the departed - Barz and Hippo

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the departed - Barz and Hippo
THE DEPARTED
il bene e il male
Anno:
Nazione:
Durata:
2006
USA
149 minuti
scheda tecnica
Regia:
Sceneggiatura:
Fotografia:
Colonna Sonora:
Martin Scorsese
William Monahan
Michael Ballhaus
Howard Shore
Interpreti:
Leonardo DiCaprio (Billy Costigan)
Jack Nicholson (Frank Costello)
Matt Damon (Colin Sullivan)
Martin Sheen (Queenan)
Alec Baldwin (Capitano Ellerby)
Vera Farmiga (Madolyn)
Ray Winstone (French)
Mark Wahlberg (Sergente Dignam)
Anthony Anderson (Brown).
Warner Bros / Vertigo Entertainment / Plan B Entertainment / IEG
Medusa
Produzione:
Distribuzione:
Martin Scorsese
Nato il 17/11/1942 a Queens, New York, U.S.A., cresce nel quartiere di Little Italy.
Esordisce alla regia nel 1969 con il drammatico film low budget Chi sta bussando alla mia porta?
interpretato da Harvey Keitel.
Segue la pellicola sacrificale sulla grande depressione 1929: sterminateli senza pietà, film che fece
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Dopo questi due piccoli film arriva il successo con Mean Street, opera quasi autobiografica
interpretata, oltre che da Keitel, da un giovanissimo Robert De Niro.
Nel 1976, con Taxi Driver, vincel
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Dopo il fiasco del musical New York New York, sempre con De Niro ed una superba Liza
Minnelli, arriva un altro capolavoro, Toro Scatenato.
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Jake La Motta, è uno dei film americani più importanti degli anni ottanta, per il suo crudele
realismo, il bianco e nero semidocumentaristico e il virtuosismo tecnico.
Scorsese dimostra ancora una volta il suo anticonformismo con L’
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Nel 2002 arriva un'altra grande fatica, Gangs of New York, girato quasi completamente negli studi
di Cinecittà; il film verrà tagliato dalla produzione di circa un ora e trenta ed uscirà nelle sale con la
versione di due ore e quaranta.
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rdiThe Aviator, pellicola sulla burrascosa vita del magnate
Howard Hughes, interpretato da un mirabile Leonardo Di Caprio.
Scorsese è apparso anche come attore in Sogni di Akira Kurosawa, Round Midnight, Quiz Show e
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Filmografia
(1969)
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(1976)
(1977)
(1978)
(1978)
(1980)
(1983)
(1985)
(1986)
Chi sta bussando alla mia porta?
America 1929: sterminateli senza
Mean Streets
Alice non abita più qui
Italoamericani
Taxi Driver
New York, New York
L'Ultimo valzer
Ragazzo americano
Toro Scatenato
Re per una notte
Fuori orario
Il Colore dei Soldi
(1988)
(1989)
(1990)
(1991)
Paura
(1993)
(1995)
(1997)
(1999)
(1999)
(2002)
(2003)
(2004)
(2006)
L'Ultima tentazione di Cristo
New York Stories
Quei Bravi Ragazzi
Cape Fear - Il Promontorio della
L'età dell'Innocenza
Casinò
Kundun
Al di là della Vita
Il Mio viaggio in Italia
Gangs of New York
The Blues: Dal Mali al Mississippi
The Aviator
The Departed- Il Bene e il Male
Il film raccontato dai protagonisti
Intervista al regista e al cast
Leonardo Di Caprio, lei si occupa anche di ecologia...
Leonardo Di Caprio: ho fatto due spot, di cinque minuti, di sensibilizzazione al tema
dell'ambiente. Li ho pubblicati sul sito della mia fondazione, nella quale ospito esperti,
premi Nobel e personalità. Questo perchè in genere in televisione su surriscaldamento del
Pianeta, esaurimento delle fonti energetiche o disboscamento si vedono più che altro
discussioni in cui il problema si perde di vista, mentre a me interessano argomentazioni e
fatti.
Passerà dietro la macchina da presa?
Leonardo Di Caprio: a questo punto della mia vita non ho il desiderio di dirigere,
soprattutto dopo aver visto come lavora Scorsese e cosa questo lavoro comporta. Il
mestiere dell'attore è solitario, quello del regista è decisamente di più. Quasi come un
veggente, interpreta il futuro, lega una scena ad altre 150 e sa le emozioni che susciterà, fa
fronte a richieste provenienti da 50 uffici che dipendono da lui.
