Conferenza Nazionale - pnr - agrobiotecnologie

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Conferenza Nazionale - pnr - agrobiotecnologie
“AGROBIOTECNOLOGIE”
1 della ricerca di interesse
Fondo SpecialeCapitolo
per lo sviluppo
strategico
Capitolo(Legge
2 449/97)
Coordinatore Prof. Luigi Monti
Progetto SCRIGNO
Sviluppo e Caratterizzazione delle RIsorse
Capitolo
3 Ortofrutticoltura
Genetiche
Native in
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Conferenza
Nazionale
Capitolo 7
Capitolo 8
Ecotipi Vegetali
Italiani:9 una preziosa risorsa di
Capitolo
variabilità
Capitolo
10genetica
ATTI DELLA CONFERENZA
CNR - P.le Aldo Moro, 7 – Aula Convegni
Roma, 6 - 7 Ottobre 2004
Programma Scientifico
Mercoledì 6 Ottobre
Ore 9.30
Indirizzi di saluto ed introduzione del Progetto
Prof. Fabio Pistella
Presidente del CNR
Prof. Luigi Monti
CNR - Istituto di Genetica Vegetale
Prof. Gian Tommaso Scarascia Mugnozza
Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL Roma
Prof. Enrico Porceddu
MIUR
Dr. Giorgio Ancora
ENEA
Dr. Giuseppe Ambrosio
Dipartimento della Qualità dei prodotti Agroalimentari - MiPAF
Ore 10.30
Relazioni ad invito
Hodgkin T., Maggioni L. International Plant Genetic Resources Institute
Conservazione e utilizzo di varietà locali.
Pignone D. CNR - Istituto di Genetica Vegetale. Sezione tematica di Bari
Ecotipi e risorse genetiche.
Ore 11.30
Ore 12.00
Grando S., Stefanini M., Borghi B. Istituto Agrario S. Michele all’Adige
Caratterizzazione ed utilizzo delle risorse genetiche di vite.
Coffee break
Baldoni L. CNR - Istituto di Genetica Vegetale sez. Perugia
Valutazione funzionale e molecolare degli ecotipi locali di ulivo.
Frusciante L. Università degli Studi di Napoli Federico II
Il contributo italiano al sequenziamento del pomodoro.
Fideghelli C., Piazza M.G., Izzo M. Istituto di Frutticoltura - MiPAF
Il germoplasma frutticolo italiano fonte di caratteri per il miglioramento genetico moderno.
Ore 13.00
Colazione e visione poster
Ore 14.30
Programmi Regionali mirati alla valorizzazione degli ecotipi vegetali
Interverranno i Funzionari delle Regioni: Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Lombardia,
Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Trentino-Alto Adige, Umbria e Veneto.
Giovedì 7 Ottobre
Ore 9.00
Risultati del Progetto SCRIGNO
Breviario D. - TBP: un metodo, made in Italy, per una semplice e rapida tipizzazione delle
varietà di specie vegetali.
Giuliano G. - Profiling biochimico - molecolare di ecotipi tipici italiani.
Mazzucato A., Bitocchi E., Mosconi P., Nanni L., Negri V., Papa R., Picarella M.E., Soressi
G.P., Tiranti B., Veronesi F. - Caratterizzazione morfologica e molecolare di varietà locali di
pomodoro (Lycopersicon esculentum Mill.) collezionate in Italia centrale.
Grandillo S. - Approccio multidisciplinare per la valutazione della qualità di ecotipi di
pomodoro campano.
Buiatti M., Bogani P., Scialpi A., Rosati A. - Marcatori funzionali per la caratterizzazione
molecolare di ecotipi di pomodoro.
Cardarelli M., Rey Munoz N.A., Saccardo F., Pagnotta M.A. - Caratterizzazione molecolare
di ecotipi di carciofo romanesco nel Lazio.
Ancora G., Crinò P., Cuozzo L., Micozzi F., Saccardo F., Tavazza R., Trionfetti P. Isolamento, propagazione in vitro e caratterizzazione di ecotipi di carciofo “Romanesco”.
Sonnante G. - Marcatori molecolari per lo studio della variabilità genetica in ecotipi di
carciofo.
Ore 11.00
Coffee break
Ore 11.30
Farina A., Aceto S. Aliotta G., Di Maro A., Gaudio L., Macchia A., Parente A. - Storia
naturale e biodiversità in popolazioni di Asparagus acutifolius L.
Spagnoletti Zeuli P.L., Baser N., Diluca M., Laghetti G., Logozzo G., Masi P., Molinari S.,
Negri V., Olita G., Tiranti B., Veronesi F. - Valorizzazione e certificazione di agro-ecotipi
italiani di fagiolo (Phaseolus vulgaris L.).
Acampora A., Ciaffi M., Paolacci A.R., Tanzarella O.A. - Analisi della variabilità in
germoplasma italiano di Phaseolus coccineus.
Zacheo G., Leone A., Gerardi C. - Aspetti biochimici e molecolari nel processo di
maturazione della fragola.
Ore 12.30
Colazione e visione poster
Ore 14.30
Risultati del progetto SCRIGNO (cont.)
Porceddu A., Verasano E., Arcioni S. - Prime indagini sulla struttura genetica di una
collezione di Prunus avium.
Bacchetta L., Bernardini C., Pelliccia O., Cavicchioni G., Di Bonito R. - Caratterizzazione
molecolare e fenotipica di germoplasma autoctono di Corylus avellana e sviluppo di
protocolli di coltura in vitro.
Tusa N., Lucretti S. - Caratterizzazione e valorizzazione della variabilità genetica indotta
dall’ibridazione somatica per fusione di protoplasti nel Citrus.
Roselli G. - Caratterizzazione morfo-fisiologica e per contenuto di sostanze attive per la
salute ed il benessere di cultivar di ciliegio toscane ed umbre.
Crinò P., Ferrara M., Bellon B., Sonnino A., Di Venere D., Linsalata V., Rossi L. - Atlante
multimediale dei prodotti tipici ortofrutticoli italiani.
Ore 16.30
Conclusioni e prospettive
Prof. Luigi Monti
CNR - Istituto di Genetica Vegetale
Ore 17.00
Coffee break
Ore 17.30
Riunione Progetto Scrigno
(riservata alle UU.OO.)
COMUNICAZIONI ORALI
O. 01
CONSERVAZIONE E UTILIZZO DI VARIETA LOCALI
HODGKIN T., MAGGIONI L.
International Plant Genetic Resources Institute Maccarese, Roma
Varietà locali, conservazione ex situ, conservazione in situ
La variabilità genetica non è distribuita uniformemente, ma è strutturata nel tempo e nello spazio.
Nel caso delle piante coltivate secondo schemi di agricoltura tradizionale, in ambienti specifici si generano
varietà o tipi locali (sensu “landraces” di Harlan). La gran parte della variabilità presente nelle varietà
coltivate è adattativa e consente l’adattamento delle varietà a specifiche condizioni climatiche o a
determinate avversità biotiche e abiotiche. Di solito questa variabilità può essere associata a caratteristiche
eco-geografiche ben identificate. Il mantenimento dei caratteri adattativi e delle varietà locali che li
contengono presentano alcune difficoltà di non facile soluzione. Queste in parte riflettono le diverse ragioni
che possono motivare la conservazione o l’utilizzo delle stesse varietà, ed in parte la natura complessa dei
caratteri e della loro determinazione genetica. In genere si ritiene che la conservazione ex situ permetta di
salvaguardare un numero considerevole di varietà o di genotipi. Tuttavia, questa forma di conservazione
elimina l’effetto della pressione selettiva che consentirebbe di mantenere il dinamismo dei caratteri specifici
da conservare.
D’altra parte, la conservazione in situ viene spesso ritenuta ideale per consentire la continuità del processo
selettivo e per favorire il mantenimento dell’adattabilità. Viene anche indicata come ideale per preservare
varietà locali apprezzate dagli agricoltori e che fanno parte del patrimonio nazionale. Grazie a una serie di
esempi specifici, questo lavoro esplora la natura della variazione adattativa ed analizza fino a che punto le
modalità di conservazione ex situ ed in situ possano rispondere adeguatamente agli obiettivi prefissati.
Vengono inoltre suggerite linee di ricerca appropriate per definire come migliorare la conservazione e
l’utilizzo della diversità adattativa.
O. 02
ECOTIPI E RISORSE GENETICHE
PIGNONE D.
CNR - Istituto di Genetica Vegetale - Sezione Tematica di Bari
Cultivar tradizionali, agrobiodiversità, utilizzazione
Gli ecotipi sono delle cultivar tradizionali, o landraces, selezionate in maniera non scientifica dagli
agricoltori ed adattate al determinato ambiente nelle quali si sono evolute. L'Italia è ricchissima di ecotipi
delle più svariate colture, molte delle quali sono state domesticate proprio in questo Paese. La grande
diversità agro-ambientale presente in Italia ha consentito una grande diversificazione per molte specie
vegetali, anche per quelle introdotte dal Nuovo Mondo.
La Sezione Tematica di Bari dell'Istituto di Genetica Vegetale del Consiglio Nazionale delle Ricerche
opera nei campi del reperimento, caratterizzazione, conservazione ed utilizzazione delle risorse genetiche
vegetali fino dagli anni '70 del secolo passato. Nel corso di oltre 30 anni l'Istituto ha condotto più di 80
missioni di esplorazione, per la maggior parte in Paesi del bacino del Mediterraneo, raccogliendo oltre
13.000 campioni di specie vegetali erbacee, per la maggior parte landraces di specie coltivate, oltre a
progenitori selvatici delle specie agrarie. Grazie anche alle attività di scambio, l'Istituto oggi conserva oltre
80.000 campioni dei circa 100.000 complessivamente conservati in Italia da varie istituzioni pubbliche. Le
collezioni conservate comprendono oltre 600 specie diverse appartenenti ad oltre 40 differenti generi.
Oltre alla attività di reperimento e conservazione, l'Istituto svolge ricerche sull'agrobiodiversità a vari
livelli. Sono stati condotti studi sulla variabilità e struttura genetica di ecotipi appartenenti a vari gruppi
sistematici, dalle Brassicaceae, alle Solanaceae, Graminaceae, o Papilionaceae. Questi studi sono stati avviati
a supporto sia delle attività di raccolta che di attività di promozione o selezione conservativa destinati al
miglioramento qualitativo, e quindi ad una migliore utilizzazione, di queste risorse genetiche.
Sono anche stati condotti studi di selezione che hanno portato alla brevettazione di varietà di frumento
duro, di farro, sia spelta che dicocco, di peperone, ecc. Infine, a supporto di questa attività di pre-breeding,
sono state condotte ricerche per individuare nel gene-pool di specie d'interesse agrario nuove fonti geniche
da utilizzare in futuri programmi di miglioramento genetico. Tutte queste ricerche hanno come scopo ultimo
una migliore conoscenza ed utilizzazione delle risorse genetiche collezionate e conservate dall'Istituto.
Per il futuro si prevede di affiancare alla banca dei semi una banca di DNA. Ricercatori dell'Istituto
hanno già isolato centinaia di sequenze di DNA da alcune specie oggetto di studio, utili sia a spiegare la
variabilità genetica esistente che potenzialmente utilizzabili in programmi di selezione assistita, come
marcatori di segmenti cromosomici interessanti, o di sequenze codificanti per prodotti di utilità industriale o
biomedica. Una banca di DNA sarebbe particolarmente utile, poi, per distribuire informazione genetica per
quelle specie che mal si adattano alla conservazione ex situ, come le specie perenni o quelle con semi
recalcitranti.
Particolare attenzione verrà prestata in futuro alle specie selvatiche affini a quelle coltivate, a specifici stock
genetici, per esempio di piante modello, nonché all'identificazione di sostanze vegetali d'interesse industriale
e farmacologico.
O. 03
CARATTERIZZAZIONE ED UTILIZZO DELLE RISORSE GENETICHE DI VITE
GRANDO S., STEFANINI M., BORGHI B.
Istituto Agrario di San Michele all’Adige – Via Mach, 1 38010 Trento Italia
Descrittori molecolari, relazioni genetiche, selezione assistita
L’unica specie di vite europea è Vitis vinifera L., la pianta da frutto economicamente più importante
al mondo, coltivata da circa 9000 anni e così diffusa grazie alla facilità di propagazione vegetativa delle sue
numerose varietà. Altre specie del genere Vitis, di origine Nord Americana ed Asiatica, sono oggi utilizzate
in viticoltura principalmente come portainnesti. L’interfertilità rende queste specie importanti donatori di
tratti genetici interessanti per il miglioramento genetico delle cultivar moderne, come la resistenza ai
patogeni fungini.
La biodiversità di V. vinifera ha sofferto l’impatto di devastanti malattie introdotte con le specie
americane nel continente europeo alla metà dell’Ottocento e della progressiva antropizzazione delle aree
occupate dalla forma selvatica V.v. silvestris.
Allo stato attuale, è documentata l’esistenza di circa 6000 varietà di vite per uso da vino, da tavola e
uva passa. Sono anche disponibili informazioni sui siti a vite silvestris e descrizioni delle popolazioni
naturali nell’ambito di studi ecologici. Tuttavia i nomi delle cultivar e delle accessioni di germoplasma sono
spesso ambigui, a causa della lunga storia di coltivazione della vite, l’adozione di riferimenti locali e di un
complesso approccio descrittivo.
Per la valutazione della consistenza delle risorse genetiche viticole e per fini identificativi, è diventata quindi
fondamentale l’analisi diretta del genotipo. La nostra comunicazione presenterà le iniziative intraprese in
questo senso e l’organizzazione delle nuove informazioni, nell’ottica di uno sfruttamento per il breeding
delle varietà e la valorizzazione dei vitigni autoctoni.
O. 04
VALUTAZIONE FUNZIONALE E MOLECOLARE DEGLI ECOTIPI LOCALI DI OLIVO
BALDONI L.
Istituto di Genetica Vegetale sez. di Perugia
L'olivo (Olea europaea L.) è la specie cardine dei sistemi agricoli del Mediterraneo e dell’Italia in
particolare e la sua coltivazione rappresenta un presidio a difesa delle aree a rischio di pre-desertificazione
del Sud e di quelle sottoposte ad erosione e dissesto idro-geologico dei versanti appenninici e prealpini. La
specie ha un'ampia plasticità di adattamento a condizioni pedologiche e climatiche molto diverse, garantita
dall’evoluzione e differenziazione di centinaia di varietà ed ecotipi locali, che sono stati sottoposti a
pressione selettiva naturale ed antropica durante la millenaria storia di coltivazione in microareali estremi.
Il germoplasma olivicolo italiano, che annovera anche esemplari ultramillenari e genotipi rari,
rappresenta un patrimonio di straordinario interesse agricolo e ambientale e costituisce una sorgente di
variabilità genetica utile ai fini del miglioramento genetico varietale, necessari per superare i limiti
produttivi. La componente varietale inoltre contribuisce in modo determinante alle caratteristiche qualitative
delle olive e degli oli prodotti in Italia, basati su varietà locali a forte tipizzazione regionale ed elevato valore
nutrizionale.
Gli studi condotti fino ad oggi su questo germoplasma comprendono l’analisi dell'entità e della
distribuzione geografica della variabilità, la verifica delle relazioni cultivar-olivi selvatici e dell'origine delle
cultivar, la caratterizzazione molecolare delle varietà e la rintracciabilità dell’origine varietale degli oli di
oliva.A seconda delle finalità sono stati utilizzati diversi tipi di marcatori molecolari.
Gli AFLP sono stati usati per lo studio delle relazioni genetiche tra le
varietà e per l’analisi delle sinonimie ed omonimie su materiale di diverse regioni italiane, quali l’Umbria, la
Sicilia, la Sardegna, il Molise, il Veneto, le Marche, l’Emilia Romagna e la Campania, oltre che per l’analisi
della variabilità intra-varietale. Con i dati AFLP è stata costituita una banca dati di diverse centinaia di
varietà italiane e di altri paesi olivicoli del Mediterraneo.
Diversi gruppi hanno contribuito all’identificazione di diverse decine di microsatelliti (SSR) specifici
di olivo ed altamente polimorfici che vengono correntemente utilizzati per lo screening varietale e, grazie
alla loro codominanza e multiallelicità, possono essere utilmente impiegati per la rintracciabilità della
composizione varietale degli oli e nei lavori di genomica.
I RAPD sono stati i marcatori più utilizzati per lo studio delle relazioni tra popolazioni e per l’analisi
di paternità ma la loro scarsa ripetibilità li rende poco affidabili nei lavori di caratterizzazione genetica.
Sono stati usati inoltre altri marcatori, quali gli ISSR, gli mt-RFLP e i polimorfismi delle sequenze
plastidiali.
Recentemente si sta procedendo alla identificazione di SNP (Single Nucleotide Polymorphisms) su
sequenze codificanti. Sono stati presi in considerazione geni candidati per enzimi chiave della sintesi
dell’olio e di composti secondari, per fattori proteici implicati nella resistenza ai patogeni e agli stress
abiotici e per altri pathway metabolici importanti per la pianta. Lo screening con SNP presenti su sequenze
espresse consente di procedere anche alla valutazione funzionale delle varietà e degli ecotipi locali di olivo.
O. 05
IL CONTRIBUTO ITALIANO AL SEQUENZIAMENTO DEL POMODORO
FRUSCIANTE L.
Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Il pomodoro è una specie di interesse agrario di grande importanza sotto l’aspetto economico,
commerciale e nutrizionale per il suo diffuso consumo in tutto il mondo. Dal punto di vista genetico è una
specie ben caratterizzata in cui sono stati ottenuti significativi risultati di miglioramento genetico. Grandi
progressi sono stati compiuti anche nello studio del suo genoma grazie alla disponibilità di importanti
strumenti di ricerca, come: linee di introgressione, collezioni di mutanti naturali e artificiali, una mappa
genetica altamente satura con diversi tipi di marcatori molecolari, collezioni di EST, librerie c-DNA e
librerie genomiche BAC. Per tutti questi motivi il pomodoro è considerata a tutti gli effetti una specie
modello per le altre specie appartenenti alla famiglia delle Solanaceae e per le 3000 specie appartenenti alla
sezione delle Asteridi I e II. Questa sezione occupa una porzione importante dell’albero filogenetico vegetale
ed è distante da specie già sequenziate come Arabidopsis thaliana e riso.
L’“International Solanaceae GenomeProject” (SOL) è un consorzio di 12 Paesi che ha come
obiettivo principale il sequenziamento della regione eucromatica del genoma di pomodoro e
l’identificazione dei circa ventiseimila geni presenti in essa. L’intera ricerca avrà un costo economico di
circa 25 milioni di dollari, spesa da distribuire tra i vari paesi. L’Italia è stata una delle prime nazioni che ha
aderito questa iniziativa con il finanziamento del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MIPAF).
Infatti il pomodoro rappresenta una delle principali specie ortive italiane sia in termini di redditività che di
indotto. L’Italia contribuirà a questo progetto di ricerca con il sequenziamento del cromosoma 12.
Su questo cromosoma sono stati identificati alcuni geni di resistenza a stress biotici altri legati alla
qualità del frutto e regioni cromosomiche a funzione sconosciuta. La prima fase del progetto prevede il
sequenziamento del braccio corto del cromosoma partendo da 5 regioni cromosomiche diverse
contemporaneamente, utilizzando BAC (Bacterial Artificial Chromosome) già selezionati per questo
cromosoma dai ricercatori della Cornell University (USA).
Questi BAC, infatti, contengono porzioni genomiche di pomodoro che ibridizano marcatori
molecolari precedentemente posizionati su questo cromosoma. Il prodotto finale permetterà di annotare in
una Banca Dati Internazionale tutta la sequenza di questo cromosoma e di predire l’eventuale funzione dei
geni in essa contenuti. Il termine dell’intero progetto, se i finanziamenti ottenuti saranno sufficienti è
prevista per la fine del 2006. Questa partecipazione rappresenta un opportunità unica per l’Italia sia nel
campo della ricerca di base che applicata. Infatti, la famiglia delle Solanaceae rappresenta un modello
ideale per esplorare le basi della biodiversità vegetale. Le informazioni prodotte avranno importanti
ripercussioni in campo vegetale e permetteranno di capire e di utilizzare le basi molecolari della fisiologia
vegetale, dello sviluppo dei frutti, delle resistenza ai patogeni o a stress ambientali come freddo e siccità.
Infine la nostra partecipazione, oltre a rappresentare un importante obiettivo scientifico può promuovere lo
sviluppo del settore producendo numerosi vantaggi per gli operatori del settore agroalimentare.
O. 06
IL GERMOPLASMA FRUTTICOLO ITALIANO FONTE DI CARATTERI PER IL
MIGLIORAMENTO GENETICO MODERNO
FIDEGHELLI C., PIAZZA M.G., IZZO M.
Istituto Sperimentale per la Frutticoltura - Via Fioranello, 52 00134 Roma
Un recente aggiornamento del germoplasma frutticolo conservato in Italia presso le Università, gli
Istituti del Mi.P.A.F. e del C.N.R. ha censito circa 12.000 accessioni, corrispondenti a circa 7.500 varietà di
cui 3.000 di origine italiana. Lo studio non comprendeva gli agrumi, l’olivo e la vite. Le specie
maggiormente rappresentate sono, nell’ordine, il melo (834 varietà), il pesco (601 varietà), il pero (444
varietà), il ciliegio (442 varietà), l’albicocco (197 varietà) e il susino (153 varietà).
La Convenzione sulla Biodiversità del 1992 e le iniziative internazionali e nazionali che ne sono
derivate hanno stimolato una nuova attenzione nei confronti delle risorse genetiche, in particolare di quelle
per l’agricoltura e l’alimentazione.
Una delle principali utilizzazioni delle risorse genetiche conservate presso le istituzioni di ricerca
risulta essere proprio il miglioramento genetico (il 23% del totale delle utilizzazioni).
I numerosi studi condotti sul materiale autoctono hanno evidenziato una grande “rusticità” che più
specificamente riguarda l’adattabilità alle condizioni pedoclimatiche e la tolleranza e resistenza ai diversi
stress biotici (batteri, funghi, insetti) e abiotici (siccità, asfissia radicale, salinità, calcare). Frequentemente
sono stati individuati caratteri qualitativi (sapore, consistenza della polpa, serbevolezza) o caratteri
agronomici particolari (architettura della pianta, idoneità alla raccolta meccanica).
Alcuni esempi significativi sono le cultivar di pero Spina Carpi, Martin Secco, Madernassa molto
resistenti agli attacchi della Cacopsilla pyri, le cultivar di melo Durello, Decio e tante altre portatrici del
carattere di resistenza orizzontale alla Venturia inaequalis, la cultivar di albicocco Ivonne Liverani
particolarmente tollerante nei confronti della Monilinia laxa, la cultivar di ciliegio Flamengo portatrice del
carattere “facilità di distacco della drupa dal peduncolo” per la raccolta meccanica, la cultivar di ciliegio
Kronio caratterizzata da un bassissimo fabbisogno in freddo e pertanto valida per il miglioramento genetico
di queste specie per le regioni subtropicali, la pesca a polpa bianca Grezzano portatrice del carattere “polpa
non fondente” per la resistenza alle manipolazioni.
O. 07
TBP : UN METODO, MADE IN ITALY, PER UNA SEMPLICE E RAPIDA
TIPIZZAZIONE DELLE VARIETA’ DI SPECIE VEGETALI
BREVIARIO D.
Istituto Biologia e Biotecnologia Agraria, IBBA-CNR, Via Bassini 15, 20133 Milano
Polimorfismi, biodiversità, beta-tubuline
Abbiamo sviluppato un metodo innovativo per l’identificazione di polimorfismi nel DNA vegetale
basato su alcune caratteristiche dell’organizzazione dei geni della famiglia delle beta-tubuline (1). Il metodo
si chiama TBP che è l’acronimo di Tubulin-based-polimorphism. E’ basato su una semplice reazione di PCR
i cui prodotti vengono poi analizzati con un semplice gel di poliacrilamide. Sfrutta, come sorgente di
variabilità, la sequenza di DNA corrispondente a tre introni di beta-tubulina diversamente ma puntualmente
collocati all’interno degli esoni, incluso il primo non codificante e corrispondente alla sequenza 5-UTR di
RNA. TBP è semplice, rapido, affidabile, riproducibile e di facile lettura. Si basa esclusivamente sulla
presenza/assenza di bande amplificate di DNA. Non richiede informazioni preliminari sulle sequenze di
beta-tubulina della specie vegetale da analizzare. Consente la rapida individuazione della identità genetica di
una particolare varietà, in particolare quando si tratti di ecotipi specifici o prodotti di nicchia. Si è rivelato
utile alla identificazione dei progenitori di specie derivanti da ibridazione genetica.
TBP è protetto da un brevetto il cui proprietario è il CNR (2). Si è rivelato efficace nel determinare
polimorfismi in varietà di caffè, colza, lotus (3), arachide, eleusina, asteraceae e cupressaceae. Nell’ambito
del progetto SCRIGNO l’abbiamo utilizzato per valutarne l’efficacia nel determinare polimorfismi in varietà
di fagiolo e di pomodoro. In fagiolo, il TBP nella sua versione classica, quella che utilizza come sorgente di
variabilità gli introni presenti nella sequenza codificante le beta-tubuline, ha dimostrato di saper discriminare
tra le diverse varietà incluse le tre razze locali (Verdolino, Poverella e Marrozzo) provenienti dalla
Basilicata, conferendo a ciascuna di queste ultime uno specifico bandeggio. La razza Verdolino è poi
ulteriormente discriminabile nelle due accessioni E ed F. In pomodoro l’uso del TBP “classico” si è
dimostrato deludente rivelando un unico quadro di amplificazione per tutte le 6 varietà (S.
Marzano,Corbarino, Money Maker, Principe Alberto, Giallo e Toscano) oggetto del nostro studio. Ciò ci ha
sollecitato nell’inventare una nuova versione del TBP basata sullo sfruttamento di polimorfismi presenti
negli introni della regione 5’UTR dei geni delle beta-tubuline, la cui funzione regolativa abbiamo
recentemente dimostrato (4). L’esito è promettente. In particolare è possibile evidenziare un quadro
assolutamente specifico per la varietà San Marzano. Questa nuova versione sarà auspicabilmente oggetto di
ulteriori perfezionamenti futuri.
1.Breviario Plant Microtubules. Potential for Biotechnology. Spriger 2000 135-157
2.Breviario and Gianì 2000 Patent N. WO0039334
3.Bardini, Lee, Donini, Mariani, Gianì,Toschi, Lowe and Breviario 2004 Genome 47 : 281-291
Morello, Bardini, Sala and Breviario 2002 Plant J. 29 :33-44
O. 08
CARATTERIZZAZIONE MORFOLOGICA E MOLECOLARE DI VARIETÀ LOCALI DI
POMODORO (LYCOPERSICON ESCULENTUM MILL.) COLLEZIONATE IN ITALIA
CENTRALE
MAZZUCATO A.1, BITOCCHI E.2, MOSCONI P.1, NANNI L.2, NEGRI V.3, PAPA R.2, PICARELLA M.E.1,
SORESSI G.P.1, TIRANTI B.3, VERONESI F.3
1
Dip. di Agrobiologia e Agrochimica, Univ. degli Studi della Tuscia, Viterbo
Dip di Scienze degli Alimenti, Univ. Politecnica delle Marche, Ancona
3
Dip. di Biologia vegetale e Biotecn. Agro-ambientali, Univ. degli Studi di Perugia, Perugia
2
Distinguibilità, pomodoro, varietà locali
In pomodoro, come in molte altre specie, gli orticoltori hanno sviluppato e mantenuto una grande
varietà di tipologie autoctone italiane che vengono ancora coltivate su piccola scala e consumate nei mercati
locali. Tuttavia la loro sopravvivenza ed il mantenimento della loro integrità genetica sono minacciati
dall’adozione sempre più diffusa di moderni ibridi F1, dalla riduzione delle coltivazioni destinate
all’autoconsumo e dalla mancanza di interesse commerciale nella produzione di seme di varietà locali. In tale
scenario, lo studio della diversità a livello fenotipico e genetico, morfologico e molecolare, costituisce un
elemento importante per definire la distinguibilità, l’uniformità ed i rapporti filogenetici delle popolazioni
che sono reperibili sul territorio, informazioni essenziali per la conservazione e la valorizzazione delle risorse
genetiche.
In questa ricerca è stata studiata una collezione di accessioni di varietà locali di pomodoro raccolte
prevalentemente in Italia centrale in progetti locali svolti dalle Università di Ancona, Perugia e Viterbo. La
collezione complessivamente ha compreso 40 accessioni raccolte presso i coltivatori, 10 accessioni di varietà
locali reperite in commercio, 5 varietà locali provenienti dal Centro America, 10 cultivar di successo degli
ultimi vent’anni e 2 specie selvatiche.
Volendo specificamente indirizzare lo studio alla variabilità inter-popolazione, è stata utilizzata una
pianta rappresentativa per ciascuna accessione per l’estrazione del DNA e per la riproduzione. Il seme così
prodotto è stato utilizzato in un esperimento replicato in due località (Perugia e Viterbo) in modo da valutare
anche l’interazione genotipo*ambiente. Su tale materiale sono stati rilevati 20 descrittori morfologici relativi
a caratteristiche della pianta, dell’infiorescenza e del frutto. A livello molecolare, sono stati analizzati 20 loci
microsatellite, scelti in modo da campionare geni putativamente importanti nello sviluppo del frutto e regioni
genomiche ospitanti QTL per la tipologia e la qualità della bacca e tali da ‘coprire’ in modo omogeneo
l’intero genoma.
Dai dati morfologici e molecolari sono state ricavate statistiche descrittive, univariate (ANOVA) e
multivariate (PCA, UPGMA). Da tali analisi vengono estrapolati e presentati esempi di come le ricerche
effettuate abbiano contribuito nello stabilire:
la distinguibilità tra accessioni o tra gruppi di accessioni;
le relazioni filogenetiche e di pedigree;
la presenza di accessioni replicate o di ‘false’ varietà locali;
le correlazioni tra fenotipo e composizione allelica;
le caratteristiche organolettiche delle tipologie studiate.
Gli esempi riportati indicano la validità dell’approccio descrittivo adottato e la sua applicabilità ad
analisi più estese. Inoltre, per ogni tipologia studiata, i dati rilevati sono stati inseriti in una ‘scheda
varietale’; la raccolta di tali schede rappresenta un primo passo verso una descrizione sinottica del
germoplasma italiano di pomodoro.
La ricerca è stata finanziata dal MIUR nell’ambito del Progetto SCRIGNO (Sviluppo e caratterizzazione
delle risorse genetiche native in ortofrutticoltura).
O. 09
APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE PER LA VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DI
VARIETA' LOCALI DI POMODORO CAMPANO
GRANDILLO S.
CNR-IGV sez. di Portici Via Università, 133-80055 Portici (NA). E-mail
Il pomodoro è una delle principali colture per molti paesi e la qualità dei frutti sta assumendo
un’importanza sempre crescente. Negli ultimi anni, infatti, il miglioramento del pomodoro ha privilegiato
varietà adatte alle moderne tecniche di coltivazione, e dall'aspetto molto attraente per il consumatore ma
dotate di caratteristiche organolettiche scadenti. Il consumatore oggi esige dei prodotti con più gusto, con
caratteristiche ben espresse ed originali. Per valutare la qualità, pertanto, non è più sufficiente basarsi su
parametri esterni come il colore, la taglia, la forma, ma è necessario individuare marcatori chimici e
molecolari legati in modo chiaro agli aspetti organolettici del prodotto, che possano essere utilizzati per la
selezione genetica. Inoltre, una maggiore sensibilità si sta anche diffondendo rispetto alla qualità nutrizionale
del pomodoro, in considerazione del fatto che il frutto di questa specie costituisce una ricca fonte di sostanze
antiossidanti (licopene, vitamina C, vitamina E, polifenoli/flavonoidi) con nota azione benefica sulla salute.
Numerose varietà locali di pomodoro spesso possiedono i requisiti qualitativi apprezzati dai
consumatori e non più rinvenibili nelle cultivar moderne. Essi hanno un enorme potenziale di diventare
prodotti di nicchia di alta qualità ma sono stati emarginati dalle coltivazioni moderne, perché sono
suscettibili ad una vasta gamma di malattie di diversa origine e perché non sempre sono adattati ai sistemi
meccanizzati di raccolta ad alto rendimento che vengono utilizzati nelle moderne coltivazioni di pomodoro.
La Campania, storicamente è sempre stata tra le aree dove la coltivazione del pomodoro si è più diffusa e
costituisce pertanto un importante serbatoio di produzioni locali autoctone di pregio formatosi negli anni per
ibridazioni spontanee e/o mutazioni e successive selezioni operate dagli stessi agricoltori.
Alcuni progetti sono stati avviati allo scopo di indagare su aspetti diversi di varietà locali della Campania per
valorizzarne il potenziale genetico e promuoverne lo sviluppo. Nell’ambito del progetto SCRIGNO
finanziato dal MIUR è stata effettuata la valutazione delle proprietà nutrizionali di alcune varietà locali di
pomodoro campano, ascrivibili a tre diverse tipologie. Mentre, nell’ambito del progetto ECOPOM finanziato
dal MiPAF, è stato iniziato uno studio multidisciplinare di quattro varietà locali di pomodoro campano (San
Marzano, Vesuviano, Corbarino, Sorrento) caratterizzate da diversa destinazione commerciale (mercato
fresco, trasformazione industriale, da serbo) e da un’ampia variabilità in forma, dimensione ed attributi
sensoriali. Le varietà locali, insieme alle corrispondenti varietà ed ibridi commerciali, sono state valutate
dalle diverse UU.OO. afferenti al progetto, per le loro caratteristiche agronomiche, tolleranza agli stress
biotici ed abiotici, per caratteristiche biochimiche, per i profili sensoriali e per la composizione della frazione
volatile (vedi poster P26 e P42). Al fine di identificare i geni chiave putativamente coinvolti nella
determinazione dell’aspetto, del sapore, dell’aroma e della qualità nutrizionale di singole varietà locali, alla
caratterizzazione fenotipica si sta affiancando lo studio dei profili proteomici (vedi poster P47), e dei profili
trascrizionali mediante la tecnica cDNA-AFLP. Nel prossimo futuro, lo studio dei profili trascrizionali sarà
approfondito mediante analisi microarray.
