Rifiuti nello spazio
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Rifiuti nello spazio
LA SPAZZATURA NON È SOLO DI QUESTO MONDO, ANCHE SE DA QUESTO MONDO PROVIENE A cura di Consuelo CHIODO A.A: 2013-2014 Oggigiorno quando ci si ritrova ad affrontare il tema dei rifiuti, i riflettori vengono puntati quasi sempre sui rifiuti solidi urbani e sui problemi correlati alla loro gestione e smaltimento. Purtroppo in qualsiasi campo o settore, anche i più impensabili, il problema della fine del ciclo della vita di un prodotto costituisce un tema non trascurabile. Il genere umano, infatti, non si limita ad inquinare il pianeta che abita: la nostra immondizia è arrivata ad invade persino l’atmosfera terrestre. Ad oggi la "frontiera spaziale”, che sembrava essere un’utopica porta verso mondi sconosciti, è stata ripetutamente varcata, al punto da essere invasa dai nostri rifiuti e già ridotta a pattumiera. In orbita attorno alla nostra Terra ci sono, ormai sparsi ovunque, i resti di ciò che l'uomo ha portato nello spazio. Nei 57 anni trascorsi dall’ avvio delle tecnologie umane nello spazio, a partire dal 4 ottobre 1957 col lancio dello Sputnik, infatti, tanta è stata la spazzatura che si è accumulata: oggi, a 65 chilometri da noi, orbitano frammenti di tutte le dimensioni, da quelle di una monetina a quelle di un tir. Li chiamano "space debris": si tratta di satelliti, sonde, rottami di veicoli ma anche "souvenir" più o meno volontariamente lasciati da astronauti in varie missioni, come macchine fotografiche, guanti, spazzolini da denti, attrezzi, fino a giungere ai sacchi d’immondizia prodotti dagli occupanti della stazione orbitante MIR in quindici anni di attività. L'enorme discarica che ruota intorno alla Terra cresce a ritmi vertiginosi, essendo arrivata a diventare ormai un pericolo sia per le attività umane, che per i satelliti ancora operativi, la stazione spaziale internazionale e gli stessi astronauti che ci lavorano. Decadi di lanci spaziali hanno lasciato la Terra circondata da un alone di spazzatura. Secondo dati diffusi dalla NASA, infatti, sono circa 22.000 i pezzi orbitanti, di dimensioni rilevabili dagli strumenti, il cui movimento viene costantemente monitorato da radar e telescopi del Norad, il comando americano per la difesa aerospaziale, e dell’ESA, l’agenzia spaziale europea. Tutte le sonde “non segrete” attualmente in orbita sono, infatti, catalogate dallo “United States Strategic Command” (USSTRATCOM) nel catalogo degli elementi a due righe (Two–Line Element – TLE). 1 Al fine di produrre e mantenere un tale catalogo, in cui vengono elencati circa 15000 oggetti con i loro parametri orbitali attuali, la rete “United States Space Surveillance Network” produce continuamente un grande numero di osservazioni ottiche e radar. La dimensione limite degli oggetti presenti nel catalogo è tra i 5 e i 10 cm sotto alcune migliaia di chilometri di altitudine, e tra 0,5 e 1 m per orbite più alte. Solo circa il 6% degli oggetti nel catalogo TLE sono satelliti operativi, mentre circa il 24 % del catalogo è composto da satelliti non operativi, circa il 17% è costituito da stadi superiori di missili e il 13% da detriti relativi a missioni. La restante parte (circa il 40%) sono frammenti che viaggiano a velocità elevatissime, poten-do raggiungere il 36.000 km orari, e che potrebbero causare collisioni tragiche perché, bisogna ricordare, nello spazio anche una nocciolina potrebbe colpire con la forza di una granata. Il problema più grande, dunque, è rappresentato dalle presenza di centinaia di migliaia di frammenti microscopici, generati dalle collisioni di materiali di maggiore dimensioni: pezzi così piccoli, da non poter essere individuati. Due sono i rischi maggiori che provengono da questa vera e propria emergenza: il primo è che satelliti funzionanti in orbita possano subire i danni di un eventuale impatto con questi veri e propri proiettili vaganti, il secondo è per la stessa vita degli astronauti all’interno delle stazioni orbitanti. Dal 1978 il numero dei rifiuti intorno all’orbita terrestre è triplicato, avverte Heiner Klinkrad, direttore del dipartimento dei rifiuti spaziali all’ESA. Si prevede, per di più, che nel prossimo decennio saranno mandati in orbita circa 1.150 nuovi satelliti, non considerando che, se il rilascio di rifiuti prosegue a questo ritmo, proprio entro un decennio si rischia, a causa delle collisioni, di distruggere ognuno di questi stessi satelliti. Diventa di vitale importanza, quindi, cercare di mantenere "pulito" lo spazio. 