medusa film

Transcript

medusa film
MEDUSA FILM
presenta
un film di
MILOS FORMAN
L’ultimo inquisitore
con
JAVIER BARDEM
NATALIE PORTMAN
STELLAN SKARSGÅRD
prodotto da
SAUL ZAENTZ
Distribuzione
www.medusa.it
GLI ATTORI
Fratello Lorenzo
JAVIER BARDEM
Ines/Alicia
NATALIE PORTMAN
Francisco Goya
STELLAN SKARSGÅRD
Re Carlo
RANDY QUAID
Il Grande Inquisitore
MICHAEL LONSDALE
Bilbatua
JOSE’ LUIS GOMEZ
Maria Isabel Bilbatua
MABEL RIVERA
I REALIZZATORI
Scritto e diretto da
MILOS FORMAN
Prodotto da
SAUL ZAENTZ
Sceneggiatura di
JEAN-CLAUDE CARRIERE
Produttore esecutivo
PAUL ZAENTZ
Co-produttori
DENISE O’DELL
MARK ALBELA
Direttore della fotografia JAVIER AGUIRRESAROBE
Scenografie di
PATRIZIA VON BRANDESTEIN
Costumi di
YVONNE BLAKE
Montaggio di
ADAM BOOM
Ufficio Stampa
LUCHERINI PIGNATELLI RUSSO
Via A. Secchi, 8 – 00197 Roma
Tel. e Fax: 06/8084282
e mail: [email protected]
www.lucherinipignatelli .it
NOTE DI PRODUZIONE
Il 5 settembre 2005, in Spagna, sono iniziate le riprese del dramma storico diretto da Milos Forman
L’ultimo inquisitore, interpretato da Javier Bardem (Il mare dentro), Natalie Portman (Star Wars,
Closer) e Stellan Skarsgård (Will Hunting, genio ribelle). Il film è prodotto da Saul Zaentz.
L’ultimo inquisitore è ambientato in Spagna nel 1792 e racconta, attraverso gli occhi del grande pittore
spagnolo Francisco Goya, la storia di un gruppo di persone travolte da grandi rivolgimenti politici e
cambiamenti storici. L’azione si svolge a partire dagli ultimi anni dell’Inquisizione Spagnola, passando
per l’invasione della Spagna da parte delle truppe napoleoniche, per finire con la sconfitta dei Francesi
e la restaurazione della monarchia spagnola da parte del potente esercito invasore guidato da
Wellington. JAVIER BARDEM interpreta Fratello Lorenzo, un membro enigmatico ed astuto della
cerchia più stretta dell’Inquisizione che si lascia coinvolgere dalle sorti della musa adolescente di
Goya, Ines (NATALIE PORTMAN) falsamente accusata di eresia e rinchiusa in prigione. STELLAN
SKARSGÅRD interpreta Francisco Goya, l’osannato pittore famoso sia per i suoi dipinti di corte pieni
di colori sia per le desolanti rappresentazioni della brutalità della guerra e della vita in Spagna.
L’ultimo inquisitore, una produzione Xuxa Producciones S. L., è diretto da Milos Forman e prodotto da
Saul Zaentz, tratto da una sceneggiatura dello stesso Forman e di Jean-Claude Carriere (Birth). Paul
Zaentz è il produttore esecutivo mentre Denise O’Dell e Mark Albera sono i co-produttori. Forman e
Zaentz avevano già collaborato per i film premiati con l’Oscar Qualcuno volò sul nido del cuculo e
Amadeus. Qualcuno volò sul nido del cuculo aveva ottenuto nove candidature all’Oscar vincendone
cinque, tra cui Miglior Film e Miglior Regista mentre Amadeus era stato candidato a undici premi
Oscar e ne aveva vinti otto, tra cui quelli per il Miglior Film e il Miglior Regista. Il film più recente di
Forman prima di questo è stato Man on the Moon. Ricordiamo anche la regia di Larry Flynt-Oltre lo
scandalo; Ragtime e Hair, solo per citarne alcuni. Per quanto riguarda il produttore, Saul Zaentz, il film
da lui prodotto Il paziente inglese (1996) ha ottenuto dodici candidature all’Oscar e ne ha vinti nove.
Jean-Claude Carriere aveva già collaborato con Milos Forman per Valmont e Taking Off. Nel corso
della sua carriera ha scritto più di 100 sceneggiature tra le quali Il fascino discreto della borghesia e
Quell’oscuro oggetto del desiderio, diretti da Luis Bunuel. Il direttore della fotografia è Javier
Aguirresarobe vincitore nel 2005 del premio Goya per Il mare dentro mentre le scenografie sono di
Patrizia Von Brandenstein, premiata con l’Oscar per Amadeus il cui film più recente, All the King’s
Men, è uscito nelle sale nel settembre del 2006. I costumi sono della costumista premiata con l’Oscar
Yvonne Blake (Nicola e Alessandra), la quale nel 2005 ha vinto il Goya per Il ponte di San Luis Rey.
L’idea di fare un film sul grande pittore spagnolo Francisco de Goya e sull’Inquisizione Spagnola era
balenata per la prima volta nella mente di Milos Forman più di 50 anni fa quando era ancora uno
studente e viveva nella Cecoslovacchia comunista.
“In realtà non avevo cominciato pensando proprio a Goya,” ricorda Forman. “Tutto era iniziato dalla
lettura fatta mentre frequentavo la scuola di cinema di un libro sull’Inquisizione Spagnola e nella
fattispecie ero rimasto colpito dal racconto di un episodio in cui una persona era stata accusata
ingiustamente di un reato. ”Ho pensato subito che poteva diventare il fulcro di una grande storia perché
c’erano tanti parallelismi tra la società comunista nella quale vivevo all’epoca e l’Inquisizione
Spagnola. Sapevo, naturalmente, che una storia simile non avrebbe mai potuto essere raccontata in
Cecoslovacchia proprio per le suddette affinità e quindi l’ho messa da parte, almeno
temporaneamente.”
Ma le buone idee non svaniscono mai anche se per un po’ sembrano essere finite nel dimenticatoio. Al
contrario, continuano a rimanere nascoste nei recessi della nostra mente e anche questa volta non ci
sono state eccezioni. Trent’anni dopo infatti, l’idea è venuta nuovamente a galla, e guarda caso proprio
a Madrid dove Milos Forman e il produttore indipendente Saul Zaentz erano impegnati nella
promozione del film Amadeus, la loro seconda vincente collaborazione premiata con diversi Oscar,
dieci anni dopo il loro primo trionfo insieme, con Qualcuno volò sul nido del cuculo. “Milos ed io
eravamo dall’altro lato della strada davanti all’ingresso del Museo del Prado a Madrid e lui mi ha fatto
notare di non aver mai visto il famoso dipinto di Hieronymous Bosch Garden of Earthly Delights, uno
dei maggiori tesori del Museo,” ricorda il produttore Saul Zaentz. “Ma il Prado conserva tanti altri
capolavori, tra i quali la più grande collezione al mondo di dipinti di Goya e quindi guardammo anche
quelli che avevamo già visto tante volte in passato ma solo sui libri, mai dal vivo. Ed erano
assolutamente meravigliosi. Uno in particolare ci colpì molto, ed era un dipinto con un cane. Quando
guardi un quadro riprodotto sulle pagine di un libro, immagini che sia grande quanto lo schermo di un
cinema ma quando lo vedi sulle pareti di un museo ti accorgi che invece è molto più piccolo, e quello
in particolare misurava un metro e mezzo ma ciononostante non restammo affatto delusi. Il cane era
estremamente toccante e commovente e la sua immagine ci è rimasta nel cuore.”
Forman restò letteralmente affascinato da Goya. “Ero assolutamente sopraffatto dai suoi dipinti e non
riuscivo a smettere di pensare a lui,” racconta il regista. “Ero convinto che Goya fosse stato il primo
autentico pittore moderno e in quel momento, come mai prima di allora, ho desiderato fare un film su
di lui.” Durante la visita al Prado Forman raccontò a Zaentz l’episodio relativo all’Inquisizione che
aveva letto su quel libro tanto tempo prima e cominciò ad analizzare con lui la possibilità di fare un
film che parlasse dell’Inquisizione collegandosi a Goya. Zaentz intuì subito che poteva venire fuori un
film meraviglioso. “Gli dissi subito però che era necessario trovare una storia che fosse in grado di
reggere e di dar corpo a quell’idea, una storia che piacesse e che ci appassionasse entrambi e che fosse
talmente perfetta da convincerci ad andare avanti con il progetto,” ricorda il produttore. E Forman si
dichiarò d’accordo. Il tempo passava e produttore regista continuavano a discutere dell’idea di fare il
film e arrivarono addirittura a prendere in considerazione i potenziali sceneggiatori che avrebbero
potuto scrivere il copione. Ma la verità è che Forman aveva già in mente qualcuno e quel qualcuno era
il famoso e eminente sceneggiatore Jean-Claude Carriere, con il quale sia lui sia Zaentz avevano
collaborato in passato. “Jean-Claude è come un fratello spirituale per me,” commenta il regista.
Forman e Carriere si erano incontrati la prima volta nel 1966 ad un festival cinematografico a Sorrento.
A quell’epoca, Forman aveva già diretto diversi film tra i quali L’asso di picche e Gli amori di una
bionda mentre Carriere aveva collaborato con il grande regista spagnolo Luis Bunuel per la
sceneggiatura Il diario di una cameriera, e con Louis Malle per Viva Maria. Forman e Carriere sono
rimasti amici anche dopo che Forman ha lasciato la Cecoslovacchia e hanno lavorato insieme diverse
volte (Taking Off, Valmont) e nel corso degli anni non si sono mai persi di vista.
“L’idea di Milos mi intrigava parecchio, o meglio non si può definire un’idea quanto piuttosto di un
desiderio di fare un film non esattamente su Goya, ma sulla Spagna all’epoca di Goya,” commenta
Carriere. “E Goya sarebbe entrato naturalmente a far parte della storia perché si trattava del periodo in
cui era vissuto, un periodo peraltro molto turbolento. “Si tratta di un arco temporale molto interessante,
che va dalla fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX, probabilmente uno dei periodi più importanti per
la storia europea a causa della Rivoluzione Francese e dell’avvento di Napoleone. All’epoca la Francia
era al centro dell’Europa ed è interessante osservare tutte le conseguenze di quello che stava accadendo
in Francia e le ripercussioni sulla Spagna, soprattutto dopo che Napoleone invase il Paese.”
“La Spagna, alla fine del XVIII secolo, nonostante una relativa modernità, era il Paese più arretrato
d’Europa occidentale. Era cattolica, conservatrice ed era governata da una monarchia i cui Re
appartenevano alla stessa famiglia del Re di Francia. Le opere dei grandi filosofi del XVIII secolo e
dell’Illuminismo non avevano praticamente avuto alcuna influenza o eco in Spagna. L’Inquisizione
funzionava ancora a pieno regime ed era ancora capace di infliggere danni terribili alla popolazione. E
Milos era letteralmente affascinato da quell’epoca e in particolare dall’Inquisizione.” “La cosa che mi
attraeva particolarmente di quel periodo,” commenta Forman, “era che con tutti i suoi paradossi e con
tutti i cambiamenti in corso, rifletteva molto da vicino i tempi che io stesso avevo vissuto: la società
democratica, la società nazista, i comunisti e poi di nuovo la democrazia.” “Una situazione piuttosto
simile a quella che era la Spagna all’inizio del XIX secolo. Il Re Carlo rappresenta la vecchia guardia
quando all’improvviso Napoleone invade il paese e porta il progresso, insieme agli ideali e ai valori
della Rivoluzione Francese. Ma di cosa si tratta in fondo? A me ricorda tantissimo l’epoca nella quale
ho vissuto io, quando i Sovietici sono arrivati a portare la cosiddetta “libertà” alla Cecoslovacchia.”
“Ma invece di una vera liberazione della Spagna, Napoleone insedia suo fratello sul trono spagnolo
fino a quando gli Inglesi, guidati da Wellington, invadono la Spagna, cacciano i Francesi e restaurano
la Monarchia Spagnola. Insomma, un periodo molto interessante.” Carriere e Forman erano convinti
che Goya fosse il personaggio ideale attraverso il quale raccontare la storia di quel periodo proprio
perché era nato parecchio tempo prima della Rivoluzione Francese ed era morto tanti anni dopo.
“Non credo che Goya fosse coinvolto politicamente, almeno non consapevolmente. Era diciamo
semplicemente un osservatore incredibile, un po’ come un giornalista di oggi,” osserva Forman.
“Commentava, registrava ciò che stava accadendo e come dice nel film: ‘Dipingo ciò che vedo.”
E aggiunge Carriere, “Goya ritraeva i Re e le Regine di Spagna, i loro figli e l’intera famiglia reale; era
ammesso a Palazzo Reale, e realizzava ritratti dei personaggi che facevano parte della Corte. Ma al
tempo stesso però, conosceva la vita della gente semplice, perché camminava per la strada, frequentava
le taverne e faceva schizzi e incisioni molti dei quali, Los Caprichios e Disasters of War sono diventati
molto famosi a giusto titolo. Ritrasse anche uno degli Inquisitori, e anche il fratello di Napoleone che si
insediò sul trono di Spagna oltre che soldati comuni e normali cittadini. Sapeva leggere nel cuore di
tutti.” Per quanto riguarda il film che desideravano realizzare, Forman, Zaentz e Carriere hanno capito
subito che una semplice biografia di Goya o un racconto didattico sull’Inquisizione non avrebbero
affatto funzionato. Era necessario un approccio nuovo, fresco e i cineasti ci hanno continuato a pensare
per anni, immergendosi nella storia della Spagna, concentrandosi su quel particolare periodo e
leggendo tutto quello che trovavano su Goya e sull’Inquisizione. Forman e Carriere, che parla spagnolo
e conosce bene il Paese, hanno addirittura trascorso diverse settimane in giro in macchina per le
campagne spagnole e hanno fatto un altro viaggio anche in compagnia di Saul Zaentz, per approfondire
la
loro
conoscenza
e
comprensione
del
paese
e
della
cultura.
A cura di Francesco Ruggeri
MILOS FORMAN, CINEMA SULLA LUNA
Era il 1992, l’anno di “Automatic for People” e di una traccia infuocata ed epocale come “Man on the
moon”. I REM raccontavano dell’uomo sulla luna, ma anche di ‘un’ uomo sulla luna. Che è diverso.
Perché quella luna appesa ad un ritmo cantilenante e rapsodico (‘man on the moon/man on the moon’)
tracciava l’iter tutto terrestre di un uomo qualunque. Di spazio nemmeno l’ombra. Di orbite nemmeno.
L’uomo sulla luna è l’uomo che gioca con il proprio mondo, rimanendo a terra. L’uomo che capovolge
la realtà, sostituendola con un mondo fatto a sua immagine e somiglianza.
Un uomo capace di dilaniare ogni aspettativa, smontando le impalcature delle convezioni.
L’uomo in questione era Andy Kaufman, omaggiato dai REM con un pezzo che ha fatto storia,
entrando dopo diversi anni nel primo film (“Man on the Moon”) dedicato a questo straordinario
piromane di ogni frase fatta. Kaufman era un comico, un intrattenitore televisivo, un attore, un filosofo,
un ‘song and dance man’, come amava definirsi lui stesso. Tante cose tutte insieme. Troppe per una
certa America degli anni Settanta/Ottanta che voleva sicurezza e normalità. Kaufman gli stava stretto.
Perché non era sicuro di sé e non poteva dare sicurezza a nessuno. Perché non era ‘normale’. E di
normalità non voleva neppure sentir parlare.
