Perché in Italia non si fanno film per bambini?

Transcript

Perché in Italia non si fanno film per bambini?
dicembre
2014
numero
5,50 €
anno ii
18
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g
Un’altra
tra gli ultimi in Europa.
o
n
n
a
f
i
s
n
o
n
ia
l
ta
I
Perché in
film per bambini?
INNOVAZIONI
Cos'è nuovo
e cos'è vecchio
nel cinema italiano
INNOVAZIONI II
Un caso
di crowdfunding riuscito:
Io sto con la sposa
FOCUS
Il cinema in Georgia
ANTROPOLOGIE
Fenomenologia
del cine-imbucato
LA DIREZIONE
E LA REDAZIONE DI 8½
RINGRAZIANO TUTTI
COLORO CHE NEL 2014
HANNO COLLABORATO
ALLA REALIZZAZIONE
DELLA RIVISTA:
Alberto Abruzzese
Silvana Annicchiarico
Michele Anselmi
Mino Argentieri
Rafael Avina
Agnese Baroni
Giulio Base
Giuseppe Battiston
Luca Bernabé
Irene Bignardi
Alice Bonetti
Tiziano Bonini
Matteo Bittanti
Andrea Branzi
Fausto Brizzi
Alberto Brumana
Massimo Bubola
Enrico Bufalini
Maria Buratti
Giulio Bursi
Fulvia Caprara
Valerio Caprara
Massimo Cellario
Francesca Cereda
Roberto Cicutto
Andrea Corrado
Nello Correale
Giancarlo Concetti
Antonio Costa
Silvia Costa
Oscar Cosulich
Francesca Cualbu
Silvo Danese
Flavio De Bernardinis
Laura Delli Colli
Ivano De Matteo
Piera Detassis
Adriano D’Aloia
Gabriele D’Autilia
Carlo Di Carlo
Domenico Dinoia
Giorgio Diritti
Federica D’Urso
Jan Pieter Ekker
Roberto Faenza
Luisella Farinotti
Davide Ferrario
Aldo Fittante
Michelangelo Frammartino
Jean-Michel Frodon
Leonardo Gandini
Vanni Gandolfo
Chiara Gelato
Iole Maria Giannattasio
Mimmo Gianneri
Sara Giudice
Marco Giusti
Giorgio Gosetti
Michele Gottardi
Michela Greco
Francesco Grisi
Paolo Guerriero
Angelo Guglielmi
Viviana Guglielmi
Damiano Gulli
Asgeir H Ingolfsson
Giulio Iacchetti
Felice Laudadio
Ernesto G. Laura
Ugo La Pietra
Andrea Lavagnini
Paolo Lipari
Luca Lucini
Enrico Magrelli
Carmelo Marabello
Andrea Mariani
Marianna Martinoni
Armando Massarenti
Luca Mastrantonio
Mario Mazzetti
Francesca Medolago Albani
Marco Mele
Stefania Miccolis
Riccardo Milani
Fabio Mollo
Francesca Monti
Franco Montini
Andrea Minuz
Serafino Murri
Enzo Natta
Valentina Neri
Ugo Nespolo
Katia Nobbio
Fabio Novembre
Gennaro Nunziante
Lela Ochiauri
Valerio Orsolini
Stefano Padoan
Marco Lucio Papaleo
Alberto Pasquale
Mattia Pasquini
Susanna Pellis
Gaetano Pesce
Simona Pezzano
Alberto Pezzotta
Francesco Piccolo
Giovanni Marco Piemontese
Andrea Piersanti
Paolo Pizzato
Maurizio Porro
Angela Prudenzi
Roberto Pugliese
Costanza Quatriglio
Luca Raffaelli
Ilaria Ravarino
Rossella Rinaldi
Stefano Rolando
Paolo Ruffini
Pier Luigi Sacco
Severino Salvemini
Gida Salvino
Sara Sagrati
Roberto Semprebene
Maurizio Sciarra
Roland Sejco
Roberto Silvestri
Barbara Sorrentini
Vincenzo Spadafora
Micaela Taroni
Bruno Torri
Federica Villa
Elisa Vinai
SENZA DIMENTICARE
COLLEGHI E AMICI
DELLA DIREZIONE
GENERALE CINEMA,
LUCE-CINECITTÀ E ANICA
CHE HANNO AGEVOLATO
IL NOSTRO LAVORO CON
PAZIENZA E SIMPATIA.
EDITORIALE
diGianni Canova
“Scolastico”.
E se anche fosse…?
S
ono già più di un milione
gli italiani che hanno pagato un biglietto per andare
al cinema a vederlo.
Ben oltre i 4 milioni di euro gli
incassi de Il giovane favoloso al
momento in cui scrivo queste righe. Non ci avrebbe scommesso
nessuno. Non ci credeva nessuno. Almeno: nessuno di coloro
che spesso decidono le sorti
produttive del cinema italiano
senza prima essersi interrogati
davvero, in profondità, sul sentire
comune del Paese, sui bisogni
latenti, sulle attese nascoste, sui
miti (pochi, certo, ma reali…) in
cui gli italiani si ritrovano. Giacomo Leopardi è uno di questi
miti. Uno di quei pochi autori
che sui banchi di scuola hanno
acceso il cuore di tutti noi quando eravamo adolescenti e - come
il favoloso Giacomo - eravamo
ancora capaci di palpiti e di fremiti. Di visioni. Ora non lo siamo più. Ora molti di noi - li ho
sentiti di persona alla Mostra di
Venezia - tacciano (o tacciavano:
ora, dopo il successo, si taccio-
no, increduli) il film di Martone
di essere scolastico. Come se fosse un insulto. Come se tutto ciò
che abbiamo appreso sui banchi
di scuola fosse qualcosa di cui
vergognarsi. Qualcosa di infantile, da rimuovere e dimenticare.
Paradossale, per il Paese più
mammone del mondo. Eppure
è così: con un cinismo degno di
miglior causa, tanti accigliati intellettuali - pensosi, preoccupati,
impegnati - hanno snobbato il
film. Qualcuno è arrivato perfino a definirlo “didascalico”
(al che uno si chiede davvero
cosa abbiano visto). Per fortuna, ci ha pensato il pubblico a smentirli. A sorprenderli.
A sorprenderci. Il pubblico e il favoloso Giacomo. Bisognerebbe
ragionare davvero sul successo
inatteso de Il giovane favoloso.
E ripartire da qui per ripensare con coraggio e con franchezza,
senza pregiudizi e senza snobismi elitari - alle storie di cui ha
bisogno oggi il cinema italiano.
Forse, più radicalmente, anche
alle storie di cui abbiamo bisogno un po’ tutti noi.
1
SOMMARIO
10
TI RACCONTO
UNA STORIA
di Paolo Pizzato
12
I BAMBINI? NON
CI GUARDANO PIÙ
di Maurizio Porro
EDITORIALE
01
“SCOLASTICO”.
E SE ANCHE
FOSSE...?
di Gianni Canova
14
16
DALL’AUDIENCE
BUILDING
ALL’AUDIENCE
DEVELOPMENT
di Silvia Costa
18
UN METRO,
UN METRO
E MEZZO,
NON DI PIÙ
di Nicole Bianchi
SCENARI
04
06
BIOGRAFIA
DI UN PAESE
STERILE
di Gianni Canova
UN PUBBLICO
TRASPARENTE
(E CHE NON VOTA)
di Vincenzo Spadafora
24
L’ERRORE
STRATEGICO
DEL BEL PAESE
di Alberto Pasquale
26
FILM PER BAMBINI,
UNA CATEGORIA
CHE NON DOVREBBE
ESISTERE
di s.s.r.
28
UN POCO
DI ZUCCHERO
& SODA PER PETER
PAN E L’ALIENO
di Chiara Gelato
30
FESTE DA GRANDE
SCHERMO
di Valentina Neri
COSA MI PIACE
DEL CINEMA
ITALIANO
INNOVAZIONI
34
IL FETICISMO
DEL NUOVO
di Gianni Canova
36
PRIMA DI TUTTO
C’È SEMPRE
LA STORIA.
PARLANO CINQUE
PROTAGONISTI.
di Gida Salvino
42
QUANDO
IL VECCHIO
ERA NUOVO.
INTERVISTA
A BRUNO TORRI.
di Cristiana Paternò
FATTI
Dossier
di DG Cinema
e ANICA
INNOVAZIONI II
44
STIAMO TUTTI
CON LA SPOSA
di Alice Bonetti
DISCUSSIONI
47
L’INFANZIA,
UN VUOTO
NARRATIVO
32 GRAINNE
COLMATO DAI FILM
HUMPHREYS,
D’ANIMAZIONE
DIRETTRICE
di Stefano Stefanutto
DEL DUBLIN
Rosa
FILM FESTIVAL
di Michela Greco
50
IL MERCATO
AUDIOVISIVO E LA
REGOLAMENTAZIONE:
UN'INDUSTRIA
AL BIVIO
diFederica D’Urso,
Iole Maria
Giannattasio,
Francesca
Medolago Albani
PER VINCERE
L’OSCAR
NON BASTA
ESSERE BELLI
di Fulvia Caprara
8½
NUMERI, VISIONI
E PROSPETTIVE
DEL CINEMA ITALIANO
Bimestrale d’informazione
e cultura cinematografica
Iniziativa editoriale realizzata
da Istituto Luce-Cinecittà
in collaborazione con ANICA
e Direzione Generale Cinema
2
Direttore Responsabile
Giancarlo Di Gregorio
Direttore Editoriale
Gianni Canova
In Redazione
Carmen Diotaiuti
Andrea Guglielmino
Vice Direttore Responsabile
Cristiana Paternò
Coordinamento redazionale
DG Cinema
Andrea Corrado
Capo Redattore
Stefano Stefanutto Rosa
Coordinamento editoriale
Nicole Bianchi
Hanno collaborato
Giulio Base, Alice Bonetti,
Giulio Bursi, Fulvia Caprara,
Silvia Costa, Ivano De Matteo,
Federica D’Urso, Chiara Gelato,
Iole Maria Giannattasio,
Sara Giudice, Marco Giusti,
Michela Greco, Felice Laudadio,
Luca Lucini, Andrea Mariani,
Francesca Medolago Albani,
Stefania Miccolis, Francesca Monti,
SOMMARIO
56
YIDDISH
HOME MOVIE
di Stefania Miccolis
58
IMMAGINI
DISSONANTI
di Francesca Monti
61
62
PACE FATTA TRA
CINEMA E TEATRO.
NEL NOME
DI GREENAWAY
di Luca Lucini
VIAGGIO
NELL’AVANGUARDIA
AMERICANA
di Giulio Bursi
FOCUS
NEL MONDO
CINEMA ESPANSO
64
66
IVANO & JESSICA,
A BUSAN
di Ivano de Matteo
69
IL CASO GEORGIA
di Angela Prudenzi
70
UN CINEMA
PATRIOTTICO
74
SESSO DEBOLE,
FILM FORTI
di Lela Ochiauri
78
LUIGI SASSOON
(CESARE ZAVATTINI)
FILM VELOCE
ED ESATTO
di Andrea Mariani
RICORRENZE
76
Valentina Neri, Lela Ochiauri,
Alberto Pasquale, Paolo Pizzato,
Maurizio Porro, Angela
Prudenzi, Costanza Quatriglio,
Ilaria Ravarino, Severino Salvemini,
Gida Salvino, Vincenzo Spadafora
FENOMENOLOGIA
84 IL NUOVO CINEMA
DELL’ IMBUCATO
VIENE DAL WEB.
di Ilaria Ravarino
“STATE SENZA
con un fumetto
PENSIERI”
di Andrea Guglielmino
di Carmen Diotaiuti
GEOGRAFIE
82
IL VIAGGIO
FAVOLOSO
di Nicole Bianchi
Creative Director
Bruno Capezzuoli
Designer
Giulia Arimattei, Matteo Cianfarani,
Valeria Ciardulli,
Lorenzo Mauro Di Rese,
Serena Paratore
89
DUE NOTTI INSONNI
E UN’AVVENTURA
INIZIATA E FINITA
CON ANTONIONI
E WENDERS
di Felice Laudadio
92
LA BELLEZZA
DI UN ARCHIVIO
SE DIMENTICHIAMO
LA SUA ORIGINE
di Costanza Quatriglio
PUNTI DI VISTA
86
CONNETTERE
IL SAPERE
DEL CINEMA
CON LE ALTRE
INDUSTRIE CREATIVE
di Severino Salvemini 96 BIOGRAFIE
87
HO FATTO
UN SOGNO
di Giulio Base
COSA CI RESTA
DELLO SPAGHETTI
WESTERN? TUTTO.
di Marco Giusti
Progetto Creativo
19novanta communication partners
90 ANNI
ISTITUTO LUCE
INTERNET E NUOVI
CONSUMI
ANTROPOLOGIE
Stampa ed allestimento
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Registrazione presso il Tribunale
di Roma n° 339/2012 del
7/12/2012
3
SCENARI
Cinema e bambini
BU NIOPgaReSaFe isa t erile
di
di Gianni Canova
SCENARI // Cinema e bambini
Una recente ricerca rivela che l’Italia è agli
ultimi posti in Europa nella produzione di film
per bambini: un segno sconfortante, che svela
molte cose circa la debolezza della nostra
industria culturale, ma che conferma anche
la sostanziale sterilità del nostro Paese.
S
iamo un Paese sterile.
Non solo non facciamo
(quasi) più figli, ma a quei
pochi che facciamo non forniamo neppure i minimi attrezzi
per fantasticare. I dati che pubblichiamo ed esaminiamo nelle pagine che seguono sono a
modo loro sconfortanti: il fatto
che l’Italia sia agli ultimi posti in
Europa anche quanto a produzione di film per bambini la dice
lunga non solo sull’inconsistenza della nostra industria culturale, ma anche sull’equivoco su cui
è cresciuta un po’ tutta la società
italiana dal dopoguerra in poi.
Mettiamola così: da noi l’ipergarantismo nei confronti dei “produttori” ha finito per schiacciare
e quasi annientare ogni diritto e
ogni aspettativa di utenti e consumatori. Gli esempi possibili
sono infiniti: nella scuola, per
dire il più clamoroso, una malintesa tutela dei diritti sindacali
degli insegnanti ha schiacciato il
diritto dei bambini ad avere una
scuola efficiente e non travolta
dall’assurdo e inconcludente turn
over dei precari fin dall’inizio di
ogni anno scolastico.
Ma poi le università sono cresciute più in funzione degli interessi, delle carriere e delle lobby
dei baroni che in vista del diritto degli studenti ad avere una
didattica qualificata e programmata sulla base degli interessi
di crescita economica e culturale
del Paese e non di questa o quella baronia accademica, la giustizia è stata più al servizio di avvocati e magistrati che dei cittadini
e della legge, e una riflessione
analoga si potrebbe fare per la
medicina e - soprattutto - per la
pubblica amministrazione.
Il cinema non si sottrae a questa
“perversione”: da anni - questa
almeno è l’impressione crescente di molti osservatori - è al servizio più dei cosiddetti autori che
degli spettatori.
Col risultato che siamo ultimi in
Europa non solo nella produzione di film per bambini, ma risulteremmo analogamente in fondo alla classifica - se si facesse
uno studio apposito - anche nella produzione di film per teenager, per anziani, per immigrati
e così via. Così come da troppi
anni abbiamo rimosso ed emarginato la produzione di film di
genere, allo stesso modo abbiamo trascurato se non addirittura
respinto l’idea che si possono
(e forse anche si devono…) fare
film in vista di target specifici.
La responsabilità di questo stato di cose deriva in gran parte e lo dico ben sapendo di attirarmi le ire funeste di tanti amici
registi e sceneggiatori - da quel
feticismo dell’autore che dal Neorealismo in poi ha dominato (e
spesso schiacciato, intimorito,
soffocato…) il cinema italiano.
L’Autore - per lo meno per
come il termine è inteso dalla
maggior parte di coloro che si
autoproclamano tali - non lavora per un pubblico, lavora
per sé. Lavora per soddisfare le
proprie “esigenze espressive”
(e - diciamolo - il proprio narcisismo…). Quante volte, durante
un’intervista, o nel corso di una
conferenza stampa, abbiamo
sentito il Maestro tale o il regista
talaltro dichiarare con solenne e
meditabonda convinzione: “io
non penso al pubblico, io i film
li faccio per me!”. Poco importa
che 9 volte su 10 il film per sé - il
nostro vate - lo faccia o l’abbia
fatto col denaro pubblico: l’Autore non si cura di pinzillacchere
come l’economia, il denaro - si sa
- per l’artista è “sterco del diavolo” (salvo poi mettere il broncio
e fare il diavolo a quattro se il
signor satanasso va a deporre i
propri escrementi in un’altra toilette…). Fare un film per bambini
richiede umiltà. Richiede impegno e professionalità.
Richiede che l’artista si metta al
servizio del pubblico. Che sondi
le sue fantasie, che metta in circolo fantasmi, che ecciti desideri.
Beninteso: nessuno ce l’ha
con gli Autori. Ma un’industria
dell’entertainment degna di questo nome dovrebbe prevedere,
accanto al cinema degli Autori,
anche un cinema che metta al
centro il pubblico e i pubblici, un
cinema che lasciandosi alle spalle narcisismi e solipsismi più o
meno autarchici cerchi di fornire al pubblico gli ingredienti più
adatti per nutrire l’immaginario
e l’immaginazione. Lo snobismo e il sacerdotale distacco
con cui troppo spesso l’establishment del cinema italiano guarda ai film per bambini è uno dei
segni più macroscopici della nostra debolezza.
Se poi si considera che l’Italia è
un Paese in cui la letteratura per
l’infanzia è più che mai florida e
fiorente, e che alcune delle icone
dell’immaginario infantile - da Pinocchio a Giamburrasca - sono
italiane, la latitanza nella produzione di film per bambini non
è solo un segno di debolezza.
È anche un sintomo di un inguaribile e deprimente masochismo.
5
SCENARI // Cinema e bambini
L’errore
strategico
del
Bel Paese
di Alberto Pasquale
6
SCENARI // Cinema e bambini
L’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo (OEA) ha pubblicato recentemente il rapporto dal titolo La circolazione
nei cinema dei film europei per bambini. L’analisi si concentra sulla circolazione nelle sale e sui risultati al botteghino,
nel periodo 2004-2013, dei film “di finzione” europei (live action e di animazione) destinati ai bambini fino a 12 anni
di età, confrontandoli con quelli destinati alle altre fasce di pubblico, sulla base di un campione composto da 648 film
per bambini e più di 8.700 film per “non-bambini”. Ma perché l’Italia, che pure vanta una tradizione notevole nel film
d’animazione, a parte il caso della Rainbow di Iginio Straffi, è rimasta indietro?
Paese
Animazione
% totale
film bambini
Live Action
Germania
38
34%
75
Francia
50
60%
Paesi Bassi
3
Danimarca
Totale film
bambini
Totale film
66%
113
761
15%
33
40%
83
1.713
5%
5%
55
95%
58
312
19%
19
33%
38
67%
57
262
22%
Svezia
31
56%
24
44%
55
391
14%
Spagna
34
74%
12
26%
46
826
6%
Norvegia
10
23%
33
77%
43
213
20%
Regno Unito
14
44%
18
56%
32
824
4%
Finlandia
8
31%
18
69%
26
190
14%
Repubblica Ceca
11
46%
13
54%
24
246
10%
Belgio
7
35%
13
65%
20
185
11%
Italia
6
32%
13
68%
19
947
2%
29
40%
43
60%
72
2.515
3%
260
40%
388
60%
648
9.385
7%
Altri 17 Paesi
Totale
% totale
film bambini
% film bambini
su totale film
Tabella 1 - Produzione di film per bambini per Paese d’origine 2004-2013
Produzione e dimesione
del mercato per bambini
Una prima, importante, osservazione riguarda la completezza del
campione, che gli stessi ricercatori riconoscono di non aver potuto
raggiungere. Da una parte è stato difficile definire, identificare e
classificare l’oggetto di studio (film per bambini), mentre dall’altra
l’analisi ha dovuto necessariamente essere condotta solo su un
campione e non sul volume totale dei film presenti sul mercato.
In ogni caso, il campione viene considerato dai ricercatori di ampiezza sufficiente, sia per illustrare le caratteristiche “medie” del
fenomeno, sia per rilevare le ampie differenze che si riscontrano
nei diversi Paesi d’Europa.
Come si è accennato, analizzando il decennio 2004-2013 sono stati
identificati 648 film di produzione europea, usciti in sala e destinati
principalmente ai bambini fino a 12 anni di età. Si tratta di 388 film
live action e 260 film d’animazione. Mediamente, nei 40 Paesi considerati dall’OEA (che, ricordiamolo, fa capo al Consiglio d’Europa,
la quale comprende un numero maggiore di Paesi - 47 - rispetto ai
28 dell’Unione Europea) abbiamo quasi 65 film l’anno (lo studio,
in base a vari aggiustamenti, calcola una media di 70 film l’anno,
registrando un minimo di 63 e un massimo di 82 film/anno), un
numero composto per il 60% (circa 39 film) da live action e 40%
(circa 26 film) da film di animazione. Nel loro complesso questi film
hanno generato in Europa un totale stimato di 373 milioni di spettatori (54% per i live action e 46% per l’animazione). Ciò rappresenta
circa il 3,3% del totale dei biglietti venduti nel periodo 2004-2013
7
SCENARI // Cinema e bambini
(tutte le nazionalità) e l’11% dei biglietti venduti tra i soli film europei. In altre parole, almeno un biglietto su dieci, venduto nel periodo
considerato, in Europa, per assistere a un film europeo, era per un
film per bambini. Il che significa che i film europei per l’infanzia
hanno generato nei mercati europei mediamente circa 41 milioni di
spettatori l’anno.
La circolazione dei film: l’importanza
dell’animazione
Un dato molto interessante riguarda la circolazione dei film per bambini al di fuori dei confini nazionali. Si rileva infatti che ben il 71% di
queste opere attraversa le frontiere del suo Paese d’origine, contro
il 49% dei film non destinati ai bambini. Inoltre, i mercati esteri nei
quali approdano sono in media 3,4, contro i 2,2 dei film “altri”. Infine,
l’incasso per questi film è superiore: si calcola un valore mediano pari
a 142.500 biglietti venduti, contro i 28.919 dei film “non per bambini”;
un rapporto di cinque a uno. Andando maggiormente nel dettaglio,
si scopre che la componente “animazione” è quella più vivace. Infatti, mentre non c’è una differenza significativa nella percentuale di
esportazione fra le due componenti (animazione 74% e live action
69%), la prima esporta in media in 4,6 Paesi esteri, contro i 2,6 Paesi
raggiunti dai film per bambini “con attori in carne ed ossa”. In termini
cumulativi, i film di animazione per bambini hanno generato il 50%
dei biglietti venduti nei mercati non-nazionali, mentre i film live action
si sono fermati al 29%. In sintesi, risulta fin troppo evidente come i
film europei destinati ai bambini, se sono di animazione attraversano
più facilmente le frontiere, mentre gli altri dipendono principalmente
dal loro mercato d’origine e fanno fatica a circolare all’estero.
I Paesi produttori
Il Paese più prolifico nella produzione di film per l’infanzia è la Germania, con un totale stimato di 113 film prodotti (e distribuiti) tra il
2004 e il 2013. Al secondo posto la Francia, con 83 film, seguita da
Paesi Bassi (58 film), Danimarca (57) e Svezia (55). A parte i rimanenti tre grandi mercati dell’Europa occidentale, quali Spagna (46)
al sesto posto, Regno Unito (32), all’ottavo e Italia (19) al dodicesimo, vale la pena di citare il relativamente elevato numero di produzioni in Norvegia (43), al settimo posto, Finlandia (26) al nono,
Repubblica Ceca (24), al decimo, e Belgio (20), all’undicesimo.
In termini di tipologia di film, la Spagna, la Francia e la Svezia mostrano una preferenza per la produzione di animazione, mentre il
genere “dal vivo” è preferito in Paesi come Germania, Paesi Bassi,
Norvegia, Finlandia, Danimarca o in Italia (tabella 1).
In aggiunta all’analisi della preferenza fra le due tipologie, guardando l’ultima colonna della tabella 1 è interessante osservare il livello
di specializzazione nella produzione per bambini rispetto alla produzione complessiva di ciascun Paese. I dati indicano che la Danimarca (22%), la Norvegia (20%) e Paesi Bassi (19%) dedicano la
percentuale più alta, fra i vari Paesi, alla produzione per l’infanzia
(sia animazione che live action). Il dato è particolarmente significativo se confrontato con una media pan-europea del 7%.
8
SCENARI // Cinema e bambini
E l’Italia?
Sembra proprio che agli italiani
non piacciano i film europei per
bambini (non i film per bambini
in generale, ma solo quelli europei). O almeno non sembra
che li amino quanto i tedeschi, i
francesi, i britannici, gli spagnoli
o gli altri europei. Non solo nel
nostro Paese se ne producono
pochi, ma siamo anche tra
coloro che li vanno a vedere di
meno al cinema. Come si è visto,
mentre in Germania hanno visto
la luce, nell’ultimo decennio,
113 film per l’infanzia, in Francia
erano 83, nei Paesi Bassi 58 e in
Danimarca 57, mentre in Italia
sono state prodotte solo 19 pellicole. E sul fronte del numero
di biglietti venduti non va certo
meglio. A fronte degli 11 milioni
di biglietti venduti in Italia tra il
2004 e il 2013, in Germania e in
Francia ne sono stati venduti oltre 80 milioni, in Gran Bretagna
34, in Spagna 22. L’unica consolazione, se così si può dire, resta
quella di vedere i due film di
Iginio Straffi, Winx Club, il segreto del regno perduto e Winx Club,
magica avventura in 3D, piazzarsi rispettivamente alla 27esima e
alla 32esima posizione nella top
50 dei film europei per bambini
che negli ultimi dieci anni hanno
conquistato più pubblico oltre
confine; si tratta di una classifica che vede ai primi posti film
come Mr Bean’s Holiday, Asterix
alle Olimpiadi, Giù per il tubo, Le
avventure di Sammy e Arthur e il
popolo dei Minimei (tabella 2).
Titolo
Paese
Anno
Genere
Biglietti
venduti
all’estero
1
Mr Bean’s Holiday
GB/FR/DE/US
2007
Live action
11.149.993
72%
26
2
Asterix alle Olimpiadi
FR/DE/ES/IT
2008
Live action
7.211.590
51%
28
3
Giù per il tubo
GB/US
2006
Animazione
6.813.567
78%
25
4
Le avventure di Sammy
BE/US
2010
Animazione
5.659.596
96%
28
5
Arthur e il popolo dei Minimei
FR
2006
Animazione
4.607.812
53%
27
Winx Club-Il segreto del regno perduto
IT
2007
Animazione
1.375.532
62%
20
Winx Club 3D: Magica Avventura
IT
2010
Animazione
1.102.584
73%
17
Quota %
estero
Mercati
esteri
(…)
27
(…)
32
Tabella 2 - Film europei per bambini con il maggior numero di biglietti venduti all’estero 2004-2013
Alcune considerazioni
A margine di questa analisi appare opportuno esprimere qualche
considerazione. In primo luogo, vi è da notare come un buon numero dei film di maggiore successo qui considerati siano stati realizzati prevalentemente con capitali statunitensi. Il che non consente
di trattare questi titoli come propriamente “europei”, avvicinandoli
piuttosto ad altre produzioni per bambini, di fattura dichiaratamente USA, provenienti da società importanti quali Disney, Pixar, Illumination Entertainment, Blue Sky Studios, ecc. In secondo luogo,
emerge palesemente l’errore strategico commesso dall’Italia. I film
per bambini, e in particolare i film d’animazione, presentano infatti
caratteristiche “industriali” particolari: 1. Sono facilmente esportabili, perché riducono al minimo le caratteristiche eccessivamente “locali” dei film; 2. Hanno una vita commerciale più duratura delle altre
tipologie di film, in particolare in televisione e in Home Video; 3.
Si prestano facilmente alla serializzazione, sia cinematografica che
televisiva; 4. Consentono un ricco sviluppo di attività “collaterali”:
videogiochi, parchi a tema, licensing, merchandising, ecc. Perché
l’Italia, che pure vanta una tradizione notevole nel film d’animazione, a parte il caso della Rainbow di Iginio Straffi, è rimasta indietro?
Come si è visto, molti Paesi relativamente più piccoli dell’Italia si
sono specializzati in questa tipologia di prodotto, per non citare
i Paesi più grandi, di gran lunga più avanti dell’Italia. Ancora una
volta, si torna su due punti deboli del nostro sistema: scarsa propensione all’internazionalizzazione e strategie industriali di corto
respiro. Non sarà il caso di iniziare a recuperare il tempo perduto?
9
SCENARI // Cinema e bambini
E
se prendessimo esempio
da Stanley Kubrick? Se, proprio come il grande regista
americano, guardassimo alla letteratura, ai libri, come primaria
fonte d’ispirazione per soggetti
e sceneggiature cinematografiche? Se, in una parola, imparassimo finalmente a pensare alla
cultura come a un punto di forza
invece di ostinarci a considerarla
poco più di uno scomodo fardello? Domande - o se si vuole
esortazioni, provocazioni persino - sollecitate dall’ennesimo
primato negativo collezionato
dal nostro Paese ed evidenziato
dal rapporto dell’Osservatorio
Europeo dell’Audiovisivo del
Consiglio d’Europa: l’Italia, nel
panorama continentale, occupa
un desolante ultimo posto tanto
nella produzione quanto nella
fruizione dei film dedicati ai più
piccoli. Una carenza tanto più
grave se si pensa che l’offerta
creativa dedicata ai più giovani
presenta proprio nell’ambito
letterario - che tanti spunti potrebbe fornire al cinema - grande
ricchezza di temi e ampia varietà
di proposte. Di editoria dedicata
ai più piccoli, della sua situazione attuale, delle prospettive future, del mancato rapporto con il
cinema e delle sue possibili ragioni abbiamo parlato con Carlo
Gallucci, fondatore dell’omonima Casa Editrice (www.galluccieditore.com), nata nel 2002.
In Italia il panorama editoriale è
assai poco confortante. In quali
aspetti le pubblicazioni per bambini rispecchiano il non esaltante andamento generale e in quali
invece se ne differenziano?
Penso che i libri dedicati all’infanzia costituiscano un mondo
a parte. A livello generale i dati
ci dicono che la saggistica soffre
ovunque, mentre la crisi della
narrativa è più legata a difficoltà
di carattere distributivo, in primis alla chiusura delle librerie.
Poi c’è il problema dell’utilizzo
del tempo, che lo sviluppo della
tecnologia digitale ha contribuito a mutare radicalmente; oggi
il vero pericolo per i libri non
viene dagli e-book e dai supporti elettronici di lettura ma dalla
quantità di tempo che ognuno di
noi dedica ai propri dispositivi,
smartphone, tablet, computer,
10
TI
RACCONTO
UNA
STORIA…
di Paolo Pizzato
Libri per bambini, un tesoro che il cinema d’animazione italiano, in affanno
ormai da anni, non riesce a sfruttare. A colloquio con l’editore Carlo Gallucci,
per cercare di scoprire i motivi di questo matrimonio mancato e fare il punto sul
mondo dell’editoria dedicata ai più piccoli.
SCENARI // Cinema e bambini
e che ogni giorno viene sottratto
ad altre attività, tra cui naturalmente la lettura. Ora, lo stato di
cose appena descritto, diffusissimo tra gli adulti, ha per fortuna
un impatto di gran lunga minore
tra i più piccoli, e se a questo si
aggiunge il fatto che nelle famiglie, comprese le italiane, il libro
per bambini continua a godere
di grande considerazione, si
comprende bene il motivo per
cui l’editoria per i giovanissimi
non risente, o risente soltanto in
parte, del pessimo andamento
del settore.
La sua casa editrice propone libri scritti da cantanti e illustrati
da grandi artisti del disegno e
del cinema d’animazione come
Altan, Cavazzano, Bozzetto.
Crede che la letteratura per ragazzi sia una piattaforma ideale
per l’incontro di ispirazioni differenti o questa scelta è frutto
di un’intuizione?
Quando ho deciso di fondare la
casa editrice non ho fatto piani
di business o studi di marketing.
Volevo semplicemente fare libri
per bambini che piacessero anche agli adulti e comprendessero, armonizzandole, le mie passioni per le immagini, i racconti,
la musica e il cinema. Così sono
nati i libri illustrati che raccontano canzoni; il primo è stato
Alla fiera dell’Est di Angelo Branduardi, con disegni di Emanuele
Luzzati, un maestro che ha fatto cose splendide anche per il
cinema. Il successo, decretato
proprio dai bambini, che hanno
compreso prima e meglio dei
‘grandi’ il senso dell’iniziativa, è
stato travolgente.
Le immagini, nei libri per l’infanzia, rivestono un ruolo di
grande importanza. Perché, a
suo avviso, questa centralità
dell’immagine, così come la
grande varietà delle storie narrate, non sono state finora colte
e sfruttate dal cinema?
Non è stato sempre così. Il cinema d’animazione italiano è stato d’avanguardia, proprio come
lo è stato tutto il nostro cinema
degli Anni ‘40, ‘50 e ‘60; basti
pensare al fatto che la Nouvelle
Vague francese ha un padre italiano, Roberto Rossellini. Italiano è il primo lungometraggio in
technicolor, La rosa di Bagdad,
di cui, assieme a Cinecittà, sono
il distributore in Home Video, e
italiani sono altri capolavori,
come Lalla, piccola Lalla dei
fratelli Nino e Toni Pagot. Insomma, fino a Bruno Bozzetto
e al suo splendido Allegro non
troppo (1976), possiamo dire
che l’animazione cinematografica italiana sia stata viva e di
primissima qualità, poi purtroppo sono venuti meno i fondi destinati alla produzione dei film
e questo patrimonio di competenze, creatività ed esperienze
è passato alla pubblicità. Oggi
uno dei principali problemi che
grava sul cinema d’animazione,
in special modo italiano, è la
distribuzione, cui si aggiunge
una progressiva verticalizzazione verso le megaproduzioni
che inevitabilmente penalizza il
mercato.
Se dovesse ‘spiegare’ un libro, o
un film, a un bambino e avesse
a disposizione soltanto tre parole quali userebbe?
Me ne vengono in mente quatLa letteratura per ragazzi, in un tro: ‘Ti racconto una storia…’.
Paese che ha una bassa percentuale di lettori, è una responsabilità. Quale deve essere, a suo
avviso, il compito di un editore
nella promozione della cultura
del libro?
I dati (fonte AIE, Associazione
Italiana Editori; www.aie.it) ci
dicono che, anno dopo anno, la
percentuale di lettori, in Italia, diminuisce. A fronte di ciò, io credo che a insegnare a leggere, a
spiegare l’importanza della lettura debbano essere le istituzioni.
Gli editori hanno un solo dovere,
fare bei libri.
TRA CALVINO E OLIVER SACKS, IL VALORE
DELLA DIVERSITÀ IN UN LIBRO DI ILARIA MAINARDI
La Redazione
Mastro Tasso e il suo cappello, della pisana Ilaria Mainardi,
pubblicato da MdS Editore per la collana “I cuccioli”, con le
illustrazioni di Andrea Guglielmino, “è una storia nella storia
- dice l’autrice - Il primo quadro riguarda la fuga sull’albero, di
calviniana memoria, di Tommaso, bambino di 8 anni e mezzo, intelligente e sveglio, ma stanco di assecondare le aspettative degli adulti.