2 Reazione a catena Un gruppo di esperti durante la 6° Conferenza europea dei rifiuti spaziali, tenutasi a Darmstadt in Germania, ha lanciato la richiesta di aiuto: “puliamo lo spazio intorno l’orbita terrestre poiché ci sono troppo rifiuti”. La rimozione dei detriti spaziali è, infatti, un problema ambientale di dimensioni globali e deve essere valutato in un contesto internazionale, tra cui le Nazioni Unite. Ma quale potrebbe essere lo scenario più catastrofico? Si parla di una reazione a catena di collisioni che genererebbero frammenti grandi abbastanza da causare un impatto a cascata. Oggi questi impatti avvengono circa ogni 5 anni, ma nel prossimo futuro potrebbero accadere ogni anno (se non addirittura meno) e, come conseguenza, avremmo alcune aree spaziali totalmente inquinate, rendendo impossibile effettuare voli spaziali in quelle regioni. Le missioni spaziali del futuro dovranno dunque essere “sostenibili”, curando lo smaltimento dei rifiuti una volta completate, altrimenti vi è il concreto rischio che si verifichi la cosiddetta “Sindrome di Kessler”. La Sindrome di Kessler è uno scenario spazio-apocalittico, teorizzato nel 1978 dal consulente della NASA Donald J. Kessler, secondo il quale il volume i detriti che orbitano a bassa quota intorno alla Terra diventerà così elevato, nel prossimo futuro, da scatenare una serie di collisioni a catena che renderebbe impossibile per generazioni l’esplorazione spaziale e l’uso dei satelliti artificiali. La collisione, avvenuta il 10 Febbraio 2009, tra i satelliti Iridium 33 e Cosmos 2251, secondo gli esperti, potrebbe già aver innescato questa reazione a catena. Non era, infatti, mai stata registrata una collisione tra satelliti di quelle dimensioni: l’americano Iridium 33, lanciato nel 1997 e facente parte di una costellazione privata per telecomunicazioni, aveva un peso di 560 chili; mentre il satellite russo, Cosmos 2251, ormai in disuso da almeno 5 anni, pesava 950 chili. Lo scontro si è verificato a circa 800 chilometri di distanza dalla Terra, grosso modo all’altezza del Polo Nord, frantumandosi in una nuvola di detriti: i primi rilevamenti hanno contato almeno 600 “pezzi” di taglia superiore ai 10 centimetri, ma il numero è cresciuto a dismisura considerando gli innumerevoli frammenti individuati dai radar. Negli ultimi anni, inoltre, ci siamo già trovati a dover fare i conti con satelliti in caduta libera verso la Terra; tra questi due in particolare hanno destato non pochi timori, riguardo un’eventuale impatto, fortunatamente non verificatosi, con la superficie terrestre. L'Upper Atmosphere Research Satellite (UARS), ovvero "satellite di ricerca nell'alta atmosfera", era un osservatorio orbitale la cui missione era quella di studiare l'atmosfera terrestre, in particolare lo strato protettivo di ozono. 3 Il satellite, entrato in orbita nel 1991 e dismesso nel 2005, è rientrato e bruciato nell'atmosfera il 24 settembre 2011, sopra l'Oceano Pacifico. Il satellite artificiale tedesco, ROSAT, la cui missione era lo studio dei raggi x nell’universo, è rientrato sulla terra il 23 ottobre 2011, fortunatamente anch’esso senza causare danni, ma “limitandosi” ad inquinare le acque dell'Oceano Indiano, nel quale sono precipitati i suoi detriti. Pericolo detriti La European Space Agency ha lanciato l’allarme circa un anno fa e tra i piani futuri c’è quello di una missione per recuperare i detriti dei satelliti che vagano in orbita. L’unico