame
che si presenta con pili torti. La sindrome è caratterizzata da alterazioni neurologiche, ipotermia, ritardo
psicomotorio, quadriplegia, sordità, ernia, nanismo.
Questi bambini hanno caratteristiche molto partico108
lari del viso (profilo partdridge) e i loro capelli sono
sottili, sparsi e fragili. La morte sopraggiunge di solito
in tenera età a causa delle alterazioni neurologiche. I
capelli “kinky” sono polidisplastici con immagini di pili
torti, monilethrix e /o tricoressi nodosa.
Tricorressi invaginata (sindrome di Netherton)
Come nel monilethrix, l’anomalia primaria comporta
un difetto di cheratinizzazione del fusto del capello,
con l’invaginazione della porzione distale del capello (più dura) nel segmento prossimale (più morbido)
che causa il tipico aspetto a bambù al microscopio
ottico. La tricorressi invaginata di solito si associa alla
sindrome di Netherton, una malattia ereditaria autosomica recessiva causata da mutazioni del gene
SPINK5, che consiste nella triade: ittiosi, diatesi “atopica” e tricoressi invaginata. Un sospetto di sindrome
di Netherton dovrebbe sempre essere posto in caso
di eritrodermia neonatale con capelli radi. Non esiste
un trattamento specifico per la tricoressi invaginata.
Sono stati proposti i retinoidi e la fotochemioterapia,
ma la malattia migliora spontaneamente con l’età.
Tricotiodistrofia
Tricotiodistrofia (TTD) è una condizione caraterizzata
da capelli con deficit di cistina. Questi capelli fragili
sono un importante marker clinico di questa rara malattia ereditaria che si può presentare con una grande varietà di fenotipi: dalla presenza di solo capelli
fragili ad una grave compromissione dello sviluppo
psichico. Possono essere presenti: facies caratteristica, ritardo della crescita, malformazioni urologiche,
onicodistrofia, ittiosi e fotosensibilità. Il gruppo delle
Sindromi TTD include la BIDS (Brittle hair, Intellectual
impairment, Decreased fertility, Short stature), IBIDS
(ichthyosis and BIDS), la PIBIDS (Photosensitivity
and IBIDS). I capelli hanno un contenuto in zolfo molto basso e alla luce polarizzata evidenziano il tipico
pattern a “coda di tigre”. Talvolta sono presenti tipiche
fratture (tricochoschisi).
Triconodosi
La triconodosi è la presenza di nodi sul fusto del capello. Anche se può sembrare rara, in realtà è una
condizione frequente ma difficile da rilevare. Può essere sospettata quando si osserva che un capello forma improvvisamente un angolo (un cambiamento di
direzione). È più comune nei soggetti con capelli ricci
ed è stata associata a un trauma localizzato, grattamento o tic. Può apparire ai peli ascellari e pubici (in
questo caso associata alla pediculosi).
Tricorressi nodosa
La tricorressi nodosa è il più comune difetto del fusto
che porta alla rottura dei capelli. È un difetto congenito o acquisito, e i capelli coinvolti sviluppano una
anomalia nella cuticola con conseguente danno corticale, frattura e aspetto di tumefazione nodale. I nodi
Anomalie dei capelli in pediatria
possono essere situati in posizione prossimale o distale nel fusto. Nodi distali generalmente indicano un
hair weathering 2. Nodi prossimali indicano invece
un aumento di fragilità e una maggiore suscettibilità
agli agenti atmosferici, suggestivi di una anomalia
del fusto del pelo sottostante. Sebbene la tricoressi
nodosa congenita possa essere isolata o associata
con anomalie dentarie o delle unghie, la sua presenza in un neonato o bambino deve far pensare a un
possibile problema metabolico sottostante.(aciduria
argininosuccinica, citrullinemia, malattia di Menkes).
Nodi acquisiti che assomigliano a quelli tipici della tricoressi nodosa possono essere osservati in caso di
grave wheathering2. Per le ragazze affette da questo
quadro è opportuno consigliare di evitare procedure
aggressive dal parrucchiere, mentre per tutti è utile
la protezione dall’eccessiva esposizione alla luce solare.
Bubble Hair
Questa condizione è un’anomalia acquisita del fusto del capello dovuta alla presenza di bolle d’aria
all’interno del fusto. Questo fenomeno sembra legato
all’insulto termico provocato da phon o arricciacapelli,
e si presenta normalmente con aree di diradamento.
Anomalie del fusto senza maggiore fragilità
del capello
Pili annulati (capelli inanellati)
Il fenomeno dei pili annulati, come il bubble hair,
coinvolge il midollo del capello. Vi sono dilatazioni distrettuali del midollo, che si evidenziano clinicamente
sotto forma di “anelli” e di bande chiare e scure. Non
c’è fragilità, e i capelli crescono normalmente. Il quadro è ereditato in modo autosomico dominante e può
anche apparire sporadicamente. Costituisce esclusivamente un difetto estetico.
Sindrome dei capelli lanosi (Woolly hair syndrome)
La sindrome dei capelli lanosi, più caratteristica dei
caucasici, è caratterizzata da capelli più sottili rispetto al normale, ricci e piatti. Può essere localizzata o
diffusa, congenita o acquisita. La forma diffusa congenita può essere ereditata come carattere autosomico dominante o, meno frequentemente, autosomico recessivo (probabilmente in correlazione con la
mutazione del gene LIPH). I capelli lanosi possono
talvolta associarsi a sindromi genetiche (con difetti oculari, sordità, cheratosi pilare atrofica, ipoplasia
dello smalto e con la sindrome di Noonan). Un nevo
congenito localizzato e costituito da capelli lanosi si
verifica sporadicamente. È caratterizzato da una piccola zona di capelli anomali, in un capillizio altrimenti
2
normale. Nella metà dei casi segnalati, il nevo a peli
lanosi è associato a nevi lineari e, pur essendo generalmente un reperto isolato, può associarsi a difetti
neurologici, anomalie oculari e ossee e ad altri difetti
mesodermici. La comparsa di capelli lanosi acquisita e progressiva può preannunciare l’insorgenza di
alopecia androgenetica o essere osservata come un
effetto collaterale del trattamento farmacologico con
etretinato. Non esiste un trattamento specifico, ma è
frequente un miglioramento spontaneo della forma
congenita con l’avanzare dell’età.
“Kinking” (= tortuosità) acquisito
e progressivo dei capelli
Il kinking acquisito e progressivo dei capelli colpisce
soprattutto i giovani maschi vicino alla pubertà, con
capelli che diventano gradualmente crespi, principalmente nella zona occipitale. Non sembra essere
correlato a cause esterne ed evolve gradualmente in
alopecia androgenetica. Una forma localizzata nelle
regioni temporali è conosciuta come allotrichia simmetrica circoscritta. La forma acquisita può essere
indotta da farmaci (retinoidi).
Capelli impettinabili (Pili canaliculi)
La sindrome dei capelli impettinabili è caratterizzata
da capelli “ribelli”, difficili da pettinare e che tendono
a rimanere ritti sul cuoio capelluto. Colpisce individui
giovani, con molti capelli, i quali sono disposti in fasci
che puntano in direzioni diverse (Fig. 5). Normalmen-
Figura 5. Nella sindrome dei capelli impettinabili è la forma reniforme della sezione del fusto che rende i capelli
poco docili al pettine e alla spazzola.
Weathering in inglese, degradazione meteorica o meteorizzazione in italiano) è il processo di disintegrazione e alterazione delle rocce
della superficie terrestre, attraverso il contatto diretto o indiretto con l’atmosfera. Per estensione, il termine wheathering si riferisce al
danno strutturale del fusto del capello causato da forze esterne quali shampoo, acconciature, radiazioni UV, doccia.
109
M. Cutrone, R. Grimalt
te di tratta di una condizione familiare dominante che
può essere sporadica. Sono stati descritti, raramente,
anche casi con interessamento localizzato. A questo
aspetto clinico corrisponde una caratteristica displasia del fusto: i capelli presentano una scanalatura
longitudinale lungo uno o due lati e, in sezione, un
aspetto a forma di rene che è diagnostico. Vi è una
tendenza spontanea a migliorare nel tempo. L’uso di
uno shampoo con zinco piritione e di balsamo può
aiutare nella gestione della pettinatura.
Alopecia cicatriziale
Può essere focale o diffusa. Nel bambino, sono quattro le principali cause di alopecia cicatriziale focale:
trauma (compresa la pressione prolungata), aplasia
cutis congenita, nevo o neoplasia sottostante o una
sindrome malformativa. Le cause di alopecia cicatriziale più comuni nell’adulto (lupus eritematoso, lichen
planopilare, follicolite decalvante follicolite e pseudoarea di Brocq) sono eccezionali nel bambino. Tuttavia,
il gruppo di malattie caratterizzate da cheratosi pilare
e alopecia cicatriziale (cheratosi atrofica pilaris), inizia a manifestarsi nell’infanzia. In particolare, la che-
ratosi follicolare spinulosa decalvante inizia con cheratosi pilare nell’infanzia ed è poi accompagnata da
fotofobia, alterazioni corneali e progressiva alopecia
del cuoio capelluto, delle ciglia e delle sopracciglia.
Conclusioni
Come illustrato, le anomalie dei capelli in età pediatrica
sono numerose e di gravità molto variabile. Sono infatti
possibili condizioni parafisiologiche o comunque isolate, ma anche anomalie associate a gravi sindromi malformative. Anche nel caso di condizioni caratterizzate
da interessamento isolato del capello, l’impatto psicologico conseguente al danno estetico può essere molto
importante per il paziente e per la sua famiglia (Harrison
e Sinclair, 2003). È quindi opportuno che ogni pediatra
abbia le cognizioni di base per potersi orientare tra le
principali anomalie dei capelli, individuandone almeno
grossolanamente il tipo e sapendo quando tranquillizzare le famiglie e quando invece inviare allo specialista.
In questa review abbiamo presentato i principali quadri di anomalie del cuoio capelluto, tralasciando alcuni
quadri ereditari eccezionali per i quali rimandiamo ai
testi specialistici di tricologia pediatrica e di genetica.
Box di orientamento
• Che cosa sapevamo prima
Pensavamo che l’alopecia occipitale del lattante fosse provocata dallo strofinamento del capo sul cuscino
e che fosse quindi una alopecia da frizione.
Credevamo che l’alopecia androgenetica fosse solo appannaggio dell’adulto e non dell’età pediatrica.
Pensavamo che l’alopecia areata potesse essere curata solo con i corticosteroidi topici.
Pensavamo che la tricotillomania potesse essere affrontata solo con l’intervento psicologico o psichiatrico.
• Che cosa sappiamo adesso
Che l’alopecia occipitale del lattante (alopecia neonatale transitoria) non è provocata dallo strofinamento
sul cuscino, ma dal fatto che i capelli in sede occipitale non cadono in utero, ma nel periodo tra le 8 e le
12 settimane di vita.
Che l’alopecia androgenetica è presente anche se raramente in età pediatrica e che è comunque comune nell’adolescenza.
Che l’AA può essere curata anche con i corticosteroidi topici, ma esistono varie altre opzioni (da modulare
in base alla severità del quadro).
Che è possibile un trattamento con N-acetilcisteina (e forse con inositolo) per la tricotillomania.
• Per la pratica clinica
Consideriamo attentamente le richieste di valutazione che ci vengono fatte dalle famiglie riguardo alle
anomalie dei capelli: il fatto che siano principalmente un problema estetico non significa che non abbiano
un impatto importante (a volte devastante) sulla vita del bambino e della sua famiglia.
Ricordiamo la possibilità di approfondimento diagnostico (il prelievo di capelli per l’osservazione al microscopio è una procedura poco invasiva e spesso molto utile). Abituiamoci a utilizzare il dermatoscopio
per una migliore visualizzazione del quadro clinico.
Non prescriviamo terapie se non abbiamo formulato una diagnosi precisa.
In caso di dubbio rivolgiamoci al dermatologo specialista per un primo inquadramento.
110
Anomalie dei capelli in pediatria
Bibliografia
Caserini M, Radicioni M, Leuratti C, et al.
A novel finasteride 0.25% topical solution
for androgenetic alopecia: pharmacokinetics and effects on plasma androgen levels
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Craiglow BG, King BA. Killing two
birds with one stone: oral tofacitinib reverses alopecia universalis in a patient
with plaque psoriasis. J Invest Dermatol
2014;134:2988-90.
Interessante caso clinico che specula sulla genesi simile di alopecia areata e psoriasi.
*
Cutrone M, Grimalt R. Where has
all that hair gone? Clin Exp Dermatol
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Cutrone M, Grimalt R. Transient neonatal
hair loss. Europ J Pediatr 2005;164:630-2.
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Un articolo ormai classico che fa il
punto sull’alopecia transitoria neonatale.
Gershoni-Baruch R, Leibo R. Aplasia
cutis congenita, high myopia, and conerod dysfunction in two sibs: a new autosomal recessive disorder. Am J Med Genet
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Grant JE, Odlaug BL, Kim SW. N-acetylcysteine, a glutamate modulator, in the
treatment of trichotillomania: a doubleblind, placebo-controlled study. Arch Gen
Psychiatry 2009;66:756-63.
Si suggerisce che la somministrazione
di N-acetilcisteina possa fare innalzare il
livello di glutammato extracellulare a livello
cerebrale e, di conseguenza, ridurre i comportamenti ossessivo-compulsivi.
*
Guarrera M, Rebora A. Kenogen in female androgenetic alopecia. A longitudinal
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**
Un articolo che smentisce l’assenza di
questa patologia in età pediatrica.
Trink A, Sorbellini E, Bezzola P, et al.
A randomized, double-blind, placeboand active- controlled, half-head study
to evaluate the effects of platelet-rich
plasma on alopecia areata. Br J Dermatol
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Tuccori M, Pisani C, Bachini L, et al.
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and is reversed by JAK inhibition. Nature
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**
Un articolo interessante che discute
le nuove possibilità curative dell’alopecia
areata con gli JAK inibitori e il ruolo della
IL-15 in questa malattia.
Corrispondenza
Mario Cutrone
Ospedale dell’Angelo, Mestre (VE) - E-mail: [email protected]
Ramon Grimalt
Universitat Internacional de Catalunya, Barcelona, Spain - E-mail: [email protected]
111
Prospettive in Pediatria
Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 113
Obesità infantile
La sezione di obesità pediatrica contiene tre articoli di aggiornamento, uno di carattere più generale che
esplora le recenti novità in questo ambito, seguito da due articoli focalizzati sull’approfondimento di tematiche
relative, da una parte, all’eziologia genetica, e dall’altra, alle complicanze che si configurano essenzialmente
nella sindrome metabolica.
Il primo articolo propone una revisione di letteratura dei rilevanti contributi scientifici nel campo dell’obesità
pediatrica aggiornata agli ultimi anni (2013-2015) e derivati prevalentemente dagli studi in consorzio in particolare l’IDEFICS (Identification and prevention of Dietary and lifestyle-induced health Effects in Children and
infantS). Gli autori descrivono l’attuale impatto epidemiologico dell’obesità in età evolutiva e, nel delineare
un fenotipo obeso, vengono studiate e approfondite le novità circa i fattori di rischio e il ruolo del microbiota.
Attualmente l’approccio clinico al trattamento dell’obesità in età pediatrica prevede principalmente il ricorso a
programmi dietetici, ispirandosi alla dieta mediterranea e di esercizio fisico, volti a promuovere un sano stile di
vita. Tuttavia, da una revisione ragionata degli aggiornamenti di Linee guida, Consensus e Statement, è emersa altresì la possibilità, per casi selezionati, di intervenire ricorrendo a strumenti farmacologici e all’opzione
chirurgica.
Il secondo articolo offre un inquadramento nell’ambito delle obesità cosiddette “genetiche”, modello di trasmissione di tipo mendeliano, raro ma causa di quadri generalmente gravi. Tra i difetti monogenici si riconoscono,
da un lato disordini non associati a malformazioni, dall’altro forme dovute a mutazioni geniche nelle quali l’obesità rappresenta un’espressione clinica di un fenotipo più complesso. Tra le obesità non sindromiche si descrivono mutazioni a carico di geni coinvolti nel signalling di regolazione dell’appetito e della sazietà, in particolare
nella via ipotalamica “leptina-melanocortina” o a valle di questa. Tra le obesità sindromiche, invece, si annoverano sia le ciliopatie, come la sindrome di Bardet-Biedl e la sindrome di Alström, sia le obesità caratterizzate
da difetto di imprinting come la sindrome di Prader-Willi. L’articolo propone inoltre un algoritmo diagnostico con
l’obiettivo di fornire ai Pediatri del territorio gli strumenti indispensabili per riconoscere ed inquadrare le obesità
monogeniche. Oltre alla genetica gli autori sottolineano, come emerso dalle più recenti evidenze, l’importante
ruolo dei processi di epigenetica, intesi come alterazioni di regolazione dell’espressione genica, nel predisporre all’obesità mediante l’interazione con l’ambiente.
Il terzo articolo costituisce un approfondimento sulla sindrome metabolica, entità nosologica tuttora discussa.
Se la diagnosi in età adulta riconosce un inquadramento clinico, difficile risulta invece la sua identificazione in
età pediatrica. A oggi, infatti, non sono disponibili criteri condivisi di definizione, se non quelli propri degli adulti,
ma adattati ai bambini e agli adolescenti. Controversa rimane la questione sull’effettiva utilità di configurare
come unica entità più fattori di rischio, poiché permane il dubbio se la loro combinazione possa essere maggiore garanzia di specificità o sensibilità nella definizione del rischio cardiovascolare. Nel tentativo di risolvere
il dilemma, trova spazio questa sezione con una revisione delle ultime evidenze scientifiche.
Gianni Bona
Clinica Pediatrica, Dipartimento di Scienze della Salute,
Università del Piemonte Orientale, Novara
I.C.O.S. (Interdisciplinary Center for Obesity Study), Novara
113
Prospettive in Pediatria
Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 115-122
Obesità infantile
Gianni Bona1 2
Flavia Prodam 1 2 3
Roberta Ricotti1 2
Obesità in età evolutiva:
news and update
dal 2013 al 2015
1
Clinica Pediatrica, Dipartimento
di Scienze della Salute, Università
del Piemonte Orientale, Novara
2
I.C.O.S. (Interdisciplinary Center
for Obesity Study), Novara
3
Endocrinologia, Dipartimento di
Medicina Clinica e Traslazionale,
Università del Piemonte
Orientale, Novara
Si propone una revisione di letteratura aggiornata (2013-2015) nel campo dell’obesità in
età evolutiva, affrontando le seguenti tematiche: impatto epidemiologico, novità circa i fattori di rischio ed il ruolo del microbiota, linee guida, interventi di modificazione dello stile di
vita, strategie farmacologiche e chirurgiche.
Riassunto
Authors offer a review of the updated literature (2013-2015) in the field of pediatric obesity,
by evaluating the following topics: epidemiological impact, news on the risk factors and
the role of the microbiota, guidelines, interventions on modification of lifestyle, pharmacological and surgical strategies.
Summary
Metodologia
della ricerca bibliografica
La ricerca degli articoli rilevanti per preparare la seguente Review è stata effettuata mediante ricerca
bibliografica su Medline utilizzando come motore
di ricerca PubMed e come parole chiave “obesity”,
“children”, “adolescents”, “epidemiology”, “risk factors”,
“microbiota”, “diet”, “physical activity”, “drugs”, “bariatric
surgery”, “ guidelines, consensus, statement”, selezionando le citazioni più rilevanti pubblicate nell’arco
temporale compreso tra il 2013 e il 2015.
Introduzione
Lo scopo di questa Review consiste nell’offrire ai lettori
una overview ragionata nel campo della obesità pediatrica, proponendo aggiornamenti dal 2013 ad oggi.
Prevalenza e trend epidemiologico
Se nel sovrappeso e nell’obesità si riconosce, secondo
la Healthy People 2010, un indicatore di salute della
popolazione, aggiornamenti in termini di prevalenza e
trend epidemiologico si rendono essenziali per quan-
tificare gli effetti sullo stato di salute ed identificare le
priorità di azione in campo sanitario. A renderci conto
delle dimensioni del problema e del conseguente impatto sulla salute pubblica, sono da enumerare i dati
epidemiologici, che a partire dagli anni ’70 ed in particolare nelle ultime due decadi, ne hanno documentato
un incremento “epidemico” anche in età evolutiva, in un
arco temporale di osservazione relativamente breve.
Dal 1980 al 2013, la prevalenza combinata di sovrappeso ed obesità in età pediatrica è aumentata, su
scala mondiale, del 47,1% (Ng et al., 2014). Nei Paesi
sviluppati, è stata descritta, in bambini, adolescenti
e giovani al di sotto dei 20 anni di età, una prevalenza di eccesso ponderale pari al 23,8 ed al 22,6%,
rispettivamente in maschi e femmine, contro il 16,9
ed il 16,2%, percentuali registrate nel 1980. Simili
incrementi sono stati riportati anche nei Paesi in via
di sviluppo, con percentuali di sovrappeso ed obesità, nel 2013, del 12,9 e del 13,4%, rispettivamente in
maschi e femmine, contro l’8,1 e l’8,4% nel 1980. È
stato inoltre confermato un gradiente di distribuzione
socio-economico, osservando una tendenza alla stabilizzazione nei dati di sovrappeso ed obesità nei Paesi sviluppati nell’arco degli ultimi anni, al contrario,
di quanto verificatosi nei Paesi in via di sviluppo (Ng
115
G. Bona et al.
et al., 2014; Wabitsch et al., 2014). Infatti, le più alte
percentuali di sovrappeso ed obesità tra i bambini e gli
adolescenti sono state descritte proprio nelle regioni
del Medio Oriente e del Nord Africa, nonché in alcune
isole del Pacifico e nei Caraibi. In particolare, si stimano tra i 42,5 ed i 52,8 milioni di bambini ed adolescenti in sovrappeso ed obesi in America Latina, ovvero
il 20-25% della popolazione pediatrica totale (Rivera
et al., 2014). Dallo studio IDEFICS (Identification and
prevention of Dietary - and lifestyle-induced health
Effects in Children and infantS) condotto, negli anni
2007-2010, su una delle più ampie casistiche di bambini europei in età pre-scolare, la prevalenza dell’eccesso ponderale è risultata declinare linearmente e
significativamente all’aumentare del livello economico in alcuni Paesi di Europa, quali Belgio, Germania,
Spagna e Cipro (Ahrens et al., 2014). Nel complesso,
è emersa in Europa una prevalenza di sovrappeso ed
obesità rispettivamente del 12,8% e del 7%, riportando anche un gradiente nord-sud con i dati più allarmanti registrati in Spagna (21,2%), a Cipro (23,4%)
ed in Italia (42,4%). Tale riscontro trova ragione anche
in un ulteriore studio IDEFICS condotto in parallelo,
nel corso del quale sono state indagate le abitudini
alimentari ed in particolare l’aderenza alla dieta Mediterranea in bambini europei di età compresa tra i 2
ed i 9 anni (Tognon et al., 2014). Sorprendentemente,
il maggiore consumo di frutta, verdura e cereali è stato osservato in Svezia, seguita da Italia e Germania,
mentre una minore aderenza alla dieta Mediterranea
è stata riportata proprio nelle regioni mediterranee, in
particolare nell’isola di Cipro. Simile distribuzione geografica è stata confermata nel 2010 anche in Italia,
dove la più alta prevalenza di stati di obesità severa
viene riportata nelle regioni del Sud (dal 4,1 al 6,6% a
seconda dei criteri di definizione utilizzati, rispettivamente IOTF [International Obesity Task Force] e WHO
[World Health Organization]) (Lombardo et al., 2014).
Globalmente, la situazione epidemiologica si configura comunque critica su tutto il territorio italiano. Nel
2013, infatti, sono state registrate, in bambini, adolescenti e giovani fino all’età di 19 anni, percentuali di
sovrappeso pari al 29,9 ed al 24,3%, rispettivamente
in maschi e femmine, con una distribuzione di obesità
del 8,4% nei maschi e del 6,2% tra le femmine (Ng
et al., 2014).
Viene così confermato anche dagli ultimi aggiornamenti un dato epidemiologico drammatico in età
evolutiva, che si traduce in un importante impegno
economico. L’obiettivo, dunque, che l’Unione Europea
si propone, attraverso la Childhood Obesity Surveillance Initiative dell’OMS (Organizzazione Mondiale
della Sanità), di fronte alla questione obesità, è in primo luogo una prevenzione primaria, come migliore
approccio, attraverso programmi di sensibilizzazione
e l’organizzazione di campagne educative volte a
promuovere uno stile di vita attivo ed una corretta alimentazione. Con l’Action Plan on Childhood Obesity
116
2014-2020, anche l’Italia partecipa, insieme agli altri Paesi dell’Unione Europea, al fine di contrastare il
trend in crescita di sovrappeso ed obesità in bambini
ed adolescenti entro il 2020 (http://www.euro.who.int/
en/health-topics/noncommunicable-diseases/obesity; http://www.euro.who.int/en/health-topics/diseaseprevention/nutrition/news/news/2014/03/eu-adoptsaction-plan-on-childhood-obesity-2014-2020).
Fattori di rischio
L’obesità riconosce nel 95% dei casi una genesi funzionale, piuttosto che una nota patogenesi organica,
e viene definita “essenziale” in quanto conseguenza
di uno squilibrio in termini energetici tra apporto e
consumo, come primum movens. Lo sviluppo di un
fenotipo obeso si configura dunque come processo
multifattoriale in cui entrano in gioco sia una predisposizione genetica sia fattori ambientali. In particolare,
insieme al contributo di un’origine “poli-geneticamente” determinata, si sono identificate determinanti “modificabili” che intervengono in epoca sia prenatale sia
postnatale.