Vera Farmiga, come è stata la sua esperienza?
Vera Farmiga: Lavorare con Scorsese e Di Caprio mi ha trasformato sotto l'aspetto umano
e professionale, è stato un cambiamento di prospettiva. Ho imparato a non scendere a
compromessi, l'onesta intellettuale. Per la parte mi sono rapportata alla psichiatra del
Dipartimento di Polizia di Boston, e lei mi ha detto che il mio personaggio non diceva e
non faceva le cose giuste. Questo me lo ha reso ancora più interessante. E poi Scorsese ha
saputo creare una vasta zona grigia in tutti i personaggi, un'ambiguità morale che valeva
anche per il mio.
Scorsese, come mai tre film con Di Caprio?
Martin Scorsese: Lavoriamo insieme da sei anni, è come un lungo processo diviso in
sezioni. Pur senza lo stesso contesto come invece avviene per De Niro, di cui sono
coetaneo, c'è una comunione di istinti. Se questi si sviluppano insieme, si crea una modalità
d'azione.
Si è ispirato ad un film di Hong Kong...
E' la mia terza esperienza con un remake. Inizialmente ero tentato a lasciar perdere, poi
cominciando con calma a leggere la sceneggiatura sono stato catturato. Mi piaceva come
era resa l'idea di fiducia e tradimento, e anche la rappresentazione della comunità irlandese
fatta di umorismo, cattolicesimo e fatalismo. Ho avuto una reazione istintiva, ho pensato
che avrei potuto imparare qualcosa. Ha una trama molto forte e descrive in modo
affascinante la psicologia e i sentimenti dei personaggi.
Ha detto che questo è il suo ultimo film a Hollywood.
Martin Scorsese: a Hollywood ci sono maggiori finanziamenti e puoi correre meno rischi.
Ho avuto la fortuna di godere dell'appoggio della Warner Bros. Nonostante l'argomento
fosse materiale difficile, ha avuto disponibilità e pazienza. Il film è terminato tre settimane
fa, è stato un esperimento continuo, ho rischiato. Adesso mi dedicherò ad un progetto "low
budget": Silence, su un autore giapponese, in Giappone. Non è detto che in futuro non
lavori ancora ad Hollywood come per The Aviator. Se mi viene assicurata libertà di
manovra, è possibile che io ceda. E' come una dipendenza, ti fanno intravedere qualcosa e
tu li segui.
Il film è basato su un film che parla della malavita hongkonghese, perché per la trasposizione si è
pensato alla mafia irlandese e non a quella italiana?
Martin Scorsese: L'autore della sceneggiatura, William Monahan, è irlandese-americano, e
aveva trasposto la storia nell'ambiente della mafia irlandese a Boston. A me interessava
interessava il tema della lealtà e del tradimento, e ho trovato particolarmente ben riuscita
nello script proprio la rappresentazione del mondo irlandese, del suo fatalismo e del suo
humor. Ma la decisione l'ha presa Monahan; so che si può equivocare sul nome di Frank
Costello, ma vi assicuro che è un nome irlandese.
Crede che il conflitto tra italiani e irlandesi abbia portato alla nascita della mafia nelle città
americane?
Martin Scorsese: Il conflitto c'era senz'altro, e fu particolarmente difficile per gli
immigrati italiani, perché perché gli irlandesi erano in America da prima. Io non ho vissuto
questo conflitto, ma lo hanno fatto mio padre e mio nonno prima di lui. Si può ipotizzare
che gli italiani dovessere pensare a sopravvivere, dato che i poliziotti erano iralndesi...
Le recensioni
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usciti di scuola e anziché usare le caramelle li abbindola con dei petardi. Ne fa esplodere uno per
terra per dimostrazione e poi li distribuisce, invitando i bambini a utilizzarli al suo segnale.
Non è un pedofilo e nemmeno un Babbo Natale fuori stagione (siamo in pieno agosto). É
semplicemente un gangster furbacchione che come il migliore dei pali sta proteggendo il suo amico
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Ragazzo può filarsela dalla casa, infilandosi la pistola ancora fumante dentro la cinta, dietro la
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Brandelli di vita cinematografica vissuti a Boston, dove Scorsese a settembre ha finito di girare The
Departed, col suo solito cast stellare. Accanto ai due protagonisti Di Caprio e Matt Damon, una
serie di grandi attori che come è già appena successo in The Aviator fanno da coro: Jack
Nicholson, Mark Wahlberg, Alec Baldwin, Martin Sheen.
