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IX FRIEDRICH NIETZSCHE Con Friedrich Nietzsche (1844-1900), ad un tempo ‘profeta’ e interprete delle istanze del pensiero contemporaneo, si determina una svolta radicale ed epocale. Nietzsche dà voce, infatti, al pensiero, latente nella temperie dell’epoca, che, di fronte all’angoscia del divenire, “il rimedio è stato peggiore del male”. Per questo ritiene che l’intero corso del pensiero occidentale abbia tradito la vitalità positiva della comprensione dell’esistenza quale era espressa nei lati complementari del dionisiaco e dell’apollineo. Propone allora la negazione radicale del rifugio in ogni forma di sapere stabile in cui l’Occidente avrebbe cercato di chiudere il divenire. Annunciata la morte di Dio (Nietzsche maledice il Cristianesimo come somma espressione del vile rimedio consolatorio alla tragicità del divenire), solo un Übermensch, un “super-uomo”, meglio, un “oltre-uomo” (nel senso di un uomo capace di autotrascendersi e portarsi oltre la dimensione sinora vissuta) è in grado di assumersi tutta la tragicità del divenire e di liberarla con gioia alla massima possibilità dell’esistenza dando luogo ad una trasmutazione radicale di tutti i valori. Il mito dell’eterno ritorno dell’uguale viene incontro a questa concezione di libertà assoluta riferita al proprio destino, perché offre la possibilità di sceglierlo non solo per il futuro, ma anche per il passato, destinato, in forza della circolarità, a tornare ad essere il futuro. Friedrich Nietzsche (1844-1900) - Die Philosophie im tragischen Zeitalter der Griechen [La filosofia nell’epoca tragica dei Greci] (1870-1873) - Die Geburt der Tragödie [La nascita della tragedia] (1872) - Menschliches, Allzumenschliches [Umano, troppo umano] (1878-80) - Morgenröte [Aurora] (1881) - Die fröhliche Wissenschaft [La gaia scienza] (1882) - Also sprach Zarathustra [Così parlò Zarathustra] (1883-85) - Jenseits von Gut und Böse [Al di là del bene e del male] (1886) - Zur Genealogie der Moral [La genealogia della morale] (1887) - Der Antichrist [L’anticristo] (1888) - Ecce homo (1888) - Der Wille zur Macht [La volontà di potenza] (1901) Il presupposto del pensiero di Nietzsche è che – ci troviamo prossimi all’esistenzialismo pessimista di Schopenhauer – la vita sia dolore, lotta, distruzione, crudeltà, incertezza, errore e soprattutto IRRAZIONALITÀ. La vita è intesa come irrazionalità, radicale assenza di senso, di polarità, direzionalità, ordine. Rispetto a ciò vi sono due possibili atteggiamenti: - un atteggiamento di rinuncia e fuga, che è quello dell’ascetismo e quindi della morale cristiana - un atteggiamento di accettazione della vita per quello che è (ed è la posizione di Nietzsche), fino a sfociare nel superamento dell’uomo in una dimensione nuova, altra, inedita, inattesa, sorprendente e mai esplorata finora, quella dell’Übermensch (il superuomo, ma, più correttamente, l’oltre-uomo, la condizione di ulteriorità che l’umanità deve essere in grado di darsi superando l’attuale). La riflessione di Nietzsche ha profonde radici in un’interessante e geniale analisi della grecità classica. Nietzsche riflette sul mito di Dioniso, simbolo divinizzato dell’accettazione totale della vita, di una volontà orgiastica di vita: 35 ebbrezza, gioia, volontà contro la mortificazione dell’energia vitale. Sulla falsariga di un impulso dionisiaco, che la società occidentale sa scoprire nelle proprie radici, Nietzsche propone la trasmutazione di tutti i valori, che comporta una specie di trasfigurazione, un rovesciamento di tutto, una trasformazione integrale della tavola dei valori. Per questa trasmutazione è virtù ogni passione che esprime il ritorno consapevole dell’uomo alle fonti originarie della vita. Negli stessi orrori della vita è da riconoscere il segno di una forza fecondatrice e trasfiguratrice. Questa trasmutazione è un’inversione dei valori proposti dalla morale cristiana. Questa che cos’è, se non l’affermazione degli individui inferiori, delle classi sottomesse e schiave? Il fondamento della morale cristiana sarebbe, per Nietzsche, il risentimento contro la vita e i suoi frutti sarebbero il disinteresse, l’abnegazione e il sacrificio di sé. Quindi la morale cristiana sarebbe viltà pura, vigliaccheria istituzionalizzata, giacché promuove i deboli e gli afflitti e vuole consolarli, mentre la natura – la forza vitale – celebra la logica della forza, di ciò che è bello, potente, non debole e malato. Il Cristianesimo è per eccellenza una religione da derelitti, buona per i residui dell’umanità, e questo pare un vanto del Vangelo. È un vanto della Chiesa di essersi fatta carico delle situazioni di debolezza, di aver avuto umanità verso le persone più sfortunate e colpite dal dolore. Invece Nietzsche vede proprio in questo la sua viltà, un atteggiamento estremamente innaturale. Per Nietzsche il Cristianesimo ha dato forza e spazio a quella fetta di umanità che nutre risentimento contro la vita. È un’innaturale promozione di quella feccia di umanità che vorrebbe compiere la rivoluzione del proletariato alla Marx, ma non la può fare e allora scarica ed esprime il proprio risentimento nella forma del culto, aspettando questo Redentore che dovrebbe salvare tutti. C’è