Programma della VIII Conferenza dei Presidenti delle AVO d`Italia

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Programma della VIII Conferenza dei Presidenti delle AVO d`Italia
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Programma della VIII Conferenza
dei Presidenti delle AVO d’Italia
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23/05/16
Programma_VIII_ConferenzaPresidenti.pdf
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Salsomaggiore Terme (PR), 27-29 maggio 2016
Venerdì 27 Maggio
ore 13,00
PRANZO
PALAZZO DEI CONGRESSI, AUDITORIUM EUROPA
ore 15,00
ore 15,45
ASSEMBLEA DEI SOCI
Relazione del Presidente della Federavo
Approvazione del Progetto di Bilancio
ore 18,00
VIII CONFERENZA DEI PRESIDENTI - ANTEPRIMA
L’IMPREVISTO ACCOLTO
Incontro con Ernesto Olivero,
Fondatore del Sermig, Servizio Missionario Giovani
conduce Claudio Lodoli
ore 20,00
CENA NEI RISPETTIVI ALBERGHI
Sabato 28 Maggio
PALAZZO DEI CONGRESSI, AUDITORIUM EUROPA
ore 9,00
APERTURA DEI LAVORI
Agata Danza, Vicepresidente Vicaria della Federavo
ore 9,30
PROGETTO AVO: IL SUCCESSO DELL’ORDINE IMPERFETTO
Incontro con Claudio Lodoli, Presidente della Federavo
conduce Annamaria Ragazzi, Redazione Nuovo NOIinsieme
ore 10,15
GESTIRE L’IMPERFEZIONE
Interventi prenotati dei Presidenti delle AVO d’Italia
coordina Annamaria Ragazzi
ore 11,30
PRESENTAZIONE PROGETTO KOINÈ
Massimo Silumbra – Nadia Guadagnuolo
ore 12,15
CONCLUSIONI
Presidente della Federavo
RUBRICHE
n PRIMO PIANO 2
n TESTIMONI del tempo 3
n GRANDI EVENTI 4
n FORMAZIONE 7
n VOLONTARIATO e società 8
n TESTIMONIANZE 10
n ESPERIENZE 11
n NOTIZIE dalle AVO 12
n LETTURE 15
n AVOGIOVANI 16
n FILO DIRETTO 17
n ANGOLO dell’etica 19
ASSEMBLEA DEI SOCI
Elezioni per il rinnovo delle cariche federali
Presentazione dei candidati
ore 16,00
Apertura del Seggio elettorale
ore 18,00
Chiusura del Seggio elettorale
ore 20,00
CENA NEI RISPETTIVI ALBERGHI
PALAZZO DEI CONGRESSI, SALONE MORESCO
ore 21,30
SERATA SOCIALE
Proclamazione degli eletti alle cariche federali
Assegnazione del Premio Nuovo Noi insieme
Festeggiamenti
Domenica 29 Maggio
PALAZZO DEI CONGRESSI, AUDITORIUM EUROPA
ore 8,30
Santa Messa
ore 9,15
INTERVENTO DEL PRESIDENTE ONORARIO DELLA FEDERAVO
Erminio Longhini
ore 9,45
RIFLESSIONI AD ALTA VOCE
Arnaldo Pangrazzi
ore 10,30
PRESENTAZIONE DEL NUOVO PRESIDENTE E DEI CONSIGLI FEDERAVO
Confronto aperto con i Presidenti delle AVO d'Italia
ore 12,30
Pranzo nei rispettivi alberghi
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MAGNIFICA
ESPERIENZA
Claudio Lodoli
Ho iniziato a collaborare
con NOIinsieme sedici anni
or sono con crescente intensità salvo un’unica, breve interruzione. Con la scadenza dei miei due mandati
alla Presidenza federale alle
porte, sento di avere esaurito
anche il mio compito nella
storica testata che – nata come bollettino di quattro pagine realizzato con tecniche
artigianali – si è trasformata
in un sistema integrato di comunicazione con il cuore nel
web.
L’esperienza di quarantasei
anni ai vertici di strutture e
organizzazioni di ogni genere, mi suggerisce di ritenere
ormai concluso l’impegno
per NOIinsieme, e che per
me sia ormai giunto il momento di tacere.
UNA PERSONA CHE
NON DIMENTICHERÒ MAI
Ho conosciuto Anselmo Terranova nel 1999, durante il Convegno Federavo organizzato
a Paestum in cui eravamo
entrambi relatori. Da quel momento non ci perdemmo più
di vista, e ben presto fra noi
si stabilì un solido rapporto
di stima e di grande amicizia,
concluso soltanto il 1° marzo
2016, con la sua morte.
La figura imponente e la voce vigorosa di padre Anselmo
contrastavano con il suo spirito
mite e la finezza dello sguardo profondo che, dietro i lampi
vivaci, talvolta lasciava trasparire le luci soffuse di lieve melanconia di una persona colta
e sensibile. Grazie alla straordinaria conoscenza dell’animo
umano, riusciva sempre a intuire nell’«altro» il fratello che
non aveva avuto.
Frate dell’ordine dei Cappuccini e per molti anni Cappellano negli ospedali di Genova,
Anselmo intravvide nell’AVO
lo spazio complementare al-
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la sua missione di religioso:
nell’estate del 1978, dopo un
incontro con Erminio Longhini
in Liguria per le vacanze, sostenne con vigore la formazione del Comitato promotore
che di lì a poco avrebbe dato
vita all’AVO di Genova. L’AVO
cosi divenne la sua famiglia,
e all’Associazione egli ha donato generosamente i frutti
della sua grande esperienza
di sacerdote e di psicologo,
intensamente vissuta accanto
agli ammalati e ai loro familiari.
Terranova era gioviale, amava
la vita come dono divino e ha
lasciato scolpita di sé l’immagine della perfetta letizia
propria del francescanesimo:
sorrideva sempre e si lasciava spesso andare ad allegre
risate che riempivano di entusiasmo le assemblee dei
Volontari, alleggerendo così
la gravità dei temi che – nel
ruolo di formatore della Federavo – affrontava nei suoi pel-
Per questa ragione ho scelto di congedarmi semplicemente con un ricordo di
padre Anselmo Terranova,
pubblicato qualche giorno
fa dall’AVO di Genova che –
con il permesso dei colleghi
liguri – oggi offro ai “lettori”
di sempre e a tutti i nuovi
che accedono ai contenuti di
NOIinsieme attraverso Internet. È stato un grande onore
aver potuto contribuire, per
quanto nelle mie capacità,
allo sviluppo del giornale, e
considero un grande privilegio l’aver vissuto con voi, in
diretta, la storia più autentica
dell’AVO, raccontata nelle
vostre innumerevoli, irripetibili testimonianze pervenute
in ogni forma e con ogni mezzo alla Redazione di NOIin­
sieme.
legrinaggi in tutte le AVO d’Italia. Era una buona forchetta,
e con lui allo stesso tavolo
si trascorreva sicuramente
un’ora di spensieratezza e di
serenità.
Per la leggerezza con la quale
sapeva trattare argomenti delicati e impegnativi, per la sua
attenzione nei confronti delle
nuove generazioni di Volontari, divenne il naturale riferimento della nascente AVOGiovani che ha seguito finché la
salute glielo ha permesso.
Ho voluto molto bene ad Anselmo: con lui ho condiviso
due mandati nel Consiglio
federale e quindici anni di lavoro comune dedicato soprattutto a NOIinsieme, del quale
egli era una delle firme più
autorevoli e apprezzate. Mentre scrivo, ho sul mio tavolo
un suo appunto scritto a mano
allegato con un fermaglio alle
fotocopie di due articoli che
mi aveva inviato per posta lo
scorso anno, poi apparsi nel
giornale: «Sono stato poco bene per parecchio tempo, ora
mi sono ristabilito e ho subito
pensato alla nostra Federavo.
[...] Ti invio per ora due arti-
coli, proseguirò pian piano e
cercherò di essere costante
e presente collaborando alla
rivista NOIinsieme. Ti auguro
ogni bene e ti abbraccio con
tanto affetto».
Non ho più ricevuto altro, ma
ci siamo sentiti ancora un paio
di volte con qualche difficoltà.
Quando Giorgio Colombo, due
mesi fa, mi ha telefonato per
dirmi che Anselmo non era più,
nella mia mente si è riaffacciata l’immagine pacifica e sorridente di un frate alto e grande
che, sorridendo e con tono un
po’ scanzonato, una volta mi
aveva confessato: «Vedi, Claudio, io non possiedo nulla e
non ho familiari in vita. Il giorno
in cui morirò, basterà gettare
la chiave della mia stanza».
Questo Maestro ci mancherà molto, ma i suoi ricordi, le
sue testimonianze ci accompagneranno per sempre, con
l’impegno morale di tramandare ai Volontari che verranno il patrimonio di sapere e
di straordinaria umanità che
iscrive Anselmo Terranova fra
i pilastri della storia dell’AVO.
Claudio Lodoli
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Padre Anselmo, uno dei più
importanti tra i nostri Fondatori Formatori Volontari dell’AVO Genova, ci ha
lasciato il 1° marzo 2016.
È mancato nel Convento
dei Cappuccini, dove viveva, all’età di 87 anni. I suoi
scritti, inesauribile fonte di
insegnamento e di conforto,
restano tra noi e guideranno
il futuro della nostra Associazione.
Per capire che cosa ha significato padre Anselmo per l’AVO, bisogna tornare indietro
alle radici del suo impegno
negli ospedali, nei primi anni Settanta, se non ancora
prima; allora era un giovane
forte, armato di fede, di buona volontà e già desideroso
di aiutare nelle corsie, dove
operava come Cappellano e
nella veste di Volontario AVO
ante litteram. Come ricorda la
Volontaria e fondatrice Carla
Belgrano, in occasione del 25°
Anniversario di Sacerdozio di
padre Anselmo, padre Bambini raccontava che al tempo
in cui entrambi operavano al
lebbrosario Anselmo, allora
giovane e aitante frate con
ardente amore, era solito caricarsi sulle spalle i malati per
portarli a far la Comunione in
Chiesa.
Da esperto psicologo, inoltre,
scriveva molto bene ed era
un grande parlatore. La sua
partecipazione al Convegno
per Ospedalieri ad Assisi nel
settembre del 1977 ci dà testimonianza di Lui anche come
ottimo conferenziere.
In quegli anni Gino Pettazzi,
tornato da Houston in America dove aveva subito un’operazione al cuore e lì sperimentato positivamente un servizio
LA PREZIOSA BELLEZZA
DELLA VITA
Ricordo di padre Anselmo Terranova
Milly Coda
di volontariato gratuito in
ospedale, si stava attivando
per realizzarne uno analogo
a Genova. Espose la sua idea
a padre Stefano Bambini e ad
un gruppo di Volontari che
già stavano operando presso
i ricoverati anziani soli e indigenti; padre Bambini accolse
con entusiasmo l’iniziativa,
che si collocava nel solco di
una centenaria tradizione che
caratterizza Genova negli interventi di assistenza agli ammalati ed agli anziani.
Nel frattempo a Milano, da
un’idea del dott. Longhini
che aveva intuito la necessità
di umanizzare le corsie degli
ospedali, portando fra gli ammalati una solidarietà “nuova”, offerta gratuitamente, era
nata l’AVO. E subito venne
organizzato un incontro a Milano con Longhini; e così l’iniziativa di Pettazzi a Genova si
collegò al mondo AVO.
È qui che entra in scena padre
Anselmo, che così ha raccontato il suo primo approccio
con l’AVO: “Padre Bambini
mi ha introdotto nell’Associazione fino a far nascere, insieme a lui, l’AVO di Genova. La
nostra collaborazione in questo settore è stata un vivere
insieme l’intimità dell’amore e
del servizio donato a tutti coloro che ci avvicinavano”.
Il 5 dicembre 1978 padre
Anselmo concorre alla firma
dell’Atto Costitutivo dell’AVO Genova; da quel momento entra a far parte del
Consiglio e comincia a tenere
lezioni, conferenze e dibattiti
in particolare sulla Formazione del Volontari. È Cappellano e Guardiano all’Ospedale
“Duchessa” di Galliera dove
rimane dal 1969 al 1995, poi
all’Ospedale “San Martino” fino al 1999, all’Istituto
“Giannina Gaslini” ed infine
nel 2002 viene trasferito nel
convento di San Bernardino,
in qualità di Vice Direttore
dell’Infermeria
Provinciale
dei Frati Cappuccini. Contemporaneamente continua a
svolgere il suo ammirevole e
altamente professionale servizio di Volontario con umiltà,
sorriso e soprattutto con il suo
amore incondizionato verso il
malato. Nominato Consigliere
Emerito del Direttivo AVO,
come tale padre Anselmo è rimasto operativo nel Consiglio
fino agli ultimi giorni della sua
vita.
