Anna Benvenuti «Hay serva Ytàlia, de dol castell»: traduzione e

Transcript

Anna Benvenuti «Hay serva Ytàlia, de dol castell»: traduzione e
La Catalogna in Europa, l’Europa in Catalogna. Transiti, passaggi, traduzioni
Associazione italiana di studi catalani
Atti del IX Congresso internazionale (Venezia, 14-16 febbraio 2008)
Edizione in linea – ISBN 978-88-7893-009-4
http://www.filmod.unina.it/aisc/attive/
Data di pubblicazione di questa comunicazione: 16 settembre 2008
http://www.filmod.unina.it/aisc/attive/Benvenuti.pdf
Anna Benvenuti
«Hay serva Ytàlia, de dol castell»: traduzione e interpretazione dei canti ‘politici’
della Divina Commedia nella versione di Andreu Febrer
È nota la stretta relazione culturale, politica e commerciale tra le terre catalane e
quelle italiane all’inizio del XV secolo. Inoltre, il lasso di tempo tra il 1388 ed il 1494 è
da alcuni definito «Umanesimo catalano»,1 con l’intenzione di caratterizzare la progressiva trasformazione che subì la cultura catalana, propiziata dall’influenza crescente della
cultura italiana a scapito di quella provenzale e francese. Questo periodo, avendo come
centro l’ambito cancelleresco, diede i suoi frutti concreti soprattutto nel campo delle
traduzioni, che rappresentarono un ingente sforzo di assimilazione del sapere circolante
in Europa e di recupero della tradizione classica.2 Il fenomeno delle traduzioni interessò
ben presto gli autori che provenivano dall’Italia, in primo luogo Petrarca,3 poi Boccaccio4 e, infine, Dante. La Divina Commedia iniziò a circolare agli inizi del Quattrocento,
1
Si veda Lola Badia «L’humanisme català: formació i crisi d’un concepte historiogràfic», in Actes
del V Col·loqui Internacional de la Llengua i Literatura Catalanes, Andorra, 1-6 d'octubre de 1979,
Montserrat, PAM, 1980, pp. 41-70; Martí de Riquer, L’humanisme català, Barcelona, Barcino, 1934;
Francisco Rico, «Petrarca y el humansimo catalán», in Actes del sisè col·loqui internacional de Llengua i
Literatura Catalanes, Roma 28 setembre-2 octubre 1982, Montserrat, PAM, 1983.
2
La questione delle traduzioni è stata ed è tuttora ampiamente studiata. Si possono consultare, tra gli
altri: Lola Badia, «Traduccions al català dels segles XIV-XV i innovació cultural i literària», in Estudi
General, XI, 1991, pp. 31-50; Peter Russell, Traducciones y traductores en la Península Ibérica, 14001550, Bellaterra, Universidad Autónoma de Barcelona, 1985; José Francisco Ruiz Casanova, Aproximación a una historia de la traducción en España, Madrid, Cátedra, 2000; Margherita Morreale, «Apuntes
para la historia de la traducción en la Edad Media», in Revista de Literatura, XV, n° 29-30, enero-junio,
1959, pp. 3-10; Roxana Recio, La traducción en España ss. XIV-XVI, León, Universidad de León, 1995, e
«Alfonso de Madrigal (El Tostado): la traducción como teoría entre lo medieval y lo renacentista», in La
Crónica, 19.2, 1991, pp. 112-131; Julio César Santoyo, Historia de la traducción: 15 apuntes, León, Universidad de León, 1999; Guillermo Serés, La traducción en Italia y España durante el siglo XV. La «Iliada en romance» y su contexto cultural, Salamanca, Universidad de Salamanca, 1997.
3
Si veda la traduzione del Valter e Griselda di Bernat Metge, il lungo frammento dell’Africa incluso
nel Scipió i Aníbal di Antoni Canals, un’antologia di sentenze estratte dal De Remediis utriusque fortunae,
l’epistola latina indirizzata a Niccolò Acciaiuoli (Familiarum Rerum, XII, 2) intitolata Lletra de Reyals
Costums, e infine la versione dei Trionfi con il commento di Bernardo Illicinio.
4
Nel 1429 venne portata a termine una traduzione anonima del Decameron, contemporanea alla versione della Commedia di Andreu Febrer; precedenti sono le traduzioni della Fiammetta (1398), anonima,
e del Corbaccio di Narcis Franch (1397). Si deve sottolineare, inoltre, che la prosa del Boccaccio fece
scuola tra gli autori catalani: sul modello decameroniano fu elaborata la prosa d’arte di opere come il Tirant lo Blanch ed il Curial e Guelfa.
