Giro il mondo, gamba in spalla

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Giro il mondo, gamba in spalla
INSUPERABILI Intervista a Roberto Bruzzone
Giro il mondo,
gamba in spalla
Dopo aver attraversato
il deserto della Namibia
ed essere salito in vetta
al Kilimanjaro,
ora il trekker vuole partire
per un tour nelle scuole
Michela Trigari
Q
uando gli chiedi che lavoro fa, lui
risponde che «cammina». E in effetti ora Roberto Bruzzone è un
trekker di professione. Nel senso che,
da quando in quattro ore e mezza scalò il Gran Paradiso con la sua protesi
alla gamba (era il 2006), non si è più
fermato: l’anno dopo ha percorso i 781
chilometri del cammino di Santiago
di Compostela in 26 giorni e poi, dopo pochi mesi, è salito in vetta al Kilimanjaro. Nel 2008 ha attraversato
parte dell’Islanda a piedi (si è dovuto fermare a causa di un’infiammazione al tendine d’Achille), nel 2010 è
arrivato in cima all’Aconcagua (in Argentina) toccando quota 6mila metri e
“riposandosi” poi in giro per la Corsica, mentre tre anni fa ha conquistato il
deserto della Namibia.
A suo modo è un uomo dei record.
Tanto che, grazie alle sue imprese,
tutte documentate su Robydamatti.
it, questo ragazzone di Ovadia (Alessandria) classe 1978, amputato sotto il
ginocchio 14 anni fa in seguito a un incidente in moto, è diventato il tester e il
testimonial di un’azienda di protesica,
gli sponsor tecnici gli danno una mano
quando parte per le sue avventure e in
più lo chiamano un po’ da tutta Italia
per motivare ragazzi e dirigenti, tenere
corsi, presentare i suoi viaggi. «Effettivamente non ho un lavoro in particolare – dice –. Ma da quando ho iniziato
SuperAbile INAIL
16 Ottobre 2014
Bruzzone attraversa il deserto del Namib,
in Namibia. Nella pagina precedente, sul sentiero
Gr 20 in Corsica. Foto di Stefano Pini
a fare il camminatore estremo si sono
create tutta una serie di sinergie che
sono diventate il mio lavoro. Inoltre ho
fondato anche l’associazione Naturabile, una onlus che promuove il trekking
e lo sport tra le persone disabili». Ora è
reduce dal “Robydamatti walk camp”,
una settimana di perfezionamento del
cammino sui terreni accidentati delle colline bolognesi (cinetica, postura,
eccetera) rivolta alle persone amputate.
hanno amputato le dita del piede, poi
l’avampiede, poi tutta una serie di interventi chirurgici per vedere di ricostruire qualcosa. Mi sono fatto tre anni
di ospedale, di antidolorifici e di morfina prima di decidere di farmi amputare la gamba sotto il ginocchio. Ma da
quando la protesi si è assestata sono ripartito in quinta. Ricordo che dissi a
mio fratello: «Il giorno che riesco a fare il primo passo non mi fermo più».
Più o meno ero la stesso, almeno come personalità. Forse un po’ più
scavezzacollo. Lavoravo in fabbrica
– costruivo marmitte per le moto da
corsa, la mia grande passione – e poi
facevo l’istruttore in palestra e molto pugilato. Sono stato per dodici anni
sul ring e la box è stata il primo sport a
cui mi sono avvicinato dopo l’incidente: andavo quasi meglio di prima, tanto ero motivato. Ma visto che non mi
facevano più gareggiare e che non esisteva il pugilato per disabili, sono passato all’atletica. Però anche la pista mi
stava stretta.
Il messaggio è sempre quello di non
fermarsi mai davanti agli ostacoli. E
poi cerco di dare dei consigli pratici e
di indicare la strada più corta per avere
una buona protesi. Ma non è semplice,
soprattutto quando ti arrivano e-mail
di ragazzi che vogliono emularti facendosi amputare un arto. Anche le madri
mi scrivono preoccupate dell’infelicità dei loro figli dopo un incidente o
un altro tipo di disabilità acquisita: io
rispondo che è normale e che sarebbe
preoccupante se fossero subito allegri
e sorridenti.
Chi era Roberto Bruzzone prima dell’incidente?
Poi è arrivato l’amore per il trekking...
Sì, me lo ha proposto Alessio Alfier, un preparatore atletico specializzato negli sport di resistenza. E io che
credevo che andassimo a fare delle passeggiate in montagna... Dopo il Gran
Paradiso sono diventato un “camminatore con la gamba in spalla” – la protesi di riserva che porto sempre con
me nello zaino – per vedere non solo
quanta strada riuscivo a fare in salita ma anche quanti chilometri riuscivo a percorrere in piano. C’è voluto un
bell’allenamento, tanta fatica e a volte
pure dolore. Ma n’è valsa la pena.
Cosa dice a chi si trova a dover fare i conti con la disabilità?
Quali sono i suoi progetti futuri?
Per prima cosa sto cercando fondi
per effettuare un tour regionale nelle
scuole, che parta almeno da Piemonte e da Lombardia, e che affronti anche
il tema della sicurezza sulle strade. Il
secondo progetto riguarda invece una
serie di incontri in collaborazione con
il Cai (il Club alpino italiano) per parlare dell’approccio della disabilità alla
montagna.
Prossimo viaggio in programma?
Spero di partire al più presto per
il Perù, magari tra gennaio e febbraio prossimi, alla volta del viaggio più
lungo che abbia mai affrontato a pieMomenti di sconforto non ne ha mai avu- di: da Lima al lago Titicaca, al confine
con la Bolivia, naturalmente salendo
ti in questi anni?
Certo che sì. Dopo l’incidente è stato anche sul Machu Picchu alla scoperta
psicologicamente durissimo. Prima mi degli Inca.
SuperAbile INAIL
17 Ottobre 2014