(Jack) Pallini - Dipartimento Scienze della Terra

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(Jack) Pallini - Dipartimento Scienze della Terra
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Geologica Romana 37 (2003-2004)
Un ricordo di Giovanni (Jack) Pallini
L’attività scientifica di Giovanni (Jack) Pallini inizia ufficialmente nell’Anno Accademico
1973/74, con una tesi di laurea in Paleontologia dei Vertebrati, relatore Giuseppe Sirna,
incentrata sui denti di pesce rinvenuti in un affioramento di arenarie mioceniche
dell’Appennino laziale, presso Carpineto Romano. Anche sulla base della ricca micro- e
macrofauna ad invertebrati accompagnante, il giovane Pallini conclude che si tratta di un
deposito con vari elementi rimaneggiati, provenienti da un’area costiera soggetta ad erosione, lambita da un mare tropicale caldo e pulito. Poi c’è la tesina, che tutti noi sappiamo essere spesso solo un lavoro accessorio, su un argomento che forse ci interessa meno, magari
fatta in fretta e furia, nei ritagli di tempo, mentre il grosso dei nostri sforzi è concentrato
sulla tesi. Forse nei fatti è stato così anche per Jack. Qui, però, l’argomento dell’“innocua”
tesina è insidioso e fatidico: si tratta di un affioramento di Rosso Ammonitico
dell’Appennino Sabino, relatore Anna Farinacci. E infatti quello delle ammoniti diviene il
fascino che conquisterà l’ignaro laureando per la vita.
Un paio d’anni dopo, da studente iscritto a Scienze Geologiche proprio a causa della passione per le ammoniti, conosco Jack. Jack partecipa a tutte le attività delle diverse cattedre
di Paleontologia e Micropaleontologia (Maccagno, Sirna, Farinacci), ed è possibile trovarlo alle esercitazioni al microscopio così come sul pullman, piazzato sul sedile in fondo, in
una delle escursioni didattiche del venerdì verso qualche meta fossilifera. Le escursioni di
terreno ed i campi, come sappiamo, accorciano le distanze tra studenti e docenti. Qui, però,
non c’è nulla da accorciare. Lui è lì, con Umberto Nicosia, Nino Mariotti e Francesco
Schiavinotto, circondato da un nugolo di studenti. Le parole, le battute, le risate che sgorgano da quest’area del pullman, convincono ben presto uno studente del secondo anno che l’università può essere (un luogo, un tempo, un’attività) anche più divertente del liceo. Il gioco
è fatto, per sempre.
Durante la seconda metà degli anni ‘70, Jack fa parte di un gruppo di paleontologi che,
come la figura sotto la cui ala si erano riuniti, Anna Farinacci, coniugano gli studi di sistematica con una profonda curiosità per il significato geologico-sedimentario degli strati fossiliferi, cosa forse più frequente oggi di quanto non lo fosse una trentina di anni fa. Il gruppo, i cui componenti sono menzionati poche righe sopra, ha come mente più “geologica”
Umberto Nicosia. Con lui Jack ha tra l’altro pubblicato su “Geologica Romana” un lavoro,
“scomodo” ma fondamentale, sull’inaspettata presenza di colonie di coralli, affini a forme
zooxantellate attuali, nei depositi condensati del Titonico presenti sugli alti strutturali di
Calcare Massiccio nell’Appennino umbro-marchigiano e sabino. Umberto ha da poco rice-
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vuto da Pete Vail un’ anteprima del celebre lavoro del 1977 sulla stratigrafia sismica, e ne è
profondamente affascinato. Il gruppo si fa intrigare con entusiasmo dalla intuizioni di
Farinacci sulla geologia dell’Appennino centrale, e vuole comprendere la logica delle lacune stratigrafiche che numerose si celano nelle successioni pelagiche di quella regione. Si
vuole adesso capire se tra presenza/assenza di sedimenti e cicli eustatici vi sia una relazione, nell’ipotesi che le pelagiti di quella regione si siano deposte a profondità molto più
modeste di quanto da poco ipotizzato da alcuni influenti autori. Le ammoniti diventano lo
