Il “Paretaio” - Università degli studi di Pavia
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QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE n. 1/2004 Italo Magnani Il “Paretaio” UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE UNIVERSITA’ DI PAVIA ______________________________________________________________________ REDAZIONE Enrica Chiappero Martinetti Dipartimento di Economia Pubblica e Territoriale Università degli Studi di Pavia Corso Strada Nuova 65 27100 PAVIA tel. 0039-382-504401 -504354 fax 0039-382-504402 E-MAIL [email protected] COMITATO SCIENTIFICO Italo Magnani (coordinatore) Luigi Bernardi Renata Targetti Lenti La collana di QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE ha lo scopo di favorire la tempestiva divulgazione, in forma provvisoria o definitiva, di ricerche scientifiche originali. La pubblicazione di lavori nella collana è soggetta, con parere di referees, all’approvazione del Comitato Scientifico. La Redazione ottempera agli obblighi previsti dall’art. 1 del D.L.L 31/8/1945 n. 660 e successive modifiche. Le richieste di copie della presente pubblicazione dovranno essere indirizzate alla Redazione. QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE n. 1/2004 UNIVERSITÀ DI PAVIA Italo Magnani Il “Paretaio” Abstract 1. Premessa; 2. In Pantaleoni non vi sarebbe contrapposizione tra “teoria dell’equilibrio” e “teoria del valore”; 3. Pantaleoni tra equilibri parziali e generali: un’unica teoria generale dell’equilibrio; 4. Pareto, ovvero la contrapposizione tra equilibri generali e equilibri parziali; 5. Pantaleoni non ci sente da quell’orecchio; 6. La recensione di Pantaleoni al Cours paretiano; 7. Pantaleoni in occasione del primo Congresso per la fondazione dell’Associazione per il progresso delle scienze; 8. In vista delle onoranze a Walras; 9. Due modi diversi di vedere le cose; 10. Pantaleoni contro Sensini; 11. Pareto sfruttato dai suoi allievi?; 12. L’attacco di Sensini e La teoria della “rendita” (1912); 13. Le reazioni a La teoria della “rendita”: il biasimo di Einaudi; 14. Il “Paretaio”, ossia l’intervento di Jannaccone; 15. Le risposte di Amoroso e Sensini; 16. La recensione di Murray a La teoria della “rendita” di Sensini; 17. L’intervento di Pareto; 18. La reazione di Pantaleoni; 19. Il contro attacco di Sensini; 20. Opere citate. 1 1. - PREMESSA L’affermarsi del contributo di Pareto, gli equilibri generali del Cours d’économie politique (1897), la completa assimilazione della economia pura alla meccanica razionale, l’eliminazione di ogni elemento di carattere psicologico mediante il ricorso al “fatto materiale della scelta” nel Manuel d’économie politique (1906), il diffondersi dell’uso della matematica in economia, tutto ciò era destinato a creare non pochi imbarazzi, scossoni, polemiche, contrapposizioni e qualche vittima. Pantaleoni, ad esempio, si venne a trovare in qualche difficoltà. Non aveva le conoscenze matematiche necessarie per maneggiare gli equilibri generali. E poi, la sua era l’idea di una economia intesa come “problema di psicologia di un singolo individuo”, era rimasto fedele alla teoria soggettiva del valore che lui stesso aveva contribuito a diffondere in Italia con i Principii di economia pura (1889), si sforzava di persuadersi che non esistessero contrapposizioni tra equilibri generali e equilibri parziali, né tra teoria dell’equilibrio tout court e teoria soggettiva del valore, in quanto capaci tutte di illuminare sotto angolazioni diverse un’unica realtà economica fatta di leggi eterne dell’economia. Quello di Pantaleoni era uno sforzo di generalizzazione e unificazione che di sicuro non poteva tornare né gradito né persuasivo presso Pareto, per il quale invece non era proprio il caso di mettere insieme equilibri generali e equilibri parziali. Questo articolo si propone di dar conto di alcuni aspetti del dialogo tra Pareto e Pantaleoni sui temi sopra accennati. Si propone altresì di spiegare, alla luce di quanto sopra, il significato delle prese di posizione di Guido Sensini e delle polemiche che ne seguirono e si allargarono sino a sollevare interrrogativi attorno al modo di fare scuola 2 da parte di Pareto e al modo con cui si sostanziava il suo rapporto maestro-allievi. Il proposito è quello di arricchire (senza però la pretesa di completare) alcuni temi che già ho avuto occasione di presentare in Pantaleoni e Pareto: teoria del valore vs teoria dell’equilibrio (1996) e nel cap. 20 del mio Dibattito tra economisti italiani di fine Ottocento (2003). 2. - IN PANTALEONI NON VI SAREBBE CONTRAPPOSIZIONE TRA “TEORIA DELL’EQUILIBRIO” E “TEORIA DEL VALORE” Anche dopo l'affermarsi dei contributi di Walras e Pareto, Pantaleoni rimane aggrappato all'idea che la scienza economica si identifichi con la teoria del valore, "intesa come rapporto tra remunerazione e sforzo" (Pantaleoni, 1898, p. 244), rispetto alla quale egli si ingegna a dimostrare che la nuova teoria dell'equilibrio non sarebbe in contrasto, nel tentativo di unificare e conciliare, ma soprattutto di difendere la validità del proprio approccio psicologico e soggettivistico. Nella prolusione dedicata a Dei criteri che debbono informare la storia delle dottrine economiche, presentata a Ginevra nel 1898, ossia appena dopo la pubblicazione del Cours d'économie politique di Pareto (1896-1987), Pantaleoni, dopo aver ammesso che "un qualche movimento nella graduatoria degli scrittori è continuo e non può evitarsi anche tra coloro che oggi sarebbero da classificare come classici" (ivi, p. 244), afferma: Nell'economia moderna non mi sembra, p. es., del tutto decisa una grave quistione, che è questa: è il concetto fondamentale di cotesta scienza quello dell'equilibrio di un sistema di forze, ovvero lo è l'idea del valore, intesa come rapporto tra remunerazione e sforzo? E' questione che, senza dubbio, il prossimo avvenire deciderà: Ma, a seconda che la deciderà in un senso od in un altro, la graduatoria dei precursori in una storia delle dottrine cambierà. A me l'antitesi tra i due modi di costrurre l'economia non sembra fondamentale, come altri la ritengono, perché 3 chi costruisce l'economia come l'equilibrio di un sistema di forze deve ricordare che le forze di cui ragiona sono edonistiche, cioè manifestazione del concetto di valore, mentre colui che costruisce l'economia come scienza del valore s'accorge tosto che individui supposti mossi dal desiderio di rendere massimo il piacere e minimo il dolore continuano nei loro moti finchè non siano raggiunte determinate posizioni di equilibrio. Ma, se poi sia giusto, come penso senza arbitrarmi a decidere, di dirimere la questione, quale delle due idee, dell'equilibrio, cioè, o del valore, sia la più fondamentale, è questo anch'esso un problema che solo il tempo deciderà. In favore della prima opinione milita il fatto che le condizioni dell'equilibrio economico riescono identiche a quelle generali dell'equilibrio meccanico e ottiensi una visione affatto nuova e di una grandiosa elementarità dei fenomeni economici; in favore della seconda milita il fatto che tutta l'economia si presenta come un problema di psicologia di un solo individuo, concetto anche questo cui non fa difetto l'eleganza (Pantaleoni, 1898, pp. 244245). Ma Pareto non ci sta e risponde lapidario: "O si sa la meccanica e si capisce subito la cosa […] o non si sa la meccanica razionale, e allora non si può capire un semplice articolo. Perciò io ti avevo proposto di farti conoscere la meccanica nelle vacanze, ma tu ti sei messo a fabbricare figliuoli invece di lavori scientifici, e ci vuole pazienza. Non c'e' opposizione tra la teoria del valore e quella dell'equilibrio; in meccanica si usano l'una e l'altra, ma quella generale… è generale"!1 3. – PANTALEONI TRA EQUILIBRI PARZIALI E GENERALI: UN’UNICA TEORIA GENERALE DELL’EQUILIBRIO. Cionondimeno Pantaleoni rimane ancorato alla propria concezione della teoria del valore, a quella teoria cioè nella quale si riconosceva, entro la quale aveva lavorato e tratto quanto possibile sin quasi a rimanerne prigioniero, dalla quale aveva avuto il successo scientifico. Si capisce quindi come egli si occupi e preoccupi proprio della teoria del valore e delle sue possibili differenze con la “teoria dell’equilibrio” (senza 1 Pareto a Pantaleoni, 1° novembre 1898, corsivo nostro. Anche nel seguito le lettere di Pareto a Pantaleoni sono in De Rosa, a cura di, 1960. 4 ulteriori qualificazioni): le pone al centro dell’attenzione, cerca di riconciliarle e unificarle, riconduce i meriti di Walras proprio alla scoperta del “teorema dell’utilità massima” e non invece alla costruzione della teoria dell’equilibrio generale, trascura anzi del tutto l’altra grande partizione dell’economia di cui non gli era facile avvertire la reale portata e la cui comprensione richiedeva di disporre di uno strumentario analitico che egli non possedeva 2, quella cioè tra equilibri parziali ed equilibri generali. Non c’è da stupirsi che, accanto a Walras e a Pareto, egli si ostinasse a collocare Marshall e “tutti coloro che hanno compreso cosa significhi equilibrio economico” (Pantaleoni, 1897). 4. – PARETO, OVVERO LA CONTRAPPOSIZIONE TRA EQUILIBRI GENERALI E EQUILIBRI PARZIALI. Non così Pareto, una volta affrancatosi dai Principii del Pantaleoni, dal “grado finale di utilità” con cui si era cimentato nel suo primo apprendistato (Pareto, 1892 e 1982/a) non meno che nel Cours d’économie politique (Pareto, 1896-1897), dai dubbi attorno alla costanza o meno dell’utilità marginale della moneta (quando si tenga conto del prezzo di tutte le merci), dai dubbi in che consistessero le diversità tra Auspiz e Lieben da una parte e Walras dall’altra, tra Cambrige e Losanna, dal modo, infine, di concepire l’economia in termini di relazioni tra causa ed effetto per accedere ai rapporti di mutua dipendenza tra tutti i fenomeni. 2 Cfr. Sensini, 1912, p. 313, nota, dove se la prende con Pantaleoni e la “scuola diagrammatica”: “Il diagramma [...] è assolutamente incapace di darci un qualsiasi concetto intorno alla mutua interdipendenza di più fenomeni, onde l’uso di esso quale trovasi oggi presso un numero grandissimo di scrittori – che credono di dire cose nuove solo col rivestire di apparenze grafiche cose vecchie notissime – ha nel suo complesso servito più che altro a condurci a delle illusioni ed anche a dei veri errori, togliendoci perfino la visione d’insieme dei fatti economici che gli economisti classici erano alle volte riusciti a raggiungere, sia pure alla meglio, col semplice uso del linguaggio ordinario” . 