qualcosa di molto simile nell’idea di Marx sul ruolo strumentale della religione per tener basso il livello del popolo scaricandone le attese in un oltre immaginario e fare in modo che non minacci l’ordine costituito e permanga in uno stato di soggezione alle classi superiori. Una tale posizione ha evidentemente travisato la vera carica rigeneratrice del Cristianesimo, la cui forza sociale è nel considerare tutta l’umanità sino a farsi carico dei reietti e proporsi di trasformarli, offrendo l’opportunità di un’umanità pensata in grande – e sin dall’esistenza presente – singolarmente a tutti. Viene alla mente la logica della grande cattedrale cristiana in età medievale e la suggestione che doveva offrire agli uomini del tempo: anche se vivo in una stamberga ho comunque una casa che è la reggia più splendida che si possa immaginare e dove posso sentirmi a casa; anch’io condivido una condizione principesca, anch’io accedo ad un palazzo più grandioso e luminoso dei palazzi dei re dove assisto a riti più solenni e magnifici di quelli previsti dallo stesso cerimoniale di corte. Eppure è casa mia! Questa idea smentirebbe da sola tutto il discorso di Nietzsche, contrariamente al quale (e contrariamente ad una certa idea minimalista e frustrata della fede e delle sue espressioni artistiche e culturali di certi cristiani d’oggi) è proprio perché si compiono cose grandi che si è in grado di far vivere un’esperienza del bello e dell’assoluto alle persone più sciagurate di questa terra. La scienza, con la credenza nella verità oggettiva, è l’ultima trasformazione dell’ideale ascetico, cioè della fuga dal mondo, ed è un impoverimento dell’energia vitale perché anche la scienza, rifugiandosi nelle cosiddette verità oggettive, in qualche modo blocca, congela, consolida l’esistenza, che è invece energia vitale. Contro la stabilità e solidità della scienza Nietzsche esalta la libertà dell’energia vitale che ognuno porta in sé. La trasfigurazione dei valori è dunque annullamento dei limiti e conquista del dominio assoluto dell’uomo sulla terra. L’arte diviene l’espressione più elevata dell’uomo. Nell’arte ha fondamento la dualità dello spirito dionisiaco e dello spirito apollineo, che è spirito di armonia delle forme. L’arte è forza vitale e perciò sa anche librarsi nell’armonia delle forme. Nietzsche esalta l’arte figurativa, la musica, e quando parla di questa forza sta preparando qualcos’altro: la nazione in termini di razza e di affermazione della forza e della gioventù. Tutti questi contenuti entreranno nel nazismo, come frecce che si conficcano tutte nel medesimo bersaglio, in forza di un’operazione di ripaganizzazione della cultura europea cui l’ideologia nazista espressamente mirava. Lo spirito dionisiaco dà questo sentimento di forza, di pienezza all’arte, che apre all’uomo l’infinito della potenza e dell’esaltazione di sé. Trasfigura l’uomo, con un atto di accettazione, trasformando la debolezza umana in forza. Per Nietzsche, con Socrate e la filosofia è iniziato uno stato di degenerazione e di decadenza di questo spirito dionisiaco. La riflessione filosofica, che ha cominciato ad animare la civiltà occidentale dall’esperienza della riflessione critica greca, ha rappresentato una ritrazione dalla realtà, un ritirarsi dell’uomo rispetto alla realtà vitale della sua esperienza, una negazione della realtà, una sorta di moto di rifugio, nella persuasione del sussistere di un ordinamento vero del mondo, stabile e razionale, rispecchiato dai principi della metafisica e della teologia cristiana. La vita è irrazionalità, dolore, sofferenza, morte, assurdo: la vita è l’assurdo. E di fronte a questo assurdo si ha paura e ci si ritrae e si tradisce la verità, e anche questo è assurdo. Secondo Nietzsche, la ricerca di una sicurezza contro la minaccia del divenire (che è l’assurdo, l’irrazionale, il non senso), il rimedio cercato nella metafisica e nei contenuti della rivelazione cristiana, è stato peggiore del male. Questa è la sentenza che Nietzsche pone come pietra tombale sopra ogni possibilità di dedurre un ordine sensato e razionale della storia e della vita. Il rimedio peggiore del male è l’idea di Dio e dell’assoluto metafisico, in cui si riassume la strategia di rifugio, come vile tradimento e fuga dall’ordine irrazionale della realtà, della cultura dell’Occidente. Su questa idea di Dio grava l’esistenza di un peso in realtà più insopportabile ancora: la stessa minaccia del 36 divenire, perché, se c’è Dio, io non sono. Non c’è spazio per entrambi, perché la libertà assoluta invocata dalla soggettività ormai ipertrofica della modernità contemporanea, proclama la morte di Dio come incompossibile con la pienezza del proprio essere. Cos’è la consumazione del peccato originale se non l’espressione che l’io è alternativo assoluto a Dio e che non c’è posto per entrambi? Nichilismo è lo stato in cui l’uomo occidentale non è più in grado o in condizione di credere alla verità e ai valori della tradizione, soprattutto di quella cristiana. Nichilismo vuol dire che nulla ha senso, nulla ha ragione, nulla è ordine, nulla è verità. Allora la vita è priva di senso e di valore, è dominata dall’imprevedibilità irrazionale e assolutamente caotica del divenire, al punto che persino