Piccola introduzione per accendere come si deve l’ingresso in campo di Milos Forman. Il quale, detto
per inciso, ha sempre provato un debole per le menti in fuga e per i mondi improvvisamente capovolti.
Andy Kaufman faceva al caso suo. Esattamente come il Nicholson di “Qualcuno volò sul nido del
cuculo”, il Cagney di “Ragtime” e i genitori sballati di “Taking Off”. Per non parlate del Mozart di
“Amadeus”. Semplicemente, uomini spintisi oltre. Cinti dall’abisso e accarezzati dallo spettro
dell’emarginazione. Con un piede sulla terra e l’altro altrove.
‘Men’ on the moon.
-----------In Milos Forman la ribellione non è necessariamente un gesto, un atto esplicito, un movimento.
Assume spesso le forme di una tensione guizzante dei muscoli, ma ancora di più una predisposizione
mentale. Come accade anche nel cinema ‘manicomiale’ di Philip Kaufman (“Henry & June”,
“L’insostenibile leggerezza dell’essere”, “La tela dell’assassino”), nel cinema formaniano quello che ti
aspetti in un modo, si trova in un altro. Quello che ti sembra di conoscere da sempre, ti appare
improvvisamente come un perfetto e inappuntabile oggetto misterioso.
Cinema assettato di libertà e di emancipazione, imbevuto di aneliti impossibili verso altri mondi, altri
sguardi... Tutto comprensibile. Forman, in seguito all’invasione comunista della Cecoslovacchia nel
’68, arriva in America con un’intenzione precisa: quella di iniettare nel cinema del periodo una potente
e sottilissima carica eversiva. Ci riesce. E il tempo è dalla sua parte.
Nulla che abbia a che vedere con didascalie e sottotitoli. Le sue opere non sono invecchiate perché non
cavalcavano la moda del momento, ma sapevano guardare oltre.
Prendete “Hair” e “Qualcuno volò sul nodo del cuculo”. Sono visioni imprendibili, irriducibili ad
etichetta, incasellabili. Modulate sul respiro sincopato dell’emigrante e scalfite da un immaginario Usa
riprodotto in chiave sardonica e allusiva. Non sono opere contro, ma opere per…Tutto ha inizio dalla
fine. Quando nella memorabile chiusa di “Qualcuno volò sul nido del cuculo” l’enorme indiano ‘libera’
Nicholson e rompe la vetrata dell’ospedale psichiatrico, succede qualcosa. L’interno diventa esterno e
la claustrofobia muta in ‘en plen air’. La costrizione obbligata/controllata/istituzionalizzata si spoglia di
ogni forma, si scoordina, diventa movimento libero e irregolare, singhiozzante ed esplosivo. E’ il
mondo ad essere imploso su se stesso o è ‘soltanto’ l’individuo ad essersi spinto oltre i confini?
Entrambe le cose: quel che più conta è che ci si è liberati. E che un altro mondo è possibile.
UN LIBERTARIO SULLE TRACCE DELL’INQUISIZIONE
Cinema e libertà. In pochissimi sono riusciti a immaginare mondi dove questo binomio diventa un
termine unico. Cinema-in-libertà. Ovvero, cinema politico, battagliero, trasgressivo, militante,
irriconciliato. Quando negli anni Settanta buona parte del cinema americano era preso dai
rimasticamenti delle rivolte studentesche (“Fragole e sangue”, 1969), Forman guardava avanti. E
bypassava condizionamenti ideologici, bandiere troppi facili da sventolare, prese di posizioni modaiole.
Facendo nuotare i meravigliosi corpi dei suoi protagonisti in un mondo già cambiato. Corpi alternativi
in procinto di diventare pesci e di sguazzare in una realtà trasformata in ‘acquario’ (“Hair”).
Pura fantascienza, specialmente se inquadrata nel cinema di trent’anni fa.
Qualcosa è cambiato? Assolutamente no. Almeno per Forman. Assente dalla scena cinematografica da
sette anni, dai tempi di “Man on the Moon” per intenderci. Lontano mille miglia da condizionamenti
produttivi, da leggi del mercato, da catene di montaggio di ogni tipo. Il suo cinema nasce e rinasce ogni
volta da un’esigenza. Non può farne a meno. Ed è un bene. Perché ogni volta che Forman fa ritorno sul
set, succede qualcosa. Dieci anni fa successe con “Larry Flint-Oltre lo scandalo” (travolgente e
blasfema rilettura della storia americana degli anni Settanta vista ad altezza delle conigliette di
“Playboy”), tre anni dopo con lo stesso “Man on the Moon”, ora con… Beh, con qualcosa di
difficilmente definibile. Un lampo di cinema proveniente da un altro pianeta. O più semplicemente il
ritorno atteso tanti, troppi anni di un cineasta che nel panorama cinematografico odierno non ha eguali.
In primis, potremmo prenderlo come un film storico. O magari come una struggente e crepuscolare
storia d’amore. O forse soltanto come un manuale di istruzioni su come vada girato un film in
costume. Bene, restiamo nel mezzo. Almeno per il momento. E diciamo pure che si tratta di un film
radicato nel presente e agganciato al passato. Ma con un piede nel futuro.
Un film storico? Sì, un film storico.
---------L’attesa era tanta e i media, anche quando non hanno praticamente nulla in mano, non possono fare a
meno di riempire i vuoti. A volte mancano il bersaglio. In parte, è successo con “L’ultimo inquisitore”
(in originale “Goya’s Ghosts”). Spacciato a più riprese per un ‘biopic’ su Goya (interpretato da un
magnifico Stellan Skarsgård), dunque ‘mancato’ clamorosamente. Ecco il perché: “Non ho mai pensato
di fare un film biografico su Francisco Goya, così come, quando ho girato “Amadeus”, non avevo mai
pensato di raccontare la storia di Mozart”, racconta Forman. ”Trovo che le biografie siano noiose. Mi
interessava invece ambientare la vicenda in un periodo che io considero il più importante della storia
moderna perchè ha visto il crollo di istituzioni che sembravano intramontabili e la necessità
dell'affermarsi di nuove idee”.
Ecco la parola chiave: crollo. In ogni film del regista ceco si assiste ad un devastante terremoto che
mina le fondamenta del microcosmo raccontato, trascinandolo in un punto di non ritorno.
Succedeva al ragazzo assunto nel supermercato di “Asso di picche”, al rapporto fra giovani e anziani ne
“Gli amori di una bionda”, al nucleo aristocratico di “Valmont”. Per non parlare dello spettatore medio
americano davanti alle commistioni apparentemente incomprensibili e sfacciate del Kaufman di “Man
of the Moon”. Cinema sulla soglia di una fine del mondo. Quello conosciuto e praticato, è chiaro.
Ecco uno dei perché de “L’ultimo inquisitore”. Che, come già sottolineato, è tante cose insieme.
Prima di tutto, probabilmente, un’opera di rielaborazione e di sintesi. Arriva dopo undici regie e dopo
anni e anni di silenzio. Potremmo vederla anche come spartiacque, un po’ come lo fu lo stesso
“Valmont”, seguito otto anni dopo da “Larry Flynt” che inaugurò il ‘nuovo’ periodo americano
dell’autore. La verità è anche un’altra.
“L’ultimo inquisitore”, forse persino più delle altre opere di Forman, è il film della lotta, dei mille
tentativi andati a vuoto, delle energie spese con una straordinaria e pervicace convinzione.
Un film inseguito per anni e anni, una chimera resa possibile dai finanziamenti spagnoli e dalla
lontananza da ogni potere d’intervento ‘mainstream’ americano.
Un film che, nelle intenzioni di Forman, avrebbe dovuto riflettere sul presente, partendo da molto
lontano. Dalla Spagna ‘catturata’ tra gli ultimi anni del Settecento e i primi dell’Ottocento, per la
precisione. Fin qui, ordinaria amministrazione. A questo punto un altro regista non avrebbe certo avuto
difficoltà a imboccare una bella scorciatoia. Del tipo: ambientazione storica organizzata di tutto punto e
soprattutto un punto di vista caratteristico attraverso il quale inquadrare le vicenda. Quello di Goya, è
chiaro. L’artista eccentrico, il visionario per eccellenza della pittura del periodo, il genio contro.
E invece no. Perchè a Forman i ‘santini’ non interessano. Gli preme semmai sparpagliare per bene le
carte in tavola, alterando luci e colori, giocando con le forme di un certo immaginario, cambiando i
punti di osservazione. E inventandone di nuovi.
Anzi, di impossibili.
UNA PREMESSA…
Al centro di “L’ultimo inquisitore” campeggia il fantasma dell’Inquisizione. E ancora di più quello di
un inquisitore, padre Lorenzo, interpretato con impressionante forza da Javier Bardem.
Il punto di vista del cinema sull’inquisizione? Sempre (o quasi) quello dell’eretico. E l’inquisitore?
Ridotto il più delle volte a macchietta, nel migliore dei casi a stereotipo.
Forman riduce a brandelli ogni retorica, attraversa le trincee della Santa Inquisizione e inizia a scavare.
Nelle sue mani l’inquisitore si innamora della propria vittima. E diventa inquisito. Ma anche il filtro
attraverso il quale dipanare ogni evento.
Il cinema non aveva mai osato tanto.
STORIA DELL’ INQUISIZIONE (AL CINEMA)
“Avevo in mente questo soggetto da circa cinquant'anni”, racconta Forman, “da quando avevo letto un
libro sull’Inquisizione ed ero rimasto affascinato dall'argomento e dal pensiero di quello che può
accadere nel momento in cui qualcuno viene accusato di un crimine che non ha commesso…”
L’argomento è di quelli da prendere con le pinze. Irto di difficoltà, di zone buie e impraticabili, di
misteri. Già dai suoi albori, cinema e inquisizione vanno di pari passo. Il chè significa che si tratta di un
tema ricorrente, quasi fisso soprattutto in quelle opere ambientate nel medioevo.
Per individuare i cosiddetti antecedenti, dovremmo andare a ritroso nel tempo e tornare a George
Melies, l’inventore del cinema fantastico. “Un miracle sous l'inquisition” è targato 1904 ed è a tutti gli
effetti il primo film ad occuparsi del tema. Dopo qualche anno, il cinema comincia a pullulare come
niente di diavoli, di streghe condannate al rogo e di inflessibili tribunali dell’inquisizione.
Le pietre miliari del genere sono due: “La stregoneria attraverso i secoli” (Benjamin Christensen, 1922)
e “La Passione di Giovanna D’Arco” (Dreyer, 1928). Gli archetipi nascono da qui: nel primo
l’inquisizione viene associata alla caccia alle streghe e alla loro esecuzione in pubblico, nel secondo
invece Dreyer scolpisce i volti degli inquisitori (ricordate il primo piano su un allucinato Antonin
Artaud ?) e magnifica la resistenza al dolore e al patimento della sua eroina di fronte ai suoi oppressori.
Duri, spietati, impassibili: i membri dell’Inquisizione iniziano ad essere filmati come ‘entità’ che hanno
poco a che vedere col divino e con ogni forma di misericordia. Ma soprattutto con ogni forma d’amore.
Quindici anni dopo il rogo della Pulzella d’Orlèans, Dreyer torna sul luogo del delitto con “Dies Irae”
(1943) per condannare l’ottusità violenta del potere ecclesiastico esercitato contro una povera donna
colpevole di essersi innamorata dell’uomo sbagliato e accusata automaticamente di stregoneria.
E’ in questo film che l’inquisizione entra in gioco come fustigatrice di costumi e come emblema di una
ingiustizia dal vago sapore diabolico. Ci voleva uno come Renè Clair per rivitalizzare il tema con
sprazzi di comicità caustica e romantica: il 1942 è l’anno di “Ho sposato una strega” (rifatto da noi nel
divertente “Mia moglie è una strega”, interpretato da Renato Pozzetto ed Eleonora Giorgi) in cui una
strega del Seicento si reincarna per mettere a punto la vendetta contro il discendente dell’inquisitore
che l’ha mandata al rogo. Ma di commedia romantica si tratta, facile dunque immaginare che i due
convoleranno a giuste nozze…
----------Il più grande inquisitore del cinema degli anni Sessanta? Beh, prima di rispondere, una piccola
premessa. Solo per sottolineare il fatto che la figura dell’inquisitore diventa un ‘topos’ ricorrente in
gran parte del cinema gotico/orrorifico di quegli anni.
Un nome per tutti? Quello di Vincent Price, capace di trascinare il personaggio in una deriva di stampo
chiaramente horror. Bastino due titoli: “Il grande inquisitore” (Michael Reeves, 1968) e “Il pozzo e il
pendolo” (Roger Corman, 1961). Nel primo l’inquisitore si muove alla luce del sole, ben visibile a tutti
e in piena attività.
Nel secondo invece si tratta di un ex di lusso. Price veste infatti i panni di un ex membro
dell’inquisizione che perde il pelo, ma non il vizio. A farne le spese sarà la povera Barbare Steele,
costretta a fare un giro non proprio piacevole nella stanza delle torture…
Con gli anni Settanta, il cinema dedicato al tema si estremizza, diventando, se possibile, ancora più
radicale. Basti pensare al tedesco “La tortura delle vergini” (qui un inquisitore tedesco fa una vera e
propria strage di possibili indiziate di stregoneria) e ancor di più allo straordinario “I diavoli” di Ken
Russell che, supportato da un cast d’eccezione (Oliver Reed, Vanessa Redgrave, Murray Melvin),
rielabora con una feroce e stravagante sintesi visiva il precedente cinema legato al tema. All’insegna di
una sperimentazione che in Russell è sempre a dire poco selvaggia. Vi sembra impossibile avere
ragione dell’inquisizione e sfuggirle? Mai dire mai. A dimostrarlo è il Franco Nero de “Il monaco”
(Adonis Kyrou, 1972). Avviato sulla strada della santità, il protagonista (un monaco appunto) cade in
tentazione a causa di una strega che gli appare nelle vesti di un’affascinante novizia.
E la santificazione? Rimandata. L’uomo diventa nel giro di poco tempo uno dei peggiori peccatori in
circolazione, fin quando non viene adocchiato dall’Inquisizione della Santa Sede che inizia a metterlo
sotto torchio. Ma non è detta l’ultima parola. L’uomo infatti fa un patto col diavolo. Come immaginate
che vada a finire? Ve lo diciamo noi: in gloria.. Vale a dire sul soglio pontificio, L’uomo infatti diventa
Papa… Una boutade questa, benedetta sulla distanza dal genio birichino e impertinente (per non dire
sulfureo…) di Buñuel, grande amico del regista. Arriviamo poi al nostro “Giordano Bruno” filmato nel
1973 da un Montaldo in stato di grazia e reso magico da un Volontè che ha forse rappresentato meglio
di chiunque altro la disperata volontà di non retrocedere nemmeno di un passo dalle proprie posizioni,
anche se portano alla morte. Lo stesso Volontè torna ancora una volta nei panni dell’eretico suo
malgrado nell’intenso “Opera al nero” (Andrè Delvaux, 1988), dove interpreta Zenone, medico
alchimista mandato al rogo per alcuni suoi scritti. Infine, tre titoli che basterebbero da soli a
rappresentare l’inquisizione al cinema in tutte le sue sfaccettature possibili (almeno fino a Forman…).
“Il nome della rosa”, “Gostanza Da Libbiano”, “Parole e Utopia”.
------------Nel primo, diretto nel 1986 da Jean-Jacques Annaud e tratto dal romanzo omonimo di Umberto Eco, F.
Murray Abraham dà vita ad uno degli inquisitori più terribili (e memorabili) del cinema.
Crudele, sadico, inflessibile. Occupa l’intera seconda parte del film, interroga i malcapitati di turno con
perfetta inflessibilità e non dà scampo.