5 Pareto aveva progredito abbastanza da rendersi indipendente, da divenire parte in causa e oramai protagonista, campione della nuova scienza, e anzi di essa innovatore. E’ naturale dunque che non potesse convenire attorno all’idea di Pantaleoni, quella cioè di un’unica scuola capace di abbracciare tutti quanti gli economisti che sanno l’economia, e si capisce bene come egli volesse porre al centro dell’attenzione il proprio approccio scientifico, e lo volesse contrapporre e far prevalere da un lato a quello di Walras là dove rivendicava per sé l’essere “positivista a segno tale che nulla per me esiste fuori dall’esperienza” (Pareto a Pantaleoni, 17 maggio 1897); dall’altro a quello di Marshall da cui si sentiva distante quanto lo sono gli equilibri generali dagli equilibri parziali; dall’altro ancora all’approccio di Pantaleoni e, più in generale, a quello della teoria soggettiva del valore, come si conveniva a chi intese eliminare dalla teoria pura ogni elemento di carattere psicologico per approdare al “fatto materiale della scelta”. Ed è su questo terreno, quello appunto degli “equilibri generali”, che Pareto si sarebbe riconosciuto in Walras per prendere distanze dal Marshall e da tutti coloro che lo seguivano sulla strada degli equilibri parziali. In Pareto la contrapposizione stava dunque lì e non altrove, nè meno che mai potevano venirgli motivi di preoccupazione dalla vecchia teoria edonistica del valore da cui pure Pareto aveva preso le prime mosse (Pareto, 1892), ma che gli appariva ormai lontana, superata, errata e in nessun modo pericolosa per il proprio sistema scientifico. La distanza rispetto al Pantaleoni campione della teoria soggettiva del valore e, al tempo stesso, generalizzatore e unificatore non potrebbe essere più grande. 6 5. - PANTALEONI NON CI SENTE DA QUELL’ORECCHIO. Si noti come Pareto si rivolga a Pantaleoni per vincerne la scarsa o nulla propensione a voler distinguere tra equilibri “parziali” e “generali”, si provi a metterlo sulla “sua strada giusta”, si affanni a persuaderlo. Già in una lettera del lontano 17 giugno 1895 gli scriveva: Mi pare che Edgeworth abbia ragione di dire che tra la scuola di Cambridge e quella di Losanna ci sono differenze profonde. Il Marshall non è ancora giunto a farsi un’idea dell’equilibrio economico […]. E’ venuto il Walras ed ha avuto l’idea di considerare tutto il sistema […]. Bisogna esprimere le condizioni che fanno stare il sistema in equilibrio […]. Ecco perché le idee del Walras hanno fatto fare alla scienza un passo da gigante, mentre nulla ha aggiunto il Marshall di molto notevole alle nostre conoscenze. E pochi giorni dopo, il 9 luglio 1895, Pareto tornerà a scrivere all’amico con decisione assai maggiore e con ben più sicurezza di sé: Il Walras ha il gran merito di avere pel primo trovato un modo di figurare il complesso del fenomeno economico […]. Ora io dico che il Marshall giunge a risultamenti errati. Egli non ha ancora capito cosa sia l’equilibrio economico, e specialmente non intende la mutua dipendenza dei fenomeni messi in chiaro dalle formole del Walras […]. La migliore illustrazione di queste considerazioni sta nel mio Corso, che appunto fa vedere come le equazioni del Walras figurano tutto il fenomeno economico, e come si prestano a tutte le aggiunte necessarie per tenere conto di ogni particolare. 6. - LA RECENSIONE DI PANTALEONI AL COURS PARETIANO Pantaleoni non se ne dà tuttavia per inteso, tanto che nella bozza della sua recensione al secondo volume del Cours del Pareto preparata per la Rivista popolare del Colajanni (Pantaleoni, 1897) si leggeva tra l’altro: “Il concetto fondamentale della dottrina di Pareto, che è pure quello del Walras, del Marshall, e di tutti coloro che hanno compreso cosa significhi equilibrio economico…”. Al che Pareto commenta e protesta con decisione nella lettera a Pantaleoni del 10 febbraio 1897: 7 Pag. 5. – Io non ammetto la figura del fenomeno economico come la spieghi [a] pag. 5. Anzi è in ciò che differisco interamente dal Marshall, ecc. Per me la domanda complessiva non è un dato, ma un’incognita del problema. Pag. 11. – [...] E’ perché il Walras aveva dato quelle equazioni generali che ho potuto intendere e spiegare il fenomeno economico, come ora ti ho detto a proposito di ciò che scrivevi a pag. 5. La differenza tra il metodo del Walras e quello del Marshall, del Edgeworth, ecc., sta appunto in ciò, che il Walras ha dato le equazioni generali, mentre il Marshall ecc. non vogliono o non sanno considerare in quel modo il problema, e quindi non lo risolvono mai interamente , ma danno soluzioni incomplete, assumendo come date quantità che in realtà sono incognite. Passa una settimana e Pareto torna a tuonare in una seconda lettera a Pantaleoni (19 febbraio 1897): Io non approvo niente che si esponga erroneamente una teoria per farla accettare! A chi studia la scienza deve premere di trovare il vero. Lascia quelle arti rettoriche ai politicanti. Nessuno ti chiede di fare una critica delle differenze delle teorie dello Edgeworth, del Walras, ecc; ma quando esponi la mia teoria, non devi esporre quella di un altro! Non è punto una buona ragione che, perché lo Edgeworth e io usiamo la matematica, dobbiamo avere le stesse teorie! Ho poco o nulla di comune collo Edgeworth e col Marshall. Dal Walras riconosco di avere preso l'idea dell'equilibrio generale, alla quale ho aggiunto quella delle approssimazioni successive, togliendo in quel modo l'aspetto troppo astratto delle dottrine del Walras. Dallo Edgeworth e dal Marshall non credo di avere preso niente. Li ho nominati per modestia e per cortesia, ma oggettivamente sarei in grave imbarazzo, se qualcuno mi chiedesse cosa ho in comune con loro. Pantaleoni cerca di persuadersene e si corregge effettivamente al punto di accettare di separare Walras e Pareto da Edgeworth e Marshall nella versione definitiva della sua recensione al Cours di Pareto per la Rivista popolare: Ho nominato come gente che fosse d'accordo in tutto, Edgeworth, Marshall, Walras e Pareto. A rigore non è così. Sono d'accordo i due primi e sono d'accordo i due secondi nel trattare il problema economico 8 […]. Il Pareto e il Walras trattano […] un problema ancora più generale di quello dell'Edgeworth e del Marshall (Pantaleoni, 1897)3. Pantaleoni avrebbe tuttavia fatto sempre fatica a capire, come ancora gli faceva notare Pareto: Io certo, non voglio in questioni scientifiche tirare fuori l'autorità. La tua teoria può essere vera, ed essere errata quella del Walras e mia. Ma non mi pare che tu abbia coscienza di fare la confutazione della nostra teoria. Invece pare che tu creda di spiegarla. Bada bene che sono cose assolutamente contrarie" (Pareto a Pantaleoni, 19 dicembre 1898). Si veda anche la lettera di due giorni prima, 17 dicembre 1898, anch'essa indirizzata al Pantaloni e ancora si veda la lettera del 22 febbraio 1905: Tu mi scrivi come se non avessi la minima idea dei concetti da me esposti nei libri che pure ti ho mandato. Poiché suppongo che tu li abbia letti, trovo il fatto una conferma della teoria che i ragionamenti, anziché persuadere altrui, nemmeno sono, per solito, intesi. 7.- PANTALEONI IN OCCASIONE DEL PRIMO CONGRESSO PER LA FONDAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PER IL PROGRESSO DELLE SCIENZE Anche negli anni più avanti, segnatamente al tempo della conferenza dedicata ad Una divisione cinematografica del progresso della scienza economica presentata a sezione unite (sez. XIII) del Primo congresso per la fondazione dell'associazione per il progresso delle scienze tenuto a Parma nei giorni 23-29 settembre 1907, Pantaleoni (ivi, p. 200) non si fa scrupolo di mettere nuovamente insieme, come corifei della te oria generale dell'equilibrio economico, il Walras, l'Edgeworth, il Marshall, il Pareto. Il confronto tra la prima bozza della recensione e il testo definitivo è reso possibile dalle note 1-7 dove De Rosa commenta la lettera di Pareto a Pantaleoni del 10 febbraio 1897. Cfr. De Rosa, a cura di, 1960, vol. II, pp. 28-34. 3 9 Pareto legge il lavoro ancora in bozza e lo giudica assai bene in una lettera indirizzata all’autore il 15 settembre 1907: "Mi basta per vedere che è un ottimo lavoro che ti farà onore. E' una veduta generale del fenomeno economico come sin ora non si era ancora avuta". Ciò non lo trattiene tuttavia dal rettificare assai vivacemente: Non so perché tu mi metta con Marshall. Io non ho una sola idea del Marshall; se egli dice bene, io dico male, e viceversa. Lo dico, lo ripeto, e non si vuole capire. Guarda quanto occorre ripetere le cose. Sono circa quindici anni che il Walras prese a litigare col Marshall e coll'Edgeworth. Il Walras trattava il caso generale del problema dell'equilibrio, il Marshall e l'Edgeworth volevano trattare casi particolari. Io mi schierai dalla parte del Walras e, da 15 anni, ogni tanto ripeto ciò che per la centesima volta sta scritto [a] p. 7 del mio articolo: « Les premiers economistes mathématiciens on fait usage, etc» . Forse ho avuto torto, per riguardi personali, di non scrivere in tanto di lettere Marshall. Sono in tempo a metterlo in una nota dell'Appendice , ma servirà a poco. Quando l'avrò ripetuto altre cento volte, si seguiterà a citarmi col Marshall … e colla scuola austriaca! Io sto bene col Walras, che fu mio maestro, col Fischer, ma non sto in nessun modo con Marshall, e poco coll'Edgeworth. Qui non discuto se loro hanno ragione ed io torto; dico che non ho, non ho mai avuto, nessun concetto di economia pura comune con Marshall. Ripeto che, se egli ha ragione, io ho torto e viceversa. L'uso delle matematiche, come le adopera il Marshall, è a parere mio di scarsa utilità per l'economia politica. Quell'uso è solo utile quando si considera il sistema delle equazioni simultanee che determina l'equilibrio; e quel sistema il Marshall non lo ha mai considerato. Non so contare quante volte ho ripetuto che solo la necessità di risolvere quel sistema di equazioni, il quale esprime l'interdipendenza dei fenomeni, giustifica l'uso della matematica. Mi pareva di essere stato chiaro; mi pareva inutile di aggiungere che proprio il Marshall è uno di colo[ro] che non considera[no] quel sistema di equazioni simultanee, poiché basta guardare le opere sue per vederlo subito. Nossignori! Tutti, e persino il Pantaleoni, mettono insieme l'acqua e il fuoco, il Marshall e il Pareto! E tutti, meno il Pantaleoni, mettono insieme la scuola austriaca e il Pareto! Dunque proviamoci a ripetere ancora per la centounesima volta che non stanno insieme.4 Negli stessi termini Pareto scrive a Luigi Amoroso il 21 aprile 1908: "Ritengo che solo il problema generale dell'equilibrio economico giustifica l'uso della matematica. Perciò io mi separo interamente dal Marshall, dall'Edgeworth e dai loro 4 10 Pantaleoni non se ne dà tuttavia per inteso in una lettera non pervenutaci ma di cui è chiaro il messaggio dal tono della replica di Pareto del 28 settembre 1907: «Può mai negarsi che l’opera del Marshall…. E che sia a lui ben nota la generale interdipendenza dei fenomeni e la necessità di operare con sistemi di equazioni simultanee….?». Sicuro che può negarsi, poiché io appunto nego, e lo ripeto ora dopo di averlo già detto molte volte, che il Marshall mostri di conoscere la necessità di operare con sistemi di equazioni simultanee. Se poi egli sa ciò e lo tiene chiuso nel segreto dell'animo, per me è lo stesso come se non lo sapesse, poiché mi manca il tempo per andare da una sonnambula per conoscere ciò che pensa - e non dice - il Marshall. « Egli spezza l’equilibrio generale in tanti equilibri particolari» . Basta questa tua osservazione per darmi ragione. Possibile che non riesca a farmi capire? Io divido le teorie economiche in due categorie: (Â) le teorie che spezzano - come dici - l'equilibrio generale in tanti equilibri particolari; (ß) le teorie che considerano l'equilibrio generale e non lo spezzano. Io affermo - e non discuto qui se ho ragione o torto - che il progresso consiste nel passaggio da (Â) a (ß). Affermo che l'uso della matematica si giustifica solo in (ß), mentre è inutile, quindi dannoso, in (Â). Dico che in (Â) stanno le teorie dell'economia detta classica; e ci stanno anche, per confessione tua, le teorie del Marshall. Seguito dicendo che sono migliori le teorie dette classiche di quelle del Marshall colla fioritura della matematica. Se, dopo ciò, ti piace mettermi col Marshall, padronissimo. In una prossima occasione ti porrò con Luzzati. Gli inglesi hanno capito benissimo la mia posizione, e perciò mai (intendi, mai) nominarono cose mie senza dirne male! […] Ma poiché persino un amico mio, come sei tu, mi fa il torto di pormi con gente che mi disprezza, e che io disprezzo, porrò certe note nella mia Appendice francese, ove dirò, più chiaro che sin ora feci, ciò che penso dell'opera dei signori inglesi. Tu vedrai che le unghie le ho ancora buone. Scusami, ma temo che sarà questo l'unico effetto del tuo lavoro, che merita molto meglio, poiché i congressisti di Parma non ne ricaveranno nulla di certo. ammiratori. Il merito di Walras sta appunto nell'avere posto il problema in generale; con Walras metto lo Irving Fisher […]. Io non ho niente in comune coi Marshall, Edgeworth, etc., la mia teoria è diversa, ed è naturale che mi pare migliore, se no la cambierei" (fonte: Pareto, 1973, p. 630). 