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Madeleine (Vera Farmiga) la psicanalista della polizia, fidanzata di Colin, ha in cura Billy, a cui
prescrive del valium per superare i suoi frequenti attacchi di panico. Una classica crime story, tratta
da una delle serie più di successo del recente cinema di Hong Kong: Wu jian dao, cioè Infernal
Affaire, che nel 2002 batté ogni record al botteghino e generò prima un prequel e poi un sequel.
Per strano che sia Scorsese ha accettato di girare il film dopo aver letto la sceneggiatura scritta da
William Monahan (Le Crociate) senza sapere che si trattasse di un remake. Ha detto che gli
ricordava semmai un noir inglese. «La natura del gioco dei personaggi e del fato che li aspetta è
affascinante. Poliziotti o gangster, tutti sembrano mentire». E ha pregato tutti gli attori di evitare di
guardare Infernal Affairs, per non lasciarsi influenzare.
Anche se la struttura rimane la stessa, nella sua sceneggiatura Monahan ha inserito più personaggi e
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pericolosi. Lo ha raccontato Mark Wahlberg, rompendo la consegna del silenzio sui retroscena del
film in cui le due spie protagoniste non si incontrano fino agli ultimi venti minuti, quando parte una
girandola di colpi di scena.
Leonardo DiCaprio, che sulla spalla destra mostra un elaborato tatuaggio malavitoso, non ha fatto
nessun allenamento speciale, se non palestra, e non ha voluto lasciare alla controfigura la scena in
cui salta attraverso il vetro di una finestra. Matt Damon, invece, (che ha sostitutito Brad Pitt, che è
fra i produttori del film con la sua società Plan B) dopo che in I fratelli Grimm Terry Gilliam lo
aveva costretto a imparare il tango per diventare più flessibile ed elegante, ha voluto imparare il
mestiere di poliziotto: «Mi sono infilato un giubbotto antiproiettile e ho seguito una squadra
speciale antinarcotici mentre entrava in una casa abbattendo la porta a calci», ricorda. «Sono stato
con loro cinque giorni, abbiamo mangiato e bevuto assieme. Anche se il gangster del film è Jack
Nicholson, volevo che tutto fosse verosimile».
Quando parlano di Nicholson tutti sul set fanno un sorrisetto. La definizione più comune è «lager
than life», quella che si usa per le leggende viventi. È Costello, il boss che protegge Colin fin
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prequel Infernal Affairs 2). Si è dedicato al suo personaggio con una passione da vecchi tempi,
presentandosi al lavoro ogni mattina con appunti e nuovi dialoghi. Per quieto vivere Scorsese ha
spesso accettato di filmare due versioni: quella originale e quella nuova made in Jack. «Jack sa che
grande occasione ha per le mani», spiega il produttore Graham King. «E ha cercato di fare qualcosa
di diverso dai precedenti mitici gangster di Scorsese, siano stati De Niro o Day-Lewis».
Dove però Nicholson non ha accettato compromessi è stato sulla fede sportiva. Tifoso accesissimo
della squadra di basket dei Lakers di Los Angeles (cui nel 1972 dedicò il suo esordio da regista:
Yellow 33) ha vietato alla troupe di vestire magliette o cappellini dei Celtics, la squadra locale che è
storicamente rivale della sua. Ed ecco perché sul set si vedevano tante magliette dei Red Sox: i
tecnici, anche se erano patiti di basket, hanno dovuto ripiegare sulla squadra di baseball di Boston.
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regista». Si è talmente innamorato della tecnica di Scorsese, che spiava continuamente dietro la sua
spalla sul monitor, per carpirne i segreti.
DiCaprio, invece, era sempre seduto accanto a Scorsese. Non è un mistero che prima o poi
diventerà regista. È al suo terzo film con Scorsese (dopo Gangs of New York e The Aviator) e ce
ne potrebbero essere presto altri due: Teddy (la biografia del presidente Theodor Roosevelt,
sceneggiata da Nicholas Meyer) e Drunken Angel, il remake de L’
angelo ubriaco, classico di
Akira Kurosawa del 1948.