Sarà nonna
Marisa a
Nonostante la crisi, nonostante il domani incerto,
raccontagli
nonostante non si sappia quale mondo lasceremo ai
una curionostri eredi, ancora oggi, in Italia, si scrive perl’infanzia.
sa vicenda
Non solo, ma alla letteratura per l’infanzia si posche lo convincerà a
sono affidare temi di importanza capitale anche per
scendere
costruire un futuro un po’ meno nero e più aperto
dal ciliegio
verso il confronto e l’accettazione dell’altro.
sul quale si
è rifugiato.
Prende dunque avvio la storia dello scoiattolo Romeo e della
sua amicizia con un personaggio, tanto inusuale quanto affascinante, Mastro Tasso, innamorato del proprio cappello.
Attraverso suggestioni che vanno dal già citato Calvino a
Oliver Sacks, dalla mitologia nordica (il cappello si chiama
Brunilde) a quella greca, il piccolo Romeo imparerà, tra nuovi affetti e dolorose rinunce, che l’unica possibile ‘normalità’
consiste nella salvaguardia della propria unicità. È una breve favola contro l’omologazione e il razzismo (inteso anche
come razzismo di genere e come omofobia) che speriamo
possa aiutare a comprendere come il contrario di normalità
sia anormalità e non certo diversità, risorsa indispensabile
per trovare la strada di casa”.
11
SCENARI // Cinema e bambini
F
in da quella prima sera del
28 dicembre 1895, quando fu allestito il primo telone, il cinema doveva renderci
tutti infantili, nel senso migliore del termine, cioè stupirci,
meravigliarci, impaurirci. Oggi
che il risultato è ottenuto in abbondanza, e per eccesso, perché soprattutto il cinema fantasy americano, ma non solo,
ci ha reso infantili globalmente,
facendoci arrivare alla soglia
dei 14 anni quando va bene, ci
si chiede perché non si fanno
più i film per bambini. Ma perché sono tutti film per bambini
quelli al top, ovviamente con
rare eccezioni turche oppure
I
B
A
orientali, che giustificano il paradosso: la rincorsa agli effetti
speciali e specialissimi, il play
movie sempre più in uso, l’assenza di dialogo o la riduzione
delle parole a suoni gutturali e
la voglia di partire per altri luoghi ed altri mondi, popolano
un immaginario che è infatti
su misura per l’inconscio dodicenne. Tanto è vero che quando, per caso, viene distribuito
un film per ragazzi vecchio
stampo come Belle e Sébastien, col sano e un po’ morboso rapporto tra cane e bambino che funziona fin dai tempi
di Lassie e Rin Tin Tin, accade
il miracolo di un incasso asso-
M
B
I
N
I
?
lutamente imprevisto, complici altri media (tv, libri, fumetti).
Si direbbe parafrasando B.B.
(non la Bardot, ma Brecht): infelici i tempi che hanno bisogno
ancora di eroi minorenni, come
il Neorealismo di Rossellini e
della sua Germania anno zero
o il De Sica di Sciuscià e Ladri
di biciclette. La tv, vampirizzando ogni genere di cinema, ha
dato una mano: le fiction e le
vite pie, devote e santificate, e
i Medici in famiglia sono prodotti di uso appunto familiare,
selezionati per i ragazzi che
quindi non chiedono altro e
12
N
O
N
pascolano nelle sitcom e nei
cartoon, una zona protetta nel
cinema under qualcosa. Certo
che si rimpiange, e non poco,
quel cinema italiano middle
class che aveva bisogno dei
bambini perché metteva in
scena l’Italia in fieri, dove non
esisteva il concetto di single,
se non nelle canzoni più tristi
di Sanremo. Bei tempi quando
i piccini, spesso col moccolo al
naso, frignavano in cucina nei
melodrammi rivalutati di Matarazzo, mentre i “grandi” si
confessavano tremendi adulterii o giocavano a scopa con De
Sica, vincendo; o quando correvano con i pantaloncini corti
a prendere il latte (anticipando
le hit di Gianni Morandi), a
consegnare una lettera, a chiedere qualcosa al portiere (vedi
Il ferroviere e L’uomo di paglia
del grande Germi). L’ultima
grande star minorenne italiana
è stata il Salvatore Cascio - che
oggi lavora in una catena di supermarket - di Nuovo cinema
Paradiso, oltre a un pugno di
lacrimosi piccoli orfani ed eroi
di solitudini, degni di groppi in
gola dickensiani, nei film della
serie L’ultima neve di primave-
SCENARI // Cinema e bambini
ra, la vendetta del mercato agli
scandali d’epoca della Antonelli, arrampicata sulla scala col
giovane Momo che guardava
sotto le gonne. Oggi da noi i
protagonisti sono gli adolescenti che popolano in epoca
Moccia (già alla deriva però) il
cinema dei telefonini bianchi,
in attesa del ricambio verso
le giovani coppie come nelle
volgari commedie americane
in cui si attende pazienti anche
mezz’ora che il protagonista
abbia un’erezione. Non è quindi cinema per bambini. Non
ci sono più, signora mia, i piccoli simpatici e intraprendenti
caratteristi del Neorealismo o
C
I
G
dalla società dei consumi, vedi
Il giovedì di Risi, col giovane
papà separato Walter Chiari.
Ma anche moltissimi altri: tanti Risi, Damiani, Bolognini, ci
voleva sempre un ragazzino
intorno alle gonne di Marisa
Allasio per equilibrare i fattori.
E di Comencini è quasi inutile
parlare: la sua carriera è stata
una missione per indagare tra i
bambini, poveri o ricchi, mistici
come Marcellino pane e vino o
no, compresi o incompresi, di
fiction o d’inchiesta, osservando anche Casanova da giovane
per non dire di Pinocchio, che
torna e ritorna (e ora minaccia
di avvicinarvisi anche Robert
U
A
R
D
Downey jr.). Così è accaduto
che, in un mercato che si rivolge solo ai minorenni (fantasy,
fumetti, cartoni, saghe di super eroi, infinite trilogie, etc.),
i bambini veri sono scomparsi
dagli schermi. La cosa curiosa
è che invece il teatro ha riscoperto, soprattutto col musical,
il family show, portandolo all’esasperazione e passando da
qualità alta (Billy Elliot, anche
come film) a un prodotto abbastanza risaputo, dozzinale, da
bullini e pupette, dissacrando
e affondando i canini in tutte
le più belle favole del reame,
sempre con la complicità della
tragica mediocrità della tv.
A
N
O
P
I
Ù
di Maurizio Porro
del realismo in rosa, i ragazzini
fratellini dei Poveri ma belli e
de Le ragazze di san Frediano o
de Le signorine dello 04. Oggi i
bambini al cinema sono al crocevia di ignobili traffici, in genere vengono stuprati o, se gli va
bene, rapiti, o vedono i morti
con il loro Sesto senso o si vanificano in aereo (ne sa qualcosa
Jodie Foster) e Dio sa quante
volte Liam Neeson e quelli
come lui sono corsi per ritrovare il figlioletto-a scomparsi.
Ma i bambini che ci guardano,
o ci guardavano, quelli dei capolavori borghesi di Rossellini
e De Sica, ma anche Erasmo,
il lentigginoso figlio di James
Stewart, come il ragazzino del
“Que sera sera” de L’uomo
che sapeva troppo, quelli che
obbedivano o andavano a letto all’ora prevista, quelli sono
scomparsi. Dove sono finite le
sorelline della Apicella, la figlia
della Magnani in Bellissima,
unico film in cui Visconti ha
ripreso bambini? (I fratellini di
Rocco sono tutti grandicelli).
La commedia italiana aveva
molti, moltissimi ragazzini
simpatici, anche se iniziavano
a capire di essere consumati
13
SCENARI // Cinema e bambini
Un pubblico trasparente
(e che non vota)
di Vincenzo Spadafora*
L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza
in Italia sta facendo il possibile per sensibilizzare
i soggetti competenti nel valorizzare gli “under 18”,
ancora considerati poco e niente. L’Authority
sta lavorando con mezzi scarsi ma con tantissima
voglia di fare, per cambiare l’atteggiamento soprattutto della politica - nei confronti di questo
prezioso “capitale umano”.
I
n nove anni, secondo una
ricerca europea, abbiamo
prodotto solo 19 film per
bambini, il che significa una
media di un paio l’anno. Pensando che ci sono 11 milioni di
bambini e ragazzi in Italia, il dato
europeo è ancora più triste nella
sua crudezza perché fa pensare
che tutte quelle persone in fieri
siano “trasparenti”, troppo poco
influenti e interessanti (non votano) per ricevere attenzione o
addirittura per essere al centro
di un progetto culturale.
Sappiamo tutti che l’odierno
immaginario collettivo si forgia
attraverso la rete, la tv e il cinema. Un tempo erano i libri il
veicolo formativo, la fantasia e
i valori arrivavano spesso dalla
pagina scritta, facendo immaginare al giovanissimo lettore
un futuro diverso da quello che
aveva magari intorno in una famiglia disagiata o in contesto
sociale difficile. Talvolta la scuola
ha pensato a mettere una pezza alla sfortuna di una partenza
dura e lo dovrebbe fare sempre
di più, anche oggi, anzi tanto
più oggi che il sistema di valori
è stato scardinato da più parti.
Ritornando al nostro ragionamento: ma allora, se il cinema riveste un ruolo formativo importante, perché non concentrarsi
maggiormente sui film per bambini? “Per” bambini, non “con”
bambini, differenza sostanziale,
di non poco conto. Scrivere una
sceneggiatura pensando ad un
pubblico di età scolastica significa infatti saper parlare a quel
pubblico, magari dopo averlo
ascoltato per capire cosa gli piace, cosa sente, perché soffre.
È un problema di linguaggio e
di soglia d’attenzione: se tu sei
“trasparente”, perché devo occuparmi di te? Perché devo imparare
a parlarti? Non solo, ma se ti parlo
probabilmente prima ti ho ascoltato per avvicinarmi a te.
Spesso la presenza dei bambini in
tv o in molti film stranieri (americani in testa) è funzionale ad una
storia per adulti dove i piccoli servono a dare momenti di commozione, ma raramente la cinepresa
o la telecamera si abbassa al livello
dei bambini, guarda il mondo da
quella prospettiva, così come il
professore de L’attimo fuggente
insegnava a salire sui banchi per
cambiare il punto di osservazione.
* Presidente dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza in Italia http://www.garanteinfanzia.org/
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SCENARI // Cinema e bambini
La realtà è diversa a seconda
di come la guardi, e da dove la
guardi. Il centro del discorso è
sempre lo stesso, sia che si parli
di cinema o di rete o di scuola o
di sport: in Italia “il capitale umano” rappresentato dai bambini e
dai più giovani viene considerato
poco e niente. L’Authority, che ho
l’onore di presiedere, sta facendo il possibile per sensibilizzare
i soggetti competenti in tale direzione. Stiamo lavorando con
mezzi scarsi ma con tantissima
voglia di fare, per cambiare l’atteggiamento - soprattutto della
politica - nei confronti del nostro
prezioso “capitale umano” under 18. La Convenzione sui diritti
dell’infanzia e dell’adolescenza,
approvata dall’Assemblea delle
Nazioni Unite nel 1989 e ratificata dall’Italia ci ricorda infatti, fra i
suoi 54 articoli, che un bambino
ha il diritto di essere ascoltato,
di esprimersi e di avere un’istruzione atta a sviluppare al meglio
la personalità. Vedere un buon
film, scritto, pensato e realizzato, proprio per i bambini, è una
forma indiretta di istruzione.
Da anni, il cinema italiano è in
crisi d’identità, incapace di darsi
una visione, chiuso fra la commedia da botteghino e il film
d’autore (quando l’autore c’è!).
Con fatica abbiamo riacceso i
riflettori sul nostro cinema con
l’Oscar a La grande bellezza.
In uno scenario simile pensare a produrre film per bambini
potrebbe essere uno stimolo
per superare lo stallo attuale:
abbiamo infatti eccellenti autori
di libri per l’infanzia; abbiamo
professionisti dell’animazione;
abbiamo sceneggiatori, attori,
direttori della fotografia e registi di talento; abbiamo la nostra
cultura ricca e sfumata; abbiamo
la creatività come segno distintivo che il mondo ci riconosce.
Perché allora non “fare sistema”
almeno in questo ambito?
Noi come Authority stiamo mettendo in connessione soggetti
diversi per farli lavorare insieme,
individuando così buone pratiche. Lo stesso potrebbe fare il
cinema italiano rispetto alla produzione per l’infanzia.
Sarebbe un buon passo in avanti
per i molti bambini italiani e per
il nostro cinema. E forse spingerebbe i genitori a portare di più
al cinema i propri figli, commentando magari insieme il film, confrontandosi e scambiandosi le
sensazioni provate. Sarebbe anche questa una “buona pratica”.
15
SCENARI // Cinema e bambini
D A L L’ A U D I E N C E
A L L’ A U D I E N C E
B U I L D I N G
D E V E L O P M E N T
di Silvia Costa *
La situazione europea e nazionale rispetto al sostegno,
allo stimolo, alla pianificazione futura,
in materia di Film e Media Literacy.
S
econdo Eurobarometro,
negli ultimi sei anni pressoché tutti gli indicatori
culturali sono in diminuzione
nella UE 28, per ragioni allarmanti: la maggior parte delle persone
- e dei giovani in particolare - riferisce infatti di non partecipare
ad attività o consumi culturali per
mancanza di interesse.
Da qui - ma non solo - la priorità assegnata al coinvolgimento
dei cittadini europei nel riconoscere e comprendere il valore
del nostro patrimonio comune,
alla promozione della partecipazione attiva alla vita culturale e
creativa e, sull’altro fronte, all’incoraggiamento della vitalità delle
organizzazioni e degli operatori
protagonisti della produzione
creativa, culturale e audiovisiva.
Già dal 2007, con la dichiarazione “An european approach
to Media Literacy in the digital
environment”, l’Unione europea
ha posto l’accento sulla Media
Literacy come necessario processo di formazione del pubblico (audience building) e pratica
fondamentale per sviluppare un
approccio critico verso le diverse
forme espressive, mediali e di
comunicazione.
Nell’agosto 2009, con il documento “On media literacy in the digital environment for a more competitive audiovisual and content
industry and an inclusive knowle-
dge society”, è stata inoltre segna- e altri soggetti che conservano e
lata la necessità di aprire un di- promuovono il patrimonio cultubattito sull’inclusione della Media rale e cinematografico.
Literacy nei programmi scolastici.
Ragionare sull’incremento dell’acLa Film Literacy si configura cesso del pubblico, dunque, porta
come una branca essenziale del- necessariamente con sé il tema
la Media Literacy, prefiggendosi del rilancio dell’educazione cultul’educazione all’immagine cine- rale, veicolata dalle agenzie formamatografica in un contesto sem- tive come da tutte organizzazioni
pre più intermediale e globale e che producono offerta.
stimolando la sensibilità delle
giovani generazioni nei confronti Qui occorre una distinzione predel patrimonio cinematografico liminare tra educazione ed istruzione, concetti utilizzati spesso
e audiovisivo europeo.
Nell’estate 2011 l’Unione euro- in modo intercambiabile.
pea ha emanato, nell’ambito del
Programma MEDIA, un bando Tra queste esiste invece una redal titolo “Call for a study on film lazione funzionale: l’istruzione
literacy in Europe”, con l’intento intesa come la formazione indi rilevare le attività di formazio- tellettuale che passa attraverso
ne del pubblico cinematografico l’acquisizione delle conoscenze
(promosse da istituzioni diverse concorre all’educazione, che
come scuole, alta formazione e porta in sé la trasmissione del
università, cineteche, mediate- patrimonio dei valori, delle idee
che, musei, associazioni cultura- e dei comportamenti alla base
li, enti locali e loro emanazioni, della formazione della personalibroadcaster, rami dell’industria tà e a fondamento delle relazioni
cinematografica, eccetera) negli sociali. La prima, se vogliamo,
Stati Membri e di elaborare una ha una dimensione individuale.
lista di raccomandazioni per l’U- Che diventa sociale, appunto,
nione europea che abbia lo sco- nell’educazione. Ed è anche qui
po di rafforzare lo statuto della evidente come l’accesso e la praFilm Literacy nel quadro della tica della cultura sia una dimensione essenziale dello sviluppo
Media Literacy.
della persona, fin dall’infanzia.
Da ultimo Creative Europe Diventa dunque chiaro che la re2014-2020, il programma per la sponsabilità dell’educazione - incultura, la creatività e l’audiovisivo, di cui sono stata relatore,
che include MEDIA (accanto al
subprogramma Cultura e al cosidetto Strand Transettoriale) ha
rilanciato con rinnovata forza,
collocandolo al centro dell’agenda delle politiche culturali UE, il
tema dell’ampliamento del pubblico transitando dall’approccio
dell’audience building a quello
dell’audience development, ossia
dalla costruzione allo sviluppo
in termini non solo quantitativi,
ma anche qualitativi, e con particolare riferimento agli obiettivi
di inclusione sociale di fasce più
deboli anche attraverso il supporto alle attività di Film e Media
Literacy che possono essere realizzate da cineteche, videoteche
clusa quella culturale - delle persone supera i confini dei sistemi
scolastici e tocca la società intera: una responsabilità diffusa.
In materia culturale, dunque,
il ruolo delle agenzie educative
rende indispensabile un costante dialogo tra MiBACT e MIUR.
Ma accanto a questo occorre
che tutti i luoghi della fruizione smettano di rappresentare il
punto d’arrivo della formazione
culturale e siano posti nella condizione e si impegnino ad essere uno degli snodi in cui essa si
determina.
Con particolare riferimento al
settore audiovisivo e cinematografico, va riaperto il capitolo degli interventi su cinema e
scuola centrando il focus sulla
digitalizzazione del patrimonio
cinematografico e audiovisivo e
sulla sua accessibilità a studenti,
docenti, pubblico delle generazioni future (piattaforme on line,
valorizzazione delle sale di prossimità, creazione di strumenti
pedagogici, anche su modello
francese e offrendo alla scuola italiana (per tutti i gradi e gli
ordini di scolarità, in particolare
per la scuola elementare) un piano per la diffusione del cinema,
per lo sviluppo di competenze di
base e per la creazione di nuovo
pubblico che tenga conto delle opportunità della programmazione 2014-2020 e di altre
esperienze virtuose in ambito
europeo per la digitalizzazione
del patrimonio cinematografico
da mettere a disposizione delle
scuole, delle università e dei centri di formazione.
* Presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo.
17
SCENARI // Cinema e bambini
UN METRO,
UN METRO E MEZZO,
NON DI PIÙ
di Nicole Bianchi
Perché non facciamo film per bambini in Italia? Cosa comporta - creativamente, commercialmente,
socialmente - questa mancanza? Lo abbiamo chiesto a cinque creatori di storie e a una psicologa.
“DA QUESTA INTERVISTA
POTREBBE NASCERE
UNA NUOVA IDEA”
IVAN
COTRONEO
SCENEGGIATORE
In Italia, oggi, non viene chiesto
agli sceneggiatori di scrivere
storie per bambini?
Io ho scritto un adattamento di
Pinocchio per la tv, ma non mi
è mai capitato di scrivere storie
per bambini per il cinema. Però
mi piacerebbe pensarli come
primo pubblico, sia da un punto di vista cinematografico che
letterario. In effetti questa intervista potrebbe essere lo spunto
perché io proponga qualcosa.
Il mio prossimo film, Un bacio,
avrà per protagonisti tre adolescenti… magari mi ci avvicino
andando a ritroso…
La scriverei volentieri. Il mio primo film da regista, La Kryptonite
nella borsa, ha per protagonista
un bambino ed è ambientato
negli Anni ’70. Credo che mi
piacerebbe scrivere una storia
contemporanea che abbia però
un legame con il film che ho già
fatto: l’idea che i bambini hanno
un mondo fantastico da esplorare. Uno dei film per bambini che
mi piacciono di più è Where the
Wild Things Are di Spike Jonze:
la fantasia come scappatoia dai
problemi del quotidiano.
le Salvatores. Io non l’ho ancora
visto, ma già dal trailer credo
che andrà a posizionarsi in quel
vuoto di cui stiamo parlando.
Credo sia un film che ha come
pubblico di riferimento bambini
e adolescenti (anche se io personalmente a 46 anni non vedo
l’ora di vederlo).
Nuove tecnologie, natività digitale e modifica del pubblico
più piccolo.
I film per bambini che mi piacciono di più sono quelli che trovano un modo di confrontarsi
con il presente. Credo che la natività digitale abbia offerto (in alUn produttore italiano a cui la cuni casi imposto) un confronto
più veloce con una serie di temi.
Ha mai scritto pensando esclu- proporrebbe è…
sivamente per un pubblico di Indigo Film, i miei produttori Per esempio, la favola del brutto
che hanno appena prodotto anbambini? E in caso lo farebbe?
che Il ragazzo invisibile di Gabrie-
18
anatroccolo oggi dovrebbe raccontare il pericolo degli schemi
e un altro concetto di bellezza,
piuttosto che puntare sulla resa
dei conti sullo stesso piano.
Il suo film dell’infanzia è…
Devo dire che nell’infanzia io ho
visto molti film che mi hanno formato e non erano indirizzati a un
pubblico prettamente infantile.
Fra quelli per l’infanzia direi La
guerra dei bottoni, visto in tv, e Kid
il monello del West, visto al cinema. I ragazzi della via Pal è stato
il mio romanzo da bambino.
SCENARI // Cinema e bambini
“NEGLI ALTRI PAESI
LA GENTE È CONTENTA
DI SOSTENERE UNO SFORZO
CREATIVO FATTO IN CASA”
IGINIO
STRAFFI
PRODUTTORE
Perché in Italia, oggi, solo lei scrive e produce film per bambini?
Direi che i dati della ricerca europea, da cui prende spunto
questo vostro approfondimento,
confermano una doppia criticità:
una culturale e una industriale.
Quella culturale deriva dalla tradizionale esterofilia del nostro
pubblico. Non c’è un orgoglio
nazionale verso quelle produzioni che si distaccano dal solco
classico della commedia all’italiana, il pubblico non premia i
prodotti italiani di animazione
con la stessa partecipazione
che riscontriamo negli altri Paesi, dove la gente è contenta di
sostenere uno sforzo creativo
fatto in casa. In Italia piuttosto
ci si accontenta di subire la colonizzazione delle grandi major,
che a volte è giustificata, dato
che parliamo di capolavori, ma a
volte no, visto che gli stessi film
in altri Paesi sono ampiamente
superati dalle nostre produzioni.
La criticità industriale dipende
dal fatto che in altri Paesi europei questo settore è fortemente
sostenuto finanziariamente dagli stessi Stati, perché si riconosce all’intrattenimento per i più
piccoli un forte valore formativo
dell’identità culturale e valoriale
di un Paese.
‘Solo’ Rainbow ‘salva’ l’Italia:
come ci percepiscono gli altri
Paesi?
I nostri studi che lavorano per
le serie tv e per il cinema sono
considerati interlocutori, sullo
stesso piano dei grandi protagonisti del mondo dell’animazione,
diversamente non avremmo potuto vendere in tutto il mondo.
Sempre più spesso i produttori
internazionali ci chiedono di collaborare per nuovi progetti. Questo significa che in Italia ci sono
tutte le opportunità per avere
un’industria dell’animazione al
pari di altri Paesi importanti.
Rainbow ha mai pensato di produrre film non in animazione?
Che film produrrebbe?
Già la serie Mia and Me prevede il ricorso ad attori in carne ed
lizzare non cambieranno questa
meravigliosa epoca magica della
vita, l’infanzia. Ma soprattutto
c’è qualcosa che nessuna invenzione tecnologica potrà mai
battere: la fantasia! È questo il pc
che nessuno potrà mai copiare
Chi è un produttore italiano o programmare al posto nostro!
- provi a fare un nome - che
potrebbe avere la sensibilità di Qual è il film della sua infanzia?
mettere in cantiere un film per E, provocatoriamente, ma non
bambini? Co-produrrebbe un troppo, perché un bambino di
oggi non deve poterne avere
film ‘live’?
Di solito non facciamo co-produ- uno italiano?
zioni con italiani, ma occasional- Il mondo Disney certamente, ma
mente collaboriamo con grandi anche tanti fumetti. Per il resto
produttori internazionali. Tra gli direi che, dopo 10 anni, possiaitaliani apprezzo molto Riccardo mo tranquillamente dire che i
Tozzi di Cattleya, che è un pro- bambini hanno avuto il loro film
duttore molto preparato, oppu- dell’infanzia in italiano, un monre la Indigo Film che, dai film do tutto magico, avventuroso e
che produce, potrebbe avere la positivo: il mondo Winx.
sensibilità giusta.
ossa che interagiscono con i cartoni. Da tempo stiamo lavorando per realizzare un grande progetto per l’universo Winx. Sì, un
film delle Winx con attrici vere!
Nuove tecnologie, natività digitale e modifica del pubblico:
come valuta queste tematiche
rispetto all’esposizione dei bambini ai contenuti audiovisivi?
I bambini sono sempre bambini
e gli strumenti che possono uti-
19
SCENARI // Cinema e bambini
“BRACCIALETTI ROSSI:
I PICCOLI CHE FANNO
LA CHEMIO ADESSO
SONO CONSIDERATI EROI”
GIACOMO
CAMPIOTTI
REGISTA
Lei è uno dei pochi che ha scritto e diretto, con continuità, per
un ‘piccolo’ pubblico: da Corsa
di primavera a Bianca come il
latte, rossa come il sangue, e
Braccialetti rossi per la tv.
Anche Come due coccodrilli ha
avuto una vita lunghissima nelle scuole, tutt’ora mi chiamano
a presentarlo. Poi c’è Non è mai
troppo tardi, per la tv, sul maestro Manzi: è stato ripreso dall’Agiscuola, e ho saputo di ragazzi
che fuori dalle scuole ne hanno
parlato, dicendo che sarebbe
bello avere ‘un maestro così’. Per
me è un cinema fondamentale
perché è un’età che adoro, anche per i miei ricordi personali:
se ho una certa creatività la devo
proprio a quel periodo: vivo di
rendita di quegli anni. Potenzialmente il pubblico italiano a cui
rivolgersi, quello che riempie le
sale per guardare le grandi produzioni fantasy americane, ci sarebbe: per essere competitivi bisognerebbe fare film con budget
che consentissero una maggiore
spettacolarità di visione, oltre
ad avere un pubblico ‘educato’,
come nei Paesi del Nord Europa, a guardare non solo i grandi
‘giocattoloni’. È necessario fare
un minimo di progetto culturale,
20
senza accezione punitiva, anzi.
In controtendenza è Braccialetti rossi, capace di abbassare la
media anagrafica del pubblico di
Rai Uno di una percentuale notevole: i bambini sono più aperti,
hanno meno giudizio, e hanno
costretto i genitori e la scuola a
parlare della malattia, della morte, della diversità. Tantissimi insegnanti ci hanno testimoniato che
il lunedì mattina spesso è stato
dedicato a parlare di Braccialetti rossi, ‘costringendo’ un po’ la
scuola e la famiglia a riprendere
il proprio ruolo. Ho un dato certo, e cioè che da dopo la messa
in onda sono aumentate le visite
agli ospedali, e i piccoli che fanno
la chemio, che prima a volte si
vergognavano, adesso sono considerati eroi, messaggio recepito
e diffuso da bambini e ragazzini.
Quello che cerco di fare è raccontare guardando anche ‘da un metro e mezzo di statura’.
Dirige bambini per raccontare
ai bambini, questo comporta
lavorare sul set con un essere
umano ancora in piena fase di
costruzione di sé.
Si tratta di rispetto e non sfruttamento. Riferendomi ancora a
Braccialetti rossi, ho preteso e
ottenuto dalla produzione una
protezione enorme per loro,
considerando il lungo tempo
di riprese e i temi forti del racconto: i miei ‘piccoli’ attori sono
arrivati prima dell’inizio riprese,
abbiamo ‘fondato’ un gruppo,
formato da loro, me e dalle due
persone che dentro e fuori dal
set li seguono; si fa colazione
insieme, ci si sveglia insieme,
una volta alla settimana si è fatto il fuoco, intorno a cui ognuno
racconta il procedere delle cose,
con piccoli ‘riti’ per cui, per esempio, si bruciano i bigliettini su cui
si scrivono le cose brutte; con
uno psicoterapeuta si fanno ‘giochi’ mensili per risolvere eventuali problemi. Adesso hanno avuto
successo, ma se continueranno
a fare gli attori sarà difficile che
possano avere la botta di popolarità ricevuta: ogni volta che
c’è stato un bagno di folla, li ho
sempre portati, il giorno prima o
dopo, in un ospedale pediatrico.
In fase di pre-produzione vedo
davvero tantissimi possibili interpreti e poi, una volta sul set, pur
nel rispetto della sceneggiatura,
quasi dimentico il personaggio
scritto, che invece diventa il ragazzo in carne e ossa che ho
davanti, mettendomi io al suo
servizio, infatti la sceneggiatura
cambia moltissimo in fase di riprese: stimolo molto a tirar fuori
la loro verità, senza snaturarli, ‘mi
faccio portare io’ da loro.
Piccolo è chi recita, ma anche
chi guarda, il pubblico.
Ogni volta che faccio un film
lo dedico mentalmente ai miei
genitori, a mia moglie, ai miei
figli: mi immagino sempre uno
spettatore che io amo e rispetto.
C’è un amore e un culto della
bruttezza, nella visione, che è
agghiacciante: anche i film considerati ‘belli’ sono cinici, perdenti, senza archetipo, penso
per esempio anche agli animali
di Madagascar. Sono spesso
film fatti da adulti per adulti, film
‘travestiti’ da bambini, ma senza
il rispetto dei bambini.
Il suo film dell’infanzia è…
La prima volta, da bambino,
sono andato al cinema forse con
mia nonna e ricordo Lassù qualcuno vi ama, con Paul Newman.
Ricordo poi la serie televisiva
Belle e Sébastiene, in bianco e
nero, stupenda.
SCENARI // Cinema e bambini
“L’INTERESSE PER L’INFANZIA
DA NOI È SUPERFICIALE
(O COMMERCIALE)”
ROBERTO
PIUMINI
AUTORE DI LETTERATURA
PER BAMBINI
Qual è lo stato di salute della
letteratura per bambini in Italia?
Pur non essendo esperto del
campo - scrivo libri, ma non
seguo gli aspetti statistici della
letteratura infantile - sento dire
che è un settore in buono stato, assai migliore di quello della
letteratura per adulti. Ci sono
molte proposte e molte iniziative, molte case editrici di gusto
e cultura. A fronte di ciò, la cultura ‘istituzionale’ (giornalismo,
media, pratica politica) ha poca
attenzione, conoscenza e iniziativa. È più facile trovarne nel settore privato.
interesse per l’infanzia solo superficiale (o commerciale) e non
maturo, come in altre realtà.
Che ricaduta può avere questa
assenza di storie per i nostri
bambini, che saranno i futuri
adulti di questo Paese?
La povertà di ‘immaginario filmico nostrano’ va messa insieme alla povertà generale della
proposta dei media, televisione
in primis - pochissimi, negli
ultimi decenni, i programmi
pensati nel rispetto educativo
e psicologico dei bambini - e al
suo rimasticamento continuo di
Perché le produzioni cinemato- modelli importati.
grafiche italiane non producono
Dal suo Il cuoco prigioniero è
cinema per bambini?
Mancano tradizione, interesse e stato tratto Le avventure di Totò
cultura, il che corrisponde a un Sapore (2003): la creatività di
Lele Luzzati per il Pulcinella, im-
portanti voci partenopee, da Bennato a Merola e Arena. Perché è
rimasto un’eccezione, non ha stimolato qualche altra importante
produzione per bambini?
Non è stato un successo, e tanto meno un’eccellenza. Dal mio
punto di vista, anche per colpa
mia, che non badai alle condizioni linguistiche e narrative del
film: Totò Sapore è una storia filmica greve e sovreccitata, molto
sviata rispetto alla mia proposta
narrativa e poetica.
pigrizia culturale dei produttori,
più che a conoscenza e cura della dinamica affettiva e psicologica dei bambini.
Qual è il film della sua infanzia?
E, provocatoriamente, ma non
troppo, perché un bambino di
oggi non deve poterne avere
uno italiano?
Il mio film mitico è, ahimé, anglosassone: Un uomo tranquillo (per
le risate, invece, Il corsaro dell’isola verde). Mi associo alla sua provocazione: ho almeno una ventina di storie che sarebbero ottime
Nuove tecnologie, natività di- trame cinematografiche, ma ne è
gitale, modifica del pubblico: stata trattata solo una e nel modo
come valuta la ‘scusa’ secon- che ho detto prima.
do cui i bambini di oggi sono
‘aspirazionali’?
La riposta è già suggerita dalla
domanda, che parla di ‘scusa’.
In ogni caso, il brusco passaggio
di temi e linguaggi è dovuto alla
21
SCENARI // Cinema e bambini
“NON HO MAI SMESSO
DI ESSERE UN BAMBINO
E DI SOGNARE”
ARMANDO
TRAVERSO
AUTORE TV
Lei ha una lunga storia professionale - tv, teatro, radio, letteratura - legata al mondo dei
bambini: cosa è cambiato per
penalizzare così la produzione
recente dei contenuti?
In Italia non si è mai sviluppata
una proposta culturale omogenea
per l’infanzia, in cui il bambino sia
considerato un fruitore ‘di valore’,
piuttosto che un semplice consumatore di prodotti. Chi si occupa
di cultura per bambini è solitamente guardato con sufficienza.
Insegnanti, bibliotecari, autori,
editori sono persone sensibili ed
intelligenti, costrette ad operare
singolarmente, senza il sostegno
di un progetto nazionale.
Il suo parere rispetto alla carenza di creazione in ambito strettamente cinematografico.
Quanto detto precedentemente purtroppo si riflette anche nel
campo dei prodotti audiovisivi. Se
consideriamo la produzione cinematografica americana, che è la
più importante per costi e utenza,
notiamo che tra i film a maggiore
budget ci sono soprattutto quelli
dedicati a bambini e famiglie.
I successi della Disney, della
Dreamworks, e delle altre major,
22
confermano l’interesse per un
pubblico di cui il bambino è il
destinatario finale e il traino per
l’intera famiglia. Questo è stato
possibile grazie alla creazione di
una vera e propria industria di
contenuti dedicata all’infanzia,
che nel nostro Paese non si è
mai sviluppata.
Ha mai scritto una sceneggiatura cinematografica pensandola espressamente ed esclusivamente per un pubblico di
bambini?
Sì, ho scritto una sceneggiatura
per un film dedicato ai bambini,
commissionata da Lanterna Magica, che realizzò La Freccia Azzurra e La Gabbianella e il Gatto.
Purtroppo il progetto non si è
mai concretizzato per la mancanza di partner stranieri. Uno
dei grandi problemi è che il cinema necessita di grandi risorse e
di co-produzioni internazionali.
Ciò dimostra, ancora una volta,
che se non si crea a livello nazionale un sistema che supporta
l’industria del prodotto, l’iniziativa è lasciata al singolo produttore che da solo non è in grado di
sostenere l’onere dell’impresa.
Chi sarebbe, oggi in Italia, un
buon autore - di letteratura, di
cinema… - per un film per bambini? E suggerirebbe di ricorrere
all’animazione, oppure alle riprese ‘dal vero’?