modo di controllare questi rottami è quello di rimuovere gli oggetti più grandi come i satelliti in disuso. Il rischio non è solo quello di collisione ma di esplosione causata da rimanenze di carburante o batterie non completamente scariche che potrebbero scoppiare per il riscaldamento causato dai raggi solari. Il professor Holger Krag, responsabile dell’ufficio dei detriti spaziali dell’ESA, sostiene che c’è un grosso rischio anche perché gli stessi satelliti in disuso generano ulteriori detriti per frammentazione. Ne sanno qualcosa, ad esempio, i sei astronauti che, nel marzo 2013, si trovavano sulla Stazione Spaziale Internazionale e che dovettero trasferirsi in fretta e furia nelle capsule di salvataggio. C’era il pericolo, infatti, di entrare in collisione con i detriti di un missile russo, avvistati troppo tardi per tentare manovre elusive. E' l'allarme lanciato dalla 17esima “International Space Conference” svoltasi a Roma, nell'Hotel Parco dei Principi, dall'8 al 10 maggio 2013, sul tema: “The impact of Space Weather and Space Exploitation on modern society – Hazards’ forecasting, prevention, mitigation and insurance at international level”. "Il nostro scopo è estendere le conoscenze su quei rischi, di origine naturale o umana, che potrebbero avere effetti anche catastrofici sulle nuove tecnologie e sulle grandi reti", ha spiegato lo stesso fondatore e presidente della biennale conferenza, Benito Pagnanelli. "Questo genere di incontri forniscono l'occasione per favorire un migliore coordinamento tra i vari Paesi del mondo per affrontare questo genere di rischi e per valutare l'opportunità di costituire un ente internazionale, di cui faccia parte anche l'Italia, in modo da sorvegliare questi fenomeni e la gestione delle grandi emergenze". Tra i partecipanti all’evento, organizzato da Pagnanelli Risk Solutions, circa 300 esperti provenienti da tutto il mondo e dalle maggiori Agenzie spaziali (tra cui NASA, ESA, Inmarsat, Arianespace, l’italiana ASI, la francese CNES, la tedesca DLR e la britannica Uk Space Agency), insieme a rappresentanti del Parlamento e della Commissione Europea. 4 Numerose anche le presenze delle maggiori industrie mondiali nel settore spaziale, tra cui le italiane Thales Alenia Space e Telespazio. Una sessione della conferenza è stata dedicata al tema degli “space debris”. In particolare, si è a lungo discusso sui rischi per la popolazione civile, le grandi reti e le infrastrutture a terra, dovuti alla presenza crescente di detriti nell'orbita terrestre, oltre alle contromisure da adottare nel mondo, le procedure di protezione civile e le coperture assicurative. A dimostrare quanto il "pericolo detriti" sia reale, alcuni gravi incidenti avvenuti nel corso dell’anno passato, come ad esempio la collisione tra il satellite russo Blitz e i rottami del satellite cinese Fengyum 1C. C'è preoccupazione anche per l'insuccesso di alcuni lanci in orbita, come il recente fallimento del vettore russo Zenit-3LS che doveva portare nello spazio il grande satellite per telecomunicazioni Intelsat 27. La schiuma italiana e lo spazzino svizzero per eliminare i “Debris” L’imperativo è dunque rimuovere questi detriti prima che lo spazio diventi “off limits”. Le idee per fare un po’ di pulizia nello spazio celeste negli ultimi anni non sono mancate ma il costo si è sempre dimostrato proibitivo; ciò nonostante, va chiarito, i costi di recupero dei rifiuti saranno comunque di certo inferiori ai costi di perdita dei satelliti funzionanti. Dal momento che il maggior numero di rifiuti naviga su orbite medie, ad un’altezza compresa tra i 700 e i 1200 chilometri, alcuni esperti hanno suggerito di sospendere i lanci. La funzione di questi oggetti potrebbe nel frattempo essere svolta da piccoli satelliti di breve durata stanziati su orbite basse, solo che ne servirebbero molti. Bisogna però considerare che le orbite intermedie assecondano in maniera ideale gli scopi dei satelliti destinati alla cartografia e alla navigazione