la scienza è un errore, perché falsifica il divenire e ne elimina l’imprevedibilità. Che può fare la scienza se non offrire modelli previsionali per poter stabilire l’andamento di alcuni fenomeni? La scienza ha un bel pretendere, ma è in errore, perché si illude e illude l’uomo di eliminare l’imprevedibilità tragica del divenire. La morale è il regno dell’ideologia, nel suo significato marxiano. È sublimazione dell’istinto di conservazione, di sopravvivenza, quindi è sovrastruttura, non è l’autenticità dell’uomo: è un’alienazione, una scissione dell’uomo. Espressione di questa scissione è l’alienazione religiosa. Ma anche il mondo interiore, il piano della coscienza, appartiene al regno dell’incerto e del mutevole. L’istinto di conservazione certo vuole un mondo di sostanze per unificare questa realtà caotica e quindi sottrarsi all’imprevedibilità del divenire. Ma la forma suprema di sostanza è la sostanza divina e questa vuole esplicare in sommo grado la funzione rassicuratrice che l’uomo cerca in queste strategie di rifugio, inautentiche quanto a espressione dello stato di fatto della realtà, che è irrazionale non senso e tale da tradire, in realtà, come una colossale vigliaccata, l’umano. ~ possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli, chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremo lavarci? Quali gesti espiatori, quali sacre rappresentazioni dovremo inventare? Non è troppo grande per noi la grandezza di questa azione? Non dobbiamo anche noi diventare dèi per apparire degni di essa? Non ci fu mai un’azione più grande, e chi verrà dopo di noi, apparterrà in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto siano mai state tutte le storie sino ad oggi!” A questo punto l’uomo folle tacque e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Infine gettò a terra la sua lanterna, che andò in frantumi e si spense. “Io vengo troppo presto – proseguì – non è ancora il mio tempo. Questo enorme evento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino, non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono hanno bisogno di tempo, la luce delle stelle ha bisogno di tempo, le azioni hanno bisogno di tempo, anche dopo essere state compiute, per poter essere viste ed ascoltate. Questa azione è pur sempre più lontana dagli uomini delle stelle più lontane, eppure sono loro che l’hanno compiuta! Si racconta ancora, che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quindi abbia intonato il suo Requiem aeternam deo. Cacciatone fuori e interrogato sul suo pensiero, avrebbe risposto sempre e invariabilmente: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse ed i sepolcri di Dio?” (Die fröhliche Wissenschaft (La gaia scienza, c. 3) Der tolle Mensch / L’uomo folle Avete sentito di quell’uomo folle, che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente:”Cerco Dio! Cerco Dio!” E poiché là si trovavano raccolti molti di quelli, che non credevano in Dio, ciò suscitò in lui una grande risata. “Si è forse perduto?” – disse uno. “Si è smarrito come un bambino?” – fece un altro. “Oppure sta bene nascosto? Ha paura di noi? si è imbarcato? È emigrato?” Gridavano e ridevano in una grande confusione. L’uomo folle balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi. “dove se n’è andato Dio? – gridò – Ve lo voglio dire! Lo abbiamo ucciso, voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci diede la spugna, per strofinare via l’intero orizzonte? Che mai facemmo per sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non siamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Non udiamo ancora nulla dello strepito che fanno i becchini che stanno seppellendo Dio? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più santo e di più La morte di Dio è la morte delle categorie metafisiche, di tutto ciò che dà fondamento e sicurezza, di tutto ciò che conferisce stabilità all’esistenza. La critica di Nietzsche è estremamente radicale, non esistono neppure i fatti, quindi neppure il positivismo si salva, non la scienza esaltata da Comte e dai positivisti. Esistono solo interpretazioni: l’interpretazione che il Cristianesimo offre della realtà non riscuote più consensi? Dunque non è più un’interpretazione valida. Il mondo dell’esperienza è l’unico reale, ma è constatazione di un testo misterioso, che va interpretato. È un caos, una pluralità di niente, irrequieta, contrastante, contraddittoria, priva di qualsiasi direzione. Anche tutto ciò che è soggetto a interpretazione, anch’io, per quello che son capace di dire su di me, sono interpretazione, un’interpretazione che prolifera nelle direzioni più varie, più contrastanti, irrazionali e scomposte. La conoscenza umana, quindi, non può mai costruirsi come sistema o comprensione del tutto. Il tutto è sempre, alla fine, un’ombra di Dio. Ecco che oggi, con un atteggiamento alquanto sprezzante, si rifiutano le concezioni che si dicono 37 olistiche (hólos = l’intero): tutte le concezioni che cercano di descrivere l’intero, la filosofia come sistema, sono cose del passato. Aristotele, Tommaso, Leibniz sono tentativi “olistici” di interpretare il reale. L’interpretazione è, piuttosto, volontà di potenza, che non è un principio unitario, ma va nella direzione della spontaneità