Di autori bravi ce ne sono moltissimi, come di scrittori di libri per
l’infanzia. Un altro ambito di autori straordinari è quello del mondo
dei comics. Sono settori tuttora
in crescita, che devono poter dialogare in modo sistematico con il
mondo degli audiovisivi. Non mi
limiterei ad un mezzo espressivo:
animazione o live-action, in Italia
abbiamo professionalità eccellenti, dobbiamo dar loro modo di
produrre al meglio.
care di essere, per quanto possibile, sempre con loro, perché
crea una base solida, un ‘ponte’
su cui attraversare il passaggio
dal cartoon della prima infanzia
alle serie tv per teenager.
Il suo film dell’infanzia è…
Non ho mai smesso di essere
bambino e di sognare. A questa
domanda potrei rispondere con
un film che è nelle sale in questi
giorni, oppure sarei costretto a
compilare un elenco interminabile che mescolerebbe generi e
periodi. Sono affascinato dalle
persone che mi comunicano con
passione qualcosa di straordinario o quello che gli è appena successo al mercato, ne immagino
subito lo sviluppo di una storia
che possa incantare bambini e
Nuove tecnologie, natività di- genitori, insieme. Credo nel vagitale e modifica del pubblico lore del racconto, come trasmissione di esperienza e di valori.
più piccolo.
Non sono uno psicologo, ma
credo che molto dipenda da
come accompagniamo i bambini nella crescita. Il concetto in cui
credo moltissimo, che è stato il
cardine della mia esperienza lavorativa, è la ‘condivisione’ delle
esperienze tra bambini e genitori. Non possiamo abbondonare i
nostri bambini di fronte al televisore o a un tablet, dobbiamo cer-
SCENARI // Cinema e bambini
“LA PRIMA SALA BUIA
È IL VENTRE MATERNO”
ELISA
DIQUATTRO
PSICOLOGA*
Illustrazione Accendimi i sogni di Olga Barbieri​
Il dato europeo dice che il cinema italiano, non generando
sogni, non sta esercitando un
compito sociale e formativo per
le nuove generazioni.
Il cinema italiano, così come la
tv per ragazzi, hanno la grossa
responsabilità di agire sull’immaginario collettivo. Coltivare dei
sogni è un diritto di ogni persona
e quindi di ogni bambino che è
già ‘persona’ sin da quando viene
messo al mondo. Se non si coltivano i sogni non si ha progresso,
né personale né sociale. Una corresponsabilità va data ai genitori,
che spesso delegano le scelte e i
sogni ai media e alla pubblicità.
Ecco perché il cinema italiano
oggi potrebbe essere ancor più
importante di ieri.
L’importanza dell’educazione audiovisiva e la ricaduta sull’equilibrio psicologico, di relazione, ludico, onirico del bambino.
Diversi studi dimostrano che il
bambino ha un’attività onirica
intra-uterina, ha già visto i suoi
film ‘auto prodotti’ in quella piccola sala cinema buia e calda del
ventre materno. I bambini, già
in epoche molto precoci, sono
bombardati da colori e suoni,
che spesso hanno frequenze
tiamo bambini… Il racconto parla al nostro ‘bambino interiore’, tano prima. È più facile che un
ci dà la possibilità di ricontattare genitore rinunci a un acquisto
personale che a uno per i propri
non adeguate alle loro percezio- la parte più profonda di noi.
figli, soprattutto se non riesce a
ni sensoriali e fisiologiche: non
hanno ‘filtri’ e non attivano rie- La povertà di un patrimonio trascorrere con loro il tempo dolaborazioni emotive e cognitive audiovisivo nazionale può ri- vuto. Il genitore che invece non
che possono schermare. Inoltre, cadere sulla formazione e sulla condivide questo tipo di pressiola finzione e la realtà non hanno psicologia dei bambini, futuri ne ‘deve’ intraprendere una lotta
quotidiana fatta di dialogo. La
dei confini delineati, ‘viaggiano’ adulti di questo Paese?
nel bene e nel male, raggiungen- Credo che il cinema italiano oggi domanda è: quanto riusciamo
do tout court la loro parte più rispecchi l’instabilità del Paese: noi genitori a sostenere la fruprofonda. Quindi, stiamo atten- non s’investe sulla formazione strazione di rappresentare una
ti da subito agli stimoli a cui li e sull’educazione, sul recupero voce fuori dal coro?
esponiamo, dedichiamoci al delle tradizioni, del nostro patriracconto, alla visione di ‘buone’ monio culturale, obiettivi, tutti, Il suo film dell’infanzia è…
storie, veicoliamo il contatto con che danno risultati a lungo ter- Sicuramente Pinocchio, una stole emozioni per riconoscerle e mine e sui quali nell’immediato ria tutta italiana, che ha delle
creare un bagaglio consapevole ‘non conviene’ investire. I Paesi simbologie molto forti, che già
che li farà essere poi dei ‘buo- d’Europa più ‘maturi’, invece, da piccola mi toccavano: la buni’ adulti. Conteniamoli mentre scommettono anche sul cinema gia, la trasgressione, l’inganno,
contattano le loro emozioni, per bambini, che diventa veico- la bontà, la legge, il paese dei
anche quelle più spiacevoli, così lo e strumento per la creazione balocchi. Gli sguardi di Nino
quando la vita reale gliele porrà dell’appartenenza culturale e Manfredi nel suo Geppetto, ancora oggi mi commuovono...
davanti, senza titoli di coda, il dell’identità collettiva.
perché parlano al mio bambino
loro inconscio sarà più sereno e
Nuove tecnologie, natività di- interiore.
i loro sogni più tranquilli.
gitale e modifica del pubblico
Il cinema può essere un‘ponte’ più piccolo.
Si parla di una preadolescenza
tra figli e genitori?
Sicuramente sì. Un buon film è precoce e credo che ci sia. Il di- * psicologa-formatrice, esperta in
un ottimo strumento per ‘dire’ scorso è più ampio. I bambini terapie vibrazionali, si occupa di
ciò che a parole sarebbe diffici- vengono visti, prima di tutto, percorsi di consapevolezza psicole. Da spettatori ci poniamo tutti come dei consumatori e agen- corporea.
sullo stesso piano per quanto do su questo aspetto lo diven- Fondatrice di FormaMente Soc.Coop
www.formamente.rg.it
riguarda età estrazione sociale,
identità di genere,... Qualcuno ci
racconta una storia e tutti diven-
23
SCENARI // Cinema e bambini
Fabia Bettini, Gianluca Giannelli, in base a quali criteri scegliete i film destinati al pubblico di
bambini di Alice nella città?
Ci colpiscono le storie che riescono a scambiare il dettaglio con
il tutto e che creano quella sospensione di incredulità propria
dell’infanzia, quella che dovremmo avere noi adulti quando ci
concediamo di essere spettatori
o lettori di libri, con le emozioni
positive e negative che tutto ciò
comporta. I film che catturano
l’attenzione dei bambini sono,
da sempre, legati alla capacità
di immaginare mondi in cui poter stabilire una relazione viva,
in un corpo a corpo con gli altri,
con le cose e con la natura che
sempre ci circonda.
L
’
Da quali festival internazionali
di cinema per bambini e ragazzi
attingete titoli da portare ad Alice nella città?
Generation e 14 Plus
di Berlino rimangono
per noi un punto di
riferimento costante e a cui dobbiamo molto. In questi ultimi anni
di ricerca ci stiamo affacciando
verso i mercati di coproduzione
dove spesso troviamo giovani
autori pronti a confrontarsi con tematiche legate all’infanzia e all’adolescenza. Poi ci sono mercati a
cui è impossibile non riferirsi per
vedere e selezionare progetti non
necessariamente dedicati ad un
pubblico giovane. Questo è sempre stato lo sforzo più grande: cercare di uscire dall’idea di genere
che spesso soffoca la circolazione
di progetti che invece meriterebbero un pubblico più ampio.
C’è molta produzione europea
di film per la fascia d’età che
va dai più piccoli ai 13 anni?
L’Europa esprime ancora una
vitalità sorprendente per i film
legati all’adolescenza, mentre
l’infanzia rappresenta un buco
narrativo spesso colmato dai
film d’animazione. Ma crediamo
che nei Paesi un tempo ‘terzi’ nascano le storie più interessanti e
che irrompono con
forza nelle selezioni di molti festival.
I N F A N Z I A ,
U N
V U O T O
N A R R A T I V O
C O L M A T O
D A I
F I L M
D ’ A N I M A Z I O N E
di Stefano Stefanutto Rosa
24
SCENARI // Cinema e bambini
C’è un Paese europeo che spicca più degli altri?
Spesso il Belgio, in cui troviamo
le storie più coraggiose.
Questo credo sia dovuto alla politica culturale e al lavoro di Flanders Image e Web Image.
Secondo un rapporto dell’Osservatorio europeo dell’audiovisivo,
l’Italia è il fanalino di coda di questa produzione. Quali i motivi?
Perché da noi si è persa la cultura infantile. Alla maggior parte dei bambini non è concesso
il diritto di riconoscere la qualità
dei loro pensieri e rendersi conto
della loro profondità. Un pensiero
che non trova ascolto difficilmente
prende forma e respiro. Il cinema
dovrà affilare lo sguardo come
un coltello, per affrontare una
Non serve un osservatorio particolare quanto il nostro per
accorgersi che siamo di fronte
ad un vero e proprio cambio di
personalità, un mutamento radicale del giovane pubblico che
in soli dieci anni è stato capace
d’influenzare il mercato ed aggiornare i modi di fruizione dei
contenuti, azzerando la distanza
tra narrazione per il piccolo e per
il grande schermo.
I figli della nuova generazione
in questo cambiamento ci sono
cresciuti dentro ed in questa
opportunità stanno costruendo
mondi, imparando a realizzare
il proprio romanzo di formazione altrove, su altri supporti,
un pezzo alla volta, mettendo
in moto un’originale e radicale
trasformazione del gusto e dei
C’è un film di Alice nella città 2014
che vi ha colpito e tuttavia non
sarà distribuito nelle sale italiane?
Se penso ai bambini, Song of
the Sea diretto da Tomm Moore è il film d’animazione che in
una proiezione super affollata
ha commosso tutto il pubblico.
Ma è nelle parole del pedagogo
e scrittore Janusz Korczak, raccolte nella presentazione del
documentario Elementare del
regista e maestro elementare
Franco Lorenzoni, che è racchiusa la materia vivente che
dà forma e sostanza al nostro lavoro: “È faticoso ascoltare le parole dei bambini.
Avete ragione. Poi aggiungete:
perché bisogna mettersi al loro
livello, abbassarsi, inclinarsi,
farsi piccoli. Ora avete torto.
“È faticoso ascoltare le parole dei bambini.
Avete ragione. Poi aggiungete: perché bisogna mettersi
al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, farsi piccoli.
Ora avete torto. Non è questo che più stanca - affermava
il pedagogo e scrittore Janusz Korczak - È piuttosto
il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all’altezza
dei loro sentimenti. Tirarsi, allungarsi, alzarsi
sulla punta dei piedi, per non ferirli”.
Intervista a Fabia Bettini e Gianluca Giannelli
fondatori e direttori artistici di Alice nella città
battaglia civile in quella che può
essere considerata la guerra alla
sistematicità con cui sono state
eliminate le prospettive di futuro
per un cinema nuovo.
Quanti titoli italiani per questa
fascia ci sono stati nella programmazione di Alice 2014?
Un solo titolo, fuori concorso,
Mio papà di Giulio Base.
Quanti di questi film, presentati
ad Alice nella città, arrivano in
sala o in tv?
Per questa fascia d’età nessuno.
Solo Trash che era in concorso e
gli eventi speciali hanno una distribuzione italiana.
Che cosa si potrebbe fare per incentivare la loro distribuzione?
modi di partecipare al cambiamento della società. Insistere
solo nel creare circuiti protetti
o concedere spazi omeopatici nelle programmazioni delle
grandi sale nazionali, credo
non sarà sufficiente per raccogliere la sfida che ci aspetta.
Dunque dovremo ripartire dalla
formazione del pubblico nuovo che ha bisogno di essere
accompagnato in luoghi in cui
non è mai stato, mettendo in
atto un’impresa corale in cui
coinvolgere tutte quelle realtà
che il cinema lo insegnano, lo
conservano, lo producono e lo
promuovono, investendo con
coraggio su storie per un pubblico che non c’è, esercitando
quella che un tempo veniva
chiamata, ispirazione.
Non è questo che più stanca.
È piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla
punta dei piedi, per non ferirli”.
Quale film consiglierebbe a un
bambino/ragazzino?
Dopo la masterclass tenuta al festival dal regista Stephen Daldry,
abbiamo voluto rivedere Billy
Elliot. Un film senza tempo, un
racconto di formazione che appena uscito era già un classico.
Qual è la mission di Alice nella città rispetto a questa fascia
d’età?
Restituire lo spazio e la giusta fiducia ad uno sguardo bambino,
partendo dalla scuola.
25
SCENARI // Cinema e bambini
Intervista a Claudio Gubitosi
fondatore e CEO di Giffoni Experience
Dobbiamo parlare
Film per bambini, una categoria
che non dovrebbe esistere
invece di film che
sappiano avvicinare
con storie vere, giuste,
moderne, i ragazzi alla
gestione della propria
di s.s.r.
vita, a capirne
le bellezze ma anche
le difficoltà.
Germania, Olanda,
Gubitosi, in base a quali criteri
sceglie i film per le tre sezioni
Elements +3/ +6/ +10/ del Giffoni Experience o per le anteprime destinate a questa fascia
d’età?
La cosa più importante è cercare di immedesimarsi il più possibile nei gusti dei più piccoli. Far coincidere i tuoi occhi con
quelli del tuo ‘pubblico’ è un
processo che si impara edizione dopo edizione: condividendo
le proiezioni con questi ragazzi in sala, discutendone dopo,
ascoltando le loro riflessioni, i
loro punti di vista, intercettando le loro traiettorie emotive.
Vuol dire non imporre loro il tuo
concetto di ‘film per ragazzi’,
ma sintonizzarsi sul loro ‘linguaggio’ e fare la tua proposta.
Quanto alle anteprime da qualche anno più che scegliere veniamo scelti dalle distribuzioni
italiane e dalle grandi major internazionali. Questo, naturalmente,
dipende dalla qualità dell’offerta
culturale e dal brand di Giffoni
che è conosciuto e apprezzato in
ogni parte del mondo. Inoltre,
i circa 4mila ragazzi che compongono le giurie e mediamente provengono da 50 nazioni
sono un ulteriore stimolo alle
major per scegliere Giffoni.
26
Norvegia e Danimarca
Da quali festival internazionali
di cinema per bambini e ragazzi attingete i titoli da portare al
Giffoni Experience?
Abbiamo rapporti con decine
di eventi culturali del mondo,
produciamo noi stessi eventi
all’estero con il format Giffoni e
riceviamo in anticipo numerosi
titoli che si candidano a far parte
delle selezioni. Più che ai festival
il mio team si rivolge a mercati
come Berlino, Cannes e Toronto.
Lavorando su un prodotto di nicchia non si pretende di proporre
esclusivamente anteprime assolute e, se un film è molto bello,
perché impedire ai ragazzi di vederlo solo perché ha partecipato
ad un altro evento? Evitiamo soltanto di proporre film che sono
stati già promossi in altri festival
italiani e che sono già noti al
pubblico nazionale.
C’è un Paese europeo che spicca più degli altri?
Germania, Olanda, Norvegia e
Danimarca sono i Paesi con una
produzione più interessante per
numeri e qualità. Parliamo di
film che nei loro rispettivi Paesi
hanno una buona distribuzione
e che vengono venduti in diversi
Paesi europei come testimoniato dal rapporto dell’Osservatorio Europeo. Nelle sezioni Elements +6 e Elements +10 sono
queste, non a caso, le nazioni
che continuano a portare a casa
C’è molta produzione europea il Grifone, il primo premio di
di film per la fascia d’età che va Giffoni Experience.
dai più piccoli ai 13 anni?
Mediamente il 60/70% delle Secondo un rapporto dell’Osnostre proposte sono di origine servatorio europeo dell’audiovieuropea. Tra tutti i titoli europei sivo l’Italia è il fanalino di coda
il 30% sono destinati alla macro- di questa produzione. Perché?
area Elements (+3, +6, +10), un Non so se possiamo classificare
altro 30% a Generator (+13, +16, l’Italia come fanalino di coda da
+18) e il 40% tagli over 20.
valutazioni e metodologie che
sono i Paesi
con una produzione
più interessante
per numeri e qualità.
SCENARI // Cinema e bambini
ritengo discutibili. A mio parere
il cinema per ragazzi non esiste
e non dovrebbe assolutamente
esistere. Dobbiamo parlare invece di film che sappiano avvicinare con storie vere, giuste, moderne, i bambini e i ragazzi alla
gestione della propria vita, a capirne le bellezze ma anche le difficoltà. L’Italia ha autori eccellenti
che hanno attraversato più volte
con le loro opere questo bellissimo e tormentato periodo della vita. Non abbiamo una linea
produttiva costante. Tanti anni fa
per legge si dovevano produrre
film per ragazzi in Italia, proprio
con l’Istituto Luce. Posso confermare che non abbiamo espresso
capolavori e molti non sono mai
entrati in una sala. Molto di quello che non fa il cinema, come
vedete in Italia, viene sopperito
dalla tv e soprattutto dalle fiction
e dai seriali. Ma c’è e ci sarà
sempre una stagione italiana.
Bisogna però rivedere il concetto
di distribuzione. Solo sala? Web?
Streaming? Piattaforme digitali?
Applicazioni per mobile? Ci stiamo lavorando.
C’è un film di Giffoni Experience 2014 che l’ha colpita e
tuttavia non ha distribuzione
italiana?
Ci si affeziona ai temi che più
contribuiscono a una migliore
integrazione e conoscenza del
mondo dei ragazzi. È il caso
quest’anno del film olandese
Boys (sezione Generator+13) che
tratta dell’amore fra due ragazzi
adolescenti, con delicatezza e
straordinaria partecipazione.
Quanti titoli italiani per questa
fascia ha programmato Giffoni
Experience 2014?
Ci farebbe piacere, e tanto, poter
presentare giovani autori italiani
anche alle prese con la loro prima opera. Ma noi siamo molto
rigorosi e selettivi e quando ci
sono capitati, abbiamo sempre tenuto conto della qualità e
dell’impatto sui ragazzi anche in
ragione delle altre opere internazionali proposte.
Quale film consiglierebbe a un
bambino/ragazzino?
Quanti di questi film, presentati Oggi non puoi consigliare quela Giffoni Experience, arrivano in lo che a me è piaciuto: età, mosala o in tv?
menti, contesti diversi. Ai bamAnche qui fare le statistiche è bini consiglierei solo di essere
sbagliato. Siamo molto soddi- curiosi. Vedendo tanto, diventasfatti perché tanti titoli di Giffoni no selettivi. E lì si intravede l’ahanno l’opportunità di arrivare dulto che sarà.
in sala o in tv, soprattutto sulle
reti Mediaset (Canale 5 in parti- Qual è la mission di Giffoni
colare) da 15 anni, e per 2 mesi Experience rispetto a questa faall’anno. Del resto circa 1/4 della scia d’età?
programmazione di film per ra- È una domanda superata dalla
gazzi in tv, al momento, provie- storia stessa dell’idea di Giffoni,
ne dalla nostra selezione o dalla che nel 2009 cancella dal suo
short list dei titoli non selezionati. corpo la dicitura ‘Festival’ sostiCon l’aumento poi dei canali sa- tuendola con ‘Experience’ e nel
tellitari e tematici, le possibilità si 2015 diventerà ‘Opportuniy’. Gifsono ulteriormente ampliate.
foni per i ragazzi non è solo un
luogo fisico ma è una ‘persona o
Che cosa si potrebbe fare per in- amico’ di cui fidarsi. Diventati i
centivare la loro distribuzione? più social al mondo ci preoccuDa anni, con le nostre giornate piamo di condividere con la nodedicate alle scuole, aiutiamo la stra community persino tutte le
distribuzione cercando di porta- scelte organizzative.
re il pubblico in sala attraverso
eventi mirati. Ma contiamo su
30/40mila ragazzi, non oltre.
Sosteniamo i film nei progetti di
Giffoni in diverse regioni d’Italia.
Promuoviamo i nostri film anche in tantissimi progetti direttamente gestiti da noi o indirettamente in varie parti del mondo.
27
UN POCO DI ZUCCHERO
& SODA PER PETER PAN
E L'ALIENO
di Chiara Gelato
10 GIORNALISTI DI SETTORE INDICANO, IN 5 TITOLI,
I FILM PIU BELLI DI SEMPRE PER IL PUBBLICO DEI PICCOLI.
01
02
03
04
VALERIO CAPRARA
Le avventure di Peter Pan di Hamilton Luske, Clyde Geronimi, Wilfred
Jackson, Jack Kinney
PAOLA CASELLA
Alla ricerca di Nemo
di Andrew Stanton, Lee Unkrich
OSCAR COSULICH
Le avventure di Peter Pan di Hamilton Luske, Clyde Geronimi, Wilfred
Jackson, Jack Kinney
ALBERTO CRESPI
Le avventure di Peter Pan di Hamilton Luske, Clyde Geronimi, Wilfred
Jackson, Jack Kinney
Il monello di Charlie Chaplin
Le avventure di Pinocchio
di Luigi Comencini
La scala musicale
di James Parrott
L’incredibile avventura
di Fletcher Markle
Toy Story - Il mondo
dei giocattoli
di John Lasseter
Toy Story 2 - Woody e Buzz
alla riscossa
di John Lasseter, Lee Unkrich,
Ash Brannon
Toy Story 3 - La grande fuga
di Lee Unkrich
Mary Poppins
di Robert Stevenson
Coraline e la porta magica
di Henry Selick
Biancaneve e i sette nani
Hugo Cabret
di David Hand, Perce Pearce,
di Martin Scorsese
William Cottrell, Larry Morey,
Wilfred Jackson, Ben Sharpsteen
Toy Story 3 - La grande fuga
di Lee Unkrich
Cenerentola
di Clyde Geronimi, Wilfred
Wall-E
Jackson, Hamilton Luske
di Andrew Stanton
E.T. - L’extra-terrestre
di Steven Spielberg
La storia infinita
di Wolfgang Petersen
West and Soda di Bruno Bozzetto
28
Ponyo sulla scogliera
di Hayao Miyazaki
SCENARI // Cinema e bambini
05
06
SILVIO DANESE
La città incantata
di Hayao Miyazaki
OSCAR IARUSSI
Le avventure di Pinocchio
di Luigi Comencini
Ladri di biciclette di Vittorio De Sica
Il monello di Charlie Chaplin
Bambi
di David Hand, James Algar,
Samuel Armstrong, Graham
Heid, Bill Roberts, Paul
Satterfield, Norman Wright
Nightmare Before Christmas di Henry Selick
E.T. - L’extra-terrestre
di Steven Spielberg
Viaggio nella luna di Georges Méliès
Ponyo sulla scogliera
di Hayao Miyazaki
West and Soda di Bruno Bozzetto
07
08
MARIAROSA MANCUSO
Gli Aristogatti
di Wolfgang Reitherman
ROBERTO NEPOTI
L’era glaciale
di Chris Wedge,
Carlos Saldanha
Babe - Maialino coraggioso
di Chris Noonan
E.T. - L’extra-terrestre
di Steven Spielberg
Il Mago di Oz
di Victor Fleming, George
Cukor, Mervyn LeRoy,
Norman Taurog, King Vidor
Monsters & Co.
di Pete Docter, David
Silverman, Lee Unkrich
Mary Poppins
di Robert Stevenson
Il monello di Charlie Chaplin
Ponyo sulla scogliera
di Hayao Miyazaki
La storia fantastica
di Rob Reiner
09
10
CRISTIANA PATERNÒ
Azur e Asmar
di Michel Ocelot
MAURIZIO PORRO
E.T. - L’extra-terrestre
di Steven Spielberg
Il buio oltre la siepe
di Robert Mulligan
La carica dei 101
di Wolfgang Reitherman,
Hamilton Luske,
Clyde Geronimi
Fantasia
di Norman Ferguson, James
Algar, Samuel Armstrong,
Ford Beebe Jr., Jim Handley,
T. Hee, Wilfred Jackson,
Hamilton Luske, Bill Roberts,
Paul Satterfield, Ben Sharpsteen
Fantastic Mr. Fox
di Wes Anderson
La febbre dell’oro
di Charlie Chaplin
La gabbianella e il gatto
di Enzo D’Alò
Il palloncino bianco
di Jafar Panahi
Play Time - Tempo
di divertimento
di Jacques Tati
29
SCENARI // Cinema e bambini
Feste da grande schermo
di Valentina Neri
S
ono sempre più lontani i
tempi in cui per festeggiare i compleanni bastava
adibire il salotto di casa a stanza dei giochi per qualche ora. E
sempre di più sono quelli che
scelgono il cinema per spegnere le candeline. Specie tra i 6
e i 10 anni. Dal 2004 anche in
Italia gli esercenti organizzano
gli spettatori: c’è la possibilità
di prendere tutta una sala, il cinema può fornire la torta, ma il
numero di invitati minimo per
l’affitto della sala deve essere
tra i 25 e i 30. Numero minimo
di ospiti e biglietto base che
include film+popcorn & bibita
sono le prerogative di tutti gli
esercizi con spazi ad hoc per il
Sofia, ma anche animatori ex
Valtur e la possibilità di dare un
tema al party che si vuole organizzare. Inoltre si può proporre
il titolo da proiettare. Possibilità offerta anche dal Cinema
dei Piccoli di Roma. Il gestore,
Claudio Fiorenza, ha svelato che
tempo fa qualcuno ha voluto Il
Monello di Chaplin. Una scelta
più che sul bilancio della sala”,
come Santalucia, e chi lo vede
come un modo “per riempire
infrasettimanalmente una sala
al 50% e al tempo stesso vivacizzare la struttura” come Grispello, ma di sicuro, crisi o no,
è un trend ancora in crescita. E
salvaguarda i rapporti con i vicini di casa.
feste nelle loro sale, sollevando i
genitori dall’ordinare cibarie, tenere occupati gli ospiti e ripulire
a fine evento. Anno dopo anno
i cinema hanno affinato gamma
e qualità dei servizi in una continua implementazione, teoricamente, senza limiti. Al Multicinema Galleria di Bari gestito da
Francesco Santalucia, ad esempio, nel 2013 si è inaugurata una
nuova sala prevalentemente per
questi eventi. Con soli 56 posti
è il luogo deputato per eventi
privati, nato dalle richieste de-
taglio della torta o la proiezione
riservata. C’è anche chi, come
nei Cinema Ferrero di Roma (18
compleanni organizzati nel solo
mese di ottobre), può limitarsi
a prenotare i biglietti per spettacolo e snack, da ritirare entro
20 minuti dall’inizio del film. O
chi alle location particolari vuole
comunque aggiungere un tocco
in più. Nelle strutture che cura
Nicola Grispello, i Cinema di
Napoli, ci sono spazi all’aperto panoramici, come quello sul
Golfo di Pozzuoli del Multisala
controcorrente, come la struttura di Fiorenza che, sebbene dedicata al pubblico dei bambini,
“non è un festificio - come dice
il gestore - ma un cinema. Le feste non sono il nostro mestiere.
Ci battiamo per far rispettare la
dignità della sala. Dentro si vede
solo il film, tutto il resto avviene
fuori, in una cornice, Villa Borghese, che non teme confronti”.
Uno sforzo da parte dell’esercizio che sembra ripagato. C’è chi
ne fa una questione di “investimento sul pubblico del futuro
Organizzare
il compleanno
dei bambini in una
sala cinematografica
non è solo di moda
ma sta cambiando
anche spazi interni
e utilizzi delle strutture.
E può essere un
investimento sugli
spettatori del futuro.
30
COSA MI PIACE DEL CINEMA ITALIANO
GRAINNE
DIRETTRICE DEL DUBLIN
S
INTERNATIONAL
FILM FESTIVAL
i terrà dal 19 al 29 marzo
2015 la tredicesima edizione del Dublin International
Film Festival, affermatosi negli
anni come il più importante
evento cinematografico irlandese, che presenta oltre 100
titoli in anteprima in diverse
sale sparse per la capitale, oltre
che interviste pubbliche, workshop e masterclass. Da sempre
molto attento al cinema italiano, il
DIFF è diretto dal 2007 da Grainne Humphreys, che ha lavorato
nella programmazione per oltre
vent’anni contribuendo al successo, tra gli altri, dello Stranger Than
Fiction Documentary Festival e del
Dublin French Film Festival.
32
Il Dublin International Film Festival offre sempre molto spazio
al cinema italiano...
Mi piacciono la ricchezza e la diversità del cinema italiano attuale, i suoi molteplici generi e la capacità di sfruttare molte qualità
del cinema tradizionale: tecnica
e casting di alto livello si combinano con interessanti esperimenti narrativi e di racconto non
lineare. È un cinema potente,
politico, moderno, impegnato
rispetto alla società contemporanea. E accanto agli autori, propone anche commedie molto
popolari che attirano un ampio
pubblico e intrattengono spettatori in tutto il mondo.
di Michela Greco
COSA MI PIACE DEL CINEMA ITALIANO
HUMPHREYS,
Quali sono i criteri con cui il
DIFF seleziona i titoli italiani?
Non c’è un comitato di selezione, sono io a decidere tutto! Il
nostro è un festival per il pubblico e ogni anno cerco di creare una selezione di film che in
qualche modo includa il cinema
italiano contemporaneo, vedendo i lavori di nomi consacrati
così come di talenti emergenti.
Cerco titoli che provochino, intrattengano, sfidino ed educhino
il pubblico irlandese.
L’anno scorso avete proposto
Via Castellana Bandiera, Salvo
e Anni felici: tre tipi di cinema
molto diversi.
Molto, molto diversi. Ho cercato di mescolare i generi e gli
stili presenti nel festival. Salvo è
un thriller eccezionale che usa
la sua ambientazione specifica
per creare un effetto potente.
Via Castellana Bandiera è una
satira meravigliosamente intelligente, la cui stravagante logica
interna mi ha divertito e turbato
contemporaneamente. Anni felici conferma una volta di più il
piacere genuino di guardare un
melodramma ben fatto, che ti rimane dentro ben oltre la fine del
film. Tutti e tre avevano ottimi
cast e qualità tecniche eccezionali. A Dublino sono stati molto
ben accolti.
una cosa molto naturale. I suoi
film reinventano costantemente
il cinema e il suo linguaggio, è
un modernista le cui opere risvegliano i nostri sensi alle possibilità del cinema. Con destrezza e
talento crea e scolpisce il tempo
e lo spazio come un maestro.
I suoi capolavori sono Le conseguenze dell’amore, Il divo e
La grande bellezza. E poi ha ottimi collaboratori come Luca Bigazzi e Toni Servillo.
Le sembra che il cinema italiano
proponga un’ondata di talenti
giovane o già matura?
Come per molte cinematografie nazionali, le ondate si infrangono continuamente sulla
spiaggia. Personalmente riesco
a vedere molti lavori dei giovani registi, ma non quanti vorrei.
Ho comunque la sensazione
che ci sia un importante slancio
creativo tra i cineasti che oggi
hanno intorno ai 40 anni e credo che nel giro di qualche anno
Avete celebrato Paolo Sorren- assisteremo a un’età dell’oro del
tino come Miglior Regista nel cinema italiano.
2009 e recentemente avete presentato un’intervista pubblica Quali sono secondo lei i registi
con il suo direttore della foto- italiani del futuro?
grafia, Luca Bigazzi. Secondo Molti di loro sono già consacralei cosa rappresenta Sorrentino ti, penso a Michelangelo Frammartino, Alice Rohrwacher, Luca
per il nostro cinema?
Da quando ho visto Le conse- Guadagnino, Fabio Grassadonia
guenze dell’amore in concorso a e Antonio Piazza, Sydney Sibilia.
Cannes ho capito che Paolo Sorrentino era un nuovo autore im- E per quel che riguarda gli attori
portante e che presto sarebbe e le attrici?
diventato uno dei fari del cinema Direi senz’altro Toni Servillo, Elio
italiano. Il suo talento è senza li- Germano, Riccardo Scamarcio,
miti, ho percepito la sua abilità Valeria Golino, Luigi Lo Cascio,
nel destreggiarsi tra le numero- Laura Morante, Alba Rohrwacher,
se responsabilità di un regista Margherita Buy, Isabella Rossellini
sul set, pur facendola sembrare e Monica Bellucci.
La maggior sorpresa del cinema
italiano recente?
Non vorrei tornare su Sorrentino,
ma è emerso come un maestro
del cinema ed è riconosciuto internazionalmente. Fu un piacere
vedere Il divo ai suoi inizi.
Quali festival italiani frequenta
o osserva con particolare attenzione per scoprire le nuove
tendenze del nostro cinema?
La Mostra di Venezia ha sempre
una selezione interessante. Mi
piacerebbe frequentare Roma,
con l’evento autunnale e il festival
indipendente in primavera, e ho
sentito grandi cose di Torino. Mi
piacciono molto anche i programmi italiani che passano a Toronto
e a Londra.
Fino a che punto il cinema italiano arriva al pubblico irlandese?
Molto, molto poco. A parte i limitati accordi di distribuzione
inglesi, la maggior parte dei
film italiani vengono proiettati
ai festival.
Ma la presenza ai grandi festival aiuta davvero i film?
Assolutamente sì, i premi a Venezia e Cannes, così come gli
Oscar, alzano il profilo del cinema straniero a livello mondiale.
33
INNOVAZIONI
Il feticismo del nuovo
IL FETICISMO
DEL NUOVO
di Gianni Canova
34
INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo
S
e non ti piace, rischi di passare per un rudere archeologico. Se osi anche solo
azzardare che non è detto che
sia il meglio, la possibilità di veder crollare il tuo indice di popolarità è molto alta. Eppure, non
tutte le epoche hanno condiviso
quel dilagante “feticismo del
nuovo” che sembra dominare il
nostro tempo. Ci sono state epoche e culture - come è noto - che
hanno esorcizzato il disagio del
presente appoggiandosi alla tradizione, all’eredità del passato,
ai canoni e ai codici collaudati di
presunte età dell’oro. Ora invece, finita l’epoca del buonismo, è
il nuovismo l’imperativo categorico che orgasmizza opinion
leader e analisti di trend, politici
ed artisti, sociologi e gossippari.
A qualunque cosa venga asso-
ciato, l’aggettivo nuovo pretende
di essere garanzia di qualità e
sinonimo di valore. È talmente
solida, la dittatura del nuovismo, che anche il vecchio, per
sopravvivere, spesso è indotto
a indossare nuovi abiti di scena,
o a cambiare perfino il proprio
nome. Crowfunding, fundraising,
found footage, remix: le parole
sono nuovissime, fanno tanto
“in”, ma designano fenomeni
antichissimi dai nomi tristemente provinciali come “colletta”, “sottoscrizione”, e così via.
Ma tant’è: è almeno dai tempi di
Aristotele che la nostra storia culturale è fatta di mascheramenti e
smascheramenti successivi, di
è vecchio il film d’autore che si
ammanta di un’aria austera, disdegna le emozioni facili, inarca le sopracciglia e si mette a
pontificare con tono solenne e
preoccupato sui destini ultimi
dell’universo mondo. Ma è vecchio anche il cinema che si crede
importante solo perché affronta
temi socialmente nobili. È vecchio il sistema dei festival, con i
suoi rituali eternamente identici
a se stessi, i suoi red carpet sempre più patetici e i suoi premi
sempre più ininfluenti; vecchia la
critica convinta che il suo compito sia quello di distribuire con
olimpico sussiego palline e stellette; vecchio il compiacimento
dei trolls del web che godono
come ricci nello schizzar veleno
su tutto ciò che ha successo;
vecchio l’atteggiamento di chi ri-
IN UN PAESE DA SEMPRE MISONEISTA COME L’ITALIA, D’IMPROVVISO
no i prati di Ermanno Olmi. Cioè
un film che rievoca avvenimenti
di cent’anni fa, realizzato da un
regista che di anni ne ha 83.