11 E di nuovo in una lettera spedita da Torino, senza data, ma certo risalente ai primi giorni dell'ottobre 1907, Pareto tornerà ad insistere presso Pantaleoni: "Così pure non mi sono mai dato sin ora pensiero degli inglesi; fu solo quando vidi che perfino tu mi mettevi col Marshall che stimai opportuno manifestare, più chiaramente di quanto - a quanto pare - sin ora avevo fatto, che seguiamo strade interamente diverse; il che non pregiudica meno[ma]mente la quistione di sapere quale è la migliore". 8.- IN VISTA DELLE ONORANZE A WALRAS Trascorre poco più di un anno da che Pareto aveva rampognato Pantaleoni a proposito della conferenza di Parma del 27 settembre 1907 e di nuovo spuntano rinnovati motivi di preoccupazione in vista delle onoranze a Walras. Di nuovo Pareto torna a battere sul chiodo e scrive a Pantaleoni il 19 novembre 1908: Ottimo è il pensiero tuo di una pubblicazione per Walras, in cui ricorderai i suoi discepoli. Ti prego solo di non rinnovare per me le osservazioni che facesti quando a Modena [intendasi: Parma] mi mettesti cogli inglesi, perché invece di fare un bene, faresti un male. Per tanti anni io, per riguardi personali, avevo lasciato cuocere nel loro brodo gli inglesi. Dopo quanto dicesti, mi conviene manifestare ben chiaro come e perché in quasi niente andavo d'accordo con loro. La lettera prosegue per puntualizzare quanto profonde fossero le differenze anche rispetto al sistema teorico di Walras: Per riguardi personali non ho mai detto che dal Walras ho solo preso il concetto dell'equilibrio economico in un caso particolare; che non accetto in nessun modo il suo modo metafisico di trattare la scienza; che non posso trovare buono che adoperi il termine rareté ora in un senso ora in un altro, traendo in inganno il lettore; che non ammetto che ci sia, come dice lui, un metodo razionale superiore al metodo sperimentale; che non ammetto che l'economia pura dimostri come debbono seguire i fatti, mentre è l'inverso; che non accetto di studiare ciò che deve essere, ma che invece studio ciò che è; che è da 12 bambini figurarsi che si dimostra colle formole dell'economia pura la convenienza per lo stato di ricomprare le terre, di stabilire il bimetallismo, ecc. ecc. ecc. Non mi costringere a dire pubblicamente tutte queste cose. Discorri poco o niente di me. Io desidero solo di tacere; e solo se sono costretto, pubblicherò questi dissidi. 9. - DUE MODI DIVERSI DI VEDERE LE COSE In realtà queste continue precisazioni di Pareto e la loro incapacità a smuovere di un millimetro Pantaleoni sono testimonianza di due modi diversi di vedere le cose (cercare ciò che unisce, in Pantaloni; all’opposto cercare ciò che distingue, in Pareto). Sono anche testimonianza di un Pantaleoni sulla difensiva. Effettivamente Pantaleoni non era più in grado di stare al passo sul terreno di Pareto. Forse si sentiva oramai superato, vedeva che la breve stagione della sua “economia pura” correva il rischio di appassire, che altri più giovani e attrezzati di lui si facevano largo, che la sua gelosa esclusiva di testimone privilegiato delle teorie paretiane era oramai scalfita, e reagiva in modo non sempre sereno. 10. - PANTALEONI CONTRO SENSINI In ciò riteniamo di cogliere le ragioni vere della vivissima ostilità che animò Pantaleoni contro Sensini e che ha un’origine emblematica, nel racconto dello stesso Sensini (1948, p. 60, nota 1): Nella primavera del 1906, io, dopo aver pubblicato una mia recensione alla edizione italiana del Manuale del Pareto [cfr. Sensini, 1906] inviai un estratto di essa al Pantaleoni, accompagnando l’invio con una lettera che procurai riuscisse quanto più possibile cortese. Mi pervenne una risposta offensiva, nella quale, in sostanza, si affermava che la recensione non era opera mia, che io non ero neppure in grado di leggere le formule matematiche in quella recensione riportate, mi si accusava di mancanza di onestà scientifica, ecc. Controrisposi vivacemente. 13 La ricostruzione è fedele e ha un riscontro in una serie di lettere di Pareto a Pantaleoni5, la prima delle quali, del 20 luglio 1907, spiega: È qui il Sensini, il quale, come parmi averti iscritto, collabora meco per la nuova edizione del Cours. Egli mi narra avergli tu scritto all’incirca così: «Ho letto la recensione del Manuale del Pareto ove voi riportate un sacco di formole che non sapete nemmeno leggere. Scommetto che se uno dei vostri studenti vi domandasse un passaggio da una formula ad un’altra, voi restate inchiodato. Ora non c’è serietà scientifica in tutto ciò». […] Per amore del vero debbo dire che egli capisce benissimo tutte le formule del Manuale e le sa dedurre l’una dall’altra. Non regge, quindi, in nessun modo la supposizione da te fatta. Io te lo scrivo, perché so che ti farà piacere di conoscere la verità (corsivo mio) 6,7. 5 Oltre che in una lettera di Pareto a Pansini del 20 ottobre 1917: "Sensini e Pantaleoni : sono romagnoli entrambi [Pantaleoni era di famiglia maceratese] quindi violenti. Il Sensini aveva scritto male parole de l Pantaleoni. Io avvisai il Sensini che non potevo rimanere suo amico, e neppure avere relazioni con lui, se non ritrattava quelle parole. Egli venne a Céligny e mi fece leggere una lettera del Pantaleoni diretta a lui, Sensini, e in cui a lui, Sensini, si rivolgono vivacissime espressioni tra le quali c'è persino il nome dell'egregio animale a cui dobbiamo il prosciutto! Rimasi annichilito! Mi provai a dire al Sensini che egli avrebbe dovuto appellarsi al Pantaleoni più calmo del Pantaleoni irato; ma nulla ottenni. Essa sa che tali vive espressioni sono solite nei romagnoli in generale, e nel Pantaleoni in particolare, ma che sono di semplice forma. Fu pubblicato che Pantaleoni, pochi mesi prima di diventare nazionalista, aveva chiamato questi "teste di cazzo", e venne stampata questa bella espressione. Veda nella Vita italiana che epigramma greco gli è venuto in mente di tirar fuori contro un avversario! Si è osservato che quando due uomini politici si danno del ladro e dell'assassino ciò vuol solo dire che non sono d'accordo. Analoga osservazione si deve fare per tali espressioni del Pantaleoni. Poi l'altro romagnolo diede pure in eccessi. C'è quello che loro legali [Pansini era magistrato] chiamano la ritorsione. Ciò non toglie che il Sensini abbia torto marcio di adoperare espressioni vive ed ingiuste. Il Pantaleoni è stato contrario al Sensini in un concorso, ma in ciò l'opera sua è insindacabile, e non si deve confondere tale quistione colle altre che ho ora accennato" (fonte: De Rosa, a cura di, 1962). 6 La polemica fu rinfocolata dal cattivo esito del concorso per la cattedra di Economia della Scuola di commercio di Genova di cui fu vittima il Sensini accusato dalla commissione, di cui faceva parte Pantaleoni, di "intemperanza di linguaggio verso economisti di sommo valore" e di limitarsi ad esporre le teorie del Pareto. Al riguardo si rinvia allo scambio di lettere tra Pareto a Pantaleoni. Nella prima, del 12 dicembre 1910, Pareto lamenta che Pantaleoni non abbia disgiunta la propria responsabilità da quella degli altri commissari "nel giudizio dato sulla teoria mia, esposta dal Sensini"; Pantaleoni risponde il 15 dicembre: "Il rimprovero fatto al Sensini è non già di dire delle sciocchezze, ma di non fare altro che di ripetere te ; il che, come esercitazione fatta da lui per suo conto, va benissimo, ma va male come titolo di lavoro proprio. Egli non plagia; cita. E sta bene. Ma dove sta "Sensini"?". La replica di Pareto, del 17 dicembre, è per sottolineare che "/Sensini/ ha almeno il merito di avere capito le mie teorie, mentre i suoi giudici non le hanno capite, e seguitano ad insegnare sciocchezze, alle quali danno il nome di teorie della rendita". E' un punto, questo, che già era stato sottolineato in una lettera di Pareto a Pantaleoni del 27 luglio 1907 ("non dissi che Sensini era un buon matematico; dissi e mantengo che egli capisce bene 14 Pareto ritorna sull’argomento la settimana dopo con una lettera a Pantaleoni del 27 luglio 1907, in cui, dopo aver deplorato il tono dello scambio di lettere tra il proprio interlocutore e Sensini8, soggiunge: E qui noto una cosa proprio strana. Appena un giovane dice bene delle cose mie, tu subito dici che non le capisce. Due anni fa venne qui Giuseppe Jona; […] vedo che intende benissimo il pensier mio e lo fa suo. Egli ti propone pel Giornale [degli economisti] una recensione del mio Manuale, e tu rifiuti, perché - dici - non è in grado di intenderlo l'Appendice del mio Manuale "), e che sarà ripreso insistentemente una decina di anni dopo, ad esempio nella lettera a Pantaleoni del 31 agosto 1917 e nelle lettere a Pansini del 20 e 23 ottobre 1917 e 29 luglio 1918 (pubblicate in De Rosa, a cura di, 1962). Queste ultime lettere furono occasionate da una recensione di Sensini (cfr. Sensini, 1917) alla Sociologia del Pareto, molto apprezzata dallo stesso Pareto che ne scrive all’autore il 3 settembre: "Grazie per l'ottima recensione della Sociologia. Essa è, in brevi termini, un'esposizione lucida, completa, perfetta dell'opera, e gioverà a farla capire, almeno a chi non è sordo, o non vuole essere sordo, poiché per costoro non c'è discorso che valga" (fonte: Sensini, 1948, pp. 106-107). Pareto ne scrive anche a Pantaleoni il 31 agosto 1917: "Ho letto oggi la recensione del Sensini. [...] e dico che il Sensini ha perfettamente capito ciò che voleva dire l'autore". Pantaleoni verisimilmente non gradisce tale giudizio e scrive a Pareto il 7 settembre una lettera non pervenutaci, alla quale Pareto risponde il 15 settembre: "Io non sapevo, o almeno non rammentavo, che il Sensini si fosse permesso di adoperare a tuo riguardo il termine di «plagiario». Sapevo, o rammentavo bensì, perché me lo avevi scritto, che egli non era stato corretto teco, e di ciò fortemente lo rimproverai. Egli, per giustificarsi, mi portò venendo [a] Céligny, una tua lettera, a lui diretta, in cui c'erano espressioni straordinariamente vivaci. Le lessi e le rilessi, ed era proprio lo scritto tuo". 7 Difatti Sensini avrebbe recensito per La riforma sociale anche l'edizione francese del Manuel di Pareto (cfr. Sensini, 1909), oltre che il Trattato di sociologia generale (cfr. Sensini, 1917). 