La disponibilità di alimenti preconfezionati ad alto
contenuto calorico in combinazione con la loro facilità di distribuzione, costituisce un fattore in grado di
influenzare notevolmente l’introito calorico causando
ipernutrizione. Tuttavia, se una correlazione diretta
tra il dilagare del consumo di “fast food” tra bambini
ed adolescenti ed il rischio di eccesso ponderale è
sempre stata sospettata, non sempre unanimi sono i
risultati riportati in letteratura. A sostegno di tale ipotesi si inserisce un recente studio osservazionale ad
estensione internazionale con evidenza di una associazione tra elevati valori di indice di massa corporea
ed abituale consumo di “fast food” in bambini tra i 6 e
7 anni, nonostante non sia stato comprovato un nesso di causalità (Braithwaite et al., 2014). Al contrario,
è stato confermato come il pattern dietetico Mediterraneo, già riconosciuto dall’UNESCO (United Nations
Educational, Scientific and Cultural Organization)
come patrimonio immateriale dell’umanità nel 2010,
sia inversamente associato allo sviluppo di sovrappeso ed obesità, configurandosi come fattore protettivo
in età evolutiva (Tognon et al., 2014).
Tra i fattori geografici potenzialmente implicati nello
sviluppo dell’obesità è stato annoverato il livello di urbanizzazione quale indicatore indiretto di sedentarietà. Infatti, dallo studio IDEFICS condotto nel Sud Italia
su un’ampia casistica di bambini in età pre-scolare e
scolare, è emersa una associazione significativa tra i
livelli di adiposità ed il grado di urbanizzazione, ipotizzando, per i bambini delle aree urbane, una maggiore limitazione nell’esercizio di una libera attività fisica
all’aperto, rispetto a coloro che risiedono in aree rurali,
nonostante l’evidente facilità di accesso a strutture e
servizi sportivi attrezzati (Donatiello et al., 2013). Nei
quartieri più disagiati, invece, là dove le opportunità di
Obesità in età evolutiva: news and update dal 2013 al 2015
attività fisica sono compromesse da stati di degrado
sociale, è dimostrata un’associazione negativa con il
peso corporeo nei soggetti di sesso femminile durante l’epoca di transizione dall’infanzia all’adolescenza
(Hoyt et al., 2014).
Inoltre, se la sedentarietà espressa in ore trascorse davanti al televisore o al computer, spesso accompagnate
dall’abitudine a mangiare, rappresenta ancora un noto e
robusto fattore di rischio per lo sviluppo di obesità in età
pediatrica, altrettanto aggravanti risultano i comportamenti degli stessi genitori; in particolare, il venire meno
del controllo e della supervisione da parte dei genitori
sulle attività sedentarie dei propri figli, è risultato essere
in grado di predire un loro guadagno ponderale durante
l’infanzia (Tiberio et al., 2014). Inoltre l’incremento occupazionale materno che si è verificato negli ultimi anni,
almeno in Europa, è risultato influenzare negativamente lo sviluppo e la crescita dei figli, incentivando stili di
vita scorretti e promuovendo anche gli stati di eccesso
ponderale (Gwozdz et al., 2013).
Anche la qualità nonché la durata del sonno, talora
inficiate dalla sempre maggiore presenza del televisore nelle camere da letto di bambini ed adolescenti,
sembrano influenzare negativamente il peso corporeo. (Appelhans et al., 2014).
L’ipotesi di un ruolo cruciale dei meccanismi neuronali, implicati in particolare nei processi di gratificazione e ricompensa, nella regolazione del comportamento alimentare, trova evidenza in un recente studio; quest’ultimo ha permesso infatti di descrivere, in
seguito alla somministrazione di acqua e saccarosio
in soggetti obesi di età pre-adolescenziale rispetto ai
coetanei normopeso, una maggiore attivazione delle aeree nervose di amigdala ed insula, a sostegno
del fatto che un’aumentata suscettibilità sensoriale in
risposta al cibo possa essere un precoce fattore di rischio per lo sviluppo di obesità (Boutelle et al., 2015).
L’identificazione di potenziali fattori di rischio ha luogo
a partire già dall’epoca gravidica e peri-natale, in cui
si riconoscono come determinanti: la nutrizione ed il
peso materno, il fumo di sigaretta, il consumo di caffeina, il parto per taglio cesareo ed un basso peso
alla nascita (Bammann et al., 2014; Li et al., 2014;
Yang et al., 2013). Inoltre i nati da madri nullipare, pur
presentando tassi di crescita fetale inferiori rispetto
ai figli di madri multipare, riconoscono un aumentato
rischio di sviluppare eccesso ponderale in epoca infantile con un peggiore profilo cardio-metabolico. Non
completamente chiariti i meccanismi sottostanti, tuttavia le madri multipare sembrerebbero offrire, mediante rimodellamento vascolare acquisito nel corso delle
precedenti gravidanze, un più favorevole ambiente
intra-uterino (Gaillard et al., 2014).
Ampiamente riconosciuto il ruolo protettivo dell’allattamento materno (Yan et al., 2014) e, per quanto
riguarda l’allattamento artificiale, delle formule a più
basso contenuto proteico per contrastare lo sviluppo di obesità durante l’infanzia (Weber et al., 2014).
Inoltre, tra i fattori in grado di influenzare in futuro le
scelte alimentari e conseguentemente il peso corporeo, sono state chiamate in causa anche le modalità
di svezzamento nonché la tipologia di alimentazione
oltre il primo anno di vita, concludendo come un elevato introito calorico in proteine, per lo più animali,
si associ ad un precoce guadagno ponderale ed allo
sviluppo di sovrappeso ed obesità nell’età successive
(Betoko et al., 2013; Pearce e Langley-Evans, 2013).
Recentemente l’interesse scientifico si è concentrato
sullo studio dell’esposizione ad agenti chimici ambientali, cosiddetti interferenti endocrini, ovvero sostanze in grado di interferire con il sistema endocrino,
direttamente e non, già in epoca pre-natale. Si tratta
di agenti ubiquitariamente presenti categorizzati in
prodotti farmaceutici, pesticidi, sottoprodotti industriali e fumo di sigaretta, la cui precoce esposizione si
associa ad incremento ponderale nell’età successive
(Khalil et al., 2014). In particolare, tra gli agenti annoverati in qualità di promotori di un fenotipo obeso,
sono stati descritti diclorodifeniltricloroetano (DDT) e
gli idrocarburi policiclici aromatici, prodotti dalla parziale combustione di materiali organici, non necessariamente in combinazione al fumo di sigarette (HyunWoo et al., 2014; Warner et al., 2014).
Si delinea per l’obesità essenziale un’eziopatogenesi,
solo parzialmente chiarita, in cui interagiscono in maniera sinergica molteplici fattori così da determinare
un contesto obesogeno.
Identificazione di nuovi regolatori:
microbiota intestinale ed obesità
Recentemente, è stata avanzata l’ipotesi di un potenziale ruolo da parte del microbiota intestinale nella
patogenesi dell’obesità e della sindrome metabolica
(Kovatcheva-Datchary e Arora, 2013).
In letteratura, si riportano sempre maggiori evidenze
secondo le quali i batteri intestinali ed i loro prodotti
metabolici sembrano in grado di modulare: la secrezione e l’azione di ormoni a produzione intestinale e
non, la sintesi di neurotrasmettitori, enzimi ad azione
digestiva, vitamine e cofattori, il sistema immunitario,
lo stato infiammatorio, il trofismo e la motilità intestinale. In condizioni di eubiosi, il microbiota intestinale
è costituito da ceppi microbici prevalentemente aerobici nel tratto superiore ed in maggioranza con attività
anaerobica nel tratto inferiore; tale equilibrio funzionale è necessario così da garantire il mantenimento
delle corrette funzioni gastrointestinali di digestione
ed assorbimento di nutrienti e minerali, e così da consentire la piena funzionalità del sistema immunitario e
prevenire, infine, il possibile sviluppo di complicanze
metaboliche, quali obesità e diabete mellito di tipo 2.
La variazione della composizione microbica intestinale sembrerebbe inoltre influenzare spesa energetica,
sazietà ed assunzione di cibo, condizionando conseguentemente le modifiche ponderali. Evidenze scien117
G. Bona et al.
tifiche suggeriscono, infatti, un ruolo chiave del microbiota intestinale nell’ambito dell’omeostasi energetica, promuovendo l’estrazione calorica dagli alimenti
ingeriti ed il loro successivo immagazzinamento nei
tessuti adiposi. È stato dunque ipotizzato che il microbiota intestinale di ciascun individuo presenti un’efficienza metabolica specifica e che sue determinate
caratteristiche di composizione possano predisporre
o meno all’insorgenza dell’obesità, probabilmente influenzando la quantità di energia ricavata dalla dieta
(Cox et al., 2014).
Nei pazienti obesi è stata descritta, infatti, una flora
microbica intestinale differente rispetto ai controlli normopeso, identificando una concentrazione maggiore
di Staphylococcus aureus e batteri Gram-negativi, a
discapito soprattutto dei ceppi di Bifidobacterium spp
(Cox et al., 2014). La letteratura scientifica va così delineando un profilo di microbiota intestinale che sembrerebbe mostrare un effetto protettivo nei confronti
dello sviluppo dell’obesità e delle sue complicanze.
La colonizzazione del tratto gastroenterico subisce
notevoli modifiche dall’epoca neonatale a quella adulta nonché l’influenza di diversi fattori, tra cui la flora
microbica materna, l’allattamento al seno o artificiale
e la dieta. Il rischio di eccesso ponderale nei nati da
madri affette da obesità, trova dunque probabilmente
spiegazione proprio nella trasmissione alla prole di un
microbiota intestinale obesogeno (Galley et al., 2014).
A tal proposito, inoltre, è stata riconosciuta tra i fattori
di rischio per l’eccesso ponderale l’esposizione agli
antibiotici, sia in epoca prenatale sia precocemente
durante la prima infanzia, in qualità di modificatori della composizione microbica intestinale (Bailey
et al., 2014; Mueller et al., 2014; Saari et al., 2015).
Sulla base delle precedenti considerazioni, si è di recente affacciata l’ipotesi di manipolazione della composizione del microbiota intestinale con la dieta ed i
farmaci, in particolare prebiotici, probiotici e simbiotici. Studi, sia in modelli animali sia in modelli umani,
hanno infatti riscontrato una correlazione positiva tra
supplementazione con prebiotici, ovvero sostanze
non digeribili di origine alimentare quali l’oligofruttosio
e la crescita di Bifidobacterium spp, descrivendo un
migliore profilo glico-insulinemico con regressione del
tono infiammatorio. Ancora scarsi e talora controversi
risultano invece i dati ottenuti nell’uomo dopo somministrazione di probiotici, ovvero integratori alimentari consumati sotto forma di prodotti di latte, yogurt,
o farmaci, e definiti come “microrganismi vivi” che,
quando somministrati in quantità adeguate, conferiscono benefici per la salute dell’ospite (Okeke et al.,
2014). La supplementazione dietetica con probiotici,
in particolare con Bifidobatteri, nei modelli sia animali sia umani, sembra tuttavia modificare ed arricchire il contenuto microbico intestinale, modificandone
la composizione ed influenzando la conversione dei
suoi metaboliti, quali gli Acidi Grassi a Catena Corta
(acetato, propionato, butirrato), non solo nutrienti es118
senziali ma anche molecole coinvolte nel signalling
di regolazione dei processi di omeostasi energetica
e nei meccanismi di integrità della mucosa intestinale
(Cox et al., 2014; Kimura, 2014; Kovatcheva-Datchary
e Arora, 2013). Al contrario, si attribuisce ai batteri
Gram-negativi, associati prevalentemente ad una dieta ricca di grassi, la responsabilità dei livelli di Lipopolisaccaride, derivato in grado di alterare la permeabilità intestinale ed attivare la cascata di espressione di
citochine, promuovendo così uno stato di infiammazione cronica a basso grado, risposta associata ad un
incrementato rischio di obesità e disordini metabolici
(Cox et al., 2014).
Si evince infine un emergente ed importante ruolo del
microbiota intestinale nell’insorgenza dell’obesità e
nello sviluppo dei disordini metabolici e cardiovascolari. Tuttavia ancora da esplorare e da chiarire completamente i pathways coinvolti.
Stile di vita, strategie
farmacologiche e chirurgia
bariatrica
L’approccio clinico al trattamento dell’obesità in età
pediatrica prevede il ricorso a programmi dietetici e
di esercizio fisico volti a promuovere uno stile di vita
sano. Si tratta in primis di affrontare un intervento
educazionale, considerando la minima aderenza alle
raccomandazioni per un corretto stile di vita che è
emersa da uno studio IDEFICS condotto in Europa
su una casistica di bambini di età pre-scolare (Kovács
et al., 2014). Le attuali evidenze sottolineano come
l’obiettivo primario di un intervento dietetico consista
in una riduzione dell’introito calorico, adattandolo alle
esigenze metaboliche proprie dell’età evolutiva, indipendentemente da una specifica distribuzione dei
macronutrienti principali (carboidrati, proteine e grassi) (Gow et al., 2014), promuovendo tuttavia un pattern dietetico Mediterraneo (Tognon et al., 2014). In
bambini ed adolescenti obesi, lo svolgimento di esercizio fisico è risultato da solo in grado di migliorare il
quadro ponderale ed il profilo lipidico e glico-insulinemico, quando è previsto un impegno quotidiano di almeno un’ora in un’attività aerobica moderato-intensa
associata ad attività intensa in almeno 3 occasioni
alla settimana; le attività proposte dovrebbero inoltre
essere divertenti, appropriate per sesso ed età ed il
più possibile diversificate (Kelley et al., 2014). Inevitabilmente, l’efficacia di un programma combinato che
includa l’aderenza ad un adeguato regime alimentare
e lo svolgimento costante di attività fisica, è stata ampiamente riconosciuta anche in età pediatrica nonché
confermata da più recenti studi, in termini di riduzione
della componente di massa grassa e miglioramento
del profilo metabolico a breve termine (Basterfield
et al., 2014; Harder-Lauridsen et al., 2014) ed a distanza di un anno (Blüher et al., 2014a; Blüher et al.,
2014b; Bock et al., 2014).
Obesità in età evolutiva: news and update dal 2013 al 2015
A supporto dei programmi dietetico - comportamentali, è stata altresì proposta la possibilità di intervenire
sull’eccesso ponderale ricorrendo a strumenti farmacologici anche in età evolutiva. Tuttavia i farmaci a disposizione per l’età pediatrica sono limitati, in quanto
la loro sicurezza ed efficacia non è completamente
chiarita. Tra i vari farmaci, negli ultimi anni, è stata prescritta off-label nel trattamento dell’obesità in bambini
ed adolescenti, la Metformina. Si tratta di una biguanide il cui attuale utilizzo, in bambini con età superiore ai
10 anni, è stato approvato dalla U.S. Food and Drug
Administration (FDA) nella terapia del diabete mellito di tipo 2. Gli eventi avversi maggiori associati alla
somministrazione di Metformina, quali acidosi lattica,
nefropatia ed insufficienza cardiaca, non sono stati
finora riportati in età pediatrica. Da una recente revisione della letteratura, è stato dimostrato un miglioramento ponderale con la Metformina, in combinazione
con modificazioni dello stile di vita, seppure di modesta consistenza e non sicura evidenza del beneficio a
lungo termine; tra coloro che potrebbero beneficiarne
maggiormente sono risultati quei soggetti con più elevati indici di massa corporea, età intorno ai 12 anni ed
aderenti in precedenza agli interventi comportamentali
(McDonagh et al., 2014). Sono tuttavia necessarie ulteriori valutazioni, anche se, il calo di appetito ed il conseguente ridotto introito alimentare, descritti in corso
di trattamento con Metformina, in presenza di un buon
profilo di sicurezza, rendono tale farmaco un ulteriore
strumento terapeutico da proporre in particolare a quei
soggetti obesi con segni di insulino-resistenza (Adeyemo et al., 2014; Ho et al., 2014).
In seguito all’incremento in prevalenza dei casi di obesità severa, è recentemente aumentata la percentuale
di adolescenti obesi sottoposti alla chirurgia bariatrica.
I programmi di intervento chirurgico negli adolescenti
obesi devono includere, a maggior ragione, una multidisciplinarietà espressa da un team di diversi specialisti, identificati in particolare nelle figure del pediatra,
del dietista, dello psicologo, e di un esperto di attività
fisica (Michalsky et al., 2014). Attualmente la chirurgia
bariatrica si avvale più comunemente della laparoscopia e la tecnica più utilizzata, negli adolescenti, consiste nel bypass gastrico con ansa alla Roux. Si annoverano anche altre procedure chirurgiche, seppur con
più limitati campi di applicazione, quali, ad esempio,
la gastrectomia verticale parziale ed il bendaggio gastrico, quest’ultimo, però non approvato dalla FDA per
pazienti di età inferiore ai 18 anni (Zitsman et al., 2014).
La valutazione dei risultati attesi dalla chirurgia bariatrica richiede il monitoraggio del calo ponderale, delle
co-morbidità associate e la durata del beneficio, a fronte dei rischi. In età pediatrica, soprattutto, la sicurezza
dell’intervento rappresenta un punto cardine sia per le
professionalità mediche sia per le famiglie dei pazienti. A tal proposito, il gruppo di ricerca del Teen- LABS
(Longitudinal Assessment of Bariatric Surgery consortium) ha recentemente dimostrato, in un primo studio
multicentrico, un favorevole profilo di sicurezza negli
adolescenti sottoposti a bypass gastrico, gastrectomia
verticale parziale e bendaggio gastrico, riportando un
dato di complicanze sovrapponibile a quello osservato
nella popolazione adulta (Inge et al., 2014). Attualmente le Istituzioni rappresentate dalla American College
of Surgeons e dalla American Society for Metabolic
and Bariatric Surgery sono impegnate nello sviluppo
di un programma con l’obiettivo di definire, a livello
nazionale, degli standard per la chirurgia bariatrica, rivolgendo particolare attenzione agli adolescenti obesi
(Zitsman et al., 2014). Sono infatti ancora poco studiati
gli effetti, a breve e lungo termine, dell’intervento chirurgico nel trattamento dell’obesità severa nei pazienti
di età pediatrica. Preliminari evidenze suggeriscono
tuttavia una attenuazione del craving per gli alimenti
ad elevato contenuto calorico negli adolescenti sottoposti a correzione per intervento di bypass gastrico;
tale effetto, descritto come non-lineare, è risultato preponderante nei 6 mesi successivi mentre minimo negli
ulteriori 18 mesi, ipotizzando comunque un trend di
stabilizzazione (Cushing et al., 2015). Ad oggi, la scelta della chirurgia bariatrica da rivolgere ad adolescenti
affetti da obesità severa comporta una complessa decisione medica e psicologica. Una recente revisione
scientifica delle diverse linee guide, attualmente in uso
negli Stati Uniti ed in Canada, ha evidenziato unanime
consenso nell’identificare tra i candidati quei soggetti
che abbiano raggiunto la maturazione puberale. Controversa rimane invece la definizione dei criteri richiesti
di indice di massa corporea ed eventuali comorbidità
associate. Rimangono ancora da indagare pienamente
la motivazione dei soggetti direttamente coinvolti nonché l’opinione dei genitori, elementi essenziali nella
decisione finale (Brei e Mudd, 2014).
Linee guida, Consensus, Statement
L’individuazione, la valutazione e la gestione del sovrappeso e dell’obesità negli adulti, nei giovani e nei
bambini sono attuale oggetto di un parziale aggiornamento delle linee guida del 2006, messe a punto
nel 2014 dalla Guideline Development Group (GDG),
promosse dal National Institute for Health and Care
Excellence (NICE). In tale occasione viene ribadita
l’importanza di un approccio multi-disciplinare che
combini dieta, attività fisica, supporto psicologico ed
eventuale intervento farmacologico o chirurgico, nel
contesto di uno stretto follow-up (Partial update of
CG43, 2014).
Negli ultimi anni si è assistito ad un drammatico incremento in prevalenza di casi di obesità severa anche in
età pediatrica. In mancanza di una definizione chiara
e condivisa dalla comunità scientifica, nel 2013, l’American Heart Association ha diffuso un enunciato
con l’obiettivo di raggiungere un consenso unanime
nella definizione di obesità severa in bambini ed adolescenti col fine di individuare un percorso diagnostico119
G. Bona et al.
terapeutico appropriato. Rimane tuttavia molto discussa nei soggetti affetti da obesità grave, per lo più di età
adolescenziale, l’opzione chirurgica, in considerazione
dei modesti benefici prodotti dagli interventi di modificazione dello stile di vita e della limitata disponibilità
farmacologica (Kelly et al., 2013). A tale proposito, si
inserisce, nel 2014, anche la posizione assunta da un
gruppo di esperti rappresentanti delle principali società
scientifiche europee (Fried et al., 2014).
Indagando altre potenziali strategie a disposizione,
da un lato, per contrastare il dilagare dell’eccesso
ponderale e, dall’altro, per gestire efficacemente bambini ed adolescenti obesi, l’American Heart Association ha suggerito alcuni interventi a promozione della
salute basati anche sull’utilizzo di social-network e
media (Li et al., 2013).
L’obiettivo cardine di fronte alla questione obesità
prevede in primo luogo atti di prevenzione primaria.
In merito alla educazione ed alle abitudini alimentari dei bambini di età compresa tra i 2 e gli 11 anni, si
è recentemente espressa la statunitense Academy
of Nutrition and Dietetics, diffondendo raccomandazioni dietetiche ed indicazioni all’attività fisica,
tali da promuovere uno stile di vita sano per una
adeguata crescita, in particolare in età evolutiva,
contrastando lo sviluppo di eccesso ponderale e le
conseguenti alterazioni metaboliche (Ogata e Hayes, 2014).
Box di orientamento
• Cosa sapevamo prima
Nelle ultime due decadi si è verificato un incremento “epidemico” dell’obesità in età evolutiva. Nel delineare un fenotipo obeso contribuiscono in maniera sinergica molteplici fattori sia genetici sia ambientali. L’approccio clinico al trattamento dell’obesità in età pediatrica prevede principalmente il ricorso a programmi
dietetici, ispirandosi alla dieta Mediterranea, e di esercizio fisico volti a promuovere uno stile di vita sano.
• Cosa sappiamo adesso
Nella patogenesi dell’obesità è stato ipotizzato che il microbiota intestinale di ciascun individuo presenti
un’efficienza metabolica specifica e che sue determinate caratteristiche di composizione possano predisporre o meno all’insorgenza dell’obesità, modificando la quantità di energia ricavata dalla dieta. A
supporto dei programmi dietetico - comportamentali, è stata altresì proposta la possibilità di intervenire
sull’eccesso ponderale ricorrendo a strumenti farmacologici ed alla opzione chirurgica.
• Quali ricadute sulla pratica clinica
La manipolazione della composizione del microbiota intestinale con la dieta ed i farmaci, in particolare
prebiotici, probiotici e simbiotici, potrebbe influenzare la conversione dei suoi metaboliti coinvolti nel
signalling di regolazione dei processi di omeostasi energetica contrastando così il rischio di disordini
metabolici. Nel trattamento dell’obesità si va delineando sempre più una multidisciplinarietà espressa da
un team di specialisti, in particolare nei soggetti affetti da obesità grave, per lo più di età adolescenziale,
ai quali si inizia a proporre la chirurgia bariatrica.
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Corrispondenza
Gianni Bona
Clinica Pediatrica, Dipartimento di Scienze della Salute, Università del Piemonte Orientale, corso Mazzini 18, 28100
Novara - E-mail: [email protected]
122
Prospettive in Pediatria
Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 123-130
Obesità infantile
Dalle obesità “genetiche”
all’epigenetica
nell’obesità
Laura Perrone
Pierluigi Marzuillo
Emanuele Miraglia del Giudice
Dipartimento della Donna,
del Bambino e di Chirurgia Generale e
Specialistica,
Seconda Università di Napoli
Le obesità genetiche presentano un modello di trasmissione di tipo mendeliano, in cui si
riconosce una mutazione causativa rara a carico di un singolo gene, che si può esprimere
allo stato eterozigote o omozigote. Dette tipologie di obesità possono essere classificate
come sindromiche e non sindromiche. Tra le non sindromiche si annoverano una serie di
obesità monogeniche imputabili a mutazioni di geni coinvolti nella via ipotalamica “leptinamelanocortina” o nei segnali ipotalamici posti a valle di questa via, segnali che sono alla
base della regolazione dell’appetito e della sazietà. Tra le obesità sindromiche, invece, si
annoverano sia le ciliopatie, come la sindrome di Bardet-Biedl e di Alström, sia le obesità
da difetto di imprinting come la sindrome di Prader-Willi.
Oltre alla genetica, anche l’epigenetica, che si riferisce ai cambiamenti rinvenibili nell’espressione (e non nella sequenza) del gene, svolge un ruolo determinante nell’insorgenza
dell’obesità. L’articolo si propone di approfondire le obesità monogeniche sindromiche e
non, con lo scopo di fornire ai Pediatri che non si occupano di endocrinologia pediatrica,
gli strumenti indispensabili per riconoscere ed inquadrare le obesità monogeniche. Si è
voluto, inoltre, porre in risalto il ruolo fondamentale che l’epigenetica ricopre nello sviluppo
dell’obesità.
Riassunto
Monogenic obesity is characterized by a rare, monogenic, causative mutation with a mendelian inheritance pattern. Monogenic obesity comprehends both syndromic and not syndromic forms. Among not syndromic forms, all the monogenic forms of obesity affecting
the hypothalamic leptin-melanocortin pathway involved in the satiety control are recognized. Among the syndromic forms of obesity, the nonmotile ciliopathy (Bardet-Biedl and
Alström syndromes) and the imprinting defects (Prader-Willi syndrome) are listed. Apart
from genetic, also epigenetic mechanisms play a relevant role in determining obesity. The
aim of this review is to give to the general Pediatricians the key elements to suspect and
then to diagnose genetic forms of obesity. Moreover, we underline the importance of the
epigenetic mechanisms in determining obesity.