Ma il nuovo non lo si misura
all’anagrafe. L’anagrafe vale per i
talebani del nuovismo. Per gli altri, per tutti gli altri, il nuovo vale
se e nella misura in cui indica un
percorso diverso, si assume la
responsabilità del cambiamento,
riesce a sollecitare un cambio di
paradigma mentale. È di questo
che ci piacerebbe iniziare a discutere su questo numero di 8½.
Nelle pagine che seguono, alcuni
protagonisti del cinema italiano
cominciano a esporre il loro punto di vista. Ma l’auspicio è che
questi interventi non siano che
l’inizio di una riflessione e di un
confronto più ampi. Non ci sarebbe novità più importante, per
l’Italia, di un cinema che riprende
a ragionare collettivamente su di
sé, sul nuovo e sul vecchio che lo
attraversano, e sulle strategie che
gli possono aprire per davvero le
porte del futuro.
SEMBRA CHE SOLO CIÒ CHE È ETICHETTABILE COME “NUOVO”
ABBIA QUALITÀ E VALORE. È DAVVERO COSÌ?
COSA È VECCHIO E COSA È NUOVO, OGGI, NEL CINEMA ITALIANO?
rinominazioni, di vocaboli nuovi
escogitati per designare fenomeni antichi. E tuttavia, in questa
marea di finto-nuovo-che-maschera-il vecchio, di vecchio-chesi-traveste-da-nuovo, di nuovo-che-si-autoproclama-tale e di
vecchio-che-nega-di-esserlo, cos’è
davvero “nuovo”? Per limitare
il campo al territorio su cui si
concentra l’attenzione di questa
rivista: cosa è nuovo e cosa è vecchio nel cinema italiano?
È questa la domanda che ci poniamo - e vi poniamo - in questo numero di 8½. Domanda
semplice semplice, ma risposta
tutt’altro che scontata. Soprattutto in un Paese misoneista
come da sempre è l’Italia. Io,
ad esempio, faccio molto meno
fatica a ragionare su ciò che a
me appare “vecchio” che a definire esattamente i confini del
“nuovo”. Per me, ad esempio,
tiene che il proprio film (e solo il
proprio…) meriti il finanziamento pubblico per investitura divina; vecchio chi dà del vecchio
a tutto ciò che è diverso da sé.
Scenario decrepito, visto da questa prospettiva. Eppure.
Eppure, il nuovo qua e là si intravede. E non è detto che coincida
con ciò che è recente. Con ciò
che è giovane. Se dovessi indicare il film italiano più nuovo fra
quelli che ho visto negli ultimi
due mesi, confesso che il primo
titolo che mi viene in mente nuovissimo per come disarticola
la struttura narrativa, per come
lavora di sottrazione sui canoni
della messinscena tradizionale,
per come sa non assomigliare a
nessun altro film di guerra e sulla guerra già visto in precedenza,
per la forza con cui rivendica il
suo essere più simile a un oratorio che a un racconto - è Torneran-
35
INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo
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Ma alla fine ciò ch ssioni.
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36
INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo
Ciro De Caro
REGISTA DI SPAGHETTI STORY
Spaghetti story è stata un’opera
prima che ha lasciato molti senza parole. Come si fa in Italia a
realizzare un progetto ‘nuovo’?
Per quel che mi riguarda, non ho
esordito secondo i canoni classici: per me non è stato difficile
perché mi sono messo in gioco
in prima persona. Ho venduto
la macchina e, con circa 15mila
euro in undici giorni, insieme
a una squadra di persone che
credevano nel progetto, ho portato a casa la realizzazione del
film. Spesso oggi chi vuole fare
questo lavoro non lo fa perché
ama raccontare una storia ma
perché ama ‘giocare con i dolly’
e dimentica che solo chi ha qualcosa da dire può creare qualcosa
di nuovo. Non dico che la tecnologia non sia una grossa opportunità, anzi. Ma ciò che conta è
la storia.
Quali sono le regole da cambiare nel sistema cinema?
Partirei dal meccanismo che
consente di accedere ai finanziamenti per realizzare un film: normalmente, il punteggio aumenta
se al progetto partecipano sempre le stesse facce. È un serpente che si morde la coda. Ecco,
questo definire un film ‘piccolo’
solo se non viene riconosciuto
nella tabella dei soliti noti, per
così dire, penalizza molto la
possibilità di creare cose nuove
al cinema. Ovviamente, sono i
registi giovani a pagare le spese
di questo meccanismo contorto.
La commistione fra generi web, serie tv, cinema - può
rappresentare un luogo di sperimentazione del ‘nuovo’?
Non so se le serie tv possano
rappresentare qualcosa di nuovo, certo è vero che in America
in questo settore si investe molto
sui nuovi autori e forse è per questo che nascono prodotti d’eccezione come True detective. Ci tengo però a specificare che, per quel
che mi riguarda, web, tv e cinema
sono linguaggi diversi, l’uno non
può sostituirsi all’altro. Non solo
difendo l’autonomia dei generi
- anche perché la maggior parte
delle web series non sono belle
ma solo divertenti - ma dico forte
che i film devono essere visti sul
grande schermo.
Cos’è per lei il ‘nuovo’?
Secondo me il ‘nuovo’ nel cinema è una storia, un personaggio,
un’immagine che sorprende ed
entusiasma l’autore prima ancora del pubblico. Si può raccontare
anche una storia non nuova, ma
se lo sguardo dell’autore è nuovo,
se è come quello di un bambino
che si entusiasma di fronte ad
un nuovo gioco fino a perderci il
sonno allora sarà la stessa cosa
anche per il pubblico.
37
INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo
L’innovazione ha più a che fare
con le idee, col ricambio generazionale o con le possibilità
offerte dall’industria cinematografica del momento?
L’innovazione ha a che fare con
la coscienza dei mezzi che si
hanno a disposizione, è innanzitutto una questione culturale.
Precede l’invenzione di nuove
tecnologie e con la rete non è
ancora nata una cinematografia
veramente di rottura, forse qualcosa si muoverà nell’ambito del
‘multimediale interattivo’.
Quali sono le regole da cambiare nel sistema cinema per
‘aggiornarlo’?
Bisogna ampliare l’offerta e razionalizzare i canali distributivi.
È sotto gli occhi di tutti il fatto
che in Italia ci siano regioni in
cui il rapporto fra numero di abitanti e schermi cinematografici è
quantomeno sbilanciato. L’altra
questione è legata alla ricalibrazione dei diritti televisivi: il fatto
che ci sia un mercato asfittico,
infatti, fa sì che i produttori abbiano una limitata scelta per finanziare i film. Infine, c’è la questione legata alla formazione dei
nuovi cineasti. Per ora l’identikit
del cineasta in Italia è il seguente: maschio, adulto, ricco, bian-
Daniele Vicari
DOCUMENTARISTA E REGISTA
38
co. Ed è una foto spietata di una
cinematografia che si ripiega su
se stessa. I cineasti devono far
parte del mondo, e non solo di
un’élite per far sì che possano
raccontare la realtà. Per questa ragione i nuovi cittadini del
mondo non possono non entrare a far parte della compagine.
L’innovazione passa attraverso
queste aperture.
C’è un settore del cinema italiano che è, per così dire, più a
stretto contatto col ‘nuovo’?
C’è un numero crescente di cineasti che fanno documentari, in
Italia - Paese fra i più importanti
del mondo in questo campo - se
ne producono 600 l’anno. Tutti
i critici, peraltro, considerano
questo settore come quello più
innovativo della nostra cinematografia. E questo perché la libertà espressiva nel documentario è
pressoché totale.
Cos’è per lei il ‘nuovo’?
Quello che noi definiamo ‘nuovo’ ha a che fare con la capacità
che una determinata opera ha di
spiazzarci: accadono cose che
non avevamo considerate valide
in quel contesto lì. Penso, per
esempio, a Europa di Lars Von
Trier: un film forse non perfetto
ma nel quale si sentiva chiaramente che stava nascendo un
nuovo modo di fare cinema, anticipava Dogma 95.
INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo
articolato e l’abbiamo realizzato
con delle collaborazioni molto
importanti per una serie web, a
partire dal cast. Il ‘nuovo’ non
deve andare per forza d’accordo
con la scarsità di mezzi, semmai innovare è andare contro
gli standard. Le opere prime che
ho prodotto non sono state mai
sacrificate dal punto di vista del
budget: un esordiente ha bisogno di mezzi tanto quanto un
regista affermato.
Francesca Cima
PRODUTTRICE E FONDATRICE INDIGO FILM
fronti del cinema italiano. Se si
vuole far crescere il risultato ottenuto negli ultimi tempi bisogna
crederci e pensare davvero che il
L’innovazione ha più a che fare cinema possa essere un motore
con le idee, col ricambio ge- di sviluppo per tutto il Paese.
nerazionale o con le effettive
possibilità offerte dall’industria Lei, tra le tante cose, ha procinematografica del momento? dotto Una mamma imperfetta,
La cosa più importante è la ca- la web serie che ha innovato
pacità di raccontare belle storie al punto da diventare un caso
e l’industria deve essere a sua editoriale. Che cosa l’ha spinta
volta capace di supportare que- a realizzare un progetto che era
‘nuovo’ ma all’inizio non aveva
sto processo.
garanzie di successo?
La voglia di innovazione nel La forza dell’idea di Cotroneo, la
nostro Paese si scontra spesso voglia di raccontare quel tipo di
con l’immobilismo in vari set- mondo, e la capacità di pensare
tori. Da fondatrice della Indigo che quel tipo di rappresentazioe presidente della sezione pro- ne della donna era totalmente
duttori ANICA, quale potrebbe nuovo, non esisteva nell’audioessere la soluzione per dare visivo. Dal punto di vista realiznuova linfa vitale al settore ci- zativo, poi, abbiamo deciso di
dare subito vita a un progetto
nematografico?
Più che una soluzione unica c’è
un presupposto da cui partire:
l’atteggiamento positivo nei con-
Lei ha prodotto Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores.
Anche in questo caso, il ‘nuovo’
ha molto a che fare con il film:
una storia di supereroi in Italia
praticamente non si è mai vista.
Perché ha scelto di produrlo? E,
in genere, cosa la spinge verso
l’innovazione?
Abbiamo voluto provare a fare
un film per il pubblico dei ragazzi, quelli che sono i nostri figli
e che oggi sono molto evoluti,
cresciuti con i film della Pixar.
Abbiamo poi proposto agli sceneggiatori di scriverlo e Gabriele
Salvatores ne ha fatto un film
molto suo, molto personale.
Ed è stato davvero divertente
costruirci intorno iniziative collaterali, dalla graphic novel al
libro, fino al concorso musicale
per ragazzi, per individuare fra le
loro creazioni alcuni brani della
colonna sonora. Ecco, a contatto
con i ragazzi ti rendi conto subito di cos’è ‘nuovo’, di come sarà
il futuro.
Cos’è per lei il ‘nuovo’?
È quello che si vive ogni giorno,
è il presente con tutte le domande e le sorprese che porta con sé
ogni momento che si vive.
39
INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo
The Pills è una web serie profondamente innovativa. Da dove
viene quell’idea? E, più in generale, da dove viene un’idea per
una serie o un film?
Non c’è molto pensiero dietro un
format come The Pills. C’è solo
un gruppo di amici che spara
cazzate. Spesso articolate. Ma
pur sempre cazzate. Penso che
le nuove generazioni abbiano la
stoffa e la capacità di cambiare
le cose. È che spesso e volentieri
si perdono in un bicchier d’acqua
arrendendosi alle prime difficoltà.
The Pills
Dylan Dog - Vittima degli eventi
nasce grazie al crowd-funding,
un metodo assolutamente nuovo di produzione, specialmente
in Italia. Ci raccontate com’è
andata?
Abbiamo utilizzato - con poca
consapevolezza, ce ne rendiamo
conto - un nuovo sistema social
(perché sempre di social network
COLLETTIVO DI AUTORI COMICI WEB,
CO-CREATORI DI DYLAN DOG - VITTIMA DEGLI EVENTI
stiamo parlando) che si sta facendo strada in merito alla produzione indie, svincolata dai canonici
metodi. Una sorta di equivalente
‘bio’ dell’intrattenimento più recente: dal produttore al consumatore. A nostro avviso, una vera
e propria rivoluzione che permette inoltre di bypassare tutta una
serie di passaggi che potrebbero
contaminare e snaturare l’idea
originaria dell’artista. Inizialmente ci siamo scontrati con una
certa diffidenza da parte degli
utenti. Poi, man mano che il progetto prendeva piede, l’utenza si
è appassionata contribuendo generosamente e permettendoci di
raggiungere quasi la somma che
ci eravamo prefissati in partenza.
Da dove arriva il ‘nuovo’ innanzitutto? Dalle nuove tecnologie
o dalle nuove idee?
Difficile parlare di nuove idee
dopo centinaia di anni di audiovisivo… forse dovremmo semplicemente dare una svecchiata
al modo che abbiamo di comunicare, sperimentando sempre
più, anche a spese nostre, e
cercare di uscire fuori dal nostro
giardino diventando competitivi
anche all’estero. Solo in questo
modo diventi davvero detentore
di una risorsa e alla stregua di
canoni non soltanto nazionali.
Cos’è per voi il ‘nuovo’?
Forse quello che non tutti capiscono e che viene messo in discussione. Qualcosa che divide
l’opinione pubblica. E qualcosa
su cui lavorare.
40
INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo
Il nuovo cinema è quindi su internet, dove c’è spazio per tutti?
Il nuovo cinema è sinonimo di
convergenza. Internet non sostituisce la sala cinematografica, ma crea un’integrazione di
mezzi. È il fatto di poter fruire
un’opera in diversi momenti e in
diverse situazioni. Il nuovo cinema è il cinema come l’abbiamo
sempre visto, con un diverso il
modello di fruizione.
La voglia di innovazione nel
nostro Paese si scontra spesso
con l’immobilismo in vari settori. Quale potrebbe essere la
soluzione, secondo lei, per dare
una nuova linfa vitale al settore
cinematografico?
Abbiamo bisogno della banda
larga. La chiave di tutto è questa: la velocità. La tecnologia
4k, ad esempio, sarebbe fruibile
attraverso internet con una banda adeguata. Invece, attraverso
il sistema digitale terrestre, non
è possibile trasmettere a pari
condizioni.
Tutto questo potrebbe andare a
discapito delle sale cinematografiche?
Non c’è competizione. Questo
progresso non toglierà alle sale
perché il modello di fruizione è
diverso. Allo stesso tempo è fondamentale l’aggiornamento delle sale, dove si deve puntare al
miglioramento dei confort, alle
tecnologie e ai servizi.
Gianluca Guzzo
AD MY MOVIES
My Movies ha inventato, per
così dire, una nuova modalità
di distribuzione. Come nasce
questa idea?
L’idea nasce un po’ per caso nel
2010 in occasione del lancio di un
documentario intitolato La bocca
del lupo che aveva vinto il Festival
di Torino e inizialmente non riusciva a trovare una distribuzione
adeguata. Un capolavoro che rischiava di venire diffuso solo in
Home Video, da lì è nata l’idea
di renderlo disponibile in una
sala virtuale, utilizzando le grandi
capacità della rete. In pratica, si
tratta di promuovere soprattutto
quei film che non troverebbero
spazio al cinema a causa della sovraproduzione. La novità, quindi,
sta nel canale distributivo alternativo offerto da internet.
Cos’è per lei il ‘nuovo’?
Il ‘nuovo’ è rappresentato dalla
grande rivoluzione nelle tempistiche del cinema. In particolare,
da due eventi che sono un po’ in
contraddizione fra loro: film che
durano tantissimo e, dall’altra
parte, serie tv, e cioè film che
vengono realizzati con tempi ridotti. La rivoluzione è quella di
concentrare un concetto anche
in un filmato di soli 3 minuti.
Questo perché per tenere incollato uno spettatore allo schermo
occorre la velocità e la brevità.
Cinema d’autore a parte.
41
INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo
QUANDO
L VECCH O
ERA NUOVO.
Qual era il cuore del progetto?
Si basava su una scelta netta di
tendenza, il nuovo cinema nel
segno di quelle che erano allora
le Nouvelle Vague. La Nouvelle
Vague francese, il Cinema Nôvo
brasiliano, il New American
Cinema, la Nova Vilna in Cecoslovacchia. Volevamo fare una
manifestazione che servisse a
scoprire, discutere e valorizzare
i film, ma anche a promuoverli
socialmente e culturalmente.
Era una mostra molto selettiva
e molto diversa da quelle che
c’erano.
Avete fatto subito delle scoperte?
Il primo anno volevamo I pugni
in tasca di Marco Bellocchio
che ci aveva già fatto vedere il
girato, poi purtroppo non è riuscito a finirlo in tempo e la
Mostra di Venezia, benché diretta da Chiarini, lo rifiutò. Poi
Lino ha telefonato al direttore
di Locarno, gliel’ha segnalato,
e il film ha vinto il Pardo d’argento come miglior opera prima. In Italia all’epoca c’erano
pochi festival, quindi lavoravamo con una certa tranquillità.
42
Un’altra caratteristica di Pesaro sono sempre stati i dibattiti.
Già il primo anno abbiamo fatto un convegno importante su
funzioni e responsabilità della
critica, perché sentivamo che
il nuovo doveva manifestarsi
Come venne recepito il Festival?
Trovammo consenso più all’estero che in Italia. Tanto che
dopo due anni il MoMA di New
York, nel gennaio del 1967, ci
rese omaggio proiettando una
serie di film presentati a Pesaro
Pesaro per contestare la Mostra
‘dei socialisti’. La giunta di sinistra di Pesaro portò gli operai
dalle fabbriche alle assemblee
per mettere in minoranza gli studenti che erano un po’ sbalestrati dal fatto che l’offerta filmica
Sul concetto di “nuovo cinema” cinquant’anni fa nacque
in Italia un nuovo festival destinato a vivere
una storia avvincente, la Mostra del Nuovo Cinema
di Pesaro, la cui prima edizione si svolse
dal 29 maggio al 6 giugno del 1965. Venne fondata
da Lino Miccichè e Bruno Torri, allora appena trentenni.
anche nel modo di fare critica. A questo convegno sulla
critica, Pier Paolo Pasolini fece
la famosa relazione sul cinema
di poesia. C’era anche Christian
Metz, un semiologo giovane
ma già famoso in Francia. Un
altro convegno fu dedicato alla
diffusione del nuovo cinema.
Lì avevamo come padrini - diciamo così - Roberto Rossellini
e addirittura l’Unesco, rappresentata da Enrico Fulchignoni.
come esempi di ‘cinema nuovo’. In Italia il fatto che fossimo
targati, essendo nati su iniziativa del ministro Achille Corona,
socialista, ci portava attacchi da
destra e da sinistra. Ma in realtà
noi avevamo la massima libertà
ideativa e operativa, nessun condizionamento dal Psi.
Poi arrivò il ’68. Cosa accadde?
A maggio gli studenti avevano
fatto interrompere il Festival di
Cannes e il movimento studentesco italiano decise di venire a
fosse tutta orientata a sinistra,
quell’anno c’era ad esempio
L’ora dei forni di Solanas. Infine
accettarono il compromesso di
cogestire la Mostra.
Quali considera le più importanti scoperte di Pesaro?
Sono veramente tante. Robert
Kramer dagli Stati Uniti, Evald
Schorm dalla Cecoslovacchia,
dalla Francia Jean Eustache - su
segnalazione di Godard abbiamo dato il suo primo mediometraggio, molto bello, Le Père
INNOVAZIONI // Il feticismo del nuovo
INTERVISTA
A BRUNO
TORRI
di Cristiana Paternò
Noël a les yeux bleus - Lo spirito
dell’alveare di Victor Erice, C’era
una volta un merlo canterino di
Iosseliani, Tropici di Gianni Amico e molti altri ancora.
Qui sono passati tutti i grandi
autori.
Andavi a passeggiare in piazza e
incontravi Godard, Umberto Eco
e Jack Nicholson, che era attore
in un film di Monte Hellman,
The Shooting; Bogdanovich ha
dato qui il suo primo film Target,
Delvaux per L’Homme au crâne
rasé. Jean-Marie Straub che aveva portato Non riconciliati. Tutti
i latino americani: Raul Ruiz,
Miguel Littin, Gutierrez Alea con
Memorie del sottosviluppo, i polacchi Skolimovski e Zanussi, lo
jugoslavo Dušan Makavejev.
Oggi che cos’è nuovo cinema?
È difficile definirlo, essendo il
cinema molto cambiato: è totalmente dentro l’audiovisivo
e si avvale di nuove tecnologie
che possono influire sui modi di
espressione, sui modi di produzione e sui modi di fruizione. Il
nuovo cinema oggi si può trovare, oltre che nei film a soggetto,
nei documentari, nella sperimentazione, nella videoarte, tutti fenomeni che peraltro anche
noi a Pesaro abbiamo pedinato.
I primi a discutere film e video
di Alberto Grifi, negli Anni ’70,
siamo stati noi: negli Anni ’90
abbiamo valorizzato l’opera di
Gianni Toti. Un tempo il nuovo
cinema si identificava con il cinema d’autore, erano quasi sinonimi. Si trattava di film firmati da
registi che avevano uno sguardo, una visione del mondo, una
poetica e riuscivano a restituirla
sullo schermo attraverso uno sti-
le personale, come facevano già
quelli affermati: Bellocchio, Bertolucci, Ferreri, Pasolini, i Taviani. Oggi elementi di novità li trovi in film mainstream, in Gravity
ad esempio o, secondo alcuni,
nelle nuove serie televisive americane. Il nuovo cinema bisogna
reinventarlo concettualmente e
riscoprirlo in sedi forse impensabili, perché un tempo era un’idea
precisa, oggi è qualcosa di più
indefinito, spurio e contaminato.
Ci sono fenomeni sempre più
frequenti di ibridazione. Penso a
un film italiano come Piccola patria, che ha avuto una circolazione molto marginale, che racconta una storia d’invenzione girata
come se fosse un documentario
e gli stessi personaggi sono inquadrati come figure della realtà.
In questo senso la Mostra di Pesaro ha bisogno di ripensarsi, di
rifondarsi a tutti i livelli.
E di ringiovanirsi.
(testo raccolto a giugno 2014)
43
INNOVAZIONI II
Un caso di crowdfunding riuscito
STIAMO TUTTI
CON LA SPOSA
di Alice Bonetti
2.617 produttori che “dal basso” hanno finanziato il film, 100.000 euro
raccolti sulla piattaforma Indiegogo. Cifre da record per Io sto con
la sposa , documentario approdato fuori concorso alla 71 Mostra del Cinema
di Venezia nella sezione Orizzonti. Ne parliamo con Antonio Augugliaro,
autore del progetto insieme al giornalista Gabriele del Grande e al poeta
Khaled Soliman Al Nassiry.
G
razie all’originalità del progetto, e alla delicatezza e
profondità con cui viene
trattato il tema dell’immigrazione e delle frontiere chiuse, Io sto
con la sposa si è aggiudicato il
Premio FEDIC, il Premio della
Critica Sociale e l’HRNs - Premio
al Cinema dei Diritti Umani. Infine è arrivato anche il premio Leonia assegnato da una prestigiosa marca di vini al film italiano
più audace dell’anno.
Com’è nata l’idea del crowdfunding? È stata una scelta economica o politica e culturale?
Direi entrambe. In primis, è stata un’esigenza economica: i costi del film sarebbero stati troppo esosi da sostenere da soli.
Alcune associazioni che avrebbero dovuto aiutarci si sono
tirate indietro e così ci siamo
rivolti alla rete. Abbiamo subito capito che il crowdfunding
sarebbe stato un ottimo strumento per avvicinare le persone
alla tematica del film. Abbiamo
voluto scommettere che esistesse una comunità che la pensava
come noi e che volesse contribuire a finanziare il progetto.
44
Io sto con la sposa è il film italiano con maggiori finanziamenti
mai ricevuti dalla rete. Perché
ha ottenuto un tale riscontro tra
i sostenitori dal basso rispetto
ad altri?
Penso che il successo sia dipeso soprattutto dalla rete preesistente. Abbiamo, infatti, potuto
contare quasi su 20.000 contatti che già seguivano il blog di
Gabriele Del Grande, “Fortress
Europe”. Molti crowdfunding
vengono lasciati a se stessi: noi
abbiamo lavorato costantemente sulla comunicazione, rendendo disponibili in rete clip del
film, fotografie e aggiornamenti
continui. Infine, penso che la
tematica, il modo irriverente
in cui è stata trattata e il fatto
che partecipando al crowdfunding si sostenesse un ideale e
una precisa posizione politica, abbia influenzato positivamente la riuscita del progetto.
Avete raccolto quasi 100.000
euro. In che percentuale ha, in
generale, contribuito ciascun
sostenitore?
Per la maggior parte le donazioni sono state di 10, 20 e 30 euro.
Seguono quelle di 250 - 500 euro
ma c’è chi è arrivato a donare
perfino 1.000 euro.
Il crowdfunding ha il vantaggio
di lasciare agli autori una maggior libertà e indipendenza creativa. Come ha influenzato questo la realizzazione del film?
Il fatto di non avere vincoli imposti dalla casa di distribuzione
e dai produttori è una cosa meravigliosa. Il lavoro è stato influenzato esclusivamente dalla
nostra libertà e creatività, sen-
INNOVAZIONI II // Un caso di crowdfunding riuscito
za alcuna pressione esterna:
ci confrontavamo serenamente
sulle scelte del film, cercando di raggiungere il risultato
più onesto e somigliante a noi.
¤
Il confronto diretto con il pubblico è stato uno dei fattori
che vi ha spinti a scegliere il
crowd-funding? Secondo lei
questo metodo determina un
cambiamento nella relazione tra
pubblico e regista?
Sì, assolutamente. Permette al
pubblico di diventare parte integrante di un progetto e questo è
straordinario. Durante le proiezioni percepiamo il forte coinvolgimento delle persone: vogliono conoscerci, parlarci, condividere con
noi esperienze e progetti. Troppo
spesso si cerca di confezionare i
film in modo da venderli più facilmente e ci si dimentica della gente, che invece vuole delle storie
oneste in cui immedesimarsi e
che smuovano le coscienze.
¤
Più che un film di denuncia lo
si può definire un film di speranza, di una rilevante impor-
tanza politico-culturale per il
periodo storico in cui viviamo.
Qual è l’obiettivo ultimo del
vostro progetto?
Portare uno sguardo diverso
sul tema dell’immigrazione. Solitamente se ne parla solo con
un’accezione negativa, mentre
noi vogliamo mostrare l’umanità
e la bellezza che esiste in questo
fenomeno raccontando una piccola storia per poi rivelare l’universo che c’è dietro. La metodologia scelta non è quella della critica,
della denuncia o della compassione ma, al contrario, cerchiamo
di trasmettere la speranza per
un mondo migliore e per una
nuova estetica della frontiera.
Il finto corteo di nozze è un
espediente molto cinematografico. Numerosi sono i film in cui
lo stratagemma della messinscena, del mascheramento per
raggirare un nemico, ne costituisce il motore narrativo. Penso
a Train de vie di Mihăileanu o al
più recente Argo di Ben Affleck.
Com’è nata questa idea?
In realtà, l’idea è nata prima del
film. Dopo il naufragio avvenuto
il 3 ottobre 2013 a Lampedusa
abbiamo capito che dovevamo
fare qualcosa. La Stazione Centrale di Milano è sempre affollata
di siriani che tentano di raggiungere il Nord d’Europa e noi volevamo aiutare almeno qualcuno
di loro. Ci serviva un sotterfugio
per eludere i controlli ed evitare di
essere arrestati come contrabbandieri. Quasi come scherzo, è saltata fuori l’idea del finto matrimonio
e mi è rimasta talmente impressa
l’immagine della sposa che attraversa i confini seguita da un intero
corteo che ho deciso di realizzarla veramente e farne un film.
Chi, secondo te, non sta con
la sposa?
Spero nessuno. Non posso
pensare che esista davvero
qualcuno che voglia un mondo
in cui viaggiare sia un crimine
e in cui si debba morire in mare
per scappare da una guerra.
Voglio credere che tutti, in fin
dei conti, stiano con la sposa.
45
DISCUSSIONI
PER VINCERE L’OSCAR
NON BASTA ESSERE BELLI
di Fulvia Caprara
N
on basta essere belli.
E nemmeno ricchi.
E nemmeno intelligenti.
Del cocktail che rende un film
italiano il candidato ideale da
designare alla gara annuale degli Oscar devono far parte tanti, diversi, sapori, in percentuali
accuratamente dosate, sempre
suscettibili di aggiunte, cambiamenti, miglioramenti. Insomma, una ricetta fissa non c’è, e
per questo la discussione sul
tema è sempre aperta e vivace,
soprattutto adesso che, dopo
la vittoria dell’anno scorso de
La grande bellezza di Paolo Sorrentino, la possibilità di portare
a casa una statuetta è tornata
ad essere un sogno realizzabile
e non, come per tanto tempo,
una lontana chimera. Vincere si
può, basta scegliere bene.
Ma come? “Quest’anno - recita il
comunicato diffuso nello scorso
settembre dalla Commissione di
selezione istituita presso l’Anica
- è stato particolarmente difficile
indicare un solo film che rappresenti il nostro Paese agli Oscar.
Abbiamo amato e ci sentivamo
rappresentati da molti dei film
iscritti”. La discussione finale ha
riguardato la terna composta da
Anime nere di Francesco Munzi,
Le meraviglie di Alice Rohrwacher e Il capitale umano di Paolo
Virzì, vincitore della votazione
47
DISCUSSIONI
conclusiva, quindi lanciato nella
campagna per l’Oscar 2015 al
miglior film in lingua non inglese. Della squadra di selezionatori, formata su invito dell’Academy of Motion Picture Arts and
Sciences, facevano parte Gianni
Amelio, Tommaso Arrighi, Angelo Barbagallo, Nicola Borrelli, Caterina D’Amico, Maria Pia Fusco,
Barbara Salabè, Gabriele Salvatores e Niccolò Vivarelli: “Con
il passare degli anni - osserva
il Presidente della Fondazione
Cinema per Roma, Paolo Ferrari, forte della lunga esperienza
alla guida di Anica e di Warner
Italia - la composizione è molto
mutata, e adesso è giusto che
sia così, mista, con registi, giornalisti, e diverse figure rappresentative dell’industria cinematografica”. In passato, aggiunge
Ferrari, il pericolo delle “cordate”
era frequente, così come quello
di scatenare contrapposizioni e
compiere errori: “È accaduto di
mandare in America un film senza chance, lasciandone a casa
un altro che invece ne aveva”.
Mancano, per la designazione
agli Oscar, “criteri oggettivi fissi”, e non potrebbe che essere
così, perché un film è un prodotto artistico che può essere amato, odiato, condiviso, discusso,
rifiutato. E anche questo, in fondo, è il bello del cinema: “Non
è necessario designare il miglior
film italiano dell’anno - dice ancora Ferrari - l’importante è che
l’opera abbia la possibilità concreta di essere vista negli Stati
Uniti”, dal maggior numero
possibile di spettatori, addetti
ai lavori e naturalmente membri dell’Academy. Per questo ci
vogliono soldi, organizzazione,
tenacia: “Si può mandare il film
più bello del mondo, ma se gli
americani non lo vedono, non lo
voteranno mai”.
48
Opinione condivisa da Riccardo Tozzi di Cattleya, presidente
dell’Anica al secondo mandato,
che subito denuncia una cattiva abitudine: “La Commissione
si riunisce a fine settembre, ed
è tardi perché, in USA, all’inizio
di ottobre, la campagna per gli
Oscar è già partita, la macchina
è in movimento, i migliori uffici
stampa hanno già firmato contratti, quindi bisognerebbe fare
tutti un sacrificio e anticipare
la data della designazione al 31
agosto”. Per ovviare al problema
dei film in concorso (e non) alla
Mostra di Venezia (quindi non
ancora visti dai membri della
Commissione, dato che il Festival si svolge tra fine agosto e inizio settembre) basterebbe, dice
Tozzi, organizzare invii di link e
DVD. Ma non è tutto: “Ridurrei ulteriormente il numero dei
partecipanti alla Commissione,
a mio parere un gruppo più ristretto è più libero da eventuali
pressioni”. Fondamentale, raccomanda Tozzi, anche la cautela
nei confronti dei temi tabù: “Bisogna evitare film che contengono
elementi sgraditi, per esempio
l’antisemitismo, anche solamente accennato, oppure la violenza
sulle donne. Mi viene in mente
La sconosciuta di Tornatore, che
aveva questo secondo problema
e che quindi non sarebbe mai
stato accettato. Bisogna tener
conto di specifiche sensibilità,
magari diverse dalle nostre, e
stare attenti a non urtarle”. Una
volta individuato il titolo adatto,
la corsa può iniziare, ma se i fondi mancano, è come partire con
l’handicap: “L’elemento finanziario - dice Tozzi - è di enorme
importanza. Per fare una buona
campagna promozionale bisogna
disporre di almeno 500mila euro,
basta pensare che i francesi spendono circa il doppio. Da qualche
anno il nostro Ministero si è impegnato e so che, per la campagna
de La grande bellezza, è stata per
la prima volta stanziata una cifra
pari a circa 400mila euro”.
La strada che porta al fatidico
“the Oscar goes to”, è lunga e
tortuosa, lastricata di scontri, polemiche, valutazioni discutibili.
C’è anche chi, come Vieri Razzini e Cesare Petrillo della prestigiosa Teodora, marchio di qualità legato a successi come Amour
di Michael Haneke, e ad autori
come Susanne Bier e François
Ozon, pensa che sarebbe utile
una vera rivoluzione, a partire
proprio dalla composizione della Commissione: “Da noi - dice
Petrillo - succede che il film designato a rappresentare l’Italia agli
Oscar sia autenticamente istituzionale, perché la Commissione
che lo sceglie è, appunto, istituzionale. Bisognerebbe cambiarla, inserendo membri fuori dai
giochi, facendo scelte trasversali che presuppongano culture
cinematografiche vere. Penso
a studiosi come Adriano Aprà,
Patrizia Pistagnesi, Davide Turrini, Alberto Abruzzese, Enrico
Ghezzi”. Insomma, intellettuali
super-esperti, completamente
al di fuori delle logiche dell’industria e del mercato. Una posizione che Razzini condivide solo
in parte: “Escludere gente del
mestiere non è del tutto giusto.
Gli intellettuali sono talmente
slegati da tutto che rischiano di
giudicare i film come si faceva
trent’anni fa. Non è sbagliato,
invece, che ci siano produttori,
registi, magari affiancati da direttori di festival che in genere si
muovono in un’ottica internazionale”. Petrillo è più polemico: “La
Commissione è istituita dall’Anica, e tutti sanno che alcuni distributori non vengono chiamati
a farne parte perché non rientrano nell’organismo dell’Anica.
DISCUSSIONI
La Commissione di selezione
dell’Anica va bene così com’è
o andrebbe rivoluzionata?
Ne parliamo con Paolo Ferrari,
Riccardo Tozzi, Tilde Corsi,
Cesare Petrillo e Vieri Razzini
Mi riferisco, ad esempio a
Donatella Botti”. Esperti e
non esperti, uomini di pensiero e uomini d’azione non
sono comunque, mai, garanzia
di successo. Chiunque abbia
vissuto, anche una sola volta,
l’esperienza della designazione del titolo italiano agli Oscar, ricorda confronti all’ultimo sangue e clamorosi errori,
battaglie infuocate e scivoloni
imperdonabili. Razzini cita l’esclusione di Habemus papam di
Nanni Moretti: “Una tale assurdità... se c’è un personaggio che
sicuramente viaggia in tutto il
mondo, superando qualunque
tipo di confine, quello è il Papa”.