Annaud gioca con i chiaroscuri della sua presenza e ci restituisce una ‘summa’ precisa e potente
dell’inquisitore tipo. Senza coscienza, senza ripensamenti, senza rimorsi.
In “Gostanza Da Libbiano” (Paolo Benvenuti, 2000) invece l’inquisizione diventa un puro fatto
figurativo, una questione di rimandi pittorici, di giochi di luce e di ombre, tante ombre.
Benvenuti riprende in filigrana il cinema di Rossellini e di Dreyer, costruisce un’architettura visiva
senza smagliature e trasforma il film in una violenta riflessione sul rapporto fra vittima e carnefice.
Qui i membri dell’inquisizione –chiamati a stabilire se Gostanza sia o meno una strega- diventano i
notabili di un potere oscuro e insinuante, freddi burocrati di stato che non retrocedono di fronte a nulla
pur di far giungere la sventurata ad una confessione piena e soddisfacente.
Infine, il De Oliveira di “Parole e Utopia” (2000). L’azione prende le mosse nel 1663 e si sofferma sul
travaglio del padre gesuita Antonio Vieira, chiamato a deporre dalla Santa Intuizione per un banale
equivoco.
De Oliviera rappresenta l’esatta altra faccia della medaglia, rispetto ad Annaud.
Se il regista francese predilige macchine spettacolari tirate su di tutto punto, De Oliveira aspetta che la
verità si riveli allo spettatore, prediligendo un cinema di silenzi, di attese, di sussulti minimi.
La sua idea di inquisizione è quella che emerge nel duello verbale del protagonista con i suoi
accusatori.
Botta e risposta, accuse, difesa, tutto affidato al potere magico del discorso, tutto racchiuso nello sfogo
difensivo che riporta il protagonista avanti e indietro nel tempo.
Un’inquisizione in punta di fioretto dunque, caratterizzata poi da una particolarità non da poco: il film
si svolge in pieno Seicento. Anomalia non da poco, visto che la stragrande maggioranza del cinema
dedicato al tema annoda i suoi fili in ambito rigorosamente medioevale.
LA FINE DI UN’ EPOCA
“Ho pensato che quello relativo all’inquisizione sarebbe potuto essere il cuore del film”, racconta
Forman, “anche perché ho visto molte somiglianze tra la società comunista in cui ho vissuto e quello
che succedeva in Spagna in quel periodo. La paura è sempre stata il miglior modo per mantenere il
potere. Sapevo naturalmente che sarebbe stato impossibile girare una storia del genere in
Cecoslovacchia e così ho accantonato il progetto per molti anni”. A Forman non interessava filmare
l’inquisizione come macchina perfettamente oliata, funzionante e a pieno regime. Gli interessava
cogliere i suoi ultimi respiri, catturando scricchiolii, cedimenti, incertezze. La ‘macchina da guerra’
medioevale? Lasciata indietro. Quella de “L’ultimo inquisitore” è una struttura di potere che comincia
a perdere i pezzi, rantolando a più non posso, minacciata a morte dagli echi modernisti della
rivoluzione francese. Il potere in Forman non logora chi non ce l’ha, ma chi lo amministra. Chi si trova
costretto a gestire un gioco al massacro che non può non sfuggirgli di mano.
La Louise Fletcher di “Qualcuno volò sul nido del cuculo” come il Bardem de “L’ultimo inquisitore”.
Protesi di un potere corroso da metastasi sempre più numerose.
Ne “L’ultimo inquisitore” è una donna a scalfire l’imperturbabilità apparente di Padre Lorenzo.
Non una donna qualunque, ma la musa ispiratrice di Goya, la fonte d’ispirazione di tante sue opere.
Nei dipinti di Goya assume le forme della bellezza piena, solare, radiosa. L’unica chiave possibile per
oltrepassare la precarietà del momento storico e la mostruosità strisciante del reale.
Per Padre Lorenzo rappresenta la fine.
Il crollo delle certezze, la vittoria della carne sullo spirito, la trasformazione della macchina inquisitoria
in gesto d’amore e di pietà.
Ci voleva un ‘rivoluzionario’ come Forman per trasformare la violenza in libertà.
E un’attrice come Natalie Portman per viverla sullo schermo con una simile intensità.
NATALIE A NUDO
Forman non ha avuto dubbi nello scegliere Natalie Portman.
Le è venuta in mente per caso, davanti ad un quadro di Goya. Poi l’ha studiata con attenzione, in
“Closer” specialmente. La sua Inès sarebbe dovuta essere lei.
Il regista ceco esige una cosa dalle sue attrici: immediatezza. E poi spontaneità e verità. Prendete
Louise Fletcher (“Qualcuno volò sul nido del cuculo”), Courtney Love (“Man on the Moon”, “Larry
Flint”), Annette Bening (“Valmont”).
Attrici forti, capaci di mettersi a nudo con tutte loro stesse.
Forman voleva, anzi esigeva, coraggio. Un’attrice che non avesse paura di spogliarsi sul set. E dunque
di ‘sporcarsi’ le mani con ruolo difficile e impegnativo, di quelli che segnano in profondità.
Chi meglio della Portman? Oggi, probabilmente nessuna attrice.
Quello della Inès di Forman rappresenta per lei il punto chiave della sua folgorante carriera. Il
momento di passaggio alla maturità consapevole di attrice, ma non solo.
Perchè Forman non l’ha soltanto diretta in modo memorabile, ma l’ha spinta a diventare donna.
E a svestirsi come non ha mai fatto per nessun altro regista.
La sceneggiatura
Nel 2003, circa 20 anni dopo la visita al Prado di Forman e Zaentz durante la quale regista e produttore
avevano avuto l’idea di questo film, i cineasti si sono messi al lavoro per dare il via al progetto.
Forman e Carriere si sono ritirati nella casa di Forman nel Connecticut dove hanno potuto approfittare
della solitudine e della disciplina necessarie ad abbozzare la prima versione della sceneggiatura.
“Una delle caratteristiche di Goya, che Milos ed io ritenevamo funzionali al nostro obiettivo era il suo
impegno verso l’arte,” osserva Carriere. “Avrebbe ritratto chiunque: da un ministro dell’Inquisizione al
Duca di Wellington che liberò gli Spagnoli dal dominio francese. Diciamo che era apolitico e non
voleva essere coinvolto in questioni politiche, nelle azioni o nel progresso sociale. Voleva
semplicemente dipingere.
“Abbiamo quindi pensato che sarebbe stato interessante contrapporre al personaggio di Goya un uomo
di sua conoscenza, ma dal temperamento e dalla filosofia opposti, un uomo intelligente tutto proteso a
cambiare il mondo e molto coinvolto nei movimenti politici dell’epoca. E quest’uomo, Fratello
Lorenzo, diventa il protagonista del film: un sacerdote dell’Inquisizione, e quindi un inquisitore che
crede fermamente e in una maniera che rasenta il fanatismo di poter costruire un mondo migliore e più
umano basandosi sugli insegnamenti di Cristo.
“Fratello Lorenzo ritiene che il declino morale della Spagna sia imputabile al fatto che l’Inquisizione
non sia più così severa come era stata in passato e quindi vuole ridare potere all’Inquisizione e
riportarla a quello che era un tempo quando aveva molta più forza ed influenza. Contemporaneamente,
è venuto a sapere che anche in Spagna si stanno facendo strada le nuove tendenze provenienti dalla
Francia rivoluzionaria che sono contrarie alla dottrina religiosa predominante e che tentano di stabilire
il principio secondo il quale l’uomo è artefice del proprio destino sulla base della filosofia, che poggia
su tre principi fondamentali: libertà, uguaglianza e fratellanza.”
Il terzo personaggio importante della storia è una donna che entrambi gli uomini conoscono, Ines
Bilbatua. All’inizio della storia è la musa adolescente di Goya la quale successivamente avrà a che
vedere con fratello Lorenzo quando l’Inquisitore diventerà la sua unica speranza per difendersi dalle
false accuse di eresia che le sono state rivolte.
“Ines è una ragazza di buona famiglia. Suo padre è un ricco mercante e i Bilbatuas sono dei bravi
cristiani,” commenta Carriere. “Ma una notte, mentre è con il fratello e alcuni suoi amici in una
taverna, viene riconosciuta dai Familii che spiano per conto della Chiesa e che sospettano che sia dedita
a pratiche religiose ebraiche. Ed è da qui che cominciano le sue peripezie perché la ragazza viene
convocata ed interrogata dall’Inquisizione. Ed è da qui che comincia l’orrore.”
La scelta degli attori
Forman e Carriere, con la guida ed il supporto di Zaentz, hanno lavorato intensamente su diverse
versioni della sceneggiatura prima di completare la versione finale, approvata da tutti. Una volta
terminato il processo di scrittura, Zaentz si è occupato dei finanziamenti e ha dato il via libera alla fase
di pre-produzione che è iniziata con un lavoro su due fronti: da un lato la ricerca delle location e
dall’altro la scelta degli attori.
Il regista, il produttore e lo sceneggiatore hanno lavorato come una sola persona su questi punti. Per
quanto riguarda la scelta delle location, erano tutti convinti che per mantenere lo spirito e l’autenticità
del film, L’ultimo inquisitore doveva essere girato in esterni in Spagna, con il maggior numero
possibile di attori e tecnici spagnoli. I film che Forman e Zaentz avevano realizzato insieme in
precedenza erano stati tutti girati in esterni e questo non avrebbe fatto eccezione.
Seguendo questo criterio, la collaboratrice di lunga data di Milos Forman, la scenografa Patrizia Von
Brandenstein, premiata con l’Oscar per le scenografie di Amadeus, è stata convocata in Spagna per
partecipare alla scelta delle location. La Von Brandenstein aveva già lavorato con una società spagnola
diversi anni prima ed era certa che l’avrebbero aiutata a trovare i luoghi ideali per girare e per
organizzare tutta la logistica intorno al film. Per una strana coincidenza, il produttore Zaentz conosceva
la stessa società visto che aveva realizzato in Spagna la versione animata di Il signore degli anelli
lavorando proprio con loro. A capo della società, che oggi si chiama Kanzaman, c’è una produttrice di
origini inglesi che lavora e vive in Spagna da molti anni, Denise O’Dell.
Zaentz si è recato in Spagna per incontrare la O’Dell e discutere con lei e con il condirettore Mark
Albera il progetto su Goya.
“Quando Saul mi ha parlato del progetto era letteralmente elettrizzata,” racconta O’Dell. “Due
leggende del cinema desideravano venire in Spagna per realizzare un film: Zaentz e Forman. Ed io
sono stata più che felice di essere coinvolta.
“Quando ci siamo visti, mi hanno informata che non avevano intenzione di portare da fuori una grossa
troupe ma che avrebbero preferito trovare i collaboratori in loco e questo per me è stato a dir poco
meraviglioso perché è quello che cerchiamo di fare da anni.”
Una volta completata l’organizzazione dei sopralluoghi per la scelta delle location, Forman e Zaentz
sono passati alla seconda parte del loro lavoro: la difficile scelta degli attori.
Sin dall’inizio, Forman e Zaentz desideravano avere Javier Bardem nel film convinti che sarebbe stato
perfetto per il ruolo di Goya. L’attore spagnolo, candidato all’Oscar nel 2002 per l’interpretazione del
poeta, romanziere e dissidente cubano Reinaldo Arenas nel film diretto da Julian Schnabel Prima che
sia notte, è uno dei più carismatici, famosi e bravi attori spagnoli.
“Javier è innanzitutto e senza ombra di dubbio uno dei migliori attori cinematografici con il quale abbia
lavorato,” dichiara Zaentz. “All’inizio avevamo pensato a lui per il ruolo di Goya e avevamo deciso di
incontrarci all’Hotel Ritz che è proprio davanti al Prado. Quando lo abbiamo visto nella hall dell’hotel
siamo stati felicissimi e quando si è avvicinato a noi, ci ha messo una mano sulla spalla e ci ha detto:
“Voglio proprio fare un film con voi!” eravamo al settimo cielo e abbiamo risposto “E noi vogliamo
fare un film con te!”
Bardem ricorda l’incontro con estremo piacere.
“Quando il mio agente mi ha chiamato e mi ha detto che Milos Forman e Saul Zaentz volevano
incontrarmi, all’inzio ho pensato si trattasse di uno scherzo ma quando li ho visti ho capito che era una
cosa seria ed ero elettrizzato. E naturalmente, essendo spagnolo, ho pensato che mi avrebbero scelto per
interpretare Goya. Sembrava la cosa più logica e naturale.
All’insaputa di Bardem, nell’ambito della sceneggiatura, il personaggio di Goya stava perdendo
importanza a favore invece del personaggio fittizio, Fratello Lorenzo, che era diventato il protagonista
del film.
“Dopo numerose discussioni abbiamo capito che la nostra storia non avrebbe funzionato se Goya fosse
restato il protagonista del film,” osserva Zaentz. “Pur essendo cruciale e fondamentale ai fini della
storia, non poteva essere il protagonista.” E di conseguenza, era quello di Fratello Lorenzo il ruolo che
Forman voleva affidare a Javier Bardem.
“Quando diversi giorni dopo Javier ci ha chiesto come stava andando il film, gli abbiamo detto che era
emersa una novità che aveva avuto un certo effetto sul suo ruolo ma che non avrebbe avuto alcun
impatto sul film,” racconta Zaentz. “E lui era molto intrigato ma invece di spiegargli tutte le novità gli
abbiamo detto che gli avremmo mandato la sceneggiatura completa cosicché avrebbe notato da solo i
cambiamenti e avrebbe capito perché avevo pensato di fargli interpretare il ruolo di Fratello Lorenzo.”
Dopo aver trascorso qualche ora a leggere la sceneggiatura, Bardem ha telefonato a Forman e a Zaentz
e gli ha comunicato la sua reazione: “Lorenzo ha il mio cuore,” ha detto l’attore e ha accettato
immediatamente il ruolo perché lo affascinava moltissimo.
“So che il fatto di non interpretare il personaggio che il pubblico si aspetta è una vera sfida e il fatto di
interpretare Lorenzo è una sfida ancora più grande perché è un uomo che ha idee e credenze molto
radicate e forti ma non è il cattivo, non è un personaggio malvagio é semplicemente un uomo
passionale che a volte non riesce a controllarsi.”
Scegliere il personaggio che interpreta Goya è stata la sfida successiva soprattutto perché Forman
riteneva che l’attore che avrebbe dovuto interpretare il personaggio di Goya dove aveva una
caratteristica ben precisa: “Non volevo un attore facilmente e immediatamente riconoscibile”
commenta il regista. “Per i personaggi inventati, come Lorenzo e Ines, il fatto che fossero interpretati
da attori molto famosi non aveva alcuna importanza ma Goya doveva uscire dal nulla, doveva essere
qualcuno di assolutamente inatteso, non riconoscibile. “Ricordo che Milos ed io eravamo in viaggio tra
l’Europa e gli Stati Uniti e Milos stava guardando un film. Non era un gran film, ma uno dei vari sequel
di L’Esorcista. A un certo punto si è voltato verso di me e mi ha detto: ‘ Qui c’è il nostro Goya’. Ed io
ho detto: ‘E chi sarebbe?’ Milos ha indicato lo schermo e ha puntato il dito su Stellan Skarsgård il
protagonista del film.
“Lo conosco,’ ho detto subito a Milos. Ha interpretato L’insostenibile leggerezza dell’essere che ho
prodotto io. Ed ho pensato che fosse un’ottima idea.”
Attore svedese, negli Stati Uniti Stellan Skarsgård è famoso soprattutto per aver interpretato Will
Hunting, genio ribelle e Le onde del destino, ma non è decisamente un volto super conosciuto.