Summary
Introduzione
L’obesità pediatrica, in costante aumento negli ultimi
anni, è il frutto dello stravolgimento del delicato equilibrio esistente tra i fattori ambientali (alto intake calorico
e ridotta attività motoria) e il substrato genetico dell’individuo con un modello di ereditarietà di tipo poligenico (Miraglia del Giudice et al., 2009). Esistono forti
evidenze scientifiche sul fatto che l’indice di massa
corporea (BMI) sia, per la gran parte, geneticamente
determinato, con un tasso di ereditabilità stimato tra il
40 ed il 70% (Barsh et al., 2000) che può raggiungere
un picco del 77% nei gemelli (Haworth et al., 2008).
Del tutto diverso è il modello di ereditarietà delle
obesità monogeniche (che possono essere sindromiche e non). Esse sono ascrivibili, infatti, ad un modello mendeliano in cui si riconosce una mutazione
causativa rara, a penetranza completa, a carico di
un singolo gene che può esprimersi sia allo stato
eterozigote che a quello omozigote (Morandi e Maffeis, 2014).
Accanto alla genetica ed all’ambiente, un altro fattore
responsabile dell’insorgenza dell’obesità è l’epigenetica, consistente, cioè, nelle modificazioni che interessano l’espressione (e non la sequenza) genica.
123
L. Perrone et al.
Obiettivo della revisione
e metodologia della ricerca
bibliografica
L’articolo si propone di approfondire le conoscenze
sulle obesità monogeniche sindromiche e non, con
lo scopo di fornire ai Pediatri, che non si occupano di
endocrinologia pediatrica, gli elementi chiave per riconoscere ed inquadrare le obesità monogeniche. Si
è voluta sottolineare l’importanza dell’epigenetica nello sviluppo di obesità. La ricerca di articoli rilevanti su
tali argomenti è stata effettuata utilizzando PubMed
come motore di ricerca. Le parole chiave, utilizzate
quali filtri della ricerca, sono le seguenti: monogenic,
syndromic, obesity, children, epigenetic, ciliopathies,
imprinting.
Obesità monogeniche
senza quadri malformativi
Tutte le forme di obesità presenti in questo gruppo
(Tab. I) sono determinate da mutazioni di geni coinvolti nella via ipotalamica “leptina-melanocortina” o
nei segnali ipotalamici a valle di questa via, segnali che sono alla base della regolazione del senso
dell’appetito e della sazietà (Fig. 1).
L’obesità monogenica, derivante da mutazione (omozigote o eterozigote composto) della leptina o del suo
recettore, presenta un quadro fenotipico molto simile
(Montague et al., 1997).
I livelli indosabili di leptina o il malfunzionamento del
suo recettore, con conseguente mancanza di un tassello fondamentale sul controllo dell’appetito, spiegano il quadro clinico di un individuo che si presenta
come normopeso alla nascita, che registra un rapido
incremento ponderale nei primi mesi di vita e che è
potenzialmente in grado di giungere ad obesità se-
vera, associata ad iperfagia notevole ed aggressività,
qualora il cibo gli venga negato (Licinio et al., 2004).
In questo caso, l’individuo presenta anche ipogonadismo ipogonadotropo: la leptina, infatti, stimola la
produzione ipotalamica di GnRH (Ramachandrappa
e Farooqi, 2011). Inoltre, poiché la leptina stimola anche la risposta infiammatoria e la proliferazione dei
linfociti T e delle citochine Th1 mediate, i pazienti con
deficit di leptina presentano aumentata frequenza di
infezioni (Matarese et al., 2005).
A valle del recettore della leptina, agisce l’Src-homology-2 B adaptor protein 1 (SH2B1), un intermediario
chiave nell’attivazione del segnale intracellulare del
recettore della leptina. I pazienti con mutazioni o delezioni a carico di tale gene presentano, a parte l’obesità, severa insulino-resistenza e lieve ritardo dello
sviluppo (Perrone et al., 2010).
L’obesità monogenica da deficit della Proopiomelanocortina (POMC) si manifesta quando sono presenti
mutazioni null in omozigosi. Il POMC, grazie alla
proconvertasi 1 (PCSK1), è il precursore del peptide
anoressizzante a-melanocyte-stimulating-hormone
(a-MSH) (Kim e Choi, 2013). L’a-MSH agisce sul
melanocotin 4 receptor (MC4R) dei neuroni anoressizzanti e riduce l’appetito e l’assunzione di cibo. A
valle dell’MC4R sembrerebbe agire come fattore di
trascrizione single-minded homolog1 (SIM1) che
presenta target non completamente noti. Le mutazioni del POMC, dunque, determinano iperfagia, obesità ad esordio precoce, deficit di adrenocorticotropina
(ACTH) ed ipopigmentazione di cute e capelli (Krude
et al., 1998). Gli eterozigoti portatori di mutazioni null
presentano più elevato rischio di obesità o sovrappeso (Farooqi et al., 2003).
Il cocaine-and amphetamine-regulated transcript
(CART) è un peptide prodotto da specifici neuroni
ipotalamici in risposta allo stimolo della leptina. Esso
sembrerebbe mediare gli effetti termogenetici e di
Tabella I. Le obesità monogeniche senza quadri malformativi “a colpo d’occhio”.
Elementi clinici oltre ad obesità iperfagica
Pensa a…
Ipogenitalismo, ritardo/assenza dello sviluppo puberale, infezioni frequenti
Deficit di Leptina
Ipogenitalismo, ritardo/assenza dello sviluppo puberale
Deficit del recettore di Leptina
Ansia e depressione
Deficit di CART
Ipogenitalismo, ritardo/assenza dello sviluppo puberale, ipopigmentazione cute e
capelli, deficit ACTH
Deficit di POMC
Ipogenitalismo, ritardo/assenza dello sviluppo puberale, alterazione del metabolismo
glucidico, elevata proinsulina plasmatica, malassorbimento grave nel periodo
neonatale
Deficit di PCSK1
Crescita staturale accelerata, altezza definitiva aumentata
Deficit di MC4R
Insulino-resistenza severa e sproporzionata per il grado di obesità, in alcuni casi lieve
ritardo dello sviluppo
Deficit di SH2B1
Ritardo dello sviluppo, iperattività, deficit di memoria, ridotta sensibilità al dolore
Deficit di BDNF o di TrkB
Ritardo dello sviluppo
Deficit di SIM1
124
Obesità genetiche ed epigenetica
spesa energetica caratteristici della leptina. È stato dimostrato che mutazioni a carico del gene CART sono
associate a ridotti livelli del peptide da esso codificato
(Miraglia del Giudice et al., 2001). Pazienti con queste mutazioni possono presentare obesità severa associata ad ansia e depressione (Miraglia del Giudice
et al., 2006).
Il Prohormone convertase 1 (PCSK1) è un enzima
che taglia la proopiomelanocortina in ACTH ed in aMSH (Fig. 1). I pazienti con deficit di PCSK1 sono affetti da obesità di grado severo e presentano deficit di
glucocorticoidi, ipogonadismo ipogonadotropo ed alterata omeostasi glicemica, correlata ad alterato processamento di numerosi proormoni (Jackson et al.,
1997). Utili nella diagnosi di questo disordine sono gli
elevati livelli di proinsulina e i bassi livelli di insulina
sierica. Una caratteristica tipica di questi pazienti è
una storia di malassorbimento intestinale grave nel
periodo neonatale, probabilmente legato ad alterato
clivaggio dei propeptidi intestinali nelle cellule enteroendocrine e nei nervi esprimenti il PCSK1 all’interno
del tenue (Jackson et al., 1997).
Tra tutte le forme di obesità monogenica la più frequente è quella cagionata da deficit di MC4R. Questa mutazione è presente nel 5-6% dei casi di obesità
precoce e severa (Farooqi et al., 2003). Le mutazioni
del gene MC4R sono ereditate in modo codominante
con espressività e penetranza variabili nei portatori
eterozigoti (Stutzmann et al., 2008). I pazienti affetti
da questa forma di obesità monogenica presentano
iperfagia, alta statura ed anche incremento della massa magra (Santoro et al., 2009). L’aumentata crescita
lineare potrebbe essere dettata dall’iperinsulinemia
che tali pazienti presentano sin dalle prime epoche
di vita (Farooqi et al., 2003). Un’altra causa dell’incrementata crescita lineare potrebbe essere l’assenza di
soppressione della secrezione di GH, frequente nei
soggetti affetti da obesità primaria (Martinelli et al.,
2011).
Mutazioni del brain-derived neurotrophic factor
(BDNF) and tyrosin kinase B receptor (TrKb), sono
cause rarissime di obesità monogenica e determinerebbero obesità agendo a valle della cascata del
segnale dell’MC4R, bloccandone la trasduzione (Xu
et al., 2003.).
Un’altra molecola che agirebbe a valle della cascata
del segnale dell’MC4R è il SIM1, un fattore di trascrizione coinvolto nello sviluppo dei nuclei sopraottico e
paraventricolare dell’ipotalamo (Fig. 1). Sinora è stato
evidenziato un deficit eterozigote di SIM1 che, oltre
Figura 1. La regolazione dell’appetito (frecce rosse: inibizione; frecce verdi: stimolo).
125
L. Perrone et al.
ad obesità grave precoce, era in grado di determinare un disordine neuro-comportamentale (Ramachandrappa et al., 2013).
Altre recenti forme di obesità monogenica, ancora
in corso di definizione, sono l’obesità da mutazione di melanocortin 2 receptor accessory protein 2
(MRAP2) che codifica per un co-recettore di MC4R
(Asai et al., 2013) e da mutazione di Kinase suppressor of Ras 2 (KSR2) proteina coinvolta nel segnale
intracellulare (Pearce et al., 2013).
dini con la BBS. Essa è caratterizzata da distrofia retinica, ipoacusia neurosensoriale, obesità ad esordio
precoce ed insulino-resistenza che conduce a diabete di tipo 2 (Tab. II). Altre manifestazioni cliniche sono
la cardiomiopatia dilatativa, la disfunzione epatica e
renale, la bassa statura e l’ipogonadismo maschile
(Tobin e Beales, 2009).
Sindromi monogeniche
da disfunzione ciliare: la sindrome
di Bardet-Biedl e la sindrome
di Alström
Con il termine di “imprinting” si vuole indicare l’espressione differenziata di geni a seconda dell’origine parentale. Un classico esempio di disordine di
imprinting è la sindrome di Prader-Willi (PWS). Tale
sindrome è associata ad una delezione del braccio
lungo del cromosoma 15 (regione q11-q13) di origine paterna o alla presenza di disomia uniparentale
materna. Anche se la copia derivante dalla madre è
intatta o presente in duplice copia come nella disomia
uniparentale materna, essa non può sopperire alla
delezione o alla completa mancanza del cromosoma
15 paterno, perché tali geni materni sono normalmente silenziati. La PWS è la forma più comune di
obesità sindromica (prevalenza di circa 1 su 25.000).
Caratteristiche chiave sono rappresentate da ipotonia
e difetto di crescita nelle prime epoche di vita, ritardo
mentale, bassa statura, iperfagia, obesità severa ed
ipogonadismo ipogonadotropo. I bambini con PWS
hanno una massa magra ridotta con aumento di quella grassa. La terapia con GH che si può effettuare in
questi pazienti è quindi utile sia per migliorare la statura che la composizione corporea (O’Rahilly e Farooqi,
2006). La prima tappa nella diagnostica molecolare
della PWS, che permette di ottenere una diagnosi nel
99% dei casi, è il test di metilazione di 15q11-q13. Il
test risulta patologico, sia in caso di delezione sia in
caso di disomia uniparentale materna, poiché in entrambi i casi manca la copia demetilata della regione
15q11-q13 (Morandi e Maffeis, 2014).
L’osteodistrofia ereditaria di Albright (AHO) è un disordine autosomico dominante derivante da una mutazione nella linea germinale nel gene guanine nucleotide binding protein, alpha stimulatin 1 (GNAS1)
che riduce l’espressione o la funzione della proteina
Gsa. La trasmissione materna di mutazione nel gene
GNAS1 porta ad AHO, che è caratterizzata da bassa
statura, obesità, difetti scheletrici ed iposomia. È presente, inoltre, anche una resistenza a diversi ormoni
(ad esempio il paratormone) che attivano le proteine
Gs nei tessuti target. È interessante notare, invece,
che se la trasmissione della mutazione è di origine
paterna, è presente solo il quadro fenotipico caratteristico di AHO senza resistenze ormonali.
Le cilia sono degli organelli intracellulari formati da microtubuli, fondamentali nella trasduzione del segnale
intercellulare. Le ciliopatie sono delle malattie geneticamente determinate, la cui eziologia è rappresentata
da una disfunzione di questi organelli. L’integrità delle
cilia è fondamentale per la trasduzione del segnale
del recettore della leptina attivato, presente sui neuroni POMC. Il malfunzionamento ciliare spiegherebbe
perché tanto la sindrome di Bardet-Biedl (BBS) che
la sindrome di Alström (ALMS), due ciliopatie monogeniche, siano accomunate dalla presenza di obesità
(Tobin e Beales, 2009).
I pazienti affetti da BBS presentano tutte le caratteristiche tipiche delle ciliopatie: polidattilia, reni policistici,
retinite pigmentosa e situs inversus. Quasi tutti i pazienti (circa il 98%) affetti da BBS sono, inoltre, obesi.
Benché il meccanismo patogenetico posto alla base
del sovrappeso non sia ancora del tutto chiaro, sembra che esso possa dipendere da uno scorretto funzionamento del centro di sazietà ipotalamico. I pazienti
con BBS soffrono, inoltre, di polidattilia post-assiale e
di ipogenitalismo. Nei primi anni di vita essi passano
rapidamente dall’essere sovrappeso all’essere obesi
e, dunque, all’essere esposti alle complicanze legate
al caso. Ad 8 anni questi pazienti iniziano a soffrire di
cecità notturna, che diviene poi cecità completa con
buona approssimazione al raggiungimento del quindicesimo anno di vita. Le cisti renali si manifestano sin
dalla prima infanzia e alcuni pazienti potrebbero aver
bisogno, nelle epoche successive della loro vita, di
dialisi e trapianto renale. L’insufficienza renale rappresenta la principale causa di morte dei pazienti affetti
da BBS (nel 30% dei casi) (Tobin e Beales, 2009). Ad
oggi sono noti ben 19 geni correlati alla BBS, elemento, questo, che rende complessa la diagnosi molecolare effettuata con metodologie classiche. In ogni caso
la diagnosi di questi pazienti è principalmente clinica
(Tab. II).
La sindrome di Alström, dovuta a mutazione del gene
ALMS1, è una sindrome rara, con incidenza stimata
di 1/500.000-1/1.000.000, che mostra molte similitu126
Obesità sindromiche
da difetti di imprinting
Epigenetica nell’obesità
Come già anticipato nell’introduzione di questo lavo-
Obesità genetiche ed epigenetica
Tabella II. Criteri diagnostici per la diagnosi delle due più comuni sindromi monogeniche da disfunzione ciliare (da
Milani et al., 2014, mod.).
Sindrome di Alström
Sindrome di Bardet-Biedl
La diagnosi è fatta quando sono presenti i seguenti criteri: La diagnosi è fatta quando sono presenti:
4 criteri maggiori o 3 maggiori + 2 minori
2 maggiori o 1 maggiore + 2 minori
2 maggiori o 1 maggiore + 3 minori
2 maggiori + 2 minori o 1 maggiore + 4 minori
Età
Criteri Maggiori
Criteri Minori
Criteri Maggiori
Criteri Minori
< 2
anni
• Mutazione dell’ALMS
1 in un allele e/o storia
familiare di ALMS
• Nistagmo/fotofobia
• Obesità
• Cardiomiopatia
dilatativa con
scompenso cardiaco
congestizio
• Distrofia dei conibastoncelli
• Ritardo/disordine del
linguaggio
• Strabismo/cataratta/
astigmatismo
3-14
anni
• Mutazione dell’ALMS
1 in un allele e/o storia
familiare di ALMS
• Nistagmo/fotofobia,
ridotta acuità visiva,
distrofia dei coni valutata
all’elettroretinogramma
• Obesità e/o
insulinoresistenza
• (Storia di)
cardiomiopatia dilatativa
con scompenso
cardiaco congestizio
• Perdita dell’udito
• Età ossea avanzata
• Disfunzione epatica
• Insufficienza renale
• Polidattilia
• Obesità
• Ritardo
dell’apprendimento
• Ipogonadismo nei
maschi
• Anomalie renali
• Brachidattilia/sindattilia
• Ritardo dello sviluppo
• Poliuria/polidipsia
(diabete insipido
nefrogenico)
• Atassia/instabilità/
scarsa coordinazione
• Lieve spasticità
(soprattutto arti inferiori)
• Diabete melito
> 14
anni
• Mutazione dell’ALMS 1
in un allele e/o storia
familiare di ALMS
• Cecità, storia di
nistagmo, distrofia
di coni e bastoncelli
evidenziata
all’elettroretinogramma
• Obesità e/o
insulinoresistenza e/o
diabete di tipo 2
• (Storia di)
cardiomiopatia dilatativa
con scompenso
cardiaco congestizio
• Perdita di udito
• Disfunzione epatica
• Insufficienza renale
• Bassa statura
• Ipogonadismo maschile
• Irregolarità mestruale
e/o iperandrogenismo
femminile
ro, l’ereditabilità del BMI gioca un ruolo fondamentale
nella determinazione del peso corporeo, registrando
una soglia di incidenza con un valore che può superare il 70% (Haworth et al., 2008). Questo ultimo dato
appare però in aperta contraddizione con l’evidenza di
un aumento epidemico dell’obesità pediatrica registrato negli ultimi venti anni, lasso di tempo, questo, assolutamente insufficiente perché si possano registrare
modifiche permanenti nel genoma. Solo la riprogrammazione dell’espressione genica, manifestatasi attraverso quelle che si definiscono modificazioni epigenetiche conseguenti a rilevanti modifiche ambientali avvenute in massima parte nelle prime epoche della vita,
potrebbe parzialmente giustificare questo fenomeno. I
due meccanismi principali che portano alle modificazioni epigenetiche sono la metilazione del DNA ed il rimodellamento della cromatina, cioè del complesso del
DNA e degli istoni ad esso associati (Waterland, 2014).
• Affollamento dentale/
ipodontia/radici piccole/
palato arcuato
• Ipertrofia del ventricolo
sinistro/cardiopatia
congenita
• Fibrosi epatica
Variazioni interindividuali nelle modificazioni epigenetiche, come la metilazione CpG, sono potenzialmente in
grado di alterare la funzione genica e di predisporre ad
obesità. La variazione del grado di metilazione, infatti,
è in grado di modulare l’espressione di geni coinvolti
nel controllo ipotalamico dell’appetito (Kuehnen, 2012).
Già in utero si può verificare una riprogrammazione
del bilancio energetico derivante dall’esposizione a
peculiari fattori ambientali, con conseguenti modificazioni epigenetiche che possono colpire il potenziale adipogenetico della prole (Waterland, 2014). Tobi
et al., hanno, infatti, dimostrato che l’esposizione prenatale di feti umani a carestia, è in grado di determinare alterazione della metilazione del DNA, con conseguenti modificazioni epigenetiche che persistono
per l’intera esistenza e che predispongono ad obesità
e ad aumentato rischio metabolico e cardiovascolare
nel corso della vita (Tobi et al., 2014).
127
L. Perrone et al.
Abbiamo prima sottolineato il ruolo del gene POMC
nello sviluppo delle obesità monogeniche. Un recente
lavoro dimostra come anche l’epigenetica, attraverso
la modificazione dell’espressione del POMC, possa
giocare un ruolo importante nel predisporre all’obesità (Kuehnen, 2012). Kuehnen et al., infatti, hanno
dimostrato che i pazienti obesi presentano un incremento significativo dello score di metilazione del gene
POMC (Kuehnen, 2012). L’ipermetilazione del POMC
determina riduzione dell’espressione del POMC con
conseguente sviluppo di obesità (Kuehnen, 2012).
Conclusioni e prospettive
per il futuro
L’obesità, considerata quale esempio di patologia poligenica per eccellenza, può, in una piccola percentuale
di casi, configurarsi come l’espressione di una mutazione monogenica causativa o, in altri casi, inquadrarsi
nell’ambito di una sindrome. Riconoscere le obesità
monogeniche, sindromiche e non, è davvero molto
importante per almeno due ragioni che si andranno
di seguito ad enunciare. In primis, perché si auspica
Anamnesi familiare, personale ed esame obiettivo
Segni o sintomi concomitanti o iperfagia tali da far
sospettare obesità sindromica?
SÌ
È presente ritardo dello sviluppo o sono chiaramente
evidenti dismorfismi?
SÌ
No
Positivo
Sindrome di
Prader-Willi
Cariotipo
Studio di metilazione del DNA
Negativo
SÌ
È presente fotofobia o
nistagmo?
Sindrome di
Alström
No
Positivo
Sindrome di
Bardet-Biedl
SÌ
È presente distrofia retinica?
No
Dosaggio di leptina,
insulina e proinsulina
Obesità monogenica
da deficit congenito di
leptina o PCSK1
Negativo
Osteodistrofia ereditaria di
Albright, obesità monogenica
da deficit di BDNF, TrkB,
SIM1
Studio genetico
molecolare
Obesità monogenica da deficit congenito del
recettore della leptina, POMC, MC4R
Figura 2. Inquadramento diagnostico delle obesità monogeniche (da Farooqi e O’Rahilly, 2014, mod.).
128
Obesità genetiche ed epigenetica
che, nell’immediato futuro, avvalendosi anche dei risultati di altre ricerche condotte nel campo dell’obesità, i pazienti obesi possano beneficiare di una terapia
specifica (come ad esempio della somministrazione
di leptina ed agonisti del recettore MC4R). In secondo
luogo perché si auspica che, se inquadrati nell’ambito
di una sindrome ben definita, essi potranno avvalersi
di un approccio multidisciplinare per la gestione dell’intero quadro sintomatologico. L’obesità ha raggiunto, ad
oggi, proporzioni epidemiche. Spesso, però, i quadri
clinici dei soggetti colpiti da questa patologia sono assai sfumati, tanto che capita di frequente che i pazienti
obesi necessitino di ulteriore attenzione diagnostica.
Nella Figura 2 è rappresentato un algoritmo di inquadramento diagnostico che può rivelarsi assai utile
nella pediatria territoriale, per sospettare un’obesità
monogenica, e nel secondo e nel terzo livello per
orientarsi nell’esecuzione di tutte le indagini diagnostiche atte a confermare la diagnosi finale. In futuro,
con il continuo affinarsi delle tecniche di diagnostica
genetico-molecolare, la diagnosi di tutte queste forme
potrebbe divenire più semplice. Le recenti evidenze
sul ruolo dell’epigenetica, confermano, inoltre, l’improrogabile necessità di orientare l’azione sulla prevenzione dell’obesità, prevenzione che può iniziare
sin dall’epoca prenatale.
Box di orientamento
• Cosa sapevamo prima
L’obesità deriva dall’interazione fra predisposizione genetica ed ambiente. Era noto solo un limitato numero di obesità monogeniche con ridotte possibilità diagnostiche.
• Cosa sappiamo adesso
L’obesità è legata all’interazione fra predisposizione genetica, epigenetica ed ambiente. Il campo di studio delle obesità monogeniche si è enormemente allargato così come le possibilità diagnostiche. Per
alcune tipologie di obesità si auspica che si possa, in tempi rapidi, giungere all’applicazione di una specifica terapia.
• Per la pratica clinica
Aumentate capacità di riconoscere il paziente con obesità monogenica tra i numerosissimi pazienti con
obesità semplice. La prevenzione dell’obesità pediatrica va attuata già in epoca prenatale.
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Corrispondenza
Laura Perrone
Dipartimento della Donna, del Bambino e di Chirurgia Generale e Specialistica. Seconda Università degli Studi di Napoli E-mail: [email protected]
130
Prospettive in Pediatria
Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 131-136
Obesità infantile
Enza Mozzillo1 2
Giuliana Valerio2
Adriana Franzese1
La sindrome metabolica:
diagnosi ancora
controversa?
Dipartimento di Scienze mediche
Traslazionali, Sezione di Pediatria,
Università di Napoli “Federico II”
2 Dipartimento di Scienze Motorie
e del Benessere, Università di
Napoli Parthenope
I tre autori hanno contribuito in
egual modo alla stesura del testo.
1 La sindrome metabolica (SM) comprende un insieme di fattori di rischio cardiometabolico
che si associano ad un aumento delle complicanze cardiovascolari nell’adulto. La base
fisiopatologica di questa costellazione è inquadrabile nell’insulino-resistenza, che spesso
si associa alla presenza di adiposità viscerale, quest’ultima ne rappresenta il principale
marker. Altri elementi che identificano la SM sono le alterazioni glicemiche, la dislipidemia
e l’ipertensione. In età pediatrica non esiste un unanime consenso sulla definizione di
SM e sul significato clinico concreto del rischio cardiometabolico sia dei singoli elementi
che la identificano sia dell’insieme di essi. Tuttavia i soggetti che presentano più fattori di
rischio hanno un aumentato rischio cardiometabolico rispetto a quelli che non mostrano
questa associazione. Pertanto il riscontro di uno o più fattori di rischio che costituiscono
la SM deve indurre il pediatra a stimolare l’aderenza ad uno stile di vita sano del bambino
sovrappeso/obeso e del suo nucleo familiare.
