Per non dimenticare: la memoria dell`Olocausto

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Per non dimenticare: la memoria dell`Olocausto
Tesina d'italiano e storia
Per non dimenticare:
la memoria della
Shoah
Di:
Poggi Luca
5°S
Premessa:
Anche quest'anno il 28 Gennaio è stata celebrata la giornata mondiale della memoria,
per non dimenticare lo sterminio del popolo ebraico ad opera dei nazisti.
Purtroppo guardando alcune trasmissioni televisive sono stato colpito negativamente
dal fatto che molte persone, specialmente i più giovani, sappiano poco o quasi niente
della Shoah.
Per questo motivo ho voluto approfondire l'argomento perchè anche se sono passati
oltre 60 anni da quella tragedia, ognuno di noi deve conoscere i fatti e tener viva la
memoria, perchè solo conoscendo il passato e gli errori fatti, si può sperare di non
commetterli nuovamente.
Qualunque pietra tu alzili discopri, coloro cui occorre
il riparo delle pietre:
denudati, rinnovano il loro intreccio.
Qualunque tronco tu abbattiinchiodi assi
d'un giaciglio, ove
di nuovo s'ammucchiano le anime,
come se non si scotesse
anche quest'
Era.
Qualunque parola tu dicarendi grazie
alla perdizione.
Da P. Celan, Di soglia in soglia.
Questa poesia di Celan usa la parola isolandola dal contesto per darle più forza, ma è
una parola che non nasce fuori da un contesto.
Il riferimento è alla prigionia dei deportati, ma è anche la condizione di chiunque sia
dietro una grata da cui guarda verso un immaginario cielo di libertà.
Il richiamo ad essere estranei tra estranei è il richiamo alla desolazione dell'uomo e al
suo essere gettato nel tempo.
E' una riflessione etica e metafisica, ma anche autobiografica, che nasce dal senso di
profonda indicibilità rispetto alla persecuzione del popolo ebraico di cui il poeta fa
parte.
La persecuzione del popolo
ebraico
La persecuzione del popolo ebraico ha origini antichissime: dalla schiavitù egiziana, alla
cattività babilonese, alla diaspora seguita alla distruzione di Gerusalemme ad opera
dell'imperatore Tito, ai ghetti delle città europee nel Medioevo fino ai pogrom della
Russia zarista. La persecuzione si è conclusa solo dopo la seconda guerra mondiale, ma
ancora adesso, periodicamente, le cronache riportano notizie di comportamenti
antisemiti che sfociano spesso in tragedie (vedi Tolosa).
Il popolo ebraico, fin dagli albori della sua storia, rivela un senso di identità e
attaccamento alle proprie tradizioni culturali tanto più forte quanto più inconsistente
si rivela il miraggio di raggiungere la Terra Promessa. La scarsa inclinazione ad
amalgamarsi alle popolazioni con cui esso venne a contatto fece di questo popolo un
potenziale nemico agli occhi di civiltà che mal tolleravano al loro interno focolai di
opposizione e diversità.
Come afferma Primo Levi, a molti individui o popoli accade di considerare più o meno
consapevolmente nemico ogni straniero; questo sentimento, come un'infezione letale,
si annida nell' animo degli uomini, manifestandosi attraverso azioni saltuarie e non
coordinate, ma quando esso dà origine a un sistema di pensiero, allora “al termine della
catena sta il Lager”.
La storia di Primo Levi:
Primo Levi è stata una delle figure più note della letteratura italiana del Novecento.
Ebreo e antifascista, è conosciuto dal pubblico soprattutto per il romanzo “Se questo
è un uomo” un drammatico documento del XX secolo.
Il libro racconta, sulla base della diretta esperienza dell'autore, la drammatica
deportazione degli ebrei italiani ad Auschwitz nel 1944.
Sui campi di sterminio nazisti esiste una nutrita letteratura. In particolare sul lager
di Auschwitz, forse il più famigerato.
Questa letteratura si può dividere in tre categorie: i diari o i memoriali dei deportati,
le loro elaborazioni letterarie, le opere sociologiche e storiche.