O. 10
MARCATORI FUNZIONALI PER LA CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI
ECOTIPI DI POMODORO
BUIATTI M. , BOGANI P., SCIALPI A., ROSATI A.
Dipartimento di Biologia animale e Genetica “Leo Pardi”, Università di Firenze
Lycopersicum, marcatore funzionale, variabilità genetica
Un marcatore funzionale viene comunemente considerato come un polimorfismo di sequenza in
regioni codificanti di geni con funzione nota. Questo tipo di marcatore è attualmente preferito per la
caratterizzazione molecolare di varietà e specie in quanto facilmente correlabile a variabilità fenotipica. Il
nostro gruppo di ricerca si è proposto invece di studiare le regioni non codificanti implicate nella regolazione
(promotori) di geni con effetto pleiotropico sullo sviluppo e differenziamento, riproduzione e difesa delle
piante. Le sequenze a monte del gene ACC sintasi, isoforma 4, implicato nella biosintesi dell’ormone etilene,
del gene che codifica per l’isoforma 5 della fenilalanina ammonia liasi (PAL, catalizza la prima reazione
nella via biosintetica dei fenilpropanoidi) e del gene per l’isoforma 2 della idrossimetil-glutaril-CoA reduttasi
(HMGR, enzima chiave della via degli isoprenoidi) sono stati analizzati mediante sequenziamento in una
serie di specie e varietà commerciali di pomodoro, con lo scopo di correlare le variazioni di sequenza con
effetti sulla modulazione dei geni a valle. I risultati hanno evidenziato SNPs, INDELs e variazioni del
numero di copie di sequenze omogenee che, considerate nell’insieme, potrebbero influenzare la geometria
strutturale del promotore e, di conseguenza la regolazione genica. Esperimenti di PCR real time quantitativa,
condotti su RNA estratto da frutti di singoli individui di due varietà commerciali di pomodoro caratterizzate
da differenze morfologiche e di sviluppo, hanno evidenziato differenze nei livelli di mRNA di ACC sintasi in
seguito a stimoli ormonali, a conferma dell’ipotesi. Questi risultati dimostrano quindi che è possibile
considerare come “marcatore funzionale” la variazione di sequenza nelle porzioni non codificanti del
genoma.
O. 11
RECUPERO E CONSERVAZIONE DELLA BIODIVERSITA’ DEL CARCIOFO (Cynara
scolymus L.) ROMANESCO ATTRAVERSO L’ISOLAMENTO E MOLTIPLICAZIONE IN
VITRO DI ECOTIPI DA POPOLAZIONI TRADIZIONALI
ANCORA G.1, CRINÒ P.1, CUOZZO L. 1, MICOZZI F. 2, SACCARDO F. 2, TAVAZZA R.1, TRIONFETTI NISINI
P.1
1
2
ENEA, UTS BIOTEC, C.R. Casaccia, Rome, Italy
Dip. Produzione Vegetale, Università della Tuscia, Viterbo, Italy
Carciofo, biodiversità, coltura in vitro , caratterizzazione in campo.
Negli ultimi anni la produzione in vitro di piante di carciofo, ha determinato una rapida affermazione
e diffusione di un clone precoce di carciofo (il clone C3), soprattutto nelle aree in cui si coltiva il carciofo
“Romanesco”. Ciò ha determinato una drastica riduzione della variabilità genetica esistente.
Allo scopo di recuperare e caratterizzare popolazioni di carciofo “Romanesco” tradizionalmente presenti
nella Regione Lazio è stata quindi intrapresa una ricerca di popolazioni originarie di “Romanesco”. Sono
stati raccolti carducci in piccoli campi individuati in zone sia a nord che a sud dell’area romana e questi
sono stati utilizzati per il prelievo di apici vegetativi che sono stati utilizzati per avviare la moltiplicazione in
vitro.
Per la moltiplicazione in vitro è stato utilizzato un nuovo terreno di base con un differente rapporto
ammonio/nitrato rispetto al terreno MS. Per lo sviluppo dei germogli, al terreno base sono stati aggiunti 0.8
mg/l di BAP e 0.2 mg/l di IBA, mentre il terreno utilizzato per la fase di proliferazione conteneva 2 mg/l di
kinetina e 0.2 mg/l di IBA.
In queste condizioni di coltura si è ottenuto generalmente un tasso soddisfacente di proliferazione
accompagnata da una buona qualità dei germogli prodotti.
Per quanto riguarda la radicazione dei germogli, sono stati ottenuti buoni risultati trasferendo i germogli su
un terreno contenente 10 mg/l di IAA per una settimana seguita dalla coltura dei germogli indotti su un
terreno senza ormoni. In queste condizioni sono state ottenute frequenze di radicazione dell’ 85-90% dopo 4
settimane. Le piantine radicate sono state adattate in terra con tassi di sopravvivenza del 95-100%.
Piantine di 23 cloni sono state quindi trasferite nei campi sperimentali dell’ ARSIAL, a Tarquinia (Viterbo)
per la caratterizzazione morfo-fisiologica e produttiva. Le analisi hanno riguardato principalmente la
larghezza e l’altezza della pianta, e la precocità, il numero, la dimensione, il peso e la forma dei capolini.
I risultati delle analisi hanno messo in evidenza una larga variabilità tra i cloni presi in considerazione.
Rispetto al clone C3 preso come controllo, la produzione del capolino principale ha suddiviso i cloni
analizzati in due classi principali: quelli precoci e quelli tardivi. La stessa suddivisione in due classi si è
determinata considerando la dimensione della pianta o la dimensiome dei capolini primario e secondari. In
entrambi i casi i cloni tardivi hanno evidenziato una dimensione della pianta e del capolino principale
maggiori rispetto ai cloni precoci, un andamento tuttavia non sempre correlato con la produttività totale del
clone.
In conclusione, sono stati individauti e caratterizzati diversi cloni di “Romanesco” che consentono di coprire
un lungo periodo di produzione e con buoni livelli di produttività, sia in cloni precoci che tardivi. Sono
tuttavia necessari dati su scala più ampia per confermare i dati ottenuti.
O. 12
MARCATORI MOLECOLARI PER LO STUDIO DELLA VARIABILITÀ GENETICA IN
ECOTIPI DI CARCIOFO
SONNANTE G.
CNR Istituto di Genetica Vegetale – Via Amendola, 165/A, 70126 Bari
Carciofo, microsatelliti, AFLP
Il carciofo coltivato presenta una elevata variabilità a livello morfo-fisiologico soprattutto a carico
della forma e dimensione del capolino e dell’epoca di produzione. Queste caratteristiche hanno consentito
l’individuazione di quattro gruppi varietali: Spinosi, Violetti, Catanesi e Romaneschi.
La collezione mondiale di carciofo mantenuta presso l’Istituto di Genetica Vegetale contiene, oltre alle
varietà maggiormente diffuse in Italia, anche numerosi ecotipi coltivati su scala più ridotta e che sono a volte
minacciati di estinzione.
Il riconoscimento delle varietà di carciofo allo stadio vegetativo non è possibile, in quanto forma,
dimensione e colore delle foglie non sempre sono caratteri diagnostici. D’altro canto, spesso alcuni tipi
coltivati vengono denominati in base alla località in cui vengono coltivati, per cui lo stesso genotipo può
assumere denominazioni diverse.
Per valutare la variabilità genetica di una parte della collezione vivente e per cercare di caratterizzare
ed identificare alcuni ecotipi, sono stati utilizzati marcatori microsatelliti e AFLP. Da una libreria genomica,
sono state isolate regioni contenenti sequenze microsatelliti. Sono stati disegnati primer nelle regioni
fiancheggianti e i frammenti sono stati amplificati e sequenziati. Tuttavia, l’amplificazione in diversi
campioni della collezione non ha prodotto un numero congruo di polimorfismi.
Un elevato livello di polimorfismo è invece stato evidenziato utilizzando gli AFLP. Un’analisi
preliminare con 24 combinazioni di primer ha permesso di selezionare 9 combinazioni per proseguire
l’analisi su 39 tipi di carciofo coltivato, a cui sono stati aggiunti due cardi selvatici ed un cardo coltivato. Un
totale di 612 frammenti AFLP è stato riscontrato nel range di 55-380 bp, di cui 83.8% erano polimorfici. I
frammenti polimorfici sono stati utilizzati per stabilire le similarità genetiche tra i carciofi coltivati. Sulla
base della matrice di similarità ottenuta utilizzando l’indice di Jaccard, è stato costruito un dendrogramma
UPGMA. I cluster ottenuti corrispondono in linea di massima ai gruppi varietali individuati su base
morfologica e risultano abbastanza omogenei; fanno eccezione i tipi Romaneschi che tendono ad essere
maggiormente distribuiti nel dendrogramma, rivelando una maggiore distribuzione della variabilità.
Un’ulteriore indagine ha riguardato alcune popolazioni del carciofo di tipo catanese, “Locale di Mola”,
coltivato nell’omonima località (prov. di Bari), la cui produzione sta subendo una drastica riduzione in
favore di altre varietà. Le popolazioni raccolte sono state confrontate con altre popolazioni di catanesi
provenienti dal brindisino e dalla Sicilia utilizzando marcatori AFLP.
O. 13
STORIA NATURALE E BIODIVERSITÀ IN POPOLAZIONI ITALIANE DI ASPARAGUS
ACUTIFOLIUS L.
FARINA A.1, ACETO S.2, ALIOTTA G.1, DI MARO A.1, GAUDIO L.2, MACCHIA A.3, PARENTE A.1
1
Dipartimento di Scienze della Vita, Seconda Università di Napoli, Caserta
Dipartimento di Genetica, Biologia Generale e Molecolare, Università di Napoli Federico II, Napoli
3
Dipartimento di Agronomia e Gestione dell’Agro-ecosistema, Università di Pisa, Pisa
2
Asparagus, biodiversità, caratterizzazione biochimica e genetica
Molte specie del genere Asparagus crescono spontanee in Italia ed i loro germogli (turioni) vengono
raccolti e consumati fin dal periodo classico per le loro proprietà. Ai nostri giorni la sola specie coltivata è
Asparagus officinalis mentre, tra quelle spontanee, Asparagus acutifolius, diffusa nell’areale mediterraneo, è
particolarmente apprezzata per il suo delicato sapore, anche se difficilmente coltivabile.
Il nostro gruppo di ricerca ha intrapreso la ricerca di marcatori molecolari in A. acutifolius, utilizzabili
per caratterizzare le popolazioni locali, preservarle dall’inquinamento di varietà non autoctone e
promuoverne la coltivazione.
Sono stati utilizzati semi, turioni e cladodi di popolazioni di A. acutifolius raccolti in varie regioni
italiane.
Caratterizzazione genetica: L’analisi di marcatori RAPD ha permesso di individuare frammenti di
amplificazione ripetibili, unici e monomorfici per la maggior parte delle popolazioni in esame. I campioni
provenienti dalla Sardegna hanno mostrato il più basso indice di similarità rispetto alle altre popolazioni,
verosimilmente a causa dell’isolamento geografico. In parallelo, sono stati isolati e caratterizzati loci
microsatellitari allestendo una libreria genomica parziale arricchita per ripetizioni GA/TC e GTT/CAA,
analizzata quindi separatamente con oligonucleotidi (TC)13 e (AAC)10 , marcati terminalmente. Tramite
l’analisi ISSR è stato infine possibile identificare marcatori specifici (monomorfici e/o polimorfici) per
ciascuna delle popolazioni analizzate. L’indice di fissazione (FST = 0,4561) ha evidenziato un elevato livello
di strutturazione genetica delle popolazioni, confermato anche dal punto di vista statistico dall’analisi
ANOVA, mentre l’albero di distanza UPGMA presenta rami che raggruppano gli esemplari di ciascuna
popolazione, con un elevato valore di bootstrap (>50%). Si può quindi concludere che tali marcatori
consentono di identificare e distinguere le popolazioni analizzate in base alla loro provenienza geografica.
Caratterizzazione biochimica. L’analisi ha riguardato le proteine solubili estratte sia da semi che da
turioni di popolazioni di A. acutifolius, provenienti da diverse regioni d’Italia, utilizzando: i) elettroforesi
mono- e bi-dimensionale (1 e 2D-PAGE); ii) digitalizzazione dei pattern elettroforetici tramite densitometro
scanner ed analisi d’immagine computerizzata; iii) trasferimento delle bande proteiche su membrana PVDF
mediante Western-blot e, iv) analisi di sequenza N-terminale e successiva identificazione per omologia
mediante ricerca in banca dati.
I dati ottenuti dai profili proteici bidimensionali delle popolazioni di A. acutifolius analizzate, hanno
evidenziato marcatori molecolari capaci di distinguere tra turioni di asparago selvatico proveniente dalle
regioni considerate e di differenziare tra A. acutifolius ed A. officinalis.
Germinabilità dei semi di A. acutifolius: Gli studi in vitro hanno contribuito a chiarire la struttura del
seme e delle prime fasi della germinazione. Sebbene non sia stato raggiunto l’obiettivo di eliminare
rapidamente la dormienza, percentuali di germinazione soddisfacenti (variabili da 70 a 90%) sono stati
invece ottenute in campo per semi di diversa provenienza sottoposti ad un periodo di vernalizzazione di circa
8 mesi.
Conclusioni: L’identificazione di marcatori molecolari, quali RAPD, ISSR, microsatelliti e proteine,
rappresenta un primo passo per ottenere una “carta d’identità” molecolare di A. acutifolius, che potrà essere
il supporto al quale fare riferimento quando necessiti una certificazione di provenienza o di specie (A.
officinalis o A. acutifolius). Entrambe le specie, infatti, sono diffusamente impiegate nell’alimentazione.
Tuttavia A. acutifolius possiede un più elevato valore di mercato dovuto alla gustosità dei suoi germogli che
risulta particolarmente apprezzata dai consumatori. I dati analitici acquisiti sono sufficienti per dimostrare
differenze, a livello molecolare, tra le due specie e possono pertanto supportare una successiva
sperimentazione mirata alla loro identificazione in preparazioni alimentari.
Infine, i risultati ottenuti sulla germinazione dei semi fanno prevedere che il passaggio dalla raccolta
spontanea alla coltivazione è possibile. Con la coltivazione si otterrebbe la necessaria costanza
dell’offerta che rappresenta una opportunità economica interessante.
O. 14
VALORIZZAZIONE E CERTIFICAZIONE DI AGRO-ECOTIPI ITALIANI DI FAGIOLO
(PHASEOLUS VULGARIS L.)
SPAGNOLETTI ZEULI P.L.1, BASER N.2, DILUCA M.1, LAGHETTI G.2, LOGOZZO G.1, MASI P.1, MOLINARI
S.2, NEGRI V. 3, OLITA G. 2, TIRANTI B.3 , VERONESI F.3
1
Università degli Studi della Basilicata - Dipartimento di Biologia Difesa e Biotecnologie AgroForestali - Potenza - [email protected]
2
CNR - Istituto di Genetica Vegetale - Bari - [email protected]
3
Università degli Studi di Perugia - Dipartimento Biologia Vegetale e Biotecnologie Agroambientali – Perugia - [email protected]
Fagiolo, agro-ecotipi, certificazione
Le varietà locali di fagiolo del centro e sud Italia, occupano nicchie di territorio a cui sono fortemente
adattate e sono ancora utilizzate da un’agricoltura a basso impatto ambientale. Si tratta di genotipi dotati di
caratteristiche morfo-agronomiche e nutrizionali “originali” e con qualità organolettiche superiori. La
conservazione in situ /on farm e la valorizzazione per scopi commerciali di tale germoplasma locale possono
ridurre i rischi di erosione genetica ma le modalità della produzione sementiera devono essere attentamente
definite.
Circa 500 agro-ecotipi autoctoni italiani di fagiolo (Phaseolus vulgaris L.) pari ad 1/8 della collezione
di germoplasma Italiano di fagiolo sono state censite e valutate per caratteri agronomici e chimiconutrizionali mettendo a punto una banca dati. Si è moltiplicato, ringiovanito e valutato (in due località e per
due anni) un segmento (88 accessioni di origine italiana) della collezione, usando 24 descrittori morfoagronomici e per 14 accessioni si è inoltre determinato il pattern faseolinico, il contenuto proteico, in
inibitori della tripsina e in ceneri. Gli inibitori della tripsina sono risultati relativamente bassi,
apprezzabilmente influenzati dall'annata e correlati negativamente con il contenuto proteico. Il contenuto
proteico è stato da 30% (“Lamon Bilò”) a 21,5% (“Zolfino 2”).
I pattern faseolinici osservati sono stati: ‘S’, ‘T’ e ‘C’, con nessuna variabilità entro accessione.
Un’ampia collezione dal Centro Italia è stata sottoposta ad una valutazione della diversità morfo-fisiologica,
(portamento, caratteristiche dell’infiorescenza, del legume e del seme) e ad analisi molecolari (marcatori
AFLP e SSR). In sette varietà locali i marcatori AFLP hanno rilevato in media il 79% di polimorfismo e
bande private. 12 primer SSR hanno confermato loci polimorfici (87,5%) con un in media 5 alleli per locus
ed una eterozigosità media del 49,5%. Preferenze degli agricoltori, pratiche colturali, le differenti
introduzioni e pressioni selettive ambientali hanno avuto un ruolo predominante nella differenziazione delle
varietà locali.
In una collezione di 130 accessioni di fagiolo, valutata per marcatori genetici (17 morfo-agronomici, pattern
faseolinico, contenuto proteico, inibitori della tripsina e ceneri, 6 coppie di primer SSR e 2 combinazioni
AFLP), sono state identificate due landraces eterogenee con IGP ‘Fagioli di Sarconi’ (PZ) a diverso habitus
di crescita. Da queste è stato ottenuto per ciascuna landrace un lotto da destinare alla produzione sementiera
che è stato allevato per più anni in due località diverse. La struttura genetica monitorata utilizzando marcatori
molecolari (SSR ed AFLP) ha subito cambiamenti che suggeriscono di definire appropriate modalità di
moltiplicazione per evitare rischi che l’erosione genetica elimini caratteri importanti di tipicità.
O. 15
ANALISI DELLA VARIABILITA’ IN GERMOPLASMA ITALIANO DI PHASEOLUS
COCCINEUS
ACAMPORA A., CIAFFI M., PAOLACCI A.R., TANZARELLA O.A.
Dipartimento di Agrobiologia e Agrochimica, Università della Tuscia, Via S. Camillo De Lellis, 01100 Viterbo
Phaseolus coccineus, variabilità, marcatori molecolari
Il Phaseolus coccineus L., o fagiolo di Spagna, è una delle cinque specie coltivate del genere
Phaseolus, originarie del continente americano, la cui introduzione in Europa risale al XVI secolo. Durante
gli ultimi decenni si è verificata una drastica riduzione della superficie coltivata a fagiolo, in particolare per
la produzione di granella secca, che ha determinato una notevole erosione della variabilità genetica esistente
nel germoplasma italiano di queste specie.
Negli ultimi anni si sta verificando, da parte dei consumatori, la riscoperta di prodotti agricoli tipici, aprendo
loro nuove prospettive di valorizzazione e diffusione sul mercato, anche attraverso l’attribuzione di marchi
DOP e IGP. La valutazione della variabilità genetica esistente nei materiali coltivati e nelle collezioni di
germoplasma, in particolare per caratteristiche organolettiche e nutrizionali, e la possibilità di identificare e
discriminare i genotipi selezionati costituiscono elementi essenziali per la valorizzazione di prodotti agricoli
di nicchia. L’obiettivo principale di questa ricerca è stato la messa a punto di metodi analitici che permettano
di valutare la variabilità esistente in germoplasma italiano di P. coccineus e di identificare e discriminare i
diversi materiali. Sono state acquisite accessioni italiane di P. coccineus provenienti da diverse regioni
italiane e accessioni mesoamericane, queste ultime come riferimento della variabilità esistente nei materiali
provenienti dal centro di origine della specie. Una prima analisi ha riguardato l’elettroforesi delle proteine
del seme, che ha permesso di rilevare una notevole variabilità sia tra accessioni, sia al loro interno. Sono stati
individuati alcuni genotipi che presentano differenze evidenti per il contenuto delle frazioni relative alle
faseoline ed alle lectine, ciò potrebbe avere implicazioni importanti dal punto di vista delle caratteristiche
nutrizionali. La variabilità esistente tra ed entro 26 accessioni di diversa provenienza, analizzando 5 genotipi
per ciascuna accessione (in totale 130 genotipi), è stata valutata utilizzando sette diversi marcatori: 3 RAPD,
2 ISSR e 2 ET, rilevando in totale 83 loci. Il calcolo di numerosi indici relativi al potere discriminante ha
dimostrato che i marcatori ISSR sono i più efficienti. L’analisi cluster condotta analizzando congiuntamente i
tre tipi di marcatori ha permesso di raggruppare correttamente, nella maggior parte dei casi, i genotipi di una
stessa accessione e di discriminare i genotipi italiani da quelli mesoamericani. La ripartizione mediante
AMOVA della varianza nelle sue componenti ha dimostrato che la componente attribuibile alla varianza
entro accessioni (67%) supera quella tra accessioni (33%); ciò è in accordo con l’elevata allogamia del P.
coccineus. Il confronto dell’insieme dei pattern di amplificazione ottenuti con i 7 marcatori ha permesso di
distinguere tra loro quasi tutti i genotipi analizzati, solo due coppie di genotipi appartenenti alle stesse
accessioni sono risultate indistinguibili.
O. 16
ASPETTI BIOCHIMICI E MOLECOLARI NEL PROCESSO DI MATURAZIONE DELLA
FRAGOLA
ZACHEO G., LEONE A., GERARDI C.
CNR, Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari (ISPA) – Sezione di Lecce
Fragola, lipossigenasi, proteoma
La biosintesi delle componenti volatili che determinano l’aroma procede in parallelo allo sviluppo ed
alla maturazione dei frutti. Tale processo è accompagnato da cambiamenti nella sintesi proteica, e dalla
biosintesi di nuovi enzimi coinvolti nel processo di maturazione. Al fine di approfondire le conoscenze
relative allo sviluppo del tipico aroma di fragola sono state condotte analisi chimiche, biochimiche,
proteomica e molecolare in frutti della cv. Paros (Fragaria x ananassa, Duch.) raccolti nello stadio acerbo,
invaiato e maturo.
L’analisi proteomica dei frutti a diversi stadi di maturazione consente di identificare proteine correlate
con la maturazione e di assegnare loro una funzione fisiologica, inoltre, potrebbe permettere di identificare
marker proteici associati con importanti caratteri qualitativi. A tale scopo sono state ottenute mappe
proteomiche, complete e riproducibili di frutti di fragola nei tre stadi di maturazione, nonostante le difficoltà
nell’applicare questa metodologia ai vegetali. L’analisi, tramite software specifico, delle mappe ha consentito
di individuare 473 polipeptidi nei frutti acerbi, 544 nei frutti invaiati e 489 in quelli maturi. Il matching delle
stesse mappe mostra che 180 e 227 polipeptididi rispettivamente nei frutti acerbi e invaiati, sono espressi in
maniera differenziale quando confrontati con la mappa dei frutti maturi. Nove proteine che mostravano un
incremento di espressione durante la maturazione sono state identificate mediante analisi MALDI-TOF PMF
oppure ESI-IT MS/MS.
Le analisi biochimico-molecolari sono state focalizzate sulla biosintesi di aldeidi volatili a sei atomi di
carbonio. Numerosi esteri, che costituiscono una delle componenti maggiormente responsabili del
caratteristico aroma del frutto maturo, derivano dall’ossidazione di acidi grassi polinsaturi a catena lunga, in
seguito all’azione dell’enzima lipossigenasi (LOX). Le LOX sono coinvolte, nella sintesi di numerosi
composti bioattivi chiamati ossilipine che, nelle piante, sembra abbiano funzioni correlate allo sviluppo ed a
situazioni di stress. Un importante ramo della via delle LOX coinvolge la idroperosido liasi che porta alla
formazione di C6 - o C9-aldeidi. Tali aldeidi rappresentano le sostanze volatili che maggiormente
contribuiscono al caratteristico “odor di verde” e che rappresentano i principali costituenti dell’aroma in
fragola nei primi stadi di maturazione. Al fine di caratterizzare questa via biosintetica è stata studiata,
durante la maturazione dei frutti, l’attività degli enzimi lipasi, LOX e idroperossido liasi e la biosintesi di C6aldeidi. I risultati di localizzazione subcellulare dell’attività LOX e di immunolocalizzazione attraverso
microscopia confocale della proteina, hanno indicato che l’enzima è attivo in diverse frazioni sub-cellulari
nei tre stadi di maturazione. La caratterizzazione di una LOX di fragola, attraverso il clonaggio del relativo
gene e l’analisi e la localizzazione della sua espressione, ha confermato che tale gene è differenzialmente
espresso durante la maturazione dei frutti.
O. 17
PRIME INDAGINI SULLA STRUTTURA GENETICA DI UNA POPOLAZIONE DI
PRUNUS AVIUM
PORCEDDU A., VARASANO E., ARCIONI S.
CNR-Istituto di Genetica Vegetale- via Madonna Alta 130, Perugia
Prunus avium, molecular markers, genetic structure
Nell’ ambito del progetto strategico SCRIGNO la UO di Perugia si è occupata della caraterizzazione
molecolare di una collezione di ciliegi antichi del centro Italia. La prima fase dell’attività ha riguardato lo
studio dell’efficienza di vari tipi di marcatori molecolari per l’identificazione varietale. In questo ambito
sono stati sviluppati due nuovi sistemi di marcatori molecolari basati su sequenze altamente ripetute di
Prunus avium. Il confronto di quattro sistemi di marcatori molecolari: FISSR (Fluoresecent-Inter-SimpleSequence-Repeats, REMAP Retrotransposon-Microsatellite-Amplification-Polymorphism) MIMAP
(Minisatellite-Microsatellite Amplification-Polymorphism) and single locus SSR (Simple Sequence Repeats)
ha dimostrato che i FISSR hanno il più alto potere di discriminazione. Nel corso del secondo anno , l’attività
si è concentrata nello studio della struttura genetica della popolazione.
Tramite appositi test statistici le cultivars sono state assegnate a due sottopopolazioni secondo un criterio che
massimizza l equilibrio Hardy Weinberg. L’utilizzo di sottopopolazioni così individuate per studi di
mappaggio di associazione è discusso anche alla luce dei sviluppi della genomica del Prunus persica.
O. 18
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE E FENOTIPICA DI GERMOPLASMA
AUTOCTONO DI CORYLUS AVELLANA E SVILUPPO DI PROTOCOLLI DI COLTURA
IN VITRO
BACCHETTA L., BERNARDINI C., PELLICCIA O., CAVICCHIONI G., DI BONITO R.
ENEA Casaccia BIOTEC GEN via Anguillarese, 301 Roma
Corylus avellana,caratterizzazione fenotipica e molecolare, in vitro
In ambito CEE, l ’Italia dopo la Turchia è il Paese con maggiore produttività di nocciole in parte
destinata al consumo fresco, ma principalmente utilizzata dall’industria dolciaria. Tra le numerose varietà
nazionali solo alcune rispondono ai requisiti di omogeneità, rotondità e pelabilità richiesti dalle industrie di
trasformazione, mentre la maggior parte vengono utilizzate a livello locale come prodotto fresco o lavorato
in dolci tipici. Una maggiore redditività della coltura appare quindi legata a fattori quali il miglioramento
della qualità, una adeguata promozione e caratterizzazione del prodotto e delle sue proprietà nutritive e
salutistiche e il reperimento e la valorizzazione di ecotipi autoctoni. La necessità di promuovere o
consolidare il legame esistente tra territorio e varietà attraverso marchi DOP o IGP implica, come prima
istanza, la conoscenza e la caratterizzazione delle risorse genetiche locali. Nell’ambito del Progetto
SCRIGNO, gli obiettivi dell’attività di ricerca hanno riguardato la caratterizzazione morfologica e
molecolare delle principali varietà italiane e mediterranee ed il reperimento di nuovo materiale genetico sia
attraverso la selezione clonale nella varietà Tonda Romana che la ricerca di materiale autoctono in zone dove
questa coltura rappresenta una fonte di reddito. Lo sviluppo di protocolli di micropropagazione dei genotipi
più diffusi, è stato perseguito al fine di garantire l’uniformità e un buon stato sanitario del materiale
selezionato. 42 varietà reperite tra il germoplasma corilicolo nazionale ed estero sono state analizzate dal
punto di vista morfologico dei semi e dei frutti. Un’elevata variabilità inter-varietale è stata rilevata per
quanto riguarda i caratteri morfo-biometrici e merceologici (indice di distacco del perisperma, indice di
rotondità). Le analisi molecolari, effettuate utilizzando marcatori RAPDs, hanno prodotto uno specifico
profilo elettroforetico per ognuna delle maggiori varietà piemontesi, laziali e campane. Le analisi
filogenetiche, effettuate con il metodo UPGMA, hanno permesso di stabilire la presenza di clusters di
similarità. In alcuni casi, varietà con la stessa provenienza non risultano raggruppate insieme. Sono
raggruppate nello stesso cluster la Tonda Romana (Lazio), Tonda Rossa (Campania) Tonda Giffoni
(Campania), Tonda delle Langhe (Piemonte), Napoletanedda (Campania), mentre la varietà laziale
Nocchione, usata come impollinatore della Tonda Romana, risulta in cluster con Avellana Speciale
(Campania) ed alcune varietà siciliane (Nociara, Piazza Armerina, Nostrale).
Nell’ambito della varietà Tonda Romana, la selezione clonale è stata realizzata attraverso la
compilazione di questionario da parte dei corilicoltori laziali e numerosi sopralluoghi in campo. In tal modo
è stato possibile individuare alcune selezioni caratterizzate da una ridotta emissione dei polloni, da una
precocità di raccolta, resistenza al freddo e genotipi denominati Cappello di Prete o Nocciola Rosa. Analisi
AFLP sono state effettuate per la caratterizzazione dei genotipi selezionati e l’individuazione di eventuali
polimorfismi intra-varietali.
In collaborazione con Enti ed Università locali nuovo materiale genetico, in corso di valutazione, è stato
reperito in Sardegna e Sicilia. La coltura in vitro è stata effettuata utilizzando singole gemme o espianti
uninodali prelevati da piante allevante in serra ed ottenute da polloni delle principali varietà italiane. Gli
espianti sono stati prelevati in differenti fasi fenologiche delle piante. Il mezzo di coltura utilizzato è stato _
MS addizionato di IBA (0.05 mg/l) GA3 (0.4 mg/l) e differenti concentrazioni di BAP o Zeatina. L’utilizzo
della zeatina (1mg/l) invece che BAP (0.5 mg/l), nella fase iniziale, sembra più efficace per l’ottenimento di
germogli ben adattati. Il trattamento a freddo (+5°C per 21 gg) delle gemme invernali, prima
dell’inoculazione nel mezzo di coltura, ha indotto una miglioramento della capacità morfogenetica
dell’espianto e una ridotta presenza di ossidazioni ed inquinamenti. Un effetto genotipico è stato inoltre
evidenziato nella risposta alle condizioni di coltura in vitro.
O. 19
CARATTERIZZAZIONE E VALORIZZAZIONE DELLA VARIABILITÀ GENETICA
INDOTTA DALL’IBRIDAZIONE SOMATICA PER FUSIONE DI PROTOPLASTI NEI
CITRUS
TUSA N1, LUCRETTI S.2
1
2
C.N.R. Istituto di Genetica Vegetale sezione di Palermo, corso Calatafimi 414 – 90129 Palermo, Italia
ENEA C.R. Casaccia, Sez. Genetica e Genomica, Via Anguillarese 301 - 00060 Roma, Italia
Citrus germoplasma, ibridazione somatica, triploidi.
L’ibridazione somatica per fusione di protoplasti è una tecnica che consente, per mezzo della fusione
cellulare, di riunire nella cellula risultante il DNA di due diversi genotipi. Questa tecnica trova negli agrumi
il suo esempio applicativo di successo ed ha consentito, nel corso di una applicazione quasi ventennale, di
introdurre nuova variabilita’ genetica e migliorare sia varieta’ produttive che portainnesti. La costituzione di
questi allotetraploidi somatici è simile alla normale via percorsa dalle piante nel corso del loro cammino
evolutivo, dove si stima che oltre il 70% del totale delle moderne specie vegetali siano state generate tramite
poliploidizzazione di incroci interspecifici e intergenerici (Hilu 1993).
L’ibridazione somatica per fusione di protoplasti ha consentito di valorizzare il germoplasma esistente,
con il superamento delle incompatibilità sessuali, ed ha costituito uno stimolo ad allargare ed estendere la
raccolta, la catalogazione e la conservazione della biodiversita’ negli agrumi, in particolare di genotipi di
Citrus in pericolo di estinzione perché non graditi dal mercato.
Il nostro lavoro si è concentrato principalmente sul miglioramento genetico del limone e dell’arancio
amaro, quest’ultimo il portainnesto piu’ diffuso in Italia. I prodotti di fusione somatica e la progenie ottenuta
dagli incroci di ritorno sono stati caratterizzati tramite l’uso di marcatori molecolari e via citofluorimetria a
flusso. L’applicazione combinata di queste tecniche consente infatti di caratterizzare la costituzione genetica
degli ibridi e del loro livello di ploidia ed evitare la presenza di embrioni nucellari apomittici e di riconoscere
eventuali aneuploidi. Nella popolazione limonicola, prodotta tramite incroci tra interessanti selezioni clonali
di limone Femminello e tre diversi ibridi somatici allotetraploidi ottenuti per fusione di protoplasti, si è
osservata variabilità genetica, evidenziabile sia dal diverso habitus vegetativo che dalla forma dei frutti e
dal contenuto in olii essenziali (terpeni).
La nostra attenzione è stata rivolta anche verso il possibile utilizzo dal punto di vista bio-agronomico
produttivo dei cibridi o ibridi asimmetrici, ottenuti spontaneamente nel corso di normali fusioni di protoplasti
in cui l’integrazione dei due genomi avviene solo parzialmente ed il nucleo di una specie si inserisce nel
citoplasma dell’altra.