Riassunto
Metabolic syndrome (MS) includes a set of cardiometabolic risk factors which are associated with cardiovascular complications in adults. The pathophysiological basis of this
constellation is framed in insulin resistance, which is often associated with the presence
of visceral adiposity, the latter representing the main marker. Other elements that identify
MS are derangements of glucose metabolism, dyslipidemia, and hypertension.There is no
unanimous consensus on MS definition in childhood neither on the clinical significance
of individual or clustered components. However subjects with multiple risk factors are
at increased cardiometabolic risk than those not showing this association. Therefore the
detection of one or more risk factors identifying MS should lead pediatricians to promote
adherence to a healthy lifestyle in overweight/obese children and their family.
Summary
Introduzione
La sindrome metabolica (SM) comprende un insieme
di fattori di rischio cardiometabolico (obesità addominale, dislipidemia, alterazione del metabolismo glicidico e ipertensione) che vede l’obesità come marker
per la sindrome (Weiss et al., 2004). Se la diagnosi, in
età adulta, riconosce un inquadramento clinico, difficile
risulta invece essere la sua identificazione in età pediatrica. Ad oggi, infatti, non si dispone di validi criteri
di definizione, se non quelli degli adulti adattati sull’età
evolutiva. Controversa resta la questione sull’effettiva
utilità nel configurare come unica identità più fattori di
rischio, domandandosi se la loro combinazione possa
essere maggiore garanzia di specificità o sensibilità
nella definizione del rischio cardiovascolare.
Obiettivo
Questo articolo costituisce un approfondimento sulla SM,
alla luce della revisione delle ultime evidenze scientifiche.
Metodologia di ricerca bibliografica
La ricerca degli articoli è stata effettuata tramite la banca bibliografica PubMed, utilizzando come parole chiave: “metabolic syndrome”, “visceral adiposity”, “childhood
obesity”, “insulin resistance”, “cardiovascular risk”.
131
E. Mozzillo et al.
Inquadramento clinico,
fisiopatologico e rischi associati
La diagnosi di SM prevede l’inquadramento delle sue
componenti principali: obesità viscerale, dislipidemia,
alterato metabolismo glucidico e ipertensione arteriosa (Grundy et al., 2005; Alberti et al., 2005). L’insulino-resistenza (IR), definita come la ridotta capacità
dell’insulina di promuovere l’utilizzo periferico e di sopprimere la produzione epatica di glucosio (Le Roith e
Zick, 2001), rappresenta la base fisiopatologica della
malattia. Tuttavia non sono ancora del tutto noti cause
e meccanismi attraverso i quali si instaura l’IR, mentre
sono ben conosciuti gli effetti che quest’ultima determina a livello cardiovascolare e metabolico.
1. Obesità viscerale e IR
Il ruolo dell’obesità nel determinare la SM deriva da
una semplice constatazione clinica: le varie componenti della SM sono associate fra loro raramente in
soggetti non obesi, mentre lo sono abitualmente in
soggetti obesi, soprattutto in quelli con distribuzione
del grasso di tipo viscerale (Faria et al., 2015). L’obesità viscerale si associa da sola ad un’aumentata incidenza di complicanze metaboliche, cardiovascolari
o sistemiche. L’aumento di adipociti a livello viscerale
si associa a IR epatica e periferica con un effetto che
sembra mediato dall’eccessiva produzione di glicerolo e di acidi grassi liberi (NEFA). La relazione tra
IR e adiposità viscerale potrebbe trovare fondamento anche in alcune funzioni endocrine e metaboliche
proprie degli adipociti, che producono TNF-a, IL-6,
leptina e adiponectina, con effetto sulla modulazione
del segnale insulinico (Trayhurn e Wood, 2004). Inoltre, i bambini con SM hanno aumentati livelli di marker infiammatori, che contrastano gli effetti periferici
dell’insulina (Loureiro et al., 2015).
2. Dislipidemia
Nel soggetto con SM l’adipocita rilascia in circolo
NEFA in eccesso, rifornendo il fegato (ma non solo)
di un eccesso di substrati energetici, provocando:
a) aumento dei trigliceridi-VLDL; b) riduzione del colesterolo-HDL; c) produzione di LDL piccole e dense. Il potenziale aterogeno della dislipidemia sembra
essere correlato sia alla “quantità” di lipoproteine
LDL, sia alla “qualità” delle stesse, ed in particolare
all’aumento delle LDL piccole e dense. L’altra componente aterogena è rappresentata dai bassi livelli
di colesterolo-HDL. Molti studi epidemiologici dimostrano una relazione inversa tra livelli di colesteroloHDL e rischio cardiovascolare (Orenes-Piñero et al.,
2014), anche se mancano conferme provenienti da
studi di intervento, come è invece avvenuto per le
statine relativamente alla riduzione della frazione
LDL.
132
3. Alterata glicemia a digiuno, alterata
tolleranza al glucosio, diabete mellito tipo 2
L’aumento della glicemia a digiuno (IFG) e la diminuzione della tolleranza al glucosio (IGT) sono associate non solo ad un aumentato rischio di diabete mellito
tipo 2 (T2DM), ma anche di malattie cardiovascolari.
L’IGT è una condizione estremamente rara nei bambini/adolescenti normopeso; non rara in quelli moderatamente obesi e frequente nei soggetti gravemente
obesi. In questi ultimi l’IGT era presente in un quarto
dei bambini e in un quinto degli adolescenti dello studio di Sihna et al. (2002). Diversa è la stima fatta da
Weiss et al. secondo cui la percentuale di soggetti con
IGT è 10-20% negli obesi e 15-25% nei gravemente
obesi (Weiss et al., 2004). La prevalenza di IGT e di
T2DM è in costante aumento in tutto il mondo e cresce in parallelo con il grado di sovrappeso, indipendentemente da età, sesso o etnia. L’IGT è presente in
ogni fascia di età, mentre il T2DM riguarda soprattutto
gli adolescenti con grave obesità. Negli Stati Uniti la
prevalenza del T2DM è del 10% nei soggetti obesi
< 18 anni (Hamman et al., 2014), mentre in Europa è
risultata dell’1% (Schober et al., 2009). Ciò potrebbe
essere spiegato dal fatto che le abitudini alimentari
dei bambini/adolescenti europei non abbiano ancora
raggiunto i livelli americani. Nonostante i dimostrati legami fra eccesso di grasso corporeo e rischio di diabete, le ragioni per cui l’aumento del grasso causi IR
e determini un maggior rischio di diabete e patologie
cardiovascolari non sono chiaramente delineate (Goran et al., 2003). Nel confronto tra adolescenti con e
senza IGT, paragonabili per età, BMI e percentuale di
grasso totale, Bloomgarden ha dimostrato una diversa distribuzione del grasso, con più elevati livelli sia
nell’addome che nelle cellule miocitarie dei soggetti
con ‘pre-diabete’ (Bloomgarden, 2004).
4. Ipertensione arteriosa
Sovrappeso e obesità sono fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo di ipertensione arteriosa anche
in età pediatrica (Rerksuppaphol e Rerksuppaphol,
2015). L’aumento della pressione arteriosa è secondario all’aumentato riassorbimento tubulare di sodio e di
acqua, con conseguente aumento del volume circolante, e attivazione del sistema nervoso simpatico con vasocostrizione (Nagase e Fujita, 2009. Numerosi lavori
dimostrano l’associazione tra SM, ipertensione arteriosa e danno cardiovascolare (Sucato V et al., 2015).
Definizione in età pediatrica:
classificazioni a confronto
Sebbene siano state proposte numerose definizioni in
età pediatrica, ad oggi non esiste consenso unanime.
In particolare si discute su quali siano le componenti più significative da includere nella definizione e su
quali siano i valori di riferimento dei fattori di rischio
Controversie sulla sindrome metabolica?
Tabella I. Definizione IDF di sindrome Metabolica.
Età 6-10 anni:
• Obesità con WC ≥ 90° percentile
• Non può essere diagnosticata la SM, tuttavia, bisogna
approfondire in caso di storia familiare di SM, T2DM,
dislipidemia, ipertensione o obesità
Età 10-16 anni
• Obesità con WC ≥ 90° percentile
• Trigliceridi ≥ 150 mg/dl
• Colesterolo HDL ≤ 40 mg/dl
• PAS ≥ 130 mmHg o PAD ≥ 85 mmHg
• Glicemia ≥ 100 mg/dl
Età > 16 anni
• Usare criteri IDF per adulto
Abbreviazioni: WC: circonferenza vita; PAS e PAD: pressione arteriosa sistolica e diastolica; IDF: International Diabetes Foundation.
cardiometabolico (in particolare dei lipidi e dell’insulina) che tengano conto delle variazioni legate all’età,
al sesso, alle modifiche puberali e all’etnia. Mancano infine misure standardizzate univoche di adiposità
centrale (Moran et al., 2008).
In età pediatrica le definizioni più comunemente usate sono:
1. la definizione di Cook, che corrisponde a quella
del National Colesterol Education Program che si
adatta solo agli adolescenti (Cook et al., 2003);
2. la definizione proposta dall’International Diabetes
Federation (IDF), che utilizza criteri diagnostici
specifici per bambini tra 6-10 anni, adolescenti
tra 10-16 anni e giovani di età > 16 anni (Zimmet
et al., 2007) (Tab. I).
Una nuova definizione è emersa dallo studio IDEFICS
(Identification and prevention of Dietary- and lifestyleinduced health Effects in Children and infantS), che
ha proposto nuovi percentili età e sesso specifici per
i lipidi e l’IR (De Henauw et al., 2014; Peplies et al.,
2014). Questa definizione permette di valutare la prevalenza di SM sia in bambini che in adolescenti. Le
varie definizioni sono riassunte in Tabella II. Un bambino si considera affetto da SM se presenta almeno 3
dei fattori di rischio considerati.
Epidemiologia
La prevalenza di SM varia considerevolmente a seconda dei criteri usati (Ford e Li, 2008). Un’aggiornata review sistematica sulla prevalenza globale della SM in
età pediatrica e sulla variabilità legata alla definizione
(Friend et al., 2013) indica una prevalenza del 3,3% nella popolazione generale, dell’11,9% nella popolazione
sovrappeso e del 29,2% nella popolazione obesa. La
prevalenza era significativamente più elevata nei maschi rispetto alle femmine (5,2% vs. 3,1%) e negli adolescenti rispetto ai bambini (5,6% vs. 2,9%). La review
sottolinea che la prevalenza di SM è più alta quando
sono utilizzati criteri specifici per l’età rispetto ai criteri
dell’adulto e differisce tra bambini e adolescenti quando
sono utilizzati criteri specifici per queste età.
In Italia la prevalenza di SM è stata riportata in quattro
studi osservazionali condotti su bambini e/o adolescenti obesi. Pur considerando il fatto che sono stati usati
differenti criteri, sembra delinearsi una minore prevalenza nella popolazione settentrionale rispetto a quella
meridionale: Nord Italia 19,4% (Calcaterra et al., 2008)
e 23,3% (Lafortuna et al., 2010); Sud Italia 29,2% (Santoro et al., 2013) e 30,8% (Viggiano et al., 2009). Tutti gli
studi concordano sulla maggiore prevalenza di SM nei
soggetti con obesità severa rispetto ai quelli con obesità
moderata (Weiss et al., 2004; Calcaterra et al., 2008;
Lafortuna et al., 2010; Rank et al., 2013).
Le controversie della sindrome
metabolica: un fattore di rischio?
Oltre che sulla definizione esistono controversie anche sull’utilità della diagnosi di SM in età pediatrica.
Una delle principali limitazioni della definizione è l’uso di valori soglia delle varie componenti, che creano
Tabella II. Definizioni di sindrome metabolica pediatrica.
Adiposità
centrale
Pressione
arteriosa
Lipidemia
Glicemia/Insulinemia
Cook et al.
WC ≥ 90°
percentile
PAS o PAD ≥ 90°
percentile
Trigliceridi ≥ 110 mg/dl o
Colesterolo HDL <40 mg/dl
IFG = Glicemia ≥ 110 mg/dl
IDF
WC ≥ 90°
percentile
PAS ≥ 130 mmHg o
PAD ≥ 85 mmHg
Trigliceridi ≥ 150 mg/dl o
Colesterolo HDL ≤ 40 mg/dl
IFG = Glicemia ≥ 100 mg/dl
IDEFICS
WC ≥ 90°
percentile
PAS o PAD ≥ 90°
percentile
Trigliceridi ≥ 90° percentile
o Colesterolo HDL ≤ 10°
percentile
Indice HOMA o glicemia a
digiuno ≥ 90° percentile
HOMA = [(glicemia (mg/dl) /18)
X insulinemia(mmol/l)]/22,5
Definizione
Abbreviazioni: WC: circonferenza vita; PAS e PAD: pressione arteriosa sistolica e diastolica; IDEFICS: Identification and prevention of Dietary- and lifestyle-induced health Effects in Children and infantS; IDF: International Diabetes Federation; IFG: alterata glicemia a digiuno;
BMI: indice di massa corporea; HOMA: indice di insulinoresistenza.
133
E. Mozzillo et al.
un sistema dicotomico, che può oscurare importanti informazioni in studi di associazione con il rischio
cardiometabolico. In alternativa è stato suggerito uno
score continuo, che si ottiene sommando gli z-score di ciascuna componente, allo scopo di offrire un
metodo sensibile e meno soggetto ad errori (Battista
et al., 2009).
Ci sono dubbi sulla stabilità del fenotipo SM durante
l’età pediatrica e nel passaggio all’età adulta. In un
recente studio durato 9 anni è stato dimostrato che
la maggior parte dei casi di SM diagnosticati in adolescenza non persisteva nel giovane adulto (Stanley
et al., 2014), suggerendo che la diagnosi di SM nella
popolazione adolescenziale generale può avere scarsa utilità clinica.
Poiché la SM può avvenire anche indipendentemente
dall’aumento di peso, occorre un’ulteriore cautela: dimostrare la sua presenza nella popolazione generale
non predice necessariamente la sua persistenza negli anni successivi e di conseguenza il rischio cardiometabolico, mentre il suo mancato riscontro potrebbe
dare una falsa rassicurazione in coloro in cui il BMI
continua ad aumentare (Stanley et al., 2014).
In uno studio longitudinale (Magnussen et al., 2012) è
stato dimostrato che soggetti con SM diagnosticata in
età pediatrica ma non confermata in età adulta, non
mostravano aumentato rischio di T2DM o di ispessimento medio intimale carotideo (cIMT) (espressione di
aterosclerosi precoce) paragonati a coloro che in età
pediatrica non avevano avuto diagnosi di SM. Coloro
che invece presentavano persistenza della SM dall’infanzia al giovane adulto avevano un rischio aumentato.
Al contrario di quanto avviene nella popolazione
generale, una più elevata stabilità sia delle singole
componenti che della loro associazione è stata dimostrata negli adolescenti obesi, almeno quando
l’eccesso ponderale resta stabile o peggiora (Weiss
et al., 2009). Nei soggetti sovrappeso/obesi solo le
definizioni più conservative, quelle cioè basate sui
cut off del 95%, erano associate all’entità di cIMT, su
cui la presenza di IGT aveva un forte potere predittivo
(Reinehr et al., 2008).
Un’altra critica all’uso della diagnosi di SM è legata
alla questione se essa abbia un effetto predittivo aggiuntivo rispetto alla diagnosi delle sue componenti
isolate. Magnussen et al. hanno dimostrato che il solo
BMI prediceva il cIMT e il T2DM alla stessa stregua
della SM (Magnussen et al., 2010). Questi dati rinforzano il concetto che alcuni elementi della SM possono avere un peso predittivo sul rischio cardiometaboli-
134
co maggiore di altri, in particolare la sola condizione di
obesità o di obesità addominale (Hobkirk et al., 2012).
La mancanza di stabilità nella diagnosi di SM in pediatria solleva numerose domande su quale sia l’approccio ottimale per lo screening. Mentre lo screening
della SM come entità diagnostica è discutibile, vi
è consenso unanime sull’importanza di cercare le
componenti individuali per la valutazione del rischio
cardiometabolico e per indirizzare i bambini al trattamento più idoneo. Sulla base delle evidenze scientifiche, particolare attenzione va rivolta ai bambini
sovrappeso/obesi, in cui si dovrebbe approfondire la
presenza di fattori di rischio cardiometabolici attraverso l’anamnesi familiare, la valutazione del pattern
di crescita e di sviluppo, delle abitudini alimentari e
dei livelli di attività fisica, della pressione arteriosa,
del profilo lipidico, dei segni di IR (acanthosis nigricans, ovaio policistico) o di T2DM e l’esposizione
al fumo (Expert panel on integrated guidelines for
cardiovascular health and risk reduction in children
and adolescents, 2011).
Conclusioni
Tutte le indagini concordano circa un aumento nella prevalenza di SM nei bambini e negli adolescenti
contemporaneamente all’epidemia di obesità. Tuttavia
non è possibile attribuire alla SM un completo significato clinico.
Gli studi condotti sulla SM e sulle sue componenti individuali nei bambini e negli adolescenti indicano che:
1. le risposte metaboliche all’eccessiva adiposità avvengono già in epoca precoce;
2. la coesistenza di più fattori di rischio è indicativa di
un aumentato rischio cardiometabolico rispetto a
soggetti che non hanno questa associazione;
3. i fattori di rischio, individuali o associati, rappresentano un campanello di allarme per intraprendere una modifica dello stile di vita.
Poiché l’eccesso ponderale associato ai fattori di rischio cardiometabolici può compromettere l’integrità
anatomica e funzionale del sistema cardiovascolare,
il riscontro di un fattore di rischio tra quelli considerati
per la diagnosi di SM nel soggetto sovrappeso/obeso, deve indurre il pediatra a indagare anche gli altri fattori di rischio cardiometabolici, per ottenere una
modifica dello stile di vita (appropriato introito calorico, limitazione di cibi aterogeni, aumento dell’attività
fisica e astensione dal fumo), estendendo l’intervento
all’intero nucleo familiare.
Controversie sulla sindrome metabolica?
Box di orientamento
• Cosa sapevamo prima
La sindrome metabolica comprende un insieme di fattori di rischio cardiometabolico e si associa ad un
aumento delle complicanze cardiovascolari dimostrato solo nell’adulto, che identifica nell’obesità l’elemento cardine.
• Cosa sappiamo adesso
La sindrome metabolica è presente anche in età pediatrica, tuttavia il suo significato clinico e prognostico
è ancora discusso.
• Quali ricadute sulla pratica clinica
Il pediatra dovrebbe considerare, nella sua pratica clinica, la presenza, anche nel bambino, dei fattori di
rischio cardiometabolico, e la loro possibile associazione al rischio cardiovascolare in età adulta. L’adesione ad uno stile di vita sano sia del bambino che dell’intero nucleo familiare, è uno degli obiettivi della
pratica clinica ambulatoriale.
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** Questo articolo è una consensus che
presenta i criteri di diagnosi della sindrome
metabolica considerati dall’International
Diabetes Federation.
Corrispondenza
Adriana Franzese
Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione di Pediatria, Ed. 11 A, Azienda Ospedaliera Universitaria Federico
II, via S. Pansini 5, 80131 Napoli - E-mail: [email protected]
136
Prospettive in Pediatria
Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 137-142
Frontiere
La next generation
sequencing è entrata
nella pratica pediatrica?
Vincenzo Nigro
Dipartimento di Biochimica,
Biofisica e Patologia Generale,
Laboratorio di Genetica medica,
Seconda Università degli Studi
di Napoli, NGS Facility, Telethon
Institute of Genetics and
Medicine (TIGEM), Pozzuoli (NA)
La “next generation sequencing” (NGS) è molto più che una nuova tecnica per leggere le
sequenze di DNA. Produce sequenze con una processività parallela immensa che continua a crescere in modo esponenziale e oggi è nell’ordine di centinaia di miliardi di basi di
DNA per analisi. Questo fa sì che l’NGS estenda le proprie opportunità di investimento in
ogni settore delle scienze della vita che, con le nuove conoscenze prodotte, ne risulterà
trasformato. Anche per la genetica umana è diventata una tecnologia insostituibile. L’NGS
sta rivoluzionando i test genetici diagnostici, sostituendo l’approccio “gene per gene” con
una strategia a pannelli di geni. Questi pannelli possono essere focalizzati ad un singolo
o molteplici geni. Questo nuovo approccio è particolarmente promettente per la diagnosi
di malattie pediatriche neuromuscolari, endocrinologiche, metaboliche, ecc., che sono caratterizzate da una forte eterogeneità clinica e genetica. Con la NGS è possibile effettuare
un’indagine genetica senza dover necessariamente ipotizzare un gene responsabile a
priori, ma sequenziare un pannello molto ampio di geni o, per finalità di ricerca, tutto il
genoma.
Riassunto
The “next generation sequencing” or NGS is much more than a new technique for reading the DNA sequence. It produces sequences with at a huge throughput that continues
to grow exponentially and is now in the order of hundreds of billions of DNA bases for
analysis. This causes the NGS to extend its investment opportunities in every field of life
sciences which, with the new knowledge generated, will be transformed. Even for human
genetics it has become a matchless technology. The NGS is revolutionizing genetic testing
diagnostics, replacing the “gene by gene” strategy with a panel of genes.These panels can
be focused on a single gene or widespread.This new approach is particularly promising for
the diagnosis of pediatric neuromuscular diseases, endocrine, metabolic disorders, etc. that
are characterized by a strong clinical and genetic heterogeneity. Using NGS it is possible to
perform a genetic diagnosis without aiming at a single candidate gene, but to sequence a
very large panel of genes or, for research purposes, the whole genome.
Summary
Metodologia della ricerca
bibliografica effettuata
chiave “whole exome sequencing” ha prodotto 4789
articoli, di cui solo 70 (1,4%) prima del 2011.
La ricerca degli articoli rilevanti è stata effettuata tramite la banca bibliografica PubMed (http://www.ncbi.
nlm.nih.gov/pubmed), utilizzando come parole chiave: “next generation sequencing”, “whole exome sequencing”, “targeted sequencing” Sono stati inclusi
solo gli articoli in lingua inglese. La quasi totalità degli
articoli sull’argomento è stata pubblicata negli ultimi 4
anni; ad esempio la ricerca in Pubmed con la parola
Introduzione: cosa significa NGS
Il termine “Next Generation Sequencing” (d’ora in
avanti NGS) definisce differenti tecnologie di sequenziamento parallelo del DNA che consentono di
analizzare DNA misti. Questa proprietà è una svolta epocale rispetto al sequenziamento tradizionale
Sanger. Quest’ultimo ha tre fasi: la prima che serve a
preparare miliardi di copie identiche di ciascun fram137
V. Nigro
mento di DNA per volta; la seconda fase che ricopia
la sequenza delle basi di DNA con blocchi specifici
causati da deossinucleotidi terminatori; la terza fase
è l’elettroforesi di frammenti di lunghezze discrete che
fa identificare ciascuna base terminatrice. Nonostante
ci sia stata negli anni un’evoluzione del metodo Sanger, questa ha riguardato solo la velocizzazione della
terza fase di separazione elettroforetica ad opera dei
sequenziatori capillari. Poco è stato fatto per velocizzare le prime due fasi, molto più limitanti, di preparazione e di ricopiatura di frammenti individuali di DNA.
La tecnologia NGS supera questo collo di bottiglia,
consentendo di evitare i passaggi di amplificazione
individuale, purificazione e ricopiatura di singoli segmenti di DNA omogenei. I vantaggi dell’NGS sono
ovviamente più evidenti quanto più numerosi sono
i segmenti di DNA da analizzare e, nel campo delle malattie genetiche, quanto più numerosi e grandi
sono i geni da studiare per una diagnosi molecolare.
Ad esempio, con il Progetto Genoma Umano (basato
su metodo Sanger) dal 1990 al 2003 sono stati coinvolti molti laboratori nel mondo per sequenziare un
solo genoma, mentre con l’NGS la stessa analisi è da
considerarsi fattibile in circa 30 ore con uno sequenziatore di medie dimensioni.
Evoluzione della NGS
e delle tecniche di arricchimento
L’NGS negli ultimi 10 anni ha avuto un’evoluzione dinamica con altrettanto rapida obsolescenza: il primo
sistema (454 Sequencer) produceva 25 milioni di basi
sequenziate per volta (Margulies et al., 2005), mentre il sistema più recente introduzione (Illumina HiSeq
X Ten, http://www.illumina.com/systems/hiseq-x-sequencing-system/system.html) legge 18.000 miliardi
di basi di DNA, cioè circa 1 milione di volte in più in
soli 9 anni. L’X Ten usa la tecnologia detta di “patterned flow cell” con cui è possibile amplificare e ripartire ogni singolo clone di molecole su un supporto fisico a micropozzetti: questo equivale a ripartire ciascun
frammento di DNA in una tra miliardi di microprovette
distinte. Parallelamente i costi di sequenza/bp si sono
ridotti di oltre 10.000 volte rispetto al 454 Sequencer e 5 milioni di volte rispetto al metodo Sanger. È
però indispensabile precisare alcuni requisiti dei sistemi NGS: 1) meno costa sequenziare una base del
DNA, più costano le apparecchiature; 2) è possibile
sequenziare molti miliardi di basi di DNA ad un costo
ridotto, ma, se non si sequenzia l’intero genoma umano, si deve considerare il costo e l’efficienza della cattura mirata delle sequenze da analizzare mediante le
tecniche di arricchimento. Queste procedure servono
a focalizzare il sequenziamento solo verso sequenze predeterminate. Anche in questo campo c’è stata
un’importante evoluzione: la capacità di sintetizzare
contemporaneamente decine di migliaia di differenti
oligonucleotidi. Questo è utile sia per i protocolli più
138
tradizionali di multiplex PCR ad alta processività (Fluidigm, Raindance, AmpliSeq), sia per altri due approcci senza PCR: il primo consiste nella cattura per
ibridazione (Agilent SureSelect e NimbleGen/Roche
SeqCap EZ), mentre il secondo nell’ ibridazione seguita da una fase di estensione (Haloplex da Agilent e
TruSeq da Illumina). L’uso di metodi di arricchimento
sempre più precisi ed affidabili sta portando la NGS
dal laboratorio di ricerca alla diagnostica di routine.
