Nietzsche

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Nietzsche
FRIEDRICH NIETZSCHE
(1844-1900)
La vita
Wilhelm Friedrich Nietzsche nasce a Ròcken il 15 ottobre
1844, nella famiglia di un pastore protestante, ma rimane
presto orfano del padre. Studia filologia classica a Bonn e a
Lipsia sotto la guida di Friedrich Ritschl, che gli procura una
cattedra di lingua e letteratura greca all'Università di Basilea,
dove insegna per dieci anni, fino al 1879. Qui conosce Richard
Wagner diventandone presto amico. Nel 1872 Nietzsche
pubblica il suo primo libro, La nascita della tragedia (respinto
dall'ambiente accademico) e tra il '73 e il '76 le Considerazioni
inattuali. I rapporti con Wagner si deteriorano perché
Nietzsche vede nei suoi ultimi lavori un ritorno mascherato al
cristianesimo e in Umano, troppo umano, pubblicato nel
1878, scrive il suo distacco da Wagner e da Schopenhauer.
Dal 1879, costretto a lasciare la cattedra per motivi di salute, vive con una pensione datagli
dall'università, tra la costiera francese e quella italiana e in Svizzera. Nel 1880 esce la seconda
parte di Umano, troppo umano, che porta il titolo Il viaggiatore e la sua ombra; nel 1881 Aurora e
nel 1882 La gaia scienza dove si legge la speranza del filosofo di insegnare all'umanità la strada
verso un nuovo destino. Nello stesso anno si innamora di Lou Salomé che però respinge la sua
proposta di matrimonio. Tra il 1883 e il 1884 scrive Così parlò Zarathustra (pubblicato soltanto
nel 1891); nel 1885 Al di là del bene e del male e di seguito La genealogia della morale (1887); e
poi, Il caso Wagner, Il crepuscolo degli idoli, L'anticristo, Ecce homo, Nietzsche contro Wagner nel
1888. Nel 1889 a Torino viene colto da un attacco improvviso di pazzia. Sopravvive a se stesso
per più di dieci anni e muore, infine, a Weimar il 25 agosto 1900.
Nietzsche profeta della crisi
«Io conosco la mia sorte. Si legherà un giorno al mio nome il ricordo di una crisi, come non ce ne fu
un'altra proclamata contro tutto ciò che sinora è stato creduto, richiesto, consacrato. Io non sono
un uomo, sono dinamite»
La figura di N. va collegata al crollo di tutte le ideologie (Idealismo, positivismo, morale,
progresso, romanticismo), a quella crisi che segna il passaggio fra l'Ottocento e il Novecento, e
che mette in discussione le radici stesse della nostra tradizione. «Io contraddico come mai è
stato contraddetto, e malgrado ciò sono l'antitesi di uno spirito negatore».
La questione di Nietzsche e del nazismo
Per molto tempo si è visto in Nietzsche un precursore del nazismo, soprattutto sulla base di
alcuni concetti chiave della sua filosofia (superuomo, volontà di potenza). Il critico marxista
Lukacs, ne La distruzione della ragione (1954) vede in Nietzsche la manifestazione di quella
malattia della borghesia ottocentesca che ha poi portato al nazismo.
Questa interpretazione si fonda in buona parte sulla manipolazione dei suoi manoscritti
(pubblicati col titolo Volontà di potenza) da parte della sorella Elizabeth Forster, moglie di un
alto ufficiale dell'esercito tedesco, vicino ad ambienti nazionalistici: oggi l'edizione critica ha
ricostituito il testo. In Italia la traduzione di Ubermensch è ora Oltre-uomo: il super-uomo non è
il nazista, ma il filosofo che annunzia una nuova umanità liberandosi delle antiche catene. Fra
queste antiche catene egli annovera anche l'idolatria dello stato. «Stato si chiama il più freddo di
tutti i mostri. E' freddo anche nel mentire; e la menzogna ch'esce dalla sua bocca è questa -Io, lo
Stato, sono il popolo-". "-Sulla terra nulla è di me più grande: il sono il dito di Dio- così rugge il
mostro". "Il loro idolo male odora —il freddo mostro- e tutti puzzano, questi adoratori dell'idolo».