E poi rievoca il caso Vincere, regia di Marco Bellocchio, scartato
in favore di Baarìa di Giuseppe
Tornatore: “Non si poteva certo
dire che in America non sapessero chi era Mussolini, e invece
il film di Bellocchio non fu scelto, forse perché proponeva una
rappresentazione di italianità
sbagliata, meglio continuare a
mandare pellicole che si tuffano nel Mediterraneo...”. Certe
“miopie” si sono ripetute: “Un
altro errore clamoroso - rincara
Petrillo - fu quello di mandare La
prima cosa bella di Virzì invece
di Io sono l’amore di Guadagnino, che in America aveva avuto
successo e infatti vinse ai Golden Globe”. Paolo Ferrari ricorda
l’anno in cui “Berlinguer ti voglio
bene stava per battere La leggenda del santo bevitore” e quello in
cui “doveva andare Mio fratello è
figlio unico e invece andò La bestia nel cuore”.
La produttrice de Le fate ignoranti, e di tanti altri film di Ferzan
Ozpetek, Tilde Corsi, più volte
membro della Commissione,
aggiunge alla serie altre sviste
celebri: “Era l’anno del Pinocchio
di Roberto Benigni. Mandammo quello, al posto di Respiro
di Crialese, che invece all’estero
raggiunse ottimi risultati. Si fece
un discorso di logica industriale,
il film di Benigni costava di più e
quindi valeva di più, ma il ragionamento non funzionava affatto”.
Quella tra Il divo e Gomorra fu
una contrapposizione dolorosa,
tra due opere di grande valore,
ambedue premiate al Festival di
Cannes: “Si pensò che Gomorra
avesse una tematica più comprensibile all’estero, ma alla fine
non entrò in cinquina, mentre
Il divo andò meglio ovunque”.
Fortemente contraria all’ipotesi
di inserire studiosi in Commissione (“bisogna sgombrare il
campo dal mito dell’intellettuale
duro e puro”), Corsi è convinta
che sia necessario “fare squadra,
tenendo ben presente il fine da
raggiungere, e ricordando che
spesso siamo proprio noi i più
incapaci nel difendere le cose
nostre”. Le due parole chiave,
per Corsi, sono “coesione e
risorse”, perché “una volta designato un film, bisogna essere
in grado di promuoverlo e per
questo ci vuole sostegno da parte delle istituzioni”.
Un nodo cruciale del dibattito
riguarda poi l’immagine, quella
famosa cartolina del Paese che,
attraverso un film made in Italy, viene spedita in America con
lo scopo di incantare pubblico
e membri dell’Academy: “Noi
italiani - osserva Razzini - siamo
sempre stati obbligati alla regola
‘pizza e mandolini’, all’estero siamo ancora considerati colonia,
citati solo e unicamente per Ros-
sellini e per il Neorealismo...”. Al
contrario, Petrillo sostiene che
lo stereotipo non funziona più:
“Che vuol dire? Quando vince
Susanne Bier con In un mondo
migliore significa che hanno vinto le aringhe danesi? No, non è
così”. Anche per Tilde Corsi l’epoca del cliché italiano è finita.
Bisogna puntare, invece, seguendo l’esempio dei francesi, sull’
“eccezione culturale”, ovvero su
quella diversità che ci contraddistingue: “L’Oscar al miglior
film straniero, ormai si è capito chiaramente, va al prodotto
autoriale”. Dagli altri Paesi del
mondo gli americani si aspettano opere differenti da quelle che
sforna la loro industria enorme,
potentissima, ma anche pericolosamente ripetitiva. Opere
speciali, non certo fatte di mare,
sole e panni stesi.
Almeno in questo, per fortuna,
qualcosa è cambiato.
49
FATTI
Dossier di DG Cinema e ANICA
IL MERCATO AUDIOVISIVO E LA REGOLAMENTAZIONE:
UN'INDUSTRIA AL BIVIO
diFederica D’Urso, Iole Maria Giannattasio, Francesca Medolago Albani
Nei giorni 23 e 24 ottobre ha avuto luogo a Roma la Conferenza Internazionale “Audiovisual Market and Regulation: an
Industry at a Crossroads”, a cura della Direzione Generale Cinema-MiBACT: si è trattato dell’evento pubblico di punta
per il settore audiovisivo organizzato nell’ambito della Presidenza Italiana del Consiglio dell’Unione europea. L’evento
è stato co-finanziato dal Programma Europa Creativa dell’UE.
nella sua recente Comunicazione “Cinema europeo nell’era digitale - Creare un ponte tra diversità culturale e competitività”, aveva
sostenuto che
L’
obiettivo, ambiziosissimo, della Conferenza svoltasi il 23 e il
24 ottobre presso l’Auditorium Parco della Musica in occasione del Festival internazionale del film di Roma, era quello di
stimolare un ampio e approfondito dibattito sul riesame dell’attuale
quadro normativo europeo sui servizi di media audiovisivi, alla luce
delle recenti sfide a cui il settore è chiamato a reagire, che derivano
dalle ingombranti ricadute dell’evoluzione tecnologica sugli equilibri del mercato internazionale. Il focus della discussione si è quindi
centrato sull’evoluzione delle tecnologie e del contesto economico,
sul ruolo dei nuovi player, sui relativi modelli di business e sulle linee
guida su cui fondare una possibile revisione dei criteri dell’intervento pubblico in materia.
«La rivoluzione digitale offre più possibilità e una maggiore flessibilità
di distribuzione e sta avendo un’influenza fondamentale sul comportamento del pubblico. È quindi indispensabile adattarsi all’era digitale
e sfruttare il suo potenziale per raggiungere un nuovo pubblico, oltre
a conservare quello esistente, e per creare un ponte tra la diversità
culturale e la competitività. Questo comporterà delle sfide: da un lato,
l’industria dovrà sperimentare nuovi modelli commerciali e strategie
di ampliamento del pubblico e, dall’altro, dovranno essere elaborate
politiche pubbliche a livello regionale, nazionale ed europeo».
La peculiarità e il forte impatto sulla società che l’industria audiovisiva porta con sé rendono la riflessione su modalità e misure
dell’intervento normativo sovranazionale particolarmente urgente e
al tempo stesso delicata: si tratta infatti di una materia che si colloca al crocevia fra diverse aree di competenza - differentemente
regolamentate - da quella più strettamente economico-finanziaria, a
quella tecnologica, a quella più tipicamente culturale, includendo tematiche complesse relative alla formazione, alla conservazione del
Il confronto che ha avuto luogo durante la Conferenza si colloca patrimonio, alla promozione dell’identità culturale.
all’interno di un dibattito da tempo in corso presso le maggiori
istituzioni comunitarie. A tale proposito, la Commissione europea, Questo il punto di partenza.
50
FATTI // Dossier di DG Cinema e ANICA
PROGRAMMA DELLA CONFERENZA
AUDIOVISUAL MARKET AND REGULATION: AN INDUSTRY AT A CROSSROADS
Apertura della Conferenza
Nicola Borrelli, Direttore Generale per il Cinema - Ministero dei Beni e delle Attività Culturali
e del Turismo / Presidente AVWP
Sessione 1: I NUOVI MODELLI DI BUSINESS IN UN MERCATO AUDIOVISIVO IN EVOLUZIONE
Presiede la sessione
• Alberto Pasquale, Professore a contratto di Economia e Organizzazione dello Spettacolo, Università
degli Studi di Roma “La Sapienza”
Esperti
•A
ndré Lange, Head of the Department for Information on Markets and Financing, Osservatorio
Europeo dell’Audiovisivo
• Michael Gubbins, Partner Sampomedia
• Thomas Paris, Professore presso HEC, Parigi
Relatori
• Marco Chimenz, Vice Presidente, European Producers Club
• Christopher Dodd, Amministratore Delegato, MPAA Motion Picture Association of America
• Maria Ferreras, Director Partnership, YouTube
• John Higgins, Direttore Generale, DIGITALEUROPE
• Lucia Recalde Langarica, Head of Unit Creative Europe Media Sub-programme, Direzione Generale
Istruzione e Cultura (DG EAC) - Commissione europea
• Christoph Schneider, Managing Director, Amazon Instant Video Deutschland
• David Wheeldon, Director of Policy and Public affairs, BSkyB
Rapporteur
• Mario La Torre, Professore Ordinario di Economia degli intermediari finanziari, Università degli Studi
di Roma “La Sapienza”
• Bruno Zambardino, Professore a contratto di Economia del Cinema e della Televisione,
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Sessione 2: SUPPORTO PUBBLICO E QUADRO REGOLATORIO
Presiede la sessione
• Maja Cappello, Head of the Department for Legal Information, Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo
Keynote Speech
• Silvia Costa, Presidente Commissione Cultura ed Istruzione del Parlamento europeo
Esperti
• Jonathan Olsberg, Presidente, Olsberg SPI
• Eugenio Prosperetti, Professore di Competition Law & Policy, Università di Siena
Relatori
• Charlotte Appelgren, Segretario Generale, Cineregio
• Ross Biggam, Direttore Generale ACT, Association of Commercial Television in Europe
• Lorena Boix Alonso, Head of Unit Converging media and content, Direzione Generale Reti
di Comunicazione, Contenuti e Tecnologie (DG Connect) - Commissione Europea
• Cécile Despringre, Executive Director, SAA - Society of Audiovisual Authors
• Emmanuel Gabla, Commissioner for European Affairs, CSA / Representative of European Regulators
Group for Audiovisual Media Services (ERGA) Presidency
• Annika Nyberg Frankenhaeuser, Head of Media Department, EBU - European Broadcasting Union
Rapporteur
• Ernesto Apa, Avvocato - Partner, Studio Portolano Cavallo
• Roberto Mastroianni, Professore Ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università di Napoli,
“Federico II”
Focus: La prospettiva italiana
Intervento di apertura/
Rapporteur
• Nicola Borrelli, Direttore Generale per il Cinema - Ministero dei Beni e delle Attività Culturali
e del Turismo / Presidente AVWP
Relatori
• Rodolfo De Laurentiis, Presidente, Confindustria Radio Televisioni
• Marco Follini, Presidente, Associazione Produttori Televisivi, APT
• Antonio Marano, Vice Direttore Generale, RAI - Radio Televisione Italiana
• Gina Nieri, Consigliere di Amministrazione, Mediaset
• Luca Sanfilippo, Executive Vice President and General Counsel, Sky Italia
• Riccardo Tozzi, Presidente, Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive
e multimediali, ANICA
Intervento di chiusura
• Antonio Nicita, Professore di Economia Politica, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”/
Commissario, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, AGCom
51
FATTI // Dossier di DG Cinema e ANICA
Sessione 3: PROSPETTIVE FUTURE E DIBATTITO
Presiede il dibattito
• Antonello Giacomelli, Sottosegretario di Stato al Ministero dello Sviluppo Economico
Report Sessione 1
Introduzione
• Alberto Pasquale, Professore a contratto di Economia e Organizzazione dello Spettacolo,
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Report
• Mario La Torre, Professore Ordinario di Economia degli intermediari finanziari, Università di Roma
“La Sapienza”
• Bruno Zambardino, Professore a contratto di Economia del Cinema e della Televisione, Università
di Roma, “La Sapienza”
Report Sessione 2
Introduzione
•M
aja Cappello, Head of the Department for Legal Information, Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo
Report
• Ernesto Apa, Avvocato - Partner, Studio Portolano Cavallo
• Roberto Mastroianni, Professore Ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università di Napoli, “Federico II”
• Nicola Borrelli, Direttore Generale per il Cinema - Ministero dei Beni e delle Attività Culturali
e del Turismo /Presidente AVWP
CAC / AudioVisual Working Party - Comunicazione della Presidenza
•N
icola Borrelli, Presidente AVWP/Direttore Generale per il Cinema - Ministero dei Beni e delle Attività
Culturali e del Turismo
European Film Forum
•E
mmanuel Joly, Principal administrator, Direzione Generale Istruzione e Cultura (DG EAC) Commissione europea
Dibattito aperto
•D
elegati dei 28 Stati Membri dell’Unione europea, rappresentanti della Commissione europea
e del Consiglio dell’Unione europea.
Discorso di chiusura
• Dario Franceschini, Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
NUOVI MODELLI DI BUSINESS
NELLA PRODUZIONE E
DISTRIBUZIONE DELLE OPERE
La Conferenza si poneva quindi
come obiettivo immediato quello di promuovere una discussione attiva e ad ampio raggio tra i
delegati degli organi competenti
in materia di tutti gli Stati Membri dell’Unione europea, sui
nuovi modelli di business nella
produzione e nella distribuzione
delle opere e sulla necessità di
assicurare un level playing field
per tutti gli attori dell’industria
audiovisiva, siano essi fornitori
di contenuti, operatori di rete o
anche “Over-the-top” player. Tenendo in considerazione il ruolo
e la voce degli autori e dei produttori dei contenuti audiovisivi,
rappresentati dalle loro associazioni europee.
Oltre ad un dibattito aperto tra
i delegati degli Stati Membri, la
Conferenza ha accolto le posizioni di alcuni tra i maggiori esperti
e studiosi del settore, oltre all’esperienza e al punto di vista dei
più importanti stakeholders dei
media e del mercato audiovisivo
e di numerosi rappresentanti di
istituzioni sovranazionali.
e delle conseguenti trasformazioni nelle modalità di consumo
del prodotto da parte dell’utente
finale, ha visto espandersi il suo
perimetro in modo straordinario
negli ultimi anni. L’analisi si è focalizzata su come il processo di
digitalizzazione e la convergenza
delle piattaforme di distribuzione stiano generando un nuovo
contesto per l’intera catena del
valore e per lo sviluppo di nuovi
modelli di business. Le testimonianze di alcuni rappresentanti
dei cosiddetti OTT (Youtube,
Amazon) hanno offerto l’inedito
punto di vista di quelli che sono
destinati a essere il vero motore
nella distribuzione dei contenuti
audiovisivi del futuro.
La promozione di un dibattito di
livello europeo su questi temi è
stato il vero valore aggiunto della
Conferenza, che ha permesso di
offrire spunti inediti e informazioni di respiro largo e internazionale
su temi spesso citati solo in sedi
nazionali, evidenziando un chiaro
impegno di tutti i partecipanti a
elaborare riflessioni in un’ottica
La seconda sessione di lavoro,
di interesse comunitario.
intitolata “Supporto pubblico e
La prima sessione di lavoro, in- quadro regolatorio”, ha visto intitolata “I nuovi modelli di busi- vece la risposta delle istituzioni
ness in un mercato audiovisivo europee, proponendo un excurin evoluzione”, è stata dedicata sus su punti di vista e politiche
Il tema è stato esplorato da due al mercato audiovisivo interna- di intervento in corso di analisi,
differenti prospettive: il mercato zionale, che alla luce delle evo- alla luce dei modelli di business
luzioni tecnologiche ormai note emergenti e dell’impatto econoe la normativa.
52
mico dei nuovi players. Partendo
dal presupposto che l’obiettivo
primario della politica dell’Unione europea è quello di raggiungere un pubblico più vasto per le
opere audiovisive europee, sono
stati in particolare due gli aspetti
sottoposti a dibattito: l’adattamento del supporto pubblico
alle nuove dinamiche di mercato
e l’aggiornamento del quadro
normativo in un’ottica di complementarietà fra livello sovrana
zionale, nazionale e regionale.
La terza sessione di lavoro, a
valle delle prime due, ha visto un
confronto attivo sulle tematiche e
le proposte emerse, che ha visto
il coinvolgimento dei 22 delegati
degli Stati Membri, di un delegato di un paese europeo non
membro e dei rappresentanti
della Commissione europea e del
Consiglio dell’Unione Europea.
FATTI // Dossier di DG Cinema e ANICA
DIRETTIVA 2010/13/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO
del 10 marzo 2010
relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative
degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi
(Direttiva sui servizi di media audiovisivi)
SERVIZI LINEARI VS SERVIZI NON LINEARI:
ALCUNI ESTRATTI
Considerando (11)
È necessario, per evitare distorsioni della concorrenza, rafforzare la certezza del diritto, contribuire al completamento
del mercato interno e facilitare la realizzazione di uno spazio unico dell’informazione, applicare almeno un complesso minimo di norme coordinate a tutti i servizi di media
audiovisivi, sia ai servizi di radiodiffusione televisiva (cioè
ai servizi di media audiovisivi lineari) che ai servizi di media
audiovisivi a richiesta (cioè ai servizi di media audiovisivi
non lineari).
Considerando (24)
La caratteristica dei servizi di media audiovisivi a richiesta
è di essere comparabili ai servizi televisivi, vale a dire che
essi sono in concorrenza per il medesimo pubblico delle trasmissioni televisive e, date la natura e le modalità di accesso al servizio, l’utente sarebbe ragionevolmente portato ad
attendersi una tutela normativa nell’ambito della presente
direttiva. In considerazione di ciò e al fine di impedire disparità riguardo alla libera circolazione e alla concorrenza,
il concetto di programma dovrebbe essere interpretato in
maniera dinamica per tener conto degli sviluppi della radiodiffusione televisiva.
Articolo 13
1. Gli Stati membri assicurano che i servizi di media audiovisivi a richiesta forniti da un fornitore di servizi di media
soggetto alla loro giurisdizione promuovano, ove possibile
e con i mezzi adeguati, la produzione di opere europee e
l’accesso alle stesse. La promozione potrebbe riguardare,
fra l’altro, il contributo finanziario che tali servizi apportano
alla produzione di opere europee e all’acquisizione di diritti
sulle stesse o la percentuale e/o il rilievo delle opere europee nel catalogo dei programmi offerti dal servizio di media
audiovisivi a richiesta.
PRINCIPIO DEL PAESE DI ORIGINE: ALCUNI ESTRATTI
Articolo 2
1. Ciascuno Stato membro provvede affinché tutti i servizi di
media audiovisivi trasmessi da fornitori di servizi di media
soggetti alla sua giurisdizione rispettino le norme dell’ordinamento giuridico applicabili ai servizi di media audiovisivi
destinati al pubblico nello Stato membro in questione.
[…]
3. Ai fini della presente direttiva un fornitore di servizi di
media si considera stabilito in uno Stato membro nei
casi seguenti:
a) il fornitore di servizi di media ha la sua sede principale in
tale Stato membro e le decisioni editoriali sul servizio di
media audiovisivo sono prese sul suo territorio;
b) se un fornitore di servizi di media ha la sede principale
in uno Stato membro ma le decisioni editoriali sul servizio di media audiovisivo sono prese in un altro Stato
membro, detto fornitore si considera stabilito nello Stato
membro in cui opera una parte significativa degli addetti
allo svolgimento dell’attività di servizio di media audiovisivo. Se una parte significativa degli addetti allo svolgimento dell’attività di servizio di media audiovisivo opera
in ciascuno di tali Stati membri, il fornitore di servizi di
media si considera stabilito nello Stato membro in cui
si trova la sua sede principale. Se in nessuno di tali Stati membri opera una parte significativa degli addetti allo
svolgimento dell’attività di servizio di media audiovisivo,
il fornitore di servizi di media si considera stabilito nel
primo Stato membro in cui ha iniziato la sua attività nel
rispetto dell’ordinamento giuridico di tale Stato membro,
purché mantenga un legame stabile e effettivo con l’economia di tale Stato membro;
c) se un fornitore di servizi di media ha la sede principale in
uno Stato membro ma le decisioni sul servizio di media
audiovisivo sono prese in un paese terzo, o viceversa, si
considera stabilito in tale Stato membro purché una parte
significativa degli addetti allo svolgimento dell’attività di
servizio di media audiovisivo operi in quello Stato membro.
53
FATTI // Dossier di DG Cinema e ANICA
REVISIONE DELLA DIRETTIVA SERVIZI MEDIA AUDIOVISIVI
Fra i temi intorno ai quali si è maggiormente concentrato il dibattito
va, non sorprendentemente, citato quello relativo a una profonda revisione della regolamentazione europea in materia di sostegno alla
produzione e diffusione di opere audiovisive europee (la Direttiva
2010/13/UE “Servizi Media Audiovisivi” è la fonte normativa di riferimento), che riconosca la funzione attuale e prospettica degli OTT sul
mercato: in quanto distributori di contenuti - generalmente a richiesta
- su piattaforme che raggiungono gli utenti europei, questi soggetti
sono sottoposti alla giurisdizione in vigore nel paese in cui hanno
stabilito la propria sede. Il tema è delicato, se si considera che molti
di questi soggetti hanno la propria sede principale in paesi che non
appartengono all’Unione Europea, o a paesi europei che offrono particolari vantaggi fiscali alle imprese residenti. Come meglio esplicitato
nella scheda di approfondimento, i punti cruciali su cui si sviluppa il
confronto in relazione alla eventuale revisione della Direttiva riguardano due questioni principali:
•
•
Mentre sul primo punto si è trovato facilmente un accordo fra i delegati dei Paesi membri presenti alla Conferenza, sul principio del
paese d’origine il dibattito è stato più acceso: una proposta alternativa sottoposta a dibattito consiste nella sostituzione di questo
principio con quello del “paese di destinazione”, ipotizzando che la
giurisdizione a cui deve rispondere il soggetto erogatore di servizi
audiovisivi debba essere piuttosto quella del Paese in cui viene erogato il servizio.
Molto rilevante, inoltre, è stato un aspetto più volte toccato nella
sessione sulla regolamentazione: la necessità di ricondurre alle medesime regole (assumendo quindi i medesimi principi) i fornitori
di servizi della società dell’informazione (diversi dai servizi media),
attualmente regolati da altra Direttiva (la Direttiva 2000/31/CE “Direttiva sul commercio elettronico”). Quali, ad esempio, i distributori
di contenuti che non svolgano anche funzioni editoriali.
È evidente che l’impatto sul mercato audiovisivo di una eventuale
revisione in questo senso della Direttiva su quest’ultimo tema assumerebbe una notevole rilevanza: colossi come Youtube, Netflix,
l’equiparazione del trattamento riservato ai fornitori di servizi me- Amazon e altri dovrebbero sottostare a vincoli da cui fino ad ora
dia audiovisivi lineari (la televisione di flusso) e ai fornitori di ser- non sono stati toccati. Le ricadute sulle scelte strategiche di questi
vizi a richiesta, ovvero di servizi non lineari (le piattaforme che soggetti sarebbero forse imprevedibili.
offrono contenuti in modalità Video on demand);
il principio del paese di origine, secondo cui, appunto, il soggetto
fornitore di servizi audiovisivi deve rispettare la giurisdizione in
vigore nel paese in cui è stabilita la sua sede principale.
IDENTIFICATE
LE AREE CRITICHE
DEL QUADRO
NORMATIVO EUROPEO
Quanto emerso al termine della Conferenza è confluito in un
documento, presentato al Consiglio EYCS “Istruzione, gioventù,
cultura e sport” (Consiglio dei
Ministri della Cultura dei Paesi
Membri) del 25 novembre 2014
a Bruxelles. Tale documento è
finalizzato ad identificare le aree
critiche del quadro normativo
europeo attualmente in vigore,
suggerendo aggiornamenti ed
eventuali revisioni. L’aggiornamento e la costante attualizzazione della regolamentazione
europea relativa al settore audiovisivo costituiscono una priorità
54
per ogni Stato Membro e per
l’intera Unione Europea. I media
rappresentano infatti lo strumento più efficace per la promozione e la protezione dell’identità culturale europea, per
far fronte in modo efficace alle
nuove sfide della competizione
con altre aree del mondo politicamente ed economicamente
forti o emergenti. Del resto, l’industria della comunicazione è
un settore di fondamentale importanza per il dibattito culturale
su scala globale.
Gli atti della Conferenza, la registrazione video degli interventi e
i materiali presentati dai relatori
sono disponibili sul sito della
Direzione Generale Cinema del
MiBACT:
www.cinema.beniculturali.it/
presidency-audiovisual-conference.aspx
FATTI // Dossier di DG Cinema e ANICA
Il semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea
Il Consiglio dell’Unione europea è una delle principali istituzioni dell’Unione insieme a Parlamento europeo, Consiglio europeo,
Commissione europea, Corte di Giustizia dell’Unione europea, Corte dei Conti europea e Banca centrale europea.
Insieme al Parlamento e alla Commissione, il Consiglio compone il triangolo decisionale con competenze di determinazione delle
politiche comuni. In particolare, alla Commissione spetta l’iniziativa legislativa mentre il Consiglio, in rappresentanza dei governi
dei singoli Stati, e il Parlamento, in rappresentanza dei cittadini dell’Unione, svolgono la funzione legislativa di adozione degli atti
proposti e del bilancio nel quadro della procedura della co-decisione, detta “ordinaria”. Il Consiglio, inoltre, ha il compito di definire
e coordinare le politiche degli Stati.
Il Consiglio dell’Unione europea è anche detto Consiglio dei Ministri perché espressione diretta dei governi degli Stati membri dell’Unione. A farne parte, infatti, sono i vertici dei ministeri che compongono i governi dei vari paesi. La formazione del Consiglio nelle
riunioni varia quindi in funzione delle materie all’ordine del giorno, vedendo avvicendarsi i rappresentanti dei governi responsabili
dei dicasteri sotto cui ricade la gestione della sfera trattata. Ogni Stato delega quindi un rappresentante che coincide con il Ministro
competente per materia.
Allo stato attuale sono previste dieci formazioni del Consiglio:
1. Affari generali
2. Affari esteri
3. Economia e finanza (compreso il bilancio), “ECOFIN”
4. Giustizia e affari interni (compresa la protezione civile), “GAI”
5. Occupazione, politica sociale, salute e consumatori, “EPSCO”
6. Competitività (mercato interno, industria, ricerca e spazio)
7. Trasporti, telecomunicazioni e energia, “TTE”
8. Agricoltura e pesca
9. Ambiente
10.Istruzione, gioventù, cultura e sport (compresi gli audiovisivi)
La presidenza del Consiglio è esercitata dagli Stati membri in turni semestrali. Ogni sei mesi, pertanto, in base al sistema di rotazione paritaria e secondo un ordine adottato dal Consiglio stesso (2007/5/CE, Euratom), i governi dei paesi membri assumono la
presidenza del Consiglio dell’Unione europea. In base alla decisione del Consiglio europeo, inoltre, (2009/881/UE) la presidenza
del Consiglio è esercitata da gruppi predeterminati di tre Stati membri per un periodo di 18 mesi secondo il meccanismo cosiddetto
della troika che prevede il coordinamento fra presidenza in carica, presidenza uscente e presidenza immediatamente successiva.
Durante ciascun semestre, il governo che ha assunto la presidenza presiede le riunioni nell’ambito del Consiglio, ad eccezione della
formazione “Affari esteri” presieduta dall’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
L’Italia ha assunto la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea per il secondo semestre del 2014 dal 1° luglio al 31 dicembre.
Il ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini, presiede la formazione del consiglio “Istruzione, gioventù, cultura e sport” - nell’abbreviazione inglese “EYCS” - nelle riunioni che attengono alle materie di sua competenza. Durante il
semestre, il Consiglio EYCS si riunisce più volte in via informale e in via formale.
Nell’ambito delle competenze del Consiglio EYCS rientrano anche le tematiche inerenti all’audiovisivo. In occasione del semestre,
pertanto, il MiBACT, tramite la sua Direzione competente in materia, la Direzione Generale per il Cinema, presiede il gruppo di lavoro
specializzato sull’audiovisivo, l’Audiovisual Working Party (AVWP) del CAC, il Comitato Affari Culturali. Il CAC è uno degli organi
preparatori del Consiglio, ossia dei comitati altamente specializzati che coadiuvano il Comitato dei Rappresentanti Permanenti dei
governi degli Stati membri dell’Unione europea (“Coreper”), assistiti dal Segretariato Generale del Consiglio.
Il compito del CAC è quello di valutare le proposte in materia di cooperazione culturale, preparando i lavori del Consiglio sulla base
dell’agenda culturale europea e del piano di lavoro triennale. In questo quadro, l’AVWP prepara i lavori del Consiglio in materia di
audiovisivo e quindi in relazione alla discussione sul quadro regolatorio di riferimento, sulle politiche di sostegno al settore, sul monitoraggio e valutazione dei programmi già in atto e sulle questioni relative alla media literacy, alla diffusione dei contenuti creativi e
culturali sul web e all’evoluzione del contesto digitale.
Eventi collaterali ai lavori del semestre sono le conferenze internazionali organizzate dalla presidenza di turno che hanno lo scopo
di approfondire i temi di maggior rilevanza per il settore trattato attraverso un confronto pubblico con gli operatori. Nel semestre
di Presidenza italiana, in materia di audiovisivo, la DG Cinema-MiBACT, oltre a guidare i lavori dell’AVWP, ha quindi organizzato la
conferenza internazionale dal titolo Audiovisual Market and Regulation: an Industry at a Crossroads che si è tenuta a Roma il 23 e 24
ottobre alla presenza dei delegati dei ministeri competenti degli Stati membri e di cui si dà conto in queste pagine.
55
CINEMA ESPANSO
YIDDISH
YIDDISH
YIDDISH
YIDDISH
YIDDISH
YIDDIS
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MOVIE
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MOVIE
MOVIE
MOVIE
di Stefania Miccolis
56
CINEMA ESPANSO
È
il riso della sposa quello
che più emoziona, è quel
riso colmo di pudore e timidezza, dolce, e radioso; il velo
corto sulla testa, un vestito bianco
semplice, un bacio breve e dolcissimo che la imbarazza davanti alla
cinepresa. La sposa è la protagonista di un filmato del 1923, ma è
una protagonista vera non un personaggio inventato, e le immagini
sono quelle girate al suo matrimonio - lei, Iole Campagnano, sposa
il cugino Silvio Della Seta - e non
scene di film, per il quale potrebbe
tranquillamente essere scambiato. Davanti agli occhi la vita quotidiana di una famiglia ebraica,
quella dei Della Seta e Di Segni.
Una delle tante famiglie felici in
un giorno di festa, ancora ignare
di quello che sarebbe avvenuto
di lì a pochi anni. Le scene avanzano, si vede l’intera famiglia al
mare, forse ad Anzio, numerosi
i bambini, le donne vestite sulla
spiaggia; e poi sulla neve, forse
all’Aprica, tutti passano guardando sbalorditi quell’enorme marchingegno di cinepresa a manovella dello zio Salvatore Di Segni
che li sta riprendendo.
La sfera emozionale che questi
spezzoni - 11 rulli su negativo da
35mm - ricoprono, è variegata.
L’emozione del ritrovamento: i negativi erano rimasti chiusi in scatole di cartone nella cucina in casa
della nonna di Claudio Della Seta
e poi erano finiti in casa dello zio.
Non è facile che i nipoti conservino e si interessino a qualcosa di
vecchio, impolverato, sicuramente rovinato, nell’era in cui tutto è
possibile comprare ed è più facile
buttare e non conservare per fare
spazio. Un rischio di rottamazione enorme e una scarsa educazione a mantenere la memoria è
sempre in agguato.
Emozione perché quelle immagini sono riuscite a vivere, a venir
fuori dopo 91 anni di oscurità,
come il treno dei fratelli Lumière.
Immagini in movimento, fotogrammi che nonostante il ma-
teriale altamente infiammabile e
pericoloso, nonostante il tempo
che lo ha sottoposto a inevitabili
deterioramenti, sono state ridate
agli occhi e catapultate nell’era
digitale grazie all’opera di restauro del Centro Sperimentale
di Cinematografia (Csc), sotto
la supervisione di Mario Musumeci, e dall’Istituto centrale per
il restauro archivistico e librario
(Icrcpal), la cui direttrice è Maria Cristina Misiti. Per la digitalizzazione sono state unite una
tecnologia avanzata insieme ad
attrezzature dell’artigianato industriale della CIR (Costruzioni
incollatrici Rapide). Emozione
perché finalmente si pensa a salvare la memoria e a conservare la
nostra storia anche con gli “home
movies”. Questi filmati appartengono a una famiglia ebraica
italiana di prima della guerra,
materiali rarissimi, gli unici in
Italia: lo Yad Vashem (Museo
dell’Olocausto), che alcuni anni
fa ricercò in tutta Europa filmati
riguardanti la vita delle famiglie
ebraiche prima della Shoah, solo
in Italia non riuscì a rintracciare
nulla. Queste immagini sono
indispensabile testimonianza di
un’epoca: in una scena al mare
qualcuno porta “Il Messaggero”
e i membri della famiglia si passano fra loro il giornale col titolo
in prima pagina del 1° settembre
1923 “lo sbarco delle truppe italiane a Corfù” (è stato ingrandito
il fotogramma). E testimoniano
la vita quotidiana e intima di una
famiglia ebraica con determinate
usanze e costumi, abbigliamento
dell’epoca, e in questo caso, uno
stato sociale agiato, sia per i viaggi e le vacanze che si potevano
permettere - mare, montagna,
scampagnate - sia perché, se si
considera che nel 1923 le riprese cinematografiche amatoriali
“home movies” erano agli inizi,
il 35mm in formato professionale
poteva essere appannaggio solo
di pochi e facoltosi appassionati,
e lo zio Salvatore Di Segni era certamente al passo con le tecnologie. Emozione perché alla mente
tornano subito i filmati di Charlie
Chaplin, o di Buster Keaton, o di
Georges Méliès. Per chi ama il cinema, il bianco e nero, il muto,
quel candore dell’antico danno
la palpitazione dei primi albori
del cinema, con quelle persone
dai volti antichi, con quelle strade
(chi è di Perugia riconosce anche
le vie della città in cui i due nonni
si sposano) e i paesaggi di un’epoca che non ci appartiene più.
Si ha nostalgia, si prova melanconia, si assapora qualcosa che
sai tristemente non ci sarà più.
I fotogrammi avanzano veloci,
identici ai film muti e come sonorizzazione di sottofondo si sente
la preziosa raccolta di musica del
bisnonno Di Segni, lasciata all’I-
stituto per i beni sonori e audiovisivi (Icbsa).
Infine emozione perché i bisnonni Samuele Della Seta e Giulia
di Segni presenti nei filmati verranno catturati durante la retata
del 16 ottobre 1943 e deportati
ad Auschwitz e non faranno più
ritorno. E questo colpisce tristemente non solo le famiglie dei
diretti interessati, ma tutti coloro che vivono quei terribili anni
come un’ignominia per l’Italia.
Ecco il valore forse più importante
dei filmati, la presa di coscienza
storico civile collettiva, che servirà a migliorare gli italiani, e soprattutto quelli del futuro. Ora le
bobine originali sono state donate
alla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano e le copie allo Yad
Vashem, al Museo ebraico e alla
Fondazione Museo della Shoah
di Roma. E come una sorpresa,
pare che 30 rulli, di poco successivi, siano stati ritrovati presso
la famiglia a Buenos Aires.
Altre emozioni arriveranno.
57
CINEMA ESPANSO
G
litch. Interferenze tra arte e
cinema in Italia, la seconda mostra voluta dal nuovo comitato scientifico del Pac di
Milano guidato da Massimo Torrigiani, si muove nel segno della
contaminazione tra arte e altri
linguaggi della contemporaneità
e si fregia del piccolo grande primato di collettiva italiana dedicata interamente all’Art Cinema,
un territorio di sovrapposizione
tra arte e film che, negli ultimi
quindici anni e grazie alle più
immediate possibilità produttive e distributive offerte dal web
- YouTube in primis - ha notevolmente esteso i propri confini. Un
tipo di pratica che non va confusa con la videoarte, come ha sottolineato in più occasioni Davide
Giannella, curatore della mostra.