1
La Catalogna in Europa, l’Europa in Catalogna. Transiti, passaggi, traduzioni
soprattutto tra notai e cancellieri.5 Fu l’unica opera di Dante tradotta in catalano,6 nel
1429, da Andreu Febrer, uomo di fiducia di tre successivi re aragonesi, diplomatico e,
per un certo periodo, castellano di Ursino, presso Catania, ove era venuto a contatto con
la cultura letteraria italiana. Tornato nuovamente in Catalogna, aveva portato a termine
la versione della Commedia, la prima interamente in versi in una lingua romanza.7 Non
è questa la sede per entrare nel merito del valore letterario e stilistico della versione di
Febrer. Alcuni studiosi hanno tentato l’impresa, pervenendo a risultati assai diversi.8 Io
vorrei soffermarmi piuttosto sull’atteggiamento di Febrer nella traduzione dei passi ‘politici’ della Divina Commedia, tenendo conto delle sue esperienze personali, delle sue
conoscenze letterarie e delle sue suggestioni. Vorrei dimostrare, adducendo alcuni brevi
esempi, che Febrer traduce ‘meglio’ i passi in cui prova un particolare coinvolgimento,
sia perché riguardano la sua terra, sia perché suscitano in lui una reazione emotiva;
‘meglio’ significa, in questo caso, il minore ricorso a calchi o italianisti e una sintassi
meno forzata; inoltre, spesso, il coinvolgimento o l’interesse innescano una più libera
rielaborazione del testo, con l’introduzione di immagini diverse rispetto all’originale,
ma equivalenti per senso. Dall’altro lato, la mancata condivisione di alcuni punti di vista, o il disinteresse per la questione affrontata, portano Febrer all’approssimazione.
Non si tratta quindi, solamente di difficoltà testuali, ma di motivazioni anche tematiche.
Vorrei soffermarmi, ancora, sull’impiego di alcuni Commenti per sbrogliare i significati
più complessi e, infine, sull’evidente suggestione – e citazione – della letteratura patria,
in particolare, per questo ambito ‘politico’, Eiximenis.
Sembra plausibile che Febrer avesse una certa familiarità con la storia e le vicende
politiche trattate da Dante.9 Nella Divina Commedia, com’è noto, le questioni politiche
5
Testimoniano la diffusione della Divina Commedia nel XV secolo alcuni autori come l’umanista
Ferran Valentí, discepolo di Leonardo Bruni, che cita Dante e la sua opera nel prologo della sua traduzione dei Paradoxa ciceroniani, o Ausiàs March che in una sua poesia esclama «O bon Amor, a qui mort no
triumffa / segons lo Dant ystòria recompta». Riferimenti a Dante compaiono anche nel Curial e Guelfa e
nel Tirant lo Blanch di Martorell, nello Spill del medico Jacme Roig e in altre operette minori moralistiche, come le Sentencias Catholicas del diví poeta Dant florentí di Jaume Ferrer de Blanes.
6
Esistono anche commenti e glosse del poema in catalano, come il Tractat de les penes particulars
d’infern del frate francescano Joan Pasqual del 1436, tratto in parte dal commento di Pietro Alighieri. Il
culmine del ‘dantismo’ catalano sembra segnato da un componimento di Bernat Hug de Rocabertí, scritto
intorno al 1467, La gloria d’amor, che riproduce la terzina dantesca ed imita il contenuto della Commedia.
7
Nel periodo in cui Febrer portava a termine la sua versione, vi furono altre traduzioni della Commedia con motivazioni ed esiti diversi: quella latina del monaco Matteo Ronto (1392) in esametri classicheggianti; quella, sempre latina, di Giovanni Bertoldi da Serravalle, Vescovo di Fermo (1417), in prosa;
infine quella spagnola, la prima in lingua romanza, ma, presumibilmente, prosastica, portata a termine nel
1428 da Enrique de Villena.
8
Si vedano Modest Prats, «Per a una valoració de la versió catalana de la Divina Comèdia de Andreu Febrer», in Studia in honorem Prof. Martí de Riquer, III, Barcelona, Quaderns Crema, 1988, pp. 97107; Antoni Badia i Margarit, «La versione della Divina Commedia di Andreu Febrer (secolo XV) e la
lingua letteraria catalana», in Atti del VIII congresso internazionale di studi romanzi (Firenze 3-8 aprile
1956), Firenze, 1960, pp. 3-36; Anna Maria Gallina, «Una traduzione catalana quattrocentesca della Divina Commedia», in Filologia Romanza IV,1957, pp. 235-266, Joan Coromines, DECLC, vol. III, p.680
(s.v. esquera).