“Skarsgård è il tipo di attore che ricordi non come Stellan Skarsgård ma come il personaggio che ha
interpretato in un particolare film,” commenta Zaentz. “E’ un attore fantastico.” E Skarsgård è stato più
che felice di accettare il ruolo.
“Sono molto diverso fisicamente da Goya,” commenta Skarsgård. “Ma naturalmente quello che ci
interessava in questo film non era la somiglianza fisica perché è un film di finzione.”
Natalie Portman, premiata con il Golden Globe e candidata all’Oscar per il film di Mike Nichols
Closer, è stata scelta per interpretare Ines Bilbatua, la giovane musa di Goya. Strano a dirsi, Forman
voleva la giovane star per quel ruolo senza sapere esattamente chi fosse.
“Non la conoscevo per niente,” racconta Forman. “Avevo comprato una copia di Vogue o un’altra
rivista di moda simile e la stavo leggendo per rilassarmi quando sono rimasto colpito dalla fotografia di
una ragazza che poi ho scoperto essere Natalie. E mentre guardavo la foto, ho aperto un libro su Goya e
c’era la foto del dipinto La lattaia di Bordeaux e ho notato che era tale e quale a Natalie.
“Allora ho cominciato ad informarmi sulle qualità di questa giovane attrice e ho costatato che era molto
amata ed apprezzata. E poi ho visto Closer e ho capito quanto fosse brava e ho capito che era lei che
volevo per il mio film. E’ un’attrice che è in grado di interpretare qualunque tipo di emozione e lo fa in
maniera incredibile e sorprendente e questo è fondamentale per questo film perché è come se
interpretasse tre persone diverse.”
“Quando sono andata a Parigi per incontrare Milos e Jean-Claude, sono rimasta sorpresa quando ho
scoperto che mi volevano per il film non perché avessero visto il mio lavoro ma solo perché avevano
visto una mia fotografia e perché avevano deciso che c’era una forte somiglianza tra me e una ragazza
ritratta da Goya,” racconta la Portman.
“Ero molto interessata ed elettrizzata all’idea di aver suscitato il loro interesse, e anche un po’
intimidita perché adoro i film di Milos. Ero pronta per fare un provino, o per leggere qualche battuta
dalla sceneggiatura e quando mi hanno offerto la parte ero al settimo cielo. Ines appartiene ad un
periodo storico particolare del quale non sapevo molto ed è un personaggio totalmente diverso da tutti
quelli che ho interpretato finora.”
Mancavano ancora due ruoli importanti da assegnare per i quali sono stati scelti degli attori di grande
talento. Randy Quaid, che di recente abbiamo visto nel film di Ang Lee Brokeback Mountain, è Re
Carlo mentre il famoso attore franco-inglese Michael Lonsdale è stato scelto per interpretare il Grande
Inquisitore. Lonsdale ha al suo attivo film quali Il giorno dello sciacallo diretto da Fred Zinnemann,
Baci rubati di Francois Truffaut, Soffio al cuore di Louis Malle e più di recente Munich di Steven
Spielberg.
I rimanenti ruoli, più piccoli ma altrettanto fondamentali, sono stati assegnati ad alcuni dei migliori
attori spagnoli tra i quali Jose Luis Gomez (Remando al viento), Mabel Rivera (Il mare dentro), Ramon
Langa, Blanca Portillo (Volver), Unax Ugalde (Alatriste), e tanti altri.
Una volta terminato il casting degli attori, O’Dell, Forman e Zaentz hanno scritturato i migliori e più
creativi tecnici spagnoli tra i quali il direttore della fotografia Javier Aguirresarobe che ha lavorato due
volte con il regista spagnolo Alejandro Amenabar per, The Others con Nicole Kidman e per Il mare
dentro. Aguirresarobe ha vinto anche sei premi Goya (l’equivalente spagnolo dell’Oscar) per la
fotografia. La scenografa premiata con l’Oscar Patrizia Von Brandenstein (Amadeus), una delle più
fedeli e stimate collaboratrici di Forman è stata scelta per occuparsi delle scenografie. Tra i film ai
quali ha collaborato ricordiamo The Ice Harvest di Harold Ramis The Ice e All King’s Men di Steven
Zaillian. La vincitrice dell’Oscar Yvonne Blake (Nicola e Alessandra) è la costumista, che ha al suo
attivo i costumi di alcuni dei migliori film spagnoli e che è stata candidata all’Oscar per Milady-i
quattro moschettieri di Richard Lester.
Le riprese
La lavorazione di L’ultimo inquisitore è iniziata il 5 settembre 2005 con le riprese di diverse scene
ambientate nello studio di Goya ricreato dalla Von Brandenstein al primo piano di un complesso di
edifici abbandonati che un tempo avevano ospitato una fattoria, situati a San Martin de la Vega, vicino
Madrid. E lì Forman ha girato anche la scena in cui Goya dipinge il ritratto di Ines e quella in cui
invece c’è Fratello Lorenzo che posa per lui.
Le scene nelle quali vedremo Goya intento ad eseguire una serie di acqueforti sono state girate
all’interno del laboratorio dell’artista mentre quelle ambientate nell’ospedale psichiatrico e nelle celle
in cui l’Inquisizione rinchiudeva le persone che decideva di incarcerare sono state girate nella stessa
ex-azienda agricola di San Martin. Quel complesso di edifici risale al XVI secolo e pur essendo come
già detto in precedenza una ex-azienda agricola, con i suoi solidi edifici ad uno o due piani e con i
numerosi spazi aperti, si è prestata magnificamente per tutte le esigenze del film. Nessuno degli spazi a
disposizione è rimasto inutilizzato.
“Nell’epoca del suo maggior splendore, nell’azienda lavoravano e vivevano trecento persone circa,”
commenta il produttore esecutivo Paul Zaentz il quale aveva già collaborato con Saul Zaentz per tutti i
suoi film premiati con l’Oscar.
“Abbiamo utilizzato tutto quello che quegli spazi avevano da offrire. I magazzini un tempo usati per il
grano e gli attrezzi situati nel seminterrato sono diventati le prigioni mentre ognuna delle due stalle è
stata trasformata in un set. Una stalla è diventata la sala degli interrogatori mentre l’altra è stata
utilizzata per costruire le celle.”
Allontanandosi solo temporaneamente da San Martin de la Vega, la troupe si è spostata nel centro di
Madrid, per girare all’interno del meraviglioso Parco del Retiro ed è poi tornata di nuovo a San Martin
per girare parecchie delle scene con Ines, Lorenzo e i membri dell’Inquisizione. Per rispettare il piano
di lavorazione, la troupe si è poi spostata a Segovia dove Forman aveva deciso di girare la drammatica
sequenza dell’invasione della Spagna da parte dell’esercito napoleonico. Con le sue vie pedonali chiuse
al traffico delle auto, il centro storico restaurato e la profusione di chiese romaniche, Segovia è stata la
perfetta controfigura di Madrid perché somiglia molto alla Madrid di 200 anni fa.
Nella piazza centrale della città vecchia di Segovia, Forman si è servito di due unità, vale a dire la
principale e la seconda, diretta da Michael Hausman, collaboratore di vecchia data di Forman.
Entrambe le unità hanno filmato i soldati francesi in sella mentre si avventavano sulla città insieme alle
truppe dei Mammalucchi, l’antica casta militare che un tempo dominava l’Egitto e che Napoleone
aveva annesso ai soldati francesi. I Francesi portarono scompiglio lungo le strade, “liberando” la
cittadinanza e causando molte distruzioni, violentando le donne, saccheggiando i commercianti e
uccidendo in maniera indiscriminata.
Nella piazza centrale di Segovia dominata da un’austera architettura romanica, Forman ha girato anche
molte delle scene ambientate all’ingresso della tenuta dei Bilbatua. Tornata a Madrid, la prima unità ha
ripreso gli esterni e gli interni di una serie di magnifici e lussuosi palazzi reali, situati tutti ai margini
della città. Ognuno di questi palazzi, che sono nell’ordine El Pardo, La Quinta e Aranjuez, è
considerato un elemento essenziale del Patrimonio Nazionale Spagnolo.
All’interno del palazzo di Vinuelas, a nord di Madrid, Forman ha girato una sequenza importante,
quella nella quale la Regina Maria Luisa di Spagna posa per Goya per la realizzazione del famoso
dipinto che la ritrae in sella al suo cavallo e la cui seduta viene interrotta dall’arrivo di Re Carlo di
ritorno da una battuta di caccia. La battuta di caccia del Re insieme ai suoi uomini è stata girata nei
dintorni di Vinuelas, un’amena serie di dolci colline popolate da un branco di cervi lasciati a correre in
libertà.
Nello stesso luogo è stata girata la scena in cui Lorenzo, entrato a far parte di un ministero del governo
di Buonaparte, viene avvicinato da un gruppo di contadini armati.
Non lontano da Vinuelas, nelle tenute reali di Monte de El Pardo, una parco coperto da boschi che è a
tutt’oggi una delle più estese aree verdi di Madrid, Forman ha girato diverse scene nei due grandi
palazzi ospitati dalla tenuta. Il Palazzo Reale El Pardo, casino di caccia che risale al periodo degli
Asburgo e che è riccamente decorato con affreschi e tappezzerie è diventato il palazzo reale di Madrid
in cui Goya, invitato da Re Carlo nel suo studio, assiste ad un’udienza in cui il Re apprende da un
messaggero la terribile notizia della decapitazione di suo cugino, il Re Luigi XVI di Francia durante i
disordini della Rivoluzione Francese.
Sempre al El Pardo è stata girata la scena in cui Napoleone discute con i suoi ministri e quella in cui la
famiglia di Ines viene ricevuta in udienza da Re Carlo e durante la quale il padre cerca di far breccia nel
cuore del re affinché intervenga presso l’Inquisizione che tiene prigioniera sua figlia.
A La Quinta invece, un altro piccolo palazzo nella tenuta di Monte de El Pardo che era stato
trasformato in una residenza personale dall’ex-dittatore Francisco Franco, Forman ha girato molte
scene ambientate a casa e nell’ufficio di Lorenzo una volta diventato ministro del governo Bonaparte.
Una sequenza molto drammatica nella quale Goya affronta Lorenzo insieme ad una Ines totalmente
diversa da quella conosciuta all’inizio e la scena in cui Goya cerca di sventare l’orribile piano di
Lorenzo che prevede di esiliare tutte le prostitute di Madrid in America sono state girate qui.
Successivamente, la troupe si è spostata di nuovo da Madrid alle colline vicino a Ocana a poca distanza
da Toledo. Su una vasta zona collinare, Forman ha girato una lunga sequenza nella quale il Duca di
Wellington e il suo numeroso esercito attraversano il confine tra il Portogallo e la Spagna, respingendo
gli occupanti francesi e liberando gli Spagnoli.
Il regista poi ha girato una seconda sequenza militare verificatasi storicamente qualche anno prima,
nella quale un comandante francese si rivolge alle truppe ammassate in un accampamento prima di dare
inizio alla marcia sulla Spagna, nelle alte vette delle montagne di Pedriza.
La natura epica della storia e gli effetti su larga scala previsti da L’ultimo inquisitore – enormi
panorami che si alternano a scene molto intime e drammatiche, ognuna particolarmente intensa, per
non citare la ricostruzione di un periodo storico molto preciso, - sono stati una vera sfida per tutti
coloro che hanno partecipato al film, attori e realizzatori. Ma forse nessuno, tranne Forman, è stato
coinvolto nell’aspetto fisico della lavorazione più della scenografa Patrizia Von Brandenstein.
“E’ stato un lavoro immane perché sin dall’inizio mi sono trovata di fronte al problema di come
ricostruire quell’epoca, per non parlare delle opere di Goya e di un milione di altri dettagli, e tutto
questo per un regista esigente come Milos,” commenta la von Brandenstein.
“In casi come questo si comincia dalle cose più ovvie, vale a dire i dipinti, i libri ed i documenti storici
dell’epoca. Sono tanti i libri che parlano di Goya e di quel particolare periodo della storia della Spagna.
Ma io ho attinto soprattutto alle lettere scritte dalla Duchessa di Albam, a quelle della Regina Maria
Luisa e del Re che sono tutte disponibili e consultabili anche in inglese e che mi hanno fornito del
materiale preziosissimo.
“Poi ho dovuto affrontare il problema tecnico di come mostrare Goya e i suoi dipinti. L’importanza di
Goya per la Spagna e gli Spagnoli è tale che non può certamente essere sottovalutata. E’ un qualcosa di
unico perché è una sorta di figura paterna per l’intero paese.” Javier Bardem, che come tutti sanno è
spagnolo, conferma la nostra tesi.
“Gli Spagnoli amano e rispettano profondamente il lavoro di Goya,” commenta Bardem. “Credo che
Goya sia stato il primo pittore la cui arte ha avuto la stessa funzione del giornalismo dei giorni nostri.
E’ stato il primo artista che ha potuto ritrarre il Re, insieme alla ricchezza e alla gloria della monarchia
spagnola, tutte cose che hanno contributo alla creazione della Spagna moderna.
“Ma al tempo stesso, Goya ha anche dipinto la miseria della vita di strada, l’orrore di quell’epoca, con
lo stesso metodo e lo stesso punto di visita adottato quando ritraeva Sua Maestà. Tutti i suoi dipinti,
indipendentemente dal soggetto ritratto dimostrano il suo profondo coinvolgimento emotivo.”
Carmen Ruiloba, consulente storica del film, spiega il significato e l’importanza di Goya per gli
Spagnoli.
“All’università avevo un professore che diceva che Goya è uno di famiglia. Per ogni Spagnolo è una
specie di nonno; è un pittore universale, un genio che parla direttamente al cuore della gente e che parla
per il futuro. Quello che ha detto duecento anni fa a proposito della guerra, delle belle duchesse, della
gente comune, dei poveri e degli emarginati, vale ancora oggi.
“Per gli studiosi, Goya è un personaggio cruciale nella storia dell’arte. Molti diranno che è stato il
primo pittore moderno o che è una sorta di anello di congiunzione tra il classicismo e il modernismo.”
Un simile personaggio rappresenta un banco di prova per qualunque attore e Stellan Skarsgård ha
dovuto lavorare sodo e per molto tempo per calarsi nel suo ruolo.
“Ho dedicato molto tempo a fare ricerche su Goya come uomo e come artista ma devo anche
aggiungere che tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione di questo film si sono gettati anima
e corpo nell’universo di questo straordinario pittore, per capire chi era, come ha vissuto e come ha
lavorato”, racconta Skarsgård.
“Abbiamo approfondito le ricerche a tal punto che per alcune delle scene ambientate nel suo studio
abbiamo seguito la formula che lui stesso usava per le acqueforti con una tale precisione che forse
saremmo stati addirittura in grado di realizzarne qualcuna. Conoscevamo anche le formule che
utilizzava per i colori e le tonalità che gli piacevano particolarmente. Siamo riusciti a ricreare
addirittura uno degli album per gli schizzi che usava lui e che portava con sé ovunque andasse,
un’abitudine che aveva preso in Italia e che non abbandonò mai.”
La straordinaria autenticità delle ambientazioni e delle atmosfere sul set ha indubbiamente aiutato
Skarsgård ad interpretare Goya in maniera più che realistica e convincente.
“Ma il vero obiettivo era capire la sua anima, l’anima del personaggio che Milos Forman e Jean Claude
Carriere avevano creato. E quindi ho cercato di concentrarmi sempre sulla maniera in cui loro lo
avevano visto quando avevano scritto la sceneggiatura. E il personaggio da loro descritto nella
sceneggiatura è molto interessante perché è un uomo mostra compassione verso tutto ciò che dipinge.