Pluralità di letture
Non è semplice esporre il pensiero di Nietzsche in modo sistematico: egli stesso si presta a una
pluralità di letture poiché non si esprime con un linguaggio concettuale e filosofico rigoroso,
ma con il linguaggio sfuggente e ambiguo della profezia, della poesia, dell'aforisma. Egli
indossa di volta in volta maschere diverse, quella del filologo, dello Spirito libero (illuminista),
del profeta Zarathustra, del dio Dioniso. Ma proviamo a seguire l'evoluzione del pensiero di
Nietzsche a partire dalle prime opere.
Apollineo e dionisiaco.
La prima passione di Nietzsche è la filologia classica. Nel 1872 esce La nascita della tragedia
dallo spirito della musica
Alla radice del mondo greco c'è un duplice principio:
‐ DIONISIACO: è il vigoroso senso tragico che è accettazione ebbra della vita, coraggio
dinnanzi al destino, esaltazione dei valori vitali. Dioniso è dio dell'ebbrezza e della
musica, è lo spirito per cui ogni determinazione si dissolve nel caotico fluire della vita. «Il
fascino dionisiaco non ripristina solamente i vincoli tra uomo e uomo: anche la natura,
straniata e ostica o soggiogata, celebra la festa della riconciliazione col suo figliol prodigo,
l'uomo. La terra getta di buon grado i suoi doni, e le belve rapaci delle rupi e dei deserti si
avvicinano in pace. Il carro di Dioniso è coperto di fiori e ghirlande; la pantera e la tigre
avanzano sotto il suo giogo. Si tramuti l'inno alla gioia di Beethoven in un quadro dipinto..,
solo così possiamo approssimarci a ciò che è la fascinazione dionisiaca. Ecco che lo schiavo è
libero, ecco che tutti infrangono le rigide nemiche barriere, che il bisogno, l'arbitrio o la
moda insolente hanno piantato tra gli uomini. Ecco che nel Vangelo dell'armonia universale
ognuno si sente non solo riunito, riconciliato, fuso col suo prossimo, ma si sente fatto uno
con lui, quasi che il velo di Maia fosse squarciato dinnanzi al mistero dell'uomo primigenio».
«L'artista tragico non è pessimista, egli dice precisamente sì a tutto quanto è problematico
e orrido, egli è dionisiaco».
‐ APOLLINEO: è il senso della misura, la moderazione, la ragione, il senso morale. Se
Dioniso è il dio dell'informe Apollo è il dio della bellezza. Con Socrate abbiamo la vittoria
dell'apollineo, nella folle presunzione di capire e dominare la vita con la ragione, dicendo
con ciò un no alla vita (di cui la morte di Socrate è un simbolo). Di lì è iniziata la
decadenza.
La critica della civiltà occidentale
L'elemento attraverso cui Nietzsche opera la critica di tutta la civiltà occidentale è il tema della
malattia. La morale e il concetto, estrema risorsa di chi non ha più armi, di chi è debole,
rappresentano il no alla vita. E' l'idea per cui le passioni vanno combattute in nome della
razionalità. Questa rivoluzione socratico-platonica verrà assorbita in seguito dal cristianesimo e
diventerà patrimonio di tutta la storia dell'Occidente. Per questo la civiltà occidentale è
essenzialmente "nichilistica" perché ripudia la terra rinnegando la vita, dicendo no all'esistenza,
tramite l'ideale della fuga dal mondo (idee platoniche o aldilà).