8 "Ho detto [al Sensini] che disapprovavo che un tuo studente e un giovane scrivesse a te in quel modo, e che biasimavo il tono della lettera. Egli rispose che tu avevi principiato coll'accusarlo di mancare di sincerità scientifica. In ciò riconosco che c'è un'attenuante. Non so come si usa in Italia […]. Qui è certo che mai un professore dell'università di Losanna scriverebbe in quei termini ad un suo studente, fosse anche il peggiore di tutti. […]. Non gli feci leggere la tua lettera [che verosimilmente Pantaleoni aveva scritto a Pareto perché la mostrasse al Sensini]. Come vuoi che ad un uomo che siede alla mia mensa e che dorme sotto il mio tetto, io faccia leggere una lettera ove egli viene detto essere uno "che di me si serve come di un trampolino per spiccare il volo", un "lecca-scarpe" (!!) che dà risposte "stupide e insolenti" (!), che è "permaloso, vanitoso, accatta complimenti", "desideroso di polemica con divagazioni, con ribollimenti tragici". Farei torto alla gentilezza dell'animo tuo se aggiungessi parola. Un'attenuante, come dissi sopra, è il modo col quale Sensini fu trattato dalla commissione di cui facevi parte. Mettiamo subito da parte un punto su cui hai interamente ragione. […] Ma rimane il fatto che la commissione non si è adunata per giudicare se si poteva o no concedere la libera docenza al Sensini, e che da ciò egli ha avuto grave danno. Se a Losanna seguisse un fatto simile (non è mai seguito), il candidato potrebbe ricorrere al tribunale federale e fare condannare i professori al risarcimento dei danni" (Pareto a Pantaleoni, 27 luglio 1907). 15 […]. Dopo lo Jona viene il Sensini. Io stimo che mi capisce tanto bene che lo prendo come collaboratore per la nuova edizione del mio Cours; ed eccoti da capo a sentenziare che non mi capisce! Ma, caro amico […] sul sapere se uno riproduce o non riproduce il pensiero mio, mi pare che il miglior giudice sono io. […] Nel caso presente, la spiegazione psicologica del fatto che ho notato mi pare facile. A te fa velo l’opinione che chi dice bene delle cose mie faccia ciò «per valersi di me come di un trampolino per spiccare il volo»9. 11. - PARETO SFRUTTATO DAI SUOI ALLIEVI? Pantaleoni temeva davvero pericoli di questo tipo. Lo dichiara esplicitamente nello scritto In occasione della morte di Pareto dove lamenta che il sentimento di sospetto e di ostilità che Pareto nutriva nei confronti dei suoi compatrioti era “sfruttato e alimentato da coloro che sul suo appoggio speculavano e perciò lo avvolgevano in una nube di pettegolezzo menzognero” (Pantaleoni, 1924, p. 346)10. Non così Pareto11, che caso mai ne era lusingato, e la sua era dunque una spiegazione prospettata con infinita delicatezza ad un 9 Effettivamente anche nei rispetti di Jona Pantaleoni nutriva sospetti analoghi a quelli manifestati per il Sensini, come si evince dalla lettera di Pareto a Pantaleoni del 29 giugno 1905: "Perché vuoi che lo Jona cerchi di farmi la corte? La corte si fa ai potenti, non già a chi non ha potere alcuno né alcun credito". Sulla ostilità di Pantaleoni verso Jona cfr. anche la lettera di Pareto a Pantaleoni del 22 giugno 1905 (fonte: De Rosa, a cura di, 1960). 10 È una lontana reminiscenza di quanto Pantaleoni scriveva a Pareto il 15 dicembre 1910 in relazione all'esito del concorso di Genova: "[I Commissari del concorso] Supino e Nitti e l'altro (ne scordo ora il nome) non si sognarono di attaccare te. Può far comodo a Sensini di far credere l'opposto. So che si atteggia a vittima delle tue dottrine. Sono sciocchezze! Lavori tranquillamente, ma dando grano suo. Barone non ha mai sofferto per aver svolta e utilizzata la teoria dell'equilibrio e fatto della matematica; né ha sofferto finora Amoroso. Io tutto questo dico solo affinché, attaccando la Commissione, tu resti dalla parte della ragione . Certo ci sarà abbastanza da dire anche entro questo limite. Mi oppongo a ciò che ti si sfrutti. E ho questa impressione". 11 "Non mi pare che ci possa essere in Italia, ove sono reputato un asino, ed ove un giovane che dica bene di me è certo di essere escluso in ogni concorso universitario. Supponi che il Sensini avesse pubblicato che sono una bestia, che veri economisti sono solo i Loria, i Valenti, i Supino, ecc.; credi tu che costoro non si sarebbero adoperati per fare avere a lui la privata docenza? Credi tu che, non foss'altro per opera e merito del Salandra, non si sarebbe adunata la commissione di cui facevi parte senza saperlo?" (Pareto a Pantaleoni, 27 luglio 1907). È un leit motif quello di Sensini vittima dell'amicizia di Pareto che ricorrerà spesso nelle lettere di Pareto, a iniziare da quella a Pantaleoni del 15 settembre 1917: 16 Pantaleoni che con tanto rammarico non voleva credere ai propri occhi né persuadersi di non essere più lui a poter seguire gli sviluppi delle dottrine paretiane, mentre altri, che erano venuti dopo, capivano tutto perfettamente. 12. - L’ATTACCO DI SENSINI E LA TEORIA DELLA “RENDITA ” (1912) Oramai Pantaleoni si sentiva ed era effettivamente in difficoltà, e quelle medesime osservazioni attorno alle diversità tra Cambridge e Losanna, alle divergenze tra Pareto e Walras, ai limiti entro cui l’impiego della matematica è raccomandabile, che egli leggeva e rileggeva nelle lettere private che gli spediva Pareto, se le ritrova ripetute con vera "Mi viene da ridere leggendo che ascrivi la fortuna - e fortuna colossale - pel Sensini lo avere la mia stima! Questa gli ha fruttato di essere escluso dalle cattedre universitarie del bel Italo Regno ... nel che è mio compagno di sventura". Si vedano anche le lettere a Pansini: "Il Sensini è perseguitato dal professorume italiano, semplicemente per colpire me dietro di lui. Egli mi sarà compagno di sventura nel non essere mai nulla in Italia. A me non nuoce, a lui sì, e me ne duole" (Pareto a Pansini, 20 ottobre 1917); "Il Sensini è vittima della sua amicizia per me. Ha in suo favore la scienza sua (sic), contro l'essermi favorevole; e solo per questo non può ottenere una cattedra di economia politica, mentre perfetti asini insegnano questa disciplina nelle Università italiane. Un Sensini non è professore, e sono professori uno Zorli, un Supino, un Loria, ecc." (Pareto a Pansini, 31 luglio 1919). Entrambe le lettere a Pansini sono pubblicate in De Rosa, a cura di, 1962. Chissà se Pareto aveva le tto Ferrara là dove spiegava a Tullio Martello, il 12 maggio 1882, le ragioni perché non potesse scrivergli una Prefazione al libro su La moneta e gli errori che corrono intorno ad essa: "Venghiamo ora a lei. A quanto mi sembra, Ella ha immaginato d'aver bisogno del mio suffragio perché la sua opera si concili il favore del pubblico; io ritengo invece per fermo che nel mio suffragio sta tutto il segreto ed il mezzo sicuro di perderla. Ciò che Ella da me desidera è appunto ciò che i suoi nemici vorrebbero" (Ferrara, 1882, p. 848). Chissà se Pareto e Ferrara avevano letto il Manzoni de I promessi sposi quando raccontava: "Il marchese fece loro una gran festa, li condusse in un bel tinello, mise a tavola gli sposi [Renzo e Lucia] con Agnese e la mercantessa; e prima di ritirarsi a pranzare altrove con don Abbondio, volle star lì un poco a far compagnia agl'invitati, e aiutò anzi a servirli. A nessuno verrà, spero, in testa di dire che sarebbe stata cosa più semplice fare addirittura una tavola sola. Ve l'ho dato per un brav'uomo, ma non per un originale, come si direbbe ora; v'ho detto ch'era umile, non già che fosse un portento d'umiltà. N'aveva quanta bisognava per mettersi al di sotto di quella buona gente, ma non per istar loro in pari". (Pareto effettivamente conosceva il libro del Martello dal 1892. Il 7 settembre 1892 scrive a Pantaleoni per dirgli "Non ho la Moneta di Martello. Posso scrivergli di mandarmelo". Glielo manda invece Pantaleoni, come risulta dalla lettera di Pareto a Pantaleoni del 12 settembre. Il 17 ottobre Pareto avrebbe scritto ancora a Pantaleoni per commentare "Il libro del Martello sulla moneta è splendido. Mi vergogno della mia ignoranza e di avere aspettato ora a conoscerlo. Per ora è al di sopra di tutto ciò che ho letto su quell'argomento"). 17 “immoderata e irriverente vivacità polemica di linguaggio”12, e pubblicate ne La teoria della “rendita” (1912) di un Sensini che aveva qualche buon motivo per essere “inviperito”13 sia per le accuse che per primo Pantaleoni gli aveva rivolto di “mancanza di sincerità scientifica”, sia per il modo con cui fu trattato, nel 1907, dalla Commissione per la libera docenza, sia per il cattivo esito del concorso per la cattedra di Economia politica della Scuola di commercio di Genova (1910): Gli economisti letterari, e purtroppo non essi soli, - dichiara Sensini alle pp. 408-409 - appresero ben presto le teoriche del Walras sociologo sragionante, non capirono nulla del Walras economista matematico. Come tale egli venne messo subito alla pari dei Menger, dei Wieser, dei Jevons, dei Marshall, degli Edgeworth, ecc. ecc. senza che nessuno neppur sospettasse l’abisso intercedente tra le teorie di tali autori e quelle dell’economista francese, il quale in seguito cominciò a figurare correntemente tra gli “edonisti matematici”, fra cui, più tardi ancora, doveva per colmo di ironia venire iscritto anche Vilfredo Pareto!14 12 L'espressione è di Murray, 1912, p. 407. Analoghi rimproveri sono nella recensione, pur adesiva, a La teoria della "rendita", apparsa con la sigla Jannaccone, 1912, Amoroso, e Pareto, 1912. Del resto è questo uno dei rimproveri che, come si ricorderà, muoveva a Sensini la Commissione di concorso per la cattedra di Economia politica della scuola di commercio di Genova. 13 L'aggettivo virgolettato è di Pareto in una lettera a Pantaleoni del 25 dicembre 1911: "Il Sensini nega di aver mai detto del mezzo briccone. Pel rimanente è inviperito. Lasciamolo stare". 