La validazione su larga scala ne sta permettendo un
impiego affidabile e a costi contenuti.
Applicazioni e limiti dell’NGS
in genetica
Grazie alle tecniche di arricchimento oltre al sequenziamento genomico (whole genome sequencing o
WGS), sono stati sviluppati tre approcci più mirati
quali il sequenziamento dell’esoma (whole exome
sequencing o WES) o il sequenziamento di pannelli di geni, noto anche come “targeted sequencing”
(TS) che può essere focalizzato o esteso a molti geni
(Tab. I). Il TS è principalmente utilizzato per indirizzare le regioni codificanti di un gruppo di geni, ma
anche per il sequenziamento di ampie regioni genomiche non codificanti, con l’arricchimento preliminare delle regioni da sequenziare. In entrambi i casi la
conseguenza più immediata delle applicazioni NGS
su larga scala è che i test genetici ci portano ad un
livello superiore di complessità. Mentre la situazione
ideale sarebbe quella di trovare una sola mutazione
causativa, le difficoltà nascono dalla gestione di molteplici variazioni del DNA per paziente con significato
apparentemente patogenetico in base alla letteratura
scientifica.
È importante chiarire che indipendentemente dall’arricchimento, l’NGS è semplicemente una tecnica
molto potente di sequenziamento del DNA: produce
sequenze più numerose e brevi e, per certi aspetti,
meno accurate della metodica Sanger e non identifica
categorie supplementari di varianti geniche (Tab. II).
Pertanto quello che non è accertabile mediante sequenziamento Sanger è ancora più invisibile all’NGS.
In particolare, l’NGS può risultare a “bassa copertura”
se ci sono basi che hanno una profondità di copertura <20X, cioè la stessa sequenza letta meno di 20
volte. Questo implica che la profondità media dovrebbe essere molto superiore a 20X. Alcune regioni del
DNA sono particolarmente inclini ad avere una bassa
copertura a causa di regioni ricche in basi G/C ed in
tali regioni le varianti, specie in eterozigosi, non sono
identificabili.
Inoltre, ampie delezioni e duplicazioni, come quelle
alla base della distrofia muscolare di Duchenne, specie in eterozigosi, sono difficilmente identificabili. Ogni
tentativo di analisi comparativa mediante software ha
mostrato alte percentuali di insuccesso. La limitazione
è dovuta ai passaggi di PCR previsti nei metodi di ar-
NGS in pediatria
Tabella I. Dimensioni dei progetti di NGS in funzione del target (valori indicativi).
Target
Basi del DNA
presenti nel
target
Copertura
mediana
richiesta
Basi del DNA
da sequenziare
Varianti
attese
Costo minimo
della sola NGS**
WGS (genoma)
3.100.000.000
30x
> 120 Gb*
3.000.000
2.500 €
50.000.000
100x
10 Gb
30.000
900 €
1.500.000
200x
1 Gb
1.000
400 €
50.000
300x
0.05 Gb
30
300 €
WES (esoma)
Pannello esteso
Pannello focalizzato
Gb = 1 miliardo di nucleotidi sequenziati
I costi sono il minimo sul mercato e si riferiscono ai materiali per il solo sequenziamento senza considerare i costi accessori delle validazioni con metodica Sanger, l’analisi bioinformatica dei dati e lo studio di altri parenti
*
**
Tabella II. Identificazione delle varianti genomiche in base alla tecnica utilizzata.
Sequenziamento
Sanger*
MLPA*
NGS
Array CGH
Sostituzione di uno o pochi nucleotidi
(SNP)
+++
+/-
+++
-
Delezioni/duplicazioni di pochi nucleotidi
Varianti
*
+++
++
+
-
Espansioni di triplette
+
-
-
-
Delezioni /duplicazioni grandi
come un intero esone
-
+++
-
+
Delezioni o duplicazioni di ampie regioni
cromosomiche(CNV)
-
++
+/-
+++
Indagini mirate alla regione genomica mutata
ricchimento che producono sbilanciamenti quantitativi tra ampliconi. Pertanto è consigliabile far precedere
od associare tecniche quali MLPA o array CGH.
Inoltre lunghe sequenze ripetute, come quelle osservabili nella sindrome dell’X fragile sono ugualmente
non valutabili. Infine, delezioni in sequenze ripetute
come quelle alla base dell’atrofia muscolare spinale
(SMA) sono in sostanza non studiabili con NGS per
problemi di ambiguità nell’assegnazione delle corte
sequenze prodotte. Inoltre c’è un’altra categoria di varianti del DNA che, seppure lette, non sono interpretabili e restano occultate tra migliaia di altre varianti di
significato sconosciuto.
Diagnosi molecolare mediante
pannelli focalizzati di geni
Questo tipo di applicazioni dell’NGS è tra le più diffuse e di maggiore riscontro pratico immediato. L’uso di
pannelli di pochi geni non ha alcuna differenza con la
diagnostica tradizionale sia per l’interpretazione dei
risultati sia per quanto riguarda i dilemmi etici. In genere l’analisi si effettua solo sul propositus e poi si verifica la presenza nei genitori delle varianti riscontrate.
Si sequenziano 1-20 geni specifici utilizzando piccoli
strumenti NGS da banco, come Ion Torrent PGM o
Illumina MiSeq. Moltissime pubblicazioni mostrano la
buona affidabilità delle procedure con l’identificazione delle mutazioni più rapida e più completa rispetto
alle tecniche tradizionali. Ad esempio la tecnica NGS
è stata già utilizzata con successo per la diagnosi di
iperfenilalaninemia tramite l’analisi dei geni PAH, PTS,
QDPR, GCH1 e PCBD1 (Cao et al., 2014), per la diagnosi di neurofibromatosi di tipo I tramite l’analisi del
gene NF1 (Maruoka et al., 2014), per la diagnosi di sindrome di Stickler mediante l’analisi dei geni COL11A1
ed COL11A2 (Acke et al., 2014), o in condizioni geneticamente più eterogenee come nella ciliopatia associata a nefronoftisi (Halbritter et al., 2012) o nell’anemia di
Fanconi (De Rocco et al., 2014). La tecnica va associata a metodologie per rilevare delezioni o duplicazioni
che, se in eterozigosi, sono non correttamente rilevate
dall’analisi bioinformatica dei dati NGS. Un’altra applicazione è nello screening neonatale, ad esempio di
fibrosi cistica (Baker et al., 2015).
Diagnosi molecolare
con pannelli estesi
I pannelli estesi non sostituiscono solo le tecniche
diagnostiche tradizionali, ma offrono una visione d’insieme di molte varianti geniche. Si ottengono selezio139
V. Nigro
nando un numero di geni molto più ampio (100-5.000),
includendo geni anche molto grandi e geni candidati
per gruppi selezionati di malattie genetiche. Ad esempio, un’interessante applicazione riguarda tutte le malattie associate a disordini mitocondriali (Dames et al.,
2013). Questi pannelli rappresentano un’alternativa
più efficiente e hanno necessità che la procedura di
sequenziamento sia affidata a strumentazioni in grado
di fornire, ad un costo/campione accettabile, almeno
0,5-3Gb di basi sequenziate per campione. Esistono
due categorie di pannelli estesi: quelli a fini diagnostici, in cui i geni sono tutti attualmente noti come associati a malattie genetiche e quelli a scopo di ricerca in
cui sono inclusi geni candidati scelti perché appartengono a “pathways” simili. Un esempio è dato dal pannello Haloplex per la sindrome di Usher (Aparisi et
al., 2014) o del pannello di 891 geni che include i geni
delle malattie da accumulo lisosomiale, dell’autofagia
e del pathway endocitico (Di Fruscio et al., 2015). Un
altro esempio di pannello esteso è quello costituito
da tutti i geni associati a malattie neuromuscolari (Savarese et al., 2014). Il vantaggio dei pannelli estesi è
rappresentato dalla possibilità di un’analisi più ampia
di quella resa possibile dai pannelli focalizzati con un
maggior numero di informazioni. Comporta però un
maggior numero di varianti da interpretare. Rispetto al
pannello focalizzato, l’indagine prevede la necessità
di analizzare contestualmente il DNA di entrambi i genitori. Questo per tre motivi, tutti vincolanti: l) la necessità di individuare le varianti de novo in una famiglia
con genitori sani e figli affetti; 2) in alternativa, in caso
di supposta trasmissione autosomica recessiva, la
necessità di distinguere se due varianti sono presenti
entrambe su uno stesso allele (in cis) o ciascuna deriva da un genitore (in trans); 3) l’impossibilità tecnica
di validare con tecnica Sanger centinaia o migliaia di
varianti uniche.
Un approccio ancora più estensivo è dato dal “ClearSeq Inherited Disease Panel” (Agilent). Con questo
pannello il sequenziamento è mirato a ben 2.742 geni
sinora coinvolti direttamente in malattie genetiche
mendeliane. In sostanza questo tipo di pannello potrebbe diventare la soluzione di base per studiare casi
sporadici, evitando il rischio dii ndividuare varianti in
geni ignoti.
Diagnosi con WES
Gli esoni rappresentano circa 1,5% del genoma e si
ritiene che contengano l’85% delle mutazioni che causano malattie genetiche. In alcuni laboratori si offre la
possibilità di diagnosi genetica mediante WES. In media, la possibilità di identificare mutazioni causative
con WES clinico è intorno al 26% (Lee et al., 2014). Un
test negativo non implica necessariamente che nessuna variante causativa è presente nel DNA del paziente,
ma può essere spiegato da problemi tecnici, difficoltà
nell’individuare specifiche mutazioni, o limitazioni inter140
pretative. Quando il numero dei geni aumenta, in parallelo aumenta il numero di varianti nuove e di significato
incerto. Questo fa sì che l’analisi computazionale di
WES richieda il confronto con un numero significativo di individui affetti. Un uso alternativo del WES è la
ricerca di mutazioni de novo del DNA nel caso di trios,
composti da un singolo bambino affetto ed entrambi i
genitori non affetti o di quartet con un altro figlio (affetto
o non affetto) (Lee et al., 2014).
In realtà, l’applicazione ideale del WES è scientifica
e consiste nell’identificazione di nuovi geni malattia,
ma il WES ovviamente può essere usato ugualmente
bene nello scoprire mutazioni note e prevedibili che
sarebbero state comunque identificate con un metodo
tradizionale mirato o con un pannello focalizzato, molto meno impegnativo e costoso, mentre per il targeted
sequencing l’applicazione ideale è nella diagnosi delle malattie genetiche eterogenee, riducendone l’impegno ed i tempi di attesa rispetto ad un approccio
tradizionale gene per gene.
Diagnosi con WGS
Già oggi esiste la possibilità di sequenziare i miliardi di
basi di DNA di un WGS con costi di circa 2500-3000€.
L’idea di base è che sequenziare tutto il genoma significa avere un’informazione completa che potrà essere
utilizzata per molteplici scopi anche negli anni futuri, quando sarà più facile un’analisi comparativa tra
milioni di WGS. Tuttavia, anche se queste possibilità
scientifiche sono affascinanti e ricevono sempre più
l’attenzione dell’industria e importanti investimenti governativi e privati, sono ben oltre la portata di un’esigenza diagnostica immediata e dall’altro lato contengono alcuni rischi e difficoltà. La prima sorpresa è che
il WGS ha circa il 25% di probabilità di identificare la
cusa di una malattia genetica, valore molto deludente
che indica quante varianti restano non sequenziate o
non interpretate (Dewey et al., 2014).
Tre decisioni prima di adottare
l’NGS
L’adozione dell’NGS nella routine diagnostica pone
tre principali questioni che devono essere affrontate e
risolte prima di effettuare ogni procedura.
1)Il primo quesito è dato dalla scelta del pannello
di geni. Questo potrà essere focalizzato ai singoli
geni malattia o esteso, fino ad arrivare al WES o al
WGS. Da questa decisione che incide sui tempi e
sui costi del test dipende ogni altra considerazione
successiva. Infatti, un test molto mirato è equivalente da un punto di vista etico alle tecniche tradizionali e spesso si conclude in un tempo accettabile con un referto di più semplice interpretazione.
Tuttavia è evidente che più è ristretto il test minore
è la possibilità di scoprire cause meno frequenti o
nuove di malattia.
NGS in pediatria
2)La seconda decisione riguarda l’analisi dei dati.
Con differenti algoritmi si possono modulare le liste di varianti geniche riportate. Quest’aspetto è di
solito sottovalutato e lasciato al settore bioinformatico, ma dovrebbe essere valutato e concordato a
priori. Infatti, c’è la possibilità di richiedere valori
di maggiore sensibilità a scapito della specificità
o l’inverso. Se la specificità è ridotta, le varianti
potrebbero non essere confermate con sequenziamento tradizionale; se invece la sensibilità è ridotta alcune varianti causative potrebbero essere
scartate all’analisi. Anche questa scelta non è di
facile soluzione.
3) La terza decisione riguarda soprattutto i pannelli
che contengono molti geni, soprattutto il WES e
il WGS: tra i dati potrebbero essere prodotte informazioni genetiche sensibili, non previste e non
richieste. Queste riguardano varianti predittive di
malattie che ancora non si sono manifestate clinicamente o varianti di suscettibilità allo sviluppo di
neoplasie. Esiste una lista di geni prodotta dall’American College dei genetisti medici (ACMG) in
cui sono elencate tutte le possibili condizioni genetiche (Green et al., 2013) che è possibile diagnosticare incidentalmente tramite l’utilizzo di WES.
Considerato il tema della specificità, il dilemma è
se cercare di fare una validazione per certificarne
l’esistenza o riportarle come tali o non indagarle.
Cosa fare dopo l’NGS
Un punto cruciale per valutare l’impatto di una variante genica è il confronto con banche dati di pazienti e
controlli. Esistono databases on line che classificano
varianti già riscontrate in patogeniche, di significato
incerto o polimorfismi. Con tutte le riserve sulla qualità delle annotazioni di varianti patogeniche, è senz’altro utile il confronto con l’Human Gene Mutation Database (HGMD). Per stabilire le frequenze alleliche
di ciascuna variante identificata è indispensabile la
consultazione del sito web dell’Exome Aggregation
Consortium (EXAC, http://exac.broadinstitute.org/)
che riporta i dati relativi a 60.706 individui. Altre iniziative internazionali, come Phenome Central (https://
phenomecentral.org/), mirano a fornire una piattaforma per la condivisione sicura dei dati.
Il grande numero di geni e di trascritti alternativi del-
lo stesso gene impone che nei referti diagnostici sia
annotata la posizione univoca genomica della base
mutata del DNA. Il riferimento universale è la sequenza denominata hg.19 e l’annotazione dovrà indicare
cromosoma: base. Ad esempio, la più nota variante
patogenica alla base della fibrosi cistica (delta F508)
sarà indicata come 7:117199644 ATCT/A.
Pur tenendo conto della complessità interpretativa,
l’enorme potenziale dell’NGS spiega perché queste
stia diventando la metodica di prima scelta nei laboratori che si occupano di diagnostica molecolare
(Vrijenhoek et al., 2015; Weiss et al., 2013). In futuro,
inoltre, con molta probabilità,se saranno disponibili algoritmi di più facile interpretazione, la tecnologia NGS
potrà essere applicata ai test di screening molecolari.
Glossario genetico
nell’era dell’NGS
Il BAM è un file binario che corrisponde alla versione
compressa di un file SAM. Il file BAM contiene le sequenze del DNA dopo l’allineamento alla sequenza
genomica di riferimento. Il file BAM contiene un’intestazione (nome e lunghezza della sequenza) ed un
allineamento che ne fornisce le specifiche di sequenza e qualità. I file BAM sono adatti per l’analisi con
un visualizzatore esterno come IGV o con il browser
UCSC.
Il Formato FASTQ è basato su caratteri di testo per
l’archiviazione di una sequenza associata a punteggi
di qualità. Sia la sequenza sia il punteggio di qualità
sono codificati con un singolo carattere ASCII. Recentemente è diventato lo standard dei dati NGS prodotti
dai sequenziatori Illumina.
Il formato Variant Call Format (VCF) serve a riportare i dati di sequenza in modo compatto, indicando
solo le differenze rispetto alla sequenza di DNA di riferimento.
Aplotipo: La combinazione di marcatori allelici consecutivi (può essere composta di polimorfismi o varianti rare) in una piccola regione cromosomica che
difficilmente è separata da eventi di crossing-over.
Copertura / profondità di copertura: il numero di sequenze indipendenti che leggono la stessa posizione
nel genoma sequenziato.
Target: sequenza di DNA selezionata dal genoma
con tecniche di arricchimento.
141
V. Nigro
Box di orientamento
• Cosa sapevamo prima
Prima dell’NGS si riteneva che alla base delle malattie genetiche vi fosse una mutazione in un solo gene
e tutto il resto fosse più o meno stabile.
• Cosa sappiamo adesso
Ogni individuo, sano o affetto, ha molte varianti patogeniche nel proprio genoma.
• Quali sviluppi si possono prevedere per il futuro
La comprensione migliore della variabilità delle malattie genetiche e della suscettibilità genetica a malattie comuni.
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national collaborative study of Dutch genome diagnostic laboratories. Hum Mutat
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Corrispondenza
Vincenzo Nigro
Dipartimento di Biochimica, Biofisica e Patologia Generale, Laboratorio di Genetica medica, Seconda Università degli
Studi di Napoli, via Luigi De Crecchio 7, 80138 Napoli - NGS Facility, Telethon Institute of Genetics and Medicine (TIGEM),
via Campi Flegrei 34, 80078 Pozzuoli (NA) - E-mail: [email protected]
142
Prospettive in Pediatria
Aprile-Giugno 2015 • Vol. 45 • N. 178 • Pp. 143-159
Tavola Rotonda
Programmi di screening neonatale
per malattie metaboliche ereditarie
Napoli, 23 gennaio 2015
Moderatori:
Generoso Andria
Università di Napoli Federico II, Centro di Coordinamento
Malattie Rare Regione Campania, Napoli
Fabio Sereni
Professore Emerito di Pediatria, Università di Milano
I programmi in atto in Europa e in Italia
Domenica Taruscio
Centro Nazionale Malattie Rare, Istituto Superiore
di Sanità, Roma
Le evidenze scientifiche per le scelte politiche
Carlo Dionisi Vici
Presidente SIMMESN, Ospedale Pediatrico Bambino
Gesù, Roma
I provvedimenti legislativi italiani
Serena Battilomo
Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria,
Ministero della Salute, Roma
Il punto di vista della sanità pubblica
e delle regioni
Paola Facchin
Coordinatore del Tavolo Tecnico Interregionale per
le Malattie Rare presso la Commissione Salute,
Università degli Studi di Padova
Il follow-up e la presa in carico dei pazienti
Maria Alice Donati
Sezione Malattie Metaboliche e Muscolari Ereditarie,
Dipartimento di Neuroscienze, A.O.U. Anna Meyer, Firenze
Il punto di vista delle Associazioni
e dell’opinione pubblica
Manuela Vaccarotto
Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche
Ereditarie, Padova
Aspetti etici
Sara Casati
Presidente del Comitato Etico di Ateneo, Università
di Milano-Bicocca
Introduzione
Fabio Sereni
Vorrei aprire questa Tavola
Rotonda con un ringraziamento per Generoso Andria,
che ha l’ha organizzata. Lo
ringrazio anche perché il
tema che sarà qui discusso
si inquadra perfettamente
nella tradizione di Prospettive in Pediatria, che fin dai
primi anni dalla sua fondazione ha sempre voluto proporre all’attenzione dei pediatri, e anche di
amministratori e politici, temi di gestione di sanità
pubblica.
Il tema degli screening neonatali allargati, con i tanti punti ancora da chiarire, è perfettamente in linea
con la nostra tradizione e la nostra “missione”.
Ma la vera introduzione spetta a Generoso, non solo
come organizzatore e generoso ospite, ma, soprattutto, come esperto della materia.
Generoso Andria
Gli screening neonatali di
massa hanno rappresentato
da qualche decennio, anche
nel nostro paese, un intervento importante di medicina preventiva. Delle tre malattie indicate nella legge 104/1992, da
sottoporre in Italia a screening
obbligatorio, cioè fenilchetonuria, ipotiroidismo congenito e fibrosi cistica, solo la prima è una malattia metabolica ereditaria. Con l’introduzione di nuove tecnologie, in particolare della spettrometria di massa tandem, si è reso possibile effettuare
su gocce di sangue adsorbite su carta bibula, analisi
di sostanze indicative di un numero sempre maggiore di difetti metabolici congeniti. Si è quindi progressivamente esteso il dibattito nei vari paesi per attuare
programmi di screening neonatale, allargato anche a
decine di malattie metaboliche ereditarie.
143
Tavola Rotonda
Questa Tavola Rotonda vuole offrire una riflessione
sulle scelte possibili nel nostro paese per implementare programmi di screening esteso. Per questo ringrazio tutti coloro che hanno accettato l’invito a essere presenti qui oggi, che esprimeranno sicuramente
punti di vista diversi: il punto di vista scientifico, quello
della sanità pubblica (Ministero della Salute/Istituto
Superiore di Sanità/Regioni), le problematiche della
presa in carico e del follow-up dei soggetti depistati
dallo screening, il punto di vista dell’opinione pubblica
(genitori/associazioni) e la discussione sugli aspetti
etici. Due voci non sono presenti: quella degli esperti
di medicina di laboratorio, in quanto diamo per acquisita la qualità degli strumenti tecnologici oggi a disposizione, e quella dell’industria che produce farmaci
per malattie metaboliche, per ovvi potenziali conflitti
d’interesse.
Prima di dare l’avvio ai vari interventi, desidero enunciare due punti fondamentali, da non dimenticare nel
corso della discussione:
• lo screening neonatale è un programma completo,
che deve essere in grado di prendere in carico il
paziente individuato allo screening e mirare a una
valutazione e a un monitoraggio sull’efficacia del
trattamento; certamente non si identifica con la
disponibilità di tecnologie anche avanzate, che riguarda solo il momento della diagnosi;
• esistono diversi punti di vista, tutti legittimi, sull’argomento, come si rileva anche dalla composizione
del panel di questa Tavola Rotonda. Abbiamo voluto metterli a confronto, per trovare, se possibile,
una sintesi, in vista di decisioni politiche operative.
I programmi in atto in Europa
e in Italia
Domenica Taruscio
Generoso Andria: Il primo relatore è la dottoressa Domenica Taruscio, direttore di ricerca
dell’Istituto Superiore di Sanità
e responsabile del Centro Nazionale Malattie Rare, che ha
coordinato un Tender europeo
alcuni anni fa, comprendente
un’indagine conoscitiva sui programmi di screening
neonatale in 39 nazioni dell’Europa, allargata, anche
oltre i 28 membri dell’Unione Europea. A Domenica
Taruscio il compito di illustrare la situazione molto variegata che è presente nei vari paesi europei nell’organizzazione dei programmi di screening neonatale
per malattie metaboliche ereditarie.
Domenica Taruscio: Riferirò brevemente i risultati
di due progetti di ricerca, uno europeo e uno nazionale, coordinati dal Centro Nazionale Malattie Rare
dell’Istituto Superiore di Sanità. Il primo, come appe144
na ricordato, fa parte dei cosiddetti progetti Tender:
cioè è un progetto con obiettivi fissati dalla Commissione Europea, che viene assegnato attraverso una
selezione pubblica. Il nostro progetto denominato
“Evaluation of population for newborn screening
practices for rare diseases in the member states of
the European Union” è durato dal 2009 al 2011. Tutte le informazioni sono reperibili sul sito dell’Istituto
Superiore di Sanità (http://www.iss.it/cnmr/index.
php?lang=1&id=1621&tipo=72) e sul sito della Commissione Europea (http://ec.europa.eu/health/rare_
diseases/screening/index_en.htm).
Questo progetto aveva lo scopo di effettuare un’indagine conoscitiva sullo stato dell’arte degli screening
neonatali nei Paesi della Unione Europea e non solo
(nel progetto, infatti sono stati inseriti 39 Paesi in totale). Inoltre, veniva richiesto di scrivere una relazione
sui risultati di questa indagine, e di produrre un’expert opinion document riguardante i diversi ambiti
degli screening neonatali. Obiettivo finale del Tender
era infatti di proporre una procedura decisionale condivisa e costruire un network di esperti da ciascuno
Stato Membro, che potesse assistere la Commissione Europea nella elaborazione di azioni comunitarie.
I risultati sono consultabili nei report di progetto e parte di questi dati sono stati pubblicati in riviste peerreviewed (Loeber et al., 2012; Burgard et al., 2012;
Cornel et al., 2014). L’indagine europea è stata fatta
raccogliendo informazioni sulle varie componenti del
sistema di screening neonatale, a partire dalle procedure decisionali dei programmi di screening, passando per la raccolta dei campioni, l’organizzazione dei
laboratori, le procedure di comunicazione della diagnosi, la conferma diagnostica. Nel database sono
stati messi a confronto i vari paesi analizzati, anche
normalizzando i dati rispetto al PIL pro capite. La Figura 1 riassume alcuni dei dati raccolti nell’indagine.