9
Dato l’argomento in esame, ritengo opportuno offrire maggiori informazioni sulla vita di Febrer.
La biografia di Febrer è stata ricostruita con precisione da Martí de Riquer, (Martí de Riquer, «Il poeta
2
La Catalogna in Europa, l’Europa in Catalogna. Transiti, passaggi, traduzioni
sono presentate secondo modalità assai diverse, sotto forma di profezia, di profezia ex
eventu, di invettiva e di resoconti di personaggi illustri, oltre ai tre canti ‘politici’ per
eccellenza. In questa sede, però, vorrei procedere seguendo l’ordine annunciato in precedenza, prendendo come riferimento l’atteggiamento traduttivo di Febrer, e quindi:
1) Coinvolgimento emotivo e libera rielaborazione del testo
2) Approssimazione
3) Sostegno dei Commenti
4) Ricorso alla letteratura patria e sua citazione.
1. Coinvolgimento emotivo e libera rielaborazione del testo
Qui son vehí a confondre sospira
esperant sa dignitat, per ço brama
qu·ll fos caygut o mes del rey en ira;
È chi, per esser suo vicin soppresso,
spera eccellenza, e sol per questo brama
ch’el sia di sua grandezza in basso messo;
Il primo frammento che riporto appartiene al canto XVII del Purgatorio (vv. 115117): ci troviamo nel IV girone, dove si purga il peccato dell’accidia. La terzina trascritta fa parte della spiegazione che Virgilio offre a Dante in merito a tale colpa.
Il significato della traduzione è equivalente al testo dantesco: nel primo verso, la
forma verbale in posizione di rima, pur diversa, si avvicina per significante alla relativa
del modello. L’ultimo verso si allontana dall’originale ed è un esempio di libera rielaborazione del testo: l’accenno al re e alla possibile disgrazia in cui il cortigiano poteva in-
Andreu Febrer, castellano di Catania, primo traduttore della Commedia in catalano», in Dante e la Magna
Curia. Atti del Convegno di Studi Palermo, Catania, Messina, 7-11 novembre 1965, Palermo, Centro di
Studi Filologici e Linguistici Sicilliani, 1966, pp. 2-11). Andreu Febrer i Callís nacque a Vic, tra il 1375 e
il 1380. Tra i sedici e i vent’anni entrò a far parte della corte di Martino I d’Aragona con l’incarico di
scrivano. È probabilmente di questi anni la sua prima azione militare, stando alle poesie VIII e IX del suo
canzoniere che fanno riferimento alla crociata contro gli Arabi di Barberia. Da questo momento l’attività
di Febrer al servizio della corona d’Aragona sarà ininterrotta, densa di missioni delicate. Ne è un esempio
il primo incarico reale affidatogli di cui siamo a conoscenza: in qualità di cameriere del re Martino di Sicilia fu mandato a Parigi nel 1407 per trattare l’estradizione di Artale d’Alagona, uno dei capi della rivolta siciliana scoppiata nel 1394. I documenti non ci permettono di ricostruire gli anni che intercorrono tra il
1407 e il 1418, data in cui troviamo Febrer al servizio di Alfonso V il Magnanimo, che lo nominò governatore del castello Ursino di Catania, come ricompensa dei servizi resi ai suoi predecessori. Nel 1419 il
poeta figura nei documenti come algutzir e cavallerís di re Alfonso nel regno di Sicilia, col relativo ufficio di esecutore di giustizia. Con questo titolo compare nei prologhi alle cantiche e nell’explicit del manoscritto della traduzione della Commedia. Nel 1420 prese parte ad un’altra campagna militare, una spedizione in Sardegna e Corsica per reprimere una sollevazione. Insieme con lui troviamo impegnati anche
alcuni tra i più illustri poeti catalani del tempo, come Jordi de Sant Jordi e Ausiàs March. Altre missioni
importanti furono quella del 1422, in cui dovette curare la confisca dei beni del conte di Cuperzano, ribellatosi ad Alfonso, e quella segreta (i documenti della cancelleria non fanno luce su questo avvenimento)
del 1427, probabilmente in Oriente, considerate le ingenti somme di denaro ricevute per le spese di viaggio. Intanto, nel 1426 il re gli aveva tolto la castellania di Catania (affidata a Berenguer de Bardaxí), ma
in compenso aveva istituito a suo favore una rendita annuale di 40 once d’oro sul porto di Trapani. Morì
tra il 1440 e il 1444.