Nel corso degli anni, e non
solo a Genova, il suo ruolo
di Formatore nell’AVO era
diventato indispensabile alla
preparazione dei nuovi Volontari e all’aggiornamento di
quelli già in servizio. Molto
utilizzate ed apprezzate sono
state le sue pubblicazioni, ma
ancor più i dibattiti, le conferenze, gli interventi a conve-
gni in ogni parte d’Italia a cui
prendeva parte come psicologo e formatore, religioso e docente di Etica.
I suoi insegnamenti e suggerimenti erano regolarmente
pubblicati in rubriche a lui
dedicate sui giornali della Federavo (NOIinsieme) e dell’AVO Genova (InformAVO).
Su quest’ultimo “La Voce di
padre Anselmo” continuerà a
parlarci, grazie a centinaia e
centinaia di testi ancora inediti che Lui ci ha lasciato.
Ora riposa nel Cimitero di
Staglieno: per ricordarlo da
grande quale era, desideriamo
concludere questo suo profilo
con la frase che dà inizio al
suo libro di prossima pubblicazione “Mosaici di vita”, che
racchiude proprio come in un
mosaico riflessioni, commenti, interpretazioni sul nostro
vissuto quotidiano attraverso
i sentieri della psiche umana:
“Si nasce e si muore senza lo
stato di conoscenza e in mezzo a queste due realtà esiste la
preziosa bellezza della vita”.
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Il 24 ottobre 2015, i festeggiamenti per i 40 anni dell’AVO
a Milano, presso il Pavillon
UNICREDIT si sono svolti in
concomitanza con l’VII Giornata Nazionale AVO; il tema
dell’evento, “L’arte del Volontariato” ha proposto una visione sostitutiva a quella tradizionale del bicchiere d’acqua,
che sottolinea la centralità del
rapporto empatico tra Volontario e malato nella logica della reciprocità.
Come ha sottolineato il Presidente Claudio Lodoli, grazie
a questo dono scambievole il
malato diviene protagonista
del suo percorso di cura e si
realizza
quell’umanizzazione che è lo scopo dell’azione
dell’AVO.
Dopo il contributo della Presidente dell’AVO Milano, Maria Saraceno, e i saluti delle autorità, è iniziato il dibattito tra
gli ospiti: Philippe Daverio,
critico d’arte e antropologo,
Giuseppe Platone, in rappresentanza della Chiesa valdese,
Giorgio Fiorentini, docente
di Economia presso l’Università “Bocconi” di Milano, e
Benvenuto Cestaro, Direttore
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40 ANNI DELL’AVO
Grande evento a Milano in occasione
della Giornata Nazionale
della Scuola di Specialità della Scienza dell’Alimentazione
presso l’Università di Milano.
Il moderatore, il giornalista
Giuliano De Risi, ha introdotto i lavori ricordando come
dai dati del CENSIS emerga
una società caratterizzata dal
benessere materiale ma anche
da un diffuso senso di solitudine e dalla difficoltà di intessere profondi rapporti umani; ha quindi chiesto al prof.
Daverio da dove provenga la
spinta al Volontariato in un
contesto tanto difficile.
La spiegazione, secondo il noto critico d’arte, sta nella nostra storia e più precisamente
nelle capacità di aggregazione
che si sono manifestate nel
borgo medievale sulla base di
un’etica incentrata sul rifiuto
dei vizi capitali, soprattutto
l’accidia, che impedendo la
partecipazione del singolo alla
vita comunitaria è il pericolo
maggiore per l’ideale democratico basato sulla responsabile azione di tutti per il bene
comune. Esemplare in questo
senso il caso storico del Comune di Firenze: alla metà del
sec. XIII si assiste, da un lato,
al conio del fiorino, moneta
aurea che rappresenta il benessere materiale, e dall’altro
alla nascita della Misericordia, una Confraternita dedita
all’assistenza dei bisognosi
grazie all’impegno materiale
e personale dei cittadini. Economia e partecipazione stanno dunque alla base del buon
funzionamento della società
fiorentina, in un rapporto
inestricabile. Anche Milano,
alla metà del XV sec., vede la
nascita del fundraising grazie
all’iniziativa di Papa Pio II
Piccolomini che, in accordo
con gli Sforza, istituisce la Festa del Perdono: chi avesse offerto soldi, sostegno e partecipazione alla costruzione della
Ca’ Granda, il primo grande
ospedale del mondo, avrebbe
avuto la remissione dei peccati. “Noi siamo oggi eredi di
questa storia, di questo rapporto cittadino-società di cui
l’Italia è faro nel mondo” ha
concluso Daverio.
La parola è andata quindi a
Giuseppe Platone, pastore
valdese, la cui Chiesa è “appassionata di Volontariato”.
Platone fa risalire tale carat-
teristica a una motivazione sia
teologica, implicita nel messaggio cristiano dell’amore
per il prossimo, sia ideologica,
connessa al protestantesimo.
Infatti dalla dottrina della
“giustificazione per grazia mediante la fede” deriva necessariamente la gratuità dell’azione dell’uomo che non cerca
nulla in cambio del suo operare, poiché gratuitamente amato da Dio, ma è spinto all’azione solo dalla riconoscenza per
quanto ha ricevuto e da una
fiducia profonda nel disegno
divino: come Cristo è stato
servitore dell’umanità al punto di donare sulla Croce la sua
vita, così il servizio è l’essenza
della Chiesa valdese. Occorre
“imbrogliare” la morte: la vita
va spesa gratuitamente per gli
altri, per guadagnare un vero
tesoro del cuore che ci darà
serenità al momento del trapasso. Proprio il Volontariato
– e l’AVO ne è testimonianza
– offre tale opportunità.
Giuseppe Platone ha affrontato anche il problema del servizio agli emigranti e della convivenza di diverse culture nel
nostro Paese, affermando che
il confronto con la fede naive
di molti emigranti ha cambiato la chiesa protestante e che è
fondamentale offrire agli stranieri corsi gratuiti di lingua,
strumento indispensabile di
integrazione, di emancipazione e di partecipazione.
A questo punto il moderatore
ha orientato il dibattito su un
nuovo aspetto del Volontariato, quello economico-organizzativo, partendo dal dato
incontrovertibile del suo valore finanziario, che significa risparmio concreto per il nostro
Paese. A fronte di tale vantaggio economico, Giuliano de
Risi ha sostenuto che lo Stato
dovrebbe mettere i Volontari
nella condizione di operare al
meglio e con pari dignità rispetto alle figure professionali
con cui collabora. Invitato a
intervenire, il prof. Fiorentini
si è dichiarato convinto che
l’arte del Volontariato comporti necessariamente uno
spirito di imprenditorialità,
affinché le associazioni possano garantire efficienza, efficacia, continuità di azione. Egli,
richiamando il simbolo della
Giornata Nazionale, afferma:
“Il Volontariato non è cornice
se non nella logica di dare valore aggiunto a ciò che è dentro la cornice”. A tale fine sono da curare la formazione e
la comunicazione. Infatti oggi
ha senso solo un Volontariato
qualificato, che possa svolgere
il suo compito non riparativo,
ma dinamico per il miglioramento della società.
L’ultimo contributo alla riflessione è stato offerto dal prof.
Cestaro che ha sottolineato
due compiti importantissimi
del Volontario AVO per migliorare le condizioni di salute
dei malati: lo stimolo a bere e
il conforto psicologico. Infatti
è scientificamente dimostrato
che una adeguata idratazione e
il buon umore hanno positive
ripercussioni sullo stato fisico.
Pertanto i Volontari devono
essere formati sia nelle conoscenze alimentari, sia nell’approccio col malato depresso.
La Presidente dell’AVO Lombardia ha concluso i lavori
sottolineando il valore degli
interventi dei vari relatori,
quanto mai utili per sollecitare una riflessione sul Volontariato AVO.
VIDEO RAI
Clicca qui e guarda il video RAI
“QUANDO LE CULTURE SI PARLANO”
Una riflessione di stringente attualità
Lo scorso 3 marzo, nell’Aula
Magna “Dogliotti” dell’Ospedale “Le Molinette” di
Torino, si è svolto il Convegno Quando le culture si par­
lano: un tema di stringente
attualità, come hanno sottolineato tutti i relatori, pronti a
offrire validi spunti di riflessione, al di là di facili slogan
e superficiali buonismi, nella
consapevolezza che le difficoltà del rapporto tra le varie
culture vanno affrontate sulla base di una profonda conoscenza reciproca e con un
forte impegno etico.
Dopo i saluti e i ringraziamenti del Presidente AVO
Torino Felice Accornero, del
Direttore URP dell’Azienda
ospedaliera “Lia Di Marco”
e del Direttore del periodico
dell’AVO Nuovo NOIinsie­
me Massimo Silumbra, ha
preso la parola il Presidente
Federavo Claudio Lodoli,
che ha introdotto il tema con
un drammatico resoconto
storico. Nel 378 d.C., alla
estrema periferia orientale
dell’impero romano, i Goti,
pressati alle spalle dai temibili e violenti Unni, provenienti
dalle steppe russe, si trovano
a dover attraversare le acque
tumultuose del Danubio e
affrontare l’ostilità dei Romani, che rifiutano di accoglierli perché li avvertono
come un pericolo. Come non
pensare ai muri, ai fili spinati
e agli atteggiamenti di netta
chiusura e intolleranza nei
confronti dell’attuale ondata
emigratoria, che pare vanificare il processo europeo
di pacificazione e collaborazione, seguito al secondo
conflitto mondiale? Anche
il terrorismo internazionale
aggrava il clima di diffidenza e paura che rende quanto
mai problematico parlare di
dialogo tra le culture: inutile e anzi controproducente
ignorare il problema che i
Volontari dell’AVO hanno
sentito di dover affrontare
in questo Convegno, da cui
non ci si attendono soluzioni e certezze, ma utili stimoli
di riflessione e di azione per
tutti coloro che sono animati
da buona volontà.
La moderatrice Annamaria Fantuzzi ha ribadito la
problematicità del tema del
Convegno, ricordando i numerosissimi significati del
termine cultura e le difficoltà del dialogo, come sincera
disponibilità ad ascoltare, capire e rispettare chi è portatore di altri stili di vita, modi
di pensare e valori, quando
persino nelle nostre città e
case risulta a volte difficile
la convivenza con il nostro
vicino o famigliare. Il Volontariato, in tutte le sue forme,
appare una risposta a questa
sfida, in quanto si pone come
fine ultimo la salvaguardia
della vita altrui in uno spirito
di solidarietà: il desiderio di
sentirci utili non solo a noi
stessi ma anche agli altri, di
avere cura del fatto che ciascuno esiste.
Sulla fonte cristiana della
solidarietà si è concentrato
l’intervento di don Ermis
Segatti, docente di Storia
del Cristianesimo presso la
Facoltà di Teologia. Motivazioni quale quella di occupare tempo libero o di cercare la propria realizzazione
sono addirittura di ostacolo
al Vero Volontariato che
ci pone invece di fronte ad
una domanda fondamentale: cosa è il Bene? È il Bene
in quanto tale che ci deve
attrarre, senza che niente o
nessuno ce lo imponga. Il
Bene viene avvertito come
una vocazione dal cristiano
che si sente chiamato da Dio
a realizzarlo. Dio stesso si è
manifestato come volonta-
5
rio per eccellenza, facendosi
uomo per amore della sua
creatura. Nell’ottica di tale
amore gli individui apparentemente più deboli, umili,
insignificanti divengono i
privilegiati: si pensi al discorso delle beatitudini. Il
Cristianesimo è capacità di
bene come orizzonte fondamentale di vita proprio
là dove non sembra possa
esserci il bene. Così cercare
Dio in modo diverso dal solito, nell’incontro con altre
fedi e culture, ci apre un vero orizzonte di bene.
L’intervento di Riccardo Saccotelli, membro del Comitato Interfedi di Torino, è stato
incentrato sulla ricerca del
vero che è stata alla base della sua conversione all’Islam e
che ha guidato nella vita tanti
uomini non solo di fede, ma
anche di cultura e di scienza. Il musulmano è attento
a Dio, nella consapevolezza
che Dio si occupa di ciascuno prima della sua stessa nascita. La predestinazione è
un’idea fondamentale dell’Islam, ma non è in antitesi con
la solidarietà, che implica
il desiderio di trovare punti di incontro tra gli uomini
nell’anelito verso la verità.
