Non buttiamo a mare l`osso del Mezzogiorno Manlio Rossi Doria, un

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Non buttiamo a mare l`osso del Mezzogiorno Manlio Rossi Doria, un
Non buttiamo a mare l’osso del Mezzogiorno
Manlio Rossi Doria, un valente economista agrario, alla fine degli anni ’50 del
secolo scorso analizzando le aree interne e collinari del Mezzogiorno rispetto
a quelle di pianura, coniò l’espressione “osso” (aree interne) e “polpa”
(pianure) per denunciare la profonda divaricazione - sul piano socioeconomico - che le due aree andavano assumendo. Cogliendo i primi effetti
della Riforma Agraria e, soprattutto, degli interventi della Cassa del
Mezzogiorno che si erano concentrati sulle aree di pianura, Rossi Doria vide
lontano, ma la sua denuncia restò inascoltata. Dopo oltre mezzo secolo la
divaricazione tra “osso” e “polpa” nel territorio meridionale è diventata un
abisso. Le aree interne si sono spopolate, le terre abbandonate e colline e
montagne scendono a mare, ogni anno, con le prime piogge. L’osso del
Mezzogiorno oggi sta finendo in mare con le sue colline e montagne che
franano continuamente. Si tratta, infatti, di una grande area (pari a più di un
terzo dell’intera superficie meridionale) che per via dell’abbandono è soggetta
a frane, smottamenti, erosioni del suolo e, in alcune aree della Calabria e
Sicilia, a processi di desertificazione. Un’area in gran parte spopolata con
diversi paesi scomparsi (più di venti nella sola regione calabrese), prive di
servizi (poste,scuole, trasporti pubblici) e abbandonate ad un inarrestabile
oblio.
Oggi questo scenario desolante delle aree interne può essere modificato per
due ragioni fondamentali. La prima è legata al fatto che a livello planetario la
carenza di cibo comincia a farsi sentire sia per la perdita di fertilità dei suoli
supersfruttati, sia per i mutamenti climatici che producono con sempre
maggiore frequenza piogge intense, uragani/tifoni/tornadi, insieme a
persistenti periodi di siccità in tante e vaste aree del pianeta. La speculazione
finanziaria gioca la sua parte portando alle stelle prodotti primari – grano,
mais, riso, ma anche cipolle ed altri beni alimentari- ed affamando le
popolazioni del sud del mondo. La sovranità alimentare sta diventando un
obiettivo primario, di sicurezza nazionale, in tanti paesi ed aree tanto da
portare alcuni governi (India, Argentina, ecc.) a bloccare le esportazioni di
alcuni cereali.
Se il cibo, i beni alimentari stanno diventando beni “strategici” c’è una ragione
forte per mettere a cultura le terre abbandonate dell’osso meridionale. Ma,
finora mancavano i soggetti di questo cambiamento. Oggi, cominciamo ad
intravedere un altro scenario possibile grazie alla presenza di immigrati
provenienti da regioni agricole (etiopi, eritrei, afgani,ecc.) che quando trovano
un’opportunità rimangono nelle aree interne del Mezzogiorno. Diventano i
soggetti della rinascita delle aree interne. E’ il caso di Badolato, Riace,
Caulonia, comuni calabresi che hanno fatto dell’accoglienza degli immigrati e
profughi la loro carta vincente per rinascere, per recuperare vecchi mestieri,
per mettere a cultura terre abbandonate. Anche alcuni giovani stanno
ritornando sulla terra con un altro animo rispetto ai loro padri e nonni.
Ma, come sappiamo, non basta che qualcuno riprenda a coltivare perché
possa vivere di produzione agricola. E’ necessario che questi prodotti
vengano inseriti nella rete dell’economia solidale perché abbiano un giusto
prezzo e permettano a chi ha scommesso su queste attività di viverci
dignitosamente. Se la rete dell’Altreconomia farà il salto di qualità che le
nuove coordinate globali e locali richiedono, allora potremo dire che "l’osso"
del Mezzogiorno ha cominciato a mettere su carne, che la vita ritorna nelle
nostre aree interne per troppo dimenticate dalla politica e dalla società
urbana. Ed avremo dato, come meridionali, anche un grande contributo al
nostro paese che ha una strutturale bilancia alimentare in deficit.
Tonino Perna, giugno 2011