L’obiettivo principale di queste ricerche è quindi volto ad una valorizzazione della biodiversita’ presente nel
patrimonio complessivo degli agrumi, agevolando tramite l’interazione tra tecniche biotecnologiche e agrarie
l’introduzione in tempi abbreviati nelle specie coltivate di resistenze a stress biotici e abiotici e di
caratteristiche di pregio commerciale come l’apirenia o il portamento compatto.
O. 20
ATLANTE MULTIMEDIALE DI ALCUNI PRODOTTI ORTOFRUTTICOLI ITALIANI
CRINÒ P.1, FERRARA M.2, BELLON B.2, SONNINO A.1, DI VENERE D.3, LINSALATA V.3, ROSSI L.1
1
ENEA C.R. Casaccia, UTS Biotecnologie, Protezione della Salute e degli Ecosistemi, Roma
Spazio Verde srl, Padova
3
CNR, Istituto Scienze delle Produzioni Alimentari, Bari; *attuale indirizzo: FAO, Roma
2
Popolazioni autoctone, risorse genetiche, prodotti tipici
Tra i paesi europei con patrimonio agro-alimentare tutelato, l’Italia occupa un posto di rilievo con
oltre 100 prodotti IGP o DOP e altri 3.600 circa riconosciuti come tradizionali dal decreto MiPAF del
14/6/2002 e successivi aggiornamenti. Limitando l’analisi alle produzioni di specie oggetto di studio da parte
del progetto “SCRIGNO”, esistono attualmente 13 prodotti IGP/DOP e 203 tradizionali di pomodoro, carciofo,
asparago, fagiolo, fragola, ciliegia, arancia, limone, mandarino e nocciolo. Per alcuni di questi, non esiste un
chiaro collegamento con le risorse genetiche autoctone a questi tradizionalmente afferenti.
Nell’ambito del progetto “SCRIGNO”, ci si è proposti di identificare e valorizzare la combinazione tra
prodotto tipico locale e germoplasma autoctono impiegato per la sua produzione, attraverso la costituzione di
un atlante multimediale atto a descrivere il prodotto in una molteplicità di aspetti. L’atlante è stato realizzato
attraverso il reperimento dell’elenco nazionale MiPAF dei prodotti IGP/DOP e tradizionali, dei disciplinari
di produzione relativi ai prodotti DOP e IGP e delle mappe relative a popolazioni/varietà/cloni locali
catalogate nell’ambito di studi sulle collezioni di germoplasma esistenti. Il materiale autoctono, impiegato o
potenzialmente utilizzabile per la produzione dei prodotti ortofrutticoli tipici locali, è stato identificato (a)
mediante sovrapposizione delle mappe relative alle aree di diffusione dei prodotti tipici e a quelle di presenza
del germoplasma autoctono, (b) mediante consultazione dei disciplinari di produzione per i prodotti
ortofrutticoli IGP e DOP e (c) mediante eventuali indagini presso esperti del settore o tecnici locali. Per ogni
prodotto tipico, sono state sviluppate delle schede che evidenziano, ove possibile, l’attuale piattaforma
varietale con una descrizione delle caratteristiche e della diffusione. Tutti i dati raccolti sono stati registrati
su un supporto informatico per realizzare un atlante di documentazione multimediale che rappresenta, oltre
ad una mappatura delle aree di diffusione dei prodotti tipici ortofrutticoli e di quelle di presenza delle
popolazioni/cloni/varietà autoctone, l’archiviazione e accesso tramite link o da menu di una serie di
riferimenti di natura normativa, documentale, iconografica, fotografica, ecc.… relativi ai prodotti tipici e alle
risorse genetiche a questi collegate.
Limitatamente ad alcune produzioni tipiche di carciofo “romanesco” (cloni di popolazioni originarie
“Castellammare” e “Campagnano”), è stato determinato il contenuto di componenti importanti dal punto di
vista nutrizionale e salutistico, quali i polifenoli, gli zuccheri e l’inulina. I cloni analizzati hanno mostrato
un’elevata omogeneità per quanto concerne il contenuto dei suddetti parametri.
Alcuni di questi hanno tuttavia mostrato un contenuto di polifenoli ed inulina significativamente più elevato
rispetto alla media.
O. 21
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI ECOTIPI DI CARCIOFO ROMANESCO
NEL LAZIO
CARDARELLI M.1, REY MUÑOZ N.A.1, SACCARDO F.1, PAGNOTTA M.A.2
1
2
Dipartimento di Produzione Vegetale, Università della Tuscia, Viterbo
Dipartimento di Agrobiologia e Agrochimica, Università della Tuscia, Viterbo
La coltivazione del carciofo Romanesco in ambiente laziale (e non) ha visto negli ultimi anni una
grande diffusione del clone commerciale “C3”, caratterizzato da elevata precocità di produzione. La
diffusione di un singolo clone rende più vulnerabile la cinaricoltura regionale e nazionale che, oltre a non
poter competere per precocità con le produzioni del Sud d’Italia, vede notevolmente ridotti i campi coltivati
con le altre varietà commerciali (Castellamare, Grato, Campagnano), con conseguente erosione genetica.
Obiettivo del lavoro è stato quello di caratterizzare gli ecotipi di carciofo Romanesco ancora reperibili in
alcune aziende laziali, per la salvaguardia della biodiversità esistente.
La variabilità genetica tra le popolazioni analizzate e all’interno di esse è stata valutata su trenta campioni
prelevati a caso in tre aziende nel territorio di Latina e un’azienda nel comune di Cerveteri (RM). Il DNA
estratto è stato valutato utilizzando marcatori molecolari AFLP e ISSR.
I risultati hanno mostrato la presenza di elevato polimorfismo tra il materiale prelevato dalle diverse aziende
e tra i campioni di una stessa azienda. E’ stata inoltre determinata la distanza genetica tra le popolazioni. I
risultati sono discussi considerando i diversi ambienti di coltivazione.
O. 22
IL GERMOPLASMA ITALIANO E IL PROGETTO INTERNAZIONALE DI GENOMICA
DELLE SOLANACEE
GIULIANO G.
ENEA, CR Casaccia, C.P. 2400, Roma 00100AD
Negli ultimi anni, sono stati lanciati nel nostro Paese una serie di progetti di genomica delle Solanacee che
hanno permesso lo sviluppo di piattaforme tecnologiche (sequenziamento high throughput, analisi
trascrittomica). Questo ha permesso all’Italia di essere fra i Paesi fondatori del progetto internazionale SOL,
che si propone di approfondire le conoscenze genomiche su questa famiglia di piante straordinariamente
diversificata, sequenziando, fra l’altro, l’intera porzione eucromatica del genoma del pomodoro. Si discuterà
l’uso di tali piattaforme per condurre, nell’ambito del progetto Scrigno, il “profiling” ad alta risoluzione di
varietà di pomodoro rappresentative della ampia variabilita genetica presente in tale pianta.
O. 23
CARATTERIZZAZIONE MORFO-FISIOLOGICA E PER CONTENUTO DI SOSTANZE
ATTIVE PER LA SALUTE ED IL BENESSERE DI CULTIVAR DI CILIEGIO TOSCANE
E UMBRE
ROSELLI G.1, MARIOTTI P.1, MULINACCI N.2, GIACCHERINI C.2, CASTELLARI L.3
1
Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree (IVALSA), area di ricerca CNR, Sesto Fiorentino, Fi
Dipartimento di scienze farmaceutiche, Uni-FI
3
Centro assistenza tecn. produzioni vegetali (catev), faenza (ra)
2
Nei due anni di svolgimento del Progetto Scrigno sono stati reperiti in Toscana e Umbria 162 ecotipi
e cultivar di ciliegio delle due specie Prunus avium e Prunus cerasus. I principali genotipi sono stati
caratterizzati morfologicamente per caratteri dell’albero, della foglia, del fiore, del frutto e dell’endocarpo,
secondo un descriptor list da noi elaborato. In particolare per il frutto sono stati determinati i caratteri
riguardanti il colore, definito da lucentezza e dalle due componenti rossa e gialla, la pezzatura (peso e
calibro) e la consistenza del frutto (resistenza della buccia e della polpa). L’analisi chimica ha preso in
considerazione l’acidità titolabile e gli acidi organici malico e tartarico, il Residuo Secco Rifrattometrico e
gli zuccheri (glucosio, fruttosio, sorbitolo). Ha fatto seguito l’analisi sensoriale dei frutti (panel test composto
da 20 giudici), che ha definito con punteggi, la gradevolezza visiva, gustativa e strutturale e quindi la
gradevolezza media complessiva dei frutti di ciascun genotipo. Le cultivar analizzate sono state riunite in
gruppi di ottima gradevolezza ( Marchiana 108, Capellino 67, Bella di Arezzo 70, Gavorgnana 71,
Poponcina 43-42), buona gradevolezza (Turca 45-3, Papalona 60, Papale 83-2, Avorio 119,Turca 45-1),
media gradevolezza (Durona di Misciano 41, Crognola 110, Napoletana 76, S. Giovanni 47). Lo studio delle
correlazioni ha messo in evidenza, tra l’altro, un’alta correlazione tra la gradevolezza complessiva e l’aroma
(r= 0,90). Dai risultati delle analisi si evince che alcune cultivar, con alto punteggio di gradevolezza totale,
attualmente a rischio di estinzione, potrebbero essere vantaggiosamente inserite in prove agronomiche, per
essere confrontate con le cultivar, spesso selezionate in paesi esteri, che talvolta non rispondono ai nostri
ambienti. In ogni modo tutti gli ecotipi e cultivar reperiti sono stati collocati in collezione presso l’Azienda
Sperimentale dell’ IVaLSA e iscritti nel registro per la Tutela delle Risorse Genetiche della Toscana.
Particolarmente interessanti sono stati i risultati sul contenuto in antociani dei genotipi reperiti. E’ risultato
che le le ciliegie dolci contengono in maggiore quantità cianidina 3-0-glucoside e cianidina 3-0- rutinoside,
mentre le ciliegie acide contengono cianidina 3-0-glucosilrutinoside e cianidina 3-0-rutinoside, pertanto, tra
le due specie, risultano uguali gli agliconi e differiscono gli zuccheri. In alcune cultivar di ciliegio dolce i
contenuti in antociani totali (mg/gr di polpa fresca) sono particolarmente alti: Morella 5,21; Selvatico nero
4,35; Maggiola 3,25; Saracio nero 2,72; Morella di Cantiano 2,61; Papale 2,02; Capellino 1,94. Nel ciliegio
acido le cultivar più interessanti sono: Visciola di Cantiano 1,59; Amarena piemontese 1,37; Marasca di
Massa Carrara 1,01.
Considerando che gli antociani sono sostanze che contribuiscono al mantenimento della salute umana per le
loro riconosciute proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, l’utilizzo di alcuni genotipi finora reperiti,
particolarmente ricchi in polifenoli, potrebbe essere prospettato, oltre che per il consumo fresco,
nell’industria conserviera e nel settore della nutraceutica, oggi in forte espansione, come food supplements.
LISTA DEI POSTER
P. 01
LA CICERCHIA: SALVAGUARDIA E VALORIZZAZIONE DEL GERMOPLASMA
ITALIANO
POLIGNANO G.B.1, UGGENTI P.1, ALBA V.2, BISIGNANO V.1, DELLA GATTA C.2
1
2
Istituto di Genetica Vegetale, C.N.R., Via Amendola 165/A, Bari
Dipartimento Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Università Di Bari
Lathyrus sativus, ecotipi italiani, core collection
La cicerchia (Lathyrus sativus L.) è un legume minore utilizzato nei sistemi di coltivazione tradizionali ed
attualmente coltivato solo in alcune zone marginali del centro-sud Italia. L'Istituto di Genetica Vegetale del
C.N.R. di Bari sin dal 1998 ha avviato un programma di salvaguardia, caratterizzazione e valutazione del
germoplasma di cicerchia. Le ricerche effettuate hanno permesso di costituire una "core collection"
rappresentata da ecotipi interessanti per: produzione granellare, biomassa, dimensioni del seme, contenuto
proteico e contenuto di ODAP. Tra questi numerosi sono gli ecotipi d'origine italiana in gran parte
collezionati nel centro-sud Italia. Su 35 linee di cicerchia, selezionate in 18 ecotipi italiani, sono state
effettuate analisi fenologiche, bioagronomiche, biochimiche e molecolari. I risultati ottenuti hanno consentito
di evidenziare differenze significative sia sotto il profilo fenologico e produttivo, che sotto quello
biochimico-molecolare con conseguente individuazione di genotipi da utilizzare direttamente o
indirettamente in programmi di miglioramento genetico.
P. 02
LE RISORSE GENETICHE AUTOCTONE DELLA REGIONE ABRUZZO:UN
PATRIMONIO DA VALORIZZARE
DALLA RAGIONE I.1, PORFIRI O.2, SILVERI D.D.3, TORRICELLI R.4, VERONESI F.4
1
Agronomo, libero professionista, Perugia
Agronomo, Dottore di Ricerca, libero professionista, Urbisaglia (MC)
3
Agenzia Regionale Servizi Sviluppo Agricolo Abruzzo, sede di Sulmona (AQ)
4
Dipartimento Biologia Vegetale e Biotecnologie Agroambientali, Università degli Studi di Perugia
2
Varietà locali (patrimonio genetico), valorizzazione, on-farm conservation
Il progetto “Collezione, conservazione e studio del germoplasma di specie di interesse agrario
autoctone della regione Abruzzo” nasce nel 1996 da una proposta dell’ARSSA (Agenzia Regionale per i
Servizi di Sviluppo Agricolo) dietro l’esigenza forte di porre rimedio alla continua scomparsa di specie e di
varietà un tempo ampiamente coltivate e utilizzate in gran parte della regione Abruzzo.
La modernizzazione dei sistemi agricoli ha causato - nel volgere di pochi anni - la quasi totale
scomparsa di centinaia di varietà locali, ciascuna delle quali caratterizzava una zona, aveva sue qualità
specifiche di adattamento, di produttività e di sapore, una sua propria identità ed una sua propria storia,
coincidenti con quelle dei territori e delle popolazioni che le avevano generate.
Imperniato su questi principi il progetto ARSSA ha riguardato inizialmente dodici specie: frumento
tenero, frumento duro e farro per i cereali a paglia; lenticchia, cece e cicerchia per le leguminose da granella;
peperone, pomodoro e fagiolo per le ortive; melo, pero e mandorlo per i fruttiferi.
Il progetto si è articolato in una importante fase iniziale di indagine sul territorio, la successiva
valutazione dei materiali genetici collezionati e quindi l’organizzazione di interventi di conservazione. Fra
questi sono state previste un’azione ex situ (realizzazione di una banca di semi refrigerata) ed un’azione in
situ, in particolare per le specie arboree, con l’impianto di una serie di campi-catalogo nelle zone di elezione
delle diverse varietà ritrovate.
Nel corso del progetto, quasi con sorpresa, è emersa l’esistenza, ancora, di un ricco ed interessante
patrimonio genetico. In due anni, infatti, sono state individuate circa 200 accessioni delle specie coltivate
sopra indicate e di altre inizialmente non considerate (orzo, segale, mais, ecc.), oltre a numerose accessioni di
foraggere e specie spontanee. Tuttavia, nel porre in atto il progetto ci si è resi conto che le azioni previste,
anche se necessarie per la tutela del materiale genetico, non avrebbero fornito un risultato concreto nella
salvaguardia degli aspetti antropologici, sociali, culturali legati alle varietà locali e, elemento più importante,
non avrebbero in alcun modo arrestato la loro scomparsa. È per questa ragione che in un secondo progetto
inserito nell’ambito del Progetto Nazionale Biodiversità, finanziato dal Mipaf ed affidato all’ARSSA dalla
Regione Abruzzo, è stato inserito un programma di attività dedicato espressamente alla conservazione
aziendale (on-farm conservation). Sono state coinvolte le aziende agricole che operano in un determinato
territorio, che consapevolmente continuano a coltivare vecchie varietà o varietà locali, ispirate da
motivazioni sia economiche, sia culturali, sia scientifiche. Il lavoro che si sta svolgendo è quello di far
emergere le motivazioni di ciascun agricoltore che si candida a diventare agricoltore “custode” di una varietà
locale, dando a tutti una consapevolezza comune dell’importanza e della validità sociale dell’impegno
intrapreso. Grazie anche alla partecipazione di diversi enti pubblici operanti nel territorio (Parchi Nazionali,
Comunità Montane) il progetto prevede una intensa attività informativa e formativa per gli operatori e per un
pubblico più vasto; la creazione di una rete di agricoltori custodi; l’attivazione di microcircuiti commerciali
per le varietà locali; la creazione di punti privilegiati di conservazione; l’osservazione, lo studio e la fruizione
delle vecchie varietà attraverso campi “vetrina” da parte delle scolaresche, ma anche del comune cittadino.
La scommessa di questo progetto sta nel far tornare le varietà locali ancora superstiti - conservate grazie alla
tenacia di pochi anziani agricoltori - nuovamente patrimonio di tutti.
P. 03
CARATTERIZZAZIONE DI POPOLAZIONI DI FAGIOLO ZOLFINO DEL
PRATOMAGNO (AR-FI): LINEE GUIDA PER LA CONSERVAZIONE E PRODUZIONE
SEMENTIERA
LACERENZA N.G.1, PILERI L.1, SILVESTRINI E.1, TURCHI R.2, BENEDETTELLI S.1
1
2
Dipartimento di Scienze Agronomiche e Gestione del Territorio Agroforestale, Università degli Studi di Firenze. DiSAT
Azienda Regionale per lo Sviluppo e per l’Innovazione nel settore Agricolo-Forestale. A.R.S.I.A. Regione Toscana
Fagiolo zolfino, germoplasma, conservazione in situ
Il programma di ricerca per la raccolta, conservazione e caratterizzazione del germoplasma del fagiolo
Zolfino (Phaseolus vulgaris L.) del Pratomagno è iniziato nel 1998 con la stipula di una convenzione tra
l’A.R.S.I.A. e il DiSAT dell’Università di Firenze (responsabile scientifico prof. Stefano Benedettelli). Il
progetto svolto dal 1998 al 2004 ha riguardato principalmente le seguenti attività:
- Collezione di accessioni di fagiolo Zolfino eseguita presso diverse aziende dislocate nell’area
collinare e montana attorno al massiccio del Pratomagno, tra le province di Arezzo e Firenze.
- Estrazione di famiglie autofecondate rappresentative di ogni.
- Valutazione in tre campi sperimentali della componente genetica ed ambientale delle variabili
morfologiche e produttive.
- Identificazione di marcatori molecolari più adatti per lo studio della variabilità genetica in
popolazioni di fagiolo.
- Valutazione della dimensione effettiva del pool genico del fagiolo Zolfino del Pratomagno, mediante
marcatori molecolari ISSR e SSR.
- Prove di trattamento di inoculo con batterio rizobio.
- Selezione per linea pura di genotipi rappresentativi dell’ideotipo del fagiolo Zolfino del Pratomagno.
- Riproduzione in ambiente controllato della semente delle linee selezionate.
In seguito ai risultati ottenuti è stato possibile individuare:
- linee guida per la conservazione in situ del germoplasma dello Zolfino;
- definire l’areale di produzione e le condizioni ambientali e di coltura da inserire nel disciplinare di
produzione del “Fagiolo Zolfino del Pratomagno”;
indicare le caratteristiche ambientali delle zone più idonee per la produzione sementiera.
P. 04
FILOGEOGRAFIA E GENETICA DELLA CONSERVAZIONE DI SPECIE FORESTALI:
UTILITÀ DEI MARCATORI MOLECOLARI
VENDRAMIN G.G.1, SEBASTIANI F. 2, FINESCHI S.3
1
Istituto Genetica Vegetale, Sezione di Firenze, CNR, Firenze
Dipartimento di Biotecnologie Agrarie, Genexpress, Università di Firenze
3
Istituto di Protezione delle Piante, CNR, Firenze
2
L’analisi di marcatori molecolari, in particolare plastidiali e mitocondriali, ha consentito di acquisire
importanti informazioni sulla filogeografia di specie forestali Europee. La disponibilità di dati raccolti
nell’ambito di progetti finanziati dall’Unione Europea ha permesso di identificare e descrivere i più
importanti fattori che hanno influito sull’attuale distribuzione della diversità genetica in Europa. Tali fattori
risultano essere: 1) la localizzazione dei principali rifugi glaciali nelle tre penisole europee (italiana, iberica e
balcanica) e il ruolo svolto dai processi migratori lungo specifiche direttrici; 2) l’importanza delle
caratteristiche biologiche delle diverse specie; 3) l’influenza dell’attività antropica. In questo lavoro vengono
presentati alcuni studi di filogeografia di specie forestali e di analisi della diversità a diverse scale
geografiche. In particolare, sono presentati e discussi i risultati di uno studio basato sull’analisi a livello di
foresta (approccio multi-specie), considerando nel dettaglio le caratteristiche biologiche delle diverse specie.
La distribuzione della divergenza e della diversità genetica, stimate a livello di foresta, sono risultate
geograficamente strutturate in Europa. La maggior parte delle specie studiate ha popolazioni molto
divergenti localizzate nelle regioni Mediterranee, in particolare quelle con una bassa capacità di dispersione
del seme. Per contro, le popolazioni geneticamente più diverse non sono localizzate nel sud d’Europa, ma
alle latitudine intermedie: ciò può essere spiegato assumendo che in Europa centrale sia avvenuto l’incontro,
con conseguente scambio genico, di popolazioni molto divergenti provenienti da rifugi diversi.
P. 05
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI DRITTA, UNA VARIETÀ LOCALE
ABRUZZESE DI OLIVO
TORRICELLI R.1, ALBERTINI E.1, POLLASTRI L.2, DI MINCO G.2, ANCILLOTTI S., VERONESI F.1
1
Dipartimento di Biologia Vegetale e Biotecnologie Agroambientali, Università degli Studi di Perugia, Borgo XX Giugno 74, 06121
Perugia.
2
Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo Agricolo d’Abruzzo – Servizio Difesa e Qualificazione delle Produzioni, P.za Torlonia
91 67051 Avezzano (AQ)
Risorse genetiche, varietà locale, AFLP (Amplified Fragment Length Polimorphism)
L’olivo (Olea europea L.) (2n=46), costituisce una delle piante più importanti del bacino del
Mediterraneo e si caratterizza per un ampio numero di varietà, molte delle quali auto-incompatibili. Al
contrario di ciò che accade per altre piante coltivate, per l’olivo non esistono, attualmente, seri rischi di
erosione genetica poiché le vecchie piante sono in grado di sopravvivere per lunghi periodi anche in assenza
di pratiche colturali. Ciò ha permesso di mantenere la variabilità genetica che era presente nelle coltivazioni
di olivo degli inizi del XX secolo.
Negli anni recenti sono stati intrapresi studi che, mediante l’uso di marcatori morfologici, agronomici,
biochimici e molecolari, si proponevano l’analisi della variabilità genetica e la caratterizzazione del
germoplasma di olivo.
Lo scopo di questa ricerca è stato quello di caratterizzare mediante marcatori AFLP (Amplified
Fragment Length Polimorphism) la varietà locale DRITTA diffusa nel territorio abruzzese al fine di una sua
salvaguardia e valorizzazione, nonché di valutare la possibilità di avere elementi certi di riferimento per la
certificazione del materiale vivaistico.
Il materiale vegetale di DRITTA è stato collezionato sia da genotipi presenti nelle aziende dislocate
lungo la fascia di coltivazione della varietà locale sia da cloni commercializzati da alcuni dei vivai di
maggiore importanza della zona. Dal materiale vegetale è stato isolato il DNA genomico che è stato
impiegato per analisi con marcatori molecolari impiegando, come controlli, DNA provenienti dalle varietà
commerciali più diffuse nella zona (Carboncella, Castiglionese, Crognalegno, Gentile di Chieti, Leccino,
Toccolana, Tortiglione).
L’analisi molecolare effettuata ha permesso di separare in modo inequivocabile tutti i genotipi di
DRITTA dalle altre cultivar. I marcatori molecolari utilizzati hanno permesso, inoltre, di individuare dei
prodotti di amplificazione cultivar-specifici (presenti solo nelle DRITTA). Queste bande “privative”
potrebbero permettere un rapido controllo dei materiali vivaistici.
La ricerca è stata svolta nell’ambito del progetto: identificazione e caratterizzazione del patrimonio varietale
abruzzese di olivo. Programma Reg.Ce 528/99 e 2136/02 " Misure intese al miglioramento qualitativo della
produzione olivicola".
P. 06
ANOMALIE DEL SISTEMA RIPRODUTTIVO IN DUE ECOTIPI DI CITRUS
FATTA DEL BOSCO S.1, GERACI G.1, MARIANI A.2
1
2
Istituto di Genetica Vegetale, sez. Palermo
Istituto di Genetica Vegetale, sez. Perugina
Uno studio citotassonomico avente per obiettivo la caratterizzazione e la valutazione di popolazioni di Citrus
rappresentative del patrimonio agrumicolo siciliano, ha messo in evidenza la presenza di diverse anomalie
meiotiche che si manifestano principalmente nella formazione delle microspore di genotipi diploidi e
tetraploidi. L’incidenza di tali fenomeni è stata messa in relazione con gli indici di fertilità delle specie
studiate. La presenza di microspore caratterizzate dal possedere numero di cromosomi altamente variabile
può giocare un ruolo notevole nel breeding delle specie proprie del patrimonio agrumicolo siciliano. Inoltre,
lo studio dei fenomeni connessi alla fertilità nel genere Citrus potrà essere ulteriormente approfondito
mediante analisi citogenetico-molecolari delle anomalie osservate durante la microsporogenesi delle
popolazioni esaminate.
P. 07
I PREGIATI PERZICHI DI PAPIGNO: UN ITINERARIO DI ARCHEOLOGIA ARBOREA
DALLA RAGIONE I.1, MACCAGLIA E.2
1
2
Associazione Archeologia Arborea, Città di Castello (PG);
Agronomo, Libero professionista, Perugia
Patrimonio genetico, patrimonio culturale, recupero
La varietà di pesco (Prunus persica (L.) Stok.) denominata “Gialla di Papigno” o ”Perzichi di
Papigno” era molto rinomata e presente fino agli anni quaranta nel paese di Papigno, situato nel comune di
Terni, all’ingresso della Valnerina. La vicinanza con la Cascata delle Marmore ne faceva una meta di visite
ed un luogo di sosta apprezzato in tutta Europa per la sua bellezza ed il pregio dei suoi prodotti agricoli, tra i
quali la Pesca di Papigno.
Archeologia Arborea ha seguito le tracce di questa varietà di pesco e la sua coltivazione, consultando
tutte le possibili fonti bibliografiche ed archivistiche, pubbliche e private. Dai documenti consultati si
rintracciano notizie fino dal 1500, quando probabilmente la coltura del pesco arrivò in maniera più decisa in
questa zona, comunque mai come impianto monospecifico. La vallata di Papigno fu ripetutamente descritta
nel ‘700 da molti intellettuali e viaggiatori europei e non, con parole entusiastiche per le coltivazioni,
l’abbondanza di acqua ed il paesaggio. Fu nel XIX secolo che la fama della pesca raggiunse il suo apice, sia
per le tecniche di coltivazione impiegate, sia per l’espansione dei mercati agricoli.
Nel 1901 iniziò la grande industrializzazione con la produzione di carburo di calcio nello stabilimento
elettrochimico di Papigno. Fu un’opera che cambiò radicalmente il territorio, la popolazione, l’economia, la
struttura sociale ed agricola. L’impatto della fabbrica fu sempre molto forte dal punto di vista ambientale e le
produzioni agricole, comprese quelle degli orti e dei frutteti, furono costrette ai margini degli impianti
industriali e cominciarono a subire cambiamenti profondi e danni gravi.I pregiati “Perzichi di Papigno”,
tuttavia, non scomparvero solo a causa della politica industriale sostenuta, ma anche per la modernizzazione
dei sistemi di coltivazione e l’introduzione massiccia di nuove varietà provenienti dall’estero, che
sostituirono velocemente il patrimonio genetico locale.Nel 1942 si rintraccia un’ultima citazione riguardo
questa varietà che poi scompare da tutti i resoconti tecnici sui nuovi impianti. Nonostante siano passati solo
pochi decenni dalla fine della sua coltivazione, le testimonianze raccolte stanno tra memoria e leggenda.
Dalle testimonianze orali e storiche raccolte e dai pochi frutti rinvenuti sono stati ricostruiti i caratteri
principali di questa pesca, attribuibile alla categoria delle pesche cotogne: epoca di maturazione tardiva o
molto tardiva, pianta vigorosa, frutto molto grande, asimmetrico, con buccia gialla aderente alla polpa che è
giallo intenso, a volte rossa intorno al nocciolo, compatta, duracina (polpa aderente al nocciolo), molto
aromatica. La varietà era riprodotta tradizionalmente da seme, fatto che ne aumentava notevolmente la
variabilità genetica. L’epoca di maturazione era molto scalare, dalla fine di agosto alla fine di ottobre.Questa
pesca, pregiato prodotto locale per molti secoli, è però quasi scomparsa oltre che dal territorio anche dagli usi
e dal sapere locale e quindi dalla memoria della sua collettività. Varrebbe la pena tentare la reintroduzione
della sua coltivazione e la valorizzazione dell’agricoltura locale, cercando di suggerire un punto di forza ad
un territorio che deve cercare una nuova identità ambientale ed economica.
P. 08
ANALISI DELLA DIVERSITA' GENETICA TRA OLIVI COLTIVATI E SELVATICI DI
TRE DIVERSE REGIONI ITALIANE
TOSTI N.1, RICCIOLINI C.1, ARCIONI S.1, MULAS M.2, GERMANA A.3, PANNELLI G.4, BALDONI L.
1
1
CNR - Istituto di Genetica Vegetale, Sezione di Perugina
2
Dip. Economia e Sistemi Arborei, Università degli Studi di Sassari
3
Dip. Colture Arboree, Università degli Studi di Palermo
4
MIPAF, Ist. Sperimentale per l’Olivicoltura, Sezione di Spoleto
AFLP, olea europaea, structure Analysis
Per chiarire l'origine delle varietà e degli ecotipi locali di olivo e le loro relazioni con le popolazioni
di olivo selvatico (oleastri), diffuse nella macchia mediterranea, campioni di varietà ed oleastri sono stati
analizzati con i marcatori AFLP (Amplified Fragment Length Polymorphism).
Nell'analisi sono state incluse 25 varietà e 81 piante selvatiche coltivate/presenti in 3 regioni italiane:
Umbria, Sicilia e Sardegna.
L'analisi dei cluster e la rappresentazione 2D plot hanno messo in evidenza che gli olivi selvatici sono
risultati strutturati in accordo con la loro origine geografica e chiaramente distinti dalle cultivar/ecotipi, ad
eccezione di alcuni campioni di olivi selvatici dell'Umbria, che sono risultati interspersi con le cultivar.
Inoltre, mentre i selvatici dell'Umbria e della Sardegna erano chiaramente separati tra loro, quelli della Sicilia
invece sono risultati interspersi tra quelli sardi e parte degli umbri.
Per le varietà la distribuzione era invece più confusa, essendo meno evidente la strutturazione per zona di
provenienza.
Usando il software Structure, che implementa un metodo di suddivisione delle popolazioni basato sui dati
genotipici, abbiamo determinato la più probabile suddivisione in popolazioni del nostro set di campioni.
Sono stati calcolati numerosi altri parametri per descrivere la distribuzione della variabilità, tra ed entro le
popolazioni (Fst, differenziazione di popolazione, distribuzione delle frequenze alleliche).
I risultati ottenuti da queste analisi mostrano il contributo del pool genico delle popolazioni naturali allo
sviluppo delle varietà coltivate e come l’interscambio di materiale genetico delle cultivar tra aree
geograficamente distanti abbia ridotto la loro strutturazione regionale.
P. 09
IDENTIFICAZIONE DI MARCATORI MOLECOLARI PER LA CARATTERIZZAZIONE
DI PRUNUS AVIUM
VITELLOZZI F.1, EMILIANI G.1, PAFFETTI D.1, GIANNINI R.1,2
1
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Forestali, S. Bonaventura 13, 50145 Firenze – Università degli Studi di Firenze
Istituto di Genetica Vegetale – Sezione di Firenze, Via Madonna del Piano, Sesto Fiorentino (FI) – Consiglio Nazionale delle
Ricerche
2
Originario dell’area compresa fra le coste del Mar Nero e quelle del Mar Caspio, il ciliegio si diffuse
in Asia ed in Europa molto probabilmente ad opera sia degli uccelli, che disseminavano i noccioli con le feci,
sia in seguito agli spostamenti delle popolazioni locali verso altre regioni dei due continenti. Già 4-5000 anni
a.C. sembra che le ciliegie fossero usate come alimento (Webster, 1996). In tempi passati per la coltivazione
di questo gruppo di alberi da frutto si ricorreva a materiale propagato per seme. Successivamente, in
particolare nelle aree più avanzate nelle pratiche agricole, si ricorse all’individuazione di “ideotipi” e quindi
alla loro propagazione vegetativa per innesto su portainnesti, spesso della stessa specie (franco) o di specie
relativamente vicine. A confronto con quello dedicato ad altre specie arboree da frutto, il lavoro di
miglioramento genetico del ciliegio, è stato di minore entità, anche se, le selezioni compiute (spesso non
controllate, semplice raccolta di seme derivante da incroci non controllati) sono iniziate nell’Europa Centrale
fin dal XVIII Sec. I primi lavori di miglioramento genetico di una certa importanza attraverso l’incrocio
controllato e la selezione clonale risalgono ai primi anni dopo la seconda guerra mondiale e sono dovuti al
lavoro prevalente di Istituzioni della Gran Bretagna, dei Paesi dell’ex Unione Sovietica, del Canada, degli
Stati Uniti, della Germania. Oggi si può dire che in tutti i Paesi interessati alla coltura del ciliegio si sta
operando attraverso metodi classici che prevedono selezione individuale, ibridazione intra ed inter specifica,
mutazioni (radiazioni ionizzanti), selezione clonale, ovvero attraverso metodi avanzati per ottenere sia nuove
cultivar sia nuovi portainnesti.