Classe 1980, Giannella ha con-
58
cepito Glitch come una galleria
di film e opere che rendessero
conto del passaggio epocale
vissuto dalla sua stessa generazione, nata sotto l’analogico e
diventata adulta tra la vertigine
del digitale e la catastrofe (in)
filmabile dell’11 settembre. Sotto
il denominatore comune di una
“distorsione” o interferenza - da
qui il termine glitch - che di volta
in volta rivela inaspettate connessioni tra il territorio dell’arte contemporanea e quello del
cinema, le opere dei cinquanta
artisti che figurano in Glitch inseguono uno storytelling lineare
o disturbato - talvolta disturbante - e si negano a una fruizione
puramente contemplativa.
ti riconfigurati come ambienti di
ricerca, di dibattito, di relazione
tra gli stessi artisti e, soprattutto,
di esperienza filmica per il visitatore. Alcune parti del museo, ad
esempio, sono state riconvertite
a mini-sale cinematografiche,
riproducendo ciascuna le condizioni essenziali alla base del
tradizionale moviegoing: la separazione dallo spazio della vita
quotidiana attraverso tendaggi
rossi, pareti nere, oscurità, file
di sedute, proiettori celati magicamente alla vista. Un invito
a riflettere su come, in tempi di
crossmedialità, la sala cinematografica possa essere ancora sede
di esperienza solo in virtù di una
precisa scelta individuale. Ben
64 sono i film proiettati a giorni
In accordo con questo presup- alterni nelle sale, e divisi in due
posto, gli spazi del Pac sono sta- programmi differenti da due ore
ciascuno. Così collocate, le pellicole si prestano a una visione a
puntate, favorita dalla possibilità
di sostituire il biglietto con un
abbonamento che consente più
ingressi alla mostra. Da Yuri Ancarani ad Adrian Paci, da Gianluca e Massimiliano De Serio
ad Anna Franceschini, dai Turbo
Film di Alterazioni Video fino ad
Alice Guareschi, sono innumerevoli i contributi che attestano
quanto differenti possano essere le modalità e i percorsi che
conducono a lavorare fuori dagli
schemi e dai formati tradizionali.
Così, tra i tanti artisti emergenti
formati alla videoarte, può trovare spazio anche una figura di primo piano dell’avanguardia italiana come Paolo Gioli, che declina
il tema della mostra alla luce del
suo Anonimatografo,
CINEMA ESPANSO
IMMAGINI DISSONANTI
di Francesca Monti
Glitch. Interferenze tra arte e cinema in Italia:
collettiva italiana dedicata interamente all’Art Cinema,
in mostra al Pac di Milano fino al 6 gennaio.
59
CINEMA ESPANSO
rianimazione di immagini provenienti da alcuni rulli di pellicola,
acquistati da uno straccivendolo, di un anonimo dei primi del
Novecento.
L’altra area in cui si articola il
progetto espositivo è quella
dedicata alle installazioni: in
questo caso, Giannella ha preferito evitare opere audio-video,
riservando alle sale di proiezione
l’esclusiva sulle immagini in movimento. Rimangono però dei
legami tra le installazioni e i film
dei rispettivi autori. Come nei lavori che Rossella Biscotti dedica
alla figura di Joseph D. Pistone,
ex agente FBI e principale ispirazione del protagonista di Donnie Brasco. Il film del 2008 The
Undercover Man sconfina infatti
in due installazioni basate sul
recupero di materiali d’archivio
originali dell’FBI, che pongono il
visitatore nella condizione di sorvegliante e di sorvegliato. Altre
opere indagano invece il nostro
immaginario cinematografico e
come il nostro pensiero visuale
si sia articolato attorno alla fabbrica dei sogni, come il Tiberio
ricamato di Francesco Vezzoli,
o il progetto del 2010 di Rä Di
Martino No More Stars (Abandoned Movie Set, Star Wars),
che documenta le rovine dei set
abbandonati nel deserto come
fossero i siti di un’archeologia
antichissima. I “quadri cinetici” di Rosa Barba, Color Clocks:
Verticals Lean Occasionally Con-
60
sistently Away from Viewpoints,
sembrano invece provocare la riflessione teorica che ha legato il
cinema al tempo, proponendo il
falso movimento di una pellicola 35 millimetri all’interno di tre
sculture metalliche, in cui questa
va a descrivere una traiettoria
che sfugge sia la linearità che la
circolarità.
La terza parte della mostra, riservata alle performance, segue
lo stesso principio delle installazioni, riassemblando le opere
filmiche di riferimento attraverso
un differente linguaggio. Nella
consapevolezza dell’ambiguità
di queste forme espressive, sospese tra la solidità della materia
e dei dispositivi e l’evanescenza
del movimento. Un andamento
diseguale che caratterizza tutto
il percorso espositivo, a tratti
quasi caotico, ma aderente nello
spirito a una corrente carsica di
artisti e videomaker che si oppone all’eccesso della classificazione onnicomprensiva. Proprio
come dovrebbe essere il cinema,
specie se vicino alla contemporaneità.
CINEMA ESPANSO
PACE FATTA
TRA CINEMA
E TEATRO.
NEL NOME DI GREENAWAY
di Luca Lucini
Goltzius and the Pelican Company sta circolando non
nelle sale cinematografiche ma nei teatri. È una nuova ipotesi
di distribuzione promossa da Lo Scrittoio assieme a Maremosso,
la piccola casa di distribuzione fondata dal regista Luca Lucini,
che ci spiega le motivazioni di una scelta coraggiosa e innovativa.
P
di copie conta spesso più della
qualità, per cui molti prodotti
più di nicchia sono di fatto penalizzati. Sfruttando invece la bellezza del teatro e dei suoi spazi
stiamo cercando di aprire nuove strade. Il primo esperimento
è andato bene: a Milano c’è
A me il film piaceva tantissimo, stato il tutto esaurito la prima
provavo un vero dispiacere non settimana, e anche a Napoli,
rispetto alle aspettative, il risulvedendolo distribuito.
Così abbiamo cercato in tutti i tato è stato più che buono.
modi di costruire qualcosa per
cui si riuscisse a godere di que- Il cinema di Greenaway si basa
sto spettacolo, in cui tra l’altro sulla contaminazione di generi.
c’è tanta Italia: Pippo Delbono, I suoi prodotti sono già un’eFlavio Parenti, il Quintetto Ar- sperienza sensoriale a più livelli
chitorti. Distribuito in lingua ed il teatro è lo spazio più adatoriginale e sottotitolato, per to per fruire di opere di questo
dare una fruizione più coerente, genere. Il film che abbiamo
grazie al Teatro dell’Arte della distribuito è un’esplorazione
Triennale di Milano, all’Argentina di nuovi linguaggi indirizzata
di Roma e al Bellini di Napoli, a un pubblico che è abituato a
siamo riusciti a far partire que- prendersi il tempo necessario
per godere di un’opera in una
sto esperimento.
certa maniera. Il film rielabora
È un nuovo modo di provare a e mescola forme d’arte di sointercettare un pubblico che in lito estranee al cinema: archisala avrebbe più difficoltà, un po’ tettura, pittura, retorica, danza,
per l’eccesso di offerta (10 film musica… è come una lezione
a settimana) e un po’ perché il di storia delle arti fatta utilizlancio pubblicitario e il numero zando il linguaggio del cinema.
resentato al Festival del Cinema di Roma l’anno scorso, il film di Greenaway
non aveva trovato mercato in
Italia. Un certo tipo di cinema,
nel nostro Paese, fatica molto ad
avere successo in sala.
Abbiamo già un altro progetto di
distribuzione a teatro, c’è interesse e vogliamo continuare questa sperimentazione. È l’inizio di
un nuovo percorso. In questo
momento lo scopo è far circolare dei film che diversamente in
Italia non avrebbero vita, ma la
speranza è che nel futuro diventi
una scelta editoriale e distributiva ben precisa, una modalità di
circuitazione che funzioni anche
per numeri più importanti.
Certo non tutti i film sono adatti
ad essere distribuiti in teatro, ma
se si crea una cultura visiva differente, grazie anche alla tecnologia, allora davvero il teatro è già
pronto ad affiancare il cinema e
ad aiutarlo nel campo in cui questo ora è più debole, cioè quello
della distribuzione.
È la pace tra il cinema e il teatro: e il pubblico c’è, risponde.
Anche i giovani sono attratti e
interessati. Forse perché sono
più sensibili alla cultura delle
contaminazioni.
(testo raccolto da Sara Giudice)
61
CINEMA ESPANSO
Viaggio
nell’avanguardia
americana
di Giulio Bursi
P
iù citato che letto, Expanded Cinema di Gene Youngblood è negli anni diventato uno dei capisaldi teorici per
i film studies, gli studi sui new
media e l’intermedia art, così
come uno dei must-read per
ogni appassionato dei rapporti
tra cinema, video, arte, media
e tecnologia. Senza ombra di
dubbio, il volume, pubblicato
dall’americana E. P. Dutton &
Co nel 1970, rappresenta uno
dei contributi più importanti per
comprendere l’avanguardia filmica americana del dopoguerra,
il rapporto fra cinema sperimentale e video, e le trasformazioni
dei dispositivi di visione a cavallo di un decennio di cambiamenti decisivi come furono i ’70.
Nonostante gli enormi sviluppi
nei media studies, ancora oggi il
libro di Youngblood si trova senza sostanziali eredi, ed è circondato da un’aura mitica. Ma cosa
rimane oggi, a distanza di quasi
quarantacinque anni dall’uscita,
di questo imprescindibile contributo sulla storia dei media?
Prima di tutto la sua natura di
“strumento”, e la sua importanza “documentaria”. Ricordiamo
che, se pur ampliato, aggiornato, e in gran parte riscritto,
62
Expanded Cinema è prima di
tutto l’insieme degli articoli apparsi nella rubrica Intermedia del
giovane giornalista Youngblood
per l’indipendente “Los Angeles
Free Press” dal 1967 al 1969, e
ha quindi una natura di diario di
viaggio nella scena d’avanguardia e sperimentale americana.
Il teorico e critico losangelino ha
infatti frequentato, e per diversi
anni, gli spazi off, i teatri di posa
e i laboratori più all’avanguardia
delle due coste, conoscendo di
persona registi, tecnici e artisti, e
partecipando a una serie di show
tra cui i primi spettacoli intermedia della storia, per poi ampliare
la ricerca attraverso una capillare raccolta di documentazione
spesso fornita dai protagonisti
stessi, e presente copiosamente nel libro. In questo senso, la
resistenza di alcuni dei suoi esegeti ad inserirlo nell’orizzonte di
matrice sottoculturale a cui appartiene è quantomeno indice di
una lettura distratta. Pur coi suoi
limiti storici (ad esempio non
rilevare il decisivo valore dei sistemi di multivisione industriali
sviluppati per fiere ed esposizioni universali, sia prima che dopo
la seconda guerra mondiale), se
vogliamo che questo libro abbia
Il
testo-culto
Youngblood,
Anni
ha
’70
dagli
studiosi
italiana:
tradotta
Fadda,
Giuseppe
visive
-
un’edizione
ottimamente
da
Simonetta
l’aiuto
Baresi,
risulta
un
cineasta
come
graficamente
poco
dell’autore
più
anche
con
però
e
troppo
italiani
arti
finalmente
di
-
conosciuto
di
Gene
pubblicato
negli
poco
di
rispettosa
originale
iconograficamente
povera
pubblicazione
della
prima
statunitense.
CINEMA ESPANSO
ancora un’importanza, un motivo di essere letto, tradito e ripubblicato, sarebbe utile accompagnarlo, offrendo al lettore una
chiave di lettura storico-filologica
seria e puntuale. Inoltre, per non
far sembrare Expanded Cinema
“antico” e “fuori scala”, la sua
lettura andrebbe presentata in
quanto narrazione, alla stregua
del Film Journal di Mekas, non
assecondando troppo l’ambizione tipica dei ‘60 di unire più o
meno organicamente McLuhan,
il post-umanesimo, l’ecologismo
di matrice buckminsterfulleriana,
l’intermedialità, le “reti”, la sinestesia, i computer, l’espansione e
il ripensamento/riconfigurazione
del soggetto umano. Andrebbe
messo in chiaro che Expanded
Cinema non è solo un libro teorico, un saggio per certi versi anticipatore di molte tendenze, ma
anche e soprattutto un libro utile, in quanto lungo report sulla
“scena” della seconda avanguardia filmica americana, resoconto
di esperienze visive che hanno
incrociato storicamente l’inglobamento dell’happening nelle
forme dell’intermedialità filmica
attraverso la danza, la musica
live (free jazz, elettronica, microtonale, noise, sperimentazione), il video, il computer. Le sue
pagine sono un archivio pressoché inesauribile di possibili
riscoperte puntualmente attuate
dai curatori, storici e musei più
attenti (pensiamo a Jordan Belson, ai fratelli Whitney, a Stan
VanDerBeek, USCO, Jackie Cassen e Rudi Stern, il recentemente scomparso Jud Yalkut o Aldo
Tambellini), e che pochissimi
studiosi e appassionati italiani
conoscono. In un senso sicuramente opposto a queste nostre
riflessioni va l’edizione italiana,
recentemente uscita per i tipi di
Clueb e ottimamente tradotta da
Simonetta Fadda con l’aiuto di un
cineasta come Giuseppe Baresi.
Se da una parte va encomiata,
senza mezzi termini, l’idea di
Pierluigi Capucci (direttore della
collana Clueb Mediaversi e autore dell’introduzione) e Francesco
Monico (autore di un Glossario
in chiusura del volume e di una
lunga nota all’edizione italiana),
occorre altresì lamentarsi del
pessimo impianto grafico, che
riflette la supponenza editoriale
(tutta italiana) di un progetto in
cui al centro di un’imbarazzante
copertina, in bella vista, stanno
i nomi dei “curatori”, ovvero i
docenti che faranno vendere a
Clueb il volume, e dall’altra (in
alto, seminascosto), il nome del
povero Youngblood, già asfissiato
da prefazioni, postfazioni, glossari e note. Oltre alla copertina va
segnalato un apparato iconografico interno che riprende decine
e decine di immagini presenti nel
testo originale in una risoluzione
addirittura peggiore rispetto alla
prima edizione del 1970 (come
se una ricerca iconografica, e magari un aggiornamento a colori
di molte delle immagini dei film,
oggi tutte facilmente reperibili,
fosse un compito non spettante
ad una casa editrice seria nell’era
digitale). A chiudere - simbolicamente - il volume, le bio dei due
“curatori” e del “glossarista”, che
dimenticandosi del gesto, umile
e utile, di fornire ai lettori italiani
uno strumento indispensabile
come l’indice degli autori citati,
dei film e delle opere (peraltro presente nell’edizione originale), preferiscono ribadire la forte vicinanza al detto di Bianciardi… “come si
sa, tradurre è un po’ tradire”.
63
NEL MONDO
IVANO & JESSICA, A BUSAN
DIARIO DI BORDO
DAL 19° BUSAN
INTERNATIONAL
FILM FESTIVAL
di Ivano De Matteo
2 ottobre
Parto per Busan con un volo notturno della Korean Air. Sono un
po’ stanco dopo il tour de force
veneziano e la promozione del
film in giro per l’Italia, crollo subito e riesco a dormire per tutto il
volo, non tocco nemmeno il cibo
che mi hanno portato! Una volta
arrivato a Seoul devo aspettare
la coincidenza per Busan, che si
trova nella Corea del Sud ed è la
seconda città del Paese.
Finalmente arrivo a destinazione,
la mia stanza si trova proprio di
fronte all’oceano. Dalla finestra
vedo un palco sulla spiaggia con
molte luci e musica e una folla
in visibilio. Non ho cenato e decido, nonostante sia già tardi, di
raggiungere altre persone della
delegazione italiana alla festa di
inaugurazione del Festival, in un
grande albergo vicino. Ho perso
l’elegante red carpet perché sono
arrivato troppo tardi, ma mi dicono che c’era Asia Argento, qui da
ieri, in rappresentanza dell’Italia.
C’è gente di ogni nazionalità e da
subito entro nel “girone” delle feste. Subito conosco Paola Bellusci, volitiva e bravissima direttrice dell’ICE di Seoul, i rappresentati di European Film Promotion,
che si prenderanno cura di me e
del mio film assieme a Luce Cinecittà qui a Busan, e il direttore
del Festival Lee Yong-kwan, con
cui scambio una serie di inchini
(come tutti qui).
64
NEL MONDO
3 ottobre 5 ottobre 6 ottobre 7 ottobre
A pranzo mi portano nella “food
court” sotto il centro commerciale Centum City (secondo il
Guinnes dei primati il più grande
del mondo) dove tra un paio di
giorni ci sarà la mia proiezione,
in una sala con lo schermo più
grande dell’Asia (di 27 metri):
non vedo l’ora di vederlo! Nel
pomeriggio vedo dalla mia finestra un incontro sul palco della
spiaggia di cui è protagonista
Asia Argento, accolta da centinaia di giovani coreani, e mi dicono
che il giorno dopo sul quel palco
ci salirò anch’io…
La sera posso abbracciare Asia,
con cui ho recitato parecchi anni
fa in uno dei miei primi film da
attore (Le amiche del cuore, ndr),
alla fine della sua proiezione che
è andata molto bene.
4 ottobre
Nel pomeriggio abbiamo un incontro informale con la quindicina di registi ospitati da European
Film Promotion, ci presentiamo
e io inizio subito a parlare con
un regista sloveno che era come
me a Venezia, molto simpatico
e che parla italiano. Dopo poco,
ci scortano verso il palco sulla
spiaggia: con nostra grande sorpresa, anche noi siamo accolti
da una folla di giovani ragazzi
cinefili che ci accolgono come
veri divi! Come mi confermeranno le reazioni e le domande che
mi faranno durante l’incontro
al termine della mia proiezione,
mi rendo conto che qui in Corea c’è una grande attenzione al
lontano cinema europeo e una
“fame” culturale davvero entusiasmante…
Sul palco ognuno di noi deve
presentarsi, e io per “ingraziarmi” il pubblico racconto che il
mio legame con la Corea nasce
dal fatto che mio padre è stato
un insegnante di Taekwondo,
l’arte marziale coreana per eccellenza, e… dal fatto che possiedo
uno scooter Kymco.
La mattina andiamo a visitare un
meraviglioso tempio, che deve
essere molto famoso perché c’è
una moltitudine di gente locale in
visita. Sulla strada del ritorno mi
offrono da bere una sorta di “spremuta” di radici, in realtà è molto
buona ed energetica. Nel pomeriggio facciamo un salto all’Asian
Film Market, dove incontriamo
Catia Rossi di Rai Com, che è qui
per vendere il mio film ai distributori orientali (ci è già riuscita con
Taiwan!): mi presenta un distributore turco, anche lui ha comprato
il mio film. Ci facciamo una foto
abbracciati ed è molto simpatico.
Finalmente alle 20 c’è la mia prima
proiezione, in una sala grande (più
di 400 posti) e con lo schermo
strabiliante… non posso perdere
l’opportunità di vedere I nostri ragazzi qui, è davvero emozionante. Alla fine, durante l’incontro
con il pubblico, mi fanno delle
domande profonde, scavano
nel mio rapporto con gli attori,
con la storia, soprattutto sul finale del film che lascia aperte tante
emozioni… Ho notato una grande
attenzione. Infine faccio una foto
circondato da questi stupendi
ragazzi coreani. Subito dopo io
e la delegazione italiana raggiungiamo la festa dell’Asian Film
Market, che si tiene proprio nel
giardino del nostro hotel: conosco
molti selezionatori e direttori di
festival, distributori internazionali, e parlo con Soue Won-Rhee, la
programmer del Festival che ha
selezionato il mio film per Busan.
Siamo gli ultimi ad andare via.
Alle 17 andiamo ad un cocktail,
l’evento finale per noi registi di
EFP, e tutti insieme facciamo
una foto con il direttore, che
avevo conosciuto il primo giorno. Conosco anche un regista
colombiano che sarebbe interessato a fare un film tratto da
The Dinner, il libro olandese a
cui mi sono ispirato per il mio
I nostri ragazzi. Glielo consiglio
vivamente.
La sera vorremmo andare all’ennesima festa, questa volta tedesca, ma il jet lag ha la meglio
sulla mondanità.
Alle 13 c’è la seconda proiezione del mio film: anche questa è
strapiena, ha grande successo.
Ho dimenticato di dire che la
ragazza coreana che mi fa da
interprete, Jessica, parla con un
forte e divertente accento fiorentino, ma soprattutto insieme
sembriamo una gag di un film di
Verdone…”Ivano e Jessica”!
La sera si chiude in bellezza con
la reception italiana, organizzata dall’Ice di Seoul: c’è anche
l’Ambasciatore Mercuri venuto
espressamente dalla capitale,
mentre io, come unico rappresentante della delegazione artistica, sono la star della serata.
Tra un piatto di spaghetti e di
melanzane alla parmigiana (buoni) conosco un po’ di distributori
coreani e cinesi, e li presento alla
mia “venditrice” Catia: alla fine
di questa lunga settimana raccolgo i frutti della partecipazione
a così tante feste.
8 ottobre
La sveglia suona prestissimo,
poco prima alle 5: sono felice di
tornare dalla mia famiglia ma
anche di aver partecipato a questo Festival lontano.
(a cura di Rossella Rinaldi)
Luigi Sassoon (Cesare Zavattini)
Film veloce ed esatto
da “Cinema Illustrazione”, 1933.
L
a seduzione tra il cinema e il corpo condenserebbe fatalmente il paradigma germinale (ed essenziale) di un nuovo inizio, nel quadro di una storia
delle immagini volta agli effetti di realtà. Il dispositivo
cinematografico novecentesco dischiude qui la sua sfavillante precisione tecnico-scientifica, insieme alle prodigiose micro/macroscopiche gittate delle sue ottiche,
ma svela anche le sue caliginose ambiguità, insolvibili
tra documento e fantasia, realismo e astrattismo, senza
evocare poi quelle tra carne e celluloide, pelle e pellicola. A fornirne una lettura singolare, sebbene non precoce, è proprio chi, della ricerca del reale nel cinema,
ha fatto la chiave di volta di quella che è passata per
la rivoluzione del cinema moderno: Cesare Zavattini,
penna di De Sica e teorico della camera pedinatrice del
Neorealismo cinematografico. Film veloce ed esatto è
pubblicato nel 1933 sulla rivista mensile “Cinema Illustrazione”, dove di lì a poco il giovane Zavattini, redattore e correttore di bozze, avrebbe sostituito il direttore
Giuseppe Marotta. Nascosto dall’abituale pseudonimo
di Luigi Sassoon, dà testimonianza - più che una lettura critica - della visione stupefatta di un film chirurgico
(parrebbe trattarsi dell’estrazione di un calcolo: “una
specie di ciottolo informe”). Solo un paio d’anni dopo,
Ernesto Cauda dedicherà al cinema scientifico un contributo fondamentale e sistematico (per quanto pragmatico), che fin dal titolo consacrava il cinematografo al
servizio della scienza; ma la testimonianza di Zavattini ci
offre spunti del tutto diversi.
Del film non si dice nulla: nessun titolo, nessun nome,
tanto che vien da prenderlo quasi come un modello
archetipico. E tuttavia è l’anonimato ad attrarre immediatamente l’entusiasta spettatore: posta a perpendicolo sul paziente supino, la macchina da presa “non ha
bisogno dell’operatore perché funzionerà automatica
IN QUESTO NUMERO UN ARTICOLO ESTRATTO DALLA RIVISTA
CINEMA
ILLUSTRAZIONE
del 6 giugno 1933
articolo a firma di Luigi Sassoon (Cesare Zavattini)
mente”; e poco prima, le battute d’apertura descrivevano una sorta d’inviolabile panottico cristallino: “una
stanza dalle pareti di vetro (…) Sembra di essere, quando s’è là dentro, nella vetrina di un museo scientifico”.
Non c’è intromissione, non c’è trucco alcuno a corrompere la scena, “visioni nette, di una precisione, alle volte, sconcertante”: un dispositivo perfetto per una restituzione “esatta”. La testimonianza non ci rende però
solo un asettico documentario, la descrizione si carica
di fascino e fantasia: i medici - coperti da camici e mascherine - sono “bianchi fantasmi”, le mani - inguainate di nero latex - sono “macchine infallibili” e il torso
del paziente “un paesaggio desolato”. In un climax
precisissimo (carico di suspense, dove solo alla fine è
svelata la natura del film), l’operazione diventa prima
un’appassionante dramma e quindi un’elegante visione astratta, dove la progressiva focalizzazione sull’area
dell’incisione chirurgica esclude l’occasione contingente ed eleva le forme a un’attraente coreografia.
di Andrea Mariani
di Angela Prudenzi
69.700 km2
4.935.880
70,8/km2
Tbilisi
Lari
Georgiano (71%)
Repubblica semi presidenziale
SUPERFICIE
POPOLAZIONE
DENSITÀ
CAPITALE
VALUTA
LINGUA UFFICIALE
FORMA DI GOVERNO
FOCUS // Dove il cinema sta meglio
I
l primo film georgiano, Il viaggio di Akaky Tsereteli lungo la
Racha e la Lechkhuma di Vasily Amashukeli, girato nel 1912,
assieme a African Hunt e One
Hundred Years of Mormonism, è
considerato uno dei primi documentari lunghi in assoluto. L’interesse del film, primati a parte,
risiede però nel fatto che immor-
di Alaverdoba di Giorgi Shenghelaya, vero e proprio manifesto
poetico della nuova onda georgiana. A Shenghelaya si affiancano subito altri autori quali Otar
Iosseliani, Tengiz Abuladze, Rezo
Chkheidze, Lana Gogoberidze,
Irakli Kvirikadze. I loro film sono la
prova di come si possa mostrare
la situazione nazionale eluden-
UN CINEMA PATRIOT TICO
tala uno dei tanti viaggi effettuati
dal poeta Tsereteli, vissuto tra il
1840 e il 1915, riferimento politico oltre che culturale per l’intero
popolo georgiano. Fu infatti tra
coloro che introdussero il concetto di “patria” in senso nazionalistico, motivo per cui ancora
oggi la sua opera è molto amata
e rispettata. Il viaggio di Akaky
Tsereteli era, e resta, un inno alla
libertà e all’indipendenza. Parole che tornano con prepotenza
ogni volta che si parla di cinema
georgiano, da sempre influenzato dalle vicende del Paese.
Libertà e indipendenza, dunque
e non a caso, perché la storia
della Georgia è marcata da una
ininterrotta colonizzazione durata dal 1700 al 1991. Ininfluente la
breve parentesi di libertà all’indomani della Rivoluzione di Ottobre del 1917, giacché nel 1921 il
Paese è di nuovo annesso all’Unione Sovietica, fin poco dopo
la caduta del Muro di Berlino.
Un periodo in cui gli artisti, nonostante la repressione, la censura, la limitazione della libertà
creativa, non hanno mai smesso
di avere contatti e scambi con la
scena europea e americana. Settanta lunghi anni durante i quali
la cultura, malgrado le spinte
esterne a volerne mutare i tratti,
resta impermeabile a cambiamenti profondi e sostanziali. Lo
spirito georgiano, intriso di visionarietà e ribellione, ha avuto la
meglio nel non far spegnere la
voce di artisti e intellettuali.
Per quanto riguarda il cinema, gli
Anni ’60 sono stati la stagione di
maggior fermento e agitazione. Il
1962 è considerato un anno fondamentale grazie alla produzione
70
do la censura. La chiave viene
trovata nel raccontare la verità in
modo allegorico, affidando la narrazione a un linguaggio poetico e
all’andamento della favola. Nonostante la forma infatti, film come
Pirosmani di Shenghelaya, Foglie
d’autunno (1966) di Otar Iosseliani, La grande valle verde (1967) di
Merab Kokochashvili, Il matrimonio (1964) e Ombrello (1967) di
Mikheil Kobakhidze sono esempi
di un cinema in grado di astrarsi
dalla realtà pur restando fortemente ancorato ad essa. L’universo cinematografico è certamente
metaforico, simbolico, tuttavia
lascia filtrare i problemi nazionali,
i temi sociali e morali, l’importanza dell’individualità, il valore delle
scelte personali.
I fattori poetici ed estetici dei
maestri degli Anni ’60 si sono
riverberati sulle scelte dei registi delle generazioni future che
però, avendo raccolto l’eredità
in un momento di forte disagio
sociale e di perdita di speranze
nel futuro, hanno portato questo
malessere nelle opere prodotte
durante gli Anni ’70 e ‘80. I loro
film riflettono difatti problemi
reali: le difficoltà della vita di tutti i giorni, la violenza, i soprusi
verso i più deboli, l’aggressività
trionfante, la perdita dei valori.
Di conseguenza il cinema da
poetico si fa via via più prosaico.
Una tendenza che dilaga fino a
tutti gli Anni ’80 e che, per quanto possa risultare strano, non si
inverte nemmeno dopo la caduta
del Muro e il ritorno della libertà
nel 1991. Indipendenza momentanea però, perché il Paese si
ritrova subito dopo nel mezzo
di una guerra civile causata da
FOCUS // Dove il cinema sta meglio
dispute etniche e territoriali nonché segnato da una pesantissima
crisi economica. È in questo scenario che molti autori si ritrovano
stabilmente a lavorare fuori dai
confini nazionali, come Dito Tsintsadze in Germania e Otar Ioseliani, Mikheil Kobakhidze e Nana
Jorjadze in Francia. E proprio la
Jorjadze, che nel 1987 aveva vinto la Caméra d’Or a Cannes con
sti, anziché tornare in patria,
avevano continuato la loro attività all’estero. Una situazione
che il Georgian National Film
Center ha contribuito a cambiare, permettendo a nuovi autori
di esprimersi senza bisogno di
espatriare. La cifra annuale a disposizione della struttura per aiutare le produzioni è bassa, circa
1.800.000 euro, ma è pur vero
Robinzonada, o il mio nonno inglese, nel 1996 arriva a una nomination agli Oscar con la coproduzione franco-georgiana.
che i budget medi dei film sono
in linea e ridotto è il numero
delle opere destinate a vedere la
luce ogni stagione. Attualmente
si producono 4 o 5 film di finzione, mentre più alta è la media dei
documentari. Il Georgian National Film Center favorisce lo sviluppo di nuovi progetti, promuove il cinema all’estero, appoggia
gli scambi con altri Paesi e sta
sempre più familiarizzando con
le organizzazioni europee. Una
politica che ha portato il Centro
a essere membro effettivo di Eurimages, Film New Europe ed
European Film Promotion. Passi
fondamentali, benché la Georgia
non faccia parte della Comunità
Europea, che hanno permesso a
molti giovani filmmaker di crescere anche grazie alla partecipazione ai workshop dei progetti
MAIA e EAVE. Un ponte gettato
verso quell’Europa.
Bisogna aspettare il 2003 perché la Georgia, dopo la Rivoluzione delle Rose, sia davvero
indipendente e il cinema possa
finalmente provare a uscire dalla
crisi che lo attanaglia, cercando
nuovi modi e forme di espressione. Un lungo processo che
va di pari passo con la definitiva
ricostruzione del Paese. Di grande importanza per la rinascita è
la fondazione nel 2001 del Georgian National Film Center,
organismo nato per finanziare
e promuovere la produzione
nazionale. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica la cinematografia aveva infatti attraversato un
periodo di enorme sofferenza.
Conseguentemente molti regi-
71
FOCUS // Dove il cinema sta meglio
Le coproduzioni, nell’ottica del
rilancio nazionale e internazionale, sono un obiettivo strategico, di questo è convinta la
direttrice del Georgian National
Film Center Nana Janelidze,
che spiega: “Anche se il nostro
bilancio è la stesso dello scorso
anno, intendiamo aumentare il
finanziamento delle coproduzioni, per noi la coproduzione
è l’unico modo realistico per
raggiungere milioni di spettatori. Inoltre ci aiuterà a unirci alla
grande famiglia cinematografica europea e internazionale. È
stival internazionali, una nuova
generazione di cineasti attenti
ai problemi del Paese e alla sua
storia, e al contempo legati alla
tradizione letteraria, alla pittura
e alle arti in generale; promuovono una rinnovata maniera di fare
cinema che tiene conto dell’estetica dei grandi maestri come
Shenghelaya, Iosseliani e Gogoberidze, ma che non meno ha
fatto propria la lezione dei cineasti più disincantati e ribelli. Sono
autori che in molti casi hanno
conosciuto la sofferenza, l’isolamento, il conflitto territoriale,
fondamentale questo scambio.
Cofinanziamento significa aprire
i nostri confini e siamo pronti ad
accettare le altre culture e a condividere le nostre idee e i problemi con gli altri. Questo processo
porterà alla formazione di una
società unificata, seppur costituita da una polifonia di culture”.
la rinuncia e che anziché essere
frenati dalle difficoltà hanno saputo trovare in esse l’essenza di
una vitalità diventata il filo rosso
di molte opere.
Per invogliare gli investitori stranieri sono stati messi a punto
dei programmi specifici che
comprendono, tra l’altro, la restituzione del 20% del budget
investito, speciali aiuti dalle Film
Commission, benefit per chi
utilizza tecnici e infrastrutture
locali. Il tutto accessibile senza
troppa burocrazia. Investimenti sul definitivo sviluppo della
cinematografia, apertura verso
l’estero e principalmente l’Europa, agevolazioni fiscali per i produttori e aiuti ai filmmaker sono
le chiavi per assecondare il cambiamento. Certamente lento, che
tuttavia da qualche stagione ha
cominciato a dare i suoi frutti.
Nell’ultimo decennio si è imposta con forza, a livello di fe-
72
Si parte spesso dalla Storia, e da
una sua rilettura. Viaggio a Karabach (2005) di Levan Tutberidze,
ad esempio, ripercorre le tensioni tra Georgia, Armenia e Azerbaigian attraverso le vicende di
due giovani di opposte etnie.
The Other Bank (2009) di Giorgi
Ovashvili racconta invece di un
piccolo profugo georgiano che
fugge dall’Abkhazia lasciando il
padre. Diventato adulto torna a
cercarlo e viene accolto da un
abitante del luogo, ignaro della
sua vera identità etnica. In Blind
Dates (2013) di Levan Koguashvili al centro vi sono le disavventure amorose del giovane Sandro,
raccontate con toni da commedia. La leggerezza di fondo facilita le dinamiche di comprensione
a qualsiasi latitudine e proprio
per questo il film, in concorso
al Festival del cinema europeo
di Lecce, ha sedotto la giuria e
FOCUS // Dove il cinema sta meglio
vinto il primo premio. Il tema
dell’accettazione dell’altro torna
invece con prepotenza in Mandarini (2013) di Zaza Urushadze,
presentato con successo all’ultima edizione del Bif&st, dove si è
imposto nella sezione Panorama
internazionale. La vicenda è di
per sé semplice: un mercenario
ceceno e un volontario georgiano si ritrovano a superare la reciproca inimicizia sotto lo sguardo
di un contadino estone. L’uso di
un occhio terzo e di spazi neutri
aiuta a raccontare come superare le conflittualità, a mettere in
le partecipanti ridotte a oggetto e
umiliate nel nome dell’audience.
Divise pur di accaparrarsi il premio finale, 25.000 dollari e un
appartamento, le dieci madri al
momento giusto ritrovano il valore della sorellanza e si ribellano
al sistema. Il tono è agrodolce, la
messa in scena essenziale, eppure il film pone con successo l’accento sui rischi di una società che
uniforma e mercifica gli individui
annientandone le personalità.