Al tempo stesso però, è anche una persona che si tiene in disparte, a distanza come fanno in genere tutti
gli artisti. Sicuramente il mio Goya non ha alcuna intenzione di intromettersi nelle questioni trattate
dall’Inquisizione e nutre un profondo rispetto per la sua giovane musa, Ines sebbene per certi versi ne
sia anche profondamente innamorato. Infatti, che dipinga un angelo in una chiesa o ogni qualvolta ha
bisogno del volto di una bella e giovane donna, si rifà sempre al volto di Ines perché la ragazza è
sempre nei suoi pensieri, nella sua mente.”
Bardem nutre una profonda ammirazione per il suo collega svedese.
“Il rapporto tra Goya e Lorenzo, il mio personaggio, è un rapporto tra due persone che si rispettano e
che si temono vicendevolmente. Goya è un uomo libero che dipende solo da se stesso mentre Lorenzo
si affida ai dogmi, alle idee, alla struttura del potere vigente all’epoca. E in quella società lui ha il
potere che Goya non ha.
“Osservare Stellan, uomo che viene dal nord Europa, dar vita a questo personaggio che rappresenta
l’anima stessa della Spagna, è stato come assistere ad un miracolo. Lavorare con Stellan è facile e
piacevole perché è un attore incredibile” e Forman si unisce al coro di chi tesse le sue lodi.
“In maniera sottile e subdola, è lui la chiave di tutto. Il vero rischio era trasformare il personaggio di
Goya in un personaggio sopra le righe, stravagante, diverso dalla gente comune ma Stellan invece è
riuscito, in maniera molto sottile, ad evitare di cadere in questa trappola, e alla fine qualunque parola
dica e qualunque gesto compia sono assolutamente credibili.”
In ultima analisi, ognuno degli attori protagonisti della storia, ha avuto un compito simile anche se
alcuni hanno interpretato personaggi realmente esisti e altri personaggi di finzione perché ognuno di
loro ha interpretato una figura semplicemente descritta nella sceneggiatura e alla quale ha dovuto dare
vita. A differenza di Stellan Skarsgård, Javier Bardem e Natalie Portman non hanno potuto contare su
riferimenti precisi per costruire i loro rispettivi personaggi ma hanno dovuto affidarsi totalmente alla
loro immaginazione. Tuttavia la Portman è riuscita - istintivamente – a relazionarsi con la giovane Ines
e con la tragedia che deve subire considerato il particolare contesto e la particolare epoca nei quali vive.
“Ho letto molti libri sulle donne che hanno dovuto subire un processo davanti all’Inquisizione e ho letto
le testimonianze straordinarie delle donne che hanno subito la tortura e le parole che hanno pronunciato
sono identiche alle battute di Ines nel film. ‘Ditemi quello che volete che io vi dica, quale è la verità!
implora Ines.
“Capisco anche che il film si sia concesso qualche licenza per quanto riguarda l’inquadramento storico
perché nell’epoca in cui ambientata la nostra storia in realtà il potere dell’Inquisizione si era
notevolmente ridotto. Tuttavia, cose del genere continuavano ad accadere.”
La Portman è rimasta molto colpita e affascinata quando ha scoperto quale fosse la posizione di Goya
nel cuore degli Spagnoli.
“Credo che i dipinti di Goya, soprattutto quelli dell’ultimo periodo, i cosiddetti dipinti neri, riflettano il
carattere stesso della Spagna. Uno dei libri che ho letto per prepararmi al personaggio riportava una
frase che mi è rimasta impressa nella mente per tutta la durata delle riprese: ‘La morte è il santo
patrono della Spagna.’ E credo che sia vero. Basti pensare alla corrida, nel senso che nella cultura
spagnola c’è un qualcosa che è molto vicino alla morte. Quando sei in Spagna senti la morte ovunque e
questo in qualche modo ti fa sentire molto più viva.”
Dopo aver girato nei palazzi reali e ad Ocana, la troupe si è spostata a nord e ha raggiunto la provincia
di Aragona dove si trova il monastero medievale di Veruela per girare le scene ambientate nei corridoi
del potere dell’Inquisizione. Gli esterni della sede dell’Inquisizione sono stati girati nella città
medievale di Salamanca, patria di una delle più antiche università della Spagna e dell’Europa. Queste
due location sono i luoghi in cui vediamo per la prima volta Fratello Lorenzo. Essendo un religioso è
parte integrante dell’istituzione che serve e Bardem ha faticato parecchio per capire cosa esattamente lo
motivi.
“La prima cosa che ho fatto dopo essere stato scelto è stata leggere il maggior numero possibile di libri
su quel periodo e anche parlare e fare domande a persone esperte,” commenta l’attore. “Ho parlato
anche con un paio di preti che naturalmente non hanno vissuto in quell’epoca ma che comunque
avevano una profonda conoscenza e comprensione di quel periodo perché ho pensato che mi avrebbero
aiutato a immaginare che tipo di persona potesse essere Fratello Lorenzo.
“Ma poi visto che si tratta di un film di finzione, ci sono stati momenti in cui ho dovuto dimenticare
tutto ciò che avevo studiato e costruire semplicemente un personaggio. Altrimenti sarei restato troppo
attaccato alla costruzione mentale che mi ero fatto leggendo quei libri e non sarei stato abbastanza
libero per costruire un personaggio tutto mio.
La sfida maggiore per Bardem è stata mettere insieme i due lati opposti che convivono nel personaggio
di Lorenzo.
“Ero molto preoccupato per questo aspetto ma ci sono alcuni tratti psicologici che legano le due parti.
Innanzitutto era fondamentale fare di Lorenzo un essere umano normale, con tutti i suoi desideri, i suoi
obiettivi che il pubblico fosse in grado di capire e condividere. Non volevamo che fosse il “cattivo” ma
diciamo che è semplicemente un uomo che tenta di fare al meglio ciò che gli è stato insegnato in
circostanze molto difficili.
“La cosa più difficile è stata che non abbiamo girato in continuità e quindi un giorno ero il Dottor
Jekyll, il giorno seguente Mr. Hyde, e poi tre ore dopo di nuovo il Dottor Jekyll.”
La natura fittizia della storia e il fatto che fosse basata su fatti reali pur essendo un’opera inventata è
stata la linea guida da seguire per tutta la durata delle riprese per tutti quelli che hanno partecipato alla
produzione.
Una delle funzionarie del Museo del Prado, Carmen Ruiloba, consulente per il film, ha riconosciuto e
convalidato l’interpretazione data da Forman della storia e del modo in cui ha affrontato gli eventi del
passato.
“Milos si è letteralmente immerso nell’opera di Goya e i suoi dipinti lo hanno profondamente ispirato.
Alcuni suoi quadri sono strati addirittura ricostruiti per esigenze di set: L’abolizione dell’Inquisizione;
La Regina Maria Luisa sul Marechal, Scena dell’Inquisizione che si trova all’Accademia reale, e tanti
altri.
“Ma a parte i dipinti, Milos ha preso la sua interpretazione della storia e dei temi di quel periodo e li ha
trasformati nella maniera più artistica possibile. Ha lavorato come un altro grande pittore spagnolo,
Velasquez, il quale nel magnifico dipinto del XVII secolo L’assedio della città di Breda, ha dipinto un
qualcosa che non è mai successo perché con quel dipinto voleva trasmettere quella che era la natura e il
temperamento del generale spagnolo che aveva conquistato la città ma che al contempo aveva trattato
con grande umanità la popolazione soggiogata. E così dipinse il vittorioso generale spagnolo in piedi
davanti al suo cavallo, di fronte all’uomo che aveva sconfitto e che stava abbracciando. E’ una cosa che
non è mai successa, neanche una volta! Il generale spagnolo non sarebbe mai e poi mai sceso da
cavallo in una situazione del genere. Ma Velasquez, con il suo dipinto, voleva mostrare il lato umano, il
buon carattere del generale, il suo concetto di pietà e per questo lo ha dipinto una volta sceso da
cavallo. E la cosa ha funzionato.
“E Milos ha lavorato più o meno allo stesso modo, alcuni dettagli sono stati alterati ma la verità non è
mai stata distorta. Una volta per esempio mi ha chiesto se secondo me, nella scena in cui i soldati
francesi fanno irruzione in una chiesa mentre il prete celebra la messa, se secondo me il prete doveva
continuare a cantare gli inni religiosi mentre veniva colpito o meno. Io gli ho risposto che pensavo di
no ma gli ho anche detto che forse per esprimere esattamente quello che voleva dire sarebbe stata una
soluzione perfetta. Infatti, con quella sequenza voleva mostrare che i Francesi si stavano comportando
da autentici invasori, interrompendo l’ordine naturale delle cose e uccidendo tante persone. Un prete
che continua a cantare mentre viene colpito è un’immagine molto forte e efficace perché serve a
trasmettere la verità, la realtà della situazione.”
La dinamica della regia di Forman, la sua capacità nel riportare in vita in tutta la sua complessità una
sequenza drammatica ambientata circa duecento anni fa, ha ispirato tutti coloro che hanno lavorato al
film.
“Milos è completamente diverso da come me lo aspettavo,” commenta Natalie Portman. “Conoscendo i
suoi film, pensavo che fosse un super intellettuale e in effetti è molto colto e intelligente e se volesse
sono certa che non avrebbe nessun problema a comportarsi come tale. Ma al contrario è piuttosto anti
intellettuale perché ha la tendenza a semplificare le cose senza naturalmente perdere di vista la
precisione dei dettagli. Non segue pedissequamente ciò che è scritto ma ama lasciarsi andare per
arrivare a creare il personaggio che ha immaginato e che quindi è sempre il risultato di quello che ha
nel cuore.”
Anche Javier Bardem è rimasto colpito dalla maniera di lavorare di Forman.
“Forse la cosa più straordinaria è stata scoprire il senso dell’umorismo di Milos che non lo ha mai
abbandonato, per tutta la durata della lavorazione, anche quando le cose si sono complicate. Ogni volta
che ti da un consiglio, è una sorta di benedizione perché conoscendo tutti gli aspetti della recitazione,
quello che dice è sempre vero. Rende il lavoro molto piacevole e godibile ed ogni giorno sul set diventa
un giorno speciale.
“A volte quando mi svegliavo la mattina ero piuttosto sconcertato. Mi dicevo: sono un attore spagnolo
che lavora insieme ad altri attori straordinari in un film diretto da Milos Forman e prodotto da Saul
Zaentz e tratto da una magnifica sceneggiatura scritta da Milos e Jean Claude Carriere.
“Mi sento come se l’esperienza vissuta accanto a questi uomini straordinari su questo film mi avesse
non soltanto aiutato professionalmente ma anche nella vita di tutti i giorni perché le persone con le
quali sono stato in contatto hanno un cuore immenso e sanno esattamente quello che vogliono.
Il senso dell’umorismo di Forman ha avuto un effetto particolare su Stellan Skarsgård. “E’ superfluo
dire che è un magnifico regista ma forse non tutti sanno quanto sia divertente. Tra un ciack e l’altro non
parlavamo di lavoro ma ci sbellicavamo dalle risate perché Milos non faceva altro che prendersi in giro
da solo e questo ha contribuito a creare una fantastica atmosfera sul set che era anche molto creativa.”
Una volta terminate le riprese a Salamanca, la troupe è tornata nella regione di Madrid dove ha girato
prima al Museo del Prado e poi si è recata nella cittadina di Talamanca dove sono state girate le
importanti sequenze della taverna, che si svolgono tutte in momenti diversi del film.
“Sono stato molto fortunato perché Milos desiderava un direttore della fotografia spagnolo per questo
film” commenta Javier Aguirresarobe. “Riteneva che l’universo visivo di Goya sarebbe stato compreso
e reso al meglio da un direttore della fotografia originario dello stesso paese del grande pittore. Per me
è stata una cosa incredibile, un sogno divenuto realtà perché ho avuto l’opportunità di lavorare con uno
dei miei registi preferiti che ammiro dall’epoca dei primi film in Cecoslovacchia.
“Durante le riprese Milos è stato un caro amico per me e ha sempre avuto una grande fiducia in me e in
quello che facevo. Durante la preparazione, gli ho chiesto come avesse immaginato la fotografia del
film e quali erano i riferimenti visivi più importanti che a suo avviso avrebbero potuto aiutarci per
raggiungere il suo obiettivo estetico. Lui mi ha risposto che la cosa che gli interessava di più erano i
colori dei volti degli attori e che il negativo doveva avere una buona esposizione. “Voglio che il nero
sia nero,’ diceva Forman.
“Mi sono reso conto che nello scegliere il trattamento fotografico da adottare avrei dovuto fare
riferimento alle tonalità ottenute dai grandi pittori classici. L’ultimo inquisitore non è certo dominato
da colori sgargianti ma da luci ed espressioni credibili e realistici. Ho cominciato a studiare i grandi
maestri del passato, concentrandomi sull’epoca migliore della pittura spagnola, Ribera, per esempio,
che è uno dei miei preferiti e ho cominciato a fare il pieno di quelle immagini, ad immergermi e ad
appropriarmi dello spirito visivo fatto di luci calde, toni leggeri e caldi e densità scure.”
Il fatto che il film sia stato girato interamente in esterni ha creato delle difficoltà ad Aguirresarobe, non
tanto in termini di luce quanto di logistica.
“Il film è stato interamente girato in ambienti naturali ed esistenti, compresi tanti interni che sono
straordinari ed autentici. Nessuna scena del film, neanche la più piccola, è stata girata in studio. Una
delle difficoltà maggiori insita in questa scelta e che ha riguardato soprattutto i palazzi più belli ed
importanti è stata il fatto che appartengono tutti ai Beni Culturali spagnoli e quindi mentre giravamo in
quei luoghi eravamo costantemente tenuti d’occhio dagli uomini della sovrintendenza che
controllavano che nessuna attrezzatura sfiorasse le mura delle stanze decorate e conservate da più di
250 anni.
“Per risolvere il problema, abbiamo costruito delle strutture che abbiamo nascosto dietro le tende e che
servivano come sostegno per le luci. In questa maniera sono riuscito a creare degli interessanti giochi di
luce in quelle aree che generalmente sono aperte ai turisti.
Secondo Forman, Javier Aguirresarobe ha fatto un lavoro magnifico. “La cosa più buffa è che non
avevamo una lingua in comune,” commenta il regista. “ Lui parla spagnolo e francese ma non inglese e
quindi comunicavamo in francese e la cosa ha funzionato perché lui faceva finta di capire quello che gli
dicevo e poi faceva quello che gli dettava il cuore.”
Dopo Talamanca, la troupe si è installata per due settimane nel paesino di Boadilla del Monte dove
sono state girate due sequenze importanti nel Palazzo Privato del villaggio dove Goya ha dipinto il
famoso ritratto “La contessa di Chinchón”: all’interno sono state girate le scene ambientate nella casa
del ricco mercante Bilbatua e all’esterno, il cortile del palazzo è diventato una parte della famosa Plaza
Major di Madrid dove nel momento culminante del film ci sarà un’esecuzione.
Il Palazzo di Boadilla era in uno stato di quasi abbandono da anni quando i produttori lo hanno scelto
per il film. “Plaza Mayor a Madrid è uno spazio magnifico che potrebbe contenere fino a 15.000
persone,” commenta Von Brandenstein. “Per questo motivo abbiamo dovuto cercare un’altra piazza per
ambientare la nostra scena. All’inizio avevamo pensato alla Plaza Mayor di Salamanca, dove abbiamo
girato altre scene. Ma chiudere la piazza e risarcire tutti i negozianti per i mancati guadagni dovuti alla
chiusura, ci sarebbe costato tanto quanto costruire una Plaza Mayor tutta nostra.