Lo scopo di questa ricerca è quello di individuare metodi che permettano di caratterizzare cultivar di ciliegio
mediante approcci molecolari. Il problema è stato affrontato seguendo due approcci diversi: utilizzando la
metodica AFLP, già molto sfruttata per approcci di fingerprinting e attraverso analisi di sequenze plastidiali
al fine di delineare la genealogia delle cultivar considerate. I risultati sin qui ottenuti associati a quelli
ottenuti permettono di delineare un quadro completo per la caratterizzazione delle cultivar di ciliegio
considerate.
P. 10
IDENTIFICAZIONE DI MARCATORI MOLECOLARI PER LA CARATTERIZZAZIONE
DI OLEA EUROPEA
VITELLOZZI F.1, EMILIANI G.1, PAFFETTI D.1, GIANNINI R.1,2
1
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Forestali, S. Bonaventura 13, 50145 Firenze – Università degli Studi di Firenze
Istituto di Genetica Vegetale – Sezione di Firenze, Via Madonna del Piano, Sesto Fiorentino (FI) – Consiglio Nazionale delle
Ricerche
2
Il miglioramento genetico dell’olivo nel passato è stato abbastanza limitato e svolto attraverso la
selezione di tipi originatesi da incroci non controllati o individuati al massimo tramite selezione clonale. Il
numero di cultivar di olivo nel mondo è sicuramente molto alto, sebbene fino ad ora non si stati in grado di
indicare un numero approssimativamente credibile. L’elevato grado di eterozigoti, la lunga storia di
diffusione e coltivazione insieme alle relative modalità impiegate, le occasionali mutazioni spontanee sono
possibili spiegazioni della forte differenziazione subita dal patrimonio genetico dell’olivo, dell’origine di
numerosi ecotipi e varietà locali. Alla indeterminatezza rispetto al numero di varietà corrisponde
naturalmente un’equivalente situazione di confusione riguardo alla loro individuazione e classificazione,
aggravata dall’esistenza di numerosi casi di sinonimie ed omonimie.
Negli ultimi anni sono stati avviati diversi programmi di salvaguardia e monitoraggio del
germoplasma di olivo e parallelamente sono stati sviluppati diversi marcatori molecolari quali RFLP, RAPD,
AFLP e SSR per la caratterizzazione e l’identificazione dei singoli genotipi (Wu et al., 2004).
Le “varietà” di olivo (Olea europaea L.) sono state ampiamente analizzate con diversi marcatori molecolari
che hanno permesso di caratterizzare varietà locali nelle diverse regioni del territorio nazionale, ma resta
irrisolto il problema delle sinonimie ed omonimie molto sentito nel campo dell’olivicoltura. La presente
ricerca ha come finalità la messa a punto di una metodologia di caratterizzazione molecolare in grado di
fornire riferimenti affidabili che permettano di discriminare le singole varietà di olivo, di individuarne
possibilmente la genealogia e di svelarne quindi le relazioni e le identità. Per tale motivo è stato allestito un
esperimento che consentisse di confrontare le stesse varietà tipiche di diverse regioni italiane (Ascolana
Tenera, Carolea, Frantoio, Leccino, Moraiolo) e prodotte per la coltivazione in campo da differenti vivaisti
delle regioni Toscana (LU e PT), Puglia (BA), Sicilia (PA), Umbria (TR). Da quanto riportato in bibliografia
le cultivar considerate sembrano essere già identificate tramite marcatori molecolari, ma l’associazione di
questi con l’analisi di sequenza di zone plastidiali da noi investigate, per il momento non delinea un quadro
chiaro nell’identificazione delle singole cultivar provenienti da differenti vivai.
P. 11
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CULTIVAR DI PREGIO DEL GENERE
CASTANEA MILLER
PAFFETTI D.1, EMILIANI G.1, VETTORI C.2, GIANNINI R.1,2
1
2
Dipartimento di scienze e tecnologie ambientali forestali, s. bonaventura 13, 50145 firenze – Università degli studi di firenze
Istituto di genetica vegetale – sezione di firenze, via madonna del piano, sesto fiorentino (fi) – Consiglio Nazionale delle Ricerche
Negli ultimi tempi nel mondo agro-forestale in generale ed in quello vivaistico in particolare, sempre
più è sentita l’esigenza di disporre di materiale geneticamente superiore e certificato in particolare quando si
desiderano valorizzare prodotti locali ad alto impatto nutrizionale e salutistico, anche nella fase di
trasformazione. Resta inoltre sempre valido il fatto che il riconoscimento di un target specifico risulta
indispensabile nei confronti di brevetti e royalty per una garanzia riguardante caratteri e processi fisiologici
di interesse per l’adattamento e la produttività. Da tutto ciò si evince che se da una parte il lavoro di
reperimento e valorizzazione offre la possibilità di utilizzare ideotipi superiori vi deve essere dall’altra la
possibilità di distinguere e certificare tale materiale.
E’ il caso del castagno (Castanea sativa Miller) che ha rivestito e riveste oggi importanza in vaste
zone montane nelle quali è presente con un’ampia ricchezza di tipi di pregio per caratteri agro-forestali
(frutto-legno). In questa nota si riferirà sul lavoro svolto circa la caratterizzazione genetica di cultivar di
pregio di questa specie. In un primo momento l’indagine si è incentrata sull’inquadramento sistematico del
genere Castanea all’interno della famiglia delle Fagaceae e quindi quello della specie Castanea sativa
Miller. In questo caso si è studiata la regione trnL-trnF del cpDNA. La divergenza nucleotidica tra le specie
di Castanea (che varia da 1.9% a 0.5%) Negli ultimi tempi nel mondo agro-forestale in generale ed in quello
vivaistico in particolare, sempre più è sentita l’esigenza di disporre di materiale geneticamente superiore e
certificato in particolare quando si desiderano valorizzare prodotti locali ad alto impatto nutrizionale e
salutistico, anche nella fase di trasformazione. Resta inoltre sempre valido il fatto che il riconoscimento di un
target specifico risulta indispensabile nei confronti di brevetti e royalty per una garanzia riguardante caratteri
e processi fisiologici di interesse per l’adattamento e la produttività. Da tutto ciò si evince che se da una parte
il lavoro di reperimento e valorizzazione offre la possibilità di utilizzare ideotipi superiori vi deve essere
dall’altra la possibilità di distinguere e certificare tale materiale.
E’ il caso del castagno (Castanea sativa Miller) che ha rivestito e riveste oggi importanza in vaste zone
montane nelle quali è presente con un’ampia ricchezza di tipi di pregio per caratteri agro-forestali (fruttolegno). In questa nota si riferirà sul lavoro svolto circa la caratterizzazione genetica di cultivar di pregio di
questa specie. In un primo momento l’indagine si è incentrata sull’inquadramento sistematico del genere
Castanea all’interno della famiglia delle Fagaceae e quindi quello della specie Castanea sativa Miller. In
questo caso si è studiata la regione trnL-trnF del cpDNA. La divergenza è stata utilizzata per ricostruire la
filogenesi del genere con un alto livello di confidenza. Tra le specie di Castanea questa, infatti, risulta più
alta che tra le specie di Quercus e Fagus. Gli alberi ottenuti con i differenti metodi di ricostruzione
filogenetica (parsimony, neighbor-joining e maximum-likelihood) sono congruenti con la classificazione
tassonomica corrente del genere. Castanea dentata è risultata sempre più simile a Castanea mollissima in
tutti gli alberi filogenetici. Inoltre, Castanea crenata è più vicina a C. dentata e C. mollissima che a C .
sativa, in accordo con la loro distribuzione geografica.In un secondo momento l’attenzione si è diretta a
singoli genotipi di pregio di C. sativa Il DNA, singolarmente estratto, è stato amplificato mediante RAPD.
Attraverso un marcatore (denominato CAS1), selezionato dal profilo di un “marrone fiorentino” e utilizzato
come sonda, è stato possibile discriminare un ampio numero di cultivar e raggruppate in tre gruppi distinti:
tipi coinvolti per la produzione di frutti da destinare alla trasformazione in farina; tipi coinvolti per la produzione di
frutto da consumo fresco; tipi coinvolti per le caratteristiche di pregio della produzione del legno.
P. 12
IDENTIFICAZIONE DI SINONIMI ED OMONIMI DI VARIETÀ DI OLIVO MEDIANTE
MARCATORI AFLP
LA MURA M.1, MANZO M.2, PUGLIANO G., MONTI L.M., RAO R.
Università di Napoli “Federico II” Facoltà di Agraria Dipartimento di Scienze del Suolo della Pianta e dell’Ambiente sez. Genetica
Vegetale
1
Regione Campania - Se.S.I.R.C.A.
2
Università di Napoli “Federico II” Facoltà di Agraria Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e Patologia Vegetale, sez.
Arboricoltura.
Il panorama varietale olivicolo italiano risulta alquanto vario e complesso. Le varietà descritte sono
circa 540 con 1272 sinonimi. L’elevato numero di sinonimi è, probabilmente, la diretta conseguenza di una
notevole variabilità dell’espressione di geni che controllano caratteri morfologici dovuta a differenti
condizioni pedoclimatiche esistenti nelle diverse zone di coltivazione. Inoltre molti sinonimi derivano da
errori tramandati nel corso degli anni dagli stessi agricoltori. Questa confusione è stata generata dalla
completa assenza o dall’esistenza di un insufficiente sistema di catalogazione delle varietà per cui sono stati
frequentemente assegnati stessi nomi a tipi geneticamente diversi o stesse entità genetiche sono state
designate con nomi differenti. Recentemente sono state classificate e caratterizzate morfo-bioagronomicamente 66 varietà autoctone campane.
Tuttavia i descrittori morfologici spesso offrono solo modesti margini di certezze sulla corrispondenza tra
genotipo e cultivar, in conseguenza del fatto che le condizioni climatiche o colturali possono influenzare il
fenotipo. I marcatori del DNA rappresentano uno strumento molto potente per la discriminazione di cultivar
di specie erbacee ed arboree e in olivo hanno spesso discriminato cultivar e cloni non facilmente distinguibili
su base morfologica. Nel presente lavoro sono stati utilizzati marcatori AFLP, al fine di identificare i
polimorfismi del DNA utili per identificare e distinguere varietà di olivo, distribuite, sul territorio campano e
incluse nei disciplinari DOP, mettendo in evidenza il loro grado di similarità genetica ed i casi di sinonimia. .
In questo lavoro sono state analizzate 35 varietà incluse nelle proposte dei tre disciplinari per la produzione
degli olii extra vergine di oliva “Colline Beneventane”, “Colline Casertane” e “Sannio Caudino-Telesino”.
Le varietà, virus esenti e caratterizzate morfologicamente, sono state sottoposte ad analisi AFLP nel tentativo
di chiarire presunte sinonimie od omonimie, non risolte dai descrittori morfologici. Sono stati evidenziati
sette gruppi di sinonimi e sei gruppi di omonimi.
P. 13
IL “FAGIOLO DEL PURGATORIO DI GRADOLI”: UN ECOTIPO AUTOCTONO
DELL’ALTO LAZIO
LIOI L.1, PIERGIOVANNI A.R. 1, PUGLISI S. 1, SORESSI G.P.2
1
2
Istituto di Genetica Vegetale, CNR, Bari
Dipartimento di Agrobiologia e Agrochimica, Università della Tuscia, Viterbo
Antitripsinici, microsatelliti, proteine di riserva
Il nome “Fagiolo del Purgatorio” riporta ad un’antica tradizione che risale al ‘600-‘700, quando, per
iniziativa di una confraternita detta “Fratellanza del Purgatorio”, è iniziata la consuetudine di indire a scopo
benefico un pranzo detto “Pranzo del Purgatorio”, nel quale lo squisito fagiolo tipico costituiva il piatto
principale. La coltivazione di questo ecotipo viene praticata su piccoli appezzamenti sul versante collinare
(300-400 m. slm) fino a livello del lago di Bolsena, nel territorio del comune di Gradoli. Il prodotto è
riconosciuto come tipico della Comunità Montana dell’Alta Tuscia laziale.
L’incremento della richiesta di prodotti tipici ed il conseguente ampliamento delle opportunità di
mercato offre alle più apprezzate cultivar tradizionali nuove possibilità di rilancio. La conservazione “onfarm” di ecotipi di pregio potrebbe rappresentare una strategia utile per contrastare l’erosione genetica o in
casi estremi la scomparsa di materiale autoctono (Piergiovanni e Laghetti 1999; Negri 2003). Per supportare
questa possibilità, così come la selezione conservativa di germoplasma di pregio, è fondamentale una
approfondita conoscenza del grado e distribuzione della variabilità genetica presente all’interno delle
popolazioni costituenti un ecotipo.
I campioni di seme oggetto di questa indagine sono stati 14, di cui 11 provenienti da diverse aziende
dislocate nel territorio del comune di Gradoli (VT) e in misura minore di Acquapendente (VT) e 3
commercializzati da cooperative locali. Tali campioni sono stati studiati mediante un approccio
multidisciplinare considerando il polimorfismo delle proteine di riserva (faseolina e fitoemoagglutinina o
PHA), i marcatori molecolari SSR, e la caratteristiche nutrizionali del seme (contenuto proteico, ceneri,
fattori antinutrizionali). Sulla base del pattern faseolinico le popolazioni studiate sono risultate appartenenti
al gene pool Mesoamericano, avendo tutte il pattern di tipo S. Una certa variabilità. È stata osservata per la
PHA con due pattern maggiormente rappresentati, MG2 e SG2, in proporzione del 61 e 35% rispettivamente.
Generalmente essi sono entrambi presenti nella stessa popolazione, sebbene alcune popolazioni mostrino
alternativamente uno solo dei due pattern. La presenza di due nuclei costituenti l’ecotipo, è stata confermata
anche dai dati ottenuti tramite marcatori SSR elaborati con l’ analisi cluster. Da un punto di vista
nutrizionale, questo ecotipo si caratterizza per un contenuto proteico medio (23,6% ss), un contenuto in
ceneri relativamente alto (4,55% ss), ma tipico dei biotipi a seme piccolo, ed un basso contenuto in
antitripsinici (15,6 TIU/mg ss).
Piergiovanni AR, Laghetti G 1999. Genet Res Crop Evol 46, 47-52.
Negri V 2003. Genet Res Crop Evol 50, 871-885.
Lavoro svolto nell’ambito del progetto "Valorizzazione di germoplasma orticolo italiano", MiUR-MiPAF,
FISR - DM 10.05.00.
P. 14
MARCATORI SSR RIVELANO UNA STRUTTURA GENETICA E FILOGEOGRAFICA
IN T. MAGNATUM
RUBINI A.1, PAOLOCCI F.1, RICCIONI C.1 , VENDRAMIN G.G.2, ARCIONI S1.
1
2
CNR, Istituto di Genetica Vegetale, Sezione di Perugia. Via Madonna Alta 130, 06128 Perugia, Italy.
CNR, Istituto di Genetica Vegetale, Sezione di Firenze. Via Madonna del Piano, 50019 Sesto Fiorentino, Firenze, Italy.
SSR, Tuber magnatum, filogeografia.
Grazie alle peculiari caratteristiche organolettiche i tartufi sono dei funghi molto apprezzati in tutto il
mondo. La qualità ed il loro valore di mercato sono legati non solo alla specie ma anche all’area di raccolta.
Tra le più famose sono da ricordare Alba e Acqualagna per il tartufo bianco, Norcia, Spoleto e il Perigord per
il tartufo nero.
Recenti ricerche condotte con vari tipi di marcatori molecolari (RAPD, ISSR, isoenzimi) hanno
evidenziato uno scarso polimorfismo genetico a carico delle specie più pregiate come il T. magnatum Pico e
T. melanosporum Vittad., ciò a seguito di una probabile drastica riduzione delle rispettive popolazioni
verificatasi durante l’ultimo periodo glaciale (effetto bottleneck) e di un sistema riproduttivo
presumibilmente di tipo selfing. Di conseguenza è stato ipotizzato che le differenze organolettiche che si
riscontrano in tartufi di differente provenienza, siano dovute a fattori ecologici piuttosto che genetici (1, 2).
Tuttavia l’impiego di marcatori molecolari particolarmente informativi come i microsatelliti, associato ad un
capillare campionamento delle popolazioni naturali, ha permesso di approfondire meglio il livello di
polimorfismo nel tartufo bianco pregiato.
In questo lavoro è stato, infatti, compiuto uno screening della variabilità di 9 loci microsatellitari (3) su
circa 350 individui di T. magnatum raccolti in zone rappresentative dell’intero areale della specie.
I marcatori SSR, a differenza di quanto riportato sino ad ora, hanno evidenziato un marcato
polimorfismo genetico in questa specie. L’analisi statistica ha rivelato inoltre l’esistenza di una struttura
filogeografica e la possibilità di differenziare geneticamente le popolazioni italiane del sud e del nord-ovest
da tutte le altre.
Tali risultati suggeriscono quindi che fattori non solo ecologici ma anche genetici possono contribuire
alla variabilità dei caratteri organolettici nei tartufi pregiati.
L’individuazione di marcatori molecolari popolazione- e anche ceppo- specifici è particolarmente
importante dal punto di vista commerciale, in relazione all’istituzione di marchi di qualità (es. DOP).
L’analisi dei microsatelliti inoltre è utile per approfondire molti aspetti ancora oscuri della biologia dei tartufi
e per prevenire possibili fenomeni di erosione genetica che possono verificarsi quando in aree naturalmente
vocate vengono introdotti ceppi fungini alloctoni nell’intento di aumentare la scarsa produzione naturale di
questi funghi pregiati.
Bertault G., et al., Heredity 86, 451 (2001).
Bertault G., Raymond M., Bertomieu A., Callot G., Fernandez D., Nature 394, 734 (1998).
Rubini A., Topini F., Riccioni C., Paolocci F., Arcioni S., Mol. Ecol. Notes 4, 116 (2004).
P. 15
CARATTERIZZAZIONE DI ECOTIPI LOCALI IN PIEMONTE
RICCI L.1, CELLINO A.1, TURLETTI A.1
1
Regione Piemonte, Direzione Sviluppo Agricoltura – Corso Stati Uniti,21 – 10128 TORINO
Biodiversità, ecotipi, salvaguardia
La salvaguardia e la valorizzazione degli ecotipi locali piemontesi ha portato ad una riscoperta di
risorse che l’impostazione dell’agricoltura degli ultimi decenni aveva fatto trascurare o addirittura
abbandonare. Le attività avviate dalla Regione Piemonte hanno puntato in primo luogo al mantenimento
della diversità biologica nelle popolazioni e quindi alla conservazione di materiale che non solo
nell’immediato ma anche per il futuro potrà essere di interesse strategico per la predisposizione di
programmi di miglioramento genetico delle specie coltivate. Nell’immediato si è tenuta presente la
possibilità di reintrodurre in coltura specializzata alcune di queste varietà per consentire un ampliamento di
gamma nell’offerta di prodotti tipici come richiesto recentemente dal mercato.
Dai primi anni ’90 la Regione ha avviato una serie di sperimentazioni in collaborazione con istituzioni
scientifiche nel settore viticolo ed orticolo. Nel tempo ha intensificato la propria attività estendendola al
settore frutticolo, floricolo e recentemente a quello cerealicolo. In seguito ai primi risultati estremamente
positivi, ed alle esigenze delle aziende piemontesi, sono stati realizzati anche studi sulla biodiversità animale.
Per arrivare alla valorizzazione degli ecotipi vegetali piemontesi si è sempre partiti da una fase di
indagine sul territorio regionale per realizzare un censimento del patrimonio genetico locale in funzione di
una conservazione in situ. La seconda fase è stata quella di raccogliere il materiale in campi catalogo, per
garantirne la conservazione e poter proseguire gli studi con materiale messo a confronto nelle medesime
condizioni pedoclimatiche arrivando ad identificarlo e caratterizzarlo. In questa fase rientra la realizzazione
dei campi collezione relativi a: vitigni minori, melo e pero, ciliegio, rododendro, camelia. Nel settore orticolo
oltre alla individuazione e caratterizzazione di 30 varietà locali è in corso una attività di selezione
conservativa e caratterizzazione di ecotipi di peperone e fagiolo volta a migliorare l’uniformità delle linee e
le loro caratteristiche qualitative.
Nella terza fase si è concentrata l’attenzione sulla individuazione di quali cultivar abbiano le
caratteristiche per riproporne la coltivazione nelle aziende agricole specializzate. Su quest’ultime cultivar si
sono concentrate le attenzioni per mettere a punto la miglior tecnica colturale possibile, grazie anche alle
moderne tecniche di coltivazione e conservazione, nel rispetto dell’ambiente con l’obbiettivo di
salvaguardare ed esaltare le qualità estetiche (per es. nel settore floricolo) ed organolettiche (per es. nel
settore cerealicolo) o di queste produzioni tipiche.
I risultati, in buona parte pubblicati o comunque disponibili sul sito della Regione Piemonte, hanno favorito
la successiva attività di valorizzazione delle produzioni tipiche locali con inserimento di alcuni biotipi
nell’ambito dei Prodotti Agro-Alimentari Tradizionali, delle D.O.P. o delle I.G.P.
P. 16
VARIABILITA’ GENETICA ED ECOLOGIA DEL GERMOPLASMA VITICOLO
CAMPANO
MONACO A., GRANDO M.S., COSTANTINI L., FORLANI M.
Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e Patologia Vegetale - Facoltà di Agraria, Università Federico II - Via Università 100,
80055 Portici - Napoli, Italy [email protected]
Istituto Agrario di San Michele all'Adige – Lab. di genetica molecolare, Via Mach, 1 38010 - Trento, Italy
[email protected]
Vite, germoplasma, marcatori microsatelliti
La regione Campania ha rappresentato uno dei più antichi ed importanti nuclei di insediamento,
coltivazione e propagazione della vite. Diversi fattori hanno favorito la conservazione delle varietà di Vitis
vinifera che venivano coltivate in queste zone ancora nella prima metà dell’Ottocento. Tra questi, la pratica
di moltiplicare le viti per propaggine ha contribuito a fissare numerosi genotipi mentre l’elevata
frammentazione della proprietà fondiaria ha ostacolato una viticoltura più moderna basata su poche e
collaudate varietà. Un ruolo sicuramente determinante nel mantenimento di una particolare variabilità
viticola in queste aree è stato giocato dalla natura vulcanica dei suoli che, ostacolando la diffusione della
fillossera alla fine dell’800, ha evitato l’espianto dei vigneti e la conseguente sostituzione delle vecchie
varietà attuati nelle altre zone viticole europee.
La consistenza attuale del patrimonio viticolo campano è stimata in circa 80 varietà diverse, ma solo
11 di esse sono iscritte al Registro Nazionale delle varietà ad uva da vino: Asprinio, Biancolella, Coda di
volpe, Falanghina, Fiano, Forastera, Greco di Tufo (a bacca bianca), Aglianico, Casavecchia, Piedirosso,
Sciascinoso (a bacca nera).
In questo lavoro vengono illustrati i risultati dello studio di tipizzazione del germoplasma viticolo campano
per il quale sono stati utilizzati 8 marcatori microsatelliti (SSR): VVS2, VVMD5, VVMD7, VVMD25,
VVMD27, VVMD31, VrZAG62, VrZAG79. Il materiale vegetale analizzato (foglie o legno) è stato
prelevato da 114 accessioni riferibili a 69 varietà locali, presenti in collezioni regionali o vigneti privati, sia
su ceppi molto vecchi, quando presenti, sia su piante di impianti recenti.
P. 17
STUDIO DELLA VARIABILITÀ GENETICA DI ECOTIPI DI OLIVO DEL MOLISE CON
MARCATORI MOLECOLARI SSR E SNP
REALE S. 1,2, DOVERI S.1, LEE D.1, PILLA F.2, BALDONI L.3, ANGIOLILLO A.2
1
NIAB, Huntingdon Rd., Cambridge CB3 0LE, UK
Dipartimento SAVA, Università del Molise, Campobasso, Italy
3
CNR, Istituto di Genetica Vegetale, Sezione di Perugia, Italy
2
Olea europaea, marcatori molecolari, variabilità genetica
L’olivo (Olea europaea L.) è una delle più antiche e importanti piante coltivate nell’areale
Mediterraneo. Il suo germoplasma è costituito da centinaia di varietà che sono state selezionate nei secoli per
la loro adattabilità ai microclimi e ai suoli locali. La diversità di microambienti di cui il Molise è ricco e le
antiche origini di coltivazione dell’olivo in questa regione, rendono lo studio delle varietà molisane
interessante ai fini della conoscenza, della conservazione e del mantenimento del germoplasma nonché della
valorizzazione delle produzioni locali. A tale scopo sono state analizzate diciannove cultivars tra le più
rappresentative del patrimonio olivicolo tradizionale del Molise utilizzando marcatori molecolari SSR
(Simple Sequence Repeats o microsatelliti) e SNP (Single Nucleotide Polymorphism).
Le varietà sono state genotipizzate a livello di 12 loci microsatelliti nucleari, che sono risultati
altamente polimorfici ed informativi (Eterozigosità da 0,61 a 0,8 e Potere di Discriminazione da 0,15 a 0,70).
Sono stati identificati 73 alleli (in media circa 6 per locus), un valore abbastanza alto se si considerano il non
eccessivo numero di campioni analizzato e l’estensione dell’area di provenienza: questo testimonia la
ricchezza della variabilità del germoplasma di olivo del Molise.
I 10 marcatori SNP appartenenti a 8 diversi loci, hanno dimostrato minore capacità di discriminazione
(Eterozigosità da 0,27 a 0,49 e Potere di Discriminazione da 0,37 a 0,66) e non hanno consentito di
distinguere tra due coppie di varietà: questo potrebbe essere spiegato dalla loro natura biallelica che rende
necessaria l’estensione dell’analisi ad un numero maggiore di SNP ai fini dello studio della variabilità
genetica. Questi marcatori sono comunque un utile complemento ai microsatelliti, considerando anche il
diverso meccanismo con cui le variazioni hanno origine. Gli SNP sono inoltre suscettibili di
automatizzazione e trovano facile impiego in esperimenti che mirano alla quantificazione delle singole
varietà in miscele di olio.
Quando confrontate con altre varietà europee (5 loci SSR e 10 SNP), le varietà molisane non
evidenziano particolari correlazioni con quelle di altri paesi, ma tendono a raggrupparsi in un unico grande
cluster: questo risultato potrebbe indicare un certo livello di ibridazione all’interno del pool esaminato.
Non sono stati rilevati nello studio casi di omonimia e/o sinonimia, ed è stato inoltre possibile distinguere le
cultivar Paesana Bianca e Frantoio che, da precedenti analisi AFLP, erano risultate essere identiche.
P. 18
CARATTERIZZAZIONE DI POPOLAZIONI DI FARRO DELL’ITALIA CENTRALE,
CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA VARIETA’ LOCALE DI MONTELEONE
DI SPOLETO (PG)
PORFIRI O. 1, ALBERTINI E. 2, PAPA R. 3, TORRICELLI R. 2
1
Agronomo, Dottore di ricerca, Libero professionista, Urbisaglia MC
Dipartimento Biologia Vegetale e Biotecnologie Agroambientali, Università degli Studi di Perugia
3
Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università Politecnica delle Marche
2
Tradizione storica, caratterizzazione, valorizzazione
Nell’ambito di diversi progetti svolti e in corso di realizzazione negli ultimi anni nelle regioni
dell’Italia centrale, sono state rintracciate numerose varietà locali, appartenenti per circa il 50% a specie
erbacee. In particolare, fra i cereali è stato collezionato un numero consistente di accessioni di farro dicocco
(Triticum dicoccum Schubler), prevalentemente concentrate nell’area di confine fra le regioni Umbria, Lazio,
Abruzzo, Marche, presso aziende collocate mediamente oltre 600 metri di altitudine. Il territorio umbro della
Valnerina è uno dei più interessanti sia per entità sia per caratteristiche delle accessioni ritrovate, ancora in
coltivazione.
Parte dei materiali genetici collezionati è stata sottoposta ad una prima valutazione di campo (studio
dei caratteri morfologici, fisiologici, agronomici) e di laboratorio (analisi della qualità della granella e analisi
molecolari).
I risultati ottenuti dalle analisi morfo-agronomiche consentono di affermare che le accessioni di farro
dicocco collezionate in Umbria appartengono al gruppo “Italia Centrale”. Il gruppo è caratterizzato da
habitus vegetativo alternativo (adatto alla semina di fine inverno, l’unica possibile nelle zone di collezione),
stelo e foglia sottili, taglia media (medio-bassa negli ambienti più marginali), spiga di piccole dimensioni,
aristata, con diversi gradi di glaucescenza e diverso colore a maturazione (spighe prevalentemente bianche
con frammiste spighe rosse). Le spighette contengono mediamente 1,2-1,5 cariossidi, di solito a frattura
vitrea, con gibbosità pronunciata e abbondante peluria all’apice.
Questi risultati sono confermati da quelli delle analisi molecolari (mediante marcatori molecolari
AFLP) che evidenziano la netta differenziazione della varietà locale di farro di Monteleone di Spoleto
rispetto a quelle di altra provenienza valutate a confronto e tutte le accessioni collezionate restano compatte
nello stesso gruppo varietale.
Gli elementi fin qui acquisiti consentono di caratterizzare in modo sufficientemente preciso questa varietà locale. Tale
caratterizzazione permette di sviluppare idonei sistemi di tracciabilità e di protezione di questa risorsa genetica
autoctona.
P. 19
IL PREZIOSO PATRIMONIO FRUTTIFERO DELLA REGIONE UMBRIA
DALLA RAGIONE I.1, PORFIRI O.2, TORRICELLI R.3, FALCINELLI M. 3
1
Agronomo, libero professionista, Perugia
Agronomo, Dottore di Ricerca, libero professionista, Urbisaglia (MC)
3
Dipartimento Biologia Vegetale e Biotecnologie Agroambientali, Università degli Studi di Perugia
2
Patrimonio varietale, tradizioni, frutteto-catalogo
Nell’ambito del progetto “La valorizzazione delle risorse genetiche della regione Umbria”,
sottoprogetto “La biodiversità vegetale in Umbria e la sua conservazione”, sostenuto dal Piano di Sviluppo
Rurale umbro 2000-2006, è prevista una specifica attività di “Conservazione in vivo” da attuare con la
“Realizzazione di un frutteto dimostrativo-didattico di varietà locali umbre collezionate nell’ambito del
presente programma opportunamente catalogate e illustrate”.
A questa fase è preceduta – ed è tuttora in corso - una intensa attività di ricerca e collezione sul
territorio che ha consentito di individuare numerosissime varietà locali di fruttiferi, più di quelle ipotizzate
nella fase iniziale del progetto, che rappresentano oltre il 50% di tutte le entità genetiche fino ad oggi
segnalate/individuate. Melo, vite, pero e mandorlo sono quelle di più frequente ritrovamento. Tra esse
meritano di essere ricordate le mele “panaia”, “roggia o ruzza”, “muso di bue”, “sona o a sonagli”; le pere “a
merangola”, “di Monteleone o pera papera”, “spadona d’inverno”; la pesca sanguinella; il vitigno “Pecorino
di Norcia”.
Il frutteto dimostrativo-didattico o frutteto catalogo ha lo scopo di conservare in collezione le
accessioni reperite durante lo svolgimento del progetto e in parte il materiale varietale messo a disposizione
dalla collezione di Archeologia Arborea che partecipa al progetto. Nello stesso tempo il frutteto sarà un
punto di riferimento importante dal punto di vista didattico non solo per gli studenti della Facoltà di Agraria,
ma anche di altre Istituzioni e sarà un sito dimostrativo per gli operatori agricoli, particolarmente per quelli
impegnati nel settore frutticolo. Infine, rappresenterà un prezioso serbatoio di materiale genetico.
Il frutteto è stato impiantato presso l’azienda agraria dell’Università degli Studi di Perugia, a Casalina
(comune di Deruta, PG), in questa fase iniziale si estende su una superficie di 5.000 m2 ed è stato impostato
in modo da consentire le valutazioni agronomiche sul materiale ritrovato e permettere eventuali ampliamenti
futuri. La localizzazione prescelta consente un armonico inserimento nel paesaggio rurale dell’Azienda,
contiguamente al vigneto sperimentale del Dipartimento di Arboricoltura e Protezione delle Piante e rimarrà
come patrimonio a disposizione dell’Azienda agraria e dell’Università.
Le piante sono innestate su portinnesti opportunamente scelti per ciascuna specie e allevate con
sistema tradizionale, a vaso basso nelle specie dove ciò è fattibile.
E’ stata già realizzata la gran parte degli innesti programmati, con tre repliche per ogni accessione, per
numerose delle varietà locali reperite:
melo: Rosa in pietra, Mela del castagno, Mela ciucca o Muso di Bue, Rosa gentile, Rosa romana,
Panaia, Pagliaccia, Casciola, Conventina, Polsola, Roggia o Ruzza, Coppola, Lardella, Mela pera, Renettona,
Panaia di Norcia, San Giovanni, Limoncella, Stratarina;
pero: Cannella, Cerqua, Monteleone di Orvieto, Bianchina, Moscatella, Burro, Estiva precoce o della
trebbiatura, Tonda roggia, Vernia, Prestareccia, Spadona d’inverno, Limoncina, S. Pietro, Estiva tonda;
ciliegio: Limona, Ciliegia di Cantiano, Morella;
pesco: Marscianese, Sanguinella 1 (provenienza Gualdo Tadino PG), Sanguinella 2 (provenienza Todi PG).
P. 20
ANALISI DELLA DIVERSITA’ GENETICA DI POPOLAZIONI DI MIRTO (Mirtus
communis) DELLA CALABRIA E DELLA SARDEGNA MEDIANTE AFLP
FLUORESCENTI
BIANCHI R.1, AGRIMONTI C.1, BIANCHI A.2, BALLERO M.3, POLI F.4, MARMIROLI N.1
1
Dipartimento di Scienze Ambientali, Sezione di Genetica e Biotecnologie Ambientali - Università di Parma, Parco Area delle
Scienze 11/A- 43100 Parma
2
Dipartimento di Biologia Evolutiva e Funzionale - Università di Parma, Parco Area delle Scienze 11/A- 43100 Parma
4
Dipartimento di Biologia Evoluzionistica Sperimentale - Università di Bologna - via Selmi, 3 - 40126 Bologna - ITALY
3
Dipartimento di Scienze Botaniche, Università degli Studi di Cagliari, Viale S.Ignazio, 13, - 09123, Cagliari - ITALY
Mirtus communis, diversità genetica, AFLP
Il mirto è un arbusto che cresce spontaneamente nell’area mediterranea e nel Medio Oriente. Fin
dall’antichità è stato usato dai Greci e dai Romani come pianta aromatica e ornamentale; attualmente si è
scoperto che possiede importanti attività farmacologiche, come proprietà anti-iperglicemiche, antimicotiche
ed antibatteriche. In Sardegna le bacche di mirto sono largamente impiegate per la produzione di liquori che
rappresenta una promettente risorsa per il settore agro-alimentare di questa Regione. Per questa serie di
motivi si è sviluppato un certo interesse nella coltivazione e nella propagazione di questa pianta.