E allora l'uomo occidentale si sobbarca, come un cammello, tutti i pesi. La morale “morale degli
schiavi” o dei deboli che, non riuscendo a emergere nella vita, intendono omologare tutto a sé,
proponendo il soffocamento delle passioni. I cosiddetti valori della civiltà occidentale non sono
altro che l'espressione del risentimento, di un sentimento di impotenza che dà valore a
posizioni di rinuncia, di sacrificio. Sui valori occorre dunque esercitare il sospetto. (cfr. "Umano
troppo umano" o "La genealogia della morale").
L' annuncio dello Zarathustra
Il sottotitolo è Un libro per tutti e per nessuno: il superuomo è una possibilità per tutti, ma
ancora non c'è. Zarathustra, il protagonista, è la rielaborazione del. riformatore persiano
Zoroastro (I sec. D.C.), personaggio che presenta notevoli analogie con Cristo, (vuole essere in
qualche modo un anticristo, che vive però anche il fascino di Cristo), e vuole portare un
annuncio che sia l'antitesi del cristianesimo, vizio dell'Occidente. Zarathustra scende dalla
montagna e vuole portare il suo annuncio.
Morte di Dio
L'affermazione della morte di Dio è presentata, con grande pathos, ne “La gaia scienza” e poi
in “Così parlò Zarathustra”. Nella “Gaia scienza” il pazzo annuncia che Dio è morto. «Che ne è di
Dio? Io ve lo dirò. Noi l'abbiamo ucciso, io e voi, Noi siamo i suoi assassini». La civiltà occidentale è
venuta via via uccidendo Dio, trasformandolo in un insieme di valori morali. Questa
affermazione implica un dramma, un fatto epocale, un evento straordinario (né buono né
cattivo, è una constatazione). La grandezza di N. sta nell'aver compreso questo. «Che facemmo
sciogliendo la terra dal suo solo? Dove va essa ora? Dove andiamo noi, lontani da ogni sole? Non
continuiamo a precipitare, indietro e dai lati e in avanti? C'è ancora un alto e un basso. Non
andiamo forse errando in un infinito nulla: Dio è morto! Dio resta morto! E noi l'abbiamo ucciso!».
L'affermazione “Dio è morto” non equivale a “Dio non esiste”, non è un'affermazione di
ateismo teorico (N. distingue nel brano tra il folle e coloro che non credono in Dio): la morte di
Dio è un evento, un fatto che è successo.
In cosa consiste? Consiste nel tramonto dell’idealismo morale, religioso e metafisico che ha
caratterizzato la storia dell'Occidente fino ad ora. Idealismo è l'affermazione di un cielo
superiore alla terra e all’uomo di cui costituisce il principio, la norma e il valore. Dio è la
quintessenza dell'aldilà che aliena l’uomo in quanto posto dall'uomo al di sopra di lui, a cui poi
egli tributa venerazione e obbedienza. Questo fatto dunque non dipende da una decisione ma
insito nella stessa tradizione occidentale.
Ma quale ne è l’esito? Che ne è ora dell'uomo? L’uomo contemporaneo si affida ora al nulla.
“Sacrificare Dio per il nulla – questo mistero paradossale dell’estrema ferocia rimase alla razza
che sta appunto sorgendo: tutti noi ne sappiamo già qualche cosa".
L’esito della morte di Dio è il nichilismo.
«L'uomo moderno crede sperimentalmente ora a questo, ora a quel valore, per poi lasciarlo
cadere; il circolo dei valori superati e lasciati cadere è sempre più vasto, è la povertà dei valori; il
movimento è inarrestabile — sebbene si sia tentato in grande stile di rallentarlo. Alla fine l'uomo
osa una critica dei valori in generale; ne riconosce l'origine; conosce abbastanza per non credere
più in nessun valore; ecco il pathos, il nuovo brivido. Quella che racconto è la storia dei prossimi
due secoli» (Frammenti postumi).