scomposta nella sua forza vitale. Il senso del mondo è il risultato della volontà di dominio e produce valori: questi valori sono quelli veri, giusti, buoni. Non si dovrebbe neppure poter dire veri, perché già vero è una categoria metafisica, perciò superata. Übermensch è la volontà al culmine della potenza, che riesce ad accettare il divenire nella sua tragicità e ad assumerlo tutto, operando la trasmutazione di tutti i valori. L’accettazione non è perciò una passività, non è un subire qualcosa, anzi, è l’immedesimazione nell’infinita inquietudine del flusso eterno di tutte le cose, esaltandola e provocandola al massimo. Di fronte all’irrazionale e al tragico della tua vita, lo sollecita ancora di più, lo scuote, lo provoca, diviene una vita ancora più irrazionale, ancora più tragica, ancora più senza senso, e va a sollecitare, a scuotere il cielo, se occorre, per tirarsi addosso qualche evento ancora più tragico, per miscelare un veleno ancora più forte e trangugiarlo sghignazzando sul non senso che sbrana e consuma l’esistenza fino all’ultimo brandello. La volontà deve liberare tutte le forze del divenire, mobilitare l’esistenza il più possibile, fino a fluidificarla al massimo, dissolverla, renderla nella sua massima liquidità spaventosamente destrutturata, desolidificata: dissoluzione, quindi divenire, massima movimentazione del divenire. L’interpretazione con la quale la libertà libera tutte le forze del divenire è la dottrina dell’eterno ritorno dell’uguale, perché solo se le cose ritornano tali e quali sono sempre state, come sono ora in ogni momento, in ogni frazione di secondo, si assume volontariamente non solo il futuro, ma anche il proprio passato, nel momento in cui ci si ricostituisce, ci si rigenera e trasforma come Übermensch. Nietzsche scrive che “Questa tua vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora un’altra volta e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore, ogni piacere, ogni pensiero e sospiro e ogni indicibilmente piccola grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te e tutte nella stessa sequenza e successione e così pure questo regno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo in se stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!” Il divenire è ciclicamente il ritorno continuo: In tal modo quello che vedo avanti è anche il mio passato e lo posso ricomprendere e assumere liberamente e volerlo: questo è amore per la vita e grande disprezzo per tutto ciò che ha tentato di soffocarlo: il Cristianesimo in primo luogo. Il Cristianesimo va odiato, disprezzato come ciò che ha promosso l’inautentica viltà e ritrazione di questa forza di vita. Übermensch è allora il coraggio di dire di “sì” a questa assoluta mancanza di senso, è il coraggio di bere quella coppa di veleno con irrazionale tragica gioia. La volontà vuole l’eterno ritorno, ama infatti l’amore del destino che è capace di volere il passato, che non è più immodificabile e subìto con passività. Anzi, deve poter volere qualcosa di più tragico, di più irrazionale ancora, per cui nulla più può sorprendere, nulla è più in grado di prenderla alle spalle e di tradirla, perché là dove sono colto tragicamente alle spalle dall’evento che è anche il grado di distruggere la mia esistenza, rido nei confronti di questo destino che pure mi annienta, perché lì so di essere superiore ad esso e sono in grado di farmene carico, tragicamente. Quindi non bisogna più dire “Così fu” di fronte ad un passato che si assume come ineluttabile, ma “Così volli che fosse”. Tutto l’essere, tutta l’esistenza si risolve nella volontà di potenza, come interpretazione creatrice. Nel brano sopra riportato Nietzsche parla di questa rimozione, di questa cancellazione di Dio, di un sole dall’orizzonte, ma anche dell’orizzonte stesso, perciò di ogni coordinata; parla di un precipitare che non è un precipitare verso il basso, per cui vi sarebbe ancora una direzione, ma da tutti i lati. In tutto questo ad un certo punto si dice che questa rimozione di Dio non fu mai azione più grande e tutti coloro che vengono dopo di noi apparterranno ad una storia più alta di quante siano state tutte le storie finora. Un’umanità grande, meravigliosa. Con Nietzsche vediamo realizzarsi la massima celebrazione del divenire. È un divenire tragico, che annienta la realtà e la vita dell’uomo, di fronte al quale non ha alcun senso parlare di sussistenza di alcunché e quindi di fronte al quale ogni interesse ed ogni predicabilità metafisica si dissolve, perché l’essere raggiunge la piena equazione con il divenire, e viene spazzato via anche quel residuo metafisico che avevamo visto saldamente mantenuto al fondo del sistema del positivismo sociale e del marxismo, e che consisteva nell’interpretare il divenire come un fattore di necessità. Il divenire diventa una replica del modello dell’assoluto, cioè del modello teistico del fondamento metafisico del sistema della modernità, ma in Nietzsche viene abraso anche quest’ultimo residuo, perché il divenire è sostanzialmente irrazionalità, non senso: la differenza è netta. Lo sviluppo dei tre stadi di Comte o della successione delle classi in lotta tra loro è ben ordinata, ha una sua scansione precisa nella storia. Qui niente di tutto