Al fine di valutare le risorse naturali di mirto disponibili in Italia, in questo lavoro è stata analizzata,
mediante AFLP fluorescenti (fAFLP) la diversità genetica di popolazioni naturali raccolte nel territorio della
Sardegna e della Calabria. L’analisi di 273 frammenti, condotta su 10 popolazioni sarde e 4 popolazioni
calabre, ha rivelato un livello di polimorfismo complessivo pari a 87%.
I valori di distanza genetica suggeriscono che esiste un certo grado di differenziamento tra le
popolazioni di mirto calabro e sardo, dovuto probabilmente alla separazione territoriale tra le due regioni o
ad una diversa origine.
L’eterozigosità attesa all’interno di ciascuna popolazione, calcolata secondo l’indice di Nei, è risultata
più bassa (valore medio 0.167) rispetto a quella rilevata in altre specie di mirtacee, suggerendo che esiste un
certo livello di “inbreeding” dovuto ad autoimpollinazione o fecondazione incrociata tra piante vicine
strettamente imparentate tra di loro.
Tuttavia, i valori di distanza genetica tra i singoli individui e l’analisi della varianza molecolare (AMOVA)
hanno rivelato che la variabilità genetica è significativamente più elevata all’interno delle popolazioni che tra
di esse, suggerendo che esiste un certo flusso genico tra le popolazioni considerate all’interno della stessa
Regione, ciò può essere dovuto alla dispersione dei semi piuttosto che alle modalità di impollinazione.
P. 21
IDENTIFICAZIONE VARIETALE DI APIUM GRAVEOLENS L. VAR. DULCE (MILL.)
PERS. (SEDANO NERO DI TREVI) MEDIANTE MARCATORI MORFOFISIOLOGICI,
CITOGENETICI E MOLECOLARI
CASTELLINI G. 1
1
Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Agraria, Dipartimento di Biologia Vegetale e Biotecnologie Agroambientali, Sezione di
Genetica e Miglioramento Genetico Vegetali
Landrace, cultivar identification, conservazione
Oggetto della presente ricerca è la varietà locale di sedano da costa, Apium graveolens L. var. dulce
(Mill.) Pers. (2n=2x=22, prevalentemente allogama), denominata sedano nero di Trevi. Il lavoro può essere
sintetizzato nel modo seguente:
studio dell’ origine, domesticazione e biologia di A. graveolens L.; ricerca storiografica relativa alla
coltivazione del sedano nero di Trevi;
identificazione varietale mediante marcatori genetici a livello morfofisiologico (direttrici UPOV) e relativa
analisi statistica;
identificazione varietale mediante marcatori genetici a livello citologico (FISH) e molecolare (AFLP) e
relativa analisi statistica;
indagine sul territorio finalizzata alla ricerca di eventuali progenitori selvatici della specie oggetto di studio;
valutazione del grado di similarità genetica tra accessioni locali e commerciali;
applicazione di strategie di conservazione on farm e ex situ.
Sulla base delle informazioni fin qui acquisite è già possibile affermare che il sedano nero di Trevi è
un prodotto tipico locale derivante da un lungo e continuo processo di conservazione e miglioramento
condotto dagli agricoltori trevani. La ricerca sulle origini storiche, l’identificazione varietale e la valutazione
del grado di similarità genetica con altre selezioni ed eventuali progenitori selvatici renderà possibile una più
accurata caratterizzazione di tale varietà.
I risultati di questa ricerca forniranno gli elementi sufficienti per iscrivere la varietà locale di sedano nero di
Trevi all’istituenda sezione delle “varietà da conservazione” del Registro Nazionale (DL n. 212/2001) e
all’istituendo Registro Regionale previsto dall’articolo 2 della legge per la “Tutela delle risorse genetiche
autoctone di interesse agrario (LR n. 25/2001) della regione Umbria, ponendo i presupposti necessari ad una
adeguata azione di protezione e di valorizzazione della varietà attraverso percorsi di certificazione di qualità
regolamentata.
P. 22
RACCOLTA E CARATTERIZZAZIONE MORFO-BIO-AGRONOMICA E SELEZIONE
DI ECOTIPI DI LEGUMINOSE FORAGGERE DELLA SICILIA ORIENTALE
ABBATE V.1, MAUROMICALE G.1, PATANÈ C.2, GRESTA F.1, OCCHIPINTI A.1
1
Università di Catania, DACPA – Sezione Scienze Agronomiche
CNR - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFoM)
2
Ecotipi, leguminose foraggere, specie autoriseminanti
Nell’ambito di un programma di studio rivolto al miglioramento dei riposi pascolativi dell’altopiano
Ragusano nella Sicilia sud-orientale, a partire dal 1994, è stata avviata la collezione di ecotipi di Scorpiurus
subvillosus L., specie di grande interesse per l’elevato valore pabulare e per le proprietà galattogene ad essa
riconosciute. Al fine di selezionare i genotipi che per caratteristiche bioagronomiche meglio si prestano al
miglioramento della produzione dei suddetti pascoli ed alla coltivazione in purezza per la relativa produzione
sementiera, sono stati effettuati cicli di selezione inter ed intragenotipica per precocità di fioritura e durezza
dei semi, e allo stato attuale sono disponibili due varietà a base genetica larga, Parabuto e Pozzo Cassero,
distinguibili essenzialmente per precocità di fioritura (la prima più tardiva rispetto alla seconda di circa 10-20
giorni).
Dal 1999 la ricerca ha interessato altre specie (Lotus ornithopodioides L., Medicago ciliaris L.,
Medicago orbicularis (L.) Bartal., Astragalus hamosus L., Medicago hispida Gaerthner, Medicago rugosa
Desr.) e sono stati collezionati, prevalentemente nell’altopiano ragusano, 30 ecotipi, per ciascuno dei quali
sono stati rilevati la data di inizio e fine fioritura, la data di inizio e fine fruttificazione, la statura delle piante,
il numero di foglie per pianta, il tipo di accrescimento e ramificazione e le principali caratteristiche del seme.
Gli ecotipi, nell’ambito di ciascuna specie, sono risultati morfologicamente ben differenziati per tutti i
caratteri analizzati ad eccezione del numero di foglie. Tra le caratteristiche del seme, soltanto il peso 1000
semi ha fatto rilevare una buona corrispondenza tra i semi prodotti e quelli raccolti in situ l’anno precedente.
Negli anni successivi (2002-03 e 2003-04) è stata iniziata la selezione degli ecotipi più
”promettenti”, facendo riferimento all’epoca di fioritura, con lo scopo di selezionare linee più o meno
precoci. Al momento sembra che solamente per alcune specie (M. hispida e M. orbicularis) sia stato
possibile fissare linee diverse per precocità di fioritura, mentre è ancora in corso il lavoro di selezione per
alcuni caratteri agronomici (numero di baccelli per pianta e numero di semi per baccello).
Nel 2003 è stata incrementata la collezione di leguminose foraggere autoriseminanti con una raccolta
di 36 ecotipi appartenenti ai generi Astragalus, Lotus e Medicago provenienti da 14 ambienti dell’altopiano
Ragusano e nel 2004, il reperimento di ecotipi è stato esteso ad altre specie (Astragalus hamosus, Lotus
ornithopododies, Lotus edulis, Medicago aculeata, Medicago ciliaris, Medicago hispida, Medicago
intertexta, Medicago minima, Medicago orbicularis, Medicago rugosa, Trifolium spumosum, Trifolium
campestre, Trifolium tomentosum, Trifolium stellatum, Hippocreppis spp e Scorpiurus subvillosus) con la
raccolta di ulteriori 45 ecotipi, che saranno oggetto di una preliminare caratterizzazione
morfobioagronomica.
A partire dall’anno 2003, alcune delle suddette specie (Astragalus hamosus, Lotus ornithopododies,
Medicago ciliaris, Medicago hispida, Medicago orbicularis, Medicago rugosa, Scorpiurus subvillosus) sono
state impiegate come cover crops in agrumeti anche per effettuarne una selezione nelle mutate condizioni
ambientali (ombreggiamento, regime irriguo, ecc.); per ciascuna specie è stata valutata la capacità
d’insediamento, il relativo grado di copertura del terreno e di persistenza.
P. 23
VARIABILITÀ GENETICA IN POPOLAZIONI SICULE DI HELICHRYSUM RUPESTRE
ABBATE G. M.1 , AGRIMONTI C.2 , MARMIROLI N.2 , SCIALABBA A.1
1
2
Dipartimento di Scienze Botaniche - Università degli Studi di Palermo, Via Archirafi, 28-90123 PALERMO
Dipartimento di Scienze Ambientali - Università degli Studi di Parma, Parco Area delle Scienze 11/A- 43100 PARMA
Helichrysum, tassonomia, AFLP
Il genere Helichrysum Miller, (Asteraceae), comune nell’area mediterranea, si presenta come un
piccolo arbusto aromatico perennante, di colore verde-argento e con capolini di colore giallo-oro. E’ diffuso
in ambienti aridi e protetti dal freddo, con buona esposizione al sole, come pietraie, pareti a picco sul mare e
scarpate. I cespi di questa pianta vengono impiegati per scopi ornamentali (piante da vaso e da giardino,
produzione di essiccati), mentre i capolini sono usati in campo medicinale e veterinario per le loro proprietà
farmacologiche (antinfiammatorie, antipsorisiache, antiallergiche e diuretiche).
In Sicilia, H. rupestre (Raf.) DC. è presente con le var. rupestre (Raf.) DC., messerii Pign., errerae (Tineo)
Pign. e pendulum (Presl) Fiori. H. nebrodense Heldr. è stata considerata da Fiori come una varietà di H.
rupestre (Raf.) DC., che successivamente è stata elevata al rango di specie da Pignatti. Per quest’ultimo
autore i caratteri distintivi dei taxa ascrivibili a H. rupestre (Raf.) DC. sono labili pertanto esso potrebbe
includere anche altre stirpi. Tra queste H. hyblaeum Brullo che è morfologicamente distinta dalle entità
prima citate.
Lo scopo di questo lavoro è chiarire la relativa posizione tassonomica di H. nebrodense Heldr., H. hyblaeum
Brullo e delle varietà di H. rupestre supportando i dati morfologici con analisi di tipo genetico-molecolare. A
questo scopo è stata utilizzata la tecnologia AFLP (Amplified Fragment Length Polymorphism). L’analisi di
154 frammenti, ottenuti con quattro coppie di primer ha rivelato un grado di polimorfismo complessivo
piuttosto elevato (91%). Il gruppo che mostra un maggiore grado di polimorfismo è H. rupestre var. rupestre
(60%) seguito da H. hyblaeum and H. rupestre var. messeri.
L’analisi della varianza molecolare (AMOVA) ha rivelato che la variabilità è significativamente più alta tra
singoli individui che tra i diversi gruppi considerati. L’analisi cluster, basata sulle somiglianze genetiche dei
singoli individui ha rivelato che questi non si raggruppano a seconda delle popolazioni di provenienza, ma
sono variamente dispersi in gruppi indipendenti. I valori di somiglianza genetica tra i differenti taxa
analizzati hanno messo in evidenza la somiglianza di H. hyblaeum con H. rupestre var. errerae mentre H.
nebrodense è più distante dagli altri taxa, confermando la distinzione effettuata da Pignatti su base
morfologica.
Nel complesso questi risultati rivelano che la variabilità dei caratteri fenotipici è riscontrabile anche a livello
genetico. Altri tipi di marcatori basati su analisi di sequenze possono contribuire a completare
l’inquadramento sistematico delle entità siciliane di Helichrysum.
P. 24
ECOTIPI DI CAMOMILLA DELL’ITALIA CENTRALE: UNA RISORSA NATURALE DA
VALORIZZARE
TAVIANI P., ROSELLINI D.,VERONESI F.
Dipartimento di Biologia Vegetale e Biotecnologie Agroambientali, Facoltà di Agraria, Università di Perugia, Borgo XX Giugno 74,
06121 Perugia
Chamomilla recutita, piante officinali, oli essenziali
La camomilla (Chamomilla recutita (L.) Rauschert, 2n=2x=18) è una pianta spontanea della famiglie
delle asteracee utilizzata in campo medicinale, cosmetico ed erboristico.
Il nostro Paese importa quasi tutto il suo fabbisogno di camomilla, anche da Paesi che non
garantiscono standard qualitativi elevati.
La coltivazione è stata sperimentata con successo in alcune località italiane, ma non esistono varietà
costituite in Italia.
Nell’ambito del progetto di ricerca “Incremento della Produzione di Piante Officinali” (Ministero per
le Politiche Agricole e Forestali), abbiamo svolto, negli anni 1999-2001, un programma di caratterizzazione
di dieci ecotipi dell’Italia Centrale.
Le caratteristiche morfologiche e i caratteri produttivi (numero, dimensione e peso dei capolini,
quantità e qualità dell’olio essenziale, hanno mostrato, come era atteso, grande variabilità. Ciò che non era
atteso, però, è che la qualità dell’olio essenziale (contenuto di alfa-bisabololo e camazulene) è risultata pari o
superiore a quella della migliore varietà di controllo per quattro ecotipi su dieci.
I nostri dati mostrano inoltre che la composizione dell’olio essenziale è poco influenzata
dall’ambiente.
Due degli ecotipi migliori per la qualità dell’olio essenziale e per la resa in olio, sono stati utilizzati come
materiali di partenza per un programma di miglioramento genetico che punta a combinare le caratteristiche di
qualità dell’olio con buone caratteristiche produttive e agronomiche, come le grandi dimensioni dei capolini
e l’attitudine alla raccolta meccanizzata.
P. 25
VARIABILITA’ DI ESPRESSIONE GENICA IN GERMOPLASMA E SPECIE
COLTIVATE DI PISELLO DURANTE L’INFEZIONE DA NEMATODI.
VERONICO P., SAPONARO C., MELILLO M.T., BLEVE-ZACHEO T.
Istituto per la Protezione delle Piante, C.N.R., via Amendola 165/a, 70126 Bari, Italy
pisello, resistenza, cDNA-AFLP
L’impiego di approcci basati sulla genomica permette di intraprendere studi sulla variabilità della risposta di
genotipi diversi durante, tra l’altro, le complesse relazioni tra ospite e parassita. Il modello investigato nel
nostro laboratorio è stata l’interazione compatibile ed incompatibile tra Pisum sativum e il nematode
cisticolo Heterodera goettingiana. Il nostro proposito è stato di individuare geni differentemente espressi nel
genotipo resistente (reazione di ipersensibilità) e suscettibile (formazione dei sincizi) durante l’infezione. Il
profilo dell’espressione genica è stato ottenuto usando la tecnica cDNA-AFLP utilizzando come materiale di
partenza RNA totale estratto da radici di un germoplasma di pisello precedentemente individuato come
resistente (MG103738) e di una cultivar commerciale suscettibile (Progress 9). Cinquanta combinazioni di
oligonucleotidi, terminanti con sequenze corrispondenti ai siti di restrizione EcoRI e MseI e contenenti una
estensione selettiva di due nucleotidi, hanno prodotto 82 bande differentemente espresse. Le bande eluite da
gel, clonate in un vettore pGEM-T e sequenziate sono state analizzate mediante i programmi Blastn e Blastx.
Di queste, alcune bande sono risultate essere specifiche del genotipo resistente, suggerendo un potenziale
coinvolgimento dei geni corrispondenti nella risposta incompatibile, altre risultavano specificamente
espresse durante l’infezione e quindi imputabili a geni coinvolti nella interazione tra pianta e nematode.
P. 26
CARATTERIZZAZIONE ORGANOLETTICA DI ECOTIPI DI POMODORO
CAMPANO: PROFILI SENSORIALI E COMPOSIZIONE DELLA FRAZIONE
VOLATILE
SINESIO F.1, MONETA E.1, PEPARAIO M.1, PIOMBINO P.2, PESSINA R.2 , GENOVESE A.2, LISANTI M.T.2,
MOIO L.2
1
2
Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione
Università degli Studi di Foggia. Dipartimento di Scienze degli Alimenti
Pomodoro Campano, frazione volatile, analisi sensoriale
Gli studi sul miglioramento genetico del pomodoro sono stati fino ad oggi prevalentemente rivolti al
miglioramento della resa e della dimensione dei frutti, alla eliminazione dei difetti ed alla resistenza alle
malattie. La qualità organolettica, tuttavia, rappresenta un fattore non trascurabile e determinante nella scelta
da parte dei consumatori. Per tale motivo il miglioramento della qualità organolettica del pomodoro, una
delle principali colture in Italia, deve essere considerato un obiettivo fondamentale del suo miglioramento
genetico. Molti ecotipi locali, originari dell'Italia meridionale, presentano caratteristiche aromatiche
particolarmente apprezzate dai consumatori che tuttavia non sempre sono riscontrabili nelle omologhe
cultivar commerciali, più facilmente reperibili sul mercato.
Il presente lavoro riporta i primi risultati di una ricerca volta allo studio dell’aroma di 8 genotipi di
pomodoro Campano mediante tecniche di analisi sensoriale e strumentale.
Sono illustrate e discusse le relazioni tra i profili cromatografici quantitativi delle frazioni volatili (DHSSPME- GC-MS) e i profili sensoriali dei prodotti sviluppati da panel di assaggiatori qualificati attraverso
analisi descrittiva quantitativa, con il fine di valutare il potenziale impatto olfattivo. In particolare, l’indagine
è stata condotta con l’obiettivo di individuare specifiche molecole, o gruppi di molecole, responsabili delle
differenze delle sensazioni olfattive percepite per via nasale o retronasale nei genotipi di pomodoro: San
Marzano, Vesuviano, Corbarino, Sorrento, di produzione locale, e nei corrispettivi omologhi commerciali
(Ranco F1, Principe Borghese, Faino F1, Cuore di Bue).
Tecniche statistiche multivariate (PCA, PLSR) hanno permesso di semplificare l’interpretazione e descrivere
le relazioni tra le variabili (composti volatili e descrittori sensoriali del flavour) e le differenze dei campioni
(ecotipi di pomodoro), consentendo l’identificazione delle molecole volatili (marcatori molecolari) che
potrebbero avere una maggiore implicazione nell’espressione delle note sensoriali. L’indagine ha consentito
di ottenere uno spettro di molecole volatili che sembrano essere maggiormente coinvolte nell’espressione
delle note di fruttato (metil ed etil-ottanoato), di erbaceo (o foglia) e di scorza di cocomero (2
isobutiltiazolo), che descrivono le differenze sensoriali olfattive dei prodotti.
P. 27
ANALISI DELLA NORMA DI REAZIONE ALLO STRESS SALINO DI GERMOPLASMA
DI FRUMENTO DURO (TRITICUM DURUM DESF.) PROVENIENTE DALLA SICILIA
PILERI L.1 LACERENZA N.G.1, VENORA G.2, BENEDETTELLI S.1
1
2
Dipartimento di Scienze Agronomiche e Gestione del Territorio Agroforestale, Università degli Studi di Firenze.
Stazione Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia, Caltagirone (CT)
Triticum durum Desf., germoplasma, stress salino
In questi ultimi decenni si sta assistendo ad una diminuzione della produzione agricola mondiale a
causa della desertificazione dei suoli dovuta in particolar modo all’aumento della salinizzazione e della
alcalinizzazione dei medesimi (Sumner, 1998). L’Italia è fortemente esposta al rischio di desertificazione,
soprattutto nelle regioni meridionali; in Sicilia in particolare il 14% delle terre pianeggianti sono soggette
all’incremento della salinizzazione.
Per valutare la variabilità della norma di reazione allo stress salino in frumento duro (Triticum durum
Desf.), è stata eseguita in collaborazione con la Stazione Sperimentale di Granicoltura di Caltagirone una
collezione di germoplasma
costituito da otto tra vecchie e nuove cultivar (Bivona Lina, Romano, Platani, Capeiti, Karel, Simeto, Ciccio,
linea 422) e da sei landrace siciliane di frumento duro (Farro lungo, Russello, Bufala corta, Urria, Real forte,
Sicilia reste nere). Queste ultime si sono evolute per secoli in presenza di numerosi stress abiotici, incluse la
salinità e la siccità; risultando ben adattate alle locali condizioni pedoclimatiche. Esse costituiscono quindi
un patrimonio genetico valido, oltre che per lo studio della risposta allo stress salino in frumento duro, anche
per identificare genotipi o popolazioni da utilizzare in programmi di miglioramento genetico volti ad
incrementare la tolleranza agli stress delle varietà attualmente coltivate.
Sedici linee inbred ottenute dall’incrocio delle cultivar Karel e Capeiti, note rispettivamente per le
caratteristiche di suscettibilità e resistenza alla salinità, sono state utilizzate per verificare eventuali
associazioni genetiche e fisiologiche con il germoplasma considerato.
È stata allestita una prova in coltura idroponica e su piante esposte a stress salino di NaCl (16mS) e
di controllo (2mS) è stata eseguita sia una valutazione delle eventuali modificazioni anatomiche del culmo e
dei vasi cribrovascolari, sia la determinazione di parametri relativi allo sviluppo della pianta.
Dall’analisi multivariata è emerso le variabili che hanno un effetto macroscopico nei confronti della risposta
al sale sono comuni a tutti i genotipi considerati; e che la maggiore intensità di variazione (plasticità) si è
osservata nelle vecchie varietà e nelle landraces.
P. 28
CARATTERIZZAZIONE CHIMICA E TECNOLOGICA DI POPOLAZIONI SICILIANE
DI LENTICCHIA (LENS CULINARIS MEDIK.)
MELILLI M.G., RACCUIA S.A.1
1
Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFoM) del CNR, Sezione di Colture Erbacee Strategiche
Lens culinaris Medik., biodiversità, caratteristiche chimiche e tecnologiche
I cambiamenti nell'uso della terra che si sono verificati durante gli ultimi 50 anni, hanno portato nel
nostro Paese, dal dopoguerra ad oggi, ad una riduzione di oltre il 90% delle superfici destinate a lenticchia.
Attualmente la coltura interessa in Italia una superficie pari a poco più di 1700 ha, di cui circa il 30% è
localizzata in Sicilia. Questa notevole riduzione delle superfici ha comportato la scomparsa di diverse
popolazioni locali e l'esposizione di quelle ancora in coltura ad un alto rischio di erosione genetica con la
scomparsa di un patrimonio di enorme valore che non potrà più essere utilizzato dalle generazioni future. E’
pertanto auspicabile che il rilancio della coltivazione della lenticchia nel nostro Paese, passi anche attraverso
la valorizzazione di popolazioni locali già ben adattate ad areali spesso marginali al fine di consentire la loro
salvaguardia e conservazione nel tempo. In considerazione del fatto che in Sicilia si dispone, forse più che in
ogni altra regione d'Italia, di un panorama varietale piuttosto ampio, rappresentato quasi esclusivamente da
popolazioni locali, la Sezione di Colture Erbacee Strategiche ISAFoM - CNR, diretta dal Prof. Salvatore
Foti, ha iniziato ad effettuare delle ricerche volte a valutare le caratteristiche nutrizionali della granella di
popolazioni di lenticchia, reperite in diversi areali della Sicilia.
Nella presente nota, che si colloca all’interno delle ricerche su menzionate, l’attenzione è stata rivolta
alla caratterizzazione nutrizionale (contenuto in proteina grezza, zuccheri totali, fibra grezza, ceneri e
potassio) e tecnologica della granella (capacità e indice di idratazione) di dieci popolazioni siciliane, presenti
in collezione presso l’isafom, al fine di disporre delle conoscenze necessarie per promuoverne la
valorizzazione.
I risultati emersi da questa ricerca hanno messo in evidenza una notevole variabilità per quanto
riguarda il colore del seme e delle farine, e per alcuni caratteri nutrizionali, quali il contenuto in proteina
grezza, fibra grezza, zuccheri totali e potassio; in particolare ben cinque popolazioni hanno superato 27 g di
proteine 100 g-1 di s.s.; è stata inoltre riscontrata una buona variabilità per la capacità e l’indice di idratazione
della granella, con ‘Modica’ che ha presentato, tra le popolazioni, la maggior velocità di idratazione.
Questi risultati costituiscono una base concreta per identificare dei marcatori chimici e tecnologici in grado
di differenziare e caratterizzare le diverse popolazioni siciliane, inoltre mostrano che il materiale studiato
costituisce una buona fonte a cui attingere materiale per avviare un proficuo lavoro di miglioramento
genetico delle caratteristiche qualitative della granella di lenticchia. Sarebbe inoltre auspicabile l’avvio di
ulteriori ricerche per meglio comprendere i possibili rapporti tra ambienti tipici di coltivazione delle singole
popolazioni e caratteristiche di qualità della granella, al fine di fornire agli operatori del settore indicazioni
utili per l’eventuale istituzione di marchi di Indicazione Geografica Tipica (IGT) o Protetta (IGP).
P. 29
CARATTERIZZAZIONE BIO-AGRONOMICA E MOLECOLARE DI ECOTIPI
PUGLIESI DI MELONE, BARATTIERE E CAROSELLO
RICCIARDI L., LOTTI C., MARZANO F., ALBO M., DE GIOVANNI C.
Università degli Studi di Bari - Facoltà di Agraria
DiBCA – Sezione di Genetica e Miglioramento Genetico
Puglia, risorse genetiche, Cucumis melo L.
La Puglia ancor’oggi riveste notevole importanza per condurre esplorazioni finalizzate
all’individuazione, salvaguardia, raccolta e conservazione di risorse genetiche di numerose specie agrarie, in
particolare quelle orticole.
Purtroppo, per l’attuazione di simili programmi scientifici vi è scarsa attenzione da parte degli Enti
locali, cosi come limitati appaiono i finanziamenti accordati per la ricerca nel settore. Simili comportamenti
risultano limitanti non solo la protezione della biodiversità vegetale regionale, ma anche la sua
valorizzazione che, come accaduto in altre Regioni per alcune specie, potrebbe avere interessanti risvolti
economici a sostegno del reddito degli imprenditori agricoli e di alcuni settori dell’industria agro-alimentare.
Ai vantaggi precedentemente descritti vanno aggiunti anche quelli che deriverebbero ai miglioratori
vegetali e a ditte sementiere locali e nazionali, che potrebbero disporre di ampie quote di variabilità genetica,
pressoché inesplorata, per la conduzione di programmi di miglioramento genetico volti, nel medio e lungo
periodo, alla costituzione di varietà migliorate, ad elevata adattabilità agli ambienti meridionali. La
disponibilità di varietà costituite localmente rappresenterebbe un ulteriore beneficio economico per il
comparto agricolo in un settore, come l’orticolo, dove lo spinto utilizzo di ibridi fa si che le costituzioni
varietali in uso siano in gran parte importate da altri paesi, con effetti negativi sugli aspetti fitosanitari delle
colture e sulla bilancia dei pagamenti con l’estero.
Nel presente lavoro saranno illustrate le fasi di esplorazione e raccolta di ecotipi agrari di Cucumis
melo L. di origine pugliese, dando informazioni sulla consistenza di una collezione allestita presso la Sezione
di Genetica e Miglioramento Genetico del DiBCA di Bari.
Il lavoro mostrerà anche alcuni risultati ottenuti dalla caratterizzazione bio-agronomica e molecolare
dei predetti ecotipi, che comprendono anche genotipi di barattiere e carosello. Questi ultimi sono Cucumis i
cui frutti, consumati immaturi, rivestono notevole importanza economica nella regione, con previsioni
positive su un loro maggiore consumo e diffusione in altri mercati nazionali ed esteri.
Nelle conclusioni, inoltre, si riferirà di alcune azioni di breeding già intraprese sulle risorse genetiche in
oggetto, che hanno portato alla costituzione di linee inbred d’interesse agronomico, nonché a popolazioni
sperimentali utili alla conduzione di ulteriori studi genetici e di miglioramento genetico del Cucumis melo L.
P. 30
LA CONSERVAZIONE IN VITRO PER IL RECUPERO E LA VALORIZZAZIONE
DELLE RISORSE GENETICHE AGRARIE DELLA REGIONE UMBRIA
CONCEZZI L.1, DE SANTIS F.1, PALADIN C.1, CITAREI F.1, MICHELI M.2, PROSPERI F.2, STANDARDI A.2
1
2
3A-Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria Soc. cons. a r.l – Pantalla 06050 Todi (PG)
Dipartimento di Arboricoltura e Protezione delle Piante (Università degli Studi di Perugia) – Borgo XX giugno, 74 06121 Perugia
Biodiversità, conservazione del germoplasma, colture in vitro, micropropagazione
Nell’ambito del progetto “Valorizzazione delle risorse genetiche della Regione Umbria” la 3A-Parco
Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria (3A-PTA), in collaborazione con il Dipartimento di Arboricoltura
e Protezione delle Piante (DAPP) dell’Università degli Studi di Perugia, sta allestendo una banca del
germoplasma in vitro con lo scopo di collezionare ex situ tutte le specie e varietà locali d’interesse agrario, a
rischio di erosione genetica. I genotipi risultati più interessanti, anche in vista di un futuro reimpiego in
attività agricole, vengono sottoposti ad acclimatamento in serra e a successivo trasferimento in un campo
catalogo. Tra le tecniche di coltura in vitro, la micropropagazione consente di produrre, in tempi ridotti ed in
condizioni di asepsi (sterilità), elevate quantità di materiale vegetale a partire da un solo espianto iniziale (un
apice meristematico oppure una gemma, un nodo o una porzione di un germoglio) prelevato da una pianta
madre. La micropropagazione è una tecnica attualmente in via di diffusione nell’attività vivaistica e i
vantaggi che la caratterizzano fanno prevedere per essa un futuro lusinghiero. I genotipi in collezione,
appartenenti prevalentemente ai generi Malus, Pyrus, Prunus, Vitis, Olea e Ficus e ad alcune interessanti
ortive, sono stati oggetto di sperimentazione per quanto riguarda le metodologie per il trasferimento nelle
condizioni di coltura in vitro, procedendo secondo un protocollo comune, che prevede l’articolazione nelle
seguenti fasi: 1) prelievo dell’espianto dalla pianta madre on farm o presso appositi campi catalogo; 2)
sterilizzazione degli espianti iniziali e avvio alla coltura asettica (stabilizzazione); 3) moltiplicazione e
conservazione in vitro; 4) radicazione in vitro. Per alcune specie/varietà si è proceduto, dopo la radicazione,
al trapianto in condizioni di ex vitro e quindi ad acclimatamento in serra, in vista del loro trasferimento in
campo. Nel corso della sperimentazione è risultato evidente come la risposta alla coltura in vitro sia
strettamente correlato al genotipo ed all’epoca di prelievo. Allo stato attuale dei lavori, i risultati più
incoraggianti sono stati ottenuti sulle Pomacee, che in generale hanno mostrato una buona risposta alla
coltura in vitro. Buoni risultati sono stati raggiunti anche con il genere Ficus, il sedano Nero di Trevi (per il
quale si è anche proceduto a risanamento fitosanitario) ed il pomodoro di Mercatello.
Per queste specie è stato possibile procedere al successivo lavoro di conservazione a basse temperature ed
anche all’acclimatamento in serra delle piantine opportunamente radicate in vitro. Allo stato attuale, presso
la 3A-Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria, dopo tre anni dall’avvio del progetto “Valorizzazione
delle risorse genetiche della Regione Umbria”, sono in collezione 45 varietà locali d’interesse agrario
appartenenti a 12 specie diverse. Nella sperimentazione in corso è stato incluso anche lo zafferano, sebbene
il materiale di propagazione, utilizzato alcuni anni fa per il ripristino della coltivazione in Umbria, provenga
dall’altopiano di Navelli in Abruzzo.
P. 31
DNA DA MATRICI COMPLESSE: TRACCIABILITA’ MOLECOLARE LUNGO LA
FILIERA PRODUTTIVA
DI BERNARDO G., GALDERISI U., SQUILLARO T., DEL GAUDIO S., CIPOLLARO M., CASCINO A.
Dipartimento Di Medicina Sperimentale, Sezione Di Biotecnologie E Biologia Molecolare
Tracciabilità genetica, agoalimentare, DNA
Obiettivi
La crescita di sensibilità dei consumatori e la richiesta di garanzie sulla qualità di prodotti
commercializzati hanno portato la Comunità Europea ad attivare sistemi di controllo e certificazione per
garantire una maggiore trasparenza e qualità dei prodotti. Le normative in vigore riguardano sia il settore
agroalimentare, dove è richiesto l’accertamento dei valori soglia di OGM permessi, sia il settore conciario
per cui il Ministero della Salute ha emanato un’ordinanza introducendo il divieto di importazione,
produzione, detenzione e commercializzazione di pellicce ottenute da animali domestici. Fra gli strumenti
utili alla tracciabilità di un dato prodotto, le tecniche biomolecolari occupano un posto importante in quanto
consentono di identificare sequenze di DNA relative a specifici marcatori molecolari.
Le competenze acquisite dal nostro gruppo di ricerca in campo archeologico-molecolare (estrazione e
caratterizzazione di DNA da reperti biologici) hanno consentito di applicare le metodologie da noi sviluppate
a campioni di DNA estratto da altre matrici complesse fornendo un enorme contributo per i controlli di
qualità in tutte le fasi della trasformazione.
Metodi
Le tecniche di estrazione di DNA dalle varie matrici sono state di volta in volta adattate alla natura del
materiale in esame. La messa a punto di diversi protocolli di estrazione ha consentito di ottenere del DNA
integro e con un grado di purezza tale da poter eseguire le successive indagini.
Per quanto riguarda i prodotti agroalimentari, con la tecnica RAPD-PCR è stato valutato
preliminarmente il grado di amplificabilità del DNA estratto e con la successiva PCR specifica è stato
amplificato il target di interesse.