Così oggi ci dobbiamo sentire tutti impegnati a superare
lo stereotipo che identifica
il terrorismo con la religione musulmana, rendendoci
conto che i musulmani sono
soprattutto vittime e come
emigrati necessitano di sostegno non solo materiale, ma
soprattutto morale, avendo
bisogno di essere orientati,
di trovare le giuste coordina-
6
te per muoversi nelle società
ospitanti, tanto diverse dalle
loro.
Dopo un intermezzo musicale gestito dall’associazione
Arte migrante, che organizza esperienze interculturali
e momenti di vita condivisa
tra rappresentanti di diverse nazionalità immigrati a
Torino, ha preso la parola
Claudio Torrero del Centro
Studi “Maitri Buddha”, che
ha sottolineato la diffusione
di pregiudizi ed errori sul
buddhismo, identificato come dottrina volta alla ricerca
della pace interiore da parte
del singolo, quasi una ginnastica dell’anima individuale,
una meditazione che può apparire egoistica. Certamente
le culture monoteiste e in
particolare il Cristianesimo
sono incentrate sul concetto
e la pratica della solidarietà,
il buddhismo invece sulla
dottrina del karma, secondo
cui le condizioni di vita sono conseguenza delle azioni
nelle vite precedenti. Ma in
realtà l’illuminazione personale deve essere di aiuto agli
altri ed estirpare la radice
del male per l’umanità tutta:
questa è la compassione per
Buddha. Il soggetto, le cose,
gli altri, infatti, sono interdipendenti, per cui l’io è indotto a prendersi cura delle
cose e degli altri come parte
integrante di se stesso. Non
meraviglia dunque che anche
i buddhisti partecipino attivamente al Volontariato, soprattutto nell’accompagnamento spirituale dei morenti.
È infine intervenuto il Presidente dell’Associazione me-
dica ebraica, Giorgio Mortara, che ha individuato due
problematiche attualmente
rilevanti sul piano sociale: differenze economiche
e immigrazione. In merito
alla prima, sulla base della
Torah, Mortara ha evidenziato come alla base della solidarietà per l’ebreo
si collochino il diritto e la
legge, ovvero norme precise di intervento e controllo
capillare della distribuzione
delle risorse atte a evitare il
rischio povertà all’interno
delle comunità ebraiche.
Tuttavia, dal 2010, per un
complesso di problematiche è stato istituito un Assessorato ai servizi sociali
che collabora con Comuni e
Regioni per l’assistenza agli
indigenti non solo ebrei e
sono state promosse iniziative finalizzate sia all’aiuto
economico e al sostegno
alimentare, in collaborazione con istituzioni e associazioni di volontariato, sia
alla formazione di personale
sanitario, carcerario e scolastico. Di fronte al dramma
della massiccia immigrazione, di cui il Mediterraneo è
teatro, Mortara ha ricordato
il precetto, citato 36 volte
nella Torah, “Non opprimete lo straniero”. Le popolazioni più ricche e sviluppate
devono offrire mezzi e tecnologia per aiutare concretamente i più deboli, ma lo
devono fare principalmente
in un contesto internazio-
nale e nei territori di provenienza degli immigrati.
L’ultima parte del Convegno
è stata dedicata alla presentazione di alcune esperienze
concrete di solidarietà interculturale che coinvolgono
volontari di diverse culture,
a dimostrazione che un dialogo non solo è possibile, ma
si rivela fertile di esiti sempre
nuovi. Meritano di essere ricordate le seguenti associazioni: UAI Brasil, che si propone di offrire assistenza ed
educazione a bambini brasiliani indigenti; Islamic Relief,
che unisce volontari di tutte
le nazionalità e religioni per
aiutare profughi e bisognosi
in Italia e all’estero; PratiCare ONLUS, che organizza
missioni in Africa. Interessante è anche il progetto “La
cura dello spirito” al fine di
dare assistenza spirituale ai
degenti ospedalizzati non
cattolici e atei.
Come ha sottolineato la moderatrice Annamaria Fantuzzi, si può affermare che
il messaggio fondamentale
del Convegno è la necessità
di continuare a operare, la
volontà di sperimentare collaborazioni tra associazioni
rappresentanti di diverse
culture per soddisfare i bisogni e le necessità di un’umanità sempre più interdipendente.
Sul sito Federavo è disponibile l’intervento integrale del
Presidente Claudio Lodoli al
Convegno.
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L’AUTUNNO DELLA VITA
Per affrontare con saggezza la vecchiaia
Arnaldo Pangrazzi
Molti Volontari AVO operano
accanto agli anziani nei repar­
ti di ospedale o nelle strutture
RSA. Allo stesso tempo, anche
per i Volontari il tempo avanza
e la sfida consiste nell’affronta­
re con saggezza e realismo i cre­
scenti limiti e acciacchi imposti
dalla graduale immersione nel­
l’autunno della vita.
Un viaggio che parte da lontano
Si inizia a invecchiare il giorno
in cui si nasce. Più si vive, più
si invecchia.
Il futuro, però, non è frutto
del destino, ma si costruisce
giorno dopo giorno, come i
mattoni di una casa, utilizzando i tasselli del mosaico umano e spirituale che siamo.
La vecchiaia è l’Everest della vita, ma il viaggio parte da
lontano. È la giovinezza il
tempo critico per plasmare il
proprio futuro; la giovinezza è
profezia del proprio domani.
Saremo sempre più, in avvenire, ciò che siamo in gioventù.
Chi, da giovane, tende ad essere ottimista, intraprendente
e di buon umore potrà contare, con il passare degli anni,
sul capitale di speranza, creatività e umorismo accumulato
nella primavera della vita. Chi
da giovane è portato ad essere critico, negativo, scontento, con il passare del tempo
diventerà sempre più critico,
negativo e amareggiato.
L’autunno della vita si prepara
nella gioventù coltivando quegli atteggiamenti, smussando
quelle spigolature e alimentando quelle risorse che possono favorire un futuro più
sereno e costruttivo.
Chi non svolge il compito di
potatura, semina e fertilizzazione del proprio terreno in
primavera, rischia di trovarsi
in autunno senza raccolto o di
assaporare solo frutti acerbi o
corrosi dal tarlo.
Il compito di ognuno è di
dilatare e portare alla luce le
proprie potenzialità cognitive,
fisiche, relazionali e spirituali
mettendole al servizio degli altri. Nelle parole di Albert Einstein, “Il dovere di ogni uomo
è di dare al mondo almeno
quanto ha ricevuto”. Donandosi si dà senso al proprio vivere, patire e sperare.
Un declino graduale
e inarrestabile
L’autunno della vita si annuncia gradualmente attraverso
i capelli bianchi, le rughe sul
volto, la vista imperfetta, l’udito abbassato, i crescenti acciacchi del corpo, le perdite di
memoria... E così via, fino alla
totale dipendenza e, talvolta,
allo stato confusionale.
L’avanzare in età comporta un
crescendo di perdite e mutilazioni che investono la sfera fisica, mentale, affettiva, sociale
e spirituale.
Con il trascorrere degli anni
c’è un processo di inarrestabile decadimento del corpo,
soprattutto dopo gli 80 anni,
e spesso anche delle facoltà
mentali.
I mutamenti imposti dall’avanzare degli anni comportano travaglio e cordoglio, per
cui vivere di più non è necessariamente una conquista o
una benedizione; spesso è una
lunga via crucis intrisa di pene, solitudine e fatica.
Il crescendo di perdite include: la perdita della salute, la
morte degli amici o coetanei,
il venir meno di ruoli sociali o
familiari, la perdita dell’autosufficienza o dell’indipendenza, il distacco dalla propria casa, per entrare in una residenza di anziani, la mancanza di
affetto o di vicinanza da parte
dei propri cari, la perdita della
dignità personale, il venir meno delle proprie facoltà, fino
alla perdita della voglia di vivere.
Dinanzi allo sgretolarsi delle
proprie abitudini e certezze,
ogni protagonista vive il cordoglio in modi diversi. C’è
chi si rassegna e chi si ribella;
chi accetta l’inevitabile corso
degli eventi e chi resta prigioniero di false aspettative; chi si
rende amabile e chi assume atteggiamenti ostili verso quanti
cercano di aiutare; chi coltiva
l’interiorità e chi regredisce;
chi è aperto agli altri e chi è
diffidente; chi comunica la
propria umanità e chi si chiude nel silenzio e nell’isolamento; chi prega e chi impreca.
Diverse variabili influiscono
sugli atteggiamenti assunti
dinanzi al processo di invecchiamento, tra cui la storia
passata dell’anziano, il suo
carattere o la sua personalità,
la qualità dei rapporti con la
famiglia o con l’ambiente circostante e i suoi valori e risorse interiori.
Beati coloro che mi amano
“Un vecchio non s’improvvisa”, diceva Pino Caruso; “per
farne uno, occorrono anni”.
Per ognuno l’arte di “saper
invecchiare significa trovare
un accordo decente tra il tuo
volto di vecchio e il tuo cuore
di giovane” (Ugo Ojetti).
Occorre, innanzitutto, praticare la benevolenza e la bontà
verso coloro che vivono i limiti e le fragilità imposte dalla
senescenza, ma essere anche
pazienti con se stessi quando si attraversa questa tappa
dell’esistenza umana; ce lo
ricorda da vicino il seguente
messaggio di un anziano che
invoca aiuto e comprensione:
“Se il mio incedere è incerto e
le mie mani inabili: sorreggetemi.
PRESENZA
NELLA SOFFERENZA
Se le mie orecchie sono deboli e devono
fare sforzo per udire la vostra voce: compatitemi.
Se la mia vista è imperfetta e il mio intendimento è più
scarso: aiutatemi.
Se le mie mani tremano e rovescio il vino sulla tavola:
fate finta di non vedere.
Se mi incontrate sulla strada: fermatevi a chiacchierare con me.
Se mi vedete solo e triste: sorridetemi.
Se per la terza volta in un giorno vi
racconto la stessa storia: abbiate pazienza.
Se mi comporto da bambino: circondatemi d’affetto.
Se non penso mai alla morte: aiutatemi a prepararmi al trapasso.
Se sono infermo e ingombrante: assistetemi.
Benedetti coloro che mi amano e non mi fanno piangere”.
(Arnaldo Pangrazzi, Presenza nella sofferenza,
Ed. Camilliane, Torino 1987, p. 73)
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SULLA STRADA DI UN
VERO VOLONTARIATO
Il DDL di Riforma del Terzo Settore all’approvazione della Camera
Giuseppe Manzone
Lo scorso 30 marzo il Senato ha approvato un DDL
per la riforma del Terzo
Settore, e l’ha trasmesso alla Camera dei Deputati per
il definitivo via libera che si
auspica arrivi entro i prossimi mesi.
Dalla lettura del DDL
emerge lo sforzo del legislatore di fare una sintesi
delle norme accumulatesi
nei decenni, con riferimento a questa o quella tipologia di organizzazione,
per formulare un solo Codice del Terzo Settore da
far confluire in un “Testo
Unico”. Ciò significa che
avremo una sola norma di
riferimento per tutte le organizzazioni: associazioni
di Volontariato, cooperative, fondazioni e, il lato più
innovativo o controverso
– secondo le varie interpretazioni – anche le imprese
sociali. Di fatto, proprio su
quest’ultime si sono confrontate parecchie voci pro
e contro: tra chi sosteneva
che di per sé impresa (cioè
che maneggia denaro) e sociale (cioè che non dovrebbe avere scopo di lucro)
non potevano convivere,
né condividere molti aspetti propri del nonprofit. È
il punto che anche alcuni
settori del Volontariato
fanno fatica a digerire perché guardano con sospetto
qualsiasi azione di impresa
quando si parla, come recita la norma, di riferimento
statutario per ogni tipo-
8
logia di organizzazione ai
principi di finalità civiche,
solidaristiche e di utilità
sociale. Naturalmente non
è l’unico punto sul quale
il Volontariato è critico;
per esempio già l’inizio del
DDL, che recita testualmente “Al fine di sostenere
l’autonoma iniziativa dei
cittadini che concorrono
anche (non “solo”) in forma associata a perseguire il bene comune...”, fa
storcere il naso ai “puristi”
che vedono nel Volontario,
singolo e non organizzato,
un servizio non stabile,
non continuativo, non suscettibile di formazione e
soggetto all’umore del momento di chi, pur animato
da nobili propositi, si scontra con i problemi di salute, tempo libero, rapporti
con le strutture pubbliche
ecc.
Però, a mio parere, dobbiamo cogliere l’aspirazione del legislatore a poter
finalmente razionalizzare
le varie materie che – onestamente – erano diventate
una giungla di leggi, inte-
VITA ASSOCIATIVA: ELEZIONI 2016
Durante la VIII Conferenza si voterà per il nuovo consiglio direttivo della Federavo.
Altro organismo federale è il Consiglio delle Regioni, costituito dai Presidenti delle AVO Regionali.