Generoso Andria: Credo debba essere sottolineata
la situazione, tra le altre, di Francia e Regno Unito con
standard socio-sanitari non dissimili da quelli dell’Italia, che hanno, comunque, numero molto bassi (5-7)
di malattie metaboliche oggetto di screening.
Domenica Taruscio: Per quanto riguarda il numero
di laboratori e il numero di bambini screenati, l’Italia è in una posizione medio-alta, perché possiede
molti (forse anche troppi) laboratori per lo screening. Il vero problema sta nel fatto che il controllo di
qualità e la quality assurance vengono effettuati solo
per i laboratori e non per altre tappe del programma, come ad esempio il processo di comunicazione della diagnosi e altri step (Tab. I). Nello studio
che abbiamo effettuato è anche emerso che i Paesi
dell’Unione Europea non auspicano di avere un regolamento europeo; prevale quindi l’idea che ogni
Paese debba gestire questa materia autonomamente e per proprio conto.
Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie
Figura 1. Numero di malattie metaboliche presenti nei programmi di screening neonatale e Prodotto Interno Lordo in
Paesi europei.
Tabella I. Aspetti della fase di conferma diagnostica nei programmi di screening neonatale europei.
Nessun
programma
(%)
QC
(%)
QC & QA
(%)
QA
(%)
Procedure del laboratorio di diagnosi
6 ± 10
52 ± 17
26 ± 19
15 ± 19
“Feedback” al laboratorio di screening
39 ± 20
38 ± 16
7±8
16 ± 19
Procedure di diagnosi e trattamento
40 ± 22
37 ± 18
7±8
16 ± 19
Età alla diagnosi e al trattamento
42 ± 23
28 ± 16
14 ± 12
16 ± 19
Comunicazioni su diagnosi e trattamenti
76 ± 15
1±2
24 ± 14
0±0
Aspetti della fase
di conferma diagnostica
%: Percentuale di malattie soggette a programmi di controllo di qualità (QC) o assicurazione della qualità (QA), rispetto al numero di malattie screenate nel Paese
Il secondo progetto, di cui abbiamo avuto il coordinamento, è un progetto italiano, ancora in corso (20112014) finanziato dal Ministero della Salute, dal titolo:
“Screening neonatale esteso: una proposta di un
modello operativo nazionale per ridurre le disuguaglianze per l’accesso ai servizi nazionali per le diverse regioni”.
In collaborazione con i rappresentanti del Tavolo Interregionale Malattie Rare, l’Age.na.s., la Società Italiana per lo Studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale (SIMMESN) e la Società
Italiana di Genetica Umana (SIGU) è stato realizzato
un censimento della realtà, utilizzando un questionario molto articolato, sul modello di quello europeo.
Come è stato già detto, in Italia sono tre gli screening
neonatali obbligatori (fenilchetonuria, fibrosi cistica e
ipotiroidismo congenito) e dall’indagine è emerso che
esistono 32 centri di screening neonatale (dati al Dicembre 2013).
La copertura della popolazione neonatale per lo
screening allargato (non obbligatorio in Italia) è strettamente legata, e dipendente, dai programmi o progetti
pilota in essere su base regionale/locale: si stima ad
esempio una copertura intorno al 50% in Sicilia e Lazio, mentre la copertura è pressoché totale in regioni
come Toscana, Emilia-Romagna e Liguria.
Anche il panel delle patologie sottoposte a screening varia da Regione a Regione. Esistono inoltre importanti differenze sia nella standardizzazione dei
processi, sia nell’organizzazione delle diverse pro145
Tavola Rotonda
cedure (tempistica dei prelievi, consensi informati,
ecc.). Per questo motivo si auspica la elaborazione
di linee guida sulla base delle più aggiornate evidenze scientifiche e loro adozione sull’intero territorio nazionale. Anche il questo settore, il nostro Centro potrà fornire un importante contributo in quanto
sviluppa linee guida, coordina un progetto europeo
d’avanguardia (RARE-Bestpractices www.rarebestpractices.eu) e organizza corsi nazionali ed internazionali su questo tema.
Bibliografia
Burgard P, Rupp K, Lindner M, et al. Newborn screening
programmes in Europe; arguments and efforts regarding
harmonization. Part 2. From screening laboratory results to
treatment, follow-up and quality assurance. J Inherit Metab
Dis 2012;35:613-25.
Cornel MC, Rigter T, Weinreich SS, et al. A framework to
start the debate on neonatal screening policies in the EU: an
Expert Opinion Document. Eur J Hum Genet 2014;22:12-7.
Loeber JG, Burgard P, Cornel MC, et al. Newborn screening programmes in Europe; arguments and efforts regarding harmonization. Part 1. From blood spot to screening
result. J Inherit Metab Dis 2012;35:603-11.
Le evidenze scientifiche
per le scelte politiche
Carlo Dionisi Vici
Generoso Andria: I risultati
delle indagini che ha mostrato
la dottoressa Taruscio fanno
notare che, partendo dall’Europa e arrivando all’Italia con
la sua variegata situazione
regionale, esistono grandi differenze nelle scelte politiche.
A Carlo Dionisi Vici, presidente della Società Italiana
per le Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening
Neonatale (SIMMESN), nonché ricercatore clinico di
statura internazionale e primario presso l’ospedale
Bambino Gesù, abbiamo chiesto di illustrare il punto
di vista della comunità scientifica sulle evidenze fornite dalla ricerca, come base per la scelta delle malattie
da inserire nel panel dello screening esteso.
Carlo Dionisi Vici: Nel 1968 sono stati stabiliti, per la
prima volta, dal WHO i criteri da rispettare per programmi di screening, criteri applicabili anche allo screening
neonatale (criteri di Wilson e Jungner) (Tab. II).
Nel 1981 il Consiglio d’Europa ha indicato come prioritario l’inserimento nei programmi di screening neonatale delle seguenti malattie: ipotiroidismo, iperfenilalaninemia, galattosemia e leucinosi; ritenendo invece non raccomandato lo screening di altre aminoacidopatie, del deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi,
della distrofia muscolare progressiva di Duchenne,
della fibrosi cistica, delle emoglobinopatie, della sin146
Tabella II. Criteri del WHO per gli screening di malattie
(Wilson JMG e Jungner G, 1968).
La condizione patologica ricercata deve rappresentare un
importante problema di salute.
Deve essere disponibile un trattamento ben stabilito per i
pazienti con la malattia.
Devono essere disponibili risorse e strutture per diagnosi
e terapia.
Deve esserci una fase sintomatica latente o precoce riconoscibile.
Devono essere disponibili test diagnostici o esami clinici
adatti alla diagnosi.
I test devono essere accettabili dalla popolazione.
Deve essere adeguatamente compresa la storia naturale
della malattia, nel corso del suo sviluppo, a partire dalla
fase di latenza.
Deve esistere un consenso su quali soggetti devono essere trattati come pazienti.
Il costo per l’individuazione dei casi (incluso quello per la
diagnosi e il trattamento dei pazienti diagnosticati) deve
essere economicamente conveniente rispetto al costo
complessivo previsto per le cure mediche.
Lo screening deve essere programmato come un processo continuo e non come un progetto sporadico.
drome surrenogenitale, per la mancanza, all’epoca,
di elementi sufficienti che ne rendessero consigliabile
l’inserimento.
Un esempio di evidenza scientifica nel campo dello
screening è rappresentato dal documento prodotto In
Inghilterra, con la metodologia del Health Technology
Assessment, per due malattie metaboliche: la fenilchetonuria e il deficit di acil-CoA deidrogenasi a catena
media - MCAD (Pandor et al., 2006). Per entrambe veniva infatti stabilito che l’evidenza scientifica ne giustificava l’inserimento nel panel dello screening, mentre
per le altre malattie identificabili con la tecnica della
spettrometria di massa tandem, nonostante un incremento dei costi marginali per la diagnosi, non erano
disponibili sufficienti evidenze che ne giustificassero
lo screening neonatale di massa. Di contro negli Stati
Uniti sono stati elaborati criteri di priorità, dall’American College of Medical Genetics, con una soglia di
punteggio (> 1200) per l’inserimento nel panel. La
scheda utilizzata risale al 2006 ed è attualmente in
aggiornamento (https://www.acmg.net/resources/policies/NBS/NBS_Main_Report_00.pdf).
In Europa, come si è accennato prima, c’è una grande disomogeneità. Il nostro paese ad esempio, sia nei
rapporti tecnici del progetto Tender (http://www.iss.it/
cnmr/index.php?lang=1&id=1621&tipo=72), finanziato dalla UE e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità italiano, relativi alle attività di screening esteso delle
malattie metaboliche, come anche nelle più recenti
pubblicazioni scientifiche a esso collegate, non risulta
Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie
Tabella III. Risultato dello screening esteso per malattie metaboliche ereditarie in alcune regioni italiane (dati SIMMESN, 2013).
Anno 2013
Roma
Napoli
Bologna
Sapienza CEINGE
Firenze
Genova
Totale nati regione
36854
10992
52187
52785
38057
N. Esaminati
37785
10803
23330
6948
41000
% Esaminati SNE/
nati
102,5
98,3
44,7
13,2
107,7
Aminoacidopatie
(N.)
3
3
2
0
1
0
Organicoacidurie
(N.)
5
2
2
1
2
Difetti della
b-ossidazione (N.)
8
2
5
2
16
7
9
1:2361
1:1545
1:2592
TOTALE
DIAGNOSI
Incidenza
Catania
Palermo
11872
194456
11838
158893
99,7
81,7
1
1
11
1
2
1
16
13
0
0
1
31
3
16
1
3
3
58
1:2316
1:2562
1:9717
1:5824
1:3946
1:2739
svolgere questo tipo di attività (Loeber, et al., 2012), anche se regioni come la Toscana effettuano lo screening
esteso ormai da numerosi anni. Come invece recentemente riportato dalla SIMMESN, in Italia circa 1/3 dei
neonati ha accesso allo screening allargato (Tab. III).
Nonostante lo screening esteso non sia obbligatorio,
queste diseguaglianze nell’accesso ai programmi di
prevenzione secondaria tra cittadini di regioni diverse,
o addirittura all’interno della stessa regione, sono politicamente ed eticamente insostenibili (Tab. III).
Generoso Andria: Finora abbiamo sentito informazioni sulla disomogeneità nella pratica degli screening neonatali, sia in Europa che in Italia.
A questo “disordine” programmatico europeo (e italiano) si sta cercando di porre rimedio?
Carlo Dionisi Vici: Esistono comunque alcuni esempi positivi che dimostrano come la comunità scientifica europea stia tentando di dare risposte corrette ai
quesiti connessi ai programmi di screening. Per alcune malattie sono state condivise linee guida da gruppi di studio, costituiti nell’ambito di progetti finanziati
dalla UE (es. E-IMD, http://www.e-imd.org/en/index.
phtml), ad alcuni dei quali ho partecipato personalmente (statement evidence based): questo è avvenuto per le organico acidurie (Baumgartner, et al., 2014)
per i difetti del ciclo dell’urea (Häberle et al., 2012)
e per le omocistinurie (Huemer et al., 2015). Posso
personalmente segnalare che non sono d’accordo
sull’esclusione dallo screening neonatale di alcuni difetti del ciclo dell’urea, come ad esempio il deficit di
OTC: nel Lazio lo screening esteso ha permesso di
identificare e trattare con successo un neonato il cui
fratello maggiore era deceduto alcuni anni prima per
una malattia non diagnosticata nel paese di origine.
Parlando invece della tirosinemia, oggi assente dal
44494
Cagliari TOTALE
9717
17472
61,1
panel di screening in numerosi paesi europei (una
malattia alla quale il dr. Giancarlo la Marca di Firenze
ha dato con i suoi studi un contributo fondamentale
alla comunità scientifica internazionale per la scelta del biomarcatore da utilizzare nello screening) un
recente studio multicentrico ha permesso di stabilire
che iniziando la terapia farmacologica con Nitisinone
fin dal primo trimestre di vita, si riduce in modo più
che significativo la possibilità di sviluppare l’epatocarcinoma (Mayorandan et al., 2014).
Concludendo questo mio intervento, mi sembra opportuno segnalare che negli ultimi anni, la richiesta, e
le pressioni, per l’inserimento nel panel di un numero
sempre più ampio di malattie da sottoporre a screening sono notevolmente cresciute. Credo comunque
che l’inserimento di una nuova malattia nel panel dello screening esteso debba essere valutato con attenzione secondo criteri basati sull’evidenza scientifica
e in linea con i principi del WHO, non dimenticando
alcuni elementi dirimenti:
• l’efficacia delle cure;
• la possibilità che la malattia si manifesti in epoche
della vita diverse dall’età pediatrica, con il rischio
di medicalizzare un neonato (e la sua famiglia)
per una patologia in cui l’intervento terapeutico è
richiesto solo molto più tardivamente, inducendo
la cosiddetta “fragile child syndrome” (Waisbren,
2006);
• la frequente mancanza di correlazioni genotipo-fenotipo che permettano di differenziare le differenti
varianti ciniche delle singole malattie, ha creato
problemi tecnici nelle metodiche di screening con
alti tassi di false positività;
• la mancanza di linee guida (o raccomandazioni)
condivise dagli specialisti di settore per l’inizio del
trattamento in malattie a esordio successivo rispetto alla prima infanzia;
147
Tavola Rotonda
• il costo del trattamento in alcune categorie di malattie (si è in grado di sostenere gli alti costi delle
terapie?).
Inoltre non vanno trascurati anche altri aspetti come:
• il consenso dei genitori;
• la conservazione dei campioni (preziosi dal punto
di vista scientifico, ma di cui non è ancora regolamentata la conservazione);
• i metodi per la comunicazione con le famiglie: la
comunicazione del risultato dello screening è un
momento molto delicato che può creare traumi,
stress e forte ansia, anche perché l’immediato ricorso da parte dei genitori alla lettura dei siti internet, in cui non vengono filtrate le informazioni,
può fornire informazioni non corrette e comunque
non fornite personalmente da personale dedicato
e competente in materia.
Generoso Andria: Carlo Dionisi Vici ci ha esaurientemente esposto problemi e difficoltà per una razionale programmazione dello screening esteso. In Italia,
attualmente, la situazione è ancora disomogenea e
non ben organizzata in molti dei suoi aspetti. Chiedo:
qualcosa in senso positivo si sta muovendo?
Caro Dionisi Vici: Direi proprio di sì.
L’Age.na.s (in collaborazione con l’ISS) ha creato un
gruppo di esperti per definire le linee guida per lo
screening neonatale esteso. Il gruppo ha stabilito di utilizzare per la definizione dei livelli di evidenza il metodo
GRADE, perché nelle malattie rare è più difficile pesare i parametri secondo gli standard più tradizionali (es.
SIGN): conseguentemente esistono 4 categorie di forza
delle raccomandazioni (alto, moderato, basso e molto
basso). Le iniziative sul tema, comunque, vanno avanti
in Italia, ma occorre costante flessibilità nell’adattare le
norme all’evoluzione delle conoscenze. La Società Italiana di Pediatria ha pubblicato un testo a cura di Alberto Burlina dal titolo: “Screening neonatale metabolico
allargato: vademecum per il pediatra” e ha organizzato
un gruppo di lavoro sugli screening neonatali, a cui partecipa anche la SIMMESN.
Generoso Andria: Sono sempre rimasto colpito dal
fatto che nel campo delle malattie metaboliche ereditarie l’approccio evidence based sia stato implementato
molto tardi. La forza delle evidenze nelle pubblicazioni di
questo settore è molto esigua, anche perché spesso i lavori sono aneddotici ed esistono poche metanalisi vere.
Carlo Dionisi Vici: La situazione sta cambiando.
Come ho già ricordato, al momento sono al lavoro
gruppi di esperti europei che si stanno occupando
di scrivere, ad esempio, linee guida sulle organico
acidurie e più recentemente sull’omocistinuria, queste ultime sviluppate nell’ambito del progetto E-HOD
finanziato dalla UE (https://www.ehod-registry.org/).
148
Bibliografia
Baumgartner MR, Hörster F, Dionisi-Vici C, et al. Proposed guidelines for the diagnosis and management of
methylmalonic and propionic acidemia. Orphanet J Rare
Dis 2014;9:130.
Häberle J, Boddaert N, Burlina A, et al. Suggested guidelines for the diagnosis and management of urea cycle
disorder. Orphanet J Rare Dis 2012;7:32.
Huemer M, Kožich V, Rinaldo P, et al. Newborn screening
for homocystinurias and methylation disorders: systematicreview and proposed guidelines. J Inherit Metab Dis 2015
Mar 12. [Epub ahead of print]
Loeber JG, Burgard P, Cornel MC, et al. Newborn screening programmes in Europe; arguments and efforts regarding harmonization. Part 1. From blood spot to screening
result. J Inherit Metab Dis 2012;35:603-11.
Mayorandan S, Meyer U, Gokcay G, et al. Cross-sectional study of 168 patients with hepatorenal tyrosinaemia
and implications for clinical practice. Orphanet J Rare Dis
2014;9:107.
Pandor A, Eastham J, Chilcott J, et al. Economics of tandem mass spectrometry screening of neonatal inherited
disorders. Int J Technol Assess Health Care 2006; 22:321-6.
Waisbren SE. Newborn screening for metabolic disorders. JAMA 2006;296:993-5.
Wilson JMG, Jungner G. Principles and practice of
screening for disease. Geneva: WHO 1968.
I provvedimenti legislativi italiani
Serena Battilomo
Fabio Sereni: Dalle relazioni
finora ascoltate emergono due
dati: un’eterogeneità di strutture e competenze, soprattutto in
Italia, e una rapida evoluzione
delle conoscenze per cui occorre una flessibilità nell’aggiornare le norme. Le prossime due relazioni ci informeranno sulle prospettive
italiane, sia dal punto di vista nazionale che regionale.
La parola per prima alla dottoressa Serena Battilomo
della Direzione generale della prevenzione sanitaria
del Ministero della Salute, direttamente coinvolta nella
preparazione di un decreto ministeriale sullo screening neonatale esteso.
Serena Battilomo: È ormai da un anno che il Ministero della Salute lavora a un provvedimento per
regolamentare l’avvio sperimentale dello screening
neonatale delle malattie metaboliche ereditarie su
tutto il territorio nazionale e colmare la grande variabilità regionale a cui si faceva riferimento. Tuttavia
nell’implementare lo Screening Neonatale Esteso
(SNE) dobbiamo considerare anche i tre programmi
di screening obbligatori citati in precedenza (ipotiroidismo congenito, fibrosi cistica e fenilchetonuria) e
cercare di armonizzare le due azioni, anche perché,
Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie
una delle tre patologie obbligatorie, la fenilchetonuria, è una malattia metabolica. Le proposte normative per lo SNE sono sempre state di iniziativa parlamentare fin dal 2007 con una proposta di legge alla
Camera e un disegno di legge al Senato, poi decadute al cambio di governo. Nell’attuale XVII legislatura è stato presentato, dalla Senatrice Taverna, nell’agosto 2013, il DDL 998 per rendere obbligatorio lo
screening neonatale per molte malattie metaboliche
ereditarie, ma come tutti i disegni di legge ha un iter
piuttosto lungo in quanto è stato richiesto il parere di
ben 7 diverse commissioni. Nel frattempo, sempre la
senatrice Taverna ha presentato un emendamento
alla legge di stabilità 2014, poi diventato comma 229
della Legge 147/2013, il quale dispone che “il Ministro della salute adotti un decreto ministeriale, sentiti
l’Istituto superiore di sanità (ISS) e la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, per l’avvio, anche in via sperimentale e nel limite di cinque
milioni di euro, dello screening neonatale per la diagnosi precoce di patologie metaboliche ereditarie,
per la cui terapia, farmacologica o dietetica, esistano evidenze scientifiche di efficacia terapeutica o
per le quali vi siano evidenze scientifiche che una
diagnosi precoce neonatale comporti un vantaggio
in termini di accesso a terapie in avanzato stato di
sperimentazione, anche di tipo dietetico, anche definendo l’elenco delle patologie su cui effettuare lo
screening neonatale”.
Generoso Andria: Mi scuso per l’interruzione, ma
non posso trattenermi dal commentare quanto scritto nell’emendamento. Anzitutto le terapie efficaci che
giustificano l’inserimento nel panel di una malattia,
non sono solo farmacologiche o dietetiche: basti pensare al trapianto di cellule staminali ematopoietiche
per la malattia di Krabbe. Mi sembra poi molto “audace”, in una logica di sanità pubblica, prendere in considerazione terapie in “avanzato stato di sperimentazione” nel definire l’elenco delle patologie da sottoporre
a screening.
Serena Battilomo: In realtà ormai l’emendamento è
diventato il comma di una legge dello stato. Per completare l’informazione, ricordo che la seconda parte
dell’emendamento prevede in una fase 2 la costituzione presso l’Age.na.s. di un centro di coordinamento sugli screening neonatali, per favorire la massima
uniformità dell’applicazione sul territorio nazionale
della diagnosi precoce neonatale e individuare bacini
d’utenza ottimali.
Per la predisposizione del testo del decreto ministeriale previsto dal comma 229 è stato istituito, nel febbraio 2014, un gruppo di lavoro, formato da membri
del Ministero, dell’Age.na.s., dell’ISS, rappresentanti regionali, nonché esperti del settore (tra cui Carlo Dionisi Vici) così da poter capitalizzare su tutte le
esperienze realizzate in questo ambito negli ultimi
anni. Per la definizione dell’elenco delle patologie su
cui effettuare lo SNE ci siamo avvalsi del contributo
del Gruppo di lavoro per la “Elaborazione di linee guida cliniche per l’individuazione di protocolli applicativi
per lo screening neonatale esteso”, già istituito presso
l’Age.na.s.
Il testo di Decreto Ministeriale che abbiamo predisposto (vedi l’articolato del decreto riportato nella tabella
4) cerca di dare tutte le indicazioni necessarie per un
avvio uniforme dello SNE su tutto il territorio nazionale: lista delle patologie, consenso, raccolta e invio
campioni, caratteristiche del centro di screening, modalità di comunicazione e richiamo per la conferma
diagnostica e la presa in carico, iniziative di formazione e informazione, ripartizione dello stanziamento
(Tab IV).
Riguardo i fondi a disposizione è bene tener presente
che per poter fare lo screening neonatale allargato a
tutti i circa 500.000 neonati /anno, ci vorrebbero 25
milioni di euro. La “relativamente” buona notizia è che
nella legge di stabilità del 2015 sono stati stanziati altri 5 milioni di euro da destinare a questa tipologia
di screening. Quindi al momento sono disponibili 10
milioni di euro che, nel decreto che stiamo predisponendo, saranno ripartiti per bacino di utenza (numero medio annuo di nati, calcolato sui nati dell’ultimo
quinquennio).
Altro obiettivo del decreto è quello di garantire gli
standard qualitativi degli screening neonatali, ridurre
il numero di richiami dei nati esaminati e ottimizzare i
tempi di intervento per la presa in carico clinica, nonché favorire l’uso efficiente delle risorse, anche tramite appositi accordi interregionali.
Bisogna assicurare la corretta raccolta dei campioni in tutte le situazioni, anche nei parti a domicilio e
l’invio tempestivo degli spot ematici dai punti nascita
ai Centri di screening neonatale, nonché garantire la
corretta presa in carico da parte del Centro clinico di
riferimento nei casi positivi.
Siamo ormai a buon punto, il testo predisposto ha
già ricevuto il parere dell’ISS. Ora è stato trasmes-
Tabella IV. Articolato del decreto ministeriale sullo SNE
(in corso di predisposizione).
Art. 1 Patologie metaboliche ereditarie da sottoporre a
screening neonatale esteso
Art. 2 Informativa e consenso allo SNE
Art. 3 Raccolta e invio dello spot ematico
Art. 4 Centro di screening neonatale
Art. 5 Comunicazione, richiamo, conferma diagnostica e
presa in carico per lo SNE
Art. 6 Formazione, informazione ed empowerment
Art. 7 Copertura oneri economici e criteri di riparto
Art. 8 Entrata in vigore
149
Tavola Rotonda
so al Garante per la protezione dei dati personali per
il necessario parere. Dopo ci sarà l’ultima tappa da
superare: l’esame da parte della Conferenza StatoRegioni.
Fabio Sereni: Desidero essere ottimista, ma non è
certamente un dato incoraggiante il fatto che sia disponibile solo una parte dei 25 milioni necessari. Esistono, io credo, in ogni caso delle buone basi per una
futura legge valida, con la possibilità reale di ampliare omogeneamente lo screening in Italia. Ma non ho
bene capito se è previsto l’aggiornamento programmatico continuo.
Serena Battilomo: Assolutamente sì, nel decreto è
prevista una revisione periodica, almeno triennale,
in relazione all’evoluzione nel tempo delle evidenze
scientifiche in campo diagnostico-terapeutico per le
patologie metaboliche ereditarie
Il punto di vista della Sanità
Pubblica e delle Regioni
Paola Facchin
Fabio Sereni: Dopo aver
ascoltato quanto è attualmente
in gestazione al Ministero della
Salute per una razionale futura
programmazione degli screening neonatali, la parola passa
alla professoressa Paola Facchin, coordinatrice del Tavolo
tecnico interregionale per le malattie rare, Tavolo che
funge da consulente per la Commissione Salute della
Conferenza Stato-Regioni.
La domanda è la seguente: come la futura programmazione nazionale potrà essere recepita dalle regioni?
Paola Facchin: Per valutare gli screening, tra cui
quello neonatale per le malattie metaboliche congenite, dal punto di vista della sanità pubblica, bisogna
procedere seguendo due piani diversi, quello strategico delle politiche sanitarie (health policy) e quello
più tattico della programmazione o health planning.