questo: dolore, morte, sofferenza, irrazionale e di tutto ciò il sovra-uomo deve farsi carico: assumere il carico tragico della propria esistenza e trasformare questa tragicità in gioia, giacché non gli resta altro. È il dire “Sì” a questa assoluta mancanza di senso, cioè di una ratio, di un ordine, di un piano. È il rovesciamento totale del concepire l’esistenza sotto l’egida di un governo di Dio, è la negazione assoluta dell’idea di Provvidenza, giacché la Provvidenza è piano, assistenza, razionalità nella storia, è far quadrare i conti anche là dove abbiamo intorbidato le acque. Qui l’irrazionalità è dentro la storia, non c’è nessuno e niente che assista, che segua, che dia un significato unitario all’esistenza. L’esistenza infatti non ha significato unitario e quindi posso segmentare la mie esperienza e la mia stessa esistenza in modo contraddittorio, incoerente, scomposto. Allora l’esistenza è frammentazione, è prendere al 38 volo quelle soddisfazioni che si presentano di volta in volta. E non c’è alcun problema, perché non vi è un ordine o un piano. Nietzsche è, in un certo senso, momento di rivelazione sulla disperazione del tempo presente, ha letto in anticipo i tempi con quell’acume di quei pochi geni che ogni tanto si affacciano sulla scena del mondo. Espressione di una genialità che sicuramente gli possiamo riconoscere, al di là della quale va pur riconosciuto che il suo è un pensiero del male, di esaltazione dell’irrazionale, di negazione di senso, di trasgressione assoluta, di maledizione senza appello del Cristianesimo, e tutto ciò è più un grido di disperazione che una riflessione che vanamente si attenderebbe rigorosamente argomentata. È una bestemmia ontologica, anzi compiutamente e pervasivamente ontoetica, vale a dire teorico-pratica, la pseudo-filosofia di Nietzsche. In Così parlò Zarathustra si nota lo spettacolare tono oracolare-religioso di Nietzsche: Zarathustra scende dalla montagna per proclamare le sue sentenze, che si guarda bene dal dimostrare, dando forma, più che ad autentica filosofia, ad un poema sublimemente tragico sulla condizione dell’uomo contemporaneo. ~ Zarathustra scese solo dalla montagna e non incontrò nessuno. Ma quando giunse ai boschi gli si parò innanzi un vegliardo, che aveva lasciato il suo santo rifugio per cercare radici nel bosco. E così il vegliardo parlò a Zarathustra: Familiare mi è questo viandante: molti anni fa egli è passato di qui. Si chiama Zarathustra; ma ora è cambiato. Allora tu portavi la tua cenere sul monte: oggi vuoi portare il tuo fuoco nelle valli? Non temi le punizioni contro gli incendiari? Sì, riconosco Zarathustra. Puro è il suo occhio, e sulla sua bocca non vi è traccia di disprezzo. Il suo incedere non è forse una danza? Trasformato è Zarathustra, un bambino è diventato Zarathustra, un risvegliato è diventato Zarathustra: cosa vuoi ottenere da quelli che dormono? Hai vissuto in solitudine nel mare, e il mare ti ha sorretto. Ahimè, ora vuoi scendere a terra? Ahimè, vuoi ancora trascinare da solo il tuo corpo? Zarathustra rispose: “io amo gli uomini.” Perché mai, disse il santo, mi sono rifugiato nel bosco e nella solitudine? Non è stato perché anch’io amavo troppo gli uomini? Ora io amo Dio: non amo gli uomini. L’uomo è per me una cosa imperfetta. L’amore per gli uomini mi ucciderebbe. [ecco qua la prima menzogna colossale di questo profeta del postmoderno: la carità per il prossimo è in opposizione all’amore di Dio] Rispose Zarathustra: “Non volevo parlare di amore! Io porto un dono agli uomini”. Non dar loro nulla, disse il santo. Piuttosto porta via loro qualcosa e aiutali a sopportare – sarà la cosa migliore che potrai fare per loro: purchè sia bene anche per te! E se proprio vuoi dar loro qualcosa, non dare più di una elemosina, e lascia che mendichino per questo! [La viltà del Con il canto, il pianto, il ridere e mugolare io rendo lode a Dio, quel Dio che è il mio Dio. Ma tu cosa ci porti in dono? Udite queste parole Zarathustra salutò il santo e disse: “Che cosa avrei da darvi! Piuttosto lasciatemi andare in fretta, che non vi porti via niente!” E così si separarono, il santo e l’uomo, ridendo come ridono due ragazzi. Ma quando fu solo, Zarathustra parlò così al suo cuore: “È mai possibile! Questo santo vecchio nel suo bosco non ha ancora sentito dire che Dio è morto!” Giunto nella città più vicina, ai margini dei boschi, Zarathustra trovò lì raccolta presso il mercato una gran folla: era infatti stato annunciato lo spettacolo di un funambolo. E Zarathustra parlò così alla folla: Io vi insegno il superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che cosa avete fatto voi per superarlo? Che cos’è la scimmia per l’uomo? Una risata di scherno o una penosa vergogna. Questo deve essere l’uomo per il superuomo: una risata di scherno o una penosa vergogna. Avete percorso la via dal verme all’uomo, e vi ancora molto del verme in voi. Un tempo eravate scimmie e anche ora l’uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia. Chi tra voi è il più saggio, non è che un essere doppio e bastardo a metà tra pianta e spettro. Voglio forse dirvi di diventare spettri e piante? Guardate, io vi insegno il superuomo! Il superuomo è il senso della terra. Alle vostre volontà dico: il superuomo sia il senso della terra! Vi scongiuro, fratelli miei, rimanete fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che parlano di speranze ultraterrene! Si tratta di avvelenatori, che lo sappiano o meno. Essi sono spregiatori della vita, moribondi ed essi stessi avvelenati, di cui la terra è stanca: possano scomparire! Un tempo il peccato contro Dio era il peccato più grande, ma Dio è morto e quindi sono scomparsi anche i peccatori. Peccare contro la terra è ora la cosa più terribile e considerare le viscere dell’impenetrabile più del senso della terra! Un tempo l’anima guardava al corpo con disprezzo: e tale disprezzo era la cosa più alta: l’anima voleva il corpo, scavato, orrido, famelico. Così pensava di sfuggire al corpo e alla terra. Ah, questa anima era a sua volta scavata, orrida e famelica: crudeltà era la sua delizia. Ma anche voi, fratelli miei, ditemi: che cosa il corpo lascia intravedere della vostra anima? Non è forse la vostra anima miseria e sudiciume e meschino piacere? Davvero l’uomo è un fiume melmoso. Bisogna essere un mare per accogliere un fiume melmoso senza intorbidarsi. Guardate, io vi insegno il superuomo: egli è questo mare in cui può andare a trovare fondo il vostro grande disprezzo. Qual è l’esperienza più grande che possiate provare? Essa è l’ora del grande disprezzo. L’ora in cui anche la vostra felicità vi provochi disgusto e così la vostra ragione e la Cristianesimo sarebbe appunto questo: accogliere i deboli, i miseri, gli ultimi e far sì che siano ultimi] “No, rispose Zarathustra, io non faccio elemosine. Non sono abbastanza povero per questo.” Il santo rise di Zarathustra e disse: Bada che essi vogliono accettare i tuoi tesori! Sono diffidenti verso gli eremiti e non credono che veniamo a recar loro doni. I nostri passi suonano loro troppo solitari attraverso i vicoli. E quando di notte sono a letto e, ben prima che si alzi il sole, sentono camminare un uomo, si chiedono: dove va quel ladro? Non andare dagli uomini e resta nel bosco! Va piuttosto dagli animali! Perché non vuoi essere come me – un orso tra gli orsi, un uccello tra gli uccelli? “E che fa il santo nel bosco? – chiese Zarathustra. Il santo rispose: Io faccio canzoni e le canto, e quando io faccio canzoni rido, piango e mugolo: così io rendo lode a Dio. 39 vostra virtù. L’ora in cui diciate: “Che importa la mia felicità! E’ miseria e sudiciume e meschino piacere. Ma la mia felicità dovrebbe giustificare anche l’esistenza!” L’ora in cui diciate: “Che importa la mia ragione! Brama essa di sapere come il leone è il suo cibo? E’ miseria e sudiciume e meschino piacere. L’ora in cui diciate: “Che importa la mia virtù! Essa non mi ha ancora reso furioso. Come sono stanco del mio bene e del mio male! Tutto ciò è miseria e sudiciume e meschino piacere. L’ora in cui diciate: “Che importa la mia giustizia! Non mi vedo mutato in un carbone incandescente. Ma il giusto è un carbone incandescente!” L’ora in cui diciate: “Che importa la mia compassione! Non è forse compassione la croce, a cui viene inchiodati Colui che ama gli uomini? Ma la mia compassione non è crocifissione”. Avete già parlato così? Avete già gridato così? Ah, se vi avessi già sentito parlare e gridare così! Non il vostro peccato, il vostro facile appagamento grida contro il cielo, la vostra stessa avarizia nel vostro peccato grida contro il cielo! Dov’è il fulmine, che vi lambisca con la sua lingua? Dov’è la follia, con la quale dovreste essere vaccinati? Ecco, io vi insegno il superuomo: egli è questo fulmine, egli è questa follia! Dopo che Zarathustra ebbe parlato così, uno della folla gridò:”Abbiamo sentito parlare quanto basta del funambolo; ora fatecelo anche vedere!” E tutta la folla rise di Zarathustra. Ma il funambolo, che credeva che quel discorso fosse per lui, si mise all’opera. Ma Zarathustra volse lo sguardo alla folla e provò stupore. Poi parlò così: L’uomo è una corda, tesa tra animale e superuomo, una corda sopra un abisso. Un passaggio pericoloso, un pericoloso cammino, un pericoloso guardarsi indietro, un pericoloso rabbrividire e fermarsi. La grandezza dell’uomo è nell’essere un ponte non una mèta: Ciò che si può amare nel suo essere uomo è che è un attraversamento e un tramonto. Amo coloro che non sanno vivere come esseri che tramontano, perché essi sono coloro che vanno oltre. Amo coloro che sono grandi dispregiatori, poiché sono anche adoratori e frecce che tendono bramose ad andare a riva. Amo coloro che non cercano al di là delle stelle una ragione per tramontare e immolarsi: ma si offrono alla terra, perché un giorno la terra sia del superuomo. Amo colui che vive per conoscere e vuole conoscere, affinché un giorno viva il superuomo. E in questo modo egli vuole il proprio tramonto. Amo colui che lavora e inventa per costruire la casa al superuomo e per lui prepara la terra, gli animali e le piante: perché così egli vuole il suo tramonto. Amo colui che ama la sua virtù: perché virtù è volontà di tramontare e freccia di desiderio. Amo colui che non riserva per sé una sola goccia di spirito, ma vuole essere pienamente lo spirito della sua virtù: così egli procede come spirito al di là del ponte. Amo colui che della sua virtù fa la sua inclinazione e il suo destino