Ma il suo rivale diretto, Robert DeNiro (otto film finora con Scorsese) potrebbe fare nella prossima
primavera il nono, se, come sembra, sarà uno dei due protagonisti di The silente, la storia di due
preti portoghesi che portano il cristianesimo nel Giappone del Sedicesimo secolo (tratto da un libro
di Endo, di cui Cecchi Gori ha i diritti).
Paolo Mereghetti
Il bene e il male, la verità e la menzogna, i padri i figli e la «famiglia». Ci sono tutti i temi cari a
Scorsese nell' ultimo suo film, The Departed (che in Italia uscirà nei cinema il 27 ottobre), ma non
tutti sembrano affrontati con la stessa intensità e la stessa passione. Dichiaratamente ispirata a un
film hongkonghese del 2002, Infernal Affairs di Andrew Lau e Alan Mak (che dopo il successo in
patria è diventata una trilogia con due prequel), la sceneggiatura di William Monahan racconta le
vite parallele di due poliziotti, Billy Costigan (DiCaprio) e Colin Sullivan (Damon): il primo vuole
riscattarsi da un ambiente legato alla malavita e accetta di entrare sotto copertura nella banda del
boss Costello (Nicholson); il secondo, che invece sogna l'ascesa sociale e l'agiatezza mai
conosciuta, si trasforma in una talpa di Costello all' interno della Squadra investigativa della polizia
di Boston. Perché per una volta Scorsese abbandona l'ambiente italoamericano e newyorkese dei
suoi film precedenti per spostarsi tra i malavitosi irlandesi del Massachusetts. Una scelta non
ininfluente, che sembra all' origine di quella mancanza di calore (e di complicità) che in altri film
finiva per identificarsi con lo Scorsese touch. Qui invece l'occhio del regista è più freddo e
oggettivo, quasi meccanico, nel seguire le peripezie dei due protagonisti, ognuno alle prese con un
«padre» putativo da amare e odiare insieme (il capitano Queenan - Martin Sheen - per Billy,
Costello in persona per Colin) e con la necessità di ingannare chi sta loro al fianco. Anzi, proprio la
dicotomia tra verità e menzogna diventa il meccanismo più importante per muovere il film e i
rapporti tra i personaggi, compresi quelli che i due protagonisti hanno con la medesima donna (Vera
Farmiga), una psicologa che lavora per la polizia e va a vivere con Sullivan ma non è insensibile ai
tormenti di Costigan. Lo scontro, allora, non è tanto tra l' idea di Bene e quella di Male (che
inevitabilmente implica una posizione morale e riporta le azioni alla dialettica tra peccato e
redenzione), ma piuttosto tra l' apparenza e la realtà, la maschera e il volto, il vero e il falso. E il
film pian piano si trasforma in un viaggio tra gli specchi, una partita a scacchi dove le mosse dell'
uno influenzano quelle dell' altro e il guardarsi reciproco negli occhi per cercare la fiducia o il
tradimento diventa più importante di un colpo condotto a buon fine. È una strada che porta Scorsese
a privilegiare più la recitazione degli attori che la tensione morale della storia (l' ultimissimo colpo
di scena «giustizialista» sembra messo apposta per soddisfare il pubblico più tradizionale). Con
tutte le conseguenze del caso: Nicholson è meno luciferino e istrionico del solito, ma a volte dà l'
impressione di «usare» il film, non di mettersi davvero al suo servizio. Così come le cose migliori
di DiCaprio sono i suoi soprassalti di coscienza di fronte alla spietatezza della malavita, non le sue
plateali esplosioni di violenza. Sono solo sfumature, ma con Scorsese ci si aspetta sempre il meglio
e invece qui si ha l' impressione che non voglia rischiare come in passato. Siamo un gradino sotto il
sorprendente mosaico di dialoghi, immagini, violenza e canzoni di Quei bravi ragazzi, o la
complessità metaforica di Casinò e del suo viaggio nel mito del denaro, per citare due film
ambientati nello stesso mondo della malavita. In fondo, l' aggiornamento tecnologico degli interessi
mafiosi (con Costello che vende ai cinesi microchip per missili) è solo di facciata e il quadro di
corrotti e corruttori in un mondo tutto di spie non è una novità. Certo, la qualità è sempre molto alta,
il lavoro di Michael Ballhaus alla fotografia e di Thelma Schoonmaker al montaggio sono come
sempre ineccepibili ma forse è proprio l' idea di un remake che va stretta a Scorsese. Come in
passato con Il colore dei soldi o Cape Fear - Il promontorio della paura, che riprendevano
caratteri o storie già elaborate in precedenza, così oggi con il film di Lau e Mak (visibile in Italia
solo in dvd) il regista americano sembra faticare a liberarsi del tutto dalla tensione del confronto e a
volare davvero in excelsis.