14 Sensini si riferisce qui a Charles Gide. Si veda il breve articolo, Le mie idee, con il quale Pareto, 1910, replica assai garbatamente allo scritto apparso ne Il divenire sociale del 1910 a firma del direttore, Enrico Leone, che per altro Sensini non nomina, come è sua cattiva abitudine (all'indicazione delle sole iniziali dei nomi di persona in Sensini, 1948, rimedia Bousquet, 1963, sulla scorta di una lettera di Sensini allo stesso Bousquet). L'articolo di Leone è per sottolineare che "il Pareto, nel proporre l'abbandono delle vedute edonistiche non è già ispirato dal fatto che non reputi necessarii per conoscere l'interesse dei problemi gosseniani, jevonsiani, walrasiani dell'utilità che lo governa, ma è invece guidato dal proposito di recidere le difficoltà che al calcolo edonistico si sono frapposte e le dispute accese intorno alla possibilità di tradurre le forze dell'utilità in quantità che qui, in difesa delle geniali conquiste dell'applicazione del metodo edonistico-matematico, si respinge ogni tendenza a bandire dallo studio della scienza economica la mirabile teorica dell'utilità. Ci parrebbe - o c'inganniamo - una rinuncia ai prodigiosi progressi che mediante questa concezione la scienza economica ha potuto raggiungere" (ivi , p. 183). La replica di Pareto, 1910, è per esprimere apprezzamento al contributo di Leone ("lo scritto è importante e parmi avere molte considerazioni che sono nel vero"), e per rivolgere il discorso alle "persone le quali discorrono degli scritti miei senza averli letti, o senza averli capiti" (ivi p. 195). A questo proposito Pareto sottolinea: 1) che il Walras gli è stato maestro nella teoria dell'equilibrio economico. "Per tutto il rimanente siamo agli 18 E subito dopo (ivi, pp. 412-413): La gran massa di coloro che all’economia politica vogliono rivolgere la loro mente pone alla pari Walras e Pareto, coi Menger, coi Wieser, col Böhm-Bawerk, coi Marshall, ecc. ecc. e magari ... col Pantaleoni (!), quasiché identiche, o almeno analoghe, fossero le teorie a questi autori dovute, o da essi professate. La polemica finisce per coinvolgere la persona e le critiche si fanno pesanti quando Sensini ritorce sul Pantaleoni l’accusa di essere lui a copiare e millantare conoscenze matematiche inesistenti, come già aveva preannunciato di voler fare l’anno prima nella recensione al Sommario di lezioni di economia politica del Murray15. antipodi . Quindi dedurre ciò che penso da ciò che dice il Walras è assurdo”; 2) rivendica di voler "trattare la sociologia e quindi anche l'economia, come la chimica, la fisica, ecc. In ciò mi separo interamente non solo dal Walras, ma da quasi tutti i sociologi e dagli economisti. […] In Italia ci sono alcuni giovani, tra i quali debbo notare il dott. Guido Sensini ed il dott. Amoroso, i quali seguono queste teorie e che molto per esse potranno fare"; 3) "tutto quanto dice il Gide in un recente suo libro, delle mie teorie è contrario alla verità. […] Il Gide mi mette tra gli edonisti. Questo signore non capisce proprio niente (ivi, p. 196, corsivo nostro). Il punto è ripreso dal Pareto nel Trattato di sociologia generale (1916, vol. 1, nota 3, pp. 48-49): "Il prof. C. Gide, che aveva sott'occhio il Manuale , pubblicato nel 1906, stampava, nel 1909, quanto segue. Histoire des doctrines économiques, Paris, 1909, p. 623: Mais si les hédonistes [Tra i quali l'autore mette V. Pareto. Il perché, indovinalo grillo] ...". (La frase in parentesi quadra è nell'originale di Pareto). 15 Cfr. Sensini, 1911, p. 466: "Le idee che noi abbiamo sui meriti scientifici di molti economisti che oggi vanno per la maggiore sono forse poco ortodosse e quando le esporremo per disteso tra breve in un volume [allude a La teoria della "rendita"] esso certo saprà di forte agrume [allusione a Dante, Paradiso, XVII, 1117]. Qui, per limitarci all'argomento di cui ci stiamo occupando, rileveremo il nostro dissenso dall'autore [Murray] ad esempio nell'opinione che egli ha del Pantaleoni quale economista matematico. È questa una fama che, a parer nostro, rappresenta una scroccheria scientifica, la quale dovrebbe oramai pur avere termine, pel decoro della scienza economica. E quel che diciamo pel Pantaleoni, vale naturalmente anche per moltissimi altri economisti". La teoria della "rendita" è dedicata a Tullio Martello. Sensini intendeva dedicarla sia al Martello che anche a Pareto e trovò il consenso di entrambi gli interessati (cfr. Martello a Sensini, 7 agosto 1911 e Pareto a Sensini, 21 giugno e 6 luglio 1911. Fonte: Sensini 1948). Pareto tuttavia rifiuta non appena si rende conto dalla recensione del Sensini al libro di Murray (Sensini, 1911) che ne La teoria della "rendita" vi sarebbe stato un attacco al Pantaleoni. Cfr. Pareto a Sensini, 24 luglio 1911 ("spero che il libro in cui ella vuole attaccare il Pantaleoni non è quello che mi vuol dedicare, poiché ella ben comprende che, colle relazioni di grande amicizia e stima che esistono tra il Pantaleoni e me, sarebbero due cose incompatibili. Guardi anche che il prof. Martello potrebbe trovarsi nel caso mio"), e 11 agosto 1911 ("riguardo alla dedica, a me pare che il meglio 19 Ad esempio, dopo aver raggruppato gli economisti matematici nelle due categorie di “quelli che tennero conto […] della mutua colleganza dei fatti economici” e di “quelli che invece tale collegamento del tutto trascurarono, o almeno non ne intesero la straordinaria importanza”, Sensini (1912, pp. 312-313, nota) ironizza sull’idea che Pantaleoni possa essere collocato tra i matematici: E si intende che noi qui riferiamo il nostro discorso agli economisti matematici nel vero senso della parola, e non già a quegli autori che per tracciare o per copiare qualche decina di diagrammi, più o meno inutili, assumono degli atteggiamenti da analisti che son pure cosa assai amena. In Italia, ad esempio, l’uso, o meglio l’abuso dei diagrammi, è stato importato dall’estero per opera soprattutto di Maffeo Pantaleoni, la cui fama di matematico (!) diffusissima presso gli economisti letterari e presso il gran pubblico, può servire a dare un’idea di che cosa s’intenda dai più per introduzione delle matematiche nel campo della scienza economica. In nota 3 del par. 194 della sua Teoria della “rendita”, Sensini è ancora più aspro contro il malcapitato Pantaleoni, di cui riporta un passo dei Principi di economia pura per sottolineare come tali concezioni [...] sono gli antipodi di quelle che servono di base a tutta la teoria dell’equilibrio economico. Né basta. Ché i seguaci della scuola in questione [allude alla “scuola edonistica” e specificamente a Pantaleoni], inoltrandosi sempre più su questa erronea via psicologica di ricerca, e tentando di spiegare i fatti economici più complessi alla stregua di un principio troppo vago, perché troppo generale, finirono per perdere addirittura la bussola, smarrendosi in sterili giochi di legge, a cui credettero dar carattere di precise e feconde dimostrazioni sol col rivestirli di artificiose forme grafiche, tanto inutili pel progresso della scienza, quanto giovevoli a crear fama di matematici (!) a coloro che le costrussero, o che magari da altri le riportarono. Sotto questo punto di vista, è assai probabile che un giorno, o scomparsi gli ultimi seguaci di è che la faccia solo al prof. Martello, che se la merita in ogni modo"). Le lette re cui ci si è referiti sopra sono pubblicate in Sensini, 1948. Pareto scrive anche ad Amoroso, 18 luglio 1912: "Mi è doluto assai che il Sensini nel suo libro abbia assaltato l'amico Pantaleoni, e perciò rifiutai la dedica che egli voleva farmi del suo libro, per altri rispetto buono. Ho scritto un articolo per esprimere pubblicamente che non approvavo, anzi che biasimavo questa mossa del Sensini; sarà pubblicato sulla Libertà economica e glielo manderò" (fonte: Pareto, 1973). 20 tale indirizzo, o fattisi arditi gli altri di esprimere con franchezza intorno ad essi il loro giudizio, quella fama, oggi tanto diffusa, venga giudicata, nei riguardi specialmente di qualcuno tra quegli economisti, quale una delle più grandi scroccherie scientifiche di cui sinora si abbia esempio nel campo delle scienze” 16,17. 13. - LE REAZIONI A LA TEORIA DELLA “RENDITA”: IL BIASIMO DI EINAUDI La teoria della “rendita” non poteva passare inosservata. Il linguaggio era troppo vivace per non suonare offensivo, le critiche agli “economisti letterari” (e non solo a quelli) troppo perentorie e assolute perché non sembrassero trionfalismi giovanili, l’adesione a Pareto troppo pedissequa nell’imitarne persino il temperamento, il carattere, i sentimenti ed il modo di esprimerli, perché il libro non sembrasse una maldestra ingenua scopiazzatura. Insomma vi era più di un motivo perché La teoria della “rendita” meritasse di essere criticata, più di un argomento perché fosse facile farlo, più di un incentivo perché si replicasse. 16 Come si vede, le accuse che Sensini rivolge a Pantaleoni hanno carattere generale attorno al metodo utilizzato, al difettoso uso della matematica, alla incapacità di cogliere il significato vero degli equilibri generali. Non vi sono, invece, critiche a singoli punti della produzione di Pantaleoni che egli ritenesse errati, eccezion fatta per due brevi note critiche pubblicate a distanza di tanti anni dalla polemica col Pantaleoni. Cfr. Sensini, 1951 e 1952. In particolare Sensini revoca in dubbio l'opinione di Pantaleoni, 1889, pp. 8183, secondo cui la moneta non avrebbe valore soggettivo ed i gradi di utilità di ciascun singola dose sarebbero tutti uguali. La critica è che l'utilità della moneta sarebbe indiretta perché deriverebbe dall'utilità dei beni che con questa possono essere acquistati, tal che anche la moneta sarebbe soggetta alla legge dell'utilità marginale decrescente. Il punto non è nuovo, essendo già stato sollevato da Conigliani, 1890, p. 8, nota 1 e da Pareto 1892/a. 17 L'accusa di "scroccheria scientifica" che Sensini già aveva anticipato l'anno prima (Sensini, 1911, p. 466) e che rivolge "nei riguardi specialmente di qualcuno tra quegli economisti" si riferisce verisimilmente all'uso estensivo che di Marshall fece Pantaleoni nei suoi Principii di economia pura oltre che, eventualmente, all'essersi accreditato a torto come economista matematico, e doveva essere avvertita come sferzante quando si ponga mente alle accuse di plagio che Pantaleoni rivolgeva in pubblico e in privato agli austriaci (cfr. Magnani, 2003, p.47, nota 59), oltre che alla accusa rivolta al Sensini stesso di limitarsi a copiare Pareto, per giunta senza capirlo. 21 Fu Einaudi, a distanza di tanti anni, nel 1928, in sede di recensione all’opera di Pigou, A study in Public Finance, ad indicare con straordinaria asprezza e verità quanto di stonato vi fosse nel rapporto Pareto-allievi: Del Pareto meravigliano il tono antistorico con cui bistrattò non di rado grandi economisti e l’uso frequente della parola «errore» a proposito di scritture classiche, nelle quali pure sono contenuti gli spunti pei suoi medesimi successivi sviluppi; e dà un qualche fastidio la persuasione, in cui visse sino all’ultimo, che nessuno o pochissimi suoi discepoli soltanto avessero compreso talune sue elementarissime proposizioni: come quella che al rapporto di causa ed effetto dovesse sostituirsi il rapporto o concetto di interdipendenza: proposizione che, appena divulgata, fu capita da tutti ed applicata da tutti entro i limiti in cui l’applicazione ne è feconda. Perciò il Pareto non ebbe e forse non avrebbe tollerato discepoli, ossia uomini atti a superarlo; esigendo egli che i discepoli ripetessero esattamente le sue formule, ossia cessassero di pensare per conto proprio (Einaudi, 1928, pp. 101-102, nota). Quello di Einaudi fu un autentico consuntivo. Ma intanto occorreva una replica che fosse tempestiva e che, nell’immediatezza della polemica, fosse rivolta non solo alle intemperanze di Sensini; occorreva altresì una presa di posizione capace di lasciare il segno. Di questo si occupò Pasquale Jannaccone, con uno scritto graffiante intitolato Il paretaio, apparso nella Riforma sociale del maggio 1912. Si trattava appunto di replicare a Sensini. Si trattava soprattutto di replicare a Pareto, alla sua scuola ed all’infinito quasi infantile bisogno di appagamento della propria superbia che spingeva Pareto a rivolgersi ai propri allievi, e che i suoi allievi gli concedevano a piene mani. 14. - IL “PARETAIO”, OSSIA L’INTERVENTO DI JANNACCONE “A Vilfredo Pareto sta capitando la peggior disgrazia che possa incogliere ad un uomo di vero e sommo ingegno: egli sta diventando di 22 moda” 18. Così principia la replica di Jannaccone apparsa su La riforma sociale del maggio 1912, per spiegare: E diventar di moda, per uno scienziato, un filosofo od un letterato, vuol dire che l’opera sua, originariamente pensata, non è più originalmente goduta da coloro che possono intenderla nella sua interezza. Vuol dire che quell’opera, grande perché personale, una e molteplice, viene spogliata di tutti e tre questi attributi dalla turba dei piccoli imitatori i quali la spezzano; se la dividono a brani; la ischelitriscono