3
La Catalogna in Europa, l’Europa in Catalogna. Transiti, passaggi, traduzioni
correre può essere stato suggerito dall’atmosfera della corte ove per anni Febrer si era
mosso.
La partecipazione emotiva di Febrer si riscontra spesso nei canti più drammatici
dell’Inferno, benché talvolta la gravità dei temi trattati induca un ‘blocco’ traduttivo che
sembra impedire all’autore di variare un solo vocabolo o di modificare le costruzioni
(come si vedrà nel secondo punto). In altri casi, però, soprattutto quando gli argomenti
assumono toni più ‘romanzeschi’, Febrer si lascia prendere dall’entusiasmo creativo. Si
veda, sempre a titolo d’esempio, l’episodio di Purgatorio XXIV, 85-87, in cui compare
Corso Donati, uno dei protagonisti delle lotte fiorentine. L’immagine dell’uomo trascinato dal cavallo attira l’attenzione di Febrer, che traduce impiegando vocaboli ricercati
(si veda lacerat, v. 87), all’interno di una costruzione sintattica senza forzature:
La bèstia va a tot pas pus cuytat
crexend tostemps, fins que·l percut enjús
e lexa·l cors vilment tot lacerat.
La bestia ad ogni passo va più ratto,
crescendo sempre, fin ch’ella il percuote,
e lascia il corpo vilmente disfatto.
In quest’ambito, merita attenzione la rassegna dei principi negligenti della valletta,
in Purgatorio VII. Sono note le convergenze e divergenze tra questo canto e il componimento di Sordello, il Planh per la morte di Blacatz. In entrambi i casi troviamo una
serie di otto sovrani disposti a coppie. I personaggi di Dante sono spesso i discendenti di
quelli citati dal trovatore. Uno è in comune, Enrico d’Inghilterra. Lo spirito è però diverso: Sordello contrapponeva la virtù del defunto Blacatz alla viltà dei sovrani e li esortava quindi a reagire, cibandosi del cuore del cavaliere morto; il fiorentino ritrae i
principi negligenti, che troppo si sono occupati delle vicende mondane, ma che sono, in
ogni modo, sulla via della salvezza, a differenza dei loro discendenti, i sovrani del tempo di Dante. Il nucleo della rassegna è proprio questo conflitto generazionale, inesistente nel Planh di Sordello, che assume una valenza universale.
Sordello apparteneva all’ultima generazione di trovatori. Molti dei suoi testi, tra cui
principalmente il Planh e l’Ensenhamen d’honor, furono assai diffusi. Esistono numerosi manoscritti, come molte imitazioni, che ne attestano l’immediata risonanza, sicuramente anche in Catalogna, dove si continuò a scrivere sotto i dettami della scuola trobadorica fino agli inizi del Quattrocento.
Dunque, Febrer aveva potuto conoscere, prima della traduzione della Commedia, il
Planh di Sordello, e ritrovò nel canto VII, oltre ad un personaggio noto, com’era appunto il trovatore, anche una situazione familiare. I sovrani citati da Dante sono più vicini a
Febrer e, tra l’altro, il re maggiormente elogiato è proprio Pietro III d’Aragona. Nel
Planh di Sordello compariva Giacomo I d’Aragona,10 ma il ritratto che ne faceva il trovatore non era lusinghiero (Del rey d’Arago vuelh del cor deia menjar, / que aisso lo fara de l’anta descarguar / que pren sai de Marcella e d’Amilau; qu·onrar / no·s pot es-
10
Vv. 25-28.
4
La Catalogna in Europa, l’Europa in Catalogna. Transiti, passaggi, traduzioni
tiers per ren que puesca dir ni far). Invece, nel testo di Dante, la stima per il figlio di
Giacomo, Pietro III, è evidente:
Quel che par sì membruto e che s’accorda,
cantando, con colui dal maschio naso,
d’ogne valor portò cinta la corda;
e se re dopo lui fosse rimaso
lo giovanetto che retro a lui siede,
ben andava il valor di vaso in vaso,
che non si puote dir de l’altre rede;
Iacomo e Federico hanno i reami;
del retaggio miglior nessun possiede.11
Cell qui par ten membrut e qui s’acorda,
en lo cantar, ab aquell del gran nas,
d’omni valor portà cinta la corda;
e si aprés d’ell, rey fosse romàs
lo jovenet qui aprés li està,
bé anava· l valor de vas en vas;
que no·s pot dir d’altres hereus qu· ell ha;
Jayme, Frederich han cascú ream
tal, que millor algú no·n possex ja.