strumento fondamentale per individuare le discontinuità stratigrafiche già sul terreno, consentendo di indirizzare e concentrare “in tempo reale” le ricerche e gli sforzi. Anche quelli
di un agguerrito gruppetto di studenti aggregati, aventi al seguito un arsenale di materiale da
ferramenta atto all’estrazione dei cefalopodi. Essi sono motivati dalla polifonia delle urla di
giubilo per un ritrovamento emozionante - o squassati dalle spontanee esclamazioni di
intemperanza, disappunto, o di puro dolore fisico, frequenti soprattutto a fine giornata, quando più maldestro si fa il governo degli utensili e meno certa la mira sulla testa degli scalpelli - provenienti da diversi punti della boscaglia. Questa colorita squadra lavora in vista di un
preciso progetto: la preparazione del “Rosso Ammonitico Symposium”, un convegno internazionale organizzato da Farinacci a “La Sapienza” per l’estate 1980, che riunirà paleontologi e sedimentologi, paleomagnetisti e geologi regionali, sulle tematiche delle facies pelagiche della Tetide, di cui il rosso ammonitico è il simbolo in tutto il mondo.
A cavallo tra fine anni ‘70 e inizio ‘80, Jack è di casa all’Università di Lione, dove lavorano ottimi specialisti di ammoniti, tra i quali Serge Elmi. Jack diviene rapidamente un
punto di riferimento nel Dipartimento di Scienze della Terra de “La Sapienza”, i cui geologi rilevatori e stratigrafi tradizionalmente dividono i loro sforzi tra il dominio laziale-abruzzese e quello umbro-marchigiano e sabino. Da quest’ultima regione i docenti ed i loro studenti riportano frequentemente ammoniti, che vengono sistematicamente sottoposte all’attenzione di Jack, il quale fornisce così un prezioso “servizio” al Dipartimento, senza dire
mai di no a nessuno. Questo importante ed impegnativo aspetto del suo lavoro quotidiano,
oscuro ed essenziale nello stesso tempo, contribuirà a creare la sua immagine di uomo sempre e totalmente disponibile e di scienziato perennemente curioso.
Occorre a questo punto ricordare in quale contesto scientifico si inserisca l’opera di
Pallini. L’Italia è un Paese in cui la paleontologia delle ammoniti si è praticamente fermata
da molti decenni. Anzi, da quasi un secolo. A differenza che in Francia, Germania, Svizzera
o Gran Bretagna, l’uso delle ammoniti per la datazione delle successioni giurassiche
dell’Appennino pelagico è una pratica sconosciuta, interrottasi dopo gli studi pionieristici, a
cavallo tra ‘800 e primo ‘900, di Canavari, Fucini, Meneghini, Zittel e pochi altri. La mancanza di specialisti ammonitologi fa sentire tutto il suo peso, ad esempio, negli anni del
completamento della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000 (Anni ‘60 - “Legge
Sullo”). Il Giurassico dell’Appennino umbro-marchigiano e sabino è caratterizzato da un
complicato mosaico di paleostrutture e facies, e le principali tappe dell’evoluzione geodinamica e paleogeografica di questo settore della catena hanno un disperato bisogno di essere
datate e possibilmente correlate con le regioni adiacenti. Le facies di alto strutturale (sia il
loro top che le paleoscarpate marginali) - i footwall del rift liassico - ospitano depositi riccamente ammonitiferi. Le faune, come si accennava, erano state descritte in fondamentali
lavori risalenti sovente ad un secolo prima, corredati da magnifiche tavole illustrate con
disegni, ma senza immagini fotografiche. Il lavoro di classificazione si svolgeva per confronto con venerabili testi di antiquariato - pratica in sé affascinante, ma che rende la precisa idea del gap temporale esistente nelle conoscenze. Inoltre le associazioni descritte non
erano state raccolte con criteri sistematici di campionamento adeguati allo stile, spesso
estremo, di condensazione dei depositi che le contenevano. Sappiamo infatti che quei grandi paleontologi del passato classificavano spesso reperti raccolti da appassionati locali, e lo
facevano con intenti più sistematici che biostratigrafici.