“Milos è un regista di grande esperienza e quando ha visto il terreno antistante il Palazzo Boadilla, ha
capito subito che avremmo potuto trasformarlo nella Plaza Mayor del 1809. L’architettura di base del
Palazzo corrispondeva allo stile e alle dimensioni della Plaza Mayor di Madrid dell’epoca. Milos ha
capito che sarebbe stato possibile aggiungere il necessario alle strutture esistenti, costruire dei
prolungamenti agli angoli davanti al palazzo per circoscrivere un’area che avrebbe dato la sensazione
di una piazza.
“Abbiamo contattato il Patrimonio Nacional e gli abbiamo detto che avevamo intenzione di rifare la
parte anteriore del palazzo ed hanno accettato. Abbiamo lavorato con una società del luogo e i risultati
sono meravigliosi. Poi siamo passati all’interno e abbiamo rifatto gli interni della casa della famiglia
Bilbatua, ricreando il mondo della fine del XVIII secolo con i tessuti dell’epoca, le riproduzioni dei
quadri di Goya, le opere in marmo, le opere in muratura e la carta da parati elaborata.
“Abbiamo anche ingaggiato due giovani pittori, Colt Hausman e Rudy, che lavoravano nel reparto
scenografie, affinché realizzassero degli affreschi sul soffitto della scala copiando gli affreschi dipinti
sui soffitti di diverse cappelle spagnole. E’ stato un progetto meraviglioso e siamo stati più che
soddisfatti della qualità degli artisti e degli artigiani spagnoli che hanno collaborato con noi.”
Le scene girate all’interno del palazzo di Boadilla sono quelle di Ines e della sua famiglia dopo che è
stata convocata dall’Inquisizione e la scena della cena formale e carica di tensione alla quale
partecipano anche Goya e Lorenzo e durante la quale la famiglia tenta di capire cosa sia successo e
dove sia la loro figlia.
In queste scene, i costumi e gli arredi riflettono il mondo elegante nel quale viveva la famiglia Bilbatua.
La costumista premiata con l’Oscar Yvonne Blake, un’artista creativa e di grande successo, ha seguito i
consigli di Forman per la creazione dei costumi.
“Volevo assolutamente fare la cosa giusta, e questo voleva dire, secondo l’approccio adottato da Milos,
studiare l’opera di Goya perché è tutto lì. Nei dipinti di Goya c’era tutto quello di cui avevo bisogno e
non ho dovuto guardare oltre.
“Qualche anno fa, ho disegnato i costumi per l’opera di Rossini, Il barbiere di Siviglia e in
quell’occasione ho deciso di adottare uno stile alla Goya perché ho sempre amato i costumi che
ritraeva. Adoro la maniera in cui tratta i colori e i tessuti nei suoi dipinti e io ho cercato di ricrearli per
questo film. Ma forse direi che ho fatto qualcosa in più che ricrearli perché in certi casi si è trattato
proprio di un lavoro di copiatura. Posso dire che alla fine il 50% viene dai quadri e il 50% è una mia
creazione. Il costume della Regina per esempio è una copia fedele ed esatta.
“Altri costumi invece sono un mix. C’è un quadro di Goya che raffigura un ministro, Juan Antonio
Llorente, che risale al 1810 e che ha colpito moltissimo Milos che lo ha scelto per immaginare
Lorenzo.”
“Per i due personaggi di finzione interpretati da Natalie, Ines e Alicia, ho creato tutti i costumi da zero
e ho cercato di inventare sulla base di quello che pensavo avrebbe fatto Goya.
Tutti i personaggi subiscono enormi cambiamenti nelle loro vita e naturalmente tutto questo deve
riflettersi anche nei costumi. I cambiamenti che riguardano Ines sono più che radicali: all’inizio del
film è una ragazza ricca, elegante e ben vestita e alla fine è ridotta in stracci. Nei panni di Alicia,
Natalie indossa solo un costume, molto spagnolo peraltro, che fa di lei una ragazza spagnola che vende
i suoi favori.
“Anche Goya, all’inizio del film, indossa abiti eleganti e sembra un damerino. Successivamente, dopo
che si è ammalato ed è diventato sordo, smette di prestare attenzione agli abiti e al suo aspetto fisico e
volevo che tutto questo trasparisse dai costumi.
“Milos ed io abbiamo discusso delle due parti del film, perché è così che possiamo definirle visto che
c’è un intervallo di sedici anni nella storia. Ho suggerito di usare in linea di massima, dei colori più
ricchi nella prima parte mentre per la seconda parte, quando la storia si fa più cupa, abbiamo optato per
un tono più sobrio, più pacato, togliendo addirittura totalmente dei colori.” Forman si sente
profondamente in debito con i suoi collaboratori. “I costumi sono magnifici perché sembrano usciti
direttamente dai dipinti di Goya ma in realtà non si tratta di costumi. Sono abiti che la gente indossa e
sono reali. Lo stesso dicasi per i set. Abbiamo costruito alcuni set all’interno di veri palazzi antichi, di
veri castelli e abbiamo addirittura girato in una stanza che un tempo era l’ufficio del Generale Franco.
Ma è impossibile distinguere gli ambienti veri da quelli ricostruiti per il film perché è tutto come era
allora e Goya si sarebbe sentito a suo agio in questi ambienti.” Dopo aver girato le scene all’interno
della residenza dei Bilbatua e quella dell’esecuzione pubblica di un presunto eretico, in un ultimo
impeto di auto-de-fe, nella Plaza Mayor ricostruita per il film, le riprese si sono concluse il 9 dicembre
2005,
dopo
14
settimane
di
lavorazione.
Francisco de Goya
Francisco de Goya occupa un posto speciale nei cuori e nelle menti degli Spagnoli. E’ un eroe
culturale, riverito come un padre della patria, un pittore che ha svolto un ruolo centrale nella storia
dell’arte e che è riuscito a parlare alle anime e ai cuori della gente come nessuno ha mai fatto né prima
né dopo di lui. Francisco de Goya y Lucientes (1746-1828) è nato a Fuendetodos ma è cresciuto a
Zaragoza. A 14 anni entrò come apprendista presso lo studio di Jose Luzan, un artista amico di suo
padre. Dopo un viaggio in Italia, sposò la figlia di un artista della corte spagnola e l’anno successivo,
nel 1774 ricevette il primo incarico reale: dipingere una scena di vita quotidiana da utilizzare poi per
tessere delle tappezzerie. Nel 1799, venne nominato primo pittore di corte, la più alta carica alla quale
potesse ambire.
I primi ritratti di Goya riflettono le ambientazioni aeree e i colori pastello dei suoi disegni per le opere
di tappezzeria. Tra i soggetti preferiti figurano Re Carlo IV e Re Ferdinando VI e i soggetti dei suoi
dipinti spaziano dai festival alla corte reale, passando per le cronache storiche dell’epoca, che
consistono nella serie di 80 stampe intitolate Los Caprichios.
Invecchiando, e dopo aver perso l’udito, i soggetti dei dipinti di Goya cambiarono radicalmente,
diventando più bui, spaventosi e oscuri e cominciarono ad avere come temi la pazzia, la follia e la
fantasia. Lo stile dei cosiddetti “Dipinti Neri” prefigura il movimento artistico espressionista e
possiamo anche affermare che alcune delle sue opere degli inizi invece hanno avuto una grande
influenza sul pittore francese Eduoard Manet.
Alcuni dei dipinti più importanti e famosi di Goya ritraggono l’invasione della Spagna da parte
dell’esercito di Napoleone e descrivono in dettagli vividi e precisi in disastri della guerra.
Goya trascorse gran parte della sua vita adulta a Madrid e dopo che i Francesi vennero cacciati dalla
Spagna, ormai cieco e sordo, morì in una sorta di esilio auto-imposto a Bordeaux.
Robert Hughes, nella sua monumentale biografia su Goya, afferma che nessuno prima di lui nell’intera
storia dell’arte “si fosse neanche minimamente avvicinato a ciò che ha raggiunto Goya con Desastres
de la Guerra, quelle stampe commoventi e dolorose nelle quali l’artista ci ha mostrato le inenarrabili
sventure degli Spagnoli ribellatisi a Napoleone e proprio con quelle stampe Goya è diventato il primo
reporter di guerra.” Hughes definisce Goya un maestro nell’arte di dipingere “il dolore, l’oltraggio e
l’insulto al corpo.” “Ma al contempo, era anche un maestro che celebrava i piaceri. Come tutti sanno,
amava tutto ciò che era sensuale: l’odore di un’arancia sbucciata; la zaffata del tabacco e il retrogusto
del vino; i ritmi avvincenti della musica di strada; il gioco di luce sul taffettà o sulla seta; la luce del
tramonto in una calda sera estiva il bagliore di un magnifico e ben fatto calcio di fucile in noce.”
Il critico d’arte del New York Times Michael Kimmelman è più che consapevole dell’importanza di
Goya e della sua arte per la nostra epoca. “E’ un uomo dei nostri tempi, un grande e inflessibile artista
satirico che criticava tutto ciò che era irrazionale e assurdo sia nella vita sia nella politica,” scrive
Kimmelman.
L’Inquisizione Spagnola
L’istituzione europea dell’Inquisizione, fondata nel XIII secolo, era essenzialmente un’agenzia
medievale della Chiesa Cattolica la cui missione era combattere contro l’eresia, che si riteneva in
ascesa in quel periodo. La sua ufficializzazione avvenne nel 1231 quando Papa Gregorio IX nominò
una commissione di dominicani affinché facessero indagini sull’eresia in Francia. La punizione per
coloro che erano accusati di eresia era la morte sul rogo. Alla fine l’istituto dell’Inquisizione divenne
uno strumento di manipolazioni politiche nelle mani di chi era al governo e della chiesa, desiderosa di
mantenere e accrescere il proprio potere.
Fondata in Spagna nel 1478 dal Re Ferdinando V e dalla Regina Isabella, l’Inquisizione divenne una
branca del governo spagnolo separata da qualunque istituzione papale. La prima missione
dell’Inquisizione in Spagna fu un’indagine sugli Ebrei e sui Mori che avevano pubblicamente
abbracciato il cristianesimo ma che secondo alcuni, in gran segreto, celebravano ancora i riti delle loro
“vecchie” religioni. Nel 1481 Ferdinando e Isabella nominarono Tomas de Torquemada, Grande
Inquisitore. Sotto di lui, l’Inquisizione Spagnola divenne un’autentica agenzia del terrore, e i ministri
del clero in servizio presso l’Inquisizione venivano assistiti nel loro lavoro da civili chiamati
“Familiares” (o famigli), una posizione di grande prestigio. Nel corso degli anni, l’Inquisizione praticò
spesso la tortura contro coloro che erano accusati di eresia affinché si pentissero. Le pene inflitte
andavano dalla gogna pubblica (che prevedeva che il condannato indossasse il Sambenito, una veste
medievale fatta con la tela di sacco) fino al rogo (da vivi o da morti) passando per lo strangolamento.
Le pene venivano comminate in cerimonie pubbliche chiamate auto-de-fe che a volte durava un’intera
giornata. Alla fine del XVIII secolo, l’Inquisizione si scagliò contro i sostenitori delle idee moderne
propugnate dalla Rivoluzione Francese che cominciavano a diffondersi anche in Spagna. All’inizio del
XIX secolo, tuttavia, il potere dell’Inquisizione era in netto declino e dopo tanti disordini e sollevazioni
popolari,
l’Inquisizione
spagnola
fu
ufficialmente
abolita
nel
1820.
Gli attori
JAVIER BARDEM (Fratello Lorenzo) ha vinto il premio come Migliore Attore al Festival di Venezia
del 2004, un premio Goya (l’equivalente spagnolo dell’Oscar), e ha ottenuto una candidatura al Golden
Globe per l’interpretazione del film di Alejandro Amenabar Il mare dentro.
Nel 2000, Bardem era stato candidato al premio come Migliore Attore al Festival di Venezia per
l’interpretazione del poeta cubano dissidente Reinaldo Arenas nel film diretto da Julian Schnabel Prima
che sia notte. L’interpretazione gli era valsa anche il premio della National Society of Film Critics, il
premio Independent Spirit e quello del National Board of Review, oltre alle candidature all’Oscar e al
Golden Globe. Tra i film più recenti di Bardem ricordiamo il debutto alla regia di John Malkovich
Danza di sangue, I lunedì al sole di Fernando Leon de Aranoa candidato al premio per il Miglior Film
al Festival di San Sebastian e il film diretto da Michael Mann Collateral. Javier Bardem è nato il 1
marzo, 1969 a Las Palmas Gran Canarias (Isole Canarie). Sua madre è Pilar Bardem, una stimata
attrice che ha iniziato la carriera negli anni 60 e suo zio era Juan Antonio Bardem, uno dei più famosi
registi spagnoli, imprigionato dal regime di Franco quando il suo film Gli egoisti vinse il premio della
Critica a Cannes. Tanti altri membri della famiglia Bardem sono famosi attori tra i quali citiamo il
nonno, Rafael Bardem e la nonna Matilde Muñoz Sampedro.
I genitori di Javier si sono separati quando lui aveva appena due anni e ne aveva solo quattro quando la
madre gli trovò un piccolo ruolo nella mini serie spagnola El Picasso. Da ragazzo, Bardem ha studiato
pittura alla Escuela de Arte Y Officios e al contempo ha continuato ad interpretare piccole parti alla
televisione. All’inizio degli anni 90, il regista spagnolo Bigas Luna gli ha offerto un ruolo in Le età di
Lulù che ha segnato l’inizio ufficiale della sua gloriosa carriera.
Dopo una piccola parte nel film di Pedro Almodovar Tacchi a spillo, Bardem si è imposto
all’attenzione di critica e pubblico con il ruolo del protagonista, accanto a Penelope Cruz del film
Prosciutto, prosciutto per il quale è stato candidato al premio come Migliore Attore al Festival di San
Sebastian e ha vinto numerosi premi. L’immensa popolarità scaturita da quel ruolo ha minacciato però
di relegarlo in ruoli di quel tipo e proprio per evitarlo l’attore da allora si è distinto proprio per la
diversità dei ruoli che ha interpretato.
Tra gli altri suoi film ricordiamo i film diretti da Bigas Luna Uova d’oro, La teta y la luna, Tra le
gambe, Dias Contados (Premio come Migliore Attore al Festival di San Sebastian), Boca a Boca,
Ecstasis, il film di Almodovar Carne tremula, Perdita Durango, Los Lobos de Washington e Seconda
pelle. Attualmente è impegnato nelle riprese dei film dei fratelli Coen, adattamento del romanzo di
Cormac McCarthy No Country for Old Men.
NATALIE PORTMAN (Ines/ Alicia), è un’attrice che porta ad ogni personaggio che interpreta una
bellezza senza tempo, una grazia infinita ed un approccio disarmante e proprio per queste sue qualità è
considerata oggi una delle giovani attrici più richieste e stimate di Hollywood.