Nel brano sono menzionati altri due sovrani della casa d’Aragona, Giacomo II e Federico II di Sicilia. Essi sono visti negativamente da Dante, poiché fanno parte di quegli
eredi in cui la probitate paterna non è risorta. All’interno di un passo in generale tradotto correttamente, spicca un’interpretazione particolare degli ultimi due versi: Dante sosteneva che nessuno dei due discendenti aveva raccolto la parte più pregevole (miglior)
dell’eredità paterna (retaggio); Febrer afferma, invece, che Giacomo e Federico hanno
ciascuno un reame tale, che oramai nessuno ne possiede uno migliore (que millor algú
no·n possex ja). Più che di incomprensione si può pensare all’intento di evitare di tracciare un quadro completamente negativo dei regnanti della sua patria.
2. Approssimazione
Il secondo punto potrebbe essere il più ampio, poiché la versione di Febrer presenta
numerosi passi poco chiari, appunto, approssimativi. In questo caso, però mi riferisco ai
passi palesemente non riusciti, più per disinteresse o mancata condivisione che per incomprensione. Ho scelto un unico passo, a titolo d’esempio, ma devo premettere alcune
questioni.
Nella visione universalistica della Commedia, Firenze, exemplum per Dante, del
processo storico generale, costituisce sempre un punto di riferimento. A Firenze si concentrano tutte le situazioni negative che stanno sconvolgendo l’umanità (l’allontanamento dalle antiche virtù di cortesia a favore dei sùbiti guadagni, l’avarizia, la corruzione, le divisioni interne). Dante descrive la situazione della città attraverso l’incontro con
alcuni personaggi da poco scomparsi (Brunetto, Ciacco, Forese), e delinea un’immagine
idealizzata del suo passato attraverso le parole dell’antenato Cacciaguida.
11
Pg.VII, 112-120.
5
La Catalogna in Europa, l’Europa in Catalogna. Transiti, passaggi, traduzioni
La storia di Firenze era nota a Febrer, ma è probabile che molti dei nomi citati da
Dante fossero per lui completamente nuovi, come anche alcune vicende accennate implicitamente attraverso perifrasi che potevano risultare chiare solo a chi avesse conosciuto gli eventi.
Uno degli aspetti su cui Dante si sofferma è l’ingresso a Firenze di persone provenienti dal contado, che ha portato alla perdita della ‘purezza’ dell’originaria stirpe romana fondatrice, di cui egli si sente discendente. Si può presumere il disaccordo ideologico di Febrer, uomo di provincia trasferito a Barcellona; d’altra parte, Dante dipinge
i fiesolani quali bestie che fanno strame di lor medesme e si muovono nel lor letame,12
e si scaglia contro la gente del contado che già per barattare ha l’occhio aguzzo,13 di
cui in città bisogna sostener lo puzzo.14 Infatti, sempre la confusion de le persone /
principio fu del mal de la cittade, come recita Cacciaguida nel XVI canto del Paradiso.15 Proprio questo canto, al cui centro si trova la polemica di Cacciaguida nei confronti delle genti nove, doveva essere problematico agli occhi del traduttore, sia per la
serie di rime aspre e chiocce (Galluzzo, puzzo, aguzzo;16 Barucci, Calfucci, Arrigucci,17 giocate sui nomi di famiglie) sia per l’allusione estesa a fatti e personaggi ignoti a
chi non aveva familiarità con le vicende più interne di Firenze. Non bisogna dimenticare
che la semplice traduzione dei nomi propri presentava un ostacolo, ancor di più quando
questi venivano a trovarsi in posizione di rima. Febrer non segue alcuna regola precisa:
talvolta lascia invariato l’italiano (Certaldo, Semifonti, Conti, Sannella),18 talvolta cambia solo la grafia (Galluzzo > Galluço, Sinigaglia > Sinigaylla, Chiusi > Chiuçi, Fiesole > Fiezole),19 infine, nella maggior parte dei casi, ‘catalanizza’ il nome proprio, in
modo spesso funzionale alla misura del verso o alla rima, come nei casi di Fegghine >
Fagina per rimare con vehina e confina;20 Cantellini > Cantellins, per rimare con florentins e ciutadins.21 Si vedano anche i due versi che consistono esclusivamente di nomi
propri, Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi > Philips, Grechs, Ormants e Alberichs;22
Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci > Sacchetz, Giuochs e Ffiffans e Baruchs.23
L’estraneità nei confronti dei personaggi citati o il disaccordo ideologico sono, forse, le cause che hanno portato Febrer a tradurre questo canto in modo, all’apparenza,
approssimativo. I nomi resi casualmente ne sono solo un indizio, rafforzato dalla facilità
con cui il traduttore ricorre a calchi (puzzo > putço; aguzzo > agutço; traligna > trali12
If. XV, 73-75.