Ma “ Se questo è un uomo”, che Levi iniziò durante la prigionia, appartiene a tutte e
tre le categorie.
Chimico torinese, datosi alla macchia dopo l'8 settembre, Levi fu catturato dalla
milizia fascista alla fine del 1943. Essendo ebreo, oltre che partigiano, fu consegnato
ai nazisti che lo deportarono ad Auschwitz.
La sua fortuna, è sempre lui a dirlo, fu che nel 1944 il governo tedesco, data la
crescente scarsità di manodopera, stabilì di prolungare la vita media dei prigionieri da
eliminare.
La sua laurea in chimica fece il resto: non gli risparmiò orrore, fatica, miseria, ma gli
consentì, ad un certo punto, di disporre di una matita e di un quaderno e di qualche ora
di solitudine per ripassare la sua disciplina.
L'esperienza nei “campi”
raccontata nel suo romanzo
“Se questo è un uomo”
In “Se questo è un uomo” l'autore racconta l'inizio del suo calvario:
Dopo un lungo viaggio arriva nel campo, viene spogliato di tutti i suoi averi, gli vengono
rasati i capelli e per essere riconosciuto i nazisti tatuano sul suo braccio il numero 174
517. Da quel momento perde ogni diritto e inizia a lavorare come se fosse uno schiavo.
Mentre trasporta delle traversine si ferisce ad un piede e viene ricoverato
nell'infermeria del campo. Lì sperimenta per la prima volta le selezioni. Quando viene
dimesso viene assegnato ad un' altra baracca nella quale incontra il suo migliore amico,
Alberto, ma non riesce a dividere con lui la cuccetta. Durante la giornata lavorativa fa
amicizia con Reisnyk, che diventa il suo nuovo compagno di cuccetta. Reisnyk, uomo
molto generoso, lo aiuta spesso nel lavoro.
A Primo viene affidato l'incarico di aiuto trasportatore: il suo compito è quello di
aiutare Jean a trasportare la zuppa fino alla sua baracca. Durante il tragitto egli
recita i versi della Divina Commedia e ne spiega il significato a Jean.
Nell'Ottobre del 1944, a causa dell'arrivo di altri prigionieri, ricominciano le selezioni.
Levi, fortunatamente riesce a salvarsi: ha infatti superato l'esame di chimica e viene
scelto per entrare a far parte del kommando chimico.
Intanto i russi si stanno avvicinando e molti prigionieri sperano nell'ormai prossima
liberazione. Una notte, un prigioniero accusato di sabotaggio, in quanto aveva fatto
saltare in aria un crematorio a Birkenau, viene impiccato.
In seguito ai bombardamenti dei Russi sul campo, il lager viene evacuato,gli ufficiali e
le guardie delle SS fuggono. Gran parte dei deportati scappa, ma Levi rimane al campo,
perché si rende conto che non può sopportare la lunga marcia e vive la pena per la
sorte dei deportati e in particolare di Alberto, il suo amico fraterno, che purtroppo
morirà durante il viaggio.
Primo riesce a sopravvivere con i suoi compagni fino a quando i russi provvedono alla
liberazione dei prigionieri rimasti.
Nel romanzo, Levi racconta per intero la sua storia di deportato, i lunghi mesi di
sofferenza, in bilico tra la vita e la morte, nella totale mancanza di rispetto della
dignità umana.
Il tema ricorrente è l'orrore per la distruzione operata sistematicamente dagli
aguzzini della personalità delle vittime, ridotte a concentrare ogni energia fisica e
spirituale nel calcolo della sopravvivenza; il motivo dominante è quello dell'infelicità
unita allo spirito di rassegnazione.
“Se questo è un uomo”, oltre ad essere una denuncia contro i lager nazisti, è un monito
rivolto agli uomini civili perché prendano atto del serpeggiare nascosto di
atteggiamenti disumani (era stata la coltissima, la civilissima, la tecnologicamente
avanzata Germania a mettere in atto lo sterminio degli ebrei).