Di recente la Portman ha interpretato il film dei fratelli Wachowski V per Vendetta per la Warner Bros,
prodotto da Joel Silver e diretto da James McTeigue. Un altro film recente è l’israeliano Free Zone,
diretto da Amos Gitai, girato tra Israele e la Giordania e che racconta la storia dell’improbabile
relazione tra due donne trovatesi insieme per caso quando una delle due (interpretata dalla Portman)
salta su un taxi guidato dall’altra. Il film ha partecipato in concorso al Festival di Cannes del 2005. La
Portman ha interpretato il capitolo finale della seconda saga di George Lucas Guerre Stellari: Episodio
III – La vendetta dei Sith con Hayden Christensen e Ewan McGregor dopo aver interpretato Guerre
Stellari: Episodio II – L’attacco dei cloni, e il primo e fortunato capitolo della trilogia, Episodio 1 – La
minaccia fantasma. La trilogia, che è una sorta di “prequel” alla trilogia originale di Lucas che risaliva
agli anni 70 e 80, è tra i film che hanno incassato di più nella storia del cinema. Natalie Portman ha
vinto un Golden Globe come Attrice non Protagonista e ha ottenuto una candidatura all’Oscar per
l’interpretazione del film diretto da Mike Nichols, adattamento dello spettacolo teatrale di Patrick
Marber, Closer per la Columbia Pictures. Lo stesso ruolo le è valso le candidature ai premi del London
Film Critich, dell’ Online Film Critics e del Critics' Choice Awards. Per lo stesso ruolo è stata
nominata Migliore Attrice Non Protagonista dal San Diego Film Critics. La Portman ha ottenuto
critiche entusiastiche anche per l’interpretazione del film diretto da Zach Braff Garden State. Nel 1994,
Natalie Portman era balzata all’attenzione di pubblico e critica per l’interpretazione del film di Luc
Besson Leon, successo confermato e accresciuto in seguito dall’interpretazione del film della Miramax,
Beautiful Girls, diretto da Ted Demme e interpretato anche da Timothy Hutton, Uma Thurman, Rosie
O'Donnell, e Matt Dillon. Tra gli altri suoi film ricordiamo il film acclamato dalla critica e dal
pubblico, diretto da Anthony Minghella e candidato all’Oscar Ritorno a Cold Mountain, con Jude Law,
Nicole Kidman e Renee Zellweger; il film di Matt Williams Qui dove batte il cuore, con Ashley Judd;
il film diretto da Wayne Wang La mia adorabile nemica, con Susan Sarandon (che le è valso una
candidatura al Golden Globe come Migliore Attrice non protagonista), il musical di Woody Allen
Everybody Says I Love You con Julia Roberts, Goldie Hawn, Alan Alda e Drew Barrymore; il
cortometraggio di Tom Tykwer,True, parte di un film a episodi intitolato Paris je t'aime; la black
comedy di Tim Burton Mars Attacks! con Jack Nicholson e Glenn Close; e il film diretto da Michael
Mann Heat con Al Pacino, Robert DeNiro e Val Kilmer. La Portman aveva già lavorato con Mike
Nichols interpretando Nina nell’allestimento della Shakespeare in the Park, dell’opera di Anton
Chekhov Il gabbiano con Meryl Streep, Kevin Kline, e Philip Seymour Hoffman per il New York
Shakespeare Festival. Nella stagione 1997-1998 a Broadway, la Portman è stata la protagonista di Il
diario di Anna Frank, ed è stata osannata da USA TODAY che ha definito la sua "un’interpretazione
che lascia il segno”. Diretto da James Lapine, l’allestimento ha offerto al pubblico una nuova
interpretazione che prevedeva l’inserimento di nuovo materiale preso dall’ultima e definitiva edizione
dei Diari di Anna Frank pubblicata nel 1995. La Portman sarà tra breve sugli schermi nel film Mr.
Magorium's Wonder Emporium, scritto e diretto da Zach Helm (al suo debutto dietro la macchina da
presa) e nel nuovo film del regista cinese Wong Kar-Wai.
STELLAN SKARSGÅRD (Goya), attore svedese di cinema, teatro e televisione ha fatto la sua prima
incursione in America nel 1988 nella film prodotto da Saul Zaentz L’insostenibile leggerezza
dell’essere. Nel 1990, Skarsgård ha interpretato Caccia all’Ottobre Rosso ma è stato il film di Lars Von
Trier del 1995, Le onde del destino, nel quale Skarsgård recitava accanto a Emily Watson, a
consacrarlo star internazionale. Stellan Skarsgård è nato a Gothenberg, Svezia, e ha cominciato ad
attirare l’attenzione dei suoi connazionali interpretando una serie televisiva svedese. Dal 1972 al 1988,
Skarsgård si è esibito al Royal Dramatic Theatre di Stoccolma dove ha interpretato tra gli altri i lavori
di August Stringberg e di tanti altri drammaturghi classici. La carriera cinematografica di Skarsgård è
iniziata negli anni 80 quando ha vinto l’equivalente svedese dell’Oscar e un Orso d’Argento al Festival
di Berlino per l’interpretazione del film svedese The Simple Minded Murder. Inoltre è stato il
protagonista del film svedese candidato all’Oscar nel 1991, Oxen, diretto dal famoso regista Sven
Nykvist. Tra gli altri suoi film ricordiamo Will Hunting, Genio Ribelle di Gus Van Sant, il film diretto
da Steven Spielberg’s Amistad, oltre a Insomnia, Ronin, Aberdeen, Prigione di vetro, Dogville, Dancer
in The Dark e Mandalay di Lars Von Trier oltre a Deep Blue Sea, The Exorcist: the Beginning, King
Arthur e Beowulf and Grendel. Di recente lo abbiamo visto sugli schermi nel secondo capitolo della
saga diretta da Gore Verbinski, Pirati dei Caraibi 2 con Johnny Depp, Orlando Bloom e Keira
Knightley e ha terminato le riprese di Pirati dei Carabi 3.
Passando al piccolo schermo ricordiamo i film Helen of Troy, Harlan County War e Parker Kane.
Stellan Skarsgård è padre di sei figli due dei quali, Alexander e Gustave, stanno seguendo le sue orme e
fanno gli attori.
RANDY QUAID (Re Carlos) è entrato nel cuore di tutti gli americani dopo aver interpretato il film di
Hal Ashby, L’ultima corvée che gli è valso le candidature all’Oscar, al BAFTA e al Golden Globe. Nel
2005, Quaid ha interpretato due film, Brokeback Mountains, di Ang Lee e il film diretto da Harold
RamisThe Ice Harvest, oltre a due mini serie televisive, Elvis, e Category 7: The End of the World.
Quaid è stato diretto cinque volte da Peter Bogdanovich nei film Bersagli, L’ultimo spettacolo,
Texasville, Ma papà ti manda sola? e Paper Moon. Tra gli altri suoi film ricordiamo The
Apprenticeship of Duddy Kravitz di Ted Kotcheff; il film diretto da Arthur Penn Missouri, Questa terra
è la mia terra di Hal Ashby, Fuga di mezzanotte di Alan Parker; I cavalieri dalle lunghe ombre di
Walter Hill; Follia d’amore di Robert Altman (adattato da Sam Shepard), Parents di Bob Balaban (per
il quale ha ottenuto una candidatura al premio Independent Spirit Award), Giorni di tuono di Tony
Scott; Scappiamo col malloppo di Howard Franklin e Bill Murray, Cronisti d’assalto di Ron Howard;
Independence Day di Roland Emmerich; Kingpin dei fratelli Farrelly; Pioggia infernale di Mikael
Solomon; Vacation di Harold Ramis.
Passando al piccolo schermo, ricordiamo la recente interpretazione premiata con l’Emmy del
Colonnello Tom Parker nella miniserie diretta da James Sadwith Elvis. Inoltre ha vinto un Globe
Award per l’interpretazione di Lyndon Baines Johnson nel film di Peter Werner LBJ: The Early Years,
che gli è valso anche una candidatura all’Emmy. In precedenza era già stato candidato all’Emmy per
l’interpretazione del telefilm di John Erman, Un tram chiamato desiderio, tratto dal lavoro di Tennessee
Williams. Quaid ha anche interpretato uno degli episodi della serie antologica Gun, che lo ha portato a
lavorare nuovamente per Robert Altman e, restando nel campo delle miniserie, ricordiamo anche quella
diretta da Joseph Sargent Streets of Laredo.
Infine, per quanto riguarda il teatro, ricordiamo diversi lavori di Sam Shepard, tra i quali True West e
The God of Hell.
MICHAEL LONSDALE (Il Grande Inquisitore), lo stimato e famoso attore parigino che si divide tra
cinema americano ed europeo, è conosciuto dal pubblico cinematografico per l’interpretazione del
super cattivo Sir Hugo Drax nel film della serie James Bond Moonraker (1979). Di recente, lo abbiamo
visto nel film diretto da Steven Spielberg Munich.
La carriera cinematografica di Lonsdale è lunga e ricca di titoli importanti tra i quali ricordiamo due
film di Francois Truffaut La sposa in nero e Baci rubati, Soffio al cuore di Louis Malle; Il fantasma
della libertà di Luis Bunuel; Il giorno dello sciacallo di Fred Zinnemann; Monsieur Klein di Joseph
Losey; Jefferson in Paris e Schiavi di New York di James Ivory; Quel che resta del giorno di James
Ivory e Il nome della rosa di Jean-Jacques Annaud.
Ricordiamo anche numerosi altri titoli: Galileo, Whistle Down the Wind, Enigma, Wall Street,
Prigioniero del soldato, Stavisky, il grande truffatore, The Holcroft Chronicle, A Return to Salem’s
Lot, Fatal Instinct, Hudson Hawk-Il mago del furto, Nelly e Monsieur Annaud, Species, Galline in
fuga, Ronin, 5 x 2 solo per citarne alcuni. La carriera televisiva francese di Lonsdale è altrettanto lunga
e ricca e comprende le produzione di classici di Moliere o del commediografo americano Edward
Albee. Passando alla televisione inglese, ricordiamo l’interpretazione accanto a Sir Alec Guiness della
miniserie
Smiley’s
People,
basata
su
un
romanzo
di
John
Le
Carre.
JOSE LUIS GOMEZ (Bilbatua) è uno dei più stimati attori/registi spagnoli con alle spalle una lunga
esperienza cinematografica, televisiva e teatrale nella nativa Spagna.
Gomez è nato a Huelva, nel sud della Spagna e da ragazzo ha lasciato il suo paese per andare a studiare
alla Scuola di Arte Drammatica di Westphalia prima e con Jacques Lecoq a Parigi poi. Dopo aver
terminato gli studi, Gomez ha interpretato i classici del teatro tra i quali opere di Aristophanes, Kafka e
Brecht nei teatri polacchi, tedeschi e brasiliani. Dopo la morte di Francisco Franco, Gomez è tornato in
Spagna dove è stato per diverse stagioni il direttore del Centro Dramatico National e del Teatro
Espanol, due delle più prestigiose istituzioni teatrali del paese. Nel 1975, Gomez è stato il protagonista
del film di Ricardo Franco Pascual Duarte, con il quale ha vinto un premio al Festival di Cannes. Tra
gli altri suoi film ricordiamo anche Parranda e Remando al viento di Gonzalo Suarez; i film diretti da
Carlos Saura Gli occhi bendati e El septimo dia; Les routes du Sud di Joseph Losey, Lights and
Shadows di Jaime Camino; Beltenebrosos di Pilar Miro (Premio Goya), Ants in the Mouth di Mariano
Barroso e tanti altri. Nel 1990, Gomez ha diretto Life is a Dream di Calderon de la Barca messa in
scena al teatro Odéon di Parigi e ha diretto una versione teatrale dell’opera di Bizet Carmen all’Opéra
Bastille di Parigi. Nel 1994, Gomez ha fondato il Teatro de la Abadia dove ha portato in scena
numerosi grandi classici del teatro e dove forma nuove generazioni di artisti.
Jose Luis Gomez ha ricevuto la Croce del cavalierato tedesco ed è stato nominato Cavaliere delle Arti e
della Letteratura dal Governo Francese. Ha vinto il suo terzo premio Goya con l’interpretazione del
film diretto da Miguel Hermoso The Prodigious Light.
MABEL RIVERA (Maria Isabella Bilbatua) è conosciuta al pubblico americano per il ruolo
interpretato nel film diretto da Alejandro Amenabar Il mare dentro, accanto a Javier Bardem. Tra gli
altri suoi film ricordiamo anche Hotel Tivoli, oltre a numerosi film e serie per la televisione spagnola.
I realizzatori
MILOS FORMAN (Regista/sceneggiatore), premiato due volte con l’Oscar per la Regia per i film
Qualcuno volò sul nido del cuculo e Amadeus, ha gestito la sua carriera cercando di combinare ed
assimilare il meglio della tradizione cinematografica europea e americana.
E’ uno dei pochi registi stranieri ad aver ottenuto il successo internazionale senza restare intrappolato
in un genere o in un paese e i suoi film sono un tributo all’individualismo e si concentrano sui
comportamenti dei singoli. Tre grandi attori hanno vinto l’Oscar sotto la sua regia: Jack Nicholson e
Louise Fletcher per Qualcuno volò sul nido del cuculo e F. Murray Abraham per Amadeus.
Nel 1996, Forman ha ottenuto la terza candidatura all’Oscar per Larry Flynt: Oltre lo scandalo, che è
valso al protagonista, Woody Harrelson una candidatura all’Oscar come Migliore Attore.
Minore di tre fratelli, Forman è nato a Caslav, Cecoslovacchia, una città a 80 chilometri da Praga.
Quando aveva nove anni i suoi genitori vennero arrestati dalla Gestapo e successivamente morirono in
un campo di concentramento nazista e Milos insieme ai suoi fratelli venne educato da alcuni parenti. Il
suo interesse per il teatro nacque all’epoca quando frequentava il collegio per orfani di guerra e
all’epoca fu letteralmente conquistato dalle commedie di Charlie Chaplin e Buster Keaton e dai film
western di John Ford. Forman si iscrisse all’Università di Praga, frequentando la facoltà di Cinema
dove studiò con Ivan Passer. Dopo la laurea, scrisse la sua prima sceneggiatura e realizzò due
documentari corti e nel 1963 diresse il suo primo lungometraggio, un racconto autobiografico che
parlava di un adolescente cresciuto in una cittadina cecoslovacca e intitolato L’asso di picche. Il film
riscosse un grande successo a diversi festival internazionali tra i quali Cannes, Montreal e New York e
portò Forman in America per la prima volta. I suoi due film successivi, Gli amori di una bionda (1965)
e Al fuoco, pompieri! (1967) gli valsero ulteriori successi e riconoscimenti e quando i carri armati
sovietici invasero la città di Praga, Forman era a Parigi per discutere le condizioni del suo primo film
americano. Tornò a Praga per un breve periodo e poi si trasferì a New York per realizzare Taking Off
che venne scelto per rappresentare l’America al Festival di Cannes del 1971 Cannes dove vinse il
Premio della Giuria. Successivamente partecipò alla realizzazione del documentario collettivo sulle
olimpiadi di Monaco del 1972, Visions of Eight, dirigendo il segmento dedicato al decathlon.
Nel 1973, i produttori Michael Douglas e Saul Zaentz diedero al regista una copia del romanzo di Ken
Kesey Qualcuno volò sul nido del cuculo e gli chiesero se fosse interessato a dirigere l’adattamento
cinematografico. Il risultato fu un film vincitore di cinque Premi Oscar: miglior film, migliore
sceneggiatura, migliore attore, migliore attrice e miglior regista per Forman. Dopo il grande successo
del film, Forman diresse la versione cinematografica del musical di grande successo Hair (1979) e poi
convinse James Cagney ad abbandonare l’autopensionamente scegliendolo tra gli interpreti della
versione cinematografica del romanzo di E. L. Doctorow Ragtime. Otto anni dopo Qualcuno volò sul
nido del cuculo, Forman è tornato a lavorare con il produttore Saul Zaentz ed è tornato nella sua patria,
la Cecoslovacchia per realizzare Amadeus (1984). Anche in quell’occasione, Forman vinse l’Oscar
come Miglior Regista mentre il film ne vinse otto, tra i quali quello come Migliore Film.
Successivamente Forman ha diretto Valmont (1989) con Annette Bening e Colin Firth, Larry Flynt :
Oltre lo scandalo (1996), e Man in the Moon (1999) che raccontava le vicende del comico Andy
Kaufman interpretato da Jim Carrey. L’ultimo inquisitore è la terza collaborazione tra Forman e il
produttore
Saul
Zaentz.