In alcune AVO REGIONALI si sono rinnovati i Consigli
e delle altre Associazioni federate.
Ecco le Novità:
PRESIDENTI
AVO REGIONALI
NEO-ELETTI
Felice Accornero
(Piemonte),
Cristina Machado
(Toscana),
Lucia Fantasia (Puglia)
PRESIDENTI
AVO REGIONALI
RICONFERMATI tramite
elezioni
Bruna Meloni
(Lombardia),
Katia Manea (Triveneto),
Silvia Paglia (EmiliaRomagna),
Carla Messano (Lazio)
Mariafranca Muscas
(Sardegna).
GLI ALTRI PRESIDENTI REGIONALI IN CARICA
Sicilia (Presidente Lucia Di Martino), Calabria (Presidente Danilo Ferigo), Basilicata (Presidente Natalina Lucia), Campania (Presidente Rita Albano), Liguria (Presidente Giorgio Colombo).
ressi, confusione soprattutto per quanto riguardava i
ruoli reciproci e gli ambiti
d’intervento. Per dirla con
il senatore Lepri, relatore
del disegno di legge, si sta
cercando di scrivere norme
comuni per la parte che interessa tutti, come accade
in una mano che ha tante
dita ognuna con le proprie
dinamiche, aspettative e
mission, e a cui saranno dedicati provvedimenti specifici.
E proprio a Volontariato,
protezione civile, promozione sociale e di mutuo
soccorso è dedicato l’art. 5
che dice cose che – qualora effettivamente attuate –
suonerebbero una musica
gradita ai nostri orecchi:
“armonizzare le diverse
discipline vigenti in materia di Volontariato e di
promozione sociale, valorizzando i principi di gratuità, democraticità e partecipazione e riconoscendo
e favorendo, all’interno del
Terzo Settore, la specificità, le tutele dello status di
volontario e la specificità delle organizzazioni di
Volontariato ai sensi della
266...”
Tralasciando tante parti e concentrandoci solo
sul Volontariato, la Legge
Delega prevede parecchie
novità che ci toccano da
vicino e che possono essere
così sintetizzate:
• Vengono aboliti gli Osservatori nazionali per il
Volontariato e per l’associazionismo di promozione sociale e viene istituito
il “Consiglio nazionale del
Terzo Settore la cui composizione valorizzi il ruolo
delle reti associative di secondo livello”;
• Previsione di requisiti
uniformi per i registri regionali all’interno del Re­
gistro unico Nazionale; ciò
significa che sul piano procedurale, per accedere agli
strumenti previsti dalla legge, tutte le organizzazioni
del Terzo Settore dovranno chiedere l’iscrizione ai
nuovi registri nazionale e
regionale, previa l’acquisizione della personalità
giuridica per chi ancora
non l’avesse (la stragrande
maggioranza delle associazioni di Volontariato);
• “Revisione del sistema
dei centri di servizio per
il Volontariato [...] Prevedendo che alla loro costituzione e gestione possano
concorrere gli enti del Terzo settore...” che, ovviamente, possono anche accedere ai servizi erogati. E
qui si apre un altro fronte
di contenzioso perché se si
deve far fronte alle nuove
richieste con i soli fondi di
cui all’art. 15 della L. 266,
già pesantemente falcidiati
negli ultimi anni dal perdurare della crisi economica,
per dirla con un detto popolare, “non c’è trippa per
i gatti”;
• Revisione dei Comitati di
Gestione sia regionali sia
sovra-regionali e che alla
loro costituzione si provveda con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali; il quale ministero svolge anche funzioni
di vigilanza, monitoraggio
e controllo pubblico sugli
enti del Terzo settore, in
collaborazione, per quanto
di competenza, con i Ministeri interessati;
• L’art. 8 prevede l’istituzione di un servizio civile
universale con riordino
della Consulta nazionale
per il Servizio Civile:
• Viene istituita la Fondazione “Italia Sociale” con
lo scopo di sostenere, mediante l’apporto di risorse
finanziarie (in particolare
provenienti da soggetti
privati) e di competenze
gestionali, la realizzazione
e lo sviluppo di interventi
innovativi rivolti in particolare ai territori e ai soggetti più svantaggiati;
• Naturalmente non mancano le misure fiscali e
di sostegno economico;
queste ultime, da quanto
si evince dalla lettura del
testo approvato in Senato,
saranno destinate alle imprese sociali (200 milioni
di fondo rotativo da un
decreto del luglio scorso
che si aggiungono ai circa
150 milioni del fondo ordinario) e alla Fondazione
“Italia Sociale” (17,3 milioni per il 2016 e 20 milioni
dal 2017 in poi), e niente al
Volontariato che anzi dovrà spartire, con altre organizzazioni di Terzo Settore,
le risorse della Legge 266,
mentre rimane confermato
il fondo del 5x1000.
Questo il quadro sintetico,
da cui si evincono almeno
tre criticità:
1. Considerare Volontariato anche l’attività pietistica
svolta dalle persone singole, certamente importante
e da difendere e diffondere, ma, ad evitare confusioni, da non confondere con
le associazioni organizzate,
che oltre a motivazione,
gratuità e preparazione
permanente garantiscono
anche la continuità del servizio;
2. La polverizzazione dei
già scarsi finanziamenti di
cui alla L. 266; il Volontariato già svolge una attivi-
tà assolutamente gratuita,
non può essere costretto a
mettere risorse proprie per
il funzionamento dell’organizzazione cui appartiene che, per sopravvivere,
deve far fronte alle utenze, carburante, spese per
assicurazioni, formazione,
ecc. Non per nulla, in coincidenza col calo delle risorse di provenienza dalle
Fondazioni bancarie di cui
all’art. 15 della L. 266, si è
assistito dal 2008 ad una
drastica riduzione della
nascita di nuove organizzazioni di Volontariato, che
prosegue tuttora e che il
presente DDL non contribuirà a mitigare (OdV costituite –2% rispetto l’anno precedente nel 20092010; –7% nel 2011; –5%
nel 2012; –8% nel 2013;
–15% nel 2014-15 (dati
censimento CSVnet);
3. L’invadenza dello Stato,
che tramite i vari Ministeri
viene chiamato a vigilare,
regolamentare, controllare
ecc., sicuramente non favorirà la dichiarata volontà
di semplificazione; anzi aumenterà la burocratizzazione del sistema con vincoli,
lacci e lacciuoli vari. Faccio
solo un esempio: nel Comitato di Gestione dei fondi
per il Volontariato (CO.
GE.) del Piemonte, del
quale sono Vice Presidente pro tempore, uno dei 15
Consiglieri deve essere nominato dal Ministero del
Lavoro e politiche sociali;
siamo quasi alla scadenza
del mandato ma restiamo
ancora in attesa della nomina (che peraltro non avviene da parecchi anni).
C’è da augurarsi che i confini tracciati da questa Legge Delega, che fissa i principi generali, possano poi
tradursi in decreti attuativi
che correggano, almeno
in parte, quelle norme del
DDL che a molti volontari
paiono – al di là delle buone intenzioni e delle belle
parole, pur presenti – un
disincentivo ai sacrifici, ai
mal di pancia e alla buona
volontà che finora ci hanno
spronato sulla strada di un
Volontariato vero; cioè pulito, trasparente, gratuito,
solidale... In definitiva, per
tornare alla metafora della
mano, ci pare di esserne il
dito mignolo.
9
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L’AMICO RITROVATO
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Ho ancora nitida in mente
l’ultima frase pronunciata da
un amico della mia gioventù
scolastica, risalente ormai a
circa mezzo secolo fa, incontrato nuovamente, in maniera
del tutto casuale, nel 2010;
proprio nei momenti più difficili della sua vita, conclusa in
santa pace all’Hospice dell’Ospedale di Circolo di Varese.
Con Lorenzo (questo il nome
del mio amico ritrovato) abbiamo ripercorso i bei tempi
di un periodo a cavallo tra gli
anni ‘50 e ‘60; anche se non
eravamo della stessa classe i ricordi erano comunque affini,
allora Internet e cellulari non
facevano neppur parte della
nostra fantasia ma ugualmente tra noi, pur con così pochi
mezzi a disposizione, si era venuto a creare un senso di appartenenza che neppure molti
decenni di lontananza sono
riusciti a scalfire.
“Caro Enzo” – mi disse, appunto qualche giorno prima
di lasciare questa valle di lacrime – “io qui sto bene e
magari, se mi trasferivano prima...” Era infatti subentrata
in lui una timida speranza di
superare anche quest’ennesima dura prova, in quanto il
dolore che da tempo lo affliggeva era stato forzatamente
messo a tacere, e quel nemico
maligno, che come un vulcano
dormiente si era inaspettatamente risvegliato (con tutte
le conseguenze che possiamo
facilmente immaginare), negli
ultimi 15 giorni – tanto è durata la sua ultima esperienza
terrena in questo conclusivo e
“privilegiato” luogo – sembrava essere stato domato.
Avevo già avuto modo di conoscere in altra circostanza
questo Reparto molto speciale, ultima tappa di un “Tour”
zeppo di faticose salite, per re-
10
care l’ultimo saluto ad un collega di lavoro; ma ritornarci,
sapendo che tra quelle mura
il tempo è tiranno, resta pur
sempre un’esperienza che ti
segue costantemente come se
fosse la tua ombra.
E tra le varie cure palliative –
che gli infermieri con grande
umanità (una dote non alla
portata di tutti) hanno somministrato in modo professionale al degente – si può certamente annoverare anche la
costante e discreta presenza in
camera di parenti o amici che
nei momenti di difficoltà non
si girano dall’altra parte, ma
rispondono “presente” come
qualsiasi buon Volontario dovrebbe fare.
Caro amico che prematuramente ci hai lasciato, dedico
a te queste mie riflessioni che
mi auguro da lassù tu possa
condividere. Io sapevo, mentre varcavo quella porta con
tutta la cautela del caso, che
a breve dopo i “titoli di coda”
sarebbe apparsa la parola fine
su una vicenda la cui trama
era stata scritta già da tempo,
e se il terribile male ha poi
avuto il sopravvento, tu mi
hai dignitosamente dimostrato come si può rendere la vita
difficile anche a quel famelico
mostro che è il tumore.
Questa nuova e triste esperienza ha rafforzato in me
la convinzione che la nostra
società, pur con tutte le sue
brutture sempre all’ordine del
giorno, è ancora capace di offrire ai malati terminali un’oa­
si protetta dove ciascuno di
noi, nessuno escluso, un giorno o l’altro può incamminarsi
UNA VOCE SPECIALE
“Parla” un osservatore privilegiato del servizio AVO
Ciao! Di nuovo qui? Ci conosciamo da tanto tempo, ormai,
ma ogni volta ti rivedo con
gioia immensa. Ti stai chiedendo chi è che parla? Sono
io, la sedia a rotelle! Sono qui
ad aspettare il mio prossimo
“inquilino”. Ma tu... Tu sei
una Volontaria, ti riconosco
dal sorriso! È un sorriso che
viene dal cuore, lo so riconoscere, io che qui dentro ho
incontrato di tutto: sofferenza
e dolore, solitudine ma anche
gioia... La gioia di uno sguardo che si illumina quando
giunge una carezza, una parola, un gesto dettato dal cuore.
La gioia di chi, anche per un
attimo, non si sente più solo...
Gran brutta cosa, la solitudine! Io che non posso fare
nulla, se non stare a guardare
e soffrire in silenzio, ma so che
tu sei qui proprio per scacciare questa “ospite sgradita”.
Il mio compito è quello di accogliere corpi feriti dalla malattia e stare ad ascoltare storie
di vita, racconti di bimbi e di
mamme, vecchie filastrocche
e ritornelli, parole che a volte
si esprimono da sole, parole
sussurrate, parole taciute dalle labbra ma trasmesse dagli
sguardi e poi tanti silenzi...
Mi piace quando ti siedi accanto a me e tieni la mano
del malato, a volte proprio in
silenzio, perché hai capito che
non sempre è necessario parlare, che esiste anche la parola del gesto, che è linguaggio
d’amore.
Sì, tu vieni qui per portare
amore, lasciando fuori da
serenamente per quella strada
senza ritorno. Ciao Lorenzo,
riposa in pace!
Enzo Bernasconi
(AVO Varese)
quella porta i tuoi inevitabili
problemi, pensieri, crucci. Tu
vieni qui perché sai che la vita
è vissuta se aperta al dono, alla
condivisione. Abbi però sempre ben chiaro in mente che,
per poter amare, devi consentire agli altri di fare qualcosa
per te: accostati a questa realtà
con la convinzione di ricevere,
sempre e comunque, anche
quando non è facile percepirlo. Lasciatelo dire da me, che
ormai sono anni che vivo qui
(ma mi pare di avere sentito
dire che di reciprocità del dono parla spesso anche il vostro
Fondatore, il professor Longhini).