con le loro ripetizioni prive di nuovo contenuto vitale; la diluiscono e la snaturano, sostituendo un linguaggio convenzionale ed alcuni schemi concettuali al lavorio di uno spirito fattivo. Vuol dire ancora che la vita di quell’opera s’arresta: si diffonde, forse, come un’immagine riflessa da più specchi, ma non evolve interiormente; perché l’evoluzione di un’opera dello spirito sta nell’essere criticamente ripensata da altre menti che, arricchendola, la trasformino. Walras non è mai stato di moda; e perciò abbiamo ora Pareto che, superandola, ridà vita all’opera di Walras. Vuol dire, nel caso del Pareto, che intorno alla sua persona si sta formando un “paretaio”, dal quale, fra poco, civetteranno e strilleranno innumerevoli pappagaluzzi, cuculi, gazze ladre, ed altre simili bestioline un poco truffaldine (ivi, p. 337)19. L’accusa è di plagio, ed, a parte i brevi riferimenti a Barone (19081909), Boninsegni (1910)20, Murray (1911)21, Amoroso (1909), e Sensini 18 È una considerazione assai simile (anche se giustificata in modo parzialmente diverso) a quella di Marshall, quale riportata in Porri, 1925, p. 547. Porri non indica la fonte; si limita a ricordare che "Marshall lasciava tra i suoi manoscritti questa sacra dichiarazione […]: Gli studiosi delle scienze sociali debbono avere timore dell'approvazione popolare: guai ad essi se tutti parlano bene di loro. Quando una corrente di opinioni potrebbe permettere ad un giornale di allargare la propria vendita, lo studioso che desidera lasciare il mondo generale, ed il suo paese in modo speciale, migliore di quanto non sarebbe divenuto se egli non fosse nato, ha il dovere di insistere sui limiti, sui difetti e sugli errori - nel caso ve ne siano - di quella corrente di opinioni: non dovrà difenderla mai incondizionatamente, nemmeno in una discussione ad hoc. Riesce quasi impossibile per uno studioso essere un vero patriota ed averne anche la fama durante il periodo in cui vive". 19 Il termine "paretaio" si riferisce a "coppie di reti (pareti) distese per terra, che, azionate dall'uccellatore, si chiudono a coprire la piazza interstante tra di esse, sulle quali sono scesi gli uccelli" (Enciclopedia italiana, vol. VIII, p. 21). E' evidente il senso traslato con cui il termine è utilizzato da Jannaccone. 20 "Il prof. Boninsegni ha pubblicato un Précis d'économie politique (Lausanne, 1910) che è un sunto-copia del Cours del Pareto: qualche concetto vi è esposto nella forma datagli posteriormente nel Manuale […]. Il Boninsegni vi parla in nome proprio e come se si trattasse di cosa esclusivamente sua" (Jannaccone, 1912, pp. 340-341). 23 (1906 e 1909)22, l’articolo di Jannaccone è tutto rivolto alla Teoria della “rendita” del Sensini, accusato di invereconde scimiottature, imitazione pedissequa, riproduzione cieca, plagio sfacciato, arroganza: Non resta, di tutti gli economisti passati e presenti, che solo il Sensini; vi sarebbe anche il Pareto, ma, poiché tutto il Pareto è stato travasato in Sensini, altri non resta che Sensini [...]. Ha pronunciato, infine, un giudizio definitivo su ogni economista passato e presente: Ricardo, puerile e ridicolo; Carey, sciocco; Walras, un quarto savio e tre quarti insulso; Pantaleoni, scroccone dell’economia matematica; e così di seguito (ivi, pp. 343 e 345). Il plagio di Sensini sarebbe sfacciato e si spingerebbe a scimiottare Pareto persino in certi suoi modi personali di spiegare azioni umane, di vedere e giudicare fatti sociali […]. Onde ci prende un riso irrefrenabile, allorché troviamo, nella broda lunga del prof. Sensini, gli stessi giudizii, su uomini e su cose, snocciolati con la pedanteria e col sussiego di chi a forza vuol farvi una lezione. Come se il loro valore non stesse appunto nel non essere una lezione, ma una suggestione che soltanto un certo spirito, e non un altro, può esercitare sul vostro! Ma la pecoraggine degli imitatori queste delicatezze non le intende: dacché mondo è mondo, il loro mestiere è sempre stato di darsi grand’aria mettendosi goffamente addosso i panni altrui (ivi, pp. 353-354) 23. Né di miglior fama godeva Boninsegni presso Pantaleoni che ne scriveva a Michels nei seguenti termini: "Il Boninsegni è una viperaccia che conosco da molto tempo tale - e che non ho mai voluto conoscere personalmente. E ritengo che manchi di ogni talento. Ne ha a mala pena tanto quanto basta per ripetere la teoria dell'equilibrio del Pareto agli studenti. Non conosco alcun contributo suo alla scienza, sia critico, sia costruttivo e anche nell'esposizione di cose altrui è stecchito e noioso" (da una lettera inedita di Pantaleoni a Michels del 24 gennaio 1917 conservata presso l'Archivio Roberto Michels, Fondazione Luigi Einaudi, Torino). 21 "Il risultato è assai buffo, come si vedrà a proposito delle scimiottature del prof. Sensini; ma qualche altro esempio se ne può vedere nei Sommarii di lezioni di economia politica del dott. Murray, in parte ricopiatura o parafrasi del Manuale e del Cours" (Jannaccone, 1912, p. 343). 22 "Quando apparve il Manuale del Pareto, parecchie esposizioni furono fatte (dal prof. Sensini nella Riforma sociale , dal prof. Amoroso nel Giornale degli economisti , ecc.) della parte generale dell'Appendice matematica. Anche questi articoli non sono che una semplice riproduzione o riduzione di pagine di Pareto, ma non vogliamo farne loro carico, ammettendo che a null'altro mirassero che a divulgare fra i lettori delle riviste la notizia di un'opera nuova" (Jannaccone, 1912, p. 341). 23 Le accuse sono documentate in una lunga e minuziosa Appendice (Jannaccone, 1912, pp. 355-368) che vuole provare il plagio raffrontando pa ssi di 24 15. - LE RISPOSTE DI AMOROSO E DI SENSINI A Jannaccone non replicano né Boninsegni né Barone. Replica invece Amoroso in una breve nota sul Giornale degli economisti del luglio – agosto 1912 (Paretaio e “spirito paretiano”), molto pacata e anche un po’ impacciata (“l’autore di questo scritto [Amoroso] non sa se oggi è o non è nel Paretaio: il prof. Jannaccone converrà che, in proposito, non è stato chiaro”, ivi pag. 79), tanto che Pareto ne scrive a Sensini l’8 dicembre 1912: “Lo Jannaccone ha ottenuto in parte lo scopo. L’Amoroso che è una bravissima persona, ma punto bellicoso, ha cercato di scusarsi in un articolo del Giornale degli economisti” (fonte: Pareto, 1973). Replica anche Sensini su La libertà economica dell’agosto 1912 con l’articolo Miserie intellettuali degli economisti parolai. E', quella di Sensini, una reazione scomposta, condotta con uno stile che davvero è una poco scaltra imitazione di quello di Pareto24, e nella quale si respinge l’accusa di plagio, per insistere e sottolineare come “gli economisti parolai non abbiano inteso una parola di tutta l’opera scientifica di Vilfredo Pareto” (ivi, p. 328). Per il resto è una sequela di insulti: Sensini, proprio lui, invita Jannaccone a “trovare un qualche libbriccino che tratti delle buone creanze”, gli dà del contadino, gli attribuisce “incontrastatamente il primissimo posto tra le specie Barone, Boninsegni e Sensini con quelli di Pareto da cui i primi sarebbero tratti. Il rimprovero a Barone è ripreso dallo stesso Einaudi, 1928, pp. 100-101, nota, quando ricorda: "riducendosi troppo spesso, per la furia di scrivere, egli [Barone] che pur aveva tanto ingegno e preparazione e quadrata forma mentale, a saccheggiare ingenuamente la roba altrui, specie se di amici non usi a lagnarsi in pubblico delle sfortune loro letterarie". 24 Così scrive Sensini, 1912/a, p. 325: "Ed io dovrò proprio allo Jannaccone l'essere riuscito a pormi finalmente su una via così feconda di studio, che forse potrà un giorno unire il mio nome modesto a quello dei Loria, dei Valenti, dei Supino, dei Jannacconi, ecc. ecc., autori tutti a cui l'economia già deve altre scoperte del genere". Chi abbia un minimo di familiarità con le lettere di Pareto (segnatamente quelle a Pantaleoni) non avrà difficoltà a riconoscere nel passo sopra riportato il caratteristico sarcasmo con cui Pareto prendeva le distanze precisamente dagli autori sopra nominati, e da quanti considerava emblematici del miserevole stato dell'insegnamento dell'economia nelle università italiane. 25 animali che a scopo di esattezza ho più sopra aggiunto a quelle dei pennuti abitatori dell’aria” (trattasi di “alcuni mammiferi quadrupedi quali il bue, l’asino, ecc.”), lo rimprovera di “dimenticare le regole di una sufficiente educazione e i primi elementi del sapere scientifico (che qualcuno vuol credere non abbia invece mai posseduti)”, e chiude ritorcendo l’accusa di «pecoraggine» contro “coloro che credono «scienza» i vostri spropositi madornali e prendono sul serio le vostre comicità”. 16. - LA RECENSIONE DI MURRAY A LA TEORIA DELLA “RENDITA” DI SENSINI Né va dimenticato Murray. Era rimasto coinvolto nella polemica, perché era uno degli studiosi che Jannaccone collocava nel “paretaio”, e perché, come si ricorderà, era proprio nella recensione ai suoi Sommarii di lezioni di economia politica (1911), che Sensini aveva preannunziato di voler sollevare aspre polemiche in sede di Teoria della “rendita” (1912). Murray interviene, infatti, recensendo a sua volta il libro di Sensini in una nota, A proposito di un’opera su “la teoria della rendita” pubblicata ne La Liberta economica del 15 novembre 1912. Da una parte Murray si propone di darne un giudizio spassionato (“diremo subito francamente ch’esso, mentre non è originale fin dalle sue fondamenta, d’altro canto non è una semplice copiatura, come da taluni fu detto” (ivi, p. 406); dall’altra cerca di sopire le polemiche, in qualche modo giustificandole e comunque prendendo una strada vacillante e intermedia, come, del resto, era nel suo temperamento: “Si capisce facilmente, che quest’ambiente non sereno abbia valso a far rincrudire dall’una e dall’altra parte le espressioni polemiche, ad andare oltre il giusto segno nella negazione e nell’accettazione delle due correnti in cui veniva diviso il campo economico” (ivi, p. 407). Murray non ottiene tuttavia altro effetto che una sonora bastonatura da parte di Pareto. 26 Già il primo contatto di Murray con Pareto non era stato dei più felici. Nel 1908 Murray aveva scritto un Saggio critico su Valore e prezzo, in cui, richiamandosi alla polemica Croce-Pareto, seguiva il primo nell’idea che l’economia avrebbe dovuto fondarsi sul principio del valore, che sarebbe un principio ad essa esterno, in quanto avente natura filosofica. In quel saggio, Murray non teneva conto dell’evoluzione del pensiero che nel frattempo aveva maturato Croce, nella recensione del 1906 al Manuale di economia politica del Pareto e nello scritto dedicato a Filosofia della pratica. Economica ed etica scritto nel 1908 a commento dello studio paretiano su L’économie e la sociologie au point de vue scientifique (1907). In essi Croce cambia posizione, sostiene la necessità di distinguere e separare nettamente la filosofia dell’economia dalla scienza dell’economia. Quest’ultima sarebbe una scienza matematica astratta, distinta dall’indagine filosofica sull’atto economico che sarebbe l’unica suscettibile di procurare conoscenze valide e certe. Insomma filosofia ed economia sarebbero affatto distinte: “L’una ha piena realtà, l’altra l’astrattismo e l’irrealtà, l’una la scienza e i concetti, l’altra la pseudo-scienza e gli pseudo-concetti”. È su questo medesimo terreno che Murray si muove nello studio del 1909 su Il valore come concetto puro ecc. Vi rinnega la posizione assunta nel suo scritto dell’anno precedente, per allinearsi alle nuove concezioni di Croce e per sottolineare come “l’economia si occupi di categorie astratte, di pseudo-concetti, come li chiamano in filosofia, per costruire pretese leggi, ossia pseudo-giudizi vuoti di contenuto, ossia l’irreale”. Non contento, Murray chiama direttamente in causa Pareto: “... noi siamo ammiratori, anzi seguaci del Pareto, ma come economista; come filosofo crediamo sia molto, molto in errore ...”; si riferisce anche a Sensini, e non può trattenersi dal domandarsi: “... perché con tanta facilità loda quel brutto mélange filosofico del Pareto, essendo, a quanto pare, egli pure così poco esperto, in quel campo di studi?” 