ed inoltre, a tali quote, i satelliti resistono poco a causa dell’alta densità dell’atmosfera ed escono presto dalla loro posizione. Ad ogni modo, sarebbe utile, sensibilizzare ogni paese e pensare ad accordi di tutela a livello internazionale, in modo che i satelliti rovinati escano autonomamente dall’orbita subito dopo essere stati spenti. Sono già diversi anni che la comunità scientifica propone metodi di pulizia dello spazio circostante la Terra e non mancano sono mancate proposte concrete. Una di queste viene dall’Italia, precisamente dalla Seconda Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna, che ha sede a Forlì. Qui alcuni studenti hanno messo a punto un sistema per "frenare" la corsa dei rifiuti orbitanti: si tratta di una SCHIUMA capace di espandersi e solidificarsi nello spazio dopo averli catturati. In questo modo essi possono essere allontanati dall’orbita della terra o essere "dirottati" verso la sua atmosfera, che provvede a incenerirli. 5 L’ESA ha deciso di trasformare l’idea in un esperimento, che è stato chiamato "Redemption" (REmoval of DEbris using Material with Phase Transition – IONospherical tests). Nel marzo 2013, in Svezia, si è svolto un primo test che sarà ripetuto. Il Centro Spaziale Svizzero ha annunciato di voler iniziare un’operazione di pulitura dello spazio lanciando in orbita un “satellite spazzino” chiamato “Clean Space One” capace di catturare i rottami al volo e spedirli verso l’atmosfera terrestre. Gli studiosi dell’Università di Losanna hanno infatti messo a punto un'articolazione artificiale intelligente, ovvero un BRACCIO BIONICO, dotato di grandi riflessi che possono portare ad afferrare un detrito in avvicinamento nel giro di cinque centesimi di secondo. Grande quanto un cubo che può essere tenuto tra le mani, il satellite pulitore si servirà di una particolare pinza “tentacolare” lunga un metro e mezzo e montante una mano con quattro dita. Tale articolazione gli permetterà di afferrare i suoi obiettivi che viaggiano a circa 28000 km/h a 750 km di distanza dalla superficie terrestre. Dopo essere stati afferrati, i rifiuti, saranno spinti verso l’atmosfera terrestre ed una volta entrati nell’orbita terrestre si disintegreranno, per l’enorme attrito con essa, ad una temperatura di circa 1000°C. Una sorta di Wall-E orbitante, certamente meno romantico del personaggio disneyano ma dotato della proverbiale precisione elvetica, dote fondamentale per acchiappare oggetti che viaggiano a oltre 7 Km al secondo. Sembra tutto molto semplice sulla carta ma alcuni problemi sembrano emergere subito: per esempio la gestione della rotta del satellite pulitore e la potenza della sua stretta per tenere saldi i rottami da rispedire sulla terra. Durante il collaudo, i ricercatori del Polytechnique fédérale de Lausanne hanno lanciato verso il robot alcuni oggetti di diverse dimensioni: una racchetta da tennis, una palla, un martello, una bottiglia vuota ed una bottiglia semivuota. Oggetti scelti appositamente per mettere in difficoltà il braccio, attraverso centri di gravità che si si spostavano durante il volo e ostacoli per la presa, come i manici. 6 L'articolazione riesce a intervenire grazie a una serie di telecamere e di parametri preimpostati, creando un modello cinetico degli oggetti basandosi alla loro traiettoria, velocità e rotazione attraverso un'equazione. Il costo del satellite sarà vicino agli 11 milioni di dollari e vedrà lo spazio probabilmente solo nel 2016. Fino ad allora sarebbe molto previdente evitare di continuare ad affollare anche lo spazio siderale con dannosi e spesso inutili oggetti umani. Anche l'ESA sta comunque continuando a valutare nuove soluzioni, tra cui l’idea avanzata dagli ingegneri giapponesi di utilizzare una rete magnetica per catturare i rifiuti spaziali e distruggerli. "L’esperimento è espressamente stato pensato per contribuire alla pulizia dello spazio" - ha spiegato Masahiro Nohmi, dell’Università di Kagawa. Il 28 febbraio 2013, dunque, il Giappone