La competenza regionale è esplicitamente legata al
secondo piano, poiché proprio nella programmazione
e organizzazione di servizi e interventi si esprimono
competenze e autonomia regionali.
Il primo piano invece è competenza nazionale o meglio affonda le proprie radici nella percezione dei problemi e dei valori legati alla salute che la società ha
e si esprime per mezzo della attiva partecipazione
delle comunità alle decisioni strategiche. Poiché comunque i due piani sono interrelati, farò brevi accenni
agli aspetti essenziali e critici di entrambi.
Il piano strategico nazionale riguarda la decisione circa la “convenienza” di fare lo screening e si articola
150
sinteticamente in due passi: il primo riguarda il quesito se fare lo screening genera più benefici o più danni in termini di salute, il secondo introduce il quesito
circa le risorse da utilizzare e risponde alla domanda:
“Quante risorse devo utilizzare e quanti altri vantaggi
in termini di salute potrei ottenere utilizzando diversamente le stesse risorse?”.
Il primo passo è centrato sulla valutazione del bilancio, che deve risultare positivo, tra il danno attuale
e certo che lo screening determinerà e il vantaggio
probabile futuro che lo stesso provocherà. I possibili
danni derivati dallo screening sono in rapporto a:
• le procedure dirette dello screening;
• la comunicazione del sospetto di patologia determinato dal test positivo al primo livello e le procedure di conferma diagnostica (che possono dare
alla fine anche risultati negativi);
• la diagnosi anticipata e quindi la minore (o assente) durata della vita “da sano”;
• la diagnosi di malattia anche per forme mild o quasi totalmente asintomatiche;
• il ritardo della diagnosi dei falsi negativi, generalmente maggiore quando c’è uno screening rispetto a quando non c’è.
I possibili vantaggi sono dati dalla differenza in durata e qualità della sopravvivenza tra i casi diagnosticati con lo screening in fase asintomatica e i casi
diagnosticati in fase sintomatica. Ovviamente questo
vantaggio dipende dalla disponibilità di un trattamento efficace e sicuro da mettere in atto già nella fase
asintomatica.
Fabio Sereni: Un rapido commento: che sia disponibile un trattamento efficace io lo dó per scontato. È un
pre-requisito essenziale allo screening.
Paola Facchin: Certamente sì, ma qui mi preme sottolineare che per migliorare questo bilancio è necessario ridurre al massimo tutti gli elementi di danno
e il loro moltiplicatore. Nel caso di malattie a bassa
o bassissima incidenza, come le malattie metaboliche congenite, è essenziale non perdere malati,
altrimenti cadrebbero tutti i benefici dello screening.
Ciò comporta necessariamente la presenza di un
certo numero di falsi positivi, anche con specificità
altissime, poiché bisognerà testare un gran numero
di neonati per trovare un solo vero malato e in questo modo (anche con specificità vicine al 99,9%) si
accumuleranno molti falsi positivi. La probabilità di
essere veramente malato dei positivi al test di primo
livello (valore predittivo positivo) è pertanto sempre
relativamente contenuta.
In medicina si propongono sempre interventi o trattamenti che comportano un possibile beneficio a fronte
di un danno probabile o certo. La scelta di cosa fare sta,
nei casi singoli, al paziente, che valuterà sia il possibile
danno che il beneficio. Nel corso dello screening, invece, è la comunità in quanto tale che avrà contempora-
Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie
neamente danni e vantaggi, mentre i singoli avranno o
solo il danno o solo il vantaggio. Questo naturalmente
determina una criticità nel decidere circa la convenienza o meno dello screening.
Fabio Sereni: Chiedo ancora scusa per l’interruzione.
Il ragionamento a me sembra corretto, ma non molto
realistico. Non ci troviamo, in Italia, oggi di fronte a un
movimento contrario agli screening (come invece è
avvenuto per le vaccinazioni).
Si tratta, a me sembra, solo di buona programmazione di politica sanitaria.
Paola Facchin: L’esperienza insegna che spesso
l’attivismo delle associazioni dei malati tende a aumentare la percezione diffusa dei vantaggi dello
screening e a sottovalutare i possibili danni. Ciò implica che il monitoraggio stretto di ciò che realmente
succede in un contesto concreto sia assolutamente
indispensabile per rivalutare le scelte e meglio orientarle. È di scuola il caso dello screening della malattia
di Krabbe, che fu introdotto nello Stato di New York
e poi diffuso in diversi stati americani sulla spinta di
genitori di bambini affetti dalla patologia. Il vantaggio
atteso dal riconoscimento precoce dei nati affetti sta
nella possibilità di sottoporli a un trapianto del midollo,
terapia potenzialmente risolutiva rispetto al destino di
disabilità e morte che altrimenti spetterebbe agli affetti. Dopo circa un milione di nati screenati il risultato è
stato il seguente (Lantos et al., 2011): in 300 casi i nati
sono stati sottoposti alla conferma diagnostica, in 29
la positività è stata confermata, ma in 25 i sintomi non
sono mai comparsi. Di questi 25 casi asintomatici oltre la metà ha sviluppato sintomi psicologici, in alcuni
casi una patologia psichica franca, dovuta all’attesa di
malattia. Dei quattro casi diagnosticati in cui si sono
sviluppati i sintomi, 1 è deceduto prima del trapianto e
1 in corso di trapianto; due sono sopravvissuti, di cui
uno con gravi deficit dopo il trapianto, mentre l’altro
sta bene senza essere stato trapiantato. Nella pratica
il vero beneficio sta nell’unico sopravvivente dopo il
trapianto con esiti, mentre il danno sta nei 271 falsi positivi e ancora maggiormente nei 25 mild, di cui
una gran parte con problemi dati dallo screening. Il
bilancio, a priori pensato come grandemente positivo,
non si è dimostrato tale nella pratica.
Comunque stabilita la positività della scelta di procedere allo screening, il secondo passo consiste nello
sviluppare un’analisi economica che grossolanamente comprende:
• definire per ogni “unità di vantaggio di salute” ottenuta con lo screening (ad esempio vite guadagnate o anni di vita guadagnati o disabilità diminuite,
etc.) quante risorse in più devo impiegare;
• confrontare quante “unità di vantaggio di salute”
potrei avere, utilizzando altre strategie e le stesse
risorse.
Anche questo passo meriterebbe la descrizione
di diverse criticità e di come esse si declinano nel
tema degli screening neonatali. Ma volendo procedere velocemente sul piano della programmazione,
vorrei qui ricordare come essa si riferisca a tutte le
fasi che determinano il complesso processo dello
screening, cioè il disegno della rete, il dimensionamento e allocazione delle risorse, l’organizzazione
del processo e delle azioni da mettere in campo in
un contesto reale per attuare al meglio le strategie
prima decise.
I punti critici del processo sono i seguenti:
• Creare un’organizzazione che consenta di reclutare tutti i nati, seguirli completamente per
tutte le fasi e monitorarli successivamente (sia
i malati che i sani).
Gli aspetti più problematici riguardano la creazione di un identificativo unico, certo e rintracciabile
degli spostamenti anche dopo il periodo neonatale
per ogni singolo nato, a partire da quando non è
ancora avvenuta la dichiarazione di nascita e la
conseguente registrazione dei nati nei Registri di
Stato Civile (a 48 ore dalla nascita), e la creazione
di sistemi informativi evoluti interoperabili e integrati con quelli di altre istituzioni, per rendere possibili i monitoraggi con lungo orizzonte temporale;
• Definire, valutare in modo trasparente ed eventualmente modificare le regole per stabilire positività e negatività al test di primo livello per
ogni malattia testata.
Attualmente c’è una difficoltà nel reperire in modo
chiaro e analitico tali informazioni in letteratura.
Alcuni autori sottolineano anche recentemente la
necessità di rivedere nel tempo i cut off, i metaboliti studiati e i loro rapporti per ridurre il numero
dei falsi positivi e rendere più efficiente lo screening. Fino a ora la ricerca si è concentrata sul miglioramento della tecnologia e della robotizzazione, in parte sullo studio dei metaboliti, dei cut off
e delle regole e delle interpretazioni dei risultati,
e sulle dimensioni dei bacini d’utenza per garantire qualità e sostenibilità dei sistemi. Mancano
studi sull’effetto di diverse architetture di rete (ad
esempio reti a cluster, analogamente a quanto
avviene in altri settori, rispetto alle attuali reti a
stella) e sulla possibilità di agire sulle modalità di
automatismo delle procedure, rendendo attuabile l’analisi contemporanea di diversi pacchetti di
malattie in relazione a diversi e graduati consensi
eventualmente espressi;
• Dimensionare correttamente i centri clinici di secondo livello, deputati alla conferma diagnostica
e a seguire clinicamente i malati selezionati.
Questi centri clinici per le malattie metaboliche
congenite costituiscono il collo di bottiglia dell’intero sistema. Essi devono essere correttamente pianificati per non invalidare il beneficio dello screening, ed è necessario porre grande attenzione nella
loro dotazione di risorse e soprattutto di personale
151
Tavola Rotonda
appositamente formato, in modo da garantire le
loro attività per il presente e per il futuro.
• Predefinire cosa fare dei nati diagnosticati
come malati.
In particolare è necessario chiarire prima dell’inizio delle attività di screening chi sono i malati,
cosa si intende predisporre come presa in carico
e trattamento, quali servizi devono svolgere questi interventi, quali trattamenti devono essere prescritti, da chi e a chi e quando, quali risorse servono per attivare l’intero sistema nel presente e nel
futuro.
In conclusione, siamo, io credo, a un crocevia essenziale nella vicenda degli screening metabolici
neonatali: la necessità di distinguere ciò che è assistenza, o proposta attiva di intervento che la comunità si incarica di fare verso persone che non hanno
sollevato alcun problema, da ciò che è ricerca, cioè
sperimentazione in popolazione di una prospettiva
innovativa di intervento. Nel campo delle malattie
metaboliche congenite è essenziale portare avanti
entrambe le attività, possibilmente distinguendole
chiaramente e informandone di conseguenza i nuovi
genitori.
Generoso Andria: Paola Facchin ha ben sottolineato come le decisioni politiche devono essere prese
avendo ben chiaro che i problemi di sanità pubblica
sono “percepiti” diversamente in termini di benefici e
danni dal singolo o dalla comunità. Vorrei, però, sottolineare che la valutazione costo/efficacia deve essere
affrontata con approccio scientifico tramite le metodologie del Health Technology Assessment, che non
sono sostanzialmente diverse da quelle usate per valutare gli studi clinici, secondo i principi della Evidence Based Medicine.
Fabio Sereni: Abbiamo capito che esistono molti
problemi e difficoltà per questi screening, quindi è indispensabile allargarli secondo regole ben precise e
politiche caute per l’allargamento, tenendo presente
chiaramente le valutazioni costo/beneficio. Quindi il
rapporto tra la competenza scientifica e le politiche
sanitarie deve essere molto stretto e le regole sempre
credibili.
La parola a Maria Alice Donati sull’esperienza realizzata in Toscana.
Bibliografia
Lantos JD. Dangerous and expensive screening and
treatment for rare childhood diseases: the case of Krabbe
disease. Devel Disabil Res Rev 2011;17:15-8.
152
Il follow-up e la presa in carico
dei pazienti
Maria Alice Donati
Generoso Andria: Chiedo
a Maria Alice Donati di illustrare brevemente quanto è
complicato garantire giorno
dopo giorno il funzionamento
dei centri clinici, di follow-up,
perché questa è la criticità
maggiore da risolvere per realizzare il programma di screening, come ha anche
sottolineato Paola Facchin.
Maria Alice Donati: La Toscana ha festeggiato i 10
anni di screening neonatale metabolico allargato in
quanto è stato avviato dal 1 novembre 2004 a seguito della Delibera della Regione Toscana n. 800 del
3-8-2004; dal 1 gennaio 2010 presso il nostro Centro
Screening-Meyer effettuiamo lo screening metabolico
allargato a tutti i neonati della Regione Umbria, che ci
invia i cartoncini. Nel 2004 in Toscana erano presenti
3 centri di screening che sono stati trasformati, con
delibera regionale, in un unico grande Centro Screening Neonatale Metabolico allargato. Erano già preesistenti presso l’Azienda Meyer competenze cliniche
e laboratoristiche biochimico-molecolari nell’ambito
delle malattie metaboliche.
Sono 40 le malattie metaboliche ereditarie inserite
nel programma; sono aminoacidopatie, difetti del ciclo dell’urea, difetti della beta ossidazione e organicoacidurie, per le quali è disponibile una terapia in
grado di modificare consistentemente la storia naturale. Il panel delle malattie è stato scelto sul modello
statunitense. Lo screening neonatale allargato deve
però essere un sistema dinamico, in evoluzione, perché l’elenco delle malattie può modificarsi nel tempo
sulla base delle evidenze scientifiche e dei progressi
specie in ambito terapeutico: pertanto alcune malattie
potrebbero essere eliminate dall’elenco e viceversa
altre malattie potrebbero essere aggiunte.
In questi 10 anni circa 380.000 neonati sono stati
sottoposti a screening neonatale metabolico allargato mediante tecnologia di tandem massa, con
diagnosi in circa 1 neonato ogni 1800 sottoposti a
screening.
Come diceva Generoso. Andria non è sufficiente avere le “macchine” cioè le tandem massa e un risultato
analitico, ma una forte criticità è rappresentata dal fatto che lo screening neonatale allargato è un “sistema
screening”, integrato, plurifunzionale e multiprofessionale di medicina preventiva e pubblica e certamente
uno degli anelli chiave è la rapida, e competente, presa in carico del neonato.
In Toscana e Umbria la raccolta dei campioni neonatali, spot di sangue adsorbiti su apposito cartoncino, è
Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie
eseguita a 48-72 ore di vita. È importante l’invio giornaliero dai Punti nascita dei cartoncini al Centro Screening ed è importante l’analisi rapida dei campioni.
Risultare positivi non vuol dire avere una malattia
metabolica: è indispensabile la presa in carico del
neonato e test di conferma. In base al risultato analitico dello screening su spot neonatale, espressione
di un difetto metabolico o di più difetti metabolici con
diversa severità clinica, è necessaria una presa in
carico differenziata. Il laboratorio comunica il risultato positivo dello screening su spot neonatale al
Clinico del nostro Centro ed è il Clinico che procede
alla comunicazione telefonica al Punto nascita e alla
famiglia. La comunicazione diretta del medico metabolista con la famiglia ha un ruolo importante non
solo per contenere lo stress parentale, ma anche per
avere informazione sullo stato clinico del neonato
con le conseguenti possibilità di gestione condivisa
con il centro periferico, per eventuali provvedimenti
urgenti di stabilizzazione e successivo trasferimento
al Meyer.
Si consideri infatti che le malattie metaboliche diagnosticabili con lo screening neonatale allargato costituiscono un gruppo di patologie caratterizzate da
una grande eterogeneità, con quadri clinici variabili
da malattie ad alto rischio di scompenso metabolico
acuto (ad es. alcune acidurie organiche, difetti della
beta-ossidazione, difetti del ciclo urea e malattia delle
urine a sciroppo d’acero) ad altre malattie con decorso “cronico”, come la fenilchetonuria. In caso di una
diagnosi iniziale (o accertata) di difetto metabolico
comportante la possibile necessità di intervento urgente si effettua richiamo immediato con ricovero e,
sulla base del quadro clinico e della patologia, si avvia gestione del neonato con team multidisciplinare:
medico metabolista, neonatologo-intensivista, cardiologo, neurologo, ecc. Altri specialisti, per esempio il
nefrologo, per un intervento dialitico, possono essere
coinvolti d’urgenza.
È importante la presa in carico differenziata in base
all’alterazione rilevata su spot neonatale. La presa in
carico clinica e le analisi di conferma vengono eseguite secondo algoritmi differenziati diagnostici e di
trattamento sul tipo dell’American College of Medical
Genetics-Newborn Screening Working Group, modificato secondo l’esperienza ormai acquisita e sulla
base di linee guida disponibili (come per glutaricoaciduria I, metilmalonico e propionicoacidemia, difetti del
ciclo dell’urea). Sono attuati percorsi differenziati con
diverse modalità e tempistiche per quanto attiene alla
comunicazione, alla conferma diagnostica e valutazione presso il Centro Clinico Metabolico.
Un esempio di presa in carico su algoritmi specifici
per metabolita è il caso dell’aumento della propionilcarnitina (C3) che può essere marker di metilmalonicoacidemia e propionicoacidemia. Numerosi neonati
venivano richiamati per elevato C3, ma poi molti risultavano falsi positivi. La messa a punto sullo stesso
spot, senza richiamare il neonato, della determinazione dell’acido libero metilmalonico e 3-idrossipropionico ha portato alla riduzione dei richiami (falsi positivi)
ma anche del cut-off e pertanto a evitare i falsi negativi. Più recentemente la messa a punto su goccia di
sangue anche della determinazione dell’omocisteina
consente di discriminare l’aumento dell’acido metilmalonico libero, associato o meno a iperomocisteinemia. È, in tal caso, importante la presa in carico
del neonato ma anche della mamma, perché un elevato acido metilmalonico libero e iperomocisteinemia
possono essere secondari, oltre a difetti genetici del
metabolismo della cobalamina, a difetto di vitamina
B12 materna (ad esempio madre vegana o gastrite
atrofica autoimmune materna).
Il clinico ha un ruolo importante nella gestione clinica
e degli accertamenti, che si concludono con la conferma biochimica e/o genetico-molecolare del difetto.
Talvolta gli accertamenti biochimico-molecolari necessitano di tempi non brevi (esempio studi biochimici
su fibroblasti da biopsia cutanea).
In Toscana – Umbria è individuato un unico centro
hub, presso l’AOU Meyer, in relazione alla centralità
geografica e alle competenze clinico-laboratoristiche
e multidisciplinari. È importante la presenza nel centro
hub di laboratorio “metabolico” che consente lo stretto
monitoraggio “metabolico” dei neonati con patologia
acuta durante le variazioni terapeutiche e dietetiche.
I centri spoke sono identificati nei Punti Nascita della
Regione Toscana e Umbria ed effettuano la presa in
carico e retesting del neonato con screening positivo
per lieve alterazione (es. possibile alterazione transitoria per Malattie Metaboliche, alterazione secondaria a difetto materno, alterazione secondaria a carenza vitaminica materna, falsa positività, ad esempio trattamento antibiotico in atto o utilizzo di creme
nella madre). I centri spoke effettuano la valutazione
clinica di neonato positivo per alterazione indicativa
di patologia Metabolica ad alto rischio di scompenso
per neonati dimessi e con domicilio lontano dal centro hub, con eventuali esami e stabilizzazione prima
di trasferimento a centro hub. I centri spoke effettuano gestione condivisa diagnostico-terapeutica in neonato positivo allo screening neonatale non ancora
dimesso secondo linee guida e protocolli promossi
dal centro hub, con trasferimento urgente del neonato al centro hub ove necessario. In genere il neonato
con patologia acuta, appena possibile viene trasferito a centro hub. È importante per i genitori una presa
in carico con comunicazione diretta del medico del
centro hub esperto in malattie metaboliche.
Generoso Andria: La presa in carico immediata e a
distanza richiede risorse economiche e un personale
competente e stabile. Le difficoltà esistono anche a
Firenze?
Maria Alice Donati: Il Centro Clinico deve avere
pronta disponibilità di alimenti dietetici speciali e di
153
Tavola Rotonda
farmaci specifici per malattie metaboliche (es arginina
cloridrato, sodio benzoato, sodio fenilbutirrato, carbamilglutammato, nitisinone) che hanno costi non irrilevanti (importante centralizzazione e rete!!). La rete
regionale Tosco-Umbra tra Centro Clinico Malattie
Metaboliche con Punti Nascita-Reparti NeonatologiaPediatria-Terapia Intensiva consente la gestione del
neonato o del paziente in follow-up, se la patologia lo
consente, senza trasferimento al Centro Clinico Metabolico. Il Centro Clinico è attivo con medico in presenza diurna per 365 giorni all’anno e pronta disponibilità/reperibilità telefonica 24/24 ore, anche nei giorni
festivi. Questo rappresenta un grande impegno, in
considerazione anche del numero limitato di risorse.
La gestione del paziente metabolico nel tempo deve
essere anche domiciliare, formando opportunamente
il pediatra di famiglia. È importante una gestione condivisa e partecipe alle varie problematiche: una buona gestione domiciliare può ridurre consistentemente
gli accessi in ospedale, specie in corso di infezioni intercorrenti in quelle patologie a rischio di scompenso.
Anche la dietista ha un ruolo chiave nel “Sistema
screening” e nel follow-up, è importante la personalizzazione della dieta, tenendo anche conto delle abitudini alimentari familiari e razziali.
Generoso Andria: I bambini positivi poi diverranno
adulti: esistono i centri per gli adulti con malattie metaboliche?
Maria Alice Donati: Saranno adulti che necessitano
di terapia cronica, follow-up e gestione di eventuali
complicanze d’organo, seppure in molti casi si ha la
prevenzione del danno neurologico. Purtroppo a oggi
in Italia i pochi Centri esistenti di Malattie Metaboliche dell’adulto sono Centri di Neurologia; il bambino metabolico che ha avuto una diagnosi precoce e
precoce terapia necessita invece, quando raggiunge
l’età adulta, di un Centro Clinico Medico multidisciplinare. È urgente programmare Centri per l’adulto ove,
con adeguate competenze, possano essere trasferiti
i nostri bambini divenuti adulti. A oggi circa il 20 %
dei nostri pazienti in follow-up presso il nostro Centro
sono adulti.
Lo screening è uno strumento di grandi potenzialità
che comporta, oltre alla cura delle malattie genetiche ereditarie, il counselling genetico e la diagnosi
prenatale, proprio per evitare il ripetersi delle patologie nel medesimo ambito familiare. Una grande
opportunità di prevenzione che deve però essere
affiancata da attività di formazione nell’ambito medico e informazione dei cittadini. Certo, in Toscana
lo screening neonatale procede con buoni risultati,
anche (e soprattutto) grazie al prezioso impegno di
tutti e al lavoro di squadra! Ma ci sono criticità e problematiche da risolvere.
Fabio Sereni: Maria Alice Donati ci ha esposto un
quadro chiaro e completo del sistema in atto in Tosca154
na. Ha anche accennato ad alcuni aspetti critici, sui
quali sarebbe utile una riflessione. In ogni caso, non
sarà semplice replicare il sistema Toscana in altre Regioni con strutture sanitarie meno efficienti; il decreto
ministeriale dovrebbe, io credo, prevedere delle tappe
di attuazione graduali, commisurate alle diverse competenze sanitarie esistenti nelle regioni italiane.
Maria Alice Donati: Uno degli aspetti negativi è che
in alcune malattie metaboliche l’esordio clinico acuto
può essere molto precoce e prima delle 48 ore (epoca
di raccolta degli spot di sangue) o prima del risultato
dello screening neonatale che in genere, se funziona
tutto il “sistema” è intorno ai 5-7 giorni di vita. Nei 10
anni di attività 5 neonati hanno presentato un esordio
molto precoce: 2 citrullinemie, 2 argininsuccinicoacidurie e 1 propionicoacidemia. È importante il ruolo del
neonatologo nel saper riconoscere in fase precoce le
manifestazioni cliniche di malattia metabolica a esordio acuto per poter avviare le analisi urgenti, iniziare
un trattamento e non aspettare l’esito dello screening
neonatale.
Le domeniche, i “ponti festivi” con le criticità relative
anche all’invio dei cartoncini tramite corriere possono rappresentare un ritardo di diagnosi; un sistema
screening ideale dovrebbe essere organizzato con un
attività del “sistema” 7 giorni/7, ma dobbiamo tenere
conto dei costi e delle risorse!!!
In un programma di organizzazione nazionale certamente una centralizzazione con grandi bacini pluriregionali potrebbe consentire un risparmio di risorse,
una migliore organizzazione e qualità dei risultati, ma
in questo disegno devono essere ben organizzati la
presa in carico clinica del neonato, la rete assistenziale e follow-up clinico.
In questi 10 anni di follow-up 3 bambini sono andati
a exitus a distanza di anni dalla diagnosi (1 citrullinemia, 1 argininsuccinicoaciduria, 1 difetto della betaossidazione); tutt’e tre i pazienti erano extracomunitari e l’exitus è occorso durante il soggiorno nel paese
d’origine della famiglia. La gestione di pazienti extracomunitari richiede uno stretto follow-up con un team
multidisciplinare dove hanno un ruolo particolarmente
importante il mediatore culturale, lo psicologo, i servizi sociali e il pediatra/medico di famiglia.
Fabio Sereni: Se ho capito bene, solo tre sono i bambini con errore metabolico congenito diagnosticati dal
vostro Centro che sono deceduti, e tutti sono deceduti non in Toscana, ma nel loro Paese d’origine. Si
può valutare questo dato clinicamente soddisfacente,
anche considerando la mortalità segnalata in altre casistiche di Paesi ad alta specializzazione medica? A
me sembra proprio di sì.
Maria Alice Donati: Certamente.
Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie
Il punto di vista delle associazioni
e dell’opinione pubblica
Manuela Vaccarotto
Generoso
Andria:
Nella
prossima relazione la signora Manuela Vaccarotto, vice
presidente dell’Associazione
Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie (AISMME)
presenterà il punto di vista
circa il vantaggio/danno delle
famiglie che hanno un figlio ammalato, in confronto
con la visione di sanità pubblica che è stata illustrata
da Paola Facchin. Voglio, però, ricordare che anche
in letteratura internazionale si sottolinea l’importanza
che i politici abbiano un confronto costruttivo con l’opinione pubblica, per giungere a decisioni il più possibile condivise e accettate dalla popolazione.