La situazione che si apre con la Morte di Dio è il nichilismo, di cui egli avverte i primi sintomi,
nascosti ai più, ma inequivocabili. Ma tutto questo non è desiderabile, quello di N. è un
nichilismo tragico. L'annuncio della morte di Dio coincide col riconoscimento della vanità
assoluta di una cultura nella quale "il deserto cresce". E l'esito antropologico del deserto è
l'ultimo uomo che rimpicciolisce ogni cosa (cfr. testo allegato). N. guarda con orrore a questo
esito del crollo della volta celeste, del mondo ideale in cui l'uomo manteneva pur sempre (per
quanto alienata) una grandezza. Con la morte di Dio è finito anche l'uomo, e l'uomo nuovo
deve ancora venire. «Vengo troppo presto - dice il pazzo della Gaia scienza - non è ancora il mio
tempo. Questo evento mostruoso è tuttora in corso». «La grandezza dell'uomo è di essere un
ponte e non uno scopo: nell'uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto»
(CPZ)
Il superuomo
Questo è il compito che N. si assume: salvare la grandezza eroica dell'esistenza anche dopo la
morte di Dio: riprendere nella vita ciò che sembrava appartenente all'al di là. In una parola
ricostruisce i valori nell'orizzonte mondano. Com'è possibile? E' possibile?
Egli affida questo compito al Superuomo «Vi annuncio il Superuomo», dice Zarathustra. E' colui
che deve venire, colui che realizzerà le possibilità che sono dentro all'uomo senza distoglierlo
dalla terra: «Il superuomo è il senso della terra». «L'uomo è una corda tesa fra la bestia e il
superuomo». E' impossibile definirlo, neppure Zarathustra è il superuomo. Nietzsche ci dà
qualche indicazione in alcune pagine, in un linguaggio metaforico. (Cfr “Delle tre
metamorfosi”). Quello che si può dire è che l'Oltreuomo realizzerà la trasmutazione dei valori e
riporterà in vita lo spirito danzante del dio Dioniso. Ma come è possibile questo?
Volontà di potenza
Il divenire e la vita sono “volontà di potenza” e i valori si connettono strettamente con essa: i
valori non si fondano sull'essere e sul vero, non sono “in sé e per sé”, ma sono ciò che si
impone come condizione e accrescimento della vita. «Tutti i giudizi di valore sono solo
conseguenze e ristrette prospettive al servizio di quell'unica volontà: il giudicare stesso è solo
questa volontà di potenza» (Frammenti postumi). In che modo la volontà di potenza pone i
valori? Nel modo della creazione libera, continua e inesauribile, di cui il gioco e la danza sono
metafore. Il gioco infantile è un creare e un distruggere che non risponde a nessuna logica e
norma, che sgorga ricco e spontaneo. Il superuomo giocando pone valori, pone delle mete che
supera continuamente, nuovi pesi e nuove misure. Non c'è alcun Dio che possa impedire questa
creatività.
Amor fati
Tuttavia egli dovrà rimanere nei limiti della terra. «Vi scongiuro, siate fedeli alla terra»: occorre
cioè amare la terra, amare il proprio destino nella terra. L'amor fati è l'atteggiamento
dell'Oltreuomo nei confronti del mondo, è il sì alla vita, l'accettazione dionisiaca dell'esistenza.
(Cfr. Canzone del sì e dell'amen).
Eterno ritorno dell'identico
La dimensione della terra è la dimensione del mutamento continuo, della temporalità. Occorre
perciò ripensare il tempo. «Io Zarathustra, l'avvocato della vita, l'avvocato del dolore, l'avvocato
del circolo - io chiamo te, il più abissale dei miei pensieri». N. narra di aver avuto quest'intuizione
nel 1881 presso il lago di Silvaplana. Questo pensiero è lo spartiacque fra l'uomo e il superuomo.