Pd. XVI, 57.
14
Pd. XVI, 55.
15
Pd. XVI, 67-68.
16
Pd.XVI, 52-57.
17
Pd.XVI, 103-108.
18
Pd.XVI, 50, 62, 64, 92.
19
Pd.XVI, 53, 75, 122.
20
Pd.XVI, 50-54.
21
Pd.XVI, 86-90.
22
Pd.XVI, 89.
23
Pd.XVI, 104.
13
6
La Catalogna in Europa, l’Europa in Catalogna. Transiti, passaggi, traduzioni
nya; carca > carcha; colonna > colona; staio > estayo),24 o a deformazioni linguistiche, come il già citato ciutadins.
3. Sostegno dei commenti
È più che verosimile che Febrer facesse ricorso ai commenti sulla Commedia, tanto
più che si trovava nella penisola italiana e poteva disporne con maggiore facilità. Si tratta
di una questione che andrebbe sicuramente approfondita; ad un primo stadio di ricerca ho
riscontrato una apparente prevalenza, ma non esclusività, dell’apporto del commento di
Benvenuto da Imola. Riporto, quindi, alcuni frammenti in cui tale supporto sembra preminente, riservandomi, comunque, di approfondire questo aspetto assai interessante.
I commenti sembrano indispensabili soprattutto per interpretare i passi delle profezie che vaticinano l’avvento di un nuovo ideale assetto politico, come nel caso del Veltro o del Cinquecento diece e cinque. Proprio questa profezia è anticipata, nel XXXII
canto del Purgatorio, da una complessa successione di immagini che vedono al centro
la trasformazione del carro e del grifone, simboleggianti rispettivamente la Chiesa e
Cristo. Sul carro la curia romana trasformata in puttana amoreggia col gigante re di
Francia, col quale si allontana verso Avignone. La traduzione dell’allegoria sembra risentire, appunto, del commento di Benvenuto.25 Si vedano i seguenti passi:
1) turgide fansi, e poi si rinnovella > ìnflan peus nuus, e puys se renovella,26 così
commentato: turgide fansi: idest, inflantur, impregnantur, et pariunt flores. La scelta
del verbo inflar effettuata da Febrer potrebbe essere stata indotta dal testo di Benvenuto.
2) a me rivolse, quel feroce drudo > se regirà a mi, lo cruel drut,27 così commentato: quel feroce drudo, idest, crudelis procus. Anche in questo caso, l’aggettivo pteferito
da Febrer è identico a quello usato nella spiegazione di Benvenuto.
Curiosa la soluzione di Febrer al verso 54, che raggia dietro alla celeste lasca: il
chiarimento di lasca, antico vocabolo toscano per ‘pesce’, induce il traduttore a creare
un’immagine originale, la perifrasi qui raja prés d’aquell qu.ab l’am s’emboca.28
24
Pd.XVI, 55, 57, 58, 94, 103, 105.
Il commento di Benvenuto da Imola è qui citato a partire dall’edizione on-line fornita dal Dartmouth Dante Project (http://dante.dartmouth.edu).
26
Pg.XXXII, 55.
27
Pg.XXXII, 155.
28
Difficile in questo caso stabilire la fonte di Febrer, esistendo una certa concordanza fra i commentatori. Benvenuto: ... celeste lasca, idest, signum piscis; nam lasca est genus piscis; aries enim immediate
sequitur signum piscium. L’Ottimo: ... celeste lasca, cioè dietro al Pesce, che è in Ariete. Lombardus: ...
lasca est quidam piscis; unde per celestem lascam inteligit signum piscis. Lux que radiat, idest sequitur,
post piscem, est lux signi arietis. Il Lana: ... costellazione che segue alla lasca, cioè al segno del pesce, la
quale è costellazione d’Ariete. Troviamo un riscontro anche con questo commento al verso 156 dello
stesso canto, dove il verbo flagellare usato da Dante viene da Febrer tradotto con il verbo batre, suggerito
dal Lana (... il gigante se n’accorse e battella e flagellolla dal capo ai piedi...).