Di maggior peso sicuramente In
Bloom (2013) di Nana Ekvtimishvili e Simon Gross, che dopo
primo piano i valori condivisi e
a sottolineare i motivi di unione
anziché di divisione. La visione
tuttavia non è affatto edulcorata,
e non potrebbe essere altrimenti
visto che rappresenta la rivisitazione di traumi vissuti a lungo
dal popolo georgiano.
l’anteprima al Festival di Berlino
ha rastrellato premi ovunque nel
mondo; fotografa con attenzione
le vicende personali delle quattordicenni Natia ed Eka e al contempo la Storia. Ambientato nel
1992, anno che avrebbe dovuto
segnare il raggiungimento della
piena indipendenza dall’Unione
Sovietica, è l’ennesima prova di
quanto il privato possa essere
specchio dei grandi accadimenti,
per ribadire che diventare adulti,
e indipendenti, costringe a pagare un prezzo molto alto.
Molto significativo all’interno del
nuovo cinema georgiano anche
il motivo del ruolo della donna.
Fulcro della società, nei film torna come figura centrale e portatrice di positività. Keep Smiling
(2012) di Rusudan Chockonia,
in anteprima alle Giornate degli
Autori di Venezia e in seguito
selezionato per rappresentare la
Georgia agli Oscar come miglior
film straniero, racconta in chiave
tragicomica le avventure di un
gruppo di donne giovani e meno
giovani chiamate a contendersi in
tv il premio di migliore mamma
georgiana dell’anno. Amori, rancori, delusioni segnano le vite del-
Estremamente vitale il panorama
del documentario. Il racconto legato alla presa diretta della realtà
si è infatti sviluppato con forza
negli ultimi vent’anni, fermando
passo dopo passo la nascita della
democrazia e il suo assestamento. Niente più del cinema del reale ha fotografato la rinascita del
Paese, contribuendo al formarsi
della coscienza sociale e culturale
delle giovani generazioni. Molte
sono le nuove case di produzione
specializzate e già molto attive in
fatto di lavori realizzati con capitali totalmente georgiani o coprodotti. Tra i titoli da segnalare senza dubbio English Teacher (2013)
di Nino Orjonikidze, su un giovane che cerca di realizzare una
singolare rivoluzione linguistica
insegnando l’inglese agli abitanti
in un piccolo villaggio.
E i maestri? Continuano a lavorare e molti a muoversi ancora
tra la Georgia e i Paesi che un
tempo li avevano
visti esuli. Emblematica l’attività di
Iosseliani, che a
80 anni è ancora in
grado di disegnare film di estrema
leggerezza e arguzia. Chantrapas
(2010), sua ultima
fatica, è un’opera a
tal punto autobiografica da parlare
di un giovane regista costretto negli
anni bui e censori
del regime sovietico a emigrare in
Francia pur di realizzare un film.
Resta il problema
che molte delle pellicole girate
hanno difficoltà a essere viste
all’interno del Paese. Gli schermi si sono infatti considerevolmente ridotti e da oltre 120 sono
passati a poco più di 20, di cui
19 totalmente in mano ai privati
che applicano prezzi dei biglietti
troppo alti per gli stipendi medi.
Quella che era un’arte alla portata di tutti è purtroppo diventata
per pochi. Un problema che il
governo sta affrontando, soprattutto nell’ottica di riportare i
giovani in sala strappandoli allo
schermo del computer.
73
FOCUS // Dove il cinema sta meglio
SESSO DEBOLE,
FILM FORTI
di Lela Ochiauri*
L
e registe, in Georgia, ci
sono sempre state, ma
all’inizio del XXI secolo il
loro numero è cresciuto vertiginosamente. Se un tempo c’era un problema di parità, oggi
sembra essere sparito. Anzi, uno
dei segmenti più significativi del
cinema georgiano del presente
è quello dei “female films”, non
solo perché diretti da donne e di
successo, ma perché incentrati
su protagoniste femminili e sulla
la loro vita quotidiana.
Non pensiamo che il cinema delle donne sia una realtà separata
o fuori contesto rispetto al cinema georgiano nel suo complesso. I film realizzati dai due sessi
hanno molti aspetti in comune e
sono parte di uno stesso insieme. Aspetti comuni e tendenze
condivise sono la società che si
confronta con stili di vita diversi e contraddittori; il rapporto
conflittuale con la realtà; il tema
della crisi; le scelte delle giovani
generazioni.
Ma prima di parlare del presente, diamo uno sguardo al passato. La prima cineasta georgiana è
Nutsa Gogoberidze (1902-1966),
autrice nel 1934 di Febbre. Il destino di Nutsa (come per altri
artisti sovietici) fu drammatico.
Una delle sue opere, il documentario Buba (1930), è potuto
tornare alla luce solo 82 anni
dopo, scoperto per caso in un
archivio nel 2012. Questo perché
Nutsa Gogoberidze fu esiliata in
Siberia nel 1937 e trascorse die-
74
ci anni in un gulag solo perché
suo marito Levan Gogoberidze
aveva un ruolo di spicco durante
il periodo bolscevico e quando
la Rivoluzione d’Ottobre iniziò
a divorare i suoi stessi figli, Levan e la sua famiglia divennero
vittime del partito. In quell’epoca
l’arte e le produzioni culturali dei
cosiddetti “nemici del popolo e
della patria” vennero bandite.
Buba non contraddiceva le idee
del Realismo Socialista, tutt’altro. Era un docu-drama nella linea dei Film Culturali, categoria
che comprendeva film educativi
e di propaganda realizzati in
base a un programma specifico
e su larga scala, in questo caso
su Racha, regione montuosa
della Georgia (“Buba” è il nome
di una delle cime della catena),
parlando della natura ma anche
della dura vita degli abitanti e,
metaforicamente, della dura vita
della vecchia Georgia. Mostrare i
contrasti tra il vecchio e il nuovo
era obbligatorio nel cinema sovietico di quei primi anni. Nonostante ciò Nutsa Gogoberidze fu
spedita ai lavori forzati sul fiume
Pechora. Tornata a casa non toccò mai più la macchina da presa. Con la repressione persino i
registi uomini avevano problemi
a realizzare film. Il regime sovietico usava il cinema come arma
ideologica di propaganda e non
tutti potevano far parte di questo
meccanismo. Le donne venivano discriminate, si diceva che la
regia non era un lavoro per loro.
Filo diretto da Tbilisi. Il punto di vista critico.
mi Anni ‘60 (il cosiddetto periodo “ottepel” in cui molte restrizioni vennero mitigate), emerse
un’altra donna, Lana Gogoberidze, figlia di Nutsa, nata nel 1928.
I film di Lana parlavano essenzialmente dei destini femminili,
del ruolo delle donne nella vita
sociale, del loro agire pubblico
o privato in situazioni estreme.
Come è stato spesso sottolineato, attraverso i suoi film si
possono esplorare passioni, interessi ed emozioni dell’essere
umano moderno penetrando nel
suo mondo interiore. Sono titoli
come Sotto la stessa pelle, TrasfiDopo qualche decennio, nei pri- gurazione, Io vedo il sole, Intervi-
ste su problemi personali, Valzer
sul fiume Pechora.
Tra le registe della stessa generazione citiamo Leila Gordeladze (1927-2002), la cui arte spazia tra i generi con commedie e
musical; adattamenti letterati di
testi classici o moderni; biografie
di personaggi contemporanei.
Coetanea è Nana Mchedlidze
che si è dedicata soprattutto a
descrivere la società contemporanea attraverso storie di singoli
personaggi piuttosto che discorsi generali. I suoi film sono
principalmente commedie o
FOCUS // Dove il cinema sta meglio
tragicommedie come The First
Swallow del 1975 che ha ottenuto il Premio speciale della giuria
al Teheran International Film Festival e il Gran Premio e il Fipresci all’Oberhausen International
Sport Film Festival; trasposizioni
di racconti per bambini; film per
l’infanzia; infine film su giovani
che si confrontano con scelte e
dilemmi morali.
A metà degli Anni ’70 e ’80, è
apparsa una nuova generazione di registe georgiane che si
distinguono per lo stile personale, l’impegno civile, i nuovi
interessi e un pensiero artistico
originale. Sono Nana Janelidze e
Nana Jorjadze. Nana Jorjadze ha
attratto l’attenzione fin dal suo
debutto - Trip to Sopot (1980) in cui, per la prima volta nella
storia del cinema sovietico, mostra la vita dei vagabondi, che
non erano considerati membri
della società. In seguito ha continuato ad occuparsi di argomenti “proibiti” e di personaggi
mai apparsi nei film sovietici, ad
esempio aggiungendo dettagli
politici sulla sovietizzazione della Georgia all’interno di una storia romantica nel film Le mille e
una ricetta del cuoco innamorato
con la partecipazione di Pierre
Richard (grazie a cui è divenuta
la prima autrice a realizzare una
coproduzione in Georgia). Nana
Janelidze occupa un posto speciale nella cinematografia georgiana. È stata co-regista del film
più popolare della Perestroika
Pentimento di Tengiz Abuladze.
Il suo film di finzione Lullaby
(1990) si distingue per stile
poetico, estetica romantica e
visione metaforica. Anche i suoi
documentari si caratterizzano
per gli stessi aspetti con la descrizione degli eroi che hanno
creato le tradizioni folcloriche
nazionali condividendo i tragici
destini del paese.
La professione di produttrice è
piuttosto nuova in Georgia. La
nostra storia culturale ha portato a considerarlo un mestiere
non adatto alle donne ma le georgiane si sono distinte anche
qui. Oggi, grazie a una decina
di energiche giovani autrici che
hanno arricchito recentemente il
gruppo delle veterane (ancora attive insieme ai colleghi uomini),
il cinema georgiano è entrato in
una nuova fase. Bisogna notare
che praticamente tutti i filmaker
elencati sopra hanno vinto pre-
mi in festival internazionali. E
tra i film premiati ci sono anche
Smile (2012) di Rusudan Chkonia (anche produttrice), Long
Bright Days (2012-2013) di Nana
Ekvtimishvili (coproduttrice con
Simon Gross) e il documentario
Machine that Vanishes everything
(2011-2012). Altri film di successo sono One Ticket from Dream
Bank (2011) di Ketevan Machavariani; Susa (2010) di Rusudan Pirveli (anche produttrice);
Born in Georgia (2011) di Tamar
Shavgulidze; Brides (2013) della
regista esordiente Tinatin Khajrishvili (che è anche una delle produttrici di maggior successo);
Grenade’s Brother (2013) di Teona Mghvdeladze. E i documentari Bahmaro (2011) di Salome
Jashi; Chechnian Lullaby (2002),
Pipeline Next Door (2005), Durakovo (2008) e Something about
Georgia (2008) - tutti di Nino
Kirtadze (attrice, giornalista, regista, produttrice, premiata in
vari festival internazionali). Così
la generazione emersa all’inizio
del XXI secolo è entrata a pieno
titolo nella cinematografia mondiale raccontando personaggi
che esprimono qualcosa di nuo- (*Doctor of Art Studies, Full Provo e allo stesso tempo questioni fessor, Shota Rustaveli Theatre and
Film Georgia State University).
universali.
75
RICORRENZE
Una delle storie
simbolo dello
spaghetti western
anzi il primo action
movie moderno
compie 50 anni
,,
,,
,
,
.
di Marco Giusti
N
on finiremo mai di stupirci. Lavorando a una
special di Stracult sui
cinquant’anni di Per un pugno
di dollari di Sergio Leone e intervistando quindi attori, tecnici,
amici che ebbero qualcosa a che
vedere con la lavorazione del
film, qualche scoperta l’ho fatta.
Intanto, è venuto fuori un breve backstage, credo sia davvero
l’unico che sia mai stato girato.
È un 8 mm in bianco e nero del
truccatore Rino Carboni, conservato dal figlio Adriano, anche lui
truccatore, che documenta l’inizio della lavorazione con le prime scene a Roma, alla Elios. Si
vedono sia Clint Eastwood che
Gian Maria Volonté che Leone.
Niente di eccezionale, se non
fosse eccezionale il film e totalmente unico il materiale girato
da Carboni, allora giovanissimo
- come gran parte del cast - che
si adoperò da subito per il trucco
del volto tumefatto di Clint Eastwood. E si adoperò anche per
la trasformazione in messicano
di Gian Maria Volontè. Per Carboni, come per Leone, era il primo western. Carboni aveva già
lavorato per i mostri da peplum
nel cinema. Anche per Giovanni
Corradori, che firma come John
Speed gli effetti speciali del film,
era il primo western e il primo
incontro con Leone. Credo che
76
RICORRENZE
Vent’anni dopo. Proprio come i tre moschettieri di
Dumas, anche i tre protagonisti di Il buono, il brutto e il cattivo rivivono ora in un libro (Il buono, il
brutto e il figlio del cattivo, Bompiani 2014) che
riprende la loro chanson de geste esattamente là
dove si era fermato il film di Sergio Leone. L’autore,
Nelson Martinico, è un nom de plume dietro cui si
nasconde un misterioso ex-calciatore nonché poeta
siciliano. Che una volta tanto inverte la tendenza:
dopo tanti film tratti da libri, ecco un libro tratto da
un film. Omaggio un po’ gaglioffo e un po’ nostalgico al mito e alla memoria degli spaghetti western.
(G.C.)
non abbia mai parlato di fronte
a una telecamera. Lo fa quasi
distrattamente davanti alla bacheca che conserva con cura la
pistola con i serpenti intarsiati
nel calcio che aveva Clint Eastwood nel film. Da qualche parte ha
pure il fucile di Gian Maria Volontè che domina la grande scena
finale. “Al cuore, Ramon! Se devi
uccidere un uomo lo devi colpire
al cuore!”. Aveva cercato di regalare le pistole a Clint, ma Clint
non volle. Era più giusto rimanessero a chi le aveva realizzate.
Corradori mi racconta con emozione, e un po’ di strafottenza romana, il loro viaggio in Spagna,
la loro scoperta di un mondo.
“Guarda che con noi non c’era
proprio nessuno, eravamo soli”.
Mi spiega anche come scelsero
il poncho in un mercatino. Crederci? Non crederci? Ci sono
tante storie a riguardo. Come
per il sigaro di Clint. È un film
che ha una mitologia tutta sua.
Ha ragione Quentin Tarantino,
con Per un pugno di dollari nasce l’action movie moderno. Lo
ha detto a Cannes per celebrarne
i cinquant’anni. E ha detto una
cosa che ora ci appare ovvia,
ma che certo allora nessuno in
Italia percepì. Tranne quelli che
quel film lo avevano fatto e gli
amici e colleghi, da Alberto De
Martino a Enzo G. Castellari, da
Romolo Guerrieri a Mario Caiano, che da subito si accorsero di
quali incredibili innovazioni erano stati capaci Sergio Leone, Ennio Morricone e tutti gli uomini
che ci avevano lavorato. Sergio
D’Offizi mi mostra il documento
della Jolly Film che lo impegna
come operatore alla macchina
sul film dal titolo provvisorio Il
magnifico straniero per la regia di
Sergio Leone, dal 31 marzo 1964
per una settimana. In totale guadagnò 98.272 lire. Niente male
nel 1964. Mi racconta anche che
girarono da subito le scene di
interno, la locanda, la casa dei
Baxter, e le scene della caverna,
alle Grotte di Solone, proprietà
di Alvaro Mancori, grande amico di Leone, che gli aveva aperto
le porte della Elios senza chiedergli nulla. E Leone si sentirà
per tutta la vita debitore verso
Mancori, perché fu il primo a
credere davvero a quel film. Un
giorno andarono a prendere gli
attori spagnoli, anche la grandiosa Margarita Lozano. L’ho
recuperata in Spagna. Non ha
mai rilasciato un’intervista tv, mi
dice, e lo fa perché sarebbe stato
poco gentile farci arrivare fino a
casa sua, una bella casa azzurra
sul mare della Murcia, per non
dirci nulla. Fu quella la prima
volta che venne in Italia, per
girare con Clint Eastwood. Lei
allora era famosa per aver interpretato Viridiana di Luis Bunuel.
Inoltre è una delle poche attrici
spagnole altissime, e poteva non
sfigurare accanto a Clint Eastwood. Si ricorda però che il primo
coproduttore spagnolo non era
Jaime Comas, come leggiamo
ovunque, ma José Frade, che
uscì presto dal film, visto che
non aveva pagato nessuno, al
punto che era stato ribattezzato
José Fraude. Questa storia non
viene riportata da nessuna parte,
ma la dice lunga sulla lavorazione del film, che non fu facilissima per nessuno. Potremmo
riempire pagine e pagine sulla
stesura della sceneggiatura - ci
sono almeno dieci sceneggiatori
- sulla costruzione della musica
di Morricone. Mi soffermo solo
su piccole storie che mi sono
molto piaciute. Robert Woods,
che era cresciuto alla Universal
come cowboy da tv assieme a
Eastwood, ricorda bene che lo
incontrò in Spagna mentre stava
girando Per un pugno di dollari.
Robert stava girando con i Balcazar uno dei suoi primi western.
Clint non sembrava affatto contento del suo set e odiava davvero il suo sigaro. Erano solo due
americani che si ritrovano in
mezzo al nulla, tra spagnoli arruffoni e italiani un po’ fanatici.
Pochi anni dopo Robert incontra un Charles Bronson furioso.
Il compenso di Clint Eastwood
era salito in modo assurdo grazie a Per un pugno di dollari e lui
aveva rifiutato i 15.000 dollari
offerti dalla Jolly Film. Adesso
avrebbe potuto essere lui la star
del momento. L’ultima storia
riguarda Carlo Monni, vecchio
socio di Roberto Benigni da poco
scomparso. Avevo visto un suo
bellissimo monologo, ripreso in
video da Giuseppe Bertolucci,
Figlio di puttana, figlio di Sergio
Leone. Finiva con Monni che
andava a vedere Per un pugno di
dollari in mezzo a tanti ciechi e ripeteva le battute celebri del film.
“Al mio mulo non piace che si
rida, perché pensa che si rida di
lui…”. I suoi più cari amici, Franco
Casaglieri, il Grezzo e Massimo
Ceccherini, mi hanno detto che
è un testo autobiografico, perché
Monni era proprio fra i primissimi spettatori in quella saletta di
Firenze dove dal 12 settembre
del 1964 nacque il vero successo
del film, che da lì scoppiò in tutta Italia e contagiò poi il mondo.
Alla domanda cosa ci resta dello
spaghetti western, la mia risposta
è: tutto. Un genere libero e meraviglioso di fare cinema.
77
ANTROPOLOGIE
A
I
G
O
L
O
N
E
M
O
N
E
F
DELL
di Ilaria Ravarino
Le quattro regole auree
per essere “accreditato”
come imbucato: ex giornalista
svampita, professoressa
aggressiva, pensionato curioso,
queste alcune delle “star”
delle anteprime cinematografiche
di Roma e Milano, a cui anche
i defunti talvolta partecipano.
78
I
ndro Montanelli lo amava,
il cinema. Aveva pure girato
un lungo da regista. E scritto
alcune sceneggiature. Sarà per
questo che, quando ha chiesto
di accreditarsi per la prima di
My Little Pony - Equestria Girls,
nessuno ha avuto niente da ridire. Una decisione bizzarra, certo, ma pur sempre rispettabile.
Non fosse che il grande giornalista, quando ha chiesto l’accredito, era già morto.
Da dodici anni.
ANTROPOLOGIE
L’autore di questa piccola truffa,
o clamoroso imbuco, riuscì ad
accreditarsi a un’intera manifestazione culturale spacciandosi non per Montanelli, ma
per il giornalista di una testata
free press. Solo che “l’ufficio
stampa a un certo punto mi ha
chiesto il numero di iscrizione
all’ordine - disse, infilandosi al
collo il badge stampa davanti a
un paio di “colleghi” - e allora
cercando in rete ho trovato quello
di Montanelli e gliel’ho dato. Tanto
è morto, no?”.
È la prima regola fondamentale
dell’antica e nobile arte dell’imbuco: chiunque voglia intrufolarsi
a un evento di qualsiasi genere,
sa che il primo alleato su cui può
contare è l’inerzia di chi dovrebbe
fare i controlli. Nessuno, per dire,
andò mai a verificare le credenziali
del redivivo Montanelli, nato ben
più a Sud di Fucecchio e molto
poco interessato alle sorti del giornalismo italiano. Come nessuno,
mente giovani e, a differenza
dei colleghi romani, sono più
interessati al cinema che ai benefit gastronomici del post-proiezione. Solo che non sono
giornalisti, ma studenti e fan.
E non delle star del cinema, ma
dei critici famosi: “Morando
Morandini, Paolo Mereghetti
e Maurizio Porro si siedono in
sala sempre agli stessi posti, di
solito a sinistra dello schermo spiega una giornalista milanese
- I saccoapelisti arrivano e li cercano con lo sguardo, si siedono
vicino a loro, provano a fare amicizia. Alla fine poverini non fanno niente di male. Vengono una
volta e poi non tornano più”.
Seconda regola, l’imbucato non
deve mai esagerare. Se proprio
ci si vuole spacciare per il gior-
mio: non intendeva mica il “Corriere della Sera”.... Per un po’ è
andato avanti così, inventandosi
un “Corriere” diverso per ogni
ufficio stampa, finché non l’abbiamo buttato fuori dal circuito
delle anteprime”.
Terza regola: se proprio vuoi esagerare, allora fallo fino in fondo.
Trasformati in personaggio.
Diventa una macchietta: l’ex
giornalista svampita, la professoressa aggressiva, il pensionato curioso. Solo così non si potrà più fare a meno di te. Perché
l’imbucato star è una persona
O
T
A
C
U
B
IM
per lungo tempo, ha mai davvero
controllato il misterioso proliferare di testate online dai fantasiosi
domìni cinephile accreditate alle
anteprime cinematografiche milanesi e romane. “C’era questa testata web che mi bombardava con
i link dei pezzi che pubblicava, insistendo perché accreditassi i suoi
giornalisti ai nostri film - racconta
un ufficio stampa - Poi un giorno,
per scrupolo, ho cliccato su uno
di questi collegamenti. Gli articoli non esistevano. Ma soprattutto
non esisteva il giornale”.
A Milano, gli imbucati via web,
li chiamano “i saccoapelisti delle anteprime”. Accedono alle
proiezioni accreditandosi con
fantomatici blog, sono media-
nalista di una testata realmente
esistente, meglio volare basso.
“C’era questo giornalista, un
signore di mezza età. Carino,
gentile. Sapevo che lavorava
per la Rai, anche se ogni volta cambiava testata - dice un
ufficio stampa romano - Rai 5,
Rai International, Rai qualcosa.
A Natale ha anche spedito dei
piccoli pensierini agli uffici stampa. Molto educato. Ho scoperto
mesi dopo che di mestiere non
fa il giornalista, ma l’imbucato. È una presenza fissa nei giri
della tv”. Città che vai, esagerazione che trovi: spacciarsi per
un inviato Rai a Roma è un po’
come improvvisarsi del “Corriere” a Milano. “Invitavo sempre
questo ragazzo che mi diceva
di collaborare per il “Corriere”.
Quando è diventato chiaro che
non lavorava affatto per loro, mi
ha fatto notare che l’errore era
arrendersi. Se si viene respinti una volta, non è detto che la
seconda non vada meglio. Insistere è il segreto del successo.
Magari non si verrà accreditati al
blockbuster stagionale, ma per
un piccolo film disertato dalla
stampa professionale le porte
sono sempre aperte. Perché il cinema, si sa, ha bisogno del suo
pubblico. E al mondo non esiste
spettatore più fedele, spregiudicato e appassionato di chi, per
mestiere, fa l’imbucato.
che non resta sullo sfondo, che
non si accontenta di sedersi al
buffet o di strappare il gadget in
edizione limitata. Si sente divo,
e in quanto tale pretende non
solo di esserci, ma anche di fare.
Roma ne è la patria d’elezione:
qui, l’imbucato star, non ha solo
il potere di partecipare alle proiezioni stampa. Ha il potere di farle fallire. Con domande spesso
fuori contesto, dotate di premessa autobiografica e conclusione
polemica, lunghissime, soporifere, tautologiche. Approccia il
film appena visto con lo stesso
sdegno con cui ripone sul tavolino un vol-au-vent al salmone perché “il ripieno è secco”.
Lasciarli fuori dalla porta, dopo
anni, è praticamente impossibile: “Io ormai li invito, li ho messi
regolarmente nella mailing list
- spiega un noto ufficio stampa
- Non ho voglia di litigare. In fondo poi non sono così molesti.
Vogliono solo vedere i film e
mangiare”. Quarta regola: mai
79
ANTROPOLOGIE
80
ANTROPOLOGIE
81
GEOGRAFIE
“
L
’ostinata nera barbara
malinconia” di Recanati è quella provata da
Giacomo nel suo “ermo colle”,
luogo natìo che, per bocca di
Elio Germano, brama di lasciare, constatando lo stato dei fatti
che non favoriscono la libertà:
“se solo fossi mio, volerei”, così
si esprime - ingabbiato sotto
la volontà paterna di Monaldo
Leopardi (Massimo Popolizio), nobile autoritario e di idee
conservatrici, fermo nel borgo
marchigiano - sognando di raggiungere l’amico, poeta, Pietro
Giordani (Valerio Binasco) che
lo invita a Milano. È una notte intorno ai suoi venti cagionevoli
anni di età - quella in cui Giacomo Leopardi, al “vai”, imperativo e straziato dell’amata sorella
Paolina (Isabella Ragonese),
scende claudicante, frettoloso,
le scale della loro casa, alla sola
luce di una candela, per scappare: “La decisione di fuggire l’ho
concepita fin da quando io capii
la mia condizione”; eppure severo cocchiere della carrozza si
rivela subito Monaldo, che così
abortisce la fuga, ancor prima
che possa essere intrapresa,
convinto che “quella canaglia
ha eccitato … i loro doveri”, in
riferimento al Giordani.
Giacomo lascia definitivamente
Recanati - “io non voglio vivere
in Recanati, non mi sono fatto né creduto di morire come i
miei antenati” - conoscendo a
82
IL VIAGGIO
FAVOLOSO
di Nicole Bianchi
Firenze un amico fraterno, Antonio Rinaldi (Michele Riondino), patriota, poeta e senatore
napoletano, che si prenderà
cura di lui fino alla sua fine; nel
capoluogo toscano Giacomo e
Antonio vivono in una soffitta
pur frequentando la nobiltà fiorentina, e in particolare Fanny
Targioni Tozzetti (Anna Mouglalis), vivace sostenitrice delle
lettere, ma anche “Aspasia”, di
cui Leopardi infatti dissimulò
l’identità nell’omonima sua poesia, celebrativa della sapiente,
concubina, moglie di Pericle:
nella biografia di Giacomo, lei
fu amante di Rinaldi e amore
non corrisposto di Leopardi,
che nel film è magistralmente
incarnato da un Germano a fil
d’Arno, contratto come una larva
agonizzante di dolore nell’erba
incolta, nel contrasto esaltante
di una musica dalle dichiarate
sonorità contemporanee, curate da Sascha Ring. È Giacomo,
a questo punto, a voler partire
di nuovo, per Napoli, passando per Roma, in sosta presso
lo zio, marchese Antici. Ma è
la città del Vesuvio, “una città
dominata dalla natura”, quella in cui Giacomo si rasserena
del poter “finalmente vivere a
caso”, la Napoli che - tra colera
e una sorella (di Antonio) Paolina ritrovata - si fa luogo di avvicinamento al punto di approdo
della sua vita, Torre del Greco,
“in questo globo ove l’uomo è
nulla” - presso Villa Ferrigni, poi
diventata Villa delle Ginestre,
poiché ivi scrisse, La ginestra dove il 14 giugno 1837, all’età di
39 anni, muore. Questo il viaggio che Mario Martone, con Il
giovane favoloso Elio Germano,
fa compiere al suo Giacomo.
GEOGRAFIE
FIRENZE
TORRE DEL GRECO
NAPOLI
ROMA
RECANATI
PH Mario Spada (immagini originali a colori)
83
INTERNET
E NUOVI CONSUMI
Il 2015 sembra essere l’anno d’esordio sul grande schermo dei protagonisti delle serie web italiane più seguite:
L’italiano medio di Maccio Capatonda, il film dei The Pills, il progetto dei The Jackal. Divi della rete sperimentano
percorsi alternativi per arrivare all’industria cinematografica tradizionale e provano a portare in sala la loro carica
di innovazione e creatività.
di Carmen Diotaiuti
84
INTERNET E NUOVI CONSUMI
C
osa succede se uno dei
gruppi di videomaker più
geniali del momento incontra la serie tv cult dell’anno?
Ne viene fuori una trilogia per
il web, Gli effetti di Gomorra La
Serie sulla gente, che spiazza di
colpo le classifiche della rete,
registrando ascolti che finora
in Italia si erano raramente visti. Più di tre milioni e mezzo
di visualizzazioni per una sola
puntata, migliaia di condivisioni e commenti su tutti i social
network. I video si basano su
una ricostruzione meticolosa delle battute di Gomorra La serie recitate da un unico personaggio e inserite in un contesto che le rende surreali. L’effetto
è talmente dirompente che alcune delle frasi sono diventate tormentoni: da “sta senza pensier”,
a “deux frittur”, a “e nun me piace, s’adda cagná”.
Dopo il successo del primo episodio, ai successivi hanno preso
parte ospiti d’eccezione: l’interprete di Gomorra - La serie Salvatore Esposito e lo scrittore Roberto Saviano, che ha ammesso
di aver accettato l’insolito ruolo
per entrare in contatto con un
pubblico estraneo dai circuiti solitamente frequentati. Ma anche
perché ridere della camorra è un
modo per smitizzarla. Un esperimento di crossmedialità riuscita
che si è guadagnato, a ragione,
l’attenzione della stampa e degli addetti ai lavori. Una serie di
case di produzione si sono fatte
avanti per far realizzare un lungometraggio ai napoletani The
Jackal, gli autori della trilogia
che non sono nuovi ai successi
della rete: sono loro, infatti, i re-
alizzatori di Lost in Google e Gay
ingenui, ma anche di vari video
pubblicitari virali con bambini
protagonisti. La maggior parte
dei produttori sembra però aver
chiesto loro di fare un film ironico sulla camorra, una trasposizione per il grande schermo
del successo web. Ma per avere
qualcosa di innovativo bisognerebbe osare di più, lamentano i
The Jackal. “Non ci sarà niente
di nuovo fino a quando le case
di produzione non daranno possibilità concrete ai giovani.
Che non vuol dire andarli a cercare dal web e inserirli in un contesto tradizionale, come fanno
ultimamente le tv pubbliche, né
prendere il fenomeno YouTube
di turno e portarlo a tutti i costi
sul grande schermo così com’è,
credendo che basti questo per
spostare spettatori”. Alla fine
sembra che una produzione interessante i The Jackal l’abbiano
trovata, e al momento si dicono
in trattative per definire i dettagli
del loro primo film, in cui avranno modo di mettere alla prova il
talento raffinato e coinvolgente
finora mostrato nelle narrazioni
brevi per il web.
È già terminata, invece, la sceneggiatura firmata dai The Pills
per il loro esordio al cinema. Trio
di trentenni romani popolari per
le loro serie per il web, estrose e
surreali, che parlano di amicizia,
rapporto con l’altro sesso, problemi e manie di una generazione disillusa di trentenni cresciuti
a televisione e videogiochi, che
si ritrovano oggi a vivere in sovrappopolati appartamenti per
universitari con poche certezze
per il futuro. Il loro linguaggio,
ricco di citazioni cinematografiche, è condito da neologismi
romaneschi e capitolina ironia,
e stupisce quanto, ai tempi della globalizzazione, siano invece
fortemente localizzati i video
che hanno successo sul web.
A produrre il film, che arriva in
sala nel 2015, la Ascent Film di
Matteo Rovere (quella che ha
prodotto anche l’esordio di Sydney Sibilia) e la Taodue di Pietro
Valsecchi. Crede in loro anche
Enrico Vanzina che, all’incontro
organizzato da Wired Next Cinema durante lo scorso Festival
di Roma, ha dichiarato di vederli
come i possibili eredi della nuova commedia all’italiana, che in
questo momento ha il difetto di
non parlare più veramente delle
nuove generazioni. “La commedia degli ultimi anni tende ad
essere moralistica e distante dai
personaggi che racconta.
Voi invece siete dissacratori e al
contempo volete bene ai personaggi che mostrate, a cui si vede
che siete vicini. Guardate senza
dare giudizi, come la grande
commedia che ama anche i personaggi peggiori”. Perché in fin
dei conti i temi della comicità
sono un po’ sempre gli stessi;
a cambiare sono i linguaggi e
la velocità della narrazione. “La
bravura sta nel rifare cose già
fatte con la grazia e il tocco che
le rende originali. Dichiarando, magari anche apertamente,
i propri idoli e le fonti d’ispirazione. Per far capire sempre al pubblico da che parte si sta”.
Sta sicuramente dalla parte
dell’uomo comune Maccio Capatonda, che a marzo porta al
cinema con Medusa il suo Italia-
no medio. Ha ispirato le nuove
generazioni di YouTuber con i
suoi finti trailer cinematografici,
resi celebri in tv dalla Gialappa’s
Band e approdati al web grazie
ai fan che li hanno pubblicati e
condivisi. Le sue gag sgangherate e demenziali giocano con
gli eccessi della vita quotidiana
e la parodia del linguaggio, mischiando i registri e facendo del
trash la chiave estetica del contemporaneo. “Il trash aiuta a
capire dove la realtà va a finire
e nel mischiare l’estremamente
brutto al bello, ciò che era sgradevole diventa comico”, spiega.
Come cantano le streghe del
Macbeth, può succedere che
anche nella fenomenologia dei
nuovi media “è brutto il bello,
è bello il brutto”. Così il cinema
ha bisogno del brutto per sperimentare nuove forme.
Un percorso alternativo e divergente per arrivare all’industria
cinematografica
tradizionale,
quello dei divi del web, a cui
sarebbe un peccato non dare fiducia. Come ammonisce padre
Maronno: “E se poi te ne penti?”
GUARDA LA TRILOGIA DELLA
FRITTURA:
http://goo.gl/pgVQMs
85
PUNTI DI VISTA
D
ove prendono spunti le
industrie
dell’economia
simbolica per una creatività
fresca e per una innovazione più
radicale? Sicuramente non nel
loro ambiente tradizionale e canonico, che sovente imprigiona a
pensare in modo convenzionale e
inerziale. Occorre spingersi fuori
dal seminato e una buona pratica
è quella di lasciarsi contaminare
dal linguaggio cinematografico
(dalle trame, dalle immagini, dai
montaggi, dai ritmi, dalle sincronie musicali). Infatti le cosiddette
industrie creative - siano esse l’editoria, la musica, la moda, il design, l’enogastronomia, le auto o
la nautica di alta gamma - devono
cavalcare le opere contemporanee
di qualità e dimostrare di saper
interpretare lo spirito del tempo.
E l’ambiente cinematografico
possiede la capacità profetica di
anticipare la crisi e l’evoluzione
della società (si pensi alle visioni anticipatrici di Moretti con Il
Caimano o con Habemus Papam
oppure alle evoluzioni urbanistiche di Playtime di Tati, ancora
alle sensibilità estetiche di In the
Mood for Love di Wong Kar-wai
o de L’arte del sogno di Gondry).