In molti casi, le fasi di lavorazione di un prodotto potrebbero indurre stress termici, chimici o
meccanici i cui effetti si ripercuotano sulla struttura a doppia elica del DNA danneggiandola: pertanto la
quantità di DNA estratto risulterebbe talmente scarsa da non permettere di effettuare indagini con la classica
reazione di PCR. In questi casi l’applicazione di una tecnica da noi messa a punto, il riparo enzimatico, si è
dimostrata particolarmente utile nel facilitare l’analisi per la tracciabilità del DNA.
Per quanto riguarda il settore conciario, utilizzando primers specie-specifici, è stata effettuata la
caratterizzazione genetica delle pelli analizzate amplificando un e sequenziando un frammento della regione
di controllo del DNA mitocondriale che, essendo altamente polimorfico, consente di identificare in maniera
univoca la specie di appartenenza.
Risultati
L’ottimizzazione di opportuni protocolli sperimentali ha permesso di estrarre ed analizzare DNA da
diversi prodotti agroalimentari: fico (Ficus carica: foglie, confettura, frutto secco) granturco (Zea mays:
semi) frumento (Triticum aestivum: semi wild-type e OGM) patata (Solanum tuberosum: buccia e fiocchi)
pomodoro (Lycopersicum esculentum: frutto fresco e conserva) “friariello” (Brassica oleracea foglie
fresche).Protocolli simili hanno consentito di analizzare DNA da pellicce derivanti dall’industria conciaria.
Conclusioni
L’applicazione di tecniche biomolecolari permette di ottenere risultati attendibili in tempi brevi, fornendo un
obiettivo strumento per verificare l’origine di un prodotto.
P. 32
RACCOLTA, CARATTERIZZAZIONE E SELEZIONE DI GENOTIPI DI VICIA FABA L.
ABBATE V.1, TUTTOBENE R.1, MARCHESE M.1, AVOLA G.2
1
2
Università di Catania, DACPA – Sezione Scienze Agronomiche
CNR - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFoM)
Fava, germoplasma, varietà tipiche
A partire dall’annata 1976/77 sono stati raccolti, prevalentemente in Sicilia e presso agricoltori che li
coltivavano da tempo, 125 genotipi di Vicia faba L. (major, equina e minor), che sono stati riprodotti
periodicamente (ogni 2-3 anni) e caratterizzati in ciascun ciclo di riproduzione, per parametri biologici
(inizio e fine fioritura, maturazione fisiologica), biometrici (statura della pianta) e per la produzione in
granella.
Questo germoplasma, che nel tempo si è selezionato anche per effetto delle condizioni ambientali in
cui veniva riprodotto, è stato oggetto di selezione diretta intra ed intergenotipica (individuale e massale) per
alcune caratteristiche (precocità di fioritura, colore del seme, colore dell’ilo, portamento del baccello,
numero di baccelli per pianta) e sono state ottenute 39 linee (10 appartenenti alla varietà botanica minor, 13
alla equina, 16 alla major).
Successivamente è stato reperito altro germoplasma proveniente da Paesi del Nord Africa e del centro
Europa e, dopo un preliminare lavoro di caratterizzazione, sono state selezionate altre 18 linee di Vicia faba
minor a peso unitario molto basso (circa 400 g/1000 semi) ed a seme chiaro. Quest’ultimo materiale è anche
stato impiegato in programmi d’incrocio ed attraverso cicli di selezione sono state ottenute linee stabilizzate,
a seme piccolo e chiaro, alcune delle quali potrebbero essere proposte per l’iscrizione al Registro.
Inoltre, con lo scopo di valorizzare le produzioni più rappresentative e tutelare alcune produzioni
tipiche siciliane è stato avviato un programma di ricerca rivolto alla caratterizzazione di due popolazioni di
fava major, la “larga di Leonforte” e la “cottoia di Modica”. L’obiettivo, per ciascuna di queste tipologie di
prodotto, è di individuare le specifiche di riferimento ai fini della definizione delle opportune caratteristiche
di tipicità per l’ottenimento del riconoscimento DOP (o IGP), che consentano non solo la promozione, ma la
salvaguardia a tutti i livelli di un patrimonio unico ed inestimabile.
Nel corso dell’estate del 2001 è stata effettuata una raccolta di seme nelle aree dove le due popolazioni
vengono tradizionalmente coltivate (la collina interna della provincia di Enna e l’altopiano ibleo nella Sicilia
sud-orientale) per complessivi 6 ecotipi per la “fava larga di Leonforte”, e 13 per la “cottoia di Modica”.
Relativamente alla ‘fava larga di Leonforte’, l’elevato peso del seme riscontrato in alcuni ecotipi,
caratteristica peculiare di questa popolazione (superiore a 2.700 g per 1000 semi), e la relativa stabilità del
carattere nel tempo, ha permesso di selezionare un ideotipo che è attualmente oggetto di caratterizzazione sia
morfo-bio-agronomica che qualitativa. Ancora in corso, invece, è la selezione degli ecotipi di fava ‘cottoia’
di Modica, indirizzata verso l’individuazione di linee la cui consistenza (softening) della granella in relazione
al tempo di cottura sia quanto più bassa possibile.
P. 33
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI AGRO-ECOTIPI DI RADICCHIO ROSSO
E VARIEGATO DEL VENETO
BARCACCIA G., BRAKE M., PARRINI P., LUCCHIN M.
Dipartimento di Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali – Università di Padova
Cichorium intybus, marcatori molecolari, variabilità genetica.
Ventitre popolazioni di radicchio (Cichorium intybus L.) reperite presso gli agricoltori e riconducibili
ai cinque principali tipi coltivati nel Veneto, Rosso di Chioggia (7 popolazioni), Rosso di Verona (2),
Variegato di Castelfranco (5), Rosso di Treviso Precoce (3) e Rosso di Treviso Tardivo (6), sono state
caratterizzate, mediante marcatori molecolari multi-locus, con lo scopo a) di stimare la variabilità genetica
presente tra ed entro tipi coltivati e b) di individuare, per ciascun tipo, i genotipi potenzialmente in grado di
rappresentare il nucleo di parentali per la costituzione di varietà sintetiche. A questo fine è stata inoltre
avviata la costruzione di una mappa genetica che dovrebbe consentire la messa a punto di un sistema di
riferimento molecolare, basato sull’impiego di marcatori di posizione nota, per l’identificazione univoca
degli agro-ecotipi veneti di radicchio.
Le popolazioni, rappresentate ciascuna da almeno 30 piante, sono state analizzate su base singola
pianta mediante marcatori RAPD, utilizzando cinque primer, e contemporaneamente in bulk di sei piante
ciascuno con marcatori AFLP, impiegando tre combinazioni di primer Pst+NN/MseI+NNN.
Per quanto riguarda le indagini condotte su base individuale, l’analisi di raggruppamento condotta
utilizzando la matrice dei coefficienti di similarità genetica (SG) di Dice, non ha consentito di differenziare i
genotipi in funzione del tipo di appartenenza. Il valore più elevato di SG media è stato osservato per il Rosso
di Verona (0.917), mentre quello più ridotto per il Variegato di Castelfranco (0.884). Il valore medio di
diversità genetica entro popolazione è risultato pari 0.228, con variazione compresa tra 0.110 e 0.217.
L’indice di fissazione (GST) è risultato pari a 0.329, indicando così che circa il 67% della variabilità genetica
complessiva è presente entro tipi e solamente il rimanente 33% tra i tipi. La moderata differenziazione
genetica tra i tipi coltivati è confermata dal ridotto valore di flusso genico (Nm=1.020).
Le analisi molecolari condotte con marcatori AFLP hanno consentito di separare la maggior parte dei
bulk secondo il tipo di appartenenza. L’analisi di raggruppamento ha permesso di suddividere i campioni
esaminati in due gruppi principali: il primo costituito dai campioni di Rosso di Treviso Precoce e Tardivo e
Rosso di Verona, il secondo da quelli di Rosso di Chioggia e Variegato di Castelfranco.
I risultati ottenuti dalle analisi molecolari, oltre a permettere di ricostruire le relazioni filogenetiche tra i
cinque principali tipi di radicchio, hanno consentito, unitamente a osservazioni di tipo morfologico, di
valutare la variabilità genetica che caratterizza gli ecotipi di radicchio, di selezionare le popolazioni più
rappresentative entro ciascun tipo e, nell’ambito delle popolazioni risultate più simili sotto il profilo
molecolare, di individuare gruppi di piante con caratteristiche morfologiche simili che sono stati utilizzati per
impiantare campi di interincrocio.
P. 34
CARATTERIZZAZIONE CARPOLOGICA E QUALITATIVA DI 15 CULTIVAR DI
MANDORLO DI ORIGINE PUGLIESE*
DE GIORGIO D1., LAMASCESE N.1, ZACCHEO G.2, N., LEO L.2
1
2
Istituto Sperimentale Agronomico, via C. Ulpiani, 5 – 70125 Bari
Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari – sezione di Lecce, via Prov.le Lecce- Monteroni, 73100 Lecce
Su un gruppo di 15 cultivar di mandorlo di origine pugliese, in collezione nel campo del germoplasma
del mandorlo dell’Istituto Sperimentale Agronomico (ISA) di Bari, è stato condotto uno studio sulla
caratterizzazione produttiva, carpologica e qualitativa dei frutti di mandorlo. La ricerca è stata realizzata nel
biennio 2002-2003, in collaborazione tra l’ISA per gli aspetti agronomici e l’ISPA di Lecce per i parametri
qualitativi.
Le cultivar scelte per l’indagine derivano da diverse aree a vocazione mandorlicola del territorio
pugliese e sono: Montrone, Chino, Santoro, Tenente, Piangente, Pidocchioso, Pignatidde, Banchiere, Mollese
di Canneto, Genco, Santeramo, Zia Comara, Mincone, Rana Gentile, Falsa Catuccia.
Al fine di arricchire le conoscenze sulle caratteristiche delle numerose cultivar autoctone presenti sul
territorio, è stato condotto questo studio con l’obbiettivo di valutare oltre alla produzione, i principali
parametri della qualità agronomica dei frutti (resa in sgusciato, peso seme, presenza di semi doppi e abortiti)
e alcuni aspetti della qualità chimica (lipidi totali e alfa-tocoferolo).
Fra le cultivar esaminate la Montrone, pur con una presenza di semi doppi un po’ elevata è quella che
racchiude la migliore combinazione dei parametri osservati sia agronomici, con una buona produzione di
semi per pianta (kg 3,06), un buon peso seme, assenza di semi abortiti e un buon contenuto in alfa-tocoferolo
(567 µg/g p.s.) e in lipidi totali (480 mg/g p.s.). Fra le altre cultivar di buon interesse troviamo la Chino, la
Santoro e la Tenente. Tutte le altre cultivar presentano dei valori produttivi che oscillano tra 1,5 e 1 kg per
pianta, una resa in sgusciato tra il 26,9 % della Tenente e il 50, 3 % della Mollese di Canneto. Il contenuto in
lipidi totali è di buon livello e oscilla tra 478 mg/g p.s della Chino e della Santeramo e il 573 della Falsa
Catuccia e della Mincone. Il contenuto in alfa-tocoferolo presenta una maggiore variabilità con il valore più
elevato nella Montrone, seguita da un gruppo di 5 cultivar (Zia Comara, Chino, Santoro, Tenente e Rana
gentile) con valori compresi tra 451 e 404 µg/g p.s. I valori delle rimanenti cultivar sono comprese tra 394 e
193 µg/g p.s.
P. 35
VALUTAZIONE PRODUTTIVA E CONFRONTO GENOTIPICO DI 20 CULTIVAR DI
MANDORLO DI ORIGINE PUGLIESE*.
DE GIORGIO D.1, LAMASCESE N.1, RESTA P.2, PALASCIANO M.A.2, LAMAJ F.2
1
Istituto Sperimentale Agronomico, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Via C. Ulpiani 5, Bari,
2
Dipartimento di Biologia e Chimica Agro-forestale e ambientale (DiBCA), Università degli Studi di Bari, Via Amendola 165/A,
Bari.
Su un gruppo di 20 cultivar di mandorlo, scelte fra le più rappresentative sul territorio mandorlicolo
pugliese (Albanese, Antonio De Vito, Barese, Barlettana, Cacciola,, Catalini, Catuccia, Catucedda, Cento
Pezze, Ciavea, Cosimo Di Bari, Cristomorto, D'Aloia, Ferrante, Filippo Ceo, Fragiulio, Franciscudda,
Galgano, Irene Lanzolla, Tuono) sono stati condotti studi agronomici e genetici.
La ricerca è stata condotta nel biennio 2002-2003, sulle cultivar di mandorlo in collezione nel campo
del germoplasma del mandorlo dell’Istituto Sperimentale Agronomico di Bari. Per gli aspetti agronomici
sono stati presi in considerazione, la produzione per pianta, la resa percentuale, il peso seme e l’incidenza
dei semi doppi; per quelli genetici sono state valutate la presenza di eventuali sinonimie con analisi di
biologia molecolare.
Fra le 20 cultivar osservate la Barlettana ha fatto registrare la migliore combinazione tra produttività
in sgusciato (2,26 kg /pianta di seme), resa in sgusciato del 41,7 % la più elevata del gruppo, un buon peso
seme di 1,42 g e un incidenza di semi doppi non elevata dell’8%. In ordine decrescente di produttività
troviamo la Cristomorto con 1,90 kg di seme per pianta, con una resa del 28 %, un peso seme di 1, 24 e una
bassa incidenza di semi doppi di appena il 3%. Successivamente troviamo la Catuccia, la Filippo Ceo e la
Tuono con una produzione compresa tra 1,7 e 1,5 kg/pianta. La Fragiulio, l’Albanese e l’Antonio De Vito
presentano la più bassa incidenza di semi doppi, compresa tra zero e 0, 5% ma con una produzione in semi
di kg 1,23/pianta nella prima e inferiore a 1 kg/pianta le altre due. La D’Aloia che ha fatto registrare il peso
seme più elevato di 1,64 g e con una buona resa in sgusciato di quasi il 40 %, però con una bassa produzione
di seme per pianta (0,8 kg).
Sul gruppo delle cultivar prescelte sono state impiegate numerose variabili polimorfiche, ossia scelte
fra le bande AFLP per essere presenti in alcuni campioni ed assenti in altre. Le bande AFLP sono state
generate con l’impiego di più combinazioni di primer, delle quali alcune su DNA solo parzialmente replicati
ed altre su DNA tutti replicati. Per l’ottenimento della matrice di similarità è stato impiegata la procedura
“Simple Matching”, mentre per il dendrogramma il metodo ”UPGMA”.
I risultati mostrano che l’impiego di repliche (analisi in duplicato) consente una riduzione dell’errore
sperimentale dovuto alla presenza di bande spurie. Tale riduzione, mentre non appare importante nelle
procedure di stima di similarità, riveste un ruolo più critico nelle analisi di corrispondenza varietale. Per
quest’ultimo aspetto un numero sufficiente di profili molecolari sono stati analizzati da consentire di
determinare con elevata probabilità l’appartenenza o meno di un campione ignoto al gruppo analizzato. Per
le relazioni di similarità fra questo gruppo di cultivar non appaiono aggregazioni tali da far ipotizzare
sinonimie o strette parentele. A livello di tendenze, che dovranno essere confermate da ulteriori
approfondimenti, aggregazioni forse significative si possono intravvedere fra Tuono, Albanese e Fragiulio,
fra Cosimo di Bari e Centopezze, fra Irene Lanzolla e Franciscudda, e fra Barese e Filippo Ceo.
P. 36
CARATTERIZZAZIONE GENETICA E PRODUZIONE VIVAISTICA DI UNA
POPOLAZIONE IBRIDOGENA DI JUGLANS SP.
2
DUCCI F.⊗ 1, PROIETTI R.1, AVANZATO D. , MAJOR A.3, MALVOLTI M.A.4, MEZZALIRA G.5, PIETRUCCI
M.2, POLLEGIONI P.4
1
CRA-ISSA, Istituto Sperimentale per la Selvicoltura, Centro di Informazione sulla Biodiversità Forestale, Viale S. Margherita, 80 –
52100 Arezzo, Italia
2
CRA-ISF, Istituto Sperimentale per la Frutticoltura, Via di Fioranello, Ciampino, Roma, Italia
3
Dep. of Genetics, Eotvos Roland University, Pazmany Peter Senatny, Budapest, Hungary
4
CNR-IBAF, Istituto di Biologia agro-ambientale e forestale, Viale Marconi, Porano (TR), Italia
5
Paulownia Italia srl, Via Marosticana, 2 - 36050 Bolzano Vicentino (VI), Italia
Coordinatore del sottoprogetto “Biodiversità e produzione di materiali forestali di propagazione” - Programma Nazionale
Finalizzato MiPAF “RISELVITALIA”
⊗
Gli ibridi interspecifici, sia di specie erbaceee che arboree, presentano caratteri fenotipici intermedi
rispetto alle specie parentali e fenomeni di eterosi che consentono produzioni quantitativamente più
abbondanti e una migliore adattabilità ambientale.
Tra le specie impiegate in arboricoltura da legno, riscuote notevole interesse l’ibrido ottenuto tra
Juglans nigra L. e Juglans regia L., prodotto ormai da alcuni anni in Francia. Per questo motivo, anche
nell’ambito del Programma Finalizzato MiPAF “RISELVITALIA”, è stata studiata una popolazione mista di J.
nigra e J. regia, situata presso Bressanvido (Vi), capace di produrre ibridi interspecifici naturali di noce.
Poiché una delle finalità di RISELVITALIA è il reperimento di materiali di base di qualità da impiegare
nella filiera vivaistica, lo studio della popolazione Bressanvido viene portato avanti da 5 unità di ricerca con
l’obiettivo di monitorare la struttura genetica con marcatori biochimici (isoenzimi) e molecolari (RAPDs e
ISSR), eseguire test di progenie e realizzare arboreti di conservazione ex situ e di produzione.
La popolazione è attualmente costituita da 23 individui, di cui 8 appartenenti alla specie nigra, 11 alla
specie regia e 4 ibridi. Per tutte le piante sono stati studiati i caratteri fenotipici di gemme, foglie e corteccia
e i 4 ibridi hanno presentato morfologia intermedia alle 2 specie parentali. Un primo screening della struttura
genetica è stato eseguito tramite elettroforesi di 8 sistemi isoenzimatici (DIA, SKDH, 6-PGD, PGM, GOT,
PGI, MDH e IDH), che hanno consentito di individuare 13 loci polimorfici e 31 alleli.
L’analisi delle componenti principali e dei cluster suddividono la popolazione in 3 gruppi, all’interno
dei quali ci sono gli individui appartenenti o alla specie J. nigra, oppure a J. regia, o gli ibridi.
I loci che hanno consentito di distinguere i 3 raggruppamenti sono stati: PGI-2, GOT-1,2,3, PGM-1
(Hüssendorfer 1996, 1998; McGranahan et al., 1986). I risultati di questa prima indagine confermano che gli
individui con caratteri fenotipici intermedi sono, dal punto di vista genotipico, eterozigoti tra le due specie di
Juglans.
I marcatori molecolari hanno confermato quanto sopra e sono in corso ricerche sulle relazioni parentali
degli ibridi all’interno della popolazione. Un primo dato importante riguarda inoltre una delle piante madri di
noce americano che ha corredo cromosomico triploide.
Per questo motivo, l’indagine proseguirà con lo studio anche delle discendenze ottenute da questa
popolazione, aprendo interessanti prospettive per il miglioramento genetico
Gli ibridi interspecifici, sia di specie erbaceee che arboree, presentano caratteri fenotipici intermedi
rispetto alle specie parentali e fenomeni di eterosi che consentono produzioni quantitativamente più
abbondanti e una migliore adattabilità ambientale.
Tra le specie impiegate in arboricoltura da legno, riscuote notevole interesse l’ibrido ottenuto tra Juglans
nigra L. e Juglans regia L., prodotto ormai da alcuni anni in Francia. Per questo motivo, anche nell’ambito
del Programma Finalizzato MiPAF “RISELVITALIA”, è stata studiata una popolazione mista di J. nigra e J.
regia, situata presso Bressanvido (Vi), capace di produrre ibridi interspecifici naturali di noce.
Poiché una delle finalità di RISELVITALIA è il reperimento di materiali di base di qualità da impiegare
nella filiera vivaistica, lo studio della popolazione Bressanvido viene portato avanti da 5 unità di ricerca con
l’obiettivo di monitorare la struttura genetica con marcatori biochimici (isoenzimi) e molecolari (RAPDs e
ISSR), eseguire test di progenie e realizzare arboreti di conservazione ex situ e di produzione.
La popolazione è attualmente costituita da 23 individui, di cui 8 appartenenti alla specie nigra, 11 alla
specie regia e 4 ibridi. Per tutte le piante sono stati studiati i caratteri fenotipici di gemme, foglie e corteccia
e i 4 ibridi hanno presentato morfologia intermedia alle 2 specie parentali. Un primo screening della struttura
genetica è stato eseguito tramite elettroforesi di 8 sistemi isoenzimatici (DIA, SKDH, 6-PGD, PGM, GOT,
PGI, MDH e IDH), che hanno consentito di individuare 13 loci polimorfici e 31 alleli.
L’analisi delle componenti principali e dei cluster suddividono la popolazione in 3 gruppi, all’interno
dei quali ci sono gli individui appartenenti o alla specie J. nigra, oppure a J. regia, o gli ibridi.
I loci che hanno consentito di distinguere i 3 raggruppamenti sono stati: PGI-2, GOT-1,2,3, PGM-1
(Hüssendorfer 1996, 1998; McGranahan et al., 1986). I risultati di questa prima indagine confermano che gli
individui con caratteri fenotipici intermedi sono, dal punto di vista genotipico, eterozigoti tra le due specie di
Juglans.
I marcatori molecolari hanno confermato quanto sopra e sono in corso ricerche sulle relazioni parentali
degli ibridi all’interno della popolazione. Un primo dato importante riguarda inoltre una delle piante madri di
noce americano che ha corredo cromosomico triploide.
Per questo motivo, l’indagine proseguirà con lo studio anche delle discendenze ottenute da questa
popolazione, aprendo interessanti prospettive per il miglioramento genetico.
P. 37
VARIABILITÀ BIO-AGRONOMICA, QUALITATIVA E MOLECOLARE DI UNA
COLLEZIONE DI POMODORINI DELL’ECOTIPO “CORBARINO”
GIORDANO I.1, PENTANGELO A1., PARISI M.1, ZACCARDELLI M.1, MAINOLFI A.1 , VILLARI G.2, DI
MAURO A.3
1
Istituto Sperimentale per le Colture Industriali, Mi.P.A.F. – S.S. 18, n° 156 – 84091 Battipaglia (SA). E-mail: [email protected]
Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve alimentari – Sede di Angri (SA)
3
Regione Campania, Se.S.I.R.C.A., Napoli
2
Lycopersicon esculentum Mill, biotipi, AFLP
Nel comprensorio campano che si estende tra il Vesuvio, i monti Picentini ed i monti Lattari, vengono
coltivate, da diversi decenni, alcune popolazioni di pomodoro caratterizzate da pianta ad accrescimento
indeterminato e frutti di piccole dimensioni. Uno degli ecotipi più noti è sicuramente il “Corbarino” il cui
nome deriva dalla zona di origine, il comune di Corbara (Sa) alle falde dei monti Lattari.
Allo scopo di salvaguardare e valorizzare questo prezioso patrimonio genetico è stata condotta una
pluriennale sperimentazione, finanziata sia dalla regione Campania che dal MiPAF, che ha riguardato: la
raccolta di germoplasma, la caratterizzazione morfo-fisiologica, qualitativa e molecolare del materiale
genetico reperito, l’idoneità alla trasformazione industriale, l’individuazione dei biotipi migliori, il
miglioramento della tecnica colturale, la stesura di un disciplinare di produzione.
I risultati hanno evidenziato una notevole variabilità bio-morfologica, tra i diversi biotipi, mentre
l’analisi molecolare ha evidenziato una discreta uniformità tra i biotipi e una netta differenziazione di questi
ultimi dalle varietà commerciali di pomodorini.
L’attività svolta ha permesso di individuare il biotipo dotato delle migliori performance produttive e
qualitative (con riguardo sia agli aspetti nutrizionali che all’idoneità alla trasformazione).
Tutti i dati rilevati hanno contribuito alla stesura di un disciplinare di produzione, necessario per la prossima
richiesta di attribuzione di un marchio di qualità.
P. 38
CARATTERIZZAZIONE TRAMITE CITOFLUORIMETRIA A FLUSSO E MARCATORI
MOLECOLARI DI UNA COLLEZIONE DI AGRUMI.
FIOCCHETTI F., NARDI L.1, BARCACCIA G.2, ROSELLI M., ABBATE L.3, TUSA N.3, LUCRETTI S.
ENEA C.R. Casaccia, Sez. Genetica e Genomica, Via Anguillarese 301 - 00060 Roma, Italia
ENEA C.R. Trisaia, Sez. Genetica e Genomica, S.S. Ionica Km 106, Rotondella (MT), Italia
2
Dip. Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali, Universita’ di Padova (Padova) Italia
3
C.N.R., Istituto di Genetica Vegetale, Sez. Palermo, C.so Calatafimi 414, Palermo, Italia
1
ISSR, livello di ploidi, dendogrammi di similarità - Citrus
L’agrumicoltura riveste un elevato interesse economico per le regioni centro-meridionali italiane, dove e’
spesso possibile rintracciare varieta’ locali con un alto valore potenziale. I programmi di incrocio nel genere
Citrus sono ostacolati da una lunga fase giovanile e un sistema riproduttivo che può alternare generazioni
zigotiche e apomittiche prolungando i tempi, ed a volte vanificando gli sforzi, per l’ottenimento di nuove
varietà. I marcatori molecolari rappresentano un metodo adatto sia per confermare l’identità genetica che per
mettere in luce la diversità esistente tra i materiali; la citometria a flusso permette invece di stimare il livello
di ploidia in maniera rapida ed affidabile. La combinazione di queste due metodologie rappresenta un modo
assai efficace per riconoscere l’origine somatica o zigotica di un embrione. Questo approccio si mostra poi
come quello di scelta quando si vogliano analizzare ibridi derivati da incroci tra varietà poliembrioniche con
diversi livelli di ploidia. Una sotto-collezione che comprende circa trenta varietà ed ibridi somatici, costituita
presso l’Azienda Sperimentale di Lascari (PA) del CNR-Istituto di Genetica Vegetale (IGV), assieme altri
individui provenienti da altre aree vicine vocate, è stata caratterizzata mediante la tecnica molecolare degli
inter-microsatelliti (ISSR) e la citometria per definirne il livello di ploidia. Per raggiungere l’obiettivo sono
state utilizzate piu’ di 50 sonde molecolari ancorate all’estremità 5’ e 3’ e tra queste ne sono state scelte 16 in
grado di generare polimorfismi che hanno permesso di costruire dendrogrammi di similarità genetica. Sono
quindi state individuate bande polimorfiche e singoli marcatori discriminanti da utilizzare per identificare
singoli tipi di Citrus sinensis, C. reticulata, C. aurantium e C. limon e per valutare l’ammontare della
diversità genetica tra gli ibridi. Questi dati si vanno ad integrare con quelli gia’ prodotti dall’IGV ed in
ulteriore approfondimento, costituendo una piu’ estesa banca di dati e di informazioni descrittive della
collezione, da diffondere successivamente su un sito WEB di possibile costituzione CNR-ENEA.
P. 39
VARIETÀ LOCALI DI POMODORO DEL LAZIO SUSCETTIBILI DI
VALORIZZAZIONE: "SCATOLONE DI BOLSENA" E "SPAGNOLETTA DEL GOLFO
DI GAETA E FORMIA"
MAZZUCATO A., MOSCONI P., SILIGATO F., SORESSI G.P.
Dipartimento di Agrobiologia e Agrochimica, Università degli Studi della Tuscia, Via S.C. de Lellis snc, 01100 Viterbo, Italy;
[email protected]
Pomodoro, regione Lazio, varietà locali
Il contributo descrive due varietà locali di pomodoro autoctone della Regione Lazio, con diffusione
tipicamente di nicchia, che meriterebbero maggiore valorizzazione in quanto dotate di caratteristiche
organolettiche di pregio.
Il pomodoro “Scatolone” è una varietà da mensa che costituisce uno dei prodotti tipici dell’orticoltura
del comprensorio agricolo circostante il lago di Bolsena, nell’Alta Tuscia laziale. La caratteristica saliente di
questo pomodoro a bacca appiattita e costoluta è la presenza, all’interno delle logge, di piccole cavità tra
mesocarpo ed endocarpo (“scatolatura”). Questo carattere, ritenuto di pregio per motivi estetici e culinari,
assieme ad eccellenti qualità organolettiche, fa dello Scatolone un prodotto molto apprezzato e ricercato dai
consumatori, sia a livello locale che nei mercati limitrofi. Il pomodoro Scatolone di Bolsena è stato oggetto
di interventi di tutela a livello regionale, quali l’inclusione nel Registro Volontario della risorse genetiche
autoctone di interesse agrario e nell’elenco del materiale vegetale minacciato da erosione genetica per cui
sono previsti aiuti alla coltivazione in situ. A livello più strettamente territoriale, la Comunità Montana Alta
Tuscia Laziale ha inserito lo Scatolone nel paniere di prodotti certificabili con il marchio collettivo “Prodotti
Tipici dell’Alta Tuscia”. Nonostante questi interventi abbiano posto le basi per la tutela del pomodoro
Scatolone di Bolsena, recentemente la sua coltivazione ha subito un declino, sia come superficie coltivata,
sia come qualità e omogeneità del prodotto. E’ chiaro che un vero rilancio della coltura è subordinato alla
soluzione di problematiche di carattere genetico ed agronomico che ne rendono aleatoria la redditività
(suscettibilità a patogeni tellurici, presenza di piante semi-sterili, suscettibilità al marciume apicale e scarsa
serbevolezza della bacca).
Altra varietà locale del Lazio, tipicamente di nicchia, è il pomodoro “Spagnoletta” di Formia e Gaeta. Questo
tipo è citato nel Censimento delle Risorse Genetiche Autoctone di interesse agrario redatto dall’ARSIAL e
nell’elenco dei Prodotti Tradizionali del Mi.P.A.F. con la dicitura “Pomodoro Spagnoletta del golfo di Gaeta
e di Formia”. Lo Spagnoletta, che rientra come lo Scatolone nelle tipologie appiattite e costolute, è
particolarmente rinomato per le caratteristiche organolettiche che si estrinsecano nella preparazione di sughi,
tanto che i succitati elenchi riportano, tra i prodotti tradizionali, anche la “Passata di pomodoro da
Spagnoletta di Gaeta”. Al di fuori di queste scarne descrizioni, non pare che siano in atto attività di ricerca o
iniziative di promozione specifiche per questa varietà locale. Dalle osservazioni fatte presso i nostri campi
sperimentali, il pomodoro Spagnoletta è caratterizzato a livello vegetativo da foglioline a margine intero
(tipo ‘foglia a patata’) e si differenzia dagli altri tipi costoluti del Lazio (Scatolone di Bolsena e Pantano
romanesco) per le dimensioni più piccole della bacca (80-100 g) e la costolatura più marcata. Questi caratteri
lo rendono di fatto più simile al tipo locale Costoluto fiorentino, da cui comunque si differenzia per il minore
numero di logge.
P. 40
CARATTERIZZAZIONE BIOCHIMICA DI ECOTIPI DI POMODORINO CAMPANO
(Lycopersicon esculentum Mill.)
MENNELLA G.1, D’ALESSANDRO A.1, ONOFARO SANAJÀ V1, GIORDANO I.2 , FRANCESE G.1
1
2
Istituto Sperimentale per l’Orticoltura - Via Cavalleggeri 25 -84098- Pontecagnano (SA)
Istituto Sperimentale per le Colture Industriali - Strada Statale 18, 156 -84091- Battipaglia (SA)
Gluteline, cromatogrammi, similarità biochimica.
Sono stati studiati i profili di eluizione per scambio anionico in HPLC (SA-HPLC) di proteine
dell’endosperma estratte dal seme di 26 ecotipi di pomodorino campano. L’analisi cromatografica ha
evidenziato sia differenze qualitative che quantitative tra i 26 ecotipi studiati. Le proteine ecotipo-specifiche
sono state evidenziate principalmente negli estratti alcalini (gluteline), mentre gli estratti acquosi, salini ed
alcolici non hanno mostrato un polimorfismo sufficiente per la differenziazione degli ecotipi studiati. 20
ecotipi su 26 sono risultati distinguibili dall’analisi del dendrogramma ottenuto mediante il software NTSYSpc e basato su dati di presenza/assenza di picchi nei cromatogrammi. Gli ecotipi di pomodorino analizzati
formano un cluster unico ed hanno evidenziato una similarità biochimica tra loro pari all’80% circa. Essi si
sono differenziati bene dalle cultivar utilizzate come riferimento.
P. 41
USO DI RETROTRASPOSONI TY1/COPIA COME MARCATORI MOLECOLARI PER
LO STUDIO DELLA DIVERSITA’ GENETICA IN OLIVO (OLEA EUROPAEA L.)
NATALI L., GIORDANI T., BUTI M., MAESTRINI P., CAVALLINI A.
Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie, Sezione di Genetica, Università di Pisa, Pisa
Olea europaea, retrotransposon, molecular markers
Le sequenze di origine retrotrasponibile rappresentano una consistente frazione del DNA ripetuto
intersperso degli eucarioti, soprattutto nei vegetali. A causa della loro ridondanza ed interspersione, i
retrotrasposoni – specialmente quelli con lunghe ripetizioni terminali, LTR – possono essere utilizzati per
generare marcatori molecolari per l’identificazione genotipica e la determinazione delle relazioni
filogenetiche anche all’interno di un genere o una specie. Sono stati messi a punto diversi protocolli, basati
sull’amplificazione delle sequenze fiancheggianti i retrotrasposoni, che sono variabili in seguito alla natura
stessa del retrotrasposone che può inserirsi liberamente in siti diversi nel genoma.