25
7
La Catalogna in Europa, l’Europa in Catalogna. Transiti, passaggi, traduzioni
4. Ricorso alla letteratura patria
Affrontiamo, quindi, l’ultimo punto, precisando che anche in questo caso offro solo
qualche spunto relativo ad un ambito che si deve ancora esplorare dovutamente.
Febrer poteva accostarsi alle idee e alle teorie politiche espresse da Dante con un
bagaglio culturale che comprendeva, tra gli altri, un autore come Eiximenis che aveva
esposto alcune considerazioni singolarmente vicine al pensiero dantesco.
Dante espone la sua ideologia politica ‘costruttiva’ per mezzo di una sua ‘controfigura’, Marco Lombardo, nel canto XVI del Purgatorio: causa della decadenza dell’uomo è la mancanza di valide guide, risultante dalla confusione dei poteri; nel canto VI del
Paradiso, inoltre, troviamo la storia dell’istituzione imperiale in bocca a Giustiniano,
che ne giustifica ed esalta la funzione provvidenziale. Come appena segnalato, forse è
proprio Eiximenis ad avvicinarsi maggiormente allo spirito dantesco in materia politica.
Egli, nel Regiment de la cosa pública pone a fondamento della cosa pubblica la concordia e l’unità,29 attribuisce alle ‘guide’ la colpa dello sviarsi dei popoli, in un passo30 che
ricorda da vicino Dante.31 Altri accenni si trovano nel capitolo XI «... preguen a nostre
Senyor Déu per los principals regidors del món, [...] per lo papa [...] e per lo senyor rei,
per tal que la comunitat crestiana no caiga per los llurs pecats». Le ‘guide’ (principals
regidors) possono essere, dunque, la cagion che ’l mondo ha fatto reo (Pg. XVI, 104).
Febrer poteva rinvenire, in un testo piuttosto vicino, immagini e idee certamente utili per affrontare la traduzione di Dante. In effetti, troviamo una serie di passi tradotti con
fluidità, quasi sentisse ancora attuali le problematiche trattate, come ad esempio
l’episodio di Marco Lombardo. Forse, oltre alla lettura di Eiximenis, fu decisivo in tale
ambito il suo abituale atteggiamento nei confronti del potere e dello stato, basato su fedele rispetto e dedizione assoluta. Egli, impegnato per lungo tempo nella diplomazia internazionale, volta a sedare rivolte e controversie, si trovava sicuramente in sintonia con
i principi di concordia espressi da Dante e con l’incitamento alla devozione nei confronti delle guide della comunità. Così anch’egli si scaglia contro l’espassa unida / ab lo pastor per cui l’u ab l’altre ensemps / cové forçat que fassen mala exida.32
29
Regiment de la cosa publica, cap.VII, 12. Cito dall’edizione della Biblioteca Virtual Miguel de
Cervantes, 2002, che riproduce l’edizione di Valencia, di Cristofol Cofman, 1499.
30
Regiment de la cosa publica, cap.IX, 14 : E nota ací que los majors no són sinó exemple e mirall
de los menors. Si doncs d’aquells d’on deu eixir llum d’aquells, ix fum, pensar-te pots quanta irreverència de nostre Senyor Déu és aquesta e quanta provocació d’errar al poble e de quant menyspreu e penes
són dignes aquells qui açó fan. Si confronti con Pg. XVI, 98-102.
31
Si veda Pd. XXVII, 139-141:
Tu, perquè no te’n faces meravilla
Tu, perché non ti facci maraviglia,
pensa qu. en terra no és qui govern;
pensa che’n terra non è chi governi;
on se desvia l’humana familia.
onde si svia l’umana famiglia
32
Vv. 109-112:
L’u l’altre ha stent; e l’espasa és unida
L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada
ab lo pastor, e l’u ab l’altre ensemps
col pasturale, e l’un con l’altro insieme
cové forçat que fassen male eixida,
per viva forza mal convien che vada;
per ço com, junts, la un l’altre no tem.
però che, giunti, l’un l’altro non teme.