E ascolta questo mio ultimo
consiglio: coltiva sempre la capacità di sognare, credendo in
ciò che fai, sapendo che non è
che una piccola goccia nell’oceano; ma se questa goccia non
ci fosse, al grande oceano mancherebbe di certo qualcosa!
Mariella Bernio
AVO Brugherio
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ESP
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N
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ESPERIENZE
A CONFRONTO
Il servizio psichiatrico nei gruppi appartamento
Giusi Zarbà
Si è svolto alla presenza di
molti Volontari di Torino e
dell’AVO EVI un interessante incontro/confronto sul
tema dei “Gruppi appartamento” (GA) condotto da
Nadia Gandolfo, responsabile Formazione e da Stefania Garini, coordinatrice del
“Programma in rete contro il
disagio psichico” AVO Torino
– DIAPSI Piemonte; presenti
anche Giorgina Orgiu, Presidente di AVO Cagliari e Giusi
Zarbà di AVO Varese.
I GA sono una realtà di importante valore riabilitativo e
terapeutico per molte persone
affette da patologie psichiatriche. Un GA è fondamentalmente una casa i cui abitanti,
sia pure sotto un attento controllo degli operatori, riesco-
no a realizzare una crescita
personale e un’assunzione di
responsabilità nei confronti
della propria vita. In tali contesti la figura del Volontario
contribuisce a facilitare la
collaborazione, il rispetto reciproco, il rispetto delle regole
nonché la percezione dell’altro come una risorsa che aiuta
a combattere l’isolamento e la
solitudine.
A Torino si trovano attualmente quattro GA e i Volontari che vi fanno servizio,
avviati dopo esperienza nei reparti psichiatrici, si sottopongono a periodica supervisione
che deve consentire non solo
la verifica della bontà del servizio svolto ma anche la messa
in condivisione da parte dei
Volontari dei propri stati d’a-
nimo e delle proprie difficoltà.
I partecipanti all’incontro
hanno condiviso le loro esperienze; alcuni hanno affermato di avere un rapporto assolutamente lineare e piacevole
con gli ospiti degli appartamenti, altri al contrario hanno
detto di avvertire un senso di
inutilità non riuscendo facilmente a creare alcun rapporto
interpersonale. L’AVO EVI ha
illustrato il corso di formazione attuato sul tema, impegnativo e molto articolato, con un
periodo di tirocinio piuttosto
lungo. Importante è risultata
la distribuzione, all’inizio e
poi alla fine del corso, di un
questionario sull’approccio
al malato psichico nonché gli
incontri tra volontari e personale.
La Presidente della DIAPSI,
Graziella Gozzellino, ha illustrato il proprio ruolo in rappresentanza del malato, che
prevede un controllo anche
per quanto attiene la parte
amministrativa e i rapporti
con le strutture di competenza (ASL/Aziende Ospedaliere).
A conclusione dell’interessante pomeriggio, che ha dato
spunti di riflessione a tutti,
una gustosa cena preparata
dai Volontari e un momento
di riflessione tenuto dal dott.
Giuseppe Tibaldi, psichiatra
del Centro Studi e Ricerche in
Psichiatria dell’ASL di Torino
che, in contrapposizione al
pregiudizio sull’inguaribilità,
lascia sperare che “di schizofrenia si possa guarire”.
In ricordo di Loredana
L’ultimo saluto a Giancarla
Capelli sbarazzini, occhi dalle lunghe ciglia e una bocca
aperta al sorriso: ecco il ritratto di Loredana! Ritratto che si
concretava nel suo carattere: solare, aperto, disponibile con
parole “leggere” e positive. Ecco “come e perché” quando
è venuta ad abitare a Pianico ha conquistato molte persone!
Loredana Zardoni era una presenza sempre attiva e disponibile per tutti coloro che avevano bisogno di lei, impegnata
nel Volontariato (AVO, Auser, Telefonia sociale) e nella partecipazione
ai corsi di formazione.Credo che
chiunque abbia avuto l’occasione di
incontrarla o conoscerla non possa
dimenticarla. E tutti la ringraziamo
per la lezione che ci ha dato prima
e durante la malattia, smussando le
difficoltà e pensando positivo!Un
abbraccio di condoglianze ai familiari da tutti i Volontari AVO e da
quanti l’hanno incontrata sul loro
cammino.
Grazie, Loredana!
AVO Lovere
Il 6 aprile 2016 la nostra Volontaria
Giancarla Plebani, socia fondatrice e
vera colonna portante di AVO Magenta, è tornata alla Casa del Padre.
Profonda è la nostra riconoscenza per il dono della sua presenza
appassionata e del suo impegno
costante nell’Associazione. Giancarla amava definire l’AVO come
l’“associazione delle tre D” (discrezione, disponibilità, dedizione),
tre D che rispecchiano pienamente la sua vita, veramente donata
alla sua famiglia, ai sofferenti, a
tutti noi.
Maestra di serenità e di coraggio durante la malattia, Giancarla sino alla fine ci ha testimoniato la sua fede limpida e
sicura. Continueremo a sentirla viva e presente, con la sua
dolcezza e il suo indimenticabile sorriso.
Chiara Magnaghi
Presidente AVO Magenta
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L‘AVO DI GALATINA
INCONTRA SLOW MEDICINE
SUL TEMA DELLA DEMENZA
Maria Negro
Nelle loro attività formative, lo
scorso anno i Volontari AVO
di Galatina (LE) hanno chiesto che venisse trattato il tema
della demenza come gruppo
di malattie (malattia di Alzheimer, demenza vascolare, demenza connessa all’abuso di
alcool, per ricordarne solo alcune) inquietanti e impegnative per chi si dedica all’assistenza. Un ammalato con demenza
perde la capacità di esprimere
i propri bisogni, non ricorda
le informazioni, non riconosce
luoghi e persone e, se aumenta
la necessità di supervisione ed
aiuto, può non essere agevole
mettere questi in atto, perché
l’ammalato si oppone. La fase
avanzata di malattia vede l’accentuarsi di disturbi di varia
natura, compresa la difficoltà
ad alimentarsi ed idratarsi. La
vicinanza agli ammalati e alle
loro famiglie ha consentito ai
Volontari AVO di guardare a
questo tipo di malattie con la
consapevolezza del disagio che
comportano, delle scelte difficili che possono comportare e
del senso di impotenza che può
prevalere.
È stato quindi organizzato un
seminario, tenutosi il 4 dicembre 2015 nella sala conferenze
dell’Ospedale Santa Caterina
Novella in Galatina, dal tema:
“Affiancare le persone con demenza. Malattia di Alzheimer,
demenza vascolare, demenza
etilica... Conoscere il contesto,
aiutare con efficacia.”
L’angolazione sotto la quale
è stato trattato il tema dalla dr.ssa Mariolina Congedo,
neurologo ASS 4 Friuli Centrale Udine, è stata quella della
nutrizione e dei disturbi comportamentali attraverso alcune
delle raccomandazioni proposte nell’ambito del progetto di
Slow Medicine “Fare di più
non significa fare meglio”.
Slow Medicine (www.slowmedicine.it) è un’associazione
12
nata nella convinzione dei
suoi fondatori che “cure appropriate e di buona qualità
e un’adeguata comunicazione
fra le persone riducano i costi
dell’organizzazione sanitaria,
riducano gli sprechi, promuovano l’appropriatezza d’uso
delle risorse disponibili, la sostenibilità e l’equità dei sistemi
sanitari, migliorino la qualità
della vita dei cittadini nei diversi momenti della loro vita”.
Per costruire una medicina
sobria, rispettosa e giusta l’Associazione si è sviluppata come
rete che coinvolge professionisti, cittadini, volontari, pazienti, amministrazioni pubbliche
per favorire un cambiamento
culturale. Il progetto nazionale
“Fare di più non significa fare
meglio”, che si è sviluppato
all’interno dell’associazione,
propone liste di procedure o
trattamenti in uso da evitare
perché inutili o addirittura
dannosi, ovvero inappropriati.
Le ventotto liste finora pubblicate sono stilate da ventisei
società scientifiche aderenti.
Le raccomandazioni contenute
nelle liste sono oggetto di seminari, comunicazioni a congressi
e tavole rotonde. Il seminario a
Galatina è stato il primo incontro ufficiale di Slow Medicine
con AVO e più in generale con
una specifica Associazione di
volontariato.
I Volontari AVO rappresentano una risorsa per favorire una
medicina rispettosa delle esigenze basilari di ogni persona,
specie se in condizione di necessità. L’atteggiamento “slow”
ovvero riflessivo e non soggetto
all’ottica distorta che privilegia
la quantità delle prestazioni rispetto alla qualità, fa parte del
patrimonio culturale di chi si
dedica a questo tipo di volontariato e offre un tipo di relazione d’aiuto disinteressato e
aperto a chiunque, utilizzando
il proprio tempo e arricchendo
LA CULTURA DEL DONARSI
Importante anniversario per l’AVO San Donato Milanese
Lo scorso 28 novembre, presso l’Aula Magna del Policlinico San Donato, l’AVO di
San Donato Milanese ha festeggiato il trentennale della
sua fondazione: un’esperienza
emozionante che ha visto la
partecipazione di numerosi
Volontari, di alcuni fondatori
dell’Associazione, di Volontari
che hanno ricevuto il riconoscimento per il loro impegno
di 10 e 20 anni di attività di
servizio e di tirocinanti diventati effettivi, senza dimenticare
le sei volontarie Carla, Grazia,
Immacolata, Luisa, Maria Lui­
sa e Rosetta, che hanno seguito il primo corso base nel 1986
e tutt’oggi svolgono sempre
con dedizione il loro servizio
in Ospedale.
Don Claudio Maggioni, Cappellano presso il Policlinico
San Donato dal 1997 al 2013,
ha officiato la S. messa in ringraziamento.
I relatori hanno espresso parole veramente sentite e di grande apprezzamento nei confronti del Volontariato AVO.
Il Sindaco Andrea Checchi ha
sottolineato, oltre all’abituale
servizio in ospedale, l’impegno profuso dall’Associazione
per trasferire conoscenze e
informazioni sulla salute e sul
benessere attraverso la collaborazione con i medici del Policlinico e le attività realizzate
per diffondere la cultura del
donarsi all’altro.
le proprie conoscenze per essere più adeguato ai bisogni.
Numerosa e molto interessata
al tema del seminario è stata
la partecipazione delle AVO
salentine nonché di alcuni cittadini galatinesi, che hanno
accolto l’invito degli organizzatori. Inoltre il dialogo aperto e
sincero con la dr.ssa Congedo
ha evidenziato l’ammirevole
sensibilità e disponibilità verso
i malati di demenza dei Volontari che hanno condiviso
la loro esperienza, faticosa ma
formativa, nell’affrontare questa condizione in cui si erano
venuti a trovare loro familiari o
pazienti incontrati in ospedale.
Molto apprezzabile è stata la
partecipazione del dr. Paolo
Tundo, direttore medico U.O.
Malattie infettive del P.O. di
Galatina, nonché socio fondatore dell’AVO, e del dr. Fernando De Paolis, neurologo
del Distretto socio-sanitario di
Galatina.
Il Dr. Mecenero, Amministratore Delegato del Policlinico
San Donato, ha evidenziato
l’efficienza, la discrezione e la
professionalità dei volontari.
La Dr.ssa Cuppone, Direttore Sanitario del Policlinico
San Donato, ha avuto parole di grande entusiasmo nei
confronti dei Volontari e ha
dichiarato di sentirsi parte
della famiglia AVO perché ne
ha vissuto la crescita e perché
considera i Volontari parte integrante del personale.
Claudio Lodoli, Presidente Federavo, ha ribadito che
questi momenti consolidano
la motivazione e l’impegno
nonostante le difficoltà e che
nell’attuale società votata
ad un consumismo sfrenato,
all’interno dell’AVO studenti
e professionisti, pensionati e
casalinghe diventano “fragili
teste di ariete” che scuotono il
portone dell’indifferenza oltre
il quale si agita una umanità
confusa e illusa dai falsi bisogni.
La presenza del Dr. Marco
Rotelli ha rappresentato un’ulteriore conferma dell’ottimo
rapporto costruito nel tempo
con la proprietà del Gruppo
San Donato.
Per assicurare uno sguardo
ai 30 anni trascorsi e agli anni futuri, AVO ha realizzato
e distribuito la pubblicazione
30 anni con AVO, curata dalle
Volontarie Giovanna Pisanelli
e Laura Bellinato, nella quale
si intrecciano le testimonianze di Volontari, di collaboratori e amici per declinare il
tema centrale dello scritto, la
presenza. A conclusione della
mattinata, si è tenuto il concerto gospel del Coro “Una
Voce”, cui è seguito un rinfresco offerto dal Policlinico San
Donato.