La possibilità di usare sequenze di origine retrotrasponibile per generare marcatori molecolari
dipende dal fatto di disporre di sequenze LTR conservate e sufficientemente ripetute. Per esempio la tecnica
REMAP (REtrotransposon Microsatellite Amplification Polymorphism) consiste nella amplificazione in
PCR usando come primers oligonucleotidi progettati su sequenze LTR insieme a primers rappresentati da
microsatelliti ancorati in 3’, così da produrre numerosi frammenti diversi di DNA amplificato.
Nei nostri esperimenti, abbiamo saggiato la tecnica REMAP in cultivar di olivo (Olea europaea).
Le tecniche di biologia molecolare sono strumenti utili per studiare aspetti importanti dell’olivicoltura,
quali la determinazione di relazioni filogenetiche nel genere Olea e affini e l’accurata identificazione di
cultivar e genotipi autoctoni di olivo. Lo studio dell’evoluzione molecolare dell’olivo può consentire di
verificare le relazioni fra varietà coltivate e forme ferali per lo sviluppo di strategie per la produzione e la
selezione di nuovi genotipi; lo sviluppo di marcatori molecolari può consentire di riordinare l’attuale
numero di cultivar (circa 1300, più numerosi sinonimi) la cui caratterizzazione è basata essenzialmente su
parametri agro-morfologici.
Retrotrasposoni completi di Olea europaea non sono disponibili, così abbiamo isolato tramite PCR
frammenti della porzione codificante di retrotrasposoni copia e successivamente li abbiamo estesi verso
l’estremità 3’ per arrivare alla LTR, usando tecniche di “chromosome walking”. In seguito abbiamo stabilito
la ridondanza delle diverse LTR ottenute mediante “slot blot” e ibridazione. Una delle LTR, Oec06, è
risultata ripetuta 1300 volte per genoma aploide ed è stata utilizzata per progettare il primer REMAP. Questo
primer è stato usato insieme a numerosi primers microsatelliti ed ha fornito diversi profili di amplificazione
in 14 varietà di olivo.
Il significativo polimorfismo osservato e la ripetibilità intra-cultivar osservata indicano che la tecnica
REMAP può essere convenientemente integrare l’uso di altri marcatori molecolari già messi a punto per
l’identificazione genotipica in olivo.
P. 42
CARATTERIZZAZIONE BIO-MORFOLOGICA DI QUATTRO ECOTIPI CAMPANI DI
POMODORO: “SAN MARZANO”, “CORBARINO”, “VESUVIANO” E “POMODORO DI
SORRENTO”
PARISI M., PENTANGELO A., D’ONOFRIO B., GIORDANO I.
Istituto Sperimentale per le Colture Industriali, Mi.P.A.F. – S.S. 18, n° 156 – 84091 Battipaglia (SA). E-mail: [email protected]
Lycopersicon esculentum Mill, bacca, infiorescenza
La valorizzazione delle produzioni tipiche rappresenta una carta vincente dell’agricoltura italiana, in
particolare di quella meridionale.
Numerosi sono gli aspetti positivi legati alla valorizzazione delle produzioni tipiche (salvaguardia della
biodiversità; rilancio dell’economia agricola delle aree interne più svantaggiate; salvaguardia e tutela del
territorio; agricoltura di qualità, a basso impatto ambientale; recupero di sapori antichi; valorizzazione di
qualità nutrizionali; ecc.).
Tra le numerose orticole da pieno campo della regione Campania, il pomodoro annovera il maggior numero
di ecotipi a diversa destinazione commerciale (da mercato fresco, da serbo e per l’industria di
trasformazione). Tra questi, per le peculiari caratteristiche organolettiche e di tipicità, il “San Marzano”, il
pomodorino “Corbarino”, il pomodorino “Vesuviano” e il “Pomodoro di Sorrento” rappresentano quelli più
promettenti come prodotti di nicchia di alto pregio.
Il “San Marzano”, a bacca allungata, è destinato principalmente per la produzione di pelati, ma anche per il
mercato del fresco; il pomodorino “Corbarino” è particolarmente idoneo per la trasformazione industriale,
conservato intero, non pelato, in succo ricavato dagli stessi pomodorini, ma è utilizzato anche per il mercato
del fresco o come pomodoro da serbo. La destinazione tipica del pomodorino “Vesuviano” è invece quella da
serbo, mentre il “Pomodoro di Sorrento”, a bacca grossa tondeggiante e con scarsa serbevolezza, è molto
richiesto per il mercato del fresco, grazie anche al suo sapore particolarmente dolce.
Nell’ambito del Progetto finalizzato “EcoPom” (finanziato dal Mipaf), è stata effettuata la caratterizzazione
bio-morfologica dei quattro ecotipi secondo il Dus-Test (CPVO-TP/44/2). Le osservazioni sono state
condotte per un biennio (2002-2003), su piante allevate in due ambienti campani (Agro Sarnese-Nocerino e
Piana del Sele), in parcelle replicate tre volte.
P. 43
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE E BIOCHIMICA DI NUOVI ECOTIPI
ITALIANI DI J. REGIA
POLLEGIONI P.1, BATOLI S.1, MALVOLTI M.E.1, MAPELLI S.2, BERTANI A.2, CANNATA F.1
1
2
Cnr-Istituto di Biologia Agro-ambientale e Forestale, Porano, Terni
Cnr-Istituto di Biotecnologia e Biologia Agraria, Milano
J.regia è una specie a molteplici attitudini, di notevole importanza economica, sia per la produzione di
legno pregiato sia di frutti. Nel corso dei secoli i frequenti scambi di germoplasma, se da un lato hanno
consentito il miglioramento per fini produttivi, dall’altro hanno causato un depauperamento della variabilità
genetica, a tutto discapito degli ecotipi locali. Al fine di contrastare tale erosione genetica e garantire una
corretta conservazione, gestione e valorizzazione delle risorse di noce in Italia, si è resa necessaria la ricerca
di ecotipi, ancora presenti sul nostro territorio, naturalmente adattati a diverse condizioni pedo-climatiche.
Campagne di raccolta sono state condotte in alcune zone della Regione Campania ove esiste un’ elevata
concentrazione di piante presumibilmente nate da seme locale. Nei comuni di Montella (zona appenninica),
Cervinara e Fisciano (ambedue in pianura) sono stati campionati 87 genotipi di J.regia da confrontare con 80
campioni appartenenti a 4 varietà modello:Bleggiana, Feltrina, Sorrento, Malizia. Sul materiale collezionato
è stato eseguito lo studio integrato di marcatori molecolari (ISSR) e morfo-biochimici del frutto (morfologia,
livelli di tocoferolo, analisi qualitativa e quantitativa dell’olio).
L’analisi di 134 marcatori ISSR ha permesso di suddividere le 4 varietà modello in due clusters
principali e in 4 subclusters in accordo con l’origine geografica: Bleggiana e Feltrina dal Nord, Sorrento e
Malizia dal Sud Italia. Le piante collezionate nel comune di Montella erano caratterizzate da un profilo
genetico intermedio rispetto alle varietà modello del Nord e del Sud Italia. L’analisi del frutto ha rivelato che
le piante di Montella presentano alti livelli di acido linoleico nei cotiledoni. L’acido linoleico è direttamente
coinvolto nel processo di regolazione della fluidità delle membrane, essenziale per l’attività fotosintetica nei
tilacoidi e per i meccanismi di risposta cellulare a segnali di crescita tessuto-specifici durante lo sviluppo del
frutto. Esiste una relazione inversa tra il grado di insaturazione delle membrane e la temperatura ambientale
di crescita: la quantità di acidi grassi insaturi aumenta al diminuire della temperatura. Poiché il comune di
Montella è sito in una valle appenninica, caratterizzata da temperature relativamente basse ed abbondanti
precipitazioni, si è ipotizzato un adattamento a basse temperature (chilling resistant) di tale germoplasma.
I dati genetici e morfo-biochimici ottenuti dimostrano che la provenienza di Montella si differenzia sia dal
resto del germoplasma campionato in Campania sia dalle 4 varietà modello; si può pertanto ipotizzare la
J.regia di Montella sia un ecotipo da studiare ulteriormente e da valorizzare.
P. 44
PROPAGAZIONE IN VITRO DI GERMOPLASMA DI SPECIE TIPICHE DELLA
MACCHIA MEDITERRANEA
PREDIERI S., GATTI E., RAPPARINI F., ROSSI F.
IBIMET-CNR, Istituto di Biometeorologia, Sezione di Bologna
Micropropagazione, ecotipi, macchia mediterranea
La macchia mediterranea è ricca di specie di elevato interesse ecologico. La coltura in vitro consente la
collezione e conservazione di ecotipi di particolare interesse. La collezione, il mantenimento e la
propagazione di specie ed ecotipi dotati di caratteristiche interessanti, possono consentire la difesa del
patrimonio di biodiversità, l'acquisizione di maggiori conoscenze ecofisiologiche utili per la conservazione
dei siti, nonchè la valorizzazione di accessioni di pregio ai fini di specifiche utilizzazioni produttive
(alimentari, erboristiche, cosmetiche, ecc.) o ornamentali.. L'IBIMET-BO ha messo a punto protocolli per la
coltura in vitro di specie quali lentisco (Pistacia lentiscus), elicriso (Helycrisum italicum), cisto (Cistus spp),
rosmarino (Rosmarinus officinalis). Per ogni specie, genotipi di diversa provenienza geografica sono studiati
per l'attitudine alla conservazione e moltiplicazione in vitro, per una caratterizzazione del fenotipo e delle
caratteristiche di adattamento all'ambiente. Sono studiate anche emissioni volatili aromatiche.
P. 45
VARIABILITÀ BIOAGRONOMICA E CHIMICA IN POPOLAZIONI SICILIANE DI
CYNARA CARDUNCULUS L., - PIANTA MEDITERRANEA DALLE MOLTEPLICI
UTILIZZAZIONI
RACCUIA S.A.1, MELILLI M.G.1, CAVALLARO V.1, TRINGALI S.2
1
Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFoM) del CNR, Sezione di Colture Erbacee Strategiche, Via
Valdisavoia 5, 95123 Catania (Italy) - [email protected]
2
Dipartimento di Scienze Agronomiche Agrochimiche e delle Produzioni Animali (DACPA), Sezione Scienze Agronomiche,
Università degli Studi di Catania, Via Valdisavoia 5, 95123 Catania
Cynara cardunculus L., caratteristiche chimiche, utilizzazioni
Il cardo (Cynara cardunculus L.) è una specie perennante originaria del bacino del mediterraneo, con
un intensa stagione di crescita nel periodo autunno - primaverile e maturazione degli acheni in estate.
L’interesse suscitato da questa specie è legato non solo alla sua particolare adattabilità all’ambiente
mediterraneo, legata al particolare ciclo biologico, ma anche alla possibilità di assoggettarla a forme e modi
molteplici di utilizzazione: biomassa per energia, seme da cui estrarre olio e proteine e radici per l’estrazione
di inulina.
Le notevoli potenzialità produttive riscontrate per questa specie hanno fatto ritenere opportuno
procedere ad una azione di raccolta di germoplasma al fine di approfondire le conoscenze intorno ad alcune
caratteristiche bioagronomiche e chimiche del materiale raccolto. Ciò in vista di una potenziale messa in
coltura di questa specie, per usi industriali o farmacologici ai fini della valorizzazione di aree marginali, oltre
che per promuovere la conservazione della notevole biodiversità.
Per raggiungere gli obbiettivi previsti dalla presente ricerca è stata condotta una intensa azione di
raccolta di cardi in diversi areali caratterizzati da condizioni pedoclimatiche differenti, successivamente sul
materiale raccolto si è proceduto alla caratterizzazione bioagronomica e chimica (contenuto in olio e proteine
nei semi e inulina nelle radici).
I primi risultati ottenuti hanno messo in evidenza una buona variabilità tra i genotipi di cardo domestico e
selvatico, sia per quanto riguarda le caratteristiche bioagronomiche tra cui la resa in biomassa epigea,
granella e radici, sia per quanto concerne la composizione chimica. Questi risultati permettono di affermare
che il germoplasma presenta un’ampia variabilità all’interno della quale è possibile selezionare linee in grado
di fornire specifiche produzioni (biomassa lignocellulosica, olio e inulina) anche su terreni difficili di aree
marginali.
P. 46
EMISSIONI VOLATILI DI GENOTIPI DI MYRTUS COMMUNIS IN COLTURA IN VITRO
RAPPARINI F., SOLDO A., GATTI E., PREDIERI S.
IBIMET-CNR, Istituto di Biometeorologia, Sezione di Bologna
Mirto, VOCs, terpenoidi
Il mirto è un'essenza che unisce caratteristiche estetiche, che la rendono un'importante specie
ornamentale, alla produzione di composti organici volatili (VOC) che le conferiscono il tipico aroma. Queste
sostanze volatili, sintetizzate ed emesse principalmente dalle foglie, possono essere studiate in relazione alla
fisiologia della pianta e alle caratteristiche genetiche degli ecotipi.
Primo obiettivo di questa ricerca è stato di acquisire genotipi di mirto differenti per origine geografica
e caratteristiche morfologiche e caratterizzarne il profilo aromatico delle emissioni e dei contenuti. .
Ecotipi di Myrtus communis di diversa origine geografica sono stati posti in coltura in vitro. Durante le fasi
di proliferazione e di radicazione si sono analizzate le emissioni di composti organici volatili (VOC). Le
sostanze emesse nello spazio di testa delle colture in vitro sono state intrappolate su substrati carboniosi e,
dopo desorbimento termico, identificate e quantificate mediante gascromatografia abbinata alla spettrometria
di massa. I cloni di mirto hanno fornito risultati comuni per quanto riguarda i terpenoidi maggiormente
presenti: α-pinene (60-80%) e isoprene (10-20%). Interessanti differenze si sono invece registrate per quanto
riguarda altri monoterpeni, tra i quali l'1,8 cineolo (eucaliptolo).
P. 47
MARCATORI MOLECOLARI ASSOCIATI ALLA TIPICITÀ DEL POMODORO
CAMPANO: ANALISI MEDIANTE ELETTROFORESI 2 D E IMMUNOBLOTTING
DELL’ ESPRESSIONE PROTEICA DURANTE LA MATURAZIONE DI ECOTIPI DI
POMODORO CAMPANO
ROCCO M.1, MARRA M.1, GARUFI A.2, CAMONI L.2 , ADUCCI P.2
1
2
Dipartimento di Scienze Biologiche e Ambientali dell’Università degli Studi del Sannio
Dipartimento di Scienze Biologiche della Università di Roma “Tor Vergata”
ecotipi, maturazione, elettroforesi 2 D
Nell’ambito del progetto ECOPOM “Tecniche innovative per l’identificazione di marcatori molecolari
associati alla tipicità del pomodoro campano” finanziato dal MIPAF volto alla valorizzazione delle
caratteristiche del pomodoro campano, le Unità operative del Dipartimento di Scienze Biologiche e
Ambientali dell’Università degli Studi del Sannio e del Dipartimento di Scienze Biologiche della Università
di Roma “Tor Vergata” si sono occupate dell’analisi della variazione di espressione dei profili proteici
durante la maturazione dei frutti. Ciò allo scopo di identificare potenziali marcatori molecolari del processo
di maturazione nei vari ecotipi.
A questo scopo si è utilizzata sia la tecnica della elettroforesi bidimensionale analisi computerizzata
di immagine per l’analisi del quadro proteico complessivo delle bacche sia l’immunoblotting con anticorpi
verso targets specifici.
L'elevata risoluzione e riproducibilità della tecnica della elettroforesi 2 D , dovrebbe consentire di
ottenere delle mappe proteiche dei vari ecotipi o dello stesso ecotipo in diverse situazioni fisiologiche. Allo
stesso tempo l'analisi d'immagine comparativa computerizzata dovrebbe consentire di evidenziare le
principali differenze nel quadro proteico dei vari ecotipi e/o delle diverse condizioni fisiologiche. L'analisi di
sequenza o di spettrometria di massa realizzata sulle proteine prescelte dopo excisione dal gel, dovrebbe
consentire di ottenere informazioni sulla natura e sulla funzione di tali proteine. I dati ottenuti potranno
essere utilmente correlati ai dati corrispondenti di analisi molecolare a livello di DNA ottenuti mediante
l'uso di microarray e ai dati derivanti dalle analisi organolettiche e agronomiche previste dal progetto
ECOPOM.
L’attività sperimentale è stata inizialmente indirizzata alla messa a punto di una opportuna metodica di
estrazione delle proteine e loro solubilizzazione nelle condizioni di isoelettrofocusing, da bacche di
pomodoro di alcuni degli ecotipi di pomodoro campano prescelti, in particolare sono stati utilizzati l'ecotipo
S. Marzano e il Corbarino. L'efficacia delle varie metodiche utilizzate è stata saggiata allestendo delle
elettroforesi bidimensionali su mini gel da 7 cm i quali consentono di utilizzare una quantità ridotta di
campione proteico e riducono i tempi di elettroforesi, solubilizzate nel tampone di isoelettrofocusing.
Successivamente è stata messa a punto una metodica analitica a più elevata risoluzione utilizzando gel di 24
cm. Infine è stato valutato mediante SDS PAGE e immunoblotting con anticorpi specifici la variazione dei
livelli di proteine 14-3-3 nei diversi ecotipi a differenti stadi di maturazione.
P. 48
CARATTERIZZAZIONE E VALORIZZAZIONE DI DUE ECOTIPI CAMPANI DI
FAGIOLO
ZACCARDELLI M.1, PENTANGELO A.1, GIORDANO I.1, RAO R. 2, DI MAURO A.3
1
Istituto Sperimentale per le Colture Industriali - Mi.P.A.F., SS 18 n° 156, 84091 Battipaglia (SA). E-mail: [email protected]
Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e dell’Ambiente Università degli Studi di Napoli “Federico II”
3
Regione Campania Se.S.I.R.C.A. Napoli
2
Phaseolus vulgaris, AFLP, M13-PCR,
Tra le produzioni tipiche campane, molto apprezzati a livello locale per le peculiari caratteristiche
organolettiche sono due ecotipi di fagiolo denominati “Fagiolo di Controne” e “Fagiolo occhio nero di
Oliveto Citra”. Questi fagioli, a sviluppo indeterminato e habitus rampicante, prendono il nome dai comuni
omonimi situati in provincia di Salerno rispettivamente alle falde dei monti Alburni e nell’alta Valle del Sele.
In questo lavoro vengono illustrati i risultati della caratterizzazione bio-agronomica e molecolare di
questi due fagioli tipici. La caratterizzazione bio-agronomica è stata eseguita su nove biotipi di “Fagiolo di
Controne” e dieci biotipi di “Fagiolo occhio nero di Oliveto Citra”.
Per il primo ecotipo è emerso un elevato grado di similitudine tra i materiali osservati, con baccelli che, a
maturazione cerosa della granella, si presentano di colore giallo uniforme e con semi di forma ovoidale e a
tegumento bianco. I dieci biotipi di “Fagiolo occhio nero di Oliveto Citra” si sono comportati diversamente
per la maggior parte dei parametri produttivi e soprattutto per la forma ed estensione della caratteristica area
colorata intorno all’ilo, risultata molto variabile. Con la caratterizzazione molecolare è stata osservata un’
elevata similitudine tra i diversi biotipi raccolti nell’ ambito di ognuno dei due ecotipi di fagiolo.
P. 49
I FRUTTIFERI MINORI: SPECIE POLIFUNZIONALI DA SALVAGUARDARE E
VALORIZZARE
BIGNAMI C.1, BERTAZZA G.2, CAMMILLI C.1, CRISTOFORI V.1, PAOLOCCI M.1,
1
2
Dipartimento di Produzione Vegetale, Università della Tuscia, Viterbo, Via S. Camillo de’Lellis s.n.c. [email protected]
Istituto di Biometeorologia, CNR, Bologna, Via P. Gobetti 101, 40129 Bologna
Azzeruolo, sorbo, cotogno
Usuali nell’agricoltura tradizionale, i fruttiferi minori sono stati accantonati dalla frutticoltura
specializzata. Tra di essi, azzeruolo (Crataegus azarolus L.) e sorbo domestico (Sorbus domestica L.) sono
divenuti rari. Un’altra pomacea minore, il cotogno (Cydonia oblonga Miller), pur se ancora coltivata, ha
subito dal 1950 una drastico declino.
Le risorse genetiche di queste specie sono quindi oggi minacciate di erosione genetica e necessitano
di salvaguardia. Indagini condotte in alcune aree italiane hanno consentito di reperire diversi ecotipi e
varietà antiche, che sono stati inseriti in collezione presso l’Azienda didattico-sperimentale dell’Università
della Tuscia.
Per potere individuare le migliori destinazioni del frutto e differenziare l’offerta commerciale, la
caratterizzazione e la valutazione delle accessioni in collezione ha preso in esame, oltre agli aspetti
pomologici ed agronomici, la qualità e la composizione del frutto. Sono stati quindi determinati la
concentrazione ed il profilo di zuccheri ed acidi organici ed il contenuto di polifenoli, componenti che
possono influire sulla qualità organolettica e sulle funzioni salutistiche del frutto fresco o trasformato.
I frutti di azzeruolo sono risultati dotati di buoni contenuti di composti (procianidine, polifenoli totali)
con proprietà antiossidanti, ipotensive e cardiotoniche, che li rendono idonei alla produzione di preparati
nutraceutici, più pregevoli dal punto di vista gustativo rispetto a quelli ottenibili dal biancospino. Le
caratteristiche compositive di C. azarolus sono risultate variabili tra le accessioni e nel corso della
maturazione. L’analisi e la caratterizzazione di una popolazione spontanea di cotogno individuata in
Abruzzo ha consentito di evidenziare l’esistenza di variabilità tra le accessioni in collezione per contenuto di
acidi, zuccheri e polifenoli, oltre che per le caratteristiche pomologiche, fenologiche e la produttività.
I frutti del sorbo, astringenti sino a maturazione, teneri e dolci a sovramaturazione, sono risultati
ricchi di fruttosio e di polifenoli. Le sensibili variazioni di questi composti nel corso della maturazione li
rendono atti a diversi tipi di utilizzazione: sidro nello stadio acerbo o maturo, consumo fresco, liquori,
distillati, marmellate, nello stadio sovramaturo; essiccazione, nella fase compresa tra lo stadio maturo e
sovramaturo.
Per queste specie, qualità e valore nutraceutico del frutto contribuiscono alla molteplice attitudine della
pianta (alimentare e medicinale, oltre che ornamentale e forestale) e possono costituire fattori addizionali
per supportarne la valorizzazione.
P. 50
COLLEZIONE, CARATTERIZZAZIONE E VALUTAZIONE DI VARIETA’ LOCALI DA
FRUTTO NELL’ITALIA CENTRALE
BIGNAMI C., CAMMILLI C., CRISTOFORI V., ROVIGLIONI R., VAGNONI G.
Dipartimento di Produzione Vegetale, Università della Tuscia, Via S. Camillo de’ Lellis s.n.c. Viterbo
Germoplasma, melo, pero
L’affermarsi della frutticoltura specializzata ed intensiva ha consistentemente modificato nella
seconda metà del XX secolo l’assortimento varietale dei fruttiferi, sia per la sostituzione delle varietà locali
con cultivar avanzate, sia per l’abbandono di molte specie minori. Esplorazione del territorio, individuazione,
caratterizzazione e valutazione sono stati intrapresi dal Dipartimento di Produzione Vegetale per garantire il
recupero e la conservazione di una variabilità genetica di potenziale interesse. Sono state individuate nel
territorio dell’Italia centrale ed introdotte in collezione presso l’Azienda didattico-sperimentale
dell’Università della Tuscia numerose varietà antiche e locali di melo (50 accessioni), pero (31), azzeruolo
(6), ciliegio (11), melograno (4), nocciolo (3), e sorbo (18). Sono state condotte o sono in corso le
osservazioni, al fine di verificarne le potenzialità per forme di frutticoltura non convenzionale e per mercati
di nicchia.
La collezione di pero comprende varietà in prevalenza individuate nell’Alto Molise, che presentano
ampia variabilità per epoca di maturazione, forma e caratteri qualitativi del frutto. Il calendario di
maturazione di raccolta va da giugno all’inverno, con prevalenza di cultivar a maturazione invernale, in parte
tradizionalmente destinate alla cottura.
Per il melo, 36 varietà individuate nel Lazio (Rieti, Viterbo, Latina), in Umbria, nel Molise ed in
Emilia Romagna sono state caratterizzate e valutate per gli aspetti biometrici, le caratteristiche qualitative e
sensoriali e la resistenza alla ticchiolatura, a confronto con cultivar avanzate (Golden Delicious, Red
Delicious, Ozark Gold, Annurca). La variabilità riscontrata nella collezione riguarda sia caratteri pomologici
che organolettici. Alcune vecchie varietà (Zuccherina, Rosone, Iaccia) hanno rivelato alle analisi chimiche e
sensoriali caratteristiche qualitative valide ed hanno ottenuto gradimenti superiori a Golden Delicious e Red
Delicious e pari ad Annurca. La preferenza all’assaggio è stata principalmente determinata da dolcezza,
aroma e croccantezza, mentre farinosità ed astringenza sono stati gli attributi sensoriali più negativi. Il
germoplasma di melo reperito contiene buoni esempi di tolleranza e adattamento a stress biotici. Molte
cultivar hanno manifestato infatti elevata resistenza di campo alla ticchiolatura, con sintomi di bassa entità su
foglie e frutti; per Mela Fragola è stata riscontrata nei tre anni di osservazione assenza di sintomi.
Più di recente, è stata condotta per un più ampio numero di specie (melo, pero, pesco, ciliegio,
nocciolo, castagno) l’esplorazione del territorio delle province di Viterbo e Rieti, nell’ambito del progetto
PRAL ‘Individuazione, recupero e caratterizzazione del germoplasma frutticolo autoctono laziale a rischio di
erosione genetica’, coordinato dallIstituto Sperimentale per la Frutticoltura di Roma e finanziato dalla
Regione Lazio . E’ in corso, inoltre, lo studio della tradizionale coltura e delle varietà di melograno nel sud
del Lazio.
Alcune caratteristiche del frutto e della pianta del materiale reperito possono costituire elementi valorizzabili
in forme di frutticoltura integrata o biologica, per produzioni adatte per consumatori sensibili agli aspetti di
qualità intrinseca e di sanità del frutto.
P. 51
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI POPOLAMENTI ITALIANI ASPARAGUS
ACUTIFOLIUS
SICA M., ACETO S., GAUDIO L.
Dipartimento di Genetica, Biologia generale e molecolare, Università degli Studi di Napoli Federico II Via Mezzocannone 8, 80134
Napoli
L’identificazione di marcatori molecolari in A. acutifolius è di particolare importanza per
caratterizzare gli ecotipi locali adatti alla coltivazione. Le popolazioni locali di cultivar o di ecotipi
costituiscono una fonte di enorme valore per la coltivazione e la conservazione della diversità genetica.
Poiché le differenti popolazioni di A. acutifolius non sono morfologicamente distinguibili, sono stati
analizzati i profili di amplificazione RAPD, i microsatelliti e i profili ISSR di popolazioni selvatiche di A.
acutifolius, raccolte in differenti località rurali italiane, per caratterizzarle in base alla origine geografica.
Alcuni dei frammenti di amplificazione RAPD hanno consentito di discriminare le popolazioni analizzate:
sette di esse presentavano frammenti caratteristici e monomorfici. Sono stati isolati loci microsatellitari
allestendo una libreria genomica parziale arricchita di ripetizioni GA/CT e GTT/CAA. Sono stati identificati
sette loci microsatellitari, dei quali è stata valutata la variabilità e l’eterozigosità osservata e attesa. Il numero
di alleli di questi loci varia tra 2 e 5 e l’eterozigosità osservata tra 0,20 e 0,73. I marcatori ISSR sono stati
utilizzati per analizzare la diversità genetica intra e inter popolazioni naturali di A. acutifolius e per
identificare marcatori univoci per ciascuna delle popolazioni esaminate. L’analisi è stata condotta con 42
primer ISSR. Il valore di FST è 0,4561 e indica una sostanziale riduzione dell’eterozigosità (circa del 45%),
dovuta probabilmente all’elevato isolamento genetico delle popolazioni naturali di A. acutifolius. Questo
valore di FST evidenzia un elevato differenziamento genetico tra le popolazioni. In ciascuna popolazione è
stato possibile identificare frammenti specifici ISSR. L’elevato livello di strutturazione genetica è
confermato dalla topologia dell’albero di distanza UPGMA, nel quale tutti gli esemplari provenienti da una
stessa zona sono raggruppati insieme.
Queste analisi hanno consentito di identificare marcatori riproducibili per distinguere la differente origine
geografica delle popolazioni di A. acutifolius. Considerato il crescente valore economico di questa specie
selvatica, è molto importante ottenere questo tipo di marcatori per preservare il germoplasma e per
pianificare programmi di coltivazione locale.
P. 52
IMPIEGO DI GERMOPLASMA AUTOCTONO PER LA PRODUZIONE DI
BIOMOLECOLE DA UTILIZZARE NELLA DIFESA DELLE COLTURE AGRARIE
CAMMARERI M., ZACCARDELLI M.1, GRANDILLO S., CONICELLA C., MONTI L.
CNR-IGV sez. di Portici Via Università, 133-80055 Portici (NA). E-mail:[email protected]
1
Istituto Sperimentale per le Colture Industriali, Mi.P.A.F. – S.S. 18, n° 156 – 84091 Battipaglia (SA). E-mail:
[email protected]
Lycopersicon, Aster, saponine
Le piante producono numerosi principi attivi biocidi che sono il risultato di processi evolutivi
finalizzati all’autoprotezione da patogeni, erbivori e competitori. Tra le migliaia di metaboliti secondari
prodotti dalle specie vegetali il nostro gruppo di ricerca si è occupato di una particolare classe di composti,
le saponine, per verificarne l’attività biologica contro funghi e batteri fitopatogeni e, quindi, le potenzialità
di utilizzazione come biopesticidi. E’ noto che le saponine appartengono alla classe delle "fitoanticipine",
ossia composti presenti prima dell'attacco del patogeno. Il loro principale meccanismo d’azione contro i
funghi sembra legato all'abilità di complessare gli steroli delle membrane fungine alterandone l'integrità,
mentre poco conosciuto è il meccanismo d'azione contro i batteri fitopatogeni.
Tra le diverse specie vegetali quelle appartenenti al genere Aster producono saponine triterpenoidi, e le
specie del genere Lycopersicon saponine steroidali.
Presso la Sez. di Portici dell’Istituto di Genetica Vegetale è stata avviata la collezione di specie di Aster e di
ecotipi di Lycopersicon esculentum su cui sono stati realizzati test semiquantitativi per il contenuto di
saponine con il Trichoderma viride, fungo saprofita notoriamente sensibile a questi metaboliti. Sui genotipi
ritenuti più interessanti per il maggiore quantitativo di saponine sono stati effettuati saggi con estratti fogliari
contro alcuni funghi e batteri fitopatogeni. Nel genere Aster è stato evidenziato che gli estratti fogliari grezzi
di A. caucasicus inibiscono drasticamente la crescita del fungo polifago Botrytis cinerea e che le saponine
triterpeniche purificate da A. sedifolius hanno un'elevata attività inibitoria contro il fungo Sclerotium rolfsii e
il batterio Xanthomonas campestris. Nel genere Lycopersicon, gli estratti fogliari grezzi degli ecotipi S.
Marzano, Sorrento, Vesuvio, Corbarino e Perino giallo della specie Lycopersicon esculentum hanno
mostrato attività inibitoria contro Rhizoctonia solani, Fusarium solani e Fusarium oxysporum nonché contro
lo Xanthomonas axonopodis pv. vesicatoria.
Allo scopo di ingegnerizzare i pathway delle saponine triterpenoidi e steroidali si sta procedendo all'
isolamento di geni che codificano per enzimi della loro via biosintetica ed al momento è stato clonato in A.
sedifolius il gene OXA1 codificante per la beta-amirina sintasi, enzima chiave del pathway dei triterpeni.
P. 53
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE, BIOCHIMICA E SENSORIALE DI ECOTIPI
CAMPANI DI POMODORO
ERCOLANO M.R.1, CARLI P.1, ESPOSITO N.1, FOGLIANO V.2, FRUSCIANTE L.1, BARONE A.1
1
2
Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e dell'Ambiente, Università di Napoli "Federico II"
Dipartimento d Scienze degli Alimenti, Università di Napoli "Federico II"
Lycopersicon esculentum, sapore della bacca
Molte varietà di pomodoro coltivate in Italia, sia da mensa che da industria, quali il San Marzano, il
Sorrentino, il Vesuviano, il Corbarino, e il Pachino, sono considerati prodotti tipici della nostra agricoltura,
ed alcune hanno ottenuto il marchio relativo. Questi ecotipi sono coltivati a livello locale su piccola scala e
rappresentano dei prodotti di nicchia caratterizzati da un sapore intenso e peculiare. Esse conservano quelle
caratteristiche qualitative del pomodoro che si sono andate via via perdendo nelle moderne varietà che hanno
invaso il mercato del pomodoro negli ultimi 50 anni, per le quali il lavoro di selezione si è concentrato
sull'aumento di produttività, della dimensione del frutto, della consistenza della bacca, sulla resistenza a
stress biotici ed abiotici, sull'attitudine alla trasformazione. Il rilancio sul mercato di questi ecotipi italiani di
pomodoro è fondamentale per soddisfare la richiesta crescente del consumatore di prodotti di qualità e le
esigenze relative a caratteristiche nutrizionali, che potrebbero rivelarsi utili per la salute del consumatore,
quali un elevato contenuto di vitamine, carotenoidi, licopene. La comprensione dei meccanismi biochimici e
genetici che sono legati alle caratteristiche organolettiche della bacca di pomodoro può contribuire a tale
rilancio, portando a combinare in nuovi ecotipi le caratteristiche del sapore con quelle richieste per varietà
adatte ai moderni sistemi agricoli. A tale scopo, è auspicabile individuare le sostanze che determinano per
ciascun ecotipo la particolare tipologia del sapore.
Alcuni ecotipi campani di pomodoro sono stati caratterizzati per fattori fisici e chimico-biochimici
responsabili del gusto, con l’obiettivo di studiare la variabilità genetica del contenuto di zuccheri, acido
citrico, acidi organici e di altre sostanze presenti nella bacca di pomodoro. Dopo uno screening preliminare
di circa 20 genotipi afferenti alle tre tipologie San Marzano, Sorrento e Vesuvio, basato su dati agronomici,
sono stati scelti due ecotipi per ciascuna tipologia, sui quali sono state condotte le analisi biochimiche e
sensoriali, con repliche in tre areali diversi di coltivazione.