SAUL ZAENTZ (Produttore), è stato definito dal The New York Times come l’ultimo grande
produttore indipendente, mentre Variety gli ha dedicato un ritratto che fa di lui praticamente il simbolo,
l’emblema stesso del produttore indipendente. Le produzione dei suoi film tendono ad essere imprese
epiche in termini di complessità e dimensioni, il suo coinvolgimento nella produzione va dall’acquisto
dei diritti cinematografici relativamente al materiale di partenza, alle visite quotidiane sul set durante le
riprese, fino al ruolo più che attivo nel montaggio, nel marketing e nella distribuzione.
Nel 1975, il primo grande sforzo produttivo di Zaentz, Qualcuno volò sul nido del cuculo, diretto da
Milos Forman e interpretato da Jack Nicholson, portò a casa cinque statuette agli Oscar compresa
quella per il Miglior Film. Successivamente, Zaentz ha prodotto Three Warriors nel 1977 e il film di
animazione Il Signore degli Anelli nel 1978. Nel 1984, Amadeus, la sua seconda collaborazione con
Forman, ha vinto otto premi Oscar, tra i quali quelli per il Miglior Film, Miglior Regista e Migliore
Attore. Nel 1986, Zaentz è stato il produttore esecutivo di The Mosquito Coast, e nel 1988 ha prodotto
L’insostenibile leggerezza dell’essere. Ispirato al romanzo di Milan Kundera, diretto da Philip
Kaufman, e interpretato da Daniel Day-Lewis, Juliette Binoche e Lena Olin, il film venne accolto in
modo molto positivo dalla critica e dal pubblico e ottenne tre candidature all’Oscar e fu seguito nel
1991 da Giocando nei campi del Signore. Nel 1996, Il paziente inglese, da lui prodotto e diretto da
Anthony Minghella, ha fatto il pieno di statuette, portando a casa nove premi Oscar tra i quali quello
come Miglior Film e Miglior Regia. Alla cerimonia degli Oscar Saul Zaentz ha ricevuto anche il
prestigioso premio Irving G. Thalberg Memorial per la Carriera. Saul Zaentz è nato nel New Jersey da
genitori russi e polacchi. Durante l’infanzia, era consumato da diverse passioni che continua a coltivare
anche oggi e che comprendono la lettura, la musica, lo sport, il teatro e il cinema. Inoltre ha sviluppato
una vera predilezione per le scommesse calcolate, e questa è stata un po’ la caratteristica principale
della sua carriera di produttore. Nel 1948, dopo aver servito nell’esercito durante la Seconda Guerra
Mondiale, Zaentz si trasferì a San Francisco dove cominciò a lavorare nel settore della distribuzione
discografica. Tornò sulla costa est per un solo anno, nel 1954 dove lavorò per un impresario musicale,
Norman Granz presso la sua casa discografica di musica jazz occupandosi anche delle tournée dei
musicisti e questo lo portò a contatto con artisti quali Duke Ellington, Dave Brubeck, Gerry Mulligan e
Stan Getz. Nel 1955 Zaentz tornò a San Francisco ed entrò alla Fantasy Records, la prima casa
discografica di Dave Brubeck, Lenny Bruce e Creedence Clearwater Revival. Il primo grande successo
della Fantasy fu il disco di Vince Guaraldi, Cast Your Fate to the Wind. Nel 1967, Saul Zaentz insieme
ad un gruppo di investitori acquistò la società che nel 1968 riscosse un enorme successo incidendo
l’album della band Creedence Clearwater Revival e diventando nel corso degli anni la più importante
casa discografica di musica jazz del mondo.
Nel 2004 la Fantasy è stata venduta alla Concord Records. Lo stabilimento che ospitava le attrezzature
per il montaggio, compreso quello sonoro della società di produzione di Zaents, la Saul Zaentz Film
Company, dove erano stati montati film e documentari quali (oltre a quelli prodotti da Zaentz), Uomini
veri, Mai gridare al lupo, Il bacio della donna ragno, Velluto blu, L’attimo fuggente, Ed Wood, Da
morire, Seven, L’incredibile volo, Il talento di Mr. Ripley, Scoprendo Forrester, Ghost World, e dove
era stato fatto il remissaggio di Il Padrino I, II e III, Boogie Nights: L’altra Hollywood e The Singing
Detective, è stato chiuso per problemi economici. La realizzazione in Spagna di L’ultimo inquisitore
segna la continuazione e il rafforzamento dell’amicizia e della collaborazione tra Zaentz e Milos
Forman.
JEAN-CLAUDE CARRIERE (Sceneggiatore), prolifico, famoso e stimatissimo sceneggiatore e autore
di teatro francese, è forse famoso soprattutto per la ventennale collaborazione con il regista Luis
Bunuel con il quale ha collaborato per la realizzazione di grandi classici quali Il diario di una
cameriera, Bella di giorno, Il fascino discreto della borghesia, Quell’oscuro oggetto del desiderio e Il
fantasma della libertà. Oltre che con Bunuel, Carriere ha collaborato spesso anche con Milos Forman,
Jacques Deray, Volker Schlondorff, Louis Malle, Andrzej Wadja e Peter Brook. Figlio di un agricoltore
nato e cresciuto in un paesino della Francia, Carriere si trasferì a Parigi durante la Seconda Guerra
Mondiale per continuare gli studi universitari. Alla fine degli anni 50 aveva già pubblicato il suo primo
romanzo e aveva cominciato la carriera cinematografica scrivendo le sceneggiature dei film di Jacques
Tati. Carriere è stato il co-sceneggiatore e il produttore di cortometraggi tra i quali quello premiato con
l’Oscar nel 1962, Happy Anniversary che data prima dell’inizio della sua collaborazione con Bunuel.
Dopo la morte di Bunuel, Carriere ha iniziato un altro sodalizio con Peter Brook con il quale ha
collaborato alla realizzazione di diverse opere pionieristiche quali The Tragedy of Carmen, The
Conference of the Birds e Il Mahabharata (girato per la televisione inglese nel 1989)
Successivamente, Carriere ha collaborato con Louis Malle per due film, Viva Maria e Il ladro di Parigi;
con Jean-Luc Godard (Sauve qui peut (la vie)) e Volker Schlondorff (Il tamburo di latta, Swann In
Love, e L’Orco). Tra i numerosi film da lui scritti ricordiamo Il ritorno di Martin Guerre, il film
prodotto da Saul Zaentz L’insostenibile leggerezza dell’essere, per il quale è stato candidato all’Oscar;
Cyrano de Bergerac, il film prodotto da Zaentz Giocando nei campi del Signore; Danton; The
Possessed, L’ussaro sul tetto; Chinese Box; il film diretto da Jonathan GlazerBirth e tanti altri.
Jean-Claude Carriere e Milos Forman avevano già collaborato per Taking Off e Valmont.
PAUL ZAENTZ (Produttore esecutivo) è nato a Passaic, nel New Jersey ed ha studiato alla University
of Pennsylvania’s Wharton School, laureandosi poi alla facoltà di giurisprudenza di Seton Hall.
Zaentz ha iniziato la sua carriera presso la Saul Zaentz Film Company e la Fantasy Records nel 1976,
occupandosi degli aspetti legali dei settori cinematografico e discografico.
Nel 1983, Zaentz è stato consulente finanziario per la realizzazione di Amadeus, e successivamente ha
svolto la stessa funzione per The Mosquito Coast. In seguito è stato produttore associato di
L’insostenibile leggerezza dell’essere e di Giocando nei campi del signore. Zaentz è stato il coproduttore di Il paziente inglese e dell’altro film diretto da Anthony Minghella Il talento di Mr. Ripley.
Di recente è stato produttore esecutivo del film di David Munroe Full Grown Men, con Alan Cumming,
Amy Sedaris e Matt McGrath. DENISE O’DELL (Co-Produttore) è nata in Inghilterra dove ha vissuto
fino a 17 anni di età. Nel 1967, è andata in Spagna per lavoro ed ha deciso di restare nel paese per
occuparsi di produzione cinematografica. Installatasi a Madrid, la O’Dell si è occupata della
produzione di film quale la versione animata realizzata nel 1978 di Il Signore degli Anelli, del film di
Stephen Frears The Hit; Delitto sotto il sole e Ishtar, girato in Marocco. L‘esperienza acquisita con quel
film si è rivelata utile e le è valsa ulteriori incarichi per film tra i quali citiamo Agente 007: Zona
pericolo, Indiana Jones e l’ultima crociata e Il tè nel deserto. Tra gli altri film da lei prodotti,
ricordiamo Vite sospese, Giochi di potere, Il figlio della Pantera Rosa e Uncovered. Nel 1993, la
O’Dell ha fondato la Kanzaman, s.a.m., che a tutt’oggi è una della maggiori realtà produttive d’Europa.
Nel 1996, la O’Dell ha prodotto il film di Michael Hausman Rhinoceros Hunting in Budapest, seguito
da All the Little Animals, debutto alla regia dell’amico Jeremy Thomas. Nel 1999, è stata la coproduttrice del film diretto da Jonathan Blazer, Sexy Beast-L’ultimo colpo della bestia.
Tra gli altri film dei quali si è occupata nella sua lunga e fortunata carriera ricordiamo: The Reckoning,
Il ponte di San Luis Rey, A Good Woman, Sahara, Le crociate, di Ridley Scott e Basic Instinct
Nel 2006, la O’Dell ha fondato KanZaman France per sviluppare, produrre e co-produrre film sul
territorio francese.
MARK ALBELA (Co-Produttore) è nato a Londra dove ha trascorso l’infanzia trasferendosi poi con la
famiglia a Cadice, in Spagna, quando aveva 7 anni. In Spagna ha frequentato la scuola bilingue El
Centro Ingles, ed ha continuato gli studi al liceo Colegio del la Salle. Dopo essersi iscritto alla facoltà
di ingegneria di Houston, Mark lasciò gli studi per fare il “runner” per il film di Steven Spielberg
L’impero del sole. L’incarico durò un anno e subito dopo Albela lavorò per un altro film di Spielberg,
Indiana Jones e l’ultima crociata, che lo spinse a decidere che voleva dedicarsi al cinema.
Successivamente ha collaborato con diverse produzioni partecipando alla realizzazione di più di 20
film o spot pubblicitari. Nel 1994, Albela e Denise O’Dell hanno fondato la Kanzaman, e nel 1997, a
29 anni, Albela ha prodotto il il suo primo film, El Arbol del Peninente, distribuito in Spagna dalla
Columbia TriStar. Albela ha fondato la KanZaman Services e la On the Spot per fornire servizi e
assistenza alle produzioni di film e spot pubblicitari in Spagna e Marocco, in cooperazione con la
KanZaman SAM. Attraverso la KanZaman Services, si è occupato della produzione di tre film
consecutivi della serie Jams Bond realizzati in Spagna, e di più di 100 spot pubblicitari e video
musicali. Albela ha anche collaborato, sempre attraverso la Kanzaman alle produzioni di Sahara, Le
crociate e Basic Instinct 2. Nel 2006, ha fondato la KanZaman France, per sviluppare, produrre e coprodurre in territorio francese.
JAVIER AGUIRRESAROBE (Direttore della fotografia) è uno dei più stimati e conosciuti direttori
della fotografia della Spagna, ed ha collaborato con alcuni dei più famosi registi del momento
Di recente è stato il direttore della fotografia dei film di Alejandro Amenabar, Il mare dentro, con
Javier Bardem e The Others con Nicole Kidman, per i quali ha vinto due Goya (l’equivalente spagnolo
dell’Oscar).
Di recente ha anche lavorato per il film diretto da Montxo Armendariz, Obaba, film scelto per
rappresentare la Spagna agli Oscar nel 2005 e Secrets of the Heart. Tra gli altri suoi film ricordiamo Il
ponte di San Luis Rey, Parla con lei, di Pedro Almodovar, il film diretto da Fernando Trueba La nina
de tus ojos e Perro del hortelano di Pilar Miro. Inoltre è stato il direttore della fotografia del film di
Julio Medem Tierra, di Antartida di Manuel Huerga, di Dias contados di Imanol Uribe e del film diretto
da Carlos Saura Outrage. Tra gli altri suoi film ricordiamo: Dream of Light, Prince of Shadows, The
Living Forest e 27 Hours con Antonio Banderas. Ricordiamo infine la fotografia del documentario
Eric Clapton and His Friends.
PATRIZIA VON BRANDENSTEIN (Scenografie) ha vinto l’Oscar per le scenografie di Amadeus
diretto da Milos Forman. Collaboratrice di vecchia data di Forman, la Von Brandenstein è stata
direttore artistico di Ragtime e scenografa di Larry Flynt: Oltre lo scandalo e Man in the Moon.
Inoltre ha realizzato le scenografie per tre film diretti Mike Nichols, Silkwood, Una donna in carriera e
Cartoline dall’inferno.
Ms. Von Brandenstein ha collaborato di recente con Steven Zaillian per il film in uscita All the King’s
Men e tra gli altri film recenti ricordiamo Ice Harvest eShaft.
La Von Brandenstein ha iniziato la carriera nel cinema nel 1977 disegnando i costumi per La febbre del
sabato sera poi è passata al reparto scenografie con il film di Peter Yates Breaking Away. Tra gli altri
suoi film degli esordi ricordiamo Heartland, A Chorus Line, The Money Pit e Billy Bathgate.
Nel 1988, la Von Brandenstein è stata candidata all’Oscar per le scenografie del film diretto da Brian
De
Palma
Gli
intoccabili.
La lunga lista dei suoi film comprende anche: I signori della truffa, Vendesi miracolo, Sei gradi di
separazione, Pronti a morire, Giusta causa, Codice Mercury e Soldi sporchi.
YVONNE BLAKE (Costumi) ha vinto un Oscar per i costumi del film diretto da Frankin J. Schaffner
Nicola e Alessandra. Nata in Inghilterra e residente in Spagna da lungo tempo, è stata candidata
all’Oscar anche per i costumi del film di Richard Lester Milady-I quattro moschettieri.
Blake ha iniziato la carriera in Inghilterra con film quali L’errore di vivere, The Spy with
the Cold Nose, The Idol, The Best House in London, Puppet On A Chain e Jesus Christ Superstar.
Inoltre ha disegnato i costumi per tre film di Lester oltre ai Milady: I quattro moschettieri; I tre
moschettieri, Robin e Marian e Il ritorno dei moschettieri. Oltre ai numerosi film spagnoli, la Blake ha
anche realizzato i costumi per All Creatures Great and Small, La notte dell’aquila, Superman,
Superman II, Amici e nemici, Al di là dei sogni, Riccardo III: un uomo, un re, Spie contro e The
Reckoning. Passando al piccolo schermo, ricordiamo Harem, Onassis: The Richest Man in the World,
e James Dean. La Blake, vincitrice di un premio Goya, ha disegnato di recente i costumi del film Il
ponte di San Luis Rey.
ADAM BOOME (Addetto al montaggio) aveva già collaborato con Milos Forman per Man in the
Moon. Inoltre si è occupato del montaggio di due film tedeschi di Lenard Fritz Krawinkel, il
cortometraggio Pack Mich, e il lungometraggio Sumo Bruno.
Boome ha montato e diretto due episodi della serie inglese Travel Sick. Come aiuto regista, Boome ha
lavorato a Batman Forever, Spy, L’oro di Ulisse, Obsession, City of Angels-La città degli angeli e
Kiss. Inoltre, Boome ha diretto i documentari per la televisione inglese I’m Free, Inside the Comedy
Closet, e Britain’s Top Ten Heists.