fatale: così per la sua virtù egli può ancora vivere e anche non più vivere. Amo colui che non vuole avere troppe virtù. Una virtù è più virtù di due, giacchè essa è davvero il nodo al quale si intreccia un destino fatale. Amo colui che si prodiga senza voler essere ringraziato e ricambiare, poiché egli dona sempre e non vuole conservarsi. Amo colui che si vergogna, quando il dado cade in maniera a lui favorevole e allora si chiede: Sono forse uno che bara? Poiché vuole perire. Amo colui che getta innanzi alle proprie azioni parole d’oro e mantiene sempre più di quanto promette. Poiché egli vuole il suo tramonto. Amo colui che giustifica coloro che verranno e redime coloro che sono passati, poiché può influire su coloro che vivono nel presente. Amo colui che punisce il suo dio, perché ama il suo dio, poiché dovrà soccombere all’ira del suo dio. Amo colui la cui anima è profonda anche quando è ferita e che può morire anche in seguito a banali esperienze: così egli oltrepassa volentieri il ponte. Amo colui la cui anima trabocca tanto da far dimenticare se stessa e tutte le cose buone in lui: così tutte le cose diventano il suo tramonto. Amo colui che è libero di spirito e di cuore, perché la sua mente non è altro che le viscere buone del suo cuore, ma il suo cuore lo spinge verso il tramonto. Amo tutti coloro che sono come gocce pesanti che cadono una ad una dalla nuvola scura e incombe sopra gli uomini: essi annunciano che il fulmine sta per venire e muoiono nel recare l’annuncio. Ecco, io sono uno che annuncia il fulmine e la goccia pesante che cade dalle nuvole: ma questo fulmine si chiama superuomo. Dette queste parole, Zarathustra guardò di nuovo la folla e tacque. “Eccoli lì – disse al suo cuore – che ridono: non mi capiscono, non sono la musica per questi orecchi. Bisogna forse spaccar loro gli orecchi perché imparino a sentire con gli occhi? Bisogna far strepito con tamburi e prediche quaresimali? O credono solo a coloro che balbettano? Essi hanno qualcosa, di cui vanno orgogliosi. Come chiamano ciò che li rende orgogliosi? Istruzione, la chiamano, che li distingue dai caprai. Perciò ascoltano malvolentieri la parola “disprezzo” nei loro confronti. Allora io mi appello al loro orgoglio. Così io voglio parlare loro di quel che è più spregevole: ma questo è l’ultimo uomo.” E così parlo Zarathusta alla moltitudine: È tempo che l’uomo fissi la sua mèta. È tempo che l’uomo pianti il seme della sua più alta speranza. C’è ancora un terreno abbastanza ricco per questo. Un giorno questo terreno diventerà povero e senza vigore e non potrà più crescervi un solo albero robusto. Guai! Viene il tempo in cui l’uomo non scaglierà più la freccia del suo desiderio ardente al di là dell’uomo, e la corda del suo arco avrà disimparato a vibrare! Io vi dico: bisogna avere in sé ancora il Caos, per partorire una stella danzante. Io vi dico: voi avere ancora il Caos in voi. Guai! Viene il tempo in cui l’uomo non partorirà più nessuna stella. Guai! Viene il tempo dell’uomo più spregevole, che non sa più disprezzare se stesso. Ecco! Io vi mostro l’ultimo uomo. “Che cos’è amore? Che cos’è creazione? Che cos’è desiderio? Che cos’è stella – si domanda l’ultimo uomo e ammicca. La terra allora sarà diventata piccola e su di essa andrà saltellando l’ultimo uomo, che rimpicciolisce tutto. La sua specie è indistruttibile, come la pulce di terra; l’ultimo uomo vive più a lungo di tutti. “Noi abbiamo inventato la felicità” – dicono gli ultimi uomini e ammiccano. 40 scappavano senza badare agli altri, si superavano urtandosi soprattutto là dove il corpo si sarebbe abbattuto. Zarathustra restò immobile e giusto vicino a lui cadde il corpo mal ridotto e spezzato, ma non ancora morto. Dopo un po’ lo sfracellato riprese conoscenza e vide Zarathustra in ginocchio vicino a sé. “Che cosa fai qui? . disse alla fine, sapevo da tempo che il diavolo mi avrebbe fatto lo sgambetto. Ora mi trascina all’inferno: vuoi impedirglielo?” “Sul mio onore, amico – rispose Zarathustra – non c’è niente di quello di cui parli: non c’è il diavolo e non c’è l’inferno. La tua anima morirà ancora più rapida del tuo corpo: non avere più paura!” L’uomo lo guardò sospettoso. “Se dici la verità – disse allora – non perdo niente perdendo la vita. Non sono molto di più di una bestia che ha imparato a ballare a furia di botte e magri bocconi.” “Ma no – disse Zarathustra – tu hai fatto del pericolo il tuo mestiere e in questo non c’è nullam di spregevole. Ora tu muori per il tuo mestiere: perciò voglio seppellirti con le mie mani.” Dopo che Zarathustra ebbe detto questo, il moribondo non rispose più; ma mosse la mano, come se cercasse la mano di Zarathustra per ringraziarlo. Intanto veniva sera e il mercato si avvolgeva nell’oscurità: la folla si disperse, perché perfino la curiosità e lo sgomento vengono meno. Zarathustra restò seduto vicino al morto, assorto nei suoi pensieri: così si dimenticò del tempo. Ma infine si fece notte e un vento freddo soffiò sul solitario. Allora Zarathustra si alzò e disse al suo cuore: Oggi Zarathustra ha fatto una buona pesca, non ha pescato neanche un uomo, ma un cadavere. Inquietante l’esperienza umana, ma pur sempre senza senso: un pagliaccio può esserle fatale. Voglio insegnare