Laura Bellinato
CSSAC E AVO... NON È UNO SCIOGLILINGUA
Sono ormai molti anni che il Consorzio Servizi Socio-Assistenziali del Chierese (C.S.S.A.C.) collabora con l’AVO, raggiungendo ottimi risultati. Da circa dieci anni però il Servizio Sociale di
Santena ha avuto il piacere di interagire con una dimensione più
territoriale dell’Associazione, ovvero con l’AVO di Santena, che
vanta tra i suoi Volontari alcuni cittadini del territorio santenese,
chiamati ad offrire ad altri concittadini bisognosi attenzioni e vicinanza solidale e che divengono “osservatori partecipanti” delle
problematiche emergenti del territorio.
Grazie a questi Volontari si è riscoperta una cultura diversa che
supera quella dell’esclusione e del rifiuto per approdare a quella
dell’accettazione, della condivisione e dello scambio, dato che i
Volontari offrono un aiuto, ma ricevono altresì affetto e riconoscenza dalle persone cui stanno accanto.
Sono molte le attività che i Volontari AVO svolgono non senza
fatica, ma con instancabile volontà: nel tempo siamo riusciti ad
instaurare un rapporto di fiducia e di proficua collaborazione
nell’ambito del volontariato presso il domicilio di persone anziane e sole, per le quali attualmente il Servizio pubblico non
può offrire un intervento di pura compagnia. Si tratta di una
carta vincente: abbiamo attualmente 5 interventi all’attivo che
garantiscono un momento di sollievo, a tratti di gioia, agli anziani che vivono presso il loro domicilio ma che spesso, per impegni legittimi dei propri figli o altri parenti, rimangono per gran
parte della giornata da soli. Una signora ha descritto l’intervento
come “una ventata di freschezza e spensieratezza che spezza la
monotonia della settimana”: poche parole che dicono molto di
più di qualsiasi discorso.
Ma le attività dell’AVO per il territorio non finiscono qui: da
circa sei mesi abbiamo anche avviato, grazie al lavoro congiunto
di progettazione e attuazione tra il C.S.S.A.C. e l’Associazione,
l’inserimento nelle attività in essere presso la casa di riposo “Avv.
Forchino” di Santena di una signora disabile, che si è così sentita
parte di una realtà più ampia, venendo coinvolta in mansioni
che potessero tornare utili per gli anziani della struttura. Per
rendere possibile tutto ciò è stato necessario predisporre anche
il trasporto da casa alla struttura e ritorno; malgrado le Istituzioni non potessero garantire un accompagnamento così costante,
l’Associazione è riuscita a far fronte alla necessità. L’intervento
è quindi partito e sta producendo un doppio risultato sia nella
nuova Volontaria, che ha trovato un ruolo e una finalità in più,
sia nelle persone ospiti della struttura che hanno trovato un nuovo viso amico.
Tutto ciò potrebbe però rientrare in normali canoni di volontariato, se non fosse che le associate e la loro Presidentessa, Leda
Martorano, hanno ravvisato la necessità di avviare collaborazioni con altre Associazioni con l’obiettivo di raggiungere traguardi
importanti anche sui fronti della povertà e della disabilità. Si è
quindi definito un progetto in collaborazione con la Caritas, con
l’Amministrazione pubblica e con il C.S.S.A.C. per la gestione
di fondi provinciali con lo scopo di provvedere all’acquisto di
beni essenziali per famiglie con forte disagio economico. Molte
sono state le ore trascorse a comprare più cose possibili a prezzi economici, ad assemblare i pacchi a seconda del numero dei
componenti il nucleo familiare: insomma un lavoro puntuale e
generoso che ha permesso ad esempio a bimbi di nuclei disagiati
di vantare il primo giorno di scuola un corredo scolastico completo a dispetto di quello che altrimenti sarebbe stato.
Ultima in ordine di tempo è la collaborazione, ancora da definirsi nei dettagli, con l’Associazione “Vivere” di Santena: data
la disponibilità da parte di entrambe le Associazioni, si tratta
ora di avviare un’intesa anche con le Istituzioni, al fine di garantire una partecipazione strutturata e organizzata nel tempo.
Quest’estate è già stata realizzata un’uscita congiunta tra gli anziani ospiti della struttura e i ragazzi diversamente abili afferenti
all’Associazione e la sinergia che ne è scaturita ha indotto a riflettere sull’opportunità di avviare una collaborazione continuativa costruita su attività mirate. Il nostro Servizio mette a disposizione il ruolo che ricopre e la professionalità che possiede per
incentivare questo cammino e per potenziare una rete di aiuto
e sostegno per tutte le fasce più fragili e bisognose della società
moderna; e a nostra volta chiediamo aiuto alle Volontarie AVO
per l’attuazione di un’ipotesi progettuale finalizzata a sostenere
le donne straniere in Italia, spesso isolate per difficoltà con la
lingua italiana, per chiusura culturale e mancanza di riferimenti
parentali e amicali. Anche questo è un altro capitolo da scrivere,
ma forti di una conoscenza ormai decennale, di una profonda fiducia reciproca e di stima vicendevole, si riuscirà a concretizzare
anche questo pensiero.
È quindi evidente che talvolta anche piccole realtà possono
crea­re grandi cambiamenti ed avere un effetto domino generando maggior spirito solidaristico e collaborazioni proficue e
durature. L’AVO di Santena ne è un esempio.
Ci vuole dunque un cambio di pensiero e di cultura poiché il
welfare tradizionale da solo non può superare la complessità sociale dettata dal periodo economico e storico che stiamo
attraversando, ha bisogno di altri e nuovi partner, disposti alla
flessibilità e alla disponibilità anche in campi che non sono prettamente i loro.
Un grazie sincero quindi alle volontarie dell’AVO di Santena per
l’impegno profuso costantemente, scrupolosamente e con entusiasmo nella speranza che sia solo l’inizio di un lungo cammino.
Le assistenti sociali di Santena
13
L’ARTE DI CONSOLARE
Il messaggio dei festeggiamenti per i 30 anni di AVO Melfi
Il 12 dicembre scorso, nello
splendido Salone degli stemmi del Palazzo Vescovile, l’AVO di Melfi ha festeggiato i
suoi primi trent’anni di vita.
Oltre a S. Ecc. il Vescovo
Mons. Gianfranco Todisco,
hanno partecipato i rappresentanti delle varie autorità
civili e sanitarie della città,
delle Associazioni presenti sul
territorio, le Presidenti e i Volontari delle altre AVO della
Basilicata (Lagonegro, Potenza, Rionero e Venosa), le rappresentanze degli insegnanti e
degli studenti di alcune scuole
di istruzione superiore.
La Presidente, dopo aver rin-
graziato gli intervenuti e tutti
i Volontari che hanno lavorato
in questi trent’anni, ha espresso soddisfazione e gratitudine
nei confronti dei tanti che,
essendo stati coinvolti nella
realizzazione della manifestazione, hanno generosamente
offerto la loro opera, divenendo “Volontari per un giorno”,
favorendo essi stessi la diffusione della cultura del volontariato fra artisti, studenti,
simpatizzanti, ecc.
Don Vincenzo D’Amato ha
ricordato com’è nata l’AVO
a Melfi, le difficoltà iniziali, le
emozioni e i valori cui i fondatori si sono ispirati, insieme
a Padre Rosario Messina, che
ne è stato anche artefice a suo
tempo e che ha parlato poi
dell’arte dei Volontari di “consolare e confortare”, riuscendo a coinvolgere emotivamente tutti i presenti e a lasciare in
ognuno di loro un messaggio
di amore verso chi soffre.
Dopo un simpatico stacco
musicale, il Presidente della
Federavo Claudio Lodoli ha
affrontato l’attualissimo problema dell’“AVO e le nuove
istanze del territorio”, sottolineando, in particolare, l’importanza della formazione dei
Volontari che non può più essere generica, come agli inizi,
ma deve essere specifica, appropriata e diversa, a seconda
della struttura in cui il Volontario presta servizio.
Ai Volontari in servizio da 30,
20 e 10 anni è stata consegnata, in segno di gratitudine, la
pergamena con il distintivo.
Sulle scalinate d’ingresso al Salone è stata allestita la mostra
“La bellezza del dono” in cui
sono state esposte tutte le opere che molti artisti e fotografi
della zona, compresi nove
alunni del Liceo Artistico di
Melfi, hanno donato allo scopo di adornare le corsie dell’ospedale e della Casa di Riposo
in cui l’AVO presta servizio.
Infine, a ricordo del trentennale, è stata curata una raccolta di foto e testimonianze
pubblicata nel volume “Un
sorriso per chi soffre” che è
stato donato a tutti i Volontari
e agli ospiti.
Maria Saletta Fornuto
Presidente AVO Melfi
DIAMOCI LA MANO PER DARE UNA MANO
L’AVO Correggio consegna il dispositivo Gloreha Professional 2 all’Ospedale “San Sebastiano”
Sabato 9 aprile, presso l’Ospedale “San Sebastiano”
di Correggio, si è tenuta
la presentazione di Gloreha Professional 2, uno
strumento a sostegno della
riabilitazione dei pazienti
con deficit alla mano, donato da AVO Correggio
all’Azienda USL di Reggio
Emilia, grazie al lascito testamentario di Valter Incerti Vecchi.
All’inaugurazione del macchinario hanno presenziato vari rappresentanti
14
dell’Associazione, dell’Azienda USL di Reggio
Emilia e dell’amministrazione comunale. In particolare sono intervenuti il
sindaco di Correggio Ilenia Malavasi, il presidente
Federavo Claudio Lodoli,
la presidente AVO EmiliaRomagna Silvia Paglia, la
presidente AVO Correggio Renza Vezzani, oltre al
direttore sanitario dell’Azienda USL di Reggio
Emilia Cristina Marchesi e
al direttore del reparto di
Riabilitazione Neurologica
Intensiva Francesco Lombardi. Quest’ultimo ha illustrato alla cittadinanza e
ai Volontari AVO presenti
le potenzialità dello strumento.
Questo dispositivo innovativo consente di supportare i fisioterapisti nella
riabilitazione della mano
paretica. Si tratta di un
guanto comodo e leggero,
collegato a tiranti mossi da
un motore in grado di mobilizzare le articolazioni
delle dita mentre il paziente può seguire l’esercizio
in corso tramite l’animazione in 3D visibile su uno
schermo. Ai movimenti
della mano sono associati
stimoli visivi e sonori che
trasformano un mero esercizio passivo in un esercizio cognitivo e di coerenza
motorio-percettiva, quindi
orientato ad un recupero
neuro-cognitivo.
Lo strumento consente terapie varie e prolungate,
mobilizza le articolazioni
delle dita, aiuta il paziente
a svolgere esercizi funzio-
nali lasciando il braccio e il
palmo della mano completamente liberi e permette
l’interazione con oggetti
reali.
Durante l’inaugurazione han­
no particolarmente col­
pito
le testimonianze di Maurizio Rizzolo, amico del benefattore Valter Incerti Vecchi, e di Massimo Grassi,
che durante il suo periodo
di degenza in ospedale ha
potuto sperimentare direttamente le potenzialità della
strumentazione fino ad ora
in comodato d’uso all’ospedale, conseguendo ottimi
risultati.
AVO Correggio ha voluto manifestare con questa
donazione l’implicita gratitudine di Valter Incerti Vecchi per la struttura
ospedaliera, che lo ha accolto ed assistito fino al
termine della sua vita con
umanità e competenza, e
il suo desiderio di aiutare
le persone che come lui
saranno accolte e curate a
Correggio, il paese dove
è nato, vissuto e a cui era
tanto legato.
LE
TT
E
R
U
RACCONTARE L’AMORE
Annamaria Ragazzi
Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei banditi,
che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono lascian­
dolo mezzo morto. Passa un sacerdote, passa un levita e vanno oltre, senza
entrare in contatto con quell’uomo, senza farsi prossimi a lui. Passa poi un
samaritano, il quale è a piedi come il malcapitato, non ha il giumento su cui
cavalcare, né olio, né vino, né bende, né soldi. Giunge sul posto, si ferma, ve­
de costui, forse non riesce neanche a parlargli, perché la loro lingua è diversa.
Che fare dunque? Se se lo fosse caricato sulle spalle, nel caldo del deserto, do­
po poco sarebbero entrambi venuti meno per la sete. Non ha altre possibilità,
è privo di ogni bene. Allora decide per una semplice cosa: gli prende la mano
nella propria mano, senza dirgli nulla, e gli sta vicino finché quello muore tra
le sue braccia.