27 Forte di questi bei complimenti, Murray prende il suo libro del 1909 e lo spedisce in omaggio a Pareto, che deve esserne rimasto esterrefatto e inferocito. Pareto ne scrive infatti a Sensini il 27 ottobre 1909: Un certo sig. Murray di Firenze mi manda un suo lavoro sul Valore come concetto puro, ecc. in cui si discorre di lei e di me: per solito non mi occupo di questa roba; ma c’era un caso strano. L’autore, nel libro, dice male di me, e me lo manda con una lettera e con una dedica cortesissime. Questa singolare contraddizione mi ha fatto fare un’eccezione alla regola e gli ho scritto una lettera di cui le manderò copia. [...] Il sig. Murray non ha capito niente, ma proprio niente, delle teorie dell’economia (fonte: Sensini, 1948, corsivo mio). Non è invece pervenuta la lettera di Pareto a Murray, ma, dalle umilissime scuse di Murray nella lettera a Pareto del 29 ottobre 1909, si può arguire che non doveva essere affatto benevola: Per me, credo, tutto il male sta in quella denominazione irreale che ho dato al campo di studio dell’economia. [...]. Ora per me irreale (e seguo appunto il Croce) non vuol già dire falso, come reale non vuole appunto dire l’essere di una cosa [...] P.S.: voglio aggiungere infine, che sono rimasto molto addolorato, ch’Ella creda, ch’io abbia mai intenzione di ritenerla ignorante (fonte: Busino, 1973, pp. 1126-1127). L’anno dopo il giudizio di Pareto si addolcisce in una lettera a Sensini del 20 giugno 1910: “Il sig. Murray ha pubblicato nella Voce del 16 corrente un buonissimo articolo sui miei lavori. Pare che ora abbia inteso bene i metodi ed il senso della nuova economia”; il giudizio è confermato nella lettera a Placci del 2 settembre 1910: “Il Murray è un giovane molto simpatico, intelligente e colto, che credo, fra non molto, si farà conoscere negli studi di scienze sociali”. E di fatti si farà conoscere ed apprezzare con i Sommarii di lezioni di economia politica, 1911, che schiudono a Murray le porte di quello che Jannaccone chiama “Il paretaio”; ma il guaio è che ne esce subito dopo e proprio per colpa della sua recensione al libro di Sensini: A proposito di un’opera su “La teoria della rendita” (1912), con cui si 28 sarebbe guadagnato un giudizio sferzante nella lettera di Pareto a Sensini dell’8 dicembre 1912: “Il Murray, in un articolo della Libertà economica, che ella avrà veduto, dice che le mie teorie sono mezzo chimeriche; mi manda a domicilio coatto nelle regioni della teoria pura, e mi esilia dall’economia applicata. Andrò a studiarli da lui. Quante piccinerie ci sono nel mondo. Spero almeno che, dopo ciò, avrà una cattedra”. Non diversamente nella lettera a Boven del 16 dicembre 1912, Pareto avrebbe scritto: “Je me suis pas plaint du silence de Mr. Murray; il me semble même qu’une correspondance entre un sage tel que lui, et une demi-chimère, comme moi, n’a pas une grande utilité”25. Dunque Murray fu quasi forzato ad entrare nel “paretaio” senza che ne avesse davvero l’inclinazione. Rimase talmente scottato dall’intervento di Jannaccone da rinunciare a ogni pretesa di originalità: la traduzione francese del 1920 dei suoi Sommarii di lezioni di economia politica è intitolata Leçons d’économie politique con l’aggiunta della emblematica precisazione: Suivant la doctrine de l’école de Lausanne. Per il resto Murray sarebbe subito tornato a rifugiarsi sotto l’ombrello di Croce e da qui a prendere le distanze da Pareto, dal paretaio e dai suoi stessi compagni di sventura. Mi riferisco ad un articolo scritto nel 1915 con l’intenzione di precisare la propria posizione attorno a L’applicazione dei procedimenti matematici alle scienze sociali nel momento attuale, nel quale Murray rimprovera ai seguaci di Pareto di essersi lasciati attrarre agli studi di economia matematica “più per la forma che per il contenuto delle ricerche”, e di aver prodotto studi “in massima parte esempi di applicazione del formalismo matematico, ma poco della logica matematica”. Si riferisce espressamente ai seguaci della scuola di Losanna: a Barone, a Sensini, ad Amoroso (l’unico risparmiato è Boninsegni) e cioè proprio a quegli stessi studiosi che gli facevano buona compagnia nel paretaio di Jannaccone: 25 Le lettere di Pareto sono in Pareto, 1973. 29 Si vedano ad esempio gli scritti del Barone: non v’è in essi contributo apprezzabile che la logica comune non avrebbe potuto rilevare e il linguaggio comune esprimere. Del resto nessuno di tali scritti si differenzia da quelli del Pareto per propria particolarità di indirizzo. Il Sensini pure nei vari scritti suoi, se ne consideriamo semplicemente il lato matematico, non ha fatto procedere d’un passo la soluzione dei problemi che possono presentarsi allo studioso: quanto ha dato alla scienza non presuppone necessariamente la forma matematica che ha usato. L’Amoroso ha tradotto in linguaggio matematico taluni concetti conosciuti, ha dato eleganti dimostrazioni matematiche di problemi per via diversa da quella già tenuta da scrittori precedenti, ha tentato di mostrare talune analogie intuitive fra fenomeni fisici ed economici, ecc. Ma in tal guisa è matematico, non economista (ivi, p. 237). Tanto basta a Murray per poter concludere che i progressi delle scienze oggi sarebbero ostacolati dal “formalismo matematico, quello stesso formalismo che ha minacciato e minaccia le stesse discipline matematiche. [...] Così, per quanto è possibile, è da evitarsi, ricordando che quel che importa è saper ragionare obiettivamente” e conclude con una esortazione: “Gli economisti mirino dunque al primo intento, perché seguendo la seconda via rischiano di perdere e di far perdere del tempo” (ivi, p. 238). È un’esortazione, come si vede, forse degna di migliore autorità, se non fosse uscita dalla penna di uno studioso il cui temperamento era stato tanto bene colto dalle due lettere di Pareto sopra ricordate26. 17. - L’INTERVENTO DI PARETO Lo stesso Pareto si vede costretto a scendere in campo con un breve articolo, Economia dimessa pubblicato da La libertà economica 26 Era essenzialmente la posizione di Croce quando nella sua Filosofia della pratica (Croce, 1908, p. 275) se la prendeva contro L'économie et la sociologie di Pareto, 1907, ed inveiva contro "gli economisti matematici affascinati dal vuoto delle loro evidenze, che si «mettono a filosofare in modo stravagante», come il Pareto che raccomanda addirittura di trattare «i fatti senza pietà, mutilandoli, stritolandoli, sostituendovi astrazioni ossia nomi»" (fonte: Busino, 1973, p. 1123). 30 del 25 luglio 1912, appena prima cioè che la medesima rivista ospitasse la nota di Sensini di cui si è detto sopra 27. Pareto spende poche battute per difendere Boninsegni, Amoroso, Murray e Barone; per il resto si dedica a Sensini. Nega che la sua Teoria della “rendita” sia copiata: Si può obiettare, se una teoria è copiata su di un’altra, la seconda è inutile. Sicuro, ma la teoria della rendita del Sensini è tanto poco copiata sulla mia, che io ho imparato qualche cosa leggendola, e che consiglio, a chi vuole avere conoscenza di una teoria d’accordo coi fatti, di leggere l’esposizione che ne fa il Sensini, anche di preferenza a quella molto più ristretta che ho messo nel Cours. È una difesa d’ufficio non del tutto sincera, se è vero che due anni prima Pareto aveva scritto a Pantaleoni nel post scriptum della lettera del 12 dicembre 1910: “Non si può fare distinzione tra la teoria della rendita del Sensini e la mia: sono identiche”! Tanto a Pareto premeva proteggere Sensini e i pochi studiosi che per primi gli avevano dato la soddisfazione grande e l’inatteso stupore di sapersi finalmente letto e capito perfettamente, quanto aveva bisogno di tutelare Pantaleoni dalle accuse che lo stesso Sensini gli aveva rivolto. Lo fa riprendendo quasi alla lettera quanto scriveva privatamente a Pantaleoni in tempi non sospetti nel lontano 27 luglio 1892, e a Sensini l’8 agosto 1911: Poiché ne ho qui il destro, - scrive Pareto nell’Economia dimessa, pag. 288 - stimo debito mio aggiungere che l’assalto al prof. Pantaleoni mi pare ingiusto, non solo nella forma ma anche nella sostanza. Il Pantaleoni ha operato molto in Italia per fare conoscere le teorie scientifiche dell’economia. Meno di qualsiasi altro potrei negarlo io, che 27 Il 22 giugno 1912 Pareto spedisce a Sensini il manoscritto dell'Economia dimessa, pregandolo di essere lui a trasmetterlo alla rivista La libertà economica, e aggiunge "Le mando il manoscritto mio perché è buono che sappia cosa dico, se vuole anche rispondere per conto suo. Ho lasciato di scrivere la mia Sociologia, per scrivere questo articolo, solo per l'amicizia che ho per lei e per il prof. Pantaleoni, e perché mi dispiace vederli avversari mentre dovrebbero essere uniti. Ma a lei, come più giovane, tocca fare il primo passo". Pareto fece effettivamente il possibile per placare gli animi di entrambi i contendenti ma senza alcun successo. Al riguardo si vedano, ad esempio, le lettere a Sensini dell'8 agosto 1911, 27 giugno e 6 agosto 1912 (fonte: Sensini, 1948). 31 a lui debbo di essermi occupato di economia matematica. Avevo letto le opere di Walras, ed avevo lasciato l’oro per badare alla roccia sterile, cioè alle considerazioni metafisiche. Respinto da queste, che mi parevano, e tuttavia mi paiono, assurde, non credevo che simili teorie potessero aver luogo nella scienza sperimentale. Ma dopo aver letto i Principii del Pantaleoni, si modificò in me questo concetto. Tornai a leggere le opere di Warlas e vi trovai l’oro, cioè il concetto dell’equilibrio economico; e così, posto sulla buona via, spero di aver trovato qualche teoria che mi avvicini a quelle rigorosamente scientifiche che oramai dominano nelle scienze naturali, e che potrà servire sinché altri ne trovi altre che meglio ancora abbiano tale carattere; e così si seguiterà sinché progredirà la scienza. Pareto avrebbe preso posizione anche sull’Economic Journal del settembre 1912 nella recensione alla Teoria della “rendita” del Sensini: “His criticism of the “literary” economists, often just enough, is apt to lose in persuasiveness what it gains in force. Indeed, in his treatment of one of them, Prof. Pantaleoni, he is wholly unjust. Prof. Pantaleoni is one of the best of the italian economists”28. 