Ebbene, Pallini deve di conseguenza operare su diversi fronti, e lo fa come figura scientifica pressochè unica, se si fa eccezione per il suo collega ed amico perugino Federico
Venturi. Deve fare un pesante lavoro di “cavatore”: bisogna trovare la sezione adatta, numerare gli strati, e spaccare la roccia. Molta roccia , perché trovare un’ammonite determinabile non è come con un nannofossile calcareo. Una giornata intera su uno strato, o forse due.
Così moltiplicato per tutti gli strati, perché il segreto era - ed è - naturalmente quello di trovare le ammoniti dove “non ci sono”, cioè dove nessuno le ha mai trovate o cercate. In ogni
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caso, spaccare tante pietre. Chi scrive ricorda tante memorabili giornate nelle Marche a fare
questo lavoro, col sottofondo di musica rock proveniente dal radione a pile. Giornate in cui
le più rigorose disquisizioni sullo stile di biforcazione delle coste e sulla distribuzione verticale della tale specie si mescolavano, durante la pausa a base di pizza e spuma rossa, a considerazioni molto più concrete sull’ultimo film con Bo Derek, o ai progetti - effettivamente
realizzati - di andare la sera stessa a vedere Peter Gabriel a Firenze o Miles Davis a Perugia.
Per poi finire a mangiare le cozze sull’Adriatico a tarda notte, ed andare infine a dormire
nella vecchia casa di Senigallia, nella quale il lavandino della cucina, a causa della sua capacità di ingurgitare di tutto (dagli avanzi di cibo ai frammenti di roccia derivanti dalla pulitura delle ammoniti), veniva affettuosamente soprannominato “Bokassa”, dal nome di un dittatore africano dell’epoca con particolari abitudini alimentari. Casa di Jack a Senigallia
poteva fungere da ricovero per anche una quindicina di persone (studenti e laureati, ma spesso anche amici degli amici), stipate ovunque con i sacchi a pelo.
Pallini deve anche fare un lavoro di riordino e revisione ragionata che coniughi la sistematica prodottasi con le monografie degli Antichi Autori con concetti più moderni di specie
e sottospecie, alla luce sia della variabilità intraspecifica emersa attraverso il lavoro degli
specialisti europei negli anni del gap italiano cui si accennava, sia dei dati sulla distribuzione verticale delle varie forme che emergono dall’infaticabile lavoro di misurazione e campionamento di innumerevoli sezioni. Serve allora andare a visionare olotipi nei musei esteri, ed attivare una rete di relazioni internazionali. Serve anche fare partecipi gli amministratori locali della rilevanza scientifica del loro territorio. Nasce così l’idea di istituire un
appuntamento cadenzato, un congresso in una sede immersa nell’area di studio, da cui stanno cominciando ad emergere tanti dati nuovi ed interessanti per la comunità internazionale.