ha lanciato in orbita un satellite dotato di una speciale rete magnetica costituita da sottili cavi di alluminio e acciaio inossidabile. Il "retino spaziale" attirerà i frammenti metallici e li spingerà nelle zone più basse dell'atmosfera dove, a causa dell'attrito, si disintegreranno. Al momento il lancio prevede solo una fase di test sulle funzioni della rete, che diverrà operativa solo nel 2015. Ripulire lo spazio, come si è potuto intuire, non è un'impresa imminente: le tecnologie necessarie hanno ancora bisogno di almeno 5 anni per essere messe a punto, e di circa 8 anni per diventare pienamente operative. Come ha spiegato il direttore del Centro per la ricerca scientifica e tecnologica dell'ESA (Estec) Franco Ongaro: "Ci stiamo preoccupando di far rientrare con la minor spesa possibile tutto quello che mandiamo su". Mantenere lo spazio pulito Le tecnologie per lo spazio pulito si dividono in due filoni: uno si occupa dell'impatto delle attività spaziali sulla Terra, ad esempio costringendo agenzie e aziende a rivedere i sistemi di propulsione basati sull'idrazina, una sostanza pericolosa e che potrebbe presto essere bandita; il secondo riguarda invece lo sviluppo di tecnologie per la riduzione del numero dei detriti spaziali più ingombranti. Le strategie da seguire però saranno tracciate non prima di novembre, nel corso della prossima conferenza ministeriale dell'ESA. Tra esse anche l'utilizzo delle tecnologie spaziali per la produzione di energia da fonti rinnovabili. L’intento è quello di recuperare i rifiuti prodotti durante le missioni, in particolare il materiale plastico, per creare degli scudi spaziali anti-radiazioni da impiegare, almeno per ora, nelle future esplorazioni. Tali scudi che proteggerebbero inoltre gli astronauti dalle radiazioni provenienti delle tempeste solari. 7 Uno speciale compattatore di rifiuti, ideato dalla “NASA Ames Research Center” della California, verrà usato per riscaldare i rifiuti per circa tre ore fino a raggiungere una temperatura di 150- 180 °C. Il prodotto finale sarà rappresentato da una piastra di 0,5 Kg che porterà, allo stesso tempo, ad una riduzione di volume dei rifiuti pari al 90%. In generale, per creare una piastra di un centimetro di spessore e 20 centimetri di diametro, non saranno necessari quantità enormi di rifiuti, ma sarà sufficiente il classico volume di accumulo giornaliero degli astronauti. Attualmente si stanno effettuando una serie di esperimenti per capire se le piastre potranno essere utilizzate in maniera sicura ed efficiente a bordo della navicella spaziale, ricreando le stesse condizioni che si avrebbero nello spazio. La Microbiologa Mary Hummerick, anche lei impegnata nel progetto, crede che tutti gli imballaggi plastici scartati dagli astronauti possano avere una seconda vita nella forma di scudi anti radiazioni Non ci sono dubbi che questo tipo di approccio e tecnologia potrebbe rendere le future missioni su Marte meno impattanti e, magari, gli stessi scudi potrebbero essere reimpiegati per proteggere anche noi, abitanti del pianeta blu, dalle radiazioni di cui siamo circondati. Sitografia www.gruppohera.it/dossier_rifiuti www.ilpost.it/2012/03/24/il-problema-dei-rifiuti-nello-spazio www.tuttogreen.it/rifiuti-nello-spazio-che-fine-faranno www.lanotiziagiornale.it/emergenza-rifiuti-nello-spazio-ora-sono-unpericolo-vero-secondo-la-european-space-agency-sono-troppi-le-idee-perripescarli-laser-fiocina-o-rete www.greenme.it/informarsi/universo/8705-spazzatura-rifiuti-spaziali-esa www.virtuousitaly.it/focus=rifiuti-nello-spazio-la-nasa-ha-unidea-migliore www.lescienze.it/news/2003/11/03/news/eliminare_rifiuti_nello_spazio http://www.tgcom24.mediaset.it/green/2014/notizia/sempre-piu-detritisatellitari-un-braccio-bionico-ripulira-lo-spazio-dai-rifiuti_2044266.shtml http://italian.ruvr.ru/2013_01_30/effetto-Kessler-sta-minacciando-ilcosmo/ http://www.datamanager.it/news/arriva-dal-giappone-una-rete-magneticacatturare-i-rifiuti-nello-spazio-52840.html 8