L'approvazione delle leggi
razziali
A questo punto è essenziale chiedersi come mai Primo Levi, un ebreo italiano, finì nel
lager di Auschwitz.
In Italia nel 1938, dopo tanto altalenare, il fascismo decise la persecuzione razziale.
Alcuni studiosi accettarono di elaborare un “Manifesto degli scienziati razzisti” nel
quale si asseriva che le razze umane esistono, che ve ne sono di superiori e di
inferiori, che la popolazione dell'Italia attuale è di origine ariana, che esiste una pura
razza ariana, che i caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non
debbono essere alterati in alcun modo. Gli ebrei rappresentavano l'unica popolazione
che non si era mai assimilata in Italia perché essa era costituita da elementi razziali
non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani.
I contenuti delle leggi razziali sono evidentemente ispirati alle leggi di Norimberga del
1935.
Mussolini infatti, dopo essersi avvicinato alla Germania nazista, sente il dovere di
aderire anche alla politica antisemita che sino a quel momento non aveva
rappresentato una priorità della sua politica.
Il 14 Luglio fu pubblicato il “Manifesto del razzismo italiano”, che fu poi trasformato
in decreto il 15 Novembre dello stesso anno, con tanto di firma del Re d'Italia
Vittorio Emanuele III di Savoia. Iniziarono così le discriminazioni , partendo dalla
formazione della coscienza razzista nelle scuole: furono sostituiti i libri di testo di
autori ebrei, vennero esclusi gli ebrei da ogni incarico o supplenza.
La parte più traumatica della legge riguardava l'impiego degli ebrei
nell'amministrazione pubblica: essi furono esclusi da tutti i settori, centrali e locali,
dell'amministrazione, compresi gli enti parastatali e le aziende municipalizzate, furono
allontanati dalle banche di interesse nazionale e dalle compagnie di assicurazione.
Infine i ragazzi ebrei non poterono più frequentare le scuole statali.
Le leggi razziali provocarono fra gli ebrei italiani sgomento e, in un primo momento,
divisioni e recriminazioni; ma il grosso della comunità si sentì più unito e più solidale,
avviandosi così verso lunghi anni di sofferenza e di calvario via via inaspriti fino
all'incubo dei campi di concentramento nazisti.
Dal '43 in poi, dopo l'8 settembre, la repubblica di Salò pose in atto la soluzione
finale.
Il ritorno dai campi di
concentramento di Primo
Levi
All'esperienza di Auschwitz Primo Levi ha dedicato gran parte del suo lavoro: come in
“La tregua” (1963), romanzo nel quale, sullo sfondo del travagliato viaggio di ritorno a
casa attraverso l'Europa semidistrutta, egli volge il suo pensiero al “dopo”, alla
ricostruzione di una civiltà fondata sul rispetto della figura umana.
“La tregua” si riallaccia all'ultimo episodio che Primo Levi narra in “Se questo è un
uomo”.
Il nuovo romanzo si apre con l'arrivo dei Russi nel Gennaio del 1945, che pone fine alla
prigionia.
Inizia poi il lungo viaggio di ritorno attraverso l'Europa segnato dalla speranza del
ritorno verso casa e da un percorso insensato attraversato l'Europa Orientale che
pare continuamente allontanare i reduci dalla meta.
Primo Levi giungerà a Torino il 19 Ottobre del 1945.
La narrazione procede attraverso le tappe del viaggio fra ricordi, considerazioni e
ritratti dei personaggi incontrati: il mercante greco Mordo Nahum, il medico
Leonardo, il ladro Ferrari, Cesare, il Moro di Verona, l'attore Ambrogio Trovati, il
torinese Cravero.
Levi conduce il racconto con uno stile asciutto ed essenziale che tuttavia si colora di
un'ironia che attinge all'umorismo della tradizione ebraica.
Giunto a Torino, si riprese fisicamente e riallacciò i contatti con i familiari e gli amici
superstiti dell'Olocausto.
Mosso dalla necessità di testimoniare l'incubo vissuto nel lager, si gettò nella
scrittura del romanzo “Se questo è un uomo”.