Per le analisi sensoriali è stato allestito il panel test per definire il profilo sensoriale dei divesi ecotipi. Per
ogni attributo sensoriale i dati espressi dal panel sono stati analizzati mediante l’analisi della varianza a tre
fattori (campioni, giudici, repliche) a due vie. Sette attributi su 10 presentano differenze significative tra i
campioni. Le analisi biochimiche hanno riguardato la determinazione di pH e acidità totale, contenuto in
zuccheri, contenuto di aminoacidi, contenuto di ceneri, composizione di acidi organici, composizione di
aminoacidi. Interessanti correlazioni sono state individuate tra alcuni parametri biochimici, agronomici e
sensoriali.
Per la caratterizzazione a livello molecolare dei diversi ecotipi utilizzati sono state effettuate analisi sul DNA
genomico con 15 marcatori ISSR e con diversi marcatori AFLP. E' stato stimato un buon grado di variabilità
tra i genotipi e per tutti, eccetto due, sono stati individuati dei frammenti AFLP specifici, che potrebbero
costituire un fingerprinting di ciascun ecotipo.
P. 54
LA TUTELA DELLE RISORSE GENETICHE AUTOCTONE DELLA TOSCANA
TURCHI R., ZOPPI L., BAZZANTI N.
Germoplasma, varietà da conservazione, coltivatori custodi
Dal 1997 la Regione Toscana ha normato la tutela delle risorse animali e vegetali di interesse
agricolo e zootecnico del proprio territorio, con un'apposita legge, la L.R. n° 50 del 16 luglio 1997 su
"Tutela delle risorse genetiche autoctone". Ha istituito i Repertori regionali, le Commissioni tecnicoscientifiche e ha dettato i criteri generali basilari per lo sviluppo di tutta l'attività ad essa legata.
Gli strumenti della L.R. 50/97: i Repertori regionali, la Banca Regionale del Germoplasma, i Coltivatori
Custodi.
Ad oggi si rende necessaria una modifica alla legge regionale attuale, con una proposta di inserimento di
nuovi strumenti quali: la Rete regionale di conservazione e sicurezza, il Registro regionale delle varietà da
conservazione, il contrassegno per i prodotti delle varietà da conservazione, un più ampio concetto della
Banca regionale del germoplasma e un riconoscimento ufficiale all'attività dei coltivatori custodi.
P. 55
PRUNUS
A V I U M L. E PRUNUS CERASUS L.: MONITORAGGIO DEGLI
ANTOCIANOSIDI PRESENTI IN CULTIVAR ED ECOTIPI TOSCANI E UMBRI
MULINACCI N.1, GIACCHERINI C.1, CASTELLANI S.1 , INNOCENTI M.1, VINCIERI F.F.1 , ROSELLI G.2,
MARIOTTI P.2
1
2
Dipartimento di Scienze Farmaceutiche, Università di Firenze
IVaLSA, Area di Ricerca del CNR,- Sesto Fiorentino (Firenze)
Il lavoro si inserisce nell’ambito del Progetto “Scrigno-Ciliegio” che prevede l’indagine mirata al
reperimento di cultivar autoctone di ciliegio nelle diverse province toscane e umbre. In particolare il lavoro
analitico qui descritto è stato condotto perseguendo questi obiettivi:
a) Effettuare una estrazione esauriente lavorando su quantità rappresentative (da 50 a 100 g ) dei diversi
campioni.
b) Determinare la struttura delle antocianidine presenti ed il loro grado di glicosilazione.
c) Comparare il tenore quali-quantitativo dei diversi campioni considerati
d) Confrontare i risultati ottenuti sulle cultivar di ciliegio dolce con quelli relativi ai campioni di frutti
di ciliegio acido.
e) Evidenziare l’eventuale copresenza nella polpa del frutto di altre molecole fenoliche e/o
flavonoidiche.
La caratterizzazione quali-quantitativa, effettuata via HPLC/DAD/MS ha permesso di evidenziare come i
frutti delle cultivar di ciliegie dolci presentino uno stesso pattern antocianico costituito da sei antocianine, in
prevalenza keracianina e cianidina 3-O-glucoside, con quantità decisamente inferiori di diglicosidi della
peonidina. Sono stati individuati anche due diglicosidi della pelargonidina mai citati precedentemente in
letteratura come costituenti delle ciliegie dolci. Il pattern antocianico delle ciliegie acide, così come
osservato per le ciliegie dolci, è risultato assolutamente analogo fra le diverse cultivar analizzate con la
cianidina 3-O-glucosil rutinoside come prodotto prevalente insieme alla keracianina. Anche in questi
campioni sono inoltre presenti in tracce la peonidina 3-O-rutinoside e la cianidina 3-O-arabinosil glucoside.
Le quantità totali di antociani, espresse in cianidina 3-O-rutinoside, rientrano in un range piuttosto ampio,
variano infatti da 0,01 a 5,21 mg/g di polpa fresca. I contenuti di 27 di campioni di ciliegie dolci oscillano tra
0,01 e 0,80 mg/g mentre solo nove campioni hanno un tenore piuttosto elevato, compreso tra 1,95 e 5,21
mg/g. Le altre cultivar presentano valori intermedi. Per quanto riguarda le cultivar di ciliegio acido sono stati
individuati due gruppi distinti, il primo con valori compresi tra 0,12 e 0,25 mg/g , il secondo con valori
compresi tra 1,01 e 1,59 mg/g.
Infine è stato condotto anche uno screening sulle altre molecole fenoliche copresenti nel frutto; sono stati
individuati come componenti principali un gruppo di acidi cinnamoil chinici e glicosidi rispettivamente della
quercetina e del canferolo.
Dai risultati ottenuti si può prospettare la valorizzazione di alcuni genotipi, decisamente molto ricchi in
antocianosidi, molecole note per le loro proprietà antinfiammatorie e antiossidanti, sia per il consumo fresco
che per un potenziale utilizzo nel settore dei food supplements, area attualmente in forte espansione.
P. 56
LA BIODIVERSITÁ IN UMBRIA E LA SUA CONSERVAZIONE
FALCINELLI M.
Dipartimento Biologia Vegetale e Biotecnologie Agroambientali - Università degli Studi di Perugia
Indagine territoriale, documenti storici,ricerca
Il Dipartimento di Biologia Vegetale e Biotecnologie Agroambientali (DBVBA) dell’Università degli
Studi di Perugia, sta coordinando dal 2000 il sottoprogetto “LA BIODIVERSITÀ IN U MBRIA E LA SUA
CONSERVAZIONE”, nell’ambito del progetto “VALORIZZAZIONE DELLE RISORSE GENETICHE DELLA REGIONE
UMBRIA”, sostenuto dal Piano di Sviluppo Rurale dell’Umbria 2000-2006.
Il progetto è realizzato in collaborazione con il Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria (3APTA), responsabile della gestione amministrativa e dell’attività di ricerca nel settore delle colture in vitro,
con la partecipazione del Dipartimento di Arboricoltura e Protezione delle Piante (DAPP) della Facoltà di
Agraria di Perugia e della Comunità Montana della Valnerina.
L’obiettivo prioritario del progetto è quello di identificare e conservare la diversità genetica attraverso
una serie di interventi:
¾ indagini approfondite sul territorio;
¾ individuazione delle risorse genetiche delle specie coltivate;
¾ collezione, raccolta, conservazione, valutazione e caratterizzazione del materiale genetico;
¾ azioni di valorizzazione e tipicizzazione.
Particolare attenzione è stata rivolta alle specie di piante agrarie che fanno parte dei prodotti tipici di
qualità della regione Umbria (lenticchia di Castelluccio, farro di Monteleone di Spoleto, fagiolina del Lago
Trasimeno, cipolla di Cannara, patata rossa di Colfiorito, sedano nero di Trevi, roveja) e, tra le specie
arboree, la mela panaia, la pera di Monteleone di Orvieto, il marrone di Città di Castello.
Tutti i dati raccolti sono stati organizzati in appropriati data-base e in parte pubblicati sulla pagina web
del progetto (http://www.agr.unipg.it/biodiversitaumbria/). Quest’ultima, oltre ad essere un importante
strumento di divulgazione, rappresenta anche una valida interfaccia con agricoltori, cittadini, tecnici e quanti
altri possano dare informazioni sulle varietà locali, iniziative particolari o persone da contattare.
Durante questo periodo di attività è stata riscontrata una miriade di iniziative locali incentrate su prodotti
agricoli diversi, per la maggior parte finalizzate alla tipicizzazione e alla promozione commerciale. Si tratta
di azioni spesso di interesse locale, poco coordinate e che non di rado si sovrappongono.
Una parte cospicua del lavoro svolto è rappresentata dalle numerose indagini sul territorio, effettuate
perlopiù in seguito a segnalazioni da parte di agricoltori e operatori locali, dando, in questa prima fase,
priorità alle aree economicamente svantaggiate della regione. Le indagini si sono rivelate molto interessanti
sia sul piano scientifico che su quello socio-culturale e antropologico. Un ruolo certamente importante è
occupato dalla disponibilità di documentazioni storico-archivistiche e di informazioni diverse, anche reperite
localmente.
Le risorse genetiche erbacee sono state collezionate e conservate presso la banca del germoplasma del
DBVBA. Per le specie arboree è stato allestito un apposito frutteto catalogo presso l’azienda agraria
dell’Università di Perugia, nel quale sono conservate le varietà più interessanti finora reperite di melo, pero,
susino, pesco, ciliegio. Su parte del materiale collezionato sono state effettuate analisi con marcatori
molecolari, volte allo studio della variabilità genetica e alla messa a punto di appropriati sistemi
identificativi.
P.57
RECUPERO, CARATTERIZZAZIONE E TUTELA DEL GERMOPLASMA VEGETALE
AUTOCTONO DEL LAZIO, A RISCHIO DI EROSIONE GENETICA
L.R. 1 MARZO 2000, N. 15
“TUTELA DELLE RISORSE GENETICHE AUTOCTONE DI INTERESSE AGRARIO”
ARSIAL AGENZIA REGIONALE PER LO SVILUPPO E L’INNNOVAZIONE DELL’AGRICOLTURA
DEL LAZIO - AREA STUDI E PROGETTI
Via Rodolfo Lanciani, 38- 00162 Roma - tel 0686273450/451/457- email [email protected]
LA LEGGE
La Regione Lazio, sulla scorta delle indicazioni fornite dalla Convenzione sulla Biodiversità, ratificata dalla
Legge 14 febbraio 1994, n. 24 ed in accordo con il “Programma Nazionale Biodiversità e Risorse
Genetiche”, con la L.R. 1 marzo 2000, n.15 tutela tutte le risorse genetiche, vegetali e animali, autoctone del
Lazio, d’interesse agrario ed a rischio di erosione genetica.
La tutela viene attuata attraverso:
- il REGISTRO VOLONTARIO REGIONALE, nel quale sono iscritte, previo parere di due
Commissioni Tecnico-Scientifiche, una per il Settore Vegetale ed una per il Settore Animale, le
risorse genetiche autoctone a rischio di erosione;
- la RETE DI CONSERVAZIONE E SICUREZZA, alla quale possono aderire tutti coloro che
detengono, coltivano o allevano le risorse genetiche iscritte al Registro Volontario Regionale.
Alla Rete possono iscriversi: enti pubblici, istituti di ricerca, parchi, associazioni d’interesse e
agricoltori singoli o associati.
La Rete ha lo scopo di:
ƒ favorire la conservazione “attiva” on farm, in situ, delle risorse genetiche tutelate dalla Legge ed ex
situ, in campi catalogo o in banche genetiche;
ƒ favorire e controllare lo scambio di materiale di propagazione;
ƒ favorire dove possibile, la reintroduzione o l’estensione della coltura o dell’allevamento delle risorse
genetiche tutelate;
ƒ offrire assistenza tecnica;
ƒ coordinare i soggetti inseriti nella Rete al fine di promuovere la valorizzazione economica e culturale
delle risorse genetiche tutelate dalla legge, attraverso la costituzione di consorzi di tutela o marchi e
l’organizzazione e la partecipazione a giornate e fiere eno-gastronomiche.
ATTIVITA’ SVOLTA
Germoplasma viticolo
Sin dal 1996 ARSIAL ha avviato, con la collaborazione dell’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di
Conegliano e dell’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Velletri, un programma di ricerca e recupero del
germoplasma viticolo laziale comprendente anche la selezione genetica e sanitaria. Le aree oggetto
dell’indagine sono state quelle delle produzioni enologiche tipiche del Lazio: Castelli Romani, Alto
Viterbese, Cesanese, Basso Frusinate, Sabina Romana.
Sono stati individuati circa 620 biotipi di 35 vitigni rossi e 48 vitigni bianchi, sui quali sono stati effettuati i
test ELISA per verificarne lo stato fitosanitario. Sono stati inoltre determinati i patterns isoenzimatici
(isoenzimi GPI e PGM) per l’identificazione dei vitigni. I diversi biotipi, risultati esenti dalle principali
malattie da virus, sono stati successivamente propagati su Kober 5BB e Rupestris du Lot e con le piantine
ottenute sono stati costituiti, nel biennio 1999-2000, due campi di conservazione e confronto.
Delle 83 varietà acquisite e studiate sono state ritenute a rischio di erosione e quindi iscritte al Registro i
seguenti vitigni autoctoni:
Abbuoto n. (Fondi, Formia, Monte San Biagio, Terracina - LT)
Aleatico (Gradoli, Capodimonte, Bolsena - VT)
Bombino bianco b. (Castelli Romani, Sabina Romana, area del Cesanese)
Bombino nero n. (Castelli Romani, area del Cesanese)
Cannaiola (Capodimonte, Marta – VT)
Greco b. (Castelli Romani, Cori - LT)
Greco bianco b. (Castelli Romani, Cori)
Greco nero (Cori - LT)
Nero buono n. (Cori - LT)
Olivella n. (Basso Pontino)
Passerina b. (area del Cesanese, Basso Frusinate)
Pecorino (Castelli Romani, Reatino)
Verdello (Alto Viterbese)
ARSIAL ha inoltre provveduto direttamente a caratterizzare morfologicamente, su richiesta di privati e di
Enti Pubblici che hanno fatto domanda di iscrizione al Registro, i seguenti vitigni:
Rosciola (Valle dell’Aniene - Rm)
Maturano (Val di Comino, Valle del Liri - FR)
Lecinaro (Val di Comino, Valle del Liri - FR)
Capolongo (Val di Comino, Valle del Liri - FR)
Pampanaro (Val di Comino, Valle del Liri - FR)
Germoplasma olivicolo
In collaborazione con l’Istituto Sperimentale per l’Olivicoltura del Mi.P.A.F. – Sez. di Spoleto, ARSIAL ha
condotto, a partire dal 1984, un vasto lavoro di selezione e caratterizzazione delle principali cultivar e cloni
di olivo presenti nella regione Lazio, finalizzato al miglioramento quali-qualitativo delle produzioni.
La ricerca, condotta nell’ambito delle “cultivar-popolazioni” diffuse nelle zone vocate ad olivo e
caratterizzate da alta e costante produttività, rusticità e resistenza alle avversità biotiche e abiotiche,
ha permesso l’identificazione di circa 50 cultivar e cloni particolarmente interessanti.
Sono stati condotti studi di natura agro-bio-carpologica e di caratterizzazione.
Il materiale selezionato è stato propagato e sono stati costituiti campi sperimentali dimostrativi e di
valutazione nelle diverse zone olivicole laziali.
Per alcune selezioni ed ecotipi sono state realizzate schede elaiografiche per approntare un apposito catalogo
e per richiedere al MiPAF la certificazione volontaria delle piantine di olivo.
Allo stato attuale risultano inserite nel sistema di certificazione volontaria n° 9 selezioni.
Su n° 30 cv, maggiormente diffuse nel territorio laziale, coltivate in areali tipici (areale principale) o in areale
di recente introduzione (areali secondari), nonchè su alcuni ecotipi di particolare pregio, sono state effettuate
valutazioni dei profili sensoriali e dei macro e micro componenti.
Per quanto riguarda l’analisi molecolare, lo studio del polimorfismo del DNA è stato condotto mediante
RAPD.
Delle cultivar studiate sono state ritenute a rischio di erosione genetica e quindi iscritte al Registro le
seguenti:
Minutella (area Pontina)
Vallanella (area Pontina)
Sirole (provincia di Roma)
Salvia (provincia di Roma)
Marina (Val di Comino – FR)
Prossimamente ARSIAL conta di proporre l’iscrizione di altre cultivar.
Nel Registro Volontario Regionale sono attualmente iscritte cultivar di fruttiferi autoctoni censiti e studiati
dal Dipartimento di Produzione Vegetale dell’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo.
L’indagine, avviata nel 1984, ha consentito di identificare, caratterizzare e valutare per aspetti morfologici,
pomologici
ed
agronomici
oltre
50
accessioni,
20
delle quali, riportate in elenco, risultano iscritte al Registro Volontario Regionale. Nel 2002 l'indagine è
proseguita, in collaborazione con l’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura di Roma, con il finanziamento
del Programma Triennale di Ricerca Agricola, Agroambientale, Agroindustriale della Regione Lazio
(PRAL), ed ha portato alla individuazione di oltre cento accessioni di melo, pero, susino, albicocco, pesco,
melograno,castagno,nocciolo e uva da tavola, in corso di caratterizzazione.
Il Dipartimento di Produzione Vegetale prevede di iscrivere a breve 8 accessioni a rischio.
ACCESSIONI ISCRITTE AL REGISTRO VOLONTARIO REGIONALE
Mela Agre di Sezze (Sezze - LT)
Mela Agre di Viterbo (provincia di VT)
Mela Appia (provincia di RI)
Mela Capo d’Asino (Norma - LT)
Mela Coccoine - (Sezze - LT)
Mela Dolce (Sezze - LT)
Mela Fragola (provincia di VT)
Mela Francesca (Ronciglione, Vetralla - VT)
Mela Gaetana (Poggio Nativo - RI)
Mela Maiolina (Poggio Moiano - RI)
Mela Nana (Sezze - LT)
Mela Paoluccia (province di LT e RI)
Mela Paradisa (Vetralla - VT)
Mela Puntella (Poggio Nativo - RI)
Mela Prata (provincia di RI)
Mela Rosetta (province di VT e RI)
Mela S.Agostino (Sezze - LT)
Mela Tonnorella (provincia di LT)
Mela Zuccherina (provincia di LT)
Azzeruolo (Bomarzo – VT)
ACCESSIONI IN CORSO DI ISCRIZIONE AL REGISTRO VOLONTARIO REGIONALE
Melograno di Gaeta
Pera Monteleone
Pera del Principe
Mela Calvilla
Ciliegia Maggiolina
Ciliegia Biancona
Germoplasma orticolo
Risorse genetiche iscritte al registro volontario regionale
La caratterizzazione dei seguenti ecotipi autoctoni di specie orticole, iscritte al Registro, è stata avviata dal
Dipartimento di Produzione Vegetale dell’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo.
Per il Carciofo Romanesco e il Sedano bianco di Sperlonga, grazie alla pregressa attività che ARSIAL ha
svolto, sempre in collaborazione con l’Università di Viterbo, la sperimentazione può considerarsi ormai
conclusa.
ƒ Fagiolo Ciavattone piccolo (provincia di VT)
ƒ Fagiolo Giallo (provincia di VT)
ƒ Fagiolo del Purgatorio (provincia di VT)
ƒ Fagiolo Solfarino (provincia di VT)
ƒ Fagiolo Verdolino (provincia di VT)
ƒ Lenticchia di Onano (Onano - VT)
ƒ Cannellino di Atina (Atina - LT)
ƒ Sedano bianco di Sperlonga (Sperlonga - LT)
ƒ Carciofo Romanesco: cv Campagnano e Castellammare (fascia litorale laziale).
Il Dipartimento di Agrobiologia e Agrochimica, Sez. di Genetica, dell’Università della Tuscia ha effettuato
una ricerca per la ricostituzione genetica del
ƒ Pomodoro Scatolone di Bolsena (VT).
L’Istituto di Genetica Vegetale - CNR (Bari) ha individuato, caratterizzato e iscritto al Registro i seguenti
ecotipi:
ƒ Fagiolina Arsolana (Arsoli - Rm)
ƒ Fagiolo Cioncone (Vallinfreda,Vivaro Romano, Riofreddo – Rm)
ƒ Fagiolo Fasciolone di Vallepietra (Vallepietra - Rm)
L’Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale – CNR (Porano) sta provvedendo alla loro
caratterizzazione genetica ed alla conservazione in situ, presso “agricoltori custodi”.
risorse genetiche in fase di valutazione
Presso l’Università della Tuscia di Viterbo
ƒ Cece del solco dritto (Valentano – VT)
ƒ Cece sultano (VT)
ƒ Cicerchia di Campodimele (Campodimele - LT)
ƒ Peperone Cornetto di Pontecorvo (Pontecorvo – FR)
Presso l’Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale – CNR (Porano)
sono in fase di caratterizzazione i seguenti ecotipi:
• Fagiolo Borlotto Regina (Marano Equo - Rm)
• Fagiolina della Ferratela (Cineto Romano - Rm)
• Fagiolo romanesco (Vallepietra - Rm)
• Fagiolo Cappellette (Vallepietra - Rm )
• Fagiolo “Pallini” o “Tondini” (Vallepietra - Rm)
Censimento
Arsial sta procedendo ad un censimento del germoplasma vegetale e animale autoctono acquisendo studi
e notizie storico-scientifiche e operando sul territorio regionale per l’individuazione, la caratterizzazione
e la catalogazione di risorse genetiche che, a causa dell’assenza di interesse per la loro coltivazione si
trovano in stato di abbandono e sono minacciate di definitiva scomparsa.
Relativamente alle risorse genetiche vegetali sono attualmente in fase di identificazione e prima
caratterizzazione circa 100 ecotipi vegetali.
P.58
CARATTERIZZAZIONE QUALITATIVA DI CULTIVAR SARDE DI MANDORLO
AGABBIO M.1, DORE A.2, MOLINU M.G.2, VENDITTI T.2
1
Università degli Studi di Sassari, Dipartimento di Scienze Ambientali Agrarie e Biotecnologie Agroalimentari, v.le Italia 39, 07100
Sassari
2
C.N.R. – Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari - Sezione di Sassari, via dei Mille 48, 07100 Sassari
Mandorle, qualità.
Vengono riportati i dati relativi alla caratterizzazione e valutazione di cultivar sarde di mandorlo
mediante l'impiego di parametri in grado di descrivere la qualità dei frutti sia sotto l’aspetto commerciale sia
dal punto di vista nutrizionale-salutistico. La ricerca ha preso in esame le cultivar locali più diffuse,
denominate Arrubia e Cossu, ed i cloni presenti nel campo collezione dell’Istituto.
Sulle singole varietà sono stati determinati parametri di stretta attinenza merceologica (peso,
dimensione dei frutti e dei semi, percentuale di semi doppi, semi abortiti, resa in sgusciato, resa in olio etc.),
gli indici chimici in grado di definire la qualità nutrizionale, salutistica ed organolettica del frutto. In
particolare è stato valutato il contenuto di vitamina E, di amigdalina, il grado di acidità, la percentuale di
umidità, il profilo degli acidi grassi etc. I rilievi chimici sono stati eseguiti sull'olio ottenuto dalle mandorle
omogeneizzate per estrazione con etere etilico. Si è valutata inoltre l’attitudine dei frutti alla conservazione
in condizioni di sottovuoto a temperatura ambiente.
Nel complesso le cultivar indagate hanno mostrato caratteristiche merceologiche e qualitative molto
buone, paragonabili con quanto riportato in letteratura per le varietà nazionali ed internazionali più diffuse.
L’impiego di condizioni di sottovuoto ha consentito inoltre di preservare efficacemente le proprietà
qualitative e nutrizionali per un periodo di alcuni mesi.
INDICE PER AUTORE
ABBATE G. M.
ABBATE L.
ABBATE V.
ACAMPORA A.
ACETO S.
ADUCCI P.
AGABBIO M.
AGRIMONTI C.
ALBA V.
ALBERTINI E.
ALBO M.
ALIOTTA G.
ANCILLOTTI S.
ANCORA G.
ANGIOLILLO A.
ARCIONI S.
AVANZATO D.
AVOLA G.
P. 23
P. 38
P. 22, P. 32
O. 15
O. 13, P. 51
P. 47
P. 58
P. 20, P. 23
P. 01
P. 05, P. 18
P. 29
O. 13
P. 05
O. 11
P. 17
O. 17, P. 08, P. 14
P. 36
P. 32
BACCHETTA L.,
BALDONI L.
BALLERO M.
BARCACCIA G.
BARONE A.
BASER N.
BATOLI S.
BAZZANTI N.
BELLON B.
BENEDETTELLI S.
BERNARDINI C.
BERTANI A.
BERTAZZA G.
BIANCHI A.
BIANCHI R.
BIGNAMI C.
BISIGNANO V.
BITOCCHI E.
BLEVE-ZACHEO T.
BOGANI P.
BORGHI B.
BRAKE M.
BREVIARIO D.
BUIATTI M.
BUTI M.
O. 18
P. 08, P. 17, O. 04
P. 20
P. 38, P. 33
P. 53
O. 14
P. 43
P. 54
O. 20
P. 03, P. 27
O. 18
P. 43
P. 49
P. 20
P. 20
P. 49, P. 50
P. 01
O. 08
P. 25
O. 10
O. 03
P. 33
O. 07
O. 10
P. 41
CAMMARERI M.
CAMMILLI C.
CAMONI L.
CANNATA F.
P. 52
P. 49, P. 50
P. 47
P. 43
O. 21
P. 53
P. 31
P. 55
CARDARELLI M.
CARLI P.
CASCINO A.
CASTELLANI S.
CASTELLARI L.
CASTELLINI G.
CAVALLARO V.
CAVALLINI A.
CAVICCHIONI G.,
CELLINO A.
CIAFFI M.
CIPOLLARO M.
CITAREI F.
CONCEZZI L.
CONICELLA C.
COSTANTINI L.
CRINÒ P.
CRISTOFORI M.
CRISTOFORI V.
CUOZZO L.
O. 23
P. 21
P. 45
P. 41
O. 18
P. 15
O. 15
P. 31
P. 30
P. 30
P. 52
P. 16
O. 11, O. 20
P. 49
P. 50
O. 11
D’ALESSANDRO A.
D’ONOFRIO B.
DALLA RAGIONE I.
DE GIORGIO D.
DE GIOVANNI C.
DE SANTIS F.
DEL GAUDIO S.
DELLA GATTA C.
DI BERNARDO G.
DI BONITO R.
DI MARO A.
DI MINCO G.
DI VENERE D.
DILUCA M.
DORE A.
DOVERI S.
DUCCI F.
P. 40
P. 42
P. 02, P. 07, P. 19
P. 34, P. 35
P. 29
P. 30
P. 31
P. 01
P. 31
O. 18
O. 13, P. 37, P. 48
P. 05
O. 20
O. 14
P. 58
P. 17
P. 36
EMILIANI G.
ERCOLANO M.R.
ESPOSITO N.
P. 09, P. 10, P. 11
P. 53
P. 53
FALCINELLI M.
FARINA A.
FATTA DEL BOSCO S.
FERRARA M.
FIDEGHELLI C.
FINESCHI S.
FIOCCHETTI F.
FOGLIANO V.
FORLANI M.
FRANCESE G.
FRUSCIANTE L.
P. 19, P. 56
O. 13
P. 06
O. 20
O. 06
P. 04
P. 38
P. 53
P. 16
P. 40
O. 05, P. 53
GALDERISI U
GARUFI A.
GATTI E
GAUDIO L.
GENOVESE A.
P. 31
P. 47
P. 44, P. 46
O. 13, P. 51
P. 26
GERACI G.
GERARDI C.
GERMANA A.
GIACCHERINI C.
GIANNINI R.
GIORDANI T.
GIORDANO I
GIULIANO G.
GRANDILLO S.
GRANDO M.S.
GRANDO S.
GRESTA F.
P. 06
O. 16
P. 08
O. 23, P. 55
P. 09, P. 10, P. 11
P. 41
P. 37, P.40, P. 42, P. 48
O. 22
O. 09, P. 52
P. 16
O. 03
P. 22
HODGKIN T.
O. 01
INNOCENTI M.
IZZO M.
P. 55
O. 06
LA MURA M.
LACERENZA N. G.
LAGHETTI G.
LAMAJF.
LAMASCESE N.
LEE D.
LEO N. L.
LEONE A.
LINSALATA V.
LIOI L.
LISANTI M.T.
LOGOZZO G.
LOTTI C.
LUCCHIN M.
LUCRETTI S.
P. 12
P. 03, P. 27
O. 14
P. 35
P. 34, P. 35
P. 17
P. 34
O. 16
O. 20
P. 13
P. 26
O. 14
P. 29
P. 33
O. 19
MACCAGLIA E.
MACCHIA A.
MAESTRINI P.
MAGGIONI L.
MAINOLFI A.
MAJOR A.
MALVOLTI M.A.
MALVOLTI M.E.
MANZO M.
MAPELLI S.
MARCHESE M.
MARIANI A.
MARIOTTI P.
MARMIROLI N.
MARRA M.
MARZANO F.
MASI P.
MAUROMICALE G.
MAZZUCATO A
MELILLI M.G.
MELILLO M.T.
MENNELLA G.
P. 07
O. 13
P. 41
O. 01
P. 37
P. 36
P. 36
P. 43
P. 12
P. 43
P. 32
P. 06
O. 23, P. 55
P. 20, P. 23
P. 47
P. 29
O. 14
P. 22
O. 08, P. 39
P. 28, P. 45
P. 25
P. 40
MEZZALIRA G.
MICHELI M.
MICOZZI F.
MOIO L.
MOLINARI S.
MOLINU M.G.
MONACO A.
MONETA E.
MONTI L. M.
MOSCONI P.
MULAS M.
MULINACCI N.
P. 36
P. 30
O. 11
P. 26
O. 14
P. 58
P. 16
P. 26
P. 12, P. 52
O. 08, P. 39
P. 08
O. 23, P. 55
NANNI L.
NARDI L.
NATALI L.
NEGRI V.
O. 08
P. 38
P. 41
O. 08, O. 14
OCCHIPINTI A.
OLITA G.
ONOFARO SANAJÀ V
P. 22
O. 14
P. 40
PAFFETTI D.
PAGNOTTA M.A.
PALADIN C.
PALASCIANO M.A.
PANNELLI G.
PAOLACCI A.R
PAOLOCCI F.
PAOLOCCI M.
PAPA R.
PARENTE A.
PARISI M.
PARRINI P.
PATANÈ C.
PELLICCIA O.
PENTANGELO A
PEPARAIO M.
PESSINA R.
PIAZZA M.G.
PICARELLA M.E.
PIERGIOVANNI A.R.
PIETRUCCI M.
PIGNONE D.
PILERI L.
PILLA F.
PIOMBINO P.
POLI F.
POLIGNANO G.B.
POLLASTRI L.
POLLEGIONI P.
PORCEDDU A.
PORFIRI O
PREDIERI S.
PROIETTI R.
PROSPERI F.
P. 09, P. 10, P. 11
O. 21
P. 30
P. 35
P. 08
O. 15
P. 14
P. 49
O. 08, P. 18
O. 13
P. 37, P. 42
P. 33
P. 22
O. 18
P. 37, P. 42, P. 48
P. 26
P. 26
O. 06
O. 08
P. 13
P. 36
O. 02
P. 03, P. 27
P.17
P. 26
P. 20
P. 01
P. 05
P. 36, P. 43
O. 17
P. 02, P. 18, P. 19
P. 44, P. 46
P. 36
P. 30
PUGLIANO G.
PUGLISI S.
P. 12
P. 13
RACCUIA S.A.
RAO R.
RAPPARINI F.
REALE S.
RESTA P.
REY MUNOZ N.A.
RICCI L.
RICCIARDI L.
RICCIOLINI C.
RICCIONI C.
ROCCO M.
ROSATI A.
ROSELLI G.
ROSELLI M.
ROSELLINI D.
ROSSI L.
ROVIGLIONI R.
RUBINI A.
P. 28, P. 45
P. 12, P. 48
P. 44, P. 46
P. 17
P. 35
O. 21
P. 15
P. 29
P. 08
P. 14
P. 47
O. 10
O. 23, P. 55
P. 38
P. 24
O. 20
P. 50
P. 14
SACCARDO F.
SAPONARO C.
SCIALABBA A.
SCIALPI A.
SEBASTIANI F .
SICA M.
SILIGATO F.
SILVERI D.D.
SILVESTRINI E.
SINESIO F.
SOLDO A
SONNINO A.
SORESSI G.P
SPAGNOLETTI ZEULI P.L.
SQUILLARO T.
STANDARDI A.
STEFANINI M.,
O. 11, O.21
P. 25
P. 23
O. 10
P. 04
P. 51
P. 39
P. 02
P. 03
P. 26
P. 46
O. 18
O. 08, P. 13, P. 39
O. 14
P. 31
P. 30
O. 03
TAVAZZA R.
TAVIANI P.
TIRANTI B.
TORRICELLI R.
TOSTI N.
TRINGALI S.
TRIONFETTI NISINI P.
TURCHI R.
TURLETTI A.
TUSA N.
TUTTOBENE R.
O. 11
P. 24
O. 08, O. 14
P. 02, P. 05, P. 18 ,P. 19
P. 08
P. 45
O. 11
P. 03, P. 54
P. 15
O. 19, P. 38
P. 32
UGGENTI P.
P. 01
VAGNONI G.
VARASANO E.
P. 50
O. 17
VENDITTI T.
VENDRAMIN G.G.
VENORA G.
VERONESI F.
VERONICO P.
VETTORI C.
VILLARI G.
VINCIERI F.F.
VITELLOZZI F.
P. 58
P. 04, P. 14
P. 27
O. 08,O. 14, P. 02, P. 05, P.24
P. 25
P. 11
P. 37
P. 55
P. 09, P. 10
ZACCARDELLI M.
ZACHEO G.
ZOPPI L.
P. 37, P. 48, P. 52
O. 16, P. 34
P. 54