Prende corpo il Convegno “Fossili, Evoluzione, Ambiente”, che si svolgerà a Pergola negli
anni 1984, 1987 e 1990. In queste occasioni vengono invitati, a spese del Comune, specialisti da tutto il mondo. Le sessioni scientifiche coprono la stratigrafia dell’Appennino come
della Polonia, della Nuova Zelanda o della Russia. Gli argomenti spaziano dal dimorfismo
sessuale dei cefalopodi alla paleobiogeografia, alla sedimentologia. Sono anche previsti
field trips, che serviranno da “battesimo del fuoco”, in veste di stop leaders, per i numerosi
giovani collaboratori - tra cui io stesso - coinvolti nelle ricerche in Appennino, i cui progressi nella professione Jack avrebbe poi affettuosamente continuato a seguire per anni. Gli atti
di questi tre convegni sono pubblicati in altrettanti volumi da lui stesso editati, riccamente
illustrati, che restano come testimonianza della capacità di Pallini - al di là del suo apparire
spesso dimesso e del suo agire sempre istintivo - di ideare, perseguire e portare a compimento formale con successo dei progetti impegnativi, il tutto senza la minima ombra di ambizione personale o, peggio, carrierismo. Viene tra l’altro finalizzato al convegno del 1987 un
impegnativo lavoro, durato quattro anni, volto a descrivere diversi aspetti sia biostratigrafici che geologico-sedimentari dell’area, che diventerà classica, dell’alto strutturale di Monte
Nerone. Questo lavoro fa parte di un ciclo, svolto con Fabrizio Cecca, Stefano Cresta e lo
scrivente quali collaboratori fissi durante gli interi anni ’80, nel quale vengono analizzate
diverse aree-chiave delle dorsali umbro-marchigiana e marchigiana esterna (Monti della
Rossa), vengono varati schemi biostratigrafici a valenza regionale per diversi piani del
Giurassico, e vengono censite - piano per piano - tutte le specie documentate nella regione.
Sono anche gli anni della nascita del profondo rapporto di Jack con il paese di Piobbico, ed
in particolare con il vivace prete-cercatore di ammoniti Don Domenico Rinaldini, anch’egli
recentemente scomparso. Don Rinaldini prosegue una tradizione che nell’800 aveva portato diversi parroci di campagna umbri e marchigiani (ma anche insegnanti di scuola) a divenire, mossi dalla curiosità culturale di comprendere il significato delle loro scoperte, i principali collaboratori sul campo di accademici di diverse nazionalità, sempre pronti ad estrarre da qualche cassetto esemplari perfetti di specie rarissime ricercate inutilmente da questi
ultimi per mesi. Il “Dondò”, come lo si chiamava, metterà per anni a disposizione di chiunque fosse associato al gruppo di Pallini un comodissimo e ospitale ostello annesso all’isolata chiesa di Rocca Leonella, permettendo così a tanti appassionati ma squattrinati paleontologi o aspiranti tali di limitare le spese. Non solo, ma anche aggregandosi spesso al gruppo,
in canottiera e senza alcun formalismo verbale - per così dire - durante le giornate di scavo.
Quell’ostello diviene un’ importante base per le ricerche, permettendo di invitare ed ospitare anche colleghi di diverse specializzazioni e sedi universitarie, anche extra-italiane, come
Carlo Sarti, Elisabetta Erba e Federico Oloriz, tra i tanti. In quegli anni Walter Alvarez sta
lavorando a Monte Nerone, ed è anch’egli divenuto amico del Dondò. La comune conoscen-
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za porterà a utili scambi scientifici, e la stratigrafia ad ammoniti permetterà ad Alvarez di
datare alcuni dei campioni raccolti per gli studi paleomagnetici con William Lowrie.
Sempre nella seconda metà degli anni ‘80, Jack inizia ad aggirarsi curioso per i Monti
Lessini, stringendo rapporti con l’importante figura locale di collezionista ed ammonitologo del Giurassico di gran livello, storico delle tradizioni popolari, nonché fondatore di un
importante Museo locale a Camposilvano, Attilio Benetti. Ciò lo porterà a pubblicare un
lavoro sulle ammoniti cretaciche della Maiolica veneta, messe a confronto con le associazioni appenniniche. Pallini ha infatti allargato i suoi interessi al Cretacico, sottoponendo la
Maiolica alle stesse amorevoli attenzioni precedentemente rivolte soprattutto alla Corniola
ed al Rosso Ammonitico. Quella formazione, notoriamente avara di cefalopodi come ben sa
qualsiasi geologo di terreno, dopo le sue indagini degli anni ’90 si rivela una miniera di dati,
consentendo suddivisioni in piani e biozone con una risoluzione maggiore di quella consentita da micro- e nannofaune.