Questa trasformazione della nota parabola evangelica del buon Samaritano
è proposta da padre Enzo
Bianchi, priore della Comunità di Bose, nel libro
Raccontare l’amore. Para­
bole di uomini e di donne
(Rizzoli 2015, pp. 177, €
16,00), che suggerisce varie riflessioni su quattro
parabole del Vangelo di
Luca. Si tratta di un testo
quanto mai coinvolgente,
che si può leggere consecutivamente o per spunti,
in quanto offre prospettive
sempre nuove e attuali di
interpretazione e induce a
meditare su aspetti che talora ci sfuggono, pur essendo centrali per la nostra esistenza e per la nostra fede,
oltre che per il nostro Volontariato AVO. L’intento
fondamentale dell’autore è
di farci penetrare la novità
rivoluzionaria del messaggio di Cristo che nelle parabole dimostra “che Dio
non è quello fabbricato
dalle religioni, è Vangelo,
buona, bella, gioiosa noti-
zia per tutti, in particolare per i peccatori”. Non a
caso Gesù fu considerato
un bestemmiatore, perché
rivela un volto del Padre in
contrasto con la tradizione
religiosa dominante ai suoi
tempi, un Padre disposto
a dare fiducia a ciascun
uomo, a perdonare anche
chi non lo merita, a non
fare distinzioni di sorta, al
fine di liberarci dalla paura
e spronarci all’amore reciproco. “Il peccato era per
lui anzitutto rifiuto della
partecipazione al dolore
degli altri... Attualizzando
le parole del profeta Osea
(Misericordia io voglio,
non sacrificio) egli ci ha insegnato una volta per tutte
che la vera conoscenza di
Dio è la compassione per
l’altro, chiunque egli sia”.
Il samaritano di padre
Bianchi, così come quello
di Gesù, ha compreso questa verità fondamentale e
dimostra che, anche se non
si posseggono ricchezze,
si può comunque donare qualcosa di prezioso:
la presenza, la prossimità
che nasce dall’amore. Un
amore gratuito, che non
attende alcun contraccambio, un amore preveniente,
che anticipa e soddisfa i bisogni inespressi, un amore
totale, che supera la giustizia puramente retributiva.
Leggendo la conclusione
della parabola immaginata dall’autore, come si fa a
non pensare a tutte le volte
che noi Volontari AVO ci
siamo trovati accanto a un
malato incapace di parlare
o privo di coscienza, almeno apparentemente? Ecco
la sensazione di incertezza
su come comportarci, di
dubbio sull’utilità della nostra presenza. Padre Bianchi ci aiuta ad affrontare
proprio questi momenti di
difficoltà, dicendoci quanto sia fondamentale la nostra presenza affettuosa e
sollecita, realizzata in un
contatto fisico, capace di
giungere nella profondità
inesplorabile e incomprensibile della coscienza. Tale
gesto di amore nasce da
una “compassione viscerale”, per usare il termine
evangelico, riferito anche
al sentimento di Gesù di
fronte al male e di Dio nei
confronti dell’umanità, la
stessa compassione tipica
di un padre o di una madre
di fronte alla sofferenza del
figlio. “Nessuna illusione
di inabissarsi nell’aiuto
dell’altro, obbedendo più
a un bisogno di protagonismo nel fare il bene che a
una vera carità, la quale richiede il decentramento da
se stessi e l’assunzione di
una duplice libertà, quella
di chi aiuta e quella di chi
è aiutato”. La vera carità è
cioè frutto di cuore e mente e richiede un continuo
sforzo di approfondimento
interiore, una continua ricerca di perfezionamento,
nella consapevolezza della umana fallibilità. Come
afferma l’autore, “l’azione
di amore richiede sempre
una responsabilità pensata
e una realizzazione scelta
con creatività, frutto di attento discernimento”.
15
OG
I
AV
O
NI
A
V
LA “QUESTIONE
AVOGIOVANI”
Esiste una “questione AVOGiovani”?
Giulia Travagnin
Dopo una domanda è spontaneo attendersi una risposta; ma a volte è opportuno
rallentare, dimenticarsi per
un attimo dei problemi che
quotidianamente investono le
nostre AVO locali, prendersi
del tempo per riflettere e per
ricordare insieme la nostra
mission, senza l’ansia di dover
subito trovare una risposta a
tutti i costi.
Questo è stato lo spirito del­
l’incontro-confronto svoltosi
a Roma il 20 e 21 febbraio
scorso e che ha visto partecipi
i Delegati regionali AVOGiovani e il Direttivo Federavo.
Da un primo scambio di testimonianze – che hanno
permesso di avere uno spaccato della realtà AVO di tutta
Italia – è emerso come probabilmente sia oggi più utile
parlare di “questione AVO” e
non solo di “questione AVOGiovani”.
È un dato ormai incontestabile, a livello locale, regionale e
nazionale, il calo del numero
medio di Volontari disposti ad
impegnarsi all’interno dell’organizzazione e ad occuparsi
di quello che può definirsi
“volontariato organizzativo”,
ovvero di tutta quell’attività
meno gratificante del tempo
speso in corsia, ma allo stesso modo indispensabile per il
funzionamento e il buon andamento dell’Associazione.
Insomma, il sempre minor
numero di persone disposte a
farsi carico in modo continuativo e responsabile dell’Associazione determina di fatto la
presenza di molte “organizzazioni dei Presidenti”, realtà in cui tutte le incombenze
dell’Associazione
ricadono
sul­le spalle di pochi Volontari.
È inevitabile che proprio in
16
queste realtà si stia riscontrando una maggior valorizzazione del “capitale umano”
giovanile, forse perché nel
bisogno vi è una maggior predisposizione al coinvolgimento dei ragazzi o forse perché
tutti insieme ci si occupa della
“questione AVO” e non più
solo di “questione AVOGiovani”.
Allora la domanda sorge
spontanea: in un periodo di
difficoltà nel rinnovo delle cariche e nel coinvolgimento di
nuovi Volontari nel “volontariato organizzativo”, è ancora
utile il dualismo AVO e AVOGiovani? Il mantenimento
della struttura AVOGiovani
ha ancora ragione di esistere
o rappresenta piuttosto una
dispersione di energie utili
all’Associazione?
È evidente che un confronto
costruttivo sul punto non può
prescindere da una prodromica riflessione sull’essenza dell’“organizzazione AVOGio­va­
ni”.
E anche in questo caso è utile
rallentare e meditare sull’origine di questa struttura caldeggiata proprio dal nostro
Fondatore.
Ricordo il silenzio calato a
Napoli, in occasione delle
giornate di autoformazione
AVOGiovani del 21 e 22 novembre 2015, quando Michele Piras ha riletto le parole di
Erminio Longhini, parole che
ci ricordano come la mission
della nostra Associazione sia
anche quella – a volte dimenticata proprio a causa dei molti impegni organizzativi sulle
spalle di pochi Volontari – di
diffondere tra i giovani (e non
solo) la cultura del volontariato, ovvero del donarsi per il
Bene Comune.
Oggigiorno, quando il concetto di gratuità è di difficile
comprensione, non è più sufficiente limitarsi a condividere
all’esterno le nostre esperienze e i nostri valori: i ragazzi
hanno bisogno di “toccare
con mano” la nostra realtà e
per farlo devono essere prima
stimolati ad avvicinarsi e a farne parte.
Del resto, riprendendo la riflessione – tanto simpatica
quanto profonda – del nostro
giovane amico emiliano, Marco Zironi, come si può descrivere il sapore dei piselli a chi
non li ha mai assaggiati?
Ecco che allora la “struttura
AVOGiovani” non deve essere considerata come un inutile spreco di energie o come
foriera di spaccature interne
all’Associazione; essa piuttosto deve essere vista come un
punto di forza, un’attrattiva
per i giovani che nell’AVO
possono trovare anche un
“luogo di aggregazione ove
[...] si fanno esperienze umane, si discute delle proprie
scelte e sull’avvenire, cioè si
vive insieme” e si cresce, diventando cittadini responsabili.
In altri termini, anche grazie
alla “struttura AVOGiovani”
così intesa, noi Volontari –
giovani e meno giovani – possiamo continuare a tramandare tutti insieme i valori della
nostra Associazione, con la
giusta energia e il giusto ottimismo.
Ed è proprio con entusiasmo
che ci siamo salutati a Roma,
promettendoci di continuare
ad impegnarci tutti insieme
per il bene della nostra Associazione, con l’ottimismo di
chi è consapevole che non esiste sconfitta per chi agisce con
il cuore.
D
FIL
O
TO
T
E
IR
AVOGIOVANI O GIOVANI
VOLONTARI AVO?
Giampaolo Bonfanti
Parafrasando il titolo dell’articolo di Michele Piras pubblicato sull’ultimo numero di
NOIinsieme, prendo spunto
per allargare il discorso sul
tema più generale del Volontariato giovanile, e poi ricondurlo alla prospettiva AVO.
Così conclude il suo intervento Michele Piras: «Cari amici,
che sia AVOGiovani o Giovani dell’AVO è relativamente
importante; si deve piuttosto
lavorare per rendere maggiormente funzionale la struttura
e creare nuovi indirizzi che
possano meglio rispondere
agli obiettivi fissati all’atto
della nascita e a quelli imposti
dai mutamenti sociali. Insomma senza la scelta, dichiarata
o confermata da tutti, di impegnarsi per i giovani, ogni
cambiamento sarà superficiale e inutile. La scelta dev’essere avvolta dalla stessa certezza e dallo stesso amore degli
sposi che al momento della
fatidica domanda rispondono: “Sì, lo voglio”».
Volontariato giovanile:
speranza e opportunità
Quanto sono lontani (o vicini) i giovani d’oggi dal concetto che abbiamo elaborato
nei nostri 40 anni di Volontariato, in particolare sociosanitario?
Secondo Giancarlo Rovati dell’Università Cattolica,
la percentuale dei giovani di
età compresa fra 15 e 34 anni che dedicano parte del loro tempo alla solidarietà è in
aumento: dal 6% di fine anni
’90 all’8,5% del decennio suc-
cessivo. Sembrano percentuali
molto modeste, che però vanno integrate con il Volontariato “estemporaneo” e svolto al
di fuori di formule associative
organizzate. Sul piano qualitativo le ricerche più recenti sul
Volontariato sembrano segnalare una mutazione “genetica”
dei giovani impegnati in attività pro-sociali: essi provengono
dai ceti sociali privilegiati, possiedono un titolo di studio superiore, rivelano una maggiore
eterogeneità e complessità delle motivazioni.
Ma che significato ha per i
giovani il Volontariato, oggi?
Sono poco propensi al Volontariato in quanto meno inclini
a svolgere questo genere di
attività, oppure perché appartengono ad una generazione che, come sostengono
gli studiosi dell’Istituto Toniolo, è priva di riferimenti e
di modelli che li orientino alla
partecipazione ed alla solidarietà?
Già negli anni ’70 Luciano
Tavazza, fondatore del Movimento di Volontariato Italiano – che aveva una particolare sensibilità di educatore –
sosteneva che il Volontariato
avesse un ruolo strategico soprattutto rispetto ai giovani,
in un’epoca di smarrimento
di alcuni riferimenti di valore
come la solidarietà tra individui, gruppi etnici e popoli.
Questo perché i valori dominanti sono antitetici a quelli
del Volontariato – orientati i
primi alla competitività e al
profitto senza etica, al consumismo, all’individualismo,
alla predazione dei “beni co-
muni” – e non sono sufficientemente arginati dalle agenzie
di socializzazione, in primis la
scuola, che deve essere a sua
volta coinvolta e sostenuta
nella funzione di formazione
alla cittadinanza... perché i
giovani acquisiscono una piena identità adulta se partecipano, se sono cittadini attivi.
Ora, dopo due generazioni,
come si presenta in concreto
il mondo giovanile nel contesto della gratuità e della solidarietà? Dopo il passaggio
dalla modernità, dal progresso e dalla certezza dello sviluppo del cosiddetto “boom
economico” alla società liquida, dell’incertezza, del rischio
e delle crisi (non solo economiche) dell’attuale periodo
storico?