Tullio Kezich
«Io è un altro». Di fronte a The Departed di Martin Scorsese, l'allarmante dichiarazione di Jean
Genet si riaffaccia alla memoria, coniugandosi con la famosa battuta che suggella Così è (se vi
pare): «Io sono colei che mi si crede». E ancora a Pirandello si potrebbe ricorrere per tradurre il
titolo del film (memori di Mattia Pascal): Il fu. Ma parlando di apparenze e maschere, tema
ricorrente nel nostro mondo dove i trasformismi d'ogni tipo stanno rendendo precario ogni tentativo
di identificazione, vorrei rimandare il lettore in vena di lunghi percorsi in dvd alle 105 puntate delle
cinque stagioni di Alias, il serial di J.J. Abrams passato sui teleschermi americani (e a ruota anche
da noi) dal 2001. Questa storia infinita sulle avventure e disavventure di un gruppuscolo di doppie
spie, è un romanzo balzacchiano la cui chiave sta nella progressiva scoperta che nessuno è quello
che sembra. Se un simile prodotto di sofisticato divertimento contrabbanda un messaggio, non può
essere che questo: attenzione a chi vi circonda, nessuno è come appare; e attenzione anche nel
guardarvi dentro... Non è una novità, se ricordiamo Ripley (tranquillo in apparenza, in realtà
falsario e killer) nei cinque romanzi che gli ha dedicato Patricia Highsmith; o al protagonista della
serie scaturita da The Bourne Identity di Robert Ludlum. Tutte figure che hanno trovato ospitalità
anche sullo schermo; per tacere, ovviamente, del classico stevensoniano cento volte ripreso Dr.
Jekyll and Mr. Hyde. Sul tema del doppio infinite sono le variazioni possibili ed è curioso che
Scorsese sia andato a cercarne una fino a Hong Kong, nella trilogia filmica di qualche anno fa
intitolata in Usa Infernal Affairs della quale The Departed rielabora il motivo dello scambio delle
«talpe». Billy (Leonardo DiCaprio) è un poliziotto infiltrato fra i mafiosi, Colin (Matt Damon) è un
mafioso infiltrato nella polizia; e fra i due viene a trovarsi per dovere d'ufficio la psicologa
Madeleine (Vera Farmiga), che fa un figlio con l'uno e sesso con l'altro. Da notare che il
personaggio femminile, assente nel film asiatico, è uno degli ingredienti aggiunti dallo
sceneggiatore William Monahan con il risultato di aumentare la durata della vicenda: un'ora in più
rispetto ai secchi 90 minuti dell' originale. Lo speculare e atroce «bildungsroman» fa incontrare
faccia a faccia i due protagonisti solo verso la fine perché in precedenza gli incroci avvengono per
interposta persona o attraverso gli squilli dei portatili, usati con sapiente tempestività. Nel film,
ambientato a South Boston da uno Scorsese che ne sottolinea le affinità con Little Italy, l'ago della
bilancia è rappresentato dal superboss Frank Costello (Jack Nicholson) che a onta dell' omonimia
con il famigerato oriundo calabrese di Cosa Nostra è irlandese anziché italiano. E gli irlandesi,
come apprendiamo da una battuta film, erano considerati da Sigmund Freud in persona «l' unico
popolo impermeabile alla psicoanalisi». Vano è quindi cercare il bandolo della personalità di un
supercriminale presentato senza mezzi termini come un cinico assassino a sangue freddo, sempre
pronto a far proseliti da premiare o punire secondo i casi e prodigo di lezioni di pragmatismo:
«Nessuno ti regala niente, le cose devi prendertele». Però (e questa è la novità rispetto ad archetipi
come Piccolo Cesare o Scarface) salta fuori che fa il doppio gioco anche lui. Ringiovanito di vent'
anni nel prologo del film, grazie alle astuzie dell' operatore Michael Ballhaus, Nicholson allunga la
sua ombra malefica e pittoresca su tutto il racconto incarnando la legge della giungla; e la danza
macabra converge verso un finale al sangue che assomiglia a una mattanza di Tarantino, ma
finalmente motivata e senza che l' eccesso cerchi sollievo nell' ironia.