18. - LA REAZIONE DI PANTALEONI Pantaleoni non reagì direttamente al duro attacco che Sensini gli aveva mosso nella Teoria della “rendita” né alle polemiche che seguirono, e rimase in disparte. Va però notato che, l’anno dopo che Sensini si era provato a demolire l’intero suo approccio edonistico a fronte della pretesa grandezza della teoria dell’equilibrio economico generale e del suo sacerdote, Pantaleoni, proprio in apertura della Definizione dell’economia (1913), rivendica l’idea di una scienza economica “tutta quanta identificata con la teoria del valore […]. Dire 28 Non è dunque che una spiegazione di comodo quanto Pareto scrive a Trevisonno il 28 luglio 1912 per scusarsi di non potergli dedicare una recensione: "Questa regola è tanto assoluta che ho rifiutato di fare una recensione del libro del Sensini sulla Rendita, col quale l'autore, per difendere le mie teorie, si è esposto all'ira di tutta la camorra universitaria italiana. Un altro motivo mi faceva vivamente desiderare di potere fare tale recensione. Volevo, cioè approvare le teorie del Sensini, ma biasimare fortemente gli attacchi che egli fa al Pantaleoni. Questo era un dovere di amicizia, e per compierlo ho dovuto girare la difficoltà e discorrere di ciò in un piccolo articolo [Economia dimessa] che le manderò" (fonte: Pareto, 1973). 32 'teoria del valore' e dire 'scienza economica' è dire la stessa cosa” (ivi, p. 1). Le prime quindici pagine della Definizione dell’economia sono una appassionata e accanita difesa polemica contro Pareto (senza per altro mai nominarlo esplicitamente) e quanti si erano messi sulla sua strada. La tesi continuamente ricorrente è che la teoria dell’equilibrio sarebbe espressione di una conoscenza del fenomeno economico meno completa che non la teoria del valore; il modo con cui Pareto avrebbe inteso costruire una “economia senza ricorso alla psicologia degli edonisti” sarebbe una innovazione di portata limitata, anzi forse un regresso, certo essa non sarebbe stata in grado di produrre risultati diversi “quando la vecchia via è stata seguita dai medesimi che dippoi hanno seguito la nuova” (ivi, p. 8). Quanto poi all’accusa di non conoscere la matematica, Pantaleoni ebbe modo di lamentare in privato che Sensini sarebbe stato ingeneroso nel non aver voluto tener conto di quanto lui stesso aveva riconosciuto in una nota della parte prima, cap. IV, dei suoi Principii di economia pura: “Sono dolente di non poterlo citare ovunque sarebbe doveroso [allude al Walras], perché spesso presuppone nel lettore delle cognizioni matematiche che non ho”29. Quanto infine all’accusa di non aver compreso l’importanza ed il significato vero della teoria degli equilibri generali, valga quanto sopra; 29 Lo si deduce dalle osservazioni che, molti anni dopo la pubblicazione della Teoria della "rendita", lo stesso Sensini, 1948, p. 60, nota 1, avrebbe scritto: "Circa infine l'accusa dal suddetto economista [Pantaleoni] rivoltami attraverso discorsi coi suoi amici (dopo la pubblicazione della mia Teoria della "rendita") di non aver io [Sensini] tenuto conto, a proposito delle di lui scarse conoscenze matematiche, di quanto egli aveva scritto, al riguardo, in una nota della parte 1ª, cap. IV, dei suoi Principii di economia pura [allude alla frase riportata nel testo], ebbi già occasione di indicare, alcuni anni or sono, come quel che egli aveva scritto nel 1889, era stato poi da lui stesso annullato con continui riferimenti alle teorie dell'Economia matematica, rispetto alle quali anzi assunse l'abitudine di esprimere frequentemente (in scritti, in conferenze, in relazioni di concorsi universitari, ecc.) giudizi che implicitamente lasciavano supporre, in chi li emetteva, la sicurezza della competenza di emetterli". Riteniamo che Sensini abbia voluto riferirsi alla raccolta dei suoi Studi di scienze sociali , ed alle rinnovate critiche che in quella sede egli fece alla commemorazione di Pareto che Pantaleoni scrisse per il Giornale degli economisti del 1924. Cfr. Sensini, 1932, nota 14, p. 533 e pp. 622-623. 33 va osservato altresì che Pantaleoni riteneva che la sistemazione teorica degli equilibri generali fosse oramai definitiva nell’opera di Pareto30. Lo dichiara nel discorso tenuto in occasione del giubileo di Pareto celebrato a Losanna il 6 luglio 191731: La théorie général de l’équilibre économiques est complête. Il ne nous reste plus qu’à assimiler et à utiliser. Nous avons encore devant nous un champ inépuisable de recherches économiques, mais ce champ est maintenant circonscrit dans la cadre que le maître a tracé. Les lois les plus générales de l’équilibre ne sont plus à établir: elles ont été formulées par Pareto (fonte: Pareto, 1917, p. 52). Pressoché con le medesime parole Pantaleoni presentava Pareto ai lettori del Giornale d’Italia in occasione del suo giubileo con una lettera al direttore Carlo Bergamini del 25 giugno 1917: Un uomo che nella scienza economica ha tracciato un’orma imperitura, avendo […] dato alla teoria dell’equilibrio economico elaborazione così definitiva da non lasciar più nulla da mietere a successori suoi e limitato l’opera loro ad eventuali perfezionamenti entro il quadro suo (fonte: Antonucci, 1938, pp. 39-40). E ancora insisteva nel necrologio di Pareto scritto per l’Economic Journal del dicembre 1923: Io ritengo che la generalizzazione della teoria dell’equilibrio economico svolta da Pareto abbia toccato un limite oltre il quale la scienza non troverà vantaggioso procedere: si tratta di un capitolo chiuso, da un punto di vista relativo o almeno per qualche tempo. Vorrei poter scrivere “finis” in questa direzione ... In ogni caso ritengo che Pareto abbia chiuso una direzione di ricerca economica. Sotto 30 Ne è persuaso anche Fuà, 1950, p. 24: "Il grado di perfezione formale raggiunto nel Manuale e nell'Economia matematica mediante questa concezione meccanica dell'equilibrio, la cui origine risale a un secolo e mezzo prima, cioè al Tableau di Quesnay, è tale che ci si domanda generalmente se non sia ormai vano sforzarsi di procedere oltre sulla stessa via". 31 Pantaleoni intervenne in rappresentanza del governo italiano per incarico del ministro della pubblica istruzione M. Ruffini, dell'Università di Roma per incarico del rettore Alberto Tonelli, e della relativa facoltà di Diritto per incarico di quell'Antonio Salandra, membro giovane della Facoltà al tempo in cui Pantaleoni si laureava (1881), ed ora divenutone oramai il decano. 34 questo profilo lo considero un po’ come l’ultimo dei mohicani (ivi, 1923, p. 135). Infine, nelle Riflessioni in occasione della morte di Pareto apparse nel Giornale degli economisti del gennaio–febbraio 1924: Ci sembra di poter dire che in quel determinato indirizzo da lui [Pareto] dato all’economia, la sua parola chiuda un ciclo. Non vi è più profitto nella ricerca di maggiori generalizzazioni. Si perderebbe in contenuto. Egli è l’omega in quella via (ivi, 1924, p. 336). Il modo con cui Pantaleoni ricorre, insistentemente, più di una volta, su questo tema sembra quasi voler spiegare a se stesso le ragioni per cui non ha voluto seguire l’amico lungo l’impervia strada da lui tracciata e soprattutto a voler negare che altri vi abbiano potuto proseguire con contributi di originalità: E taluni giovani, al suo contatto, come moscerini in vicinanza di sfolgorante lampada, si sono bruciati le ali. Dacché l’opera sua conobbero, soltanto le sue idee e dottrine seppero ripetere per mimetismo finanche le sue parole e il suo stile, in ciò che aveva di meno commendevole, scimiottarono (Pantaleoni, 1924, p. 335). L’allusione a Sensini è di immediata evidenza, anche perché Pantaleoni contrappone espressamente questi, che egli diceva genericamente “taluni giovani”, a Barone, Amoroso, Borgatta, allo stesso Jannaccone e a molti altri dei quali ricorda che “degna corona fanno di lui, come discepoli bensì, ma con decorosa autonomia di pensiero, quale il maestro la voleva”; è a loro che Pantaleoni si riferisce, dicendoli “tutta una fioritura di economisti, che, per un verso o per l’altro, con maggiore o minore intensità, a lui si riattaccano, e sotto il calore irradiato dalla sua dottrina e dai suoi studi sono sbocciati” (ivi, p. 5). 35 19. - IL CONTRO ATTACCO DI SENSINI L’allusione è tanto sferzante da lasciare il segno. Sensini, molti anni più tardi, non avrebbe lasciato cadere la cosa. Forte dei riconoscimenti che gli rilasciava Pareto attorno alla sua capacità di comprendere l’opera del maestro, in nota 14 di p. 533 dei suoi Studi di scienze sociali, 1932, Sensini se la prende con il fascicolo commemorativo del Giornale degli economisti del gennaio-febbraio 1924 e in modo speciale [con] lo scritto del Pantaleoni, nelle cui critiche, sufficientemente amene, ai procedimenti scientifici ed alle teorie paretiane, il lettore potrà trovare, se mai ve ne fosse bisogno, altra conferma circa le attitudini, il grande studio, la quantità di conoscenze, ecc. che si richieggono per poter intendere le opere del Pareto. Forse, nello scrivere questo brano, Sensini non voleva riconoscere che, in realtà, non era Pareto che intendeva difendere, o avesse bisogno di essere difeso, bensì sé stesso. E a sé stesso egli certamente pensava quando a tale nota aggiungeva (alle pp. 622-623) un’ulteriore “osservazione finale”: il fascicolo del Giornale degli economisti dedicato a Pareto “sarebbe stato meglio che non fosse apparso”. E in effetti, in quella sede, Pantaleoni dava un’altra violenta sferzata alla “scuola” di Pareto: La forma inferiore di attività scientifica che è l’insegnamento si accentuò in lui - e questo è visibile nei suoi scritti - con l’età, a misura che il suo tempo veniva assorbito da giovani che si installavano presso di lui a Céligny e, in ragione della loro impreparazione, avevano bisogno che egli insegnasse loro i primi elementi delle metodologia. Sono da considerarsi come sommari metodologici, fabbricati ad uso loro, le introduzioni del genere che disfigurano, non fosse altro come divagazioni, il Manuel e la Sociologia ... . Non dico che nel Pareto si verificasse una assoluta incompatibilità tra lo scienziato e l’insegnante, ma opino che, grande nella veste di scienziato, riuscisse poco felice in quella di pedagogo. Da molti la mia opinione non è condivisa. Le divagazioni metodologiche formano la delizia di taluni; per altri è la cosa principale che in quelle opere veggono. E questo è enorme (Pantaleoni, 1924, pp. 15-16). 36 Ma Sensini si prendeva l’ultima parola e non resisteva, nel riportare il passo di cui sopra, a soggiungere: “Ma più enorme ancora è il voler parlare di cose che la propria mente è incapace di intendere!!!” (Sensini, 1932, p. 623). Così Sensini si prese l’ultima parola, né Pantaleoni avrebbe potuto oramai più rispondere (era scomparso a Milano il 29 ottobre 1924). Solo a distanza di tanti anni, Sensini avrebbe accettato di riconoscere il valore del proprio avversario: “Mi sia lecito, da ultimo, aggiungere come, nonostante un dissidio cotanto aspro, io reputi che al Pantaleoni (a parte le di lui scarse conoscenze matematiche) spetti un posto distinto nella storia della scienza economica italiana della fine del secolo scorso e del principio del secolo presente” (cfr. Sensini, 1948, p. 60, nota 1). Bontà sua. Forse anche qui la influenza di Pareto non mancò di fare la sua silenziosa apparizione. 20. OPERE CITATE AMOROSO Luigi, 1909, La teoria dell’equilibrio economico secondo il prof. Vilfredo Pareto, “Giornale degli economisti” serie seconda, anno XX, vol XXXIX, ottobre, pp. 353-367. AMOROSO Luigi, 1912, Paretaio e “spirito paretiano” (replica al prof. Jannaccone), “Giornale degli economisti e rivista di statistica”, serie terza, vol. XLV, luglio-agosto, pp. 76-80 (la nota è datata: Roma, 28 luglio 1911). 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