agli uomini il senso del loro essere: chi è il superuomo, il lampo che si sprigiona dall’oscura nuvola uomo. Io però sono ancora lontano da loro, il mio animo parla ai loro sensi. Gli uomini sono ancora qualcosa a metà tra una testa matta e un cadavere. Buia è la notte, buie sono le vie di Zarathustra. Vieni, compagno rigido e freddo! Ti porto là dove ti potrò seppellire con le mie mani. Detto questo al suo cuore, Zarathustra si caricò sulle spalle il cadavere e si mise in strada. Non aveva ancora fatto cento passi che un uomo gli si avvicinò furtivamente e gli sussurrò all’orecchio – Ecco, colui che parlava era il pagliaccio della torre. “Vattene via da questa città, Zarathustra – disse – qui sono in troppi a odiarti. Ti odiano i buoni e i giusti e ti chiamano l’uomo nemico e spregiatore; ti odiano i fedeli della retta fede e ti chiamano il pericolo della folla. Ma la tua fortuna è stata che si ridesse di te; e in realtà tu hai parlato come un pagliaccio. La tua fortuna è stata di farti compagno di questo cane morto; umiliandoti così, per oggi ti sei salvato: ma va via lontano dalla nostra città o domani spiccherò un salto sopra di te, un vivo sopra un morto.” Detto questo, l’uomo scomparve; Zarathustra proseguì attraverso i vicoli oscuri. (Così parlò Zarathustra, 2) Hanno abbandonato i paesi dove è duro vivere: perché c’è bisogno di calore. Si ama anche il vicino e ci si strofina su di lui: perché c’è bisogno di calore. Ammalarsi e non avere fiducia è per loro peccato: si procede guardinghi. Una vita che incespica su pietre o uomini! Ogni tanto un po’ di veleno: rende piacevoli i sogni. E alla fine molto veleno, per morire piacevolmente. Ancora si lavora, perché il lavoro è un intrattenimento. Ma ci si preoccupa che il divertimento non affatichi. Non si sarà più poveri e ricchi: entrambi sono troppo gravosi. Chi vuole ancora dominare? Chi ancora obbedire? Entrambi sono troppo gravosi. Un gregge senza pastore! Ognuno vuole le stesse cose, ognuno è uguale: chi sente diversamente, va liberamente in manicomio. “In passato tutto il mondo era pazzo” – dicono i più fini e ammiccano. Si è saggi e si sa tutto quel che è accaduto: così non si ha alcun fine da schernire. Si litiga ancora, ma ci si riconcilia presto. Si ha il suo piccolo piacere per il giorno e il suo piccolo piacere per la notte: ma si onora la salute. “Noi abbiamo inventato la felicità” – dicono gli ultimi uomini e ammiccano. E qui ebbe termine il primo discorso di Zarathustra, che si definisce anche “Prologo”: poiché a questo punto si interruppe lo schiamazzo e il desiderio della folla. “Dacci questi ultimi uomini, Zarathustra, dacci questi ultimi uomini! Così ti doniamo il superuomo!” E tutta la folla acclamava e applaudiva con la lingua. Zarathustra però si fece triste e disse nel suo cuore: Non mi capiscono: non ho la bocca per questi orecchi. Troppo a lungo ho vissuto sui monti, troppo ho sentito ruscelli ed alberi: ora penso a loro come caprai. Il mio animo non è scosso e luminoso come la montagna al mattino. Ma loro pensano che io sia freddo e un beffatore in un terribile scherzo. E ora mi osservano e ridono: e mentre ridono anche mi odiano. C’è ghiaccio nel loro ridere. A questo punto apparve qualcosa che zittì ogni bocca e attirò a sè ogni occhio. Il funambolo si era nel frattempo messo all’opera: era uscito da una porticina e avanzava sulla corda sospesa tra due torri sul mercato pieno di folla. Quando fu proprio a metà del suo cammino, la porticina si aprì un’altra volta e saltò fuori un garzone variopinto, una sorta di buffone, che con rapide mosse andò verso l’altro. “Avanti, piede zoppo, gridava con voce terribile, avanti lumaca, imbroglione, gatta morta! Che io non ti faccia il solletico con il mio calcagno! Che cosa fai qui tra le torri? Dentro la torre dovresti stare, ti dovrebbero mettere in gabbia, tu che blocchi la via a chi sa fare meglio di te!” E ad ogni parola si avvicinava sempre più: ma ad un passo da lui accadde una cosa spaventosa, che zittì ogni bocca e attirò a sé ogni occhio: Egli lanciò un urlo diabolico e con un balzo saltò oltre colui che gli impediva il passaggio. Questi però, davanti al suo rivale vittorioso, perse la testa e il controllo della corda; buttò via il bilanciere e, più rapido di quello, precipitò nel vuoto in un vortice di braccia e di gambe. Il mercato e la folla sembravano il mare quando la tempesta lo gonfia: tutti Nietzsche procede ad una demolizione che propone una trasmutazione generale dei valori dell’Occidente. Il Cristianesimo è assimilato alla religione dei predicatori di morte, dei nemici della vita e della terra. È l’apologia dell’irrazionale. L’annuncio della morte di Dio non è l’annuncio della morte soltanto di Dio religiosamente inteso, ma della fine della totalità della cultura umana, quale ha avuto corso sin dall’origine 41 dell’indagine sul senso dell’essere. La morte di ogni fondamento stabile, metafisico, incontrovertibile. La totale assenza, ottenuta per rimozione, di qualsiasi significato ultimativo dell’esistenza, di qualsiasi stare sotto il divenire, è proclamata, giacché il divenire è il tutto: la totalità è divenire e il divenire è la totalità. L’equazione non lascia residui. L’erosione del fondamento è compiuta. 42