Nel 1947 terminò il manoscritto, ma molti editori, tra cui Einaudi, lo rifiutarono.
In questo periodo Levi abbandonò il mondo della letteratura e si dedicò alla
professione di chimico.
Solo nel 1956, durante una mostra sulla deportazione a Torino, verificò uno
straordinario riscontro di pubblico che gli restituì la fiducia nei propri mezzi
espressivi.
In seguito partecipò a numerosi incontri pubblici (soprattutto nelle scuole) e ripropose
“Se questo è un uomo” ad Einaudi, che decise di pubblicarlo.
Nel saggio “I sommersi e i salvati” (1986) tornò per l'ultima volta sul tema
dell'Olocausto, cercando di analizzare con distacco la sua esperienza, chiedendosi i
motivi dei comportamenti aberranti dei nazisti, ma anche dei prigionieri ebrei ad
Auschwitz e perché alcuni di loro siano sopravvissuti e altri no. In particolare estese
la sua analisi a quella che definisce "zona grigia", rappresentata da quegli ebrei che si
erano prestati a lavorare per i tedeschi, controllando gli altri prigionieri nei campi di
concentramento.
Il suicidio
L'11 aprile del 1987 Primo Levi morì cadendo dalla tromba delle scale della propria
casa di Torino, dando adito al sospetto che si trattasse di un suicidio.
Questa ipotesi appare avvalorata dalla difficile situazione personale di Levi, che si era
fatto carico della madre e della suocera malate. Il pensiero ed il ricordo del lager
avrebbero, inoltre, continuato a tormentare Levi anche decenni dopo la liberazione,
sicché egli sarebbe in qualche modo una vittima ritardata della detenzione ad
Auschwitz.
Bruno Bettelheim
Facendo riferimento alla tragica esperienza vissuta dagli ebrei nei lager nazisti
dobbiamo ricordare la figura di Bruno Bettelheim, psicoanalista statunitense di
origine austriaca,la cui vita per alcuni aspetti è simile a quella di Levi, infatti anch'egli,
durante la seconda guerra mondiale, fu internato a Dachau e a Buchenwald.
Bettelheim formula il concetto di “situazione estrema” che esemplifica la particolare
condizione, per certi aspetti simile alla psicosi, in cui un uomo può trovarsi quando
ritiene inevitabile la propria fine.
Nel suo libro “Cuore Vigile” parla ampiamente degli stati d'animo dei deportati ed
analizza come la sopravvivenza di una persona potesse dipendere solo dalla sua
capacità di mantenere una sfera d'azione in cui potesse muoversi con un minimo di
libertà.
Se si imparava a vivere nei campi, la possibilità di salvarsi aumentava notevolmente.
Uno dei mezzi con cui i prigionieri cercavano di proteggere la propria integrità era
quella di sentirsi ancora importanti per il fatto che le loro sofferenze proteggevano
altre persone.
Questo fatto di dover soffrire al posto di altre persone era usato da molti prigionieri
per mettersi in pace con la coscienza ed eliminare il senso di colpa che provavano per
il proprio comportamento nei campi.
Per evitare il senso di colpa, di frustrazione e di dolore i prigionieri si difendevano
psicologicamente anche eliminando ogni attaccamento sentimentale; l'energia vitale
non si poteva spendere in emozioni, ma era tutta necessaria alla sopravvivenza vera e
propria.
Questo modo di comportarsi all'interno del campo creò nei superstiti ferite
psicologiche insanabili accompagnate da un devastante senso di colpa che per molti,
come nel caso di Levi e Bettelheim, è culminato in un gesto estremo: il suicidio.
Bibliografia:
-”Se questo è un uomo” di Primo Levi (Einaudi)
-”GAOT+” di Marta Sambugar – Gabriella Salà (La Nuova Italia)
-”Guida alla storia dal Novecento ad oggi” di A.Giardina – G.Sabbatucci – V.Vidotto
(Editori Laterza)
-”Il Cuore Vigile” di Bruno Bettelheim (Adelphi)
-Film “La Tregua” regia di Rosi tratto al omonimo libro di Primo Levi
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