Si tratta del recupero di una concezione precristiana del tempo presente nella Grecia arcaica,
caratterizzata dalla ciclicità, in contrapposizione alla linearità della concezione cristianooccidentale, per cui ogni momento ha senso solo in finzione degli altri: «Tutto va, tutto ritorna,
eternamente gira la ruota dell'essere. Tutto muore e tutto rifiorisce; le stagioni dell'esistenza si
susseguono eternamente. Tutto si spezza, tutto si ricongiunge, eternamente si costruisce lo stesso
edificio dell'esistenza. Tutto si separa, tutto si ritrova: l'anello dell'esistenza resta eternamente
fedele a se stesso. A ogni momento l'esistenza comincia; attorno a ogni "qui" gira la sfera “là”. Il
centro è ovunque. Tortuoso è il sentiero dell'eternità». (Il Convalescente, 2). Quello che a
Nietzsche sta a cuore è affermare che il senso dell'essere non sta fuori dell'essere ma
nell'attimo stesso. Il superuomo è colui che vive la vita come se dovesse ritornare.
Conclusioni
L'eterno ritorno dell'identico, vero punto di discrimine del uomo dal Superuomo, nasce dal
tentativo di rendere eterno l'istante presente, di trovare il punto di congiungimento dell'istante
col tempo. Non si da valore senza eternità, questo Nietzsche lo sa bene. Dunque occorre che il
Superuomo nel suo libero gioco di creazione crei istanti che divengono eterni. Ma qui sta il
grande paradosso. Se questo pensiero è volto al futuro sottolinea la libertà assoluta dell'uomo
nella creazione di valori, se volto al passato schiaccia nel fatalismo. Il peso più grande è quello
di non riuscire a “volere a ritroso”, cioè di non potere dominare ciò che è accaduto. Egli ci
suggerisce che occorre guardare in avanti, spezzando il legame col passato, ma questo non
risolve il problema.
Qui si condensa il dramma del tentativo di Nietzsche e al sua pazzia può essere vista un po'
come metafora di questa impossibilità. Abbattere il “Dio” estraneo, intollerabile per la libertà
dell'uomo, ma scoprire l'impossibilità del Superuomo.
«In realtà dovrei avere intorno a me una cerchia di persone profonde e delicate, che mi
proteggessero per così dire da me stesso e sapessero anche rasserenarmi: giacché, per uno che
pensa le cose che devo pensare io, è sempre vicinissimo i pericolo di distruggere se stesso»
(Frammenti postumi).
Il 6 gennaio 1889, tre giorni dopo lo scoppio della sua follia a Torino, egli scrive una lettera
struggente e allucinata a J. Burckhardt:
«Caro sig. professore, in fin dei conti sarei stato molto più volentieri professore a Basilea piuttosto
che Dio; ma non ho osato spingere il mio egoismo privato al punto da tralasciare per colpa sua la
creazione del mondo. Vedo, comunque e dovunque si viva, è necessario fare dei sacrifici [...].
Quest'autunno sono stato presente due volte al mio funerale, vestito il meno possibile. Vado
ovunque col mio vestito da studente, ogni tanto do una pacca sulla spalla a qualcuno e dico: siamo
contenti? Son Dio, ho fatto questa caricatura».
«Con questa lettera N. ha chiuso simbolicamente l'Ottocento —il secolo dei grandi progetti
della ragione umana, dall'idealismo ai positivismo allo storicismo — e ha inaugurato il
Novecento, il grande secolo della fine dei sistemi filosofici. Un secolo sul quale egli in qualche
modo ha continuato a gettare la sua ombra, come una sentinella nella notte, uno che ci ricorda
di continuo del deserto che avanza e del bisogno di oltrepassarlo. E resta ancora un dubbio, se
questa sentinella sia riuscita ad annunciare - come pure voleva- l'imminenza del nuovo giorno o
abbia testimoniato nella maniera più drammatica il tormento del buio» (Esposito-Porro,
Filosofia, vol. III).