Nel frattempo Pallini ha negli anni esteso le sue ricerche su diversi ulteriori fronti, portando contributi spesso oscuri ma fondamentali alle conoscenze stratigrafiche delle successioni del Cenomaniano dell’Aspromonte, del Cretacico della Puglia e del Giurassico di
Longobucco e Caloveto in Sila. In quest’ultima area, la sua determinazione di forme del
Toarciano basale in un’associazione proveniente dalle torbiditi della Formazione del Trionto
consente di restringerne il range stratigrafico, che precedentemente era stato esteso su basi
incerte fino al Cretacico inferiore, con ovvie ricadute di tipo geodinamico. E’ inoltre importante notare come la sua specializzazione nelle faune liassiche lo porti inevitabilmente a
contatto col grande tema dell’annegamento delle piattaforme tetisiane, che avviene proprio
nel Lias. Viene così ad essere individuato un evento nel Pliensbachiano inferiore (Carixiano
- Zona ad Ibex), la cui portata paleoambientale sarà poi confermata da studi interdisciplinari basati su altri gruppi fossili e sulla geochimica degli isotopi stabili.
Gli ultimi anni della vita di Jack, forse tardivamente gratificati dalla nomina a Professore
Associato, sono principalmente caratterizzati dall’attività su due nuovi fronti: l’Abruzzo e
la Sicilia. Jack si è trasferito all’Università di Chieti, condividendo le attività didattiche e le
giornate in quella nuova sede con Nino Mariotti. In Abruzzo vengono trovate, manco a dirlo,
nuove associazioni ad ammoniti nella zona del Gran Sasso, a Rocca Calascio ed Ofena. Noi
qui possiamo constatare attoniti con quale disarmante facilità egli riproduca istantaneamente anche lì il suo stile inimitabile di rapporto da pari a pari con gli studenti, facendo presto
nuovi adepti pronti a tutto. E infatti li ritroviamo al suo seguito nella torrida Menfi, nei pressi della quale, nella zona del Plateau di Sciacca, è stata trovata una spettacolosa associazione condensata del Toarciano-Aaleniano, poggiante in discontinuità sul top eroso della
Formazione di Inici. Nel frattempo Jack ha apportato un importante contributo anche nel
campo della geologia marina, classificando un’associazione a cefalopodi, affidatagli in studio da Sandra Conti, campionata su un alto strutturale nell’Oceano Atlantico. Anche in questo caso i risultati contribuiranno a nuove ipotesi geodinamiche. Il relativo articolo, e la
monografia con la descrizione completa della fauna siciliana, contenuta in questo volume di
“Geologica Romana”, saranno i suoi ultimi lavori, pubblicati postumi.
Non so cosa altro ci sia da dire di quest’uomo incapace di stare fermo un minuto, nonostante le bizze del suo generosissimo cuore. Il privilegio di commemorarlo in questa sede
mi ha inevitabilmente portato ad infarcire di ricordi personali questo itinerario attraverso la
carriera del Jack geologo. Mi scuso di questo, anche se confesso che molti di più ne avrei
inseriti, in quanto per me non si trattava di ricordare soltanto un paleontologo, bensì un fratello maggiore. Tutte le persone scomparse vengono ricordate con indulgenza spesso sospetta, omettendo sistematicamente i difetti a favore delle virtù. Il lettore sappia però che, in
questo caso, si sarebbe trattato di andare a cercare dei minuscoli granelli di polvere poggiati su un immenso, sfavillante tesoro.
Massimo Santantonio
Giovanni Pallini
15 febbraio 1949 - 24 settembre 2003
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