In realtà spesso i giovani sono
percepiti attraverso stereotipi, anche da parte degli insegnanti e dell’associazionismo:
a molti sembrano poco interessati, omologati e incostanti,
con poca voglia di impegnarsi
e di prendersi delle responsabilità. Chi li osserva e li conosce davvero scopre, invece,
che i giovani hanno importanti
qualità che vanno incoraggiate e valorizzate: sono curiosi,
aperti alle novità e a esperienze diverse, entusiasti e comunicativi, ma certamente vanno motivati e devono sentirsi
liberi di esprimersi. D’altra
parte bisogna constatare che
le nuove generazioni dimostrano spesso di non comprendere quale sia la differenza fra
Volontariato ex L. 266/91,
servizio civile, Volontariato
di protezione civile, quello in-
ternazionale e ancor meno tra
Associazioni di Volontariato,
di promozione sociale e cooperative; ma neppure, cosa più
grave, tra il lavoro mal pagato
nel sociale e l’impegno personale nella e per la collettività
(Vincenza Pellegrino, Università di Parma).
Maurizio Ambrosini, dell’Università Statale, ha usato
formule quali “Volontariato
leggero” o “fluido” o “post
moderno”, da contrapporre
al “Volontariato moderno”,
il nostro, quello cui siamo
abituati, ossia continuativo
e programmato di lunga durata, tipico della tradizione
delle nostre Associazioni.
Si tratta di un Volontariato che mescola desiderio di
protagonismo e senso civico,
dove gioca molto l’interesse
personale (“Io c’ero... sono
coprotagonista... ho contribuito”). Spesso costituisce un
impegno una tantum piuttosto che permanente, quindi
molto flessibile e che, tra l’altro, copre un servizio che, se
fatto con personale retribuito,
avrebbe costi inaccessibili e
non sempre congeniale alle
sensibilità dei Volontari tradizionali. Diversamente dal
nostro Volontariato “moderno”, questo “post-moderno”
non ha fondamenti ideologici, religiosi o di appartenenza e non è militante in modo
organizzato e continuativo:
si attiva per un evento, per
poco tempo quindi, con un
approccio forse più superficiale e discontinuo che, però, sembra vicino alla cultura
contemporanea di fiammate
17
partecipative non perseguite
in forma stabile. Fra le esemplificazioni, possiamo ricordare le recenti esperienze
dell’EXPO, per non parlare
di presenze di Volontariato
ormai diffuse per eventi culturali o di intervento in caso
di calamità naturali, ma anche
campagne di supporto per
raccolta fondi o manifestazioni promozionali più o meno programmate o “spot”. E
anche molte esperienze scuola-parrocchie-scout ecc. si
basano su brevi interventi di
Volontariato percepiti come
momenti educativi e, spesso
– e non c’è nulla di male –
con valenze anche ricreative.
Sulla stessa linea, in fondo, è
anche la formula “Volontari
per un giorno” anche se, in
realtà, riguarda più gli adulti
“lavoratori” che le aziende incoraggiano a fare nuove esperienze utili anche per la loro
immagine.
Allora com’è possibile, se è
possibile, coniugare questo
“Volontariato post-moderno”
con il “Volontariato moderno”?
Secondo Renato Frisanco
dell’Università La Sapienza
non basta reclutare nuovi Volontari; occorre investire nella
loro valorizzazione, inserendoli in un contesto associativo caldo e accogliente, ricco
di stimoli formativi e partecipativo, capace di sviluppare
SCHEDE FEDERAVO • NEWS
Pubblicate sul sito www.federavo.it , nella sezione
SCHEDE E MODELLI, le seguenti due nuove schede
Federavo.
Scheda #23.
Il Fundraising
Questa scheda, che è il risultato del seminario, dedicato al tema, nell’ambito del XX Convegno, propone una riflessione sul Fundraising, sull’importanza
degli obiettivi e delle diverse modalità per la raccolta fondi; suggerisce attività e strumenti efficaci
insieme con le indicazioni di enti e organismi di riferimento. Particolare attenzione viene data al Web.
Oggi avere dei finanziamenti per le associazioni di
volontariato è una forte esigenza, muoversi in modo corretto per ricerca dei fondi costituisce un passo
fondamentale verso il successo.
Scheda #24.
Linee Guida per la fondazione di un’AVO
Questa scheda offre consigli pratici che riguardano
la costituzione dell’associazione; pone attenzione al
processo di costituzione e alle diverse fasi, in particolare, all’organizzazione, ai contatti e alle relazioni
da costruire, all’inizio e allo sviluppo delle attività;
propone consigli sulla formazione e sul reclutamento dei volontari; si pone come un utile strumento per
i volontari che vogliono costituire un’AVO locale e per
i Presidenti regionali che devono guidare e supportare le nuove AVO.
Le schede Federavo costituiscono una risorsa per i
volontari e per le AVO, vengono aggiornate e implementate, rispondendo alla esigenze di rispondere
alle sfide dei tempi che cambiano.
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“capitale culturale e sociale”.
Ma, soprattutto, bisogna allargare l’orizzonte anche al di
fuori delle pur fondamentali
organizzazioni
strutturate,
perché bisogna considerare
e valorizzare “l’emergere di
forme di solidarietà inedite,
informali, non inquadrabili
nelle tradizionali OdV”, e la
crescita dei Volontari singoli
(«senza divisa») sembra oggi
prospettare un nuovo ciclo
del Volontariato. Dopo il Volontariato “militante” degli
anni ‘70 e ‘80, si sta cioè affermando un “Volontariato della
cittadinanza”, più diffuso ma
meno stabile, in cui le istanze
soggettive sono importanti
almeno quanto quelle altrui­
stiche ispirate dalla gratuità
o da un intento prettamente
partecipativo o di azione civica di soggetti che aderiscono
a buone idee, a progetti.
Una bella sfida. Una sfida ben
inquadrata nella realtà dell’AVO: occorre, per riprendere
le parole di Piras, «... saper
riconoscere che non è bene
la scarsa presenza di ragazzi
nelle nostre AVO, e si realizzerà se lavoreremo insieme
per ribaltare i numeri attuali,
se garantiremo rispetto ai ragazzi che chiedono fiducia e
flessibilità, se sapremo avere
il coraggio di abbandonare
paure e rigidità e risponderemo “sì”; se a una generazione
apparentemente senza principi sapremo insegnare i nostri
valori, se sapremo far diventare l’AVO il punto di riferimento per i giovani disposti
a impegnarsi nel Volontariato
sanitario e sapremo incuriosire fortemente l’intero mondo
giovanile».
Ora la sfida è stabilire il “come” rimettendo forse in discussione metodi, approcci,
regole, procedure, ruoli, responsabilità... Naturalmente
lasciando fermi i principi e i
valori con cui l’AVO ha fatto
e continuerà a fare scuola.
Giampaolo Bonfanti
Movimento di Volontariato
Italiano
Una analisi più organica delle ricerche patrocinate dal
MoVI nell’ultimo decennio sul volontariato giovanile è
presentata sul numero monografico della Rivista “Fogli di informazione e coordinamento” dal titolo: “Giovani costruttori di valori. Per una società inclusiva e
solidale” scaricabile da: http://www.movinazionale.it/
index.php/fogli-di-informazione
NOI insieme
Tribunale di Milano n. 285
del 6.10.2015
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e
SPIRITUALITÀ DEGLI
INDIANI D’AMERICA
Mirella Bordignon e Giovanni d’Aulerio
Il mondo spirituale ricco e
profondo degli “Indiani d’America” ci si è rivelato quasi
per caso. Dovevamo documentarci sui nativi a­me­ricani
e la nostra ricerca ci ha fatto
scoprire il libro Hanta Yo di
Ruth Beebe Hill (Editoriale Nuova Milano, 1979). È
stata questa la fonte che ci
ha fornito maggiori dettagli
sulla cultura e sulla saggezza
di questo popolo; qui però
vogliamo riportare alcuni
estratti da un altro libro: Sai
che gli alberi parlano? La
saggezza degli Indiani d’A­
merica, di Kathe Recheis e
Georg Bydlinski (Edizioni Il
Punto d’Incontro, 1995).
Il silenzio era ritenuto il simbolo della perfetta armonia,
l’equilibrio di corpo, mente
ed anima. Se chiedi a un nativo americano: “che cos’è il
silenzio?”, ti risponderà: “Il
grande mistero. Il Sacro Silenzio è la Sua voce”. E se gli
chiedi “quali sono i frutti del
silenzio?” ti risponderà così:
“Autocontrollo, vero coraggio e perseveranza, pazienza,
dignità e profondo rispetto”.
Il vecchio Capo Wabashaw
diceva: “Sorveglia la tua lingua in gioventù, allora, forse, nella vecchiaia regalerai
un pensiero saggio al tuo
popolo.”
Nelle parole del leader Kapisemihu: “Una persona che
ama vive in un mondo d’amore, una persona cattiva
vive in un mondo ostile”. Di
qui l’importanza di vivere in
un mondo positivo attraverso un particolare stile di vita,
scandito dalle celebri “sette
virtù” dei Sioux: la generosità, il coraggio, la pazienza, la
tolleranza, la pietà, l’umiltà e
la saggezza.
Nessun Sioux poteva accedere al rango di Capo o guida spirituale senza dar prova
di possedere queste virtù in
misura superiore alla media.
Si diventava Capo o guida
spirituale solo per meriti
personali.
Fondamentale in questa
“scala” delle virtù era la generosità. Al termine della
caccia, per esempio, nella
distribuzione della selvaggina bisognava sempre tenere
conto delle vedove, degli
orfani e dei cacciatori meno
fortunati o meno abili.
Si racconta che il celebre
Cavallo Pazzo, quando la
selvaggina scarseggiava, digiunasse anche per diversi
giorni per consentire ad altri
di avere qualcosa in più da
mangiare: una concezione
del potere diametralmente
opposta, nei fatti, a quella
occidentale.
Anche il medico e scrittore
Dakota Ohiyesa (Charles
Alexander Eastman) scriveva: “quand’ero bambino capivo di dare e di dividere, io
vivevo una vita naturale, ora
ne vivo una artificiale...”
I nativi americani univano
alla sua fierezza un’eccezionale umiltà; la superbia era
estranea al loro essere e ai
loro insegnamenti.
Non si può essere saggi senza umiltà e senza pietà e senza possedere il potere sacro
(wakan) che si può ottenere
solo attraverso un contat-
to con il mondo spirituale. Per avere tale contatto,
uno dei riti più importanti
è quello della purificazione: l’Inipi, il più antico rito
indiano (e, probabilmente,
tra i più antichi rituali che a
memoria d’uomo si possano ricordare); una sorta di
“sauna spirituale” compiuta
in un’apposita capanna sudatoria che purifica il fisico
e la psiche.
Altra qualità importante del
guerriero Sioux era il coraggio, che veniva inteso come
autocontrollo e lodevole desiderio di superare il naturale istinto di sopravvivenza a
vantaggio del proprio popolo. A questo proposito è bene ricordare che le “guerre
indiane” differivano sostanzialmente, prima dell’arrivo
degli europei, dalle sanguinose guerre dei bianchi.
Negli scontri inter-tribali
l’essenziale era dimostrare
coraggio, non uccidere; importante, per un guerriero,
era “contare un colpo”, avvicinarsi cioè tanto al nemico da toccarlo con il bastone
ricurvo o con la lancia senza
sferrare il colpo, dimostrando, in tal modo, il dominio
della propria passionalità.
Presso gli abitanti delle praterie non esistevano ruoli
imposti: se, ad esempio, non
ci si sentiva all’altezza di fare
il guerriero, ci si poteva limitare all’esercizio della caccia
o ritagliare in altro modo un
proprio ruolo all’interno del
clan, senza timore di essere
messi al bando della vita sociale.
Dice una anonima preghiera
indiana:
“Wakan Tanka, il Tuo respiro dà vita a tutte le cose. Ascoltami! Io sono una
creatura minuscola e debole. Ho bisogno della Tua
forza e della Tua Saggezza.
Lasciami camminare nella
Bellezza. Consentimi di osservare fino in fondo il rosso porpora del tramonto.
Fa in modo che le mie mani
rispettino le cose che tu hai
creato, che le mie orecchie
affinino l’udito fino ad udire la Tua Voce... Dammi
l’umiltà necessaria per imparare i messaggi che hai
affidato ai venti, alle foglie,
alle rocce. Io chiedo forza,
non per superare in potenza
gli altri uomini, ma per vincere il peggior nemico che
abbia, me stesso. Fa che io
sia sempre pronto, in qualsiasi momento, a raggiungerti con mani pulite e con
occhi che non guardano in
basso. Quando la mia vita,
come la luce del tramonto,
svanirà, fa che il mio spirito possa volare verso di Te
senza ombre né vergogna”.
Dalle virtù dei nativi americani possiamo trarre ispirazione per il nostro comportamento con gli ammalati:
avere un atteggiamento di
ascolto empatico, comunicare anche con il linguaggio
non verbale, nostro e dell’altro, un sorriso che trasmetta
vicinanza, coraggio e solidarietà.
Terminiamo con un saluto
rituale Lakota: Mitakuye
oyasin, siamo tutti fratelli!
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