L’avanguardia filmica vaccina dal
trauma del presente e propone il
futuro in anticipo. In un certo senso il cinema fornisce un’anteprima dello smarrimento dei valori
che sono in agguato. E gli artisti
ci aiutano a trasformare il nostro
patrimonio cognitivo, sia esteticamente che cerebralmente. Essi
producono nuove forme espressive, che poi - magari in modo subliminale - si introiettano nei prodotti economici, che mai come oggi
necessitano di contributi simbolici
ed evocativi, tipici della stagione
della post-modernità.
Ciò vuol dire che la classe imprenditoriale (come elemento fondamentale della più ampia classe
dirigente) ha la responsabilità di
saper riconoscere queste nuove
onde di senso. Di saperle soste-
86
ti, definiti dalla loro prestazione
funzionale, come faceva la prima
modernità (l’automobile acquistata per le sue prestazioni meramente motoristiche; la scarpa per
la sua resistenza alle intemperie;
la bevanda per la sua capacità di
dissetare; l’apparecchio telefonico
per le sue caratteristiche di comunicazione; e così via). Quelle
imprese oggi producono e vendono prima di tutto status e senso
(un telefono cellulare di design
di avanguardia; un paio di scarpe
dove il colore è tendenza di moda;
una motocicletta che dignifica il
proprietario in un gruppo sociale; ecc.). Tutte le imprese - anche
quelle che sembrerebbero immuni da queste mutazioni - devono
oggi fare i conti con questi elementi “alti”, derivanti dal’inclusione nell’oggetto di un ingrediente
di Made in Italy.
nere e valorizzare, perché esse
sono input culturale per i nuovi
prodotti. Un esempio significativo
di contaminazione tra arti e imprenditoria si legge nella recente
biografia dell’imprenditore Steve
Jobs, quando racconta l’impressione che gli fece una visita ad
una mostra di Andy Warhol a New
York negli Anni ’70: i colori psichedelici dei quadri e dell’inizio della
Pop Art se li portò dietro fino a
tramutarli in una delle caratteristiche più rilevanti del suo lavoro.
Chi dirige le imprese oggi (e i massimi responsabili delle aziende
creative sono proprio la punta di
diamante di questo ceto sociale)
dovrebbe sostenere il più possibile i breakthrough dei prodotti,
uscendo dal contesto consolidato del proprio settore, attraverso
una orizzontalizzazione delle Assistiamo così ad un vero e
viene presentata al pubblico in circostanze artistiche tali da essere
quasi un servizio culturale).
La catena del valore che definisce
i processi di generazione del surplus economico delle imprese del
lusso e di prestigio si origina nei
processi di produzione di senso
che sono tipici delle arene attente
alla bellezza. E ciò spiega anche il
perché molte imprese di questo
segmento sono correlate nelle
proprie dinamiche di attività con il
mondo del cinema.
Da queste considerazioni deriva
conseguentemente la grande rilevanza che le imprese creative
giocano sulla società in questo pe-
CONNETTERE IL SAPERE DEL CINEMA
C O N L E A LT R E I N D U S T R I E C R E AT I V E
di Severino Salvemini
conoscenze. La frequentazione e
il sostegno delle arti contemporanee hanno l’obiettivo non solo
di sponsorizzare l’evoluzione artistica e/o di trarre personale godimento dalla fruizione intellettuale,
ma anche lo scopo di mantenere
alta una curiosità nei confronti
dell’avanguardia che - molto più
di quanto superficialmente si
possa pensare - può essere integrata nel prodotto e nel servizio
di alta qualità.
L’intangibilità dei valori presenti
nei prodotti e nei servizi orienta il
mercato, condiziona le organizzazioni, influisce sul contesto italiano e internazionale. Conta sempre
meno il “valore d’uso” dei prodotti e conta sempre più la valenza
evocativa che esprimono e raccontano i beni e le esperienze di
servizio. Alcune delle imprese più
evolute hanno imparato ad abitare in questo ambiente di postmodernità, dove non si producono e
vendono semplicemente ogget-
proprio rovesciamento della relazione cultura-economia: da una
situazione in cui la produzione del
reddito era responsabilità esclusiva dell’impresa, la quale decideva
se dedicare alla cultura parte delle proprie eccedenze finanziarie
(l’imprenditore mecenate o l’imprenditore sponsor di processi
o eventi artistici), si passa a una
situazione in cui il focus culturale non è più periferico rispetto
al core business aziendale, bensì centrale, perché stimolo tra
i principali per comprendere le
avanguardie del benessere e dello sviluppo umano.
riodo: tanto più capitale simbolico
è consapevolmente presente tra
i consumatori e tra i professionisti che operano in azienda, tanto
maggiore sarà la tappa evolutiva
della società. E Dio solo sa, nel
nostro mondo di oggigiorno dove
primeggia l’egemonia sottoculturale e dove tutto è assediato da
comportamenti
gratuitamente
volgari, da valori diffusi prepotenti e cafoni, da atteggiamenti che
non riescono a percepire le mezze
verità e i timbri intermedi e dove
invece cultura e stile possono offrire un ancoraggio robusto per
far fronte allo smarrimento della
crisi, quanto le responsabilità di
imprese che sostengono quotidianamente il bello e il ben fatto (il
kalos kagathos di greca memoria)
sia indispensabile.
Qualcuno azzarda il termine di
capitalismo culturale (imaginary
economics), sottolineando i significati che gli oggetti incorporano
(si pensi ai beni di abbigliamento
e di design, dove il differenziale di Ricordiamo cosa predicava Don
stile consente un rilevante valore Puglisi: i Paesi più brutti sono
aggiunto incrementale rispetto quelli segnati dalla mafia.
a beni simili ma esteticamente
meno innovativi oppure si pensi
a offerte di ristorazione o alberghiere dove l’aura del servizio
PUNTI DI VISTA
HO FATTO
UN SOGNO
di Giulio Base
H
o sognato che il cinema
italiano era in piena salute, florido, vivace, riconosciuto nel mondo, pieno di estro
e genialità, di risate e di lacrime,
insomma pieno di emozioni.
Ho sognato che i cineasti italiani
si sforzavano di avere idee originali, senza ripetere gli stessi schemi, senza cedere a facili scorciatoie. Ho sognato che i registi e gli
sceneggiatori si incontravano fra
loro, si scambiavano idee e consigli senza invidia, senza risentimento, con sincera volontà di
aiutarsi vicendevolmente. Nessuno se la tirava, nessuno aveva
atteggiamenti di superiorità, nes-
attori migliori e non i soliti nomi.
Nel sogno si vedeva anche qualche storyboard, addirittura!, ma
non riuscivo a vedere bene se fossero a colori o in bianco e nero.
Vedevo che la cosa primaria per
tutti era fare un buon film, non
sgraffignare qualche soldo o piazzare qua e là nel cast o nella trousuno voltava lo sguardo dall’altra pe amici o amici degli amici.
parte quando passava un altro.
Tutti componenti di una stessa Ho sognato che il periodo delle rifamiglia. Certo, c’era quello più di prese era una specie di festa del
talento o quello più bravo ed in- lavoro. Mi ricordo che vedevo tutgegnoso, ma non lo faceva pesa- te queste persone liete, felici, conre, anzi, si prodigava per aiutare sapevoli della fortuna di fare uno
dei mestieri più belli del mondo.
quelli meno fortunati.
A un certo punto c’era uno in un
Ho sognato che i produttori leg- angolo, triste, un altro gli chiedegevano i copioni. Davvero, non va cosa avesse, lui rispondeva di
se li facevano raccontare bre- essere un militante, di essere uno
vemente. Non si preoccupava- impegnato, uno che non poteva
no solo se nel cast c’era qualche sorridere, l’altro gli spiegava che
nome famoso. Non si chiedeva- stavano facendo del cinema, non
no ancor prima di capire di che stavano salvando il pianeta dalfilm si trattasse “quanto costa?”. la fame nel mondo e allora anCercavano di innamorarsi di un che quell’altro sorrideva. Ho soargomento, di un tema, di far- gnato che gli attori sapevano dire
lo loro, di partecipare attivamen- bene le battute, che si capivano,
te alla realizzazione di un’opera. arrivavano puntuali e non se la tiSi interessavano realmente se ci ravano. Non dicevano mai “sono
fosse una buona storia da rac- stanco”, anzi uno sì, lo diceva e
contare, qualcosa di nuovo, fre- tutti lo spernacchiavano di brutsco, che il pubblico potesse gra- to, allora lui capiva di aver detto
dire. E allora intervenivano sulle una fesseria e rideva pure lui.
scelte artistiche, ma senza arroganza, senza credere di saperla più lunga, con vera voglia
di partecipare alla creazione.
Ho sognato che il periodo della
preparazione di un film era una
cosa seria. Mi ricordo che vedevo i costumisti, gli scenografi e
tutti gli altri, fare delle ricerche,
documentarsi, gli attori prepararsi ai ruoli, studiare, approfondire, fare prove fra di loro. Ci si
applicava davvero a selezionare location adatte, senza accontentarsi del bar sotto casa o del
ristorante dove poi si mangiava
gratis per un mese. Ci si sforzava
di fare dei provini per scegliere gli
Ho sognato che la post-produzione veniva considerata come una parte importantissima
del processo della realizzazione di un film. Non la si faceva in quattro e quattr’otto, di
fretta, perché bisognava uscire, andare in sala, consegnare.
Ci si dedicava molto al montaggio, si riguardava con calma tutto il materiale, si provavano idee differenti di edizione,
si appoggiavano musiche diverse, poi si cambiava, si riprovava.
Il musicista del film non veniva avvisato all’ultimo momento su ciò
che doveva fare, no no. Aveva già
composto qualcosa da far sentire al regista ancor prima delle riprese. Da mesi aveva il copione,
non solo lui, ma tutti, tutti, avevano cercato di farsi un’idea del film.
Ho sognato che i giornalisti vedevano i film. Davvero. Fino alla
fine. Senza alzarsi a metà, senza
tenere in mano il telefonino aperto su Twitter, senza parlare d’altro
fra di loro durante le proiezioni.
Erano attenti, portavano rispetto
a quelle centinaia di persone che
avevano partecipato a quel progetto. Anche quando il film non
piaceva, ne avevano “pietas”,
non lo sbeffeggiavano, non lo
pre-giudicavano, avevano del tutto messo da parte l’odio.
Ho sognato poi che il pubblico
si preparava un minimo prima di
scegliere un film. Che si arrischiava ad andare a vedere qualcosa
che non fosse il solito supereroe,
che capiva che un film ti può insegnare tantissimo, emozionare, divertire, commuovere, in sintesi ti può fare crescere come e
più di un libro, di un viaggio, di
un’esperienza. Ecco, ho sognato
che tutti avevano capito che vedere un film è come fare un’esperienza che magari nella vita non
potrai mai fare. E con tante esperienze, le più svariate e distanti, si
diventa più ricchi, si diventa persone migliori.
E allora mi sono svegliato, anch’io deciso di mettercela tutta
per fare del cinema italiano un
cinema migliore.
87
Capitolo
6
ANNIVERSARI // 90 anni Istituto Luce - Capitolo 6
DUE NOTTI INSONNI
E UN’AVVENTURA
INIZIATA E FINITA
CON ANTONIONI
E WENDERS
Il giorno stesso in cui ricevetti la telefonata
del mio vecchio amico, il critico Giovanni Grazzini,
che mi proponeva di diventare l’amministratore
delegato dell’Istituto Luce, promisi al regista tedesco
che avremmo coprodotto Al di là delle nuvole.
Otto mesi dopo, bocciato il progetto dal CdA
dell’Ente Cinema, rassegnai le dimissioni.
Il Luce perdette un grande film, Premio Fipresci
alla Mostra di Venezia ’95, e un grande affare
che incassò nelle sale italiane 12 miliardi di lire
di Felice Laudadio *
L
a telefonata di Giovanni
Grazzini mi svegliò in piena notte. Ero in California,
dove coordinavo la sezione dei
film italiani ed europei da me
selezionati per il Palm Springs
International Film Festival. Il
presidente dell’Ente Cinema mi
chiamava da Roma, dove erano
le 11 del mattino. “Vorremmo
proporti di fare l’amministratore
delegato dell’Istituto Luce”, disse il mio vecchio amico Grazzini
senza troppi preamboli. “Possiamo vederci nel pomeriggio?
Abbiamo un Consiglio d’Amministrazione”, aggiunse.
Un po’ frastornato e sorpreso,
farfugliai che mi trovavo negli
Stati Uniti dove sarei rimasto per
almeno un’altra settimana e che
comunque avevo bisogno di un
po’ di tempo prima di accettare
la proposta. Ma vorrei prima sapere chi sarà il presidente, chiesi. “Alberto Lattuada. Ti va bene,
no? Sbrigati a tornare, è urgente”, concluse l’insigne critico.
Mi riaddormentai a fatica. Ma il
cellulare suonò di nuovo. Ancora
Grazzini, pensai. Invece era Wim
Wenders. Anche lui - col quale
stavo progettando un’iniziativa
comune fra la European Film
Academy di Berlino, di cui era il
direttore, e il festival EuropaCinema di Viareggio da me diretto
- pensava che fossi a Roma e mi
cercava per avere degli aggiornamenti su quel progetto. Glieli
detti ma, un attimo prima di
chiudere la telefonata, gli chiesi:
“A che punto siete con la produzione del film diretto da te e Michelangelo Antonioni?”. Carlo di
Carlo, l’ombra di Michelangelo,
89
ANNIVERSARI // 90 anni Istituto Luce - Capitolo 6
mi aveva informato di serie difficoltà. Wenders fu prodigo di informazioni: “Abbiamo la copertura della Francia e della Germania
ma, incredibile!, non riusciamo
a trovare il coproduttore italiano
per un film di un grande regista
italiano”. “L’avete trovato - dissi
- lo produrrà l’Istituto Luce”. E
fui così perentorio che Wim non
ebbe tempo e modo per sorprendersi ma solo per chiedere: “E tu
come lo sai?” Gli dissi della telefonata del presidente dell’Ente
Cinema e della sua proposta di
assumere l’incarico di CEO del
Luce. “Lo accetterò - conclusi - e
produrremo il vostro film”.
Quella notte non riuscii più a
prender sonno. La sera successiva, rientrando nell’accogliente
albergo di Palm Springs con il
produttore Fulvio Lucisano, il
portiere mi consegnò un fax. Era
la lettera ufficiale con la quale il
CdA dell’Ente Cinema mi nominava consigliere e amministratore delegato dell’Istituto Luce.
Grazzini non aveva neppure
aspettato la mia risposta. Erava- e un po’ foriero di molte possibili e positive novità. Poi como a metà gennaio del 1994.
minciarono le mie consultazioni
Il 1° febbraio “presi servizio”, con quegli autori e produttori
come si dice. L’incontro con Lat- che stavano mettendo insieme,
tuada - che avevo lungamente spesso con fatica, le idee e le forintervistato per l’Unità qualche ze per un nuovo film.
anno prima - fu affettuoso e
addirittura tenero. Il terzo con- Alcuni di quegli autori erano
sigliere era Giuseppe Sangiorgi giovani, altri, la più parte, erano
(non lo conoscevo) che era stato già noti o molto noti ma non
il mio predecessore nell’incarico per questo in minori difficoltà.
di amministratore delegato. Mi In quegli anni era in crisi - una
passò le consegne. L’intesa fra crisi permanente, per altro - tutnoi tre fu immediata, non diver- to il cinema italiano. Fu così che
samente da quella con l’allora ricercai Marco Bellocchio che
direttore generale, Bruno Torri, stava lavorando su Il sogno della
un altro mio vecchio amico cri- farfalla; Alessandro D’Alatri che
tico che stimavo (e stimo) mol- aveva un po’ di problemi per
to. Sangiorgi ebbe il compito di Senza pelle; Luigi Magni che faoccuparsi dell’Archivio e della ticava a trovare la distribuzione
produzione dei documentari, io per Nemici d’infanzia; Sergio
Citti che tentava di chiudere il
di tutto il resto.
“pacchetto” per I magi randagi;
Ebbe inizio un lavoro forsen- Peter Del Monte per Compagna
nato. Per prima cosa volli co- di viaggio; Giacomo Campiotti e
noscere uno per uno i dirigenti Domenico Procacci impegnati
del Luce e poi, sempre insieme nei Due coccodrilli; Ettore Scola
a Torri, ogni singolo dipendente alle prese con il Romanzo di un
e collaboratore dell’Istituto. A giovane povero interpretato da
ciascuno chiedevo che cosa non un inquietante Alberto Sordi;
funzionasse e come riteneva Enzo Monteleone al suo debutpotesse funzionare meglio. Dai to con La vera vita di Antonio
colloqui emerse un quadro allo H.; e un’altra mezza dozzina di
stesso tempo un po’ allarmante registi, sceneggiatori, produttori
90
che si erano rivolti direttamente Luce come tutti gli altri film soal Luce, un tantino sorpresi dal pra citati, e quasi tutti invitati nei
maggiori festival internazionali.
suo inedito attivismo.
Fra questi c’erano due altri miei
vecchi amici: il produttore Amedeo Pagani e il regista Theodoros Angelopoulos. Theo avrebbe
voluto conoscere Gian Maria
Volonté per proporgli il ruolo da
protagonista del suo film accanto a Harvey Keitel ma aveva difficoltà a chiamarlo avvertendo, mi
confessò, una forte soggezione
verso il grande attore. Che però
per me era come un fratello
maggiore. Lo chiamai a Velletri
e fissai un appuntamento fra lui
e Angelopoulos. A differenza di
quanto pensava il regista, Volonté fu lusingato dalla proposta.
Letta la bellissima sceneggiatura, accettò la parte. Malauguratamente per lui. Pochi giorni
dopo l’inizio delle faticosissime
riprese sul teatro di guerra di
Sarajevo e un ancor più faticoso
e avventuroso viaggio in Grecia,
a Gian Maria scoppiò il cuore. Aveva solo 61 anni. Non mi
sono mai perdonato d’averlo fatto incontrare con Angelopoulos
per Lo sguardo di Ulisse (Premio
speciale della giuria al festival
di Cannes 1995), distribuito dal
E Antonioni e Wenders? La mia
avventura alla testa dell’Istituto
Luce comincia e finisce con loro.
La delibera con cui in febbraio il
CdA del Luce approvò con entusiasmo il film Al di là delle nuvole
fu inoltrata per l’approvazione
definitiva al CdA dell’Ente Cinema, poiché l’importo impegnato
era di 3 miliardi di lire. Per tutti
gli altri film da noi coprodotti
e distribuiti (e solennemente
annunciati nel corso di una affollatissima conferenza stampa
che si tenne alla Sala Umberto
in maggio) questa procedura
non era stata necessaria giacché
l’impegno del Luce era stato di
gran lunga inferiore ai 3 miliardi, cifra che invece implicava
un passaggio obbligato dal CdA
dell’Ente Cinema. Il quale - dopo
mille tergiversazioni, dopo infinite riunioni durate mesi, dopo
una serie innumerevole di ni
(mai un no, per pudore; ma mai
neanche un sì, per mancanza di
coraggio) - se ne venne fuori il
19 settembre 1994, a poche settimane dall’inizio delle riprese
fissato per i primi di novembre,
INNOVAZIONI
ANNIVERSARI
// I nuovi
// 90compositori
anni IstitutodiLuce
colonne
- Capitolo
sonore
6
con un’ennesima assurda ri- la Sunshine di Parigi partì il fax.
chiesta di completion bond che Il cast era questo: John Malkoavrebbe bloccato la produzione. vich, Fanny Ardant, Irène Jacob,
Sophie Marceau, Vincent Perez,
Passai un’altra notte insonne, Jean Reno, Inés Sastre, Peter
come già era avvenuto in genna- Weller, Jeanne Moreau e, per la
io a Palm Springs: e sempre per coproduzione italiana, Marcello
lo stesso film. Al mattino del 20 Mastroianni, Kim Rossi Stuart,
settembre, all’alba, scrissi una Chiara Caselli. Il produttore rilettera di dimissioni irrevocabili mandò un altro fax con una sola
che alle 10 consegnai all’Ente parola: accetto.
Cinema e alle 11 lessi ai dirigen- L’accordo con Michelangelo e
ti del Luce. Alle 13 mi presentai Wenders fu di annunciare insienella redazione spettacoli di Re- me a Viareggio a fine settembre,
pubblica, dove mi aspettavano durante l’EuropaCinema che nel
Orazio Gavioli e Paolo D’Agostini frattempo aveva perfezionato
che poco prima avevo preavverti- l’accordo con la European Film
to della mia visita. Il giorno dopo Academy, che il film era salvo
esplose il finimondo. L’articolo grazie a quel produttore italiano.
del quotidiano, durissimo - ripre- Era Vittorio Cecchi Gori. Onore
so il giorno successivo da tutte le al merito. Il 3 novembre iniziarotestate italiane e da molte stra- no le riprese.
niere -, riportava le dichiarazioni,
durissime anch’esse, di Enrica L’anteprima mondiale avvenne
Antonioni che parlava per Miche- alla Mostra di Venezia nel settembre 1995. Fuori concorso, of
langelo, e di Wim Wenders.
course, e alla presenza del PreNella stessa mattinata chiamai sidente della Repubblica, Oscar
un produttore che conoscevo Luigi Scalfaro. La Fipresci attriappena. Il tempo era tiranno, buì ai due registi il suo prestiavevo assunto fin da gennaio un gioso riconoscimento, il primo
impegno preciso che ora rischia- di una lunga serie. Al di là delle
vo di non poter mantenere, e bi- nuvole incassò nelle sole sale itasognava decidere ad horas. Quel liane 12 miliardi di lire, come mai
produttore mi chiese soltanto prima un film di Antonioni. E fu
una cosa: un fax con il cast. Dal- venduto in moltissimi Paesi.
Il Luce perdette un grande film
e un grande affare, e io perdetti
il Luce e anche l’antica amicizia
con Giovanni Grazzini, presidente di quell’Ente Cinema poi ribattezzato Cinecittà Holding che è
toccato proprio a me, ironia della
sorte, presiedere dal 1999 in poi.
* Ha diretto la Mostra di Venezia, il TaorminaFilmFest, EuropaCinema, il MystFest, il Premio
Solinas, il RomaFictionFest. Dirige il Bif&st. È
stato AD dell’Istituto Luce e presidente di Cinecittà Holding. Ha ideato e diretto la Casa del
Cinema di Roma. Ha scritto e prodotto Il lungo
silenzio e Das Versprechen di Margarethe von
Trotta. Produttore associato di Al di là delle nuvole di Antonioni-Wenders, nel 2001 ha ideato
e prodotto il primo film italiano in digitale, Sei
come sei. Ha pubblicato il volume Fare festival
e il romanzo Il colore del sangue. Giornalista
professionista, ha lavorato all’Unità.
91
INNOVAZIONI//
ANNIVERSARI
//90
I nuovi
anni compositori
Istituto Luce di
- Capitolo
colonne 6sonore
LA BELLEZZA
DI UN ARCHIVIO
SE DIMENTICHIAMO
LA SUA ORIGINE
Negli anni Duemila è nata una generazione
di registi che ha reinventato un approccio
al presente e al reale a cui non è rimasto
estraneo l’utilizzo delle potenzialità
narrative delle immagini Luce. È stato
sorprendente vedere con quanta attenzione
e professionalità chi pratica l’Archivio
storico conduce le ricerche. Ciò è molto
sano, e fa pensare che da questa bellezza
si può immaginare il futuro di questo
gigante che ha la sua parte migliore
nella cura e nella gentilezza. Quando
si scorda il suo mito fondatore: la forza.
di Costanza Quatriglio *
92
L
eggendo nei precedenti
numeri di questa rivista
memorie condivise e ricordi personali di chi ha fatto la
storia del Luce, non posso non
esprimere il piacere per essermi
trovata di fronte al desiderio di
raccontare a chi, per età o semplicemente per background,
non può sapere cos’è stato - e,
forse, cosa è - questo colosso,
in termini di travagli editoriali
e politici susseguitisi nei decenni. Certamente, destinatarie
privilegiate di questa collezione
di ricordi, non possono che essere le generazioni successive,
prima fra tutte quella che ha cominciato a fare cinema agli inizi
degli anni Duemila.
In quel tempo era ancora tutto
molto incerto, di sicuro rispetto
alla direzione che avrebbe preso
la politica culturale nel nostro
Paese. Ed è in questo contesto
di confusione diffusa che è nata
quella nuova generazione di cineasti che ha rivitalizzato dall’interno forme e contenuti della
nostra cinematografia, reinventando un approccio al presente
e al reale a cui non è rimasto
estraneo l’utilizzo delle imma-
ANNIVERSARI // 90 anni Istituto Luce - Capitolo 6
gini d’archivio e delle sue potenzialità espressive e narrative.
Appare all’esterno che la sempre
crescente attenzione per la valorizzazione dell’Archivio storico
del Luce e la parallela costituzione di nuovi e differenti archivi,
come quello nazionale dei film
di famiglia con sede a Bologna,
siano da considerarsi un tutt’uno con ciò che è successo in
questi ultimi dieci anni nel cinema italiano, senza che ci sia stato un evidente disegno politico
volto alla tutela di tanto patrimonio, se non il naturale processo
della storia.
Oggi possiamo fare il punto
della situazione dicendo che
il nostro cinema è esportabile
quando si fonda su una relazione forte con il reale, basata
sull’esperienza come veicolo per
interrogarsi sul presente e sulle
grandi trasformazioni. Una cinematografia parallela a quella
cosiddetta industriale si è sviluppata, in questi dieci anni, come
antidoto allo sradicamento
umano e culturale, il cui vero e
proprio antidoto può essere solo
l’appropriarsi del senso di cittadinanza e la presa di possesso
della memoria.
Ecco perché, se il cinema documentario si è addestrato a interpretare le istanze di comprensione del presente, è con il sempre
più diffuso utilizzo dei materiali
di repertorio che si è affrancato
dal timore reverenziale nei confronti dell’immenso patrimonio
iconografico italiano. Sempre
più frequentemente siamo al
cospetto di narrazioni capaci di
reinterpretare la nostra storia e
mettere le mani nella coscienza
collettiva costruendo un legame
diretto tra lo spettatore e il materiale stesso.
Una specie di viaggio d’andata
e ritorno: ciò che l’archivio offre
non è ciò che viene restituito
perché, trasformatosi attraverso
l’attribuzione di senso, è frutto
dell’elaborazione di quella relazione pregressa che costituisce
la memoria visiva di ogni singolo
spettatore. Questo, sostanzialmente, significa che la maggior
parte dei film con materiali d’ar-
93
ANNIVERSARI // 90 anni Istituto Luce - Capitolo 6
chivio realizzati dai cineasti della
mia generazione lungo l’arco di
questi dieci anni, parla, in egual
misura, anche di cinema, inteso
come scoperta, gioco, memoria
e relazione tra memoria e individuo e tra memoria e comunità.
L’immagine custodita e scovata
ha talmente tanti significati ed è
portatrice di talmente tanti strati
di complessità, che oggi non ci
si può sottrarre alla sfida dell’interpretare e del rielaborare.
Mi spingo oltre: è proprio nella
rielaborazione di ciò che è profondamente radicato nell’esperienza al pari di una sequenza
o un’immagine ritrovata, che si
riesce a varcare quella soglia che
separa il filmabile dalla sua rappresentazione; e chi è addestrato
a costruire percorsi semantici sul
superamento dei limiti del reale
può sentirsi libero di spaziare in
94
lungo e in largo. In quel deposito
d’oro puro che è l’Archivio Luce,
non c’è singolo fotogramma che
non porti con sé anche tanto
altro. È un po’ quello che diceva Kieslowski a proposito della
differenza tra la realizzazione di
un film documentario e uno di
finzione: così come entrare nel
territorio della finzione è indispensabile per riempire quello
spazio vuoto eppure concreto
tra ciò che chiamiamo realtà e la
rappresentazione di essa, nell’utilizzo del materiale d’archivio
il procedimento è il medesimo,
solo che lo spazio vuoto lo si
riempie con la costruzione del
senso del discorso.
In sintesi o più semplicemente, in questi dieci anni ci si è
allontanati dall’uso illustrativo
dei repertori perché la possibilità del riuso è connaturata
ANNIVERSARI // 90 anni Istituto Luce - Capitolo 6
all’immagine stessa e ogni vocazione illustrativa, negli anni
Duemila, sembra depauperare
le immagini d’archivio della
loro stessa natura.
Così come sorprendente è stato
anche vedere con quanta cura
e attenzione chi pratica l’Archivio storico conduce le ricerche,
conoscendo alla perfezione sequenze e fotogrammi; con quale
perizia e professionalità e amore
per il proprio lavoro. Questo è
molto sano, e fa pensare che da
questa bellezza si può immaginare il futuro di questo gigante.
È un gigante che ha la sua parte
migliore nella cura e nella gentilezza, quando si dimentica del
suo mito fondatore, che è quello
della forza.
La scoperta dell’Archivio Luce fa
parte integrante di queste riflessioni: lavorare a Terramatta; mi
ha permesso di porre al centro
della costruzione drammaturgica l’aspetto ludico del montaggio; poter utilizzare quell’immenso materiale nato per scopi
di propaganda e piegarlo al senso del discorso di un analfabeta
che riscrive la storia di noi tutti,
superando così il contenuto del- Niente forza, quindi, ma attenle immagini stesse, è stato dav- zione e gentilezza. Il futuro è
tutto qui.
vero sorprendente.
* Esordisce con il pluripremiato L’isola, presentato
al Festival di Cannes 2003 alla Quinzaine des
Réalisateurs. Tra i suoi film documentari, presentati
nei maggiori festival internazionali: Ècosaimale?
(2000), L’insonnia di Devi (2001), Racconti per
l’isola (2003), Il mondo addosso (2006), Il mio
cuore umano (2009), Terramatta; (2012) - presentato ai Venice Days 2012, designato ‘Film della
critica’ dal SNCCI e Nastro d’Argento per il miglior
documentario 2013 -, Con il fiato sospeso Premio
Arcobaleno Latino alla Mostra di Venezia 2013 e
Triangle premiato al Torino Film Festival 2014.
Le immagini che illustrano la sezione 90 anni Istituto Luce provengono dall’Archivio Storico Luce e si ringrazia per la collaborazione Paola Angelucci,
Emiliano Guidi e Luigi Oggianu.
Pagina 88 Ugo Tognazzi e Mara Berni in una scena del film I baccanali di Tiberio di Giorgio Simonelli, settembre 1959 (Fondo Vedo); pag. 89
Michelangelo Antonioni e Wim Wenders alla Mostra di Venezia 1995; pag. 90 Catherine Spaak e Alberto Lattuada sul set del film I dolci inganni,
1960; pag. 91 Michelangelo Antonioni, Monica Vitti e Lello Bersani alla consegna dei Nastri d’argento, gennaio 1961 (Fondo Vedo); pag. 92 Pier Paolo
Pasolini e Bernardo Bertolucci alla presentazione di un libro di poesie di Pasolini, giugno 1962 (Fondo Vedo); pag. 93 Walter Chiari e Liliana Bonfatti
sul set del film Donatella di Mario Monicelli, Roma 1956; pag. 94 Nino Manfredi sul set del film L’impiegato di Gianni Puccini e la cantante Mina
negli stabilimenti De Laurentiis per un provino, 1959 (Fondo Vedo); a pag. 95 Anita Ekberg sul set de La dolce vita, 1959 (Fondo Vedo).
95
BIOGRAFIE
R
GIULIO
BASE
egista, attore e scrittore. Diplomato in teatro con Vittorio Gassman, laureato
in Storia del cinema, esordisce subito con successo dirigendo Crack (1991),
miglior opera prima al Festival di San Sebástian. Tra gli altri, nel 2000 dirige
per la tv Padre Pio - Tra cielo e terra con Michele Placido, e diverse sue fiction sono
state distribuite nelle sale americane dalla 20th Century Fox. Il suo ultimo film per il
cinema, Mio papà, ha aperto la sezione Alice nella città del Festival del Cinema di
Roma 2014.
Il suo articolo è a pag. 87
P
SILVIA
COSTA
arlamentare europea, Presidente della Commissione CULT - Istruzione e Cultura.
Giornalista professionista. Nel suo mandato da europarlamentare 20092014 è stata membro dei Comitati Istruzione e cultura, Diritti delle donne
e parità di genere e Libertà civili. È stata rapporteur del Parlamento Europeo per il
programma Europa Creativa 2014- 2020. Già assessore regionale all’Istruzione,
al Diritto allo studio e alla Formazione della Regione Lazio, presidente della
Commissione nazionale Parità, consigliere CNEL, sottosegretario Università
e Ricerca nel Governo Ciampi, deputata, consigliere comunale di Roma,
presidente dell’Accademia di Belle Arti.
Il suo articolo è a pag. 16
C
MARCO
GIUSTI
ritico, saggista, autore tv e regista. Ha realizzato diversi programmi televisivi,
tra cui Blob, Fuori Orario, Stracult. Nel 2004 ha curato la retrospettiva Italian
Kings of the B’s - Storia segreta del cinema italiano per la Mostra del cinema
di Venezia; nel 2007, la rassegna sul western all’italiana e nel 2010 La situazione
comica. Tra i suoi saggi, quello dedicati alla storia di Carosello, le biografie di Moana
Pozzi, Laurel&Hardy, Roberto Benigni e Totò. Il suo ultimo lavoro editoriale è Vedo...
l’ammazzo e torno. Diario critico semiserio del cinema e dell’Italia di oggi.
Il suo articolo è a pag. 76
C
MAURIZIO
PORRO
ritico cinematografico. Ha lavorato con diverse funzioni al Piccolo Teatro
dal ’64 al ’70, alla Ferrania 3M, dal ’69 al ’70, iniziando poi a collaborare
con il “Corriere della Sera” dove entra nel 1974 dopo due anni a “Il Giorno”.
Professore di Storia della Critica dello Spettacolo all’Università Statale di Milano dal
2002, ha pubblicato tra gli altri un Quaderno del Piccolo Teatro (1967), Il cinema
vuol dire (1979), Alberto Sordi (1980), La cineteca di Babele (1981), Alida Valli (1996),
Dizionario dello spettacolo del ’900 (1998), Fine del primo tempo (1999), Il Melò
(2008). È stato curatore dei fascicoli della collana dei DVD Garinei e Giovannini e ha
collaborato per la collana I Grandi sceneggiati.
Il suo articolo è a pag.12
E
SEVERINO
SALVEMINI
96
conomista e docente, laureato all’università Bocconi, dove insegna dal 1993, avendo fondato anche il Cleacc, Corso di laurea in Economia per le arti, la cultura e la
comunicazione, disciplina di cui è considerato un eccellente esperto. Presidente
di Telecom Italia Media. Editorialista del “Corriere della Sera” e “l’Espresso”, co-autore
della rubrica bimestrale “Fotogrammi” per la rivista “Economia e Management” dedicata al tema dell’integrazione tra cinema e economia. Tra le sue pubblicazioni più
recenti: È tutto un altro film. Più coraggio e idee per il cinema italiano, Il Manager al buio
e Management delle istituzioni culturali.
Il suo articolo è a pag. 86
SUL PROSSIMO NUMERO
IN USCITA A MARZO 2015
SCENARI
Cinema e fumetto in Italia
INNOVAZIONI
Cinema&Fiction
FOCUS
Il cinema in Polonia
CINEMA ESPANSO
Truffaut a Parigi
I bambini (...) fanno la spia, non sanno ammirare
che l'autorità, si vendono per una caramella!
(Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi, 1972, di Bernardo Bertolucci)
Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale -70% - Aut. GIPA/C/RM/04/2013
"I bambini puzzano!"
(Sam Neill in Jurassic Park, 1993, di Steven Spielberg)