8
La Catalogna in Europa, l’Europa in Catalogna. Transiti, passaggi, traduzioni
L’incontro con l’amico Forese, nel XXIII canto del Purgatorio, dà a Dante anche la
possibilità di introdurre un nuovo motivo di biasimo per la sua patria, attraverso la critica dei costumi delle donne. L’invettiva contro le donne ricorre frequentemente nella
tradizione letteraria. In Catalogna aveva avuto successo, tra l’altro, il Corbaccio di Boccaccio, tradotto da Narcís Franch nei primi anni del Quattrocento. Lo stesso testo è alla
base del terzo libro del Somni di Bernat Metge. Egli, però, aggiunge, nel quarto libro,
anche una diatriba contro gli uomini, criticandone la moda del tempo, i loro comportamenti, la loro malizia.
Altro acuto osservatore delle consuetudini della società contemporanea è, ancora
una volta, Francesc Eiximenis. In particolare egli attacca la disonestà e la disinvoltura
delle giovani donne nel terzo libro del Crestià:
Mas ara tot lo món és aterrat e tota virtut és morta, car les donzelles són fort dissolutes; [...]
e per mantenir lo temps, e per tal que sien bé mirades posen-se a les finestres bé pintades e
tran-se venals a tot hom, e parlen e rien e salten [...] e muden llurs habits e lligars, cintes e
calces aitantes vegades lo jorn, almescades e perfumades; e ja a mig camí acullen tot hom
ab garips [...] e faent a tots cimbells de llur cap e de llur coll e de llur pits e de llur cors e de
llurs peus [...].33
Probabilmente Eiximenis ha influito sulla traduzione di Febrer. La vicinanza dell’argomento avrà favorito alcune analogie lessicali: le sfacciate donne fiorentine diventano les dones pintades florentines, dove l’aggettivo, diverso rispetto al modello, riprende il testo del frate. Il Llibre de les dones dello stesso autore, fornisce alcune immagini a Febrer, laddove Dante citava barbare e saracine come esempio positivo a confronto delle donne di Firenze: Eiximenis aveva scritto: Sarrains, hòmens e fembres, jamés no mudaren talls de llurs hàbits ne en fan excés ne vanitat.34
L’invettiva contro le donne anticipa la più radicale critica al presente di Firenze, espressa da Cacciaguida nel XV canto del Paradiso, contrapposta all’elogio del passato,
quando la città, ancora limitata dentro de la cerchia antica,35 stava in pace, sobria e pudica.36 L’elogio del passato è ovviamente un topos ricorrente nella letteratura.37 I motivi
stessi addotti da Cacciaguida erano largamente diffusi e si trovano anche in Eiximenis.
Nel testo precedentemente citato si legge: ... muden llurs hàbits e lligars, cintes e cal-
33
Terç del Crestià, cap. 576. Francesc Eiximenis, Lo Crestià: selecció, a cura d'Albert Hauf, Barcelona, Edicions 62, 1983.
34
Llibre de les dones, cap. 56. Francesc Eiximenis, Lo Llibre de les dones. Edició crítica a cura de
Frank Naccarato, sota la direcció de Joan Coromines; revisada per Curt Wittlin i Antoni Comas, Barcelona, Curial, 1981, p.121.
35
Pd.XV, 97.
36
Pd. XV, 99.
37
Di tono simile a quello dantesco sono i sirventesi provenzali contro personaggi storici. Il concetto
della superiorità del passato rispetto al presente si trova, ad esempio, nel sirventese XXII di Sordello, Qui
be is membra del segle qu’es passatz.
9
La Catalogna in Europa, l’Europa in Catalogna. Transiti, passaggi, traduzioni
ces,38 come nella Commedia: Non avea catenella, non corona, / non gonne contigiate,
non cintura > No havia cadena ne corona, / no dones39 jes brodades, no cintura.40
Eiximenis non è, naturalmente, l’unico autore presente nel patrimonio culturale di
uno scrittore colto come Andreu Febrer; lo studio delle influenze e delle suggestioni sulla traduzione della Divina Commedia deve essere ancora compiutamente realizzato, così
come si devono ancora approfondire molteplici aspetti di questa opera così coraggiosa
e unica. Ultimamente, la traduzione di Febrer si è trovata al centro di alcuni studi, ma
quasi esclusivamente dal punto di vista linguistico; con questo contributo ho cercato di
spostare l’attenzione anche sul piano storico-cultutale della traduzione e sulle circostanze diverse che poterono influire su alcune scelte contenutistiche.
Università degli Studi di Milano
38
Eiximenis, Lo llibre de les dones, cit., p.124.
Il testo di Febrer segue, in questo caso un manoscritto che al posto di gonne riportava, presumibilmente, donne.
40
Pd.XV, 100-101.
39
10