Manuela Vaccarotto: La storia dell’AISMME è la
storia dei nostri figli. Quando sono nati non sapevamo nulla delle malattie metaboliche. Non sapevamo
neppure che esisteva già la possibilità di identificarle
precocemente con un test, lo screening neonatale allargato, che avrebbe potuto cambiare la loro vita. E la
nostra.
Così abbiamo cominciato a guardarci intorno, per trovare delle risposte e aiuto. Era il 2005 e c’erano notizie
che queste malattie conosciute in oltre 600 tipi, con
gravità diversa, e che alcune di queste, qualche decina, si potevano screenare alla nascita e che la loro
identificazione precoce poteva evitare il degenerare
della patologia, che può avere anche conseguenze
mortali. Ma abbiamo anche saputo che solo due Regioni e mezza in Italia (la Toscana, la Liguria e parte
del Lazio) avevano intrapreso progetti sperimentali
per l’attivazione dello screening. Nelle altre Regioni
questa nuova metodica di diagnosi neonatale non era
applicata, e forse neppure conosciuta. Si profilavano
sin da subito disparità di trattamento dei nascituri tra
Regione e Regione.
Non potevamo certo stare a guardare! Era la gente
comune che ce lo chiedeva, i nostri figli, le donne in
gravidanza, le mamme che avevano perso un figlio o
che avevano un figlio disabile a causa di una di queste patologie, la cui malattia sarebbe potuta essere
facilmente identificata a poche ore dalla nascita e
a costi molto contenuti, e quindi trattata adeguatamente.
Abbiamo quindi pensato di riunirci in un’associazione,
l’AISMME, e di muoverci in più direzioni.
Obiettivo prioritario per l’AISMME in tutti questi anni è
stato l’applicazione dello screening neonatale allargato a ogni nuovo nato in Italia. Un test che costa solo
50 euro a bambino e che va effettuato entro 72 ore
dalla nascita.
Ma bisogna anche guardare oltre al test. L’esecuzione dello screening rappresenta solo il primo passo di
un intervento di medicina preventiva che coinvolge
anche il follow-up, la diagnosi, la presa in carico, il
trattamento e la rivalutazione. Lo screening è veramente utile quando ogni diagnosi genera un appropriato percorso di cura, cronico, globale e centrato
sul binomio indissolubile paziente/famiglia e medico.
Ma neppure questo basta. Occorre anche la cosiddetta continuità assistenziale. Chiediamo che i nostri
figli, diventati ormai grandi anche grazie al progresso
delle cure e allo screening, vengano curati in Centri
specializzati per adulti che in Italia ancora non esistono. Il paradosso, infatti, è che quando raggiungono la maggiore età, i pazienti vengono abbandonati
dai Centri di Pediatria che li hanno avuti in carico, e
di fatto vengono abbandonati a loro stessi e alle loro
famiglie.
Ecco in sintesi cosa stiamo facendo.
1. Il “Centro di aiuto-ascolto”, un piccolo ma
importante osservatorio sul mondo dei malati
metabolici
Moltissime sono le mamme e i papà, i parenti, ma
anche i ginecologi, le ostetriche e i pediatri che hanno
contattato il nostro Centro di aiuto-ascolto attraverso il
numero verde gratuito o il nostro indirizzo mail. Il Centro di aiuto-ascolto rappresenta per noi un importante
strumento di “rilevazione dei bisogni”, ci offre il polso
della situazione a livello italiano della cultura in fatto di
prevenzione neonatale. Ascoltare le moltissime voci
che si rivolgono a noi ci ha spronato a continuare il
nostro lavoro di sensibilizzazione e informazione in
tutti questi anni.
2. L’offerta dello screening neonatale metabolico
allargato gratuitamente
La domanda che ci sentiamo fare più spesso è dove
e come poter fare lo screening allargato al proprio nascituro in mancanza del test nel territorio di nascita.
Così dal 2009 siamo in grado di offrire gratuitamente
questa importante possibilità. Inviamo alla famiglia il
cartoncino per la raccolta del sangue e lo inoltriamo
al nostro Centro di riferimento, il Policlinico Umberto I°
di Roma. La risposta al test viene inviata a casa entro
qualche settimana.
3. L’attività di lobbyng
Curiamo campagne informative e di sensibilizzazione, nei confronti dell’opinione pubblica, delle Istituzioni, del mondo della sanità, medici, pediatri e ricercatori. Abbiamo lanciato due campagne nazionali, che
proseguono tuttora, partecipiamo a convegni e congressi e siamo presenti a tavoli istituzionali dove si
prendono le decisioni, contribuendo anche a redigere
le proposte di legge.
Oggi possiamo dire con soddisfazione che la situazione è sensibilmente migliorata.
155
Tavola Rotonda
Grazie soprattutto alla buona volontà di aziende
ospedaliere e con loro di medici e biochimici, attualmente il test viene applicato in Toscana, Umbria,
Liguria, parte del Lazio, Veneto, Emilia Romagna
e Sardegna, coprendo però ancora solo il 29% dei
520 mila nuovi nati in Italia. Ma, dopo anni di battaglie, la Commissione Salute Senato ha in esame il
DL 998 dove si prevede l’attivazione dello screening
neonatale in tutte le Regioni e un finanziamento ad
hoc. Inoltre anche altre Regioni stanno muovendosi:
in Sicilia e in Campania è stato avviato un progetto
pilota, per alcune provincie, la Puglia, la Lombardia
e le Marche sono quasi pronte a partire. Risultati incoraggianti, ma non ancora sufficienti.
Molto lavoro resta ancora da fare, ma certo siamo
sulla buona strada. Tra i prossimi obiettivi, lo screening anche per le patologie lisosomiali, a esordio precoce o tardivo per le quali la diagnosi precoce e le
conseguenti misure terapeutiche adeguate possano
rivelarsi efficaci ai fini della riduzione dei casi e della loro gravità. È importante ricordare che identificare
precocemente una malattia metabolica a esordio tardivo (Gaucher, Pompe, Fabry, Krabbe, Niemann Pick
e MPS) mette in guardia i genitori e permette loro di
pianificare e affrontare consapevolmente una seconda gravidanza. Accade troppo spesso, infatti, che la
diagnosi del primo figlio malato arrivi dopo la nascita
del secondo, troppo tardi per poter attuare metodi di
prevenzione come la diagnosi pre-impianto, ora possibile anche in Italia.
Generoso Andria: In che modo i pediatri possono
interagire e collaborare con l’AISMME?
Manuela Vaccarotto: Lo screening neonatale metabolico allargato è un mezzo straordinario di prevenzione pubblica. Nessuno come i Pediatri che
vedono ogni giorno le conseguenze della malattia
non diagnosticata in tempo può capire l’importanza della prevenzione. Chiediamo di lavorare insieme per promuovere l’applicazione dello screening,
creando la consapevolezza che il test può salvare piccole vite, risparmiando tanto dolore e sofferenza ma anche i pesantissimi costi sociali che
comporta ogni bambino malato non diagnosticato
precocemente.
I genitori devono essere informati adeguatamente dal
momento del concepimento e per tutta la durata della gravidanza sullo scopo dello screening metabolico
allargato e sui grandi vantaggi che questo comporta
per la salute e il futuro del loro bambino. Ai Pediatri
chiediamo quindi di affiancarci nell’offrire ai genitori
un’informazione di qualità, alla base di un corretto instradamento dei genitori verso lo screening allargato.
Ma il test è solo una prima tappa di un percorso che
necessita poi di una conferma diagnostica immediata
e di un successivo intervento terapeutico. Può presentare dei falsi positivi, a volte deve essere ripetu156
to e il tempo che trascorre tra la comunicazione alla
famiglia e la risposta al secondo richiamo viene vissuto dalla famiglia in modo traumatico. Una corretta
informazione ai genitori consentirebbe invece di affrontare in modo consapevole l’ultimo tratto del “percorso screening”. Non solo. Il Pediatra può essere un
protagonista nell’avanzare il sospetto di malattia rara
e metabolica qualora il bambino non sia stato screenato alla nascita.
Crediamo, infine, che i Pediatri di base debbano
essere messi anche in grado di seguire la famiglia
e i bambini nel difficile e doloroso percorso di cura.
Molto spesso il Centro di Riferimento per la patologia è a molti chilometri di distanza dal luogo di
residenza della famiglia. Ecco quindi che il Pediatra
diventa un supporto molto importante nella gestione della patologia e un valido interlocutore per il
Centro di Riferimento stesso. Purtroppo talvolta il
dialogo tra questi due soggetti viene a mancare,
lasciando così il genitore in balia della patologia
e abbandonato nei momenti in cui deve prendere
decisioni importanti, le cui conseguenze possono
ripercuotersi sul bambino malato. Una conseguenza è che il genitore cerca aiuto e informazioni su
Internet, senza alcuna guida.
Tutto questo non è possibile senza percorsi formativi
adeguati. Ci auguriamo che iniziative come il Corso
di formazione “L’assistenza pediatrica per le malattie
rare” dal Centro di Coordinamento Regionale Malattie
Rare della Regione Campania, diretto dal Professor
Andria e organizzato qui a Napoli, sia solo un primo
passo di un lungo cammino che porti famiglie e malati, mondo medico e Istituzioni a lavorare efficacemente insieme.
Generoso Andria: Dall’intervento della Sig.ra Vaccarotto si percepisce che ci sono punti di vista diversi, anche se comprensibili, che dovremmo cercare
di conciliare tra loro attraverso il dialogo e l’informazione reciproca. Voglio solo rilevare quanto sia
delicata l’iniziativa dell’Associazione di “by-passare”
il canale dei programmi di screening ufficiali, favorendo la trasmissione diretta dell campione da parte
delle famiglie a un laboratorio di screening centrale.
Ma non abbiamo tempo per discuterne. Così come
dovremmo dedicare un’altra tavola rotonda al tema
dell’allargamento del panel anche alle malattie lisosomiali, verso le quali l’Associazione ha un atteggiamento favorevole, mentre la comunità scientifica e la
stragrande maggioranza dei paesi non le considera
in possesso di tutti i requisiti minimi per una implementazione nei programmi correnti, a parte alcuni
progetti pilota sperimentali.
La signora Vaccarotto ha tuttavia sollevato molte
drammatiche problematiche che colpiscono la vita e
la qualità di vita dei pazienti e delle famiglie, su cui
dobbiamo riflettere con attenzione e empatia.
Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie
Aspetti etici
Sara Casati
Generoso Andria: Passo ora
la parola alla dottoressa Sara
Casati, bioeticista, che, in collaborazione con UNIAMO ha
coordinato un paio di incontri
“appassionati” sulle problematiche etiche dei programmi
neonatali di screening esteso.
Questi incontri sono durati due giorni, ma in questa
sede dobbiamo necessariamente essere sintetici e
limitarci forse solo a elencare i problemi etici prioritari,
che abbiamo da risolvere.
Sara Casati: Una parola ricorrente in questa Tavola
rotonda è stata “problema”. Ma l’etimologia della parola problema può essere per noi feconda: “pro-ballo”,
ciò che è di fronte a noi, ciò rispetto a cui non è ancora stata individuata una risposta definitiva. Vi propongo allora un ribaltamento di prospettiva, il consenso
(o dissenso) “informato” allo screening neonatale, e
a maggior ragione allo screening allargato, non come
criticità, ma come pro-blema, come processo che richiede un’attitudine e una governance innovative.
Lo screening neonatale è apparentemente un’azione
semplice, ma potremmo in realtà definirlo come un’azione semplice ad alta complessità per:
• i differenti attori in gioco (minore, genitori, famiglia
allargata in caso di esito positivo, professionisti
della salute, gestori di biobanche, ricercatori, società, istituzioni);
• il percorso che attiva (diretto, di conoscenza della
salute del proprio nascituro e della propria famiglia; indiretto, di consapevolizzazione e inclusione
dei cittadini nei processi decisionali);
• gli scenari dinamici che apre per il minore, la famiglia e la società stessa (costi, medicina predittiva,
coinvolgimento).
In Europa e nel dibattito etico-normativo da molto tempo si riflette e opera sul tema degli screening1. Si considera lo screening neonatale e la medicina predittiva
in generale una palestra etica e politica di estrema
importanza. Il processo di maturazione etica in atto è
profondo e obbligato, data la svolta genetica della medicina e della scienza, le accelerazioni costanti della
tecnologie, basti pensare agli scenari dischiusi dalla
spettrometria di massa: da tempo è evidente per gli
Organismi europei, a iniziare dal Consiglio d’Europa e
dalla Commissione stessa, e per gli esperti di settore
che la mancata inclusione e consapevolizzazione dei
genitori e dei cittadini nei programma di screening implica una riduzione delle possibilità di scelta:
• per il sistema (sia rispetto alla valenza/opportunità
dell’allargamento degli screening che per le opzioni di ricerca implicate);
• per i genitori (sia rispetto al sapere riproduttivo che
per le scelte di salute successive);
• per il bambino stesso (una volta maggiorenne).
Una scelta informata sia rispetto allo screening quale vettore di medicina preventiva che rispetto al possibile utilizzo del sangue raccolto per scopi scientifici (di miglioramento del test stesso e/o di ricerca)
è determinante in un contesto ad alta complessità,
con un forte impatto individuale e sociale, e indice di
buona pratica clinica. Il coinvolgimento consapevole
di tutti i soggetti in gioco, dal neonato (che non ha
voce), ai genitori (che fanno scelte per i loro figli),
ai medici, ai cittadini in generale è infatti condizione
necessaria per responsabilizzare i genitori e i professionisti, riconosciuti come soggetti decisionali in
gioco, per “partecipare” alle varie fasi cui potrebbe
aprire lo screening (dalla scelta preconcezionale
consapevole, all’importanza di “rispondere” a un risultato positivo, alla diagnosi genetica), per creare
quello spazio di cittadinanza scientifica essenziale
per le sfide di ricerca e di trasformazione del sistema
socio-sanitario in corso.
In Italia dal 1992 sono 3 gli screening obbligatori a
livello nazionale, e in molte Regioni italiane è già in
atto lo screening allargato per una numerosa famiglia
di malattie metaboliche. L’obbligatorietà dei 3 screening principali è stata spesso letta come un’esenzione
dall’informare, ma, come abbiamo ripercorso insieme,
non solo siamo maturati eticamente e la Convenzione di Oviedo2, centrata sul consenso informato come
passaggio obbligato nelle scelte di salute - quale cifra
tangibile di inclusione e di rispetto della volontà individuale - è diventata vincolante per tutti gli Stati europei
che hanno sottoscritto il Trattato di Lisbona2 3; ma è
l’evoluzione stessa del programma e delle tecniche
di screening, delle nuove possibilità di ricerca aperte
dalla facilità di estrazione di DNA e RNA dai cartoncini di sangue raccolti, a esigere un processo informa-
1
Protocollo addizionale alla Convenzione d’Europa sui diritti umani e la biomedicina relativa ai test genetici a fini sanitari (2008). Particolarmente interessante l’articolo 19 in cui il programma di screening può essere attuato se approvato dall’istituzione competente, previa
valutazione indipendente della sua accettabilità etica per cui si rispettano le seguenti condizioni: a. valenza sanitaria; b. validità scientifica ed effettività; c. disponibili misure preventive o “trattamentali” appropriate per le malattie a cui si riferisce lo screening; d. predisposte
misure di accessibilità eque; e. previsti strumenti per informare adeguatamente la popolazione circa l’esistenza, la finalità e gli strumenti
di accesso allo screening. Di rilievo anche gli articoli 9, sul consenso informato, e 20, sull’informazione pubblica.
2
Convenzione di Oviedo o Convenzione sui diritti umani e la biomedicina (1997)
3
Nel dicembre 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’Unione Europea ha ufficialmente inserito nel proprio ordinamento giuridico la “Carta dei Diritti Fondamentali” e dato ad essa “lo stesso valore giuridico dei trattati” (art. 6 comma 1 TUE). La Carta è divenuta
così vincolante sia per le Istituzioni europee che per gli Stati Membri quando attuano il diritto dell’Unione.
157
Tavola Rotonda
tivo. Un percorso di screening riuscito è un percorso
agito con consapevolezza e informazione, da tutti.
A livello europeo, Francia, Germania e Regno Unito
sono propensi a creare le condizioni sistematiche per
questa scelta informata e consapevole; che si tratti
di consenso o dissenso, l’elemento informativo è fondamentale. Fermo restando che il dissenso informato
non implica la deresponsabilizzazione del professionista coinvolto nel percorso informativo. È sempre
più patrimonio comune che se si dà maggiore importanza alle criticità organizzative, e si sottolinea la
impossibilità di adottare scelte informative più ampie,
si riducono le probabilità di aprire orizzonti alla medicina predittiva: come abbiamo sottolineato, in questo
modo non viene attuato un processo di responsabilizzazione della cittadinanza, e ci si preclude anche
la possibilità di utilizzare quota parte dei materiali
biologici, per la ricerca e per il miglioramento della
qualità dello strumento diagnostico. Solo pochi mesi
fa, in una grande Regione italiana sono stati distrutti
tutti i cartoncini raccolti nei primi anni dello screening,
poiché non corredati di consenso informato, con la
perdita grave di materiale biologico di grande interesse potenziale per la ricerca4.
La specificità dello screening, quale azione semplice
ad alta complessità, in evoluzione tra “obbligatorietà”
e scelta consapevole, che può aprire a scenari inaspettati, richiede quindi una buona pratica di consenso informato, innovativa, modulare, dinamica. È essenziale segnalare qui l’intimo legame tra la qualità di
questo processo informativo e la formazione dedicata
dei professionisti che lo rendono possibile.
In sintesi inclusione del paziente-cittadino e qualità
del processo: non suona a good clinical practice?
In questa stessa prospettiva di buona pratica, di percorso in costruzione con tutti i soggetti decisionali
coinvolti, vorrei segnalarvi un’esperienza partecipativa, inclusiva e formativa che durante il 2014 con UNIAMO, la Federazione Italiana Malattie Rare, con molti
componenti del gruppo Age.na.s. dello screening neonatale allargato ed esperti del settore, abbiamo sviluppato sugli aspetti etici e gli snodi di buona pratica dello
screening neonatale. Con questa tabella V sintetizzo
gli esiti del costruttivo percorso (Tab. V).
Tabella V. Fattori e requisiti per un consenso informato di qualità.
Per un consenso informato dinamico e modulare allo screening neonatale
4
Fattori determinanti qualità dell’informazione dedicata
Requisiti minimi dell’informativa in vista del consenso
Spazio e tempi dedicati all’informazione prima della
nascita e del prelievo
Descrizione programma di screening, con specifica
attenzione per lo screening allargato alle implicazioni
connesse con il suo essere un programma sperimentale
Modulazione dell’informazione:
• pubblica
• di base
• possibilità di approfondimento progressivo,
eventualmente anche sulle malattie specifiche che
si vanno a indagare, attraverso strumenti preposti
(brochure, schede, sito specifico…)
Spiegazione:
• caratteristiche del test
• percorso dello screening (dal prelievo, all’esito,
all’eventuale chiamata, al counselling, alla diagnosi
genetica)
Individuazione dei professionisti, dedicati
all’informazione allo screening, nel periodo precedente
alla nascita
Esplicitazione dei rischi potenziali e dei benefici
Formazione dedicata dei professionisti
Approfondimento del significato di:
• risultato falso positivo
• risultato falso negativo
• risultati inaspettati
Individuazione di un professionista di riferimento
Segnalazione dell’importanza di “rispondere” al risultato positivo
Previsione di:
• una mediazione culturale
• invio dell’esito negativo dello screening
• attivazione di un percorso di counselling genetico
in caso di esito positivo
Possibilità di biobancaggio:
• per approfondimento diagnostico futuro
• per sviluppo di ricerche future.
La Raccomandazione europea n. 4 del 2006, aggiornata nel 2014, regola l’utilizzo scientifico del materiale biologico umano: nel suo
ultimo aggiornamento non solo si reitera l’obbligatorietà del consenso informato e del parere favorevole di un Comitato etico per poter
raccogliere e utilizzare materiali biologici umani per scopi scientifici, ma si esplicita un grande passaggio di inclusione: il cittadino, il
paziente danno il consenso affinché si “custodisca” il materiale per scopi di ricerca, non si perde più il diritto su questo materiale, che
prima veniva praticamente “donato”, ma ora si parla di custodia o cessione dell’uso.
158
Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie
Generoso Andria: Grazie dottoressa Casati per il
suo molto esauriente intervento. A me (spero a noi)
sembra che introdurre il consenso informato per gli
screening non obbligatori come necessaria routine
neonatologica sia inevitabile, anche se restano da
chiarire ancora dubbi sulle modalità da attuare (consenso o dissenso; per tutto il panel o solo per alcune
malattie). È tutto chiaro da questo punto di vista?
Sara Casati: Il dibattito è ancora vivace, ma si è concordi nel valutare un modello relazionale paternalistico di intralcio alla medicina preventiva e all’attivazione di percorsi di presa in carico che non amplifichino
la vulnerabilità del minore e del nucleo famigliare positivi al test. I programmi di screening allargato amplificano tutto ciò: l’incertezza dell’esito, il beneficio in
termini di salute del bambino non ancora saldamente
provato, ci obbliga a prevedere un processo di consenso informato. Questo elemento di incertezza rileva
una dimensione ancora sperimentale, non della tecnica ma dello scopo dello screening; in questo passaggio risiede l’ineludibilità del consenso informato e
una grande possibilità di ripensamento dello stesso in
termini di buona pratica modulare e dinamica.
Centrale nella comunicazione tra medico e genitori sarà
la descrizione del processo di screening, della procedura e dei rischi a cui espone. Da prevedere ed attivare in
caso di richiesta di approfondimento da parte dei genitori sarà una disponibilità a entrare invece nel dettaglio
delle patologie oggetto dello screening. Estrema sarà la
cura comunque nel ragguagliare del modo in cui si verrà
informati e supportati in caso di risultato positivo.
Una nota a parte, delicata ma credo costruttiva: la
modularità dell’informazione potrebbe anche essere
caratterizzante il processo stesso. Se possiamo prevedere il neonatologo come professionista che raccoglie l’espressione del consenso, nell’ultimo trimestre
della gravidanza, altri potrebbero essere i medici incaricati di condividere ed illustrare l’informativa.
Conclusioni
Generoso Andria e Fabio Sereni
Questa tavola rotonda sugli screening estesi per le
malattie metaboliche ereditarie non aveva l’ambizione
di affrontare in maniera completa tutti gli aspetti di un
intervento di sanità pubblica ancora aperto a discussioni e approcci diversi.
L’indagine condotta dall’Istituto Superiore di Sanità ci
ha dimostrato che le scelte politiche in Europa e nel
mondo sono infatti molto eterogenee: si va infatti da
panel di malattie molto estesi (oltre 50 negli USA) a
un minimo di 2-5 malattie, anche in paesi europei che
sono del tutto paragonabili all’Italia come standard
socio-sanitari. Questo fa capire come non siano sufficienti le evidenze scientifiche a favore dell’inserimento nel panel di questa o quella malattia per tradurre il
tutto in una decisione politica.
Nel nostro paese, dove tra l’altro il sistema sanitario è
su base regionale, non è neppure semplice emanare
una disposizione che abbia una validità per tutte le regioni, a meno che la prestazione non sia riconosciuta
come un livello essenziale di assistenza (con tutti i risvolti economici che questo comporta). Fortunatamente compaiono segnali di una visione nazionale che tenda a ridurre o eliminare le diseguaglianze dell’offerta
sanitaria tra le varie regioni, come si nota nelle iniziative ministeriali di preparazione di un decreto sulla materia. Purtroppo i fondi messi a disposizione coprono
solo in piccola parte i costi di uno screening universale
esteso per i neonati di tutte le regioni.
È una realtà di cui dobbiamo necessariamente prendere atto che le Regioni, come gli Stati nazionali, prendono le loro decisioni sulla base di valutazioni costi/benefici, al fine di utilizzare le risorse esistenti, per interventi
di interesse pubblico, secondo una scala di priorità. Si
deve poi evitare l’illusione che disporre delle strutture
diagnostiche sia sufficiente per avviare lo screening
esteso, mentre è necessario garantire un programma
completo di presa in carico totale del paziente individuato dallo screening, probabilmente per tutta la vita.
È quello che ha realizzato da tempo la Toscana, che
pure deve ancora confrontarsi con problemi da superare. È chiaro che le decisioni della sanità pubblica risultano prioritarie anche rispetto al punto di vista, del tutto
comprensibile, delle associazioni: esse rappresentano
bambini che, in assenza dello screening, non hanno
goduto di un intervento precoce efficace.
Infine, nell’organizzazione dei programmi di screening, devono essere affrontate e risolte questioni di tipo
etico. Basti solo pensare al dibattito sul consenso (o
dissenso) informato da parte dei genitori, garantendo
un’’informazione completa, che richiede, tra l’altro, la
disponibilità di personale sufficiente e preparato.
Anche se queste conclusioni sembrano ancora problematiche, è forse possibile elencare alcune raccomandazioni: 1) la necessità di una rapida attuazione del Decreto
Ministeriale in preparazione;
2) la necessità di essere prudenti (“non tutto subito”):
non si può imporre al Sistema Sanitario Nazionale
qualcosa che non è pronto a ricevere;
3) la necessità di un rapporto stretto tra sanità e assistenza;
4) la necessità di essere flessibili, perché continuamente possono cambiare obiettivi e panel di malattie;
5)la necessità di un rapporto continuo e condizionante tra esperti medici e rappresentanti delle politiche sanitarie.
In ogni caso ci auguriamo che aver dato voce a punti
di vista diversi, ma ognuno con la sua legittimità, possa stimolare un momento di riflessione critica nei pediatri, coinvolti in prima fila nella gestione quotidiana
e presa in carico del bambino con malattia metabolica
ereditaria.
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