Parte prima

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Parte prima
1
Introduzione
Tema e contenuto della tesi
Tema di questa tesi è la festa di S. Agata, patrona della città di Catania, vista con gli occhi
di una ragazza cresciuta nel territorio e quindi permeata da quella religiosità, soprattutto
popolare, a volte difficile da capire per chi non appartiene alla realtà.
L‟argomento di questa tesi è molto vasto, per cui ho preferito, considerando che chi si
appresta a leggere il testo, conosce poco l‟argomento, dare alla tesi un‟impostazione
sintetica ma che racchiuda i tratti essenziali della festa.
Mi è sembrato necessario collocare nello spazio e nel tempo la storia di Agata;
dall‟excursus storico, infatti, emerge sin dall‟inizio la devozione popolare tanto forte e
intensa che, nonostante i secoli trascorsi, tutti gli anni richiama tanta gente da ogni parte
della Sicilia, dell‟Italia e dell‟Europa a ritrovarsi intorno alla loro amata «Agata».
Sant‟Agata è da sempre stata per la città di Catania un punto di riferimento al quale
rivolgersi in caso di pestilenze, guerre ed eruzioni laviche da parte del vulcano «Etna», che
ancora potrebbero minacciare i centri abitati.
Lo speciale rapporto instaurato dai «devoti» con la loro «Santuzza» si esplica nei tre giorni
di festa a lei dedicati, nei quali il «fercolo» è sempre accompagnato da un folto stuolo di
fedeli.
La normale vita cittadina si interrompe per concentrare tutta l‟attenzione alla Santa, per
ringraziarla delle grazie ricevute e per chiedere aiuto; non ultimo solo per vedere sul viso
quel sorriso che sarà propiziatore di un anno positivo.
2
Parte prima
La tradizione
Le fonti relative al martirio di Sant‟Agata si presentano distinte in due ampi generi: uno di
ordine archeologico e uno di ordine paleografico.
Le fonti archeologiche sono ripartite nelle loro varie specie di fonti sepolcrali, reliquiari,
scultoriche, pittorico – iconografiche, etc…
Le fonti paleografiche, attinenti al martirio di Sant‟Agata sono ripartite nelle loro varie
specie di fonti letterarie, agiografiche, martirologiche, liturgiche, poetiche, canoniche e
giuridiche.
1. Le fonti archeologiche.
a) Il sepolcro di Sant‟Agata. Costituisce un emblema della storicità di tutti gli altri
elementi del martirio, si trova a Catania nella Chiesa di “Sant‟Agata la Vetere”,
collocato al posto dell‟altare maggiore. Esso è composto di due parti: il vaso
sottostante e il coperchio. La parte soprastante è un coperchio di tufo calcareo,
visibilmente diversa e in contrasto con la parte sottostante. La parte più importante
è la testata a sinistra dove è scolpita una mezza figura di uomo col viso imberbe:
tale figura di uomo ha il capo ornato di aureola crucisegnata, ha nella mano sinistra
un libro chiuso e tiene la mano destra alzata; ragione per cui tutti ritengono che si
tratti dell‟immagine del Salvatore1.
b) Altro reperto possono essere citate le vestigia del Palazzo pretorio in cui Quinziano
processò Agata e il carcere dove fu rinchiusa. Tali vestigia coincidono
perfettamente con la ricostruzione storica che l‟archeologo Lorenzo Bolano e
Carmelo Sciuto Patti, all‟epoca Sopraintendente per i monumenti della Sicilia
orientale, fanno di quel complesso tutt‟ora esistente che va dalla Chiesa di S. Agata
alla vetere fino alla sede odierna della Facoltà di Giurisprudenza sita presso Villa
Cerami, e giù fino al rialzo, ove ora ha sede la Chiesa di S. Agata alla fornace con
1
SCIUTO – PATTI, I monumenti di S. Agata, Catania, 1892, p. 8
3
gli attigui ruderi del teatro romano.2 Tale ricostruzione attesterebbe con assoluta ed
eloquente certezza che il complesso dei locali sopra citati corrispondano per
descrizione e collocazione storica ai luoghi del martirio di Agata3.
c) La lapide marmorea contenente l‟epigrafe «MSSHDEPL» conservata gelosamente
a Cremona sin dal 568 può essere attestata come altra fonte storica 4. Tradizione
vuole che tale lapide sia stata deposta da un angelo accanto alla testa di S. Agata,
nel momento in cui essa venne seppellita. Tali parole, elogianti la “mente santa e
spontanea”, dedicarsi a rendere “onore a Dio” ed a procurare la “liberazione della
Patria” sono diventate di dominio universale nella Chiesa Cattolica sin dai tempi
antichi tanto da essere riportate nella maggior parte della campane di tutto il mondo
cattolico.5
d) Un‟altra epigrafe, quella di Julia Fiorentina, attesta che la piccola Julia Fiorentina
di 18 mesi, battezzata e subito dopo morta fu seppellita, con la presenza di un
sacerdote, presso la tomba dei martiri cristiani, tra i quali appare Agata.6
L‟epigrafe risale alla fine del III secolo, trovata a Catania nel 1730 e conservata al
Louvre, è la terza più antica epigrafe latina datata che l‟archeologia cristiana
possiede, conferendo così al martirio la sua più valida testimonianza storica7.
e) La redazione scritta del documento narrativo del martirio. Bisogna riconoscere che
dal fatto che i cristiani catanesi cominciarono ad evocare i particolari e le vicende
di quell‟eroico martirio, è ovvio che ne seguì subito anzitutto la nascita e lo
sviluppo della tradizione orale di tutto il racconto di quel martirio; e poi, una volta
affermatasi si sia passato subito a consacrare e fissare quella tradizione orale nel
testo originario della prima redazione scritta. Vorrei sottolineare il fatto che dovette
essere il sepolcro di Agata il luogo dove nacque la tradizione orale prima e scritta
2
L. BOLANO, Chronicon urbis Catinae: citato da C. Sciuto Patti, I monumenti di S. Agata esistenti a
Catania, note archeologiche, p.28, Catania 1892
3
F. FICHERA, Il Carcere di s. Agata e l’edicola di Pietro a Catania, in Archivio storico per la Sicilia
Orientale, Anno VII (1931), FAsc. 1, p4, Catania 1931
4
L. CAVITELLIUS, Annales Cremonenses, cap 13
5
G. CONSOLI, S. Agata v.e m. catanese, vol II, pp 175 s. Catania 1951 e soprattutto C. SCIUTO PATTI,
o.c., pp 315,327
6
S. D‟ARRIGO, Il martirio di S. Agata nel quadro storico del suo tempo, II vol, pp 665 s., Catania 2002
7
Cfr. H. GREGOIRE, o.c., p115, n.28
4
dopo; occorre rilevare infatti che, mentre la morte di Agata avvenne in carcere8,
sito entro le mura di cinta della città, la sepoltura invece ebbe luogo fuori le mura
dell‟abitato e perciò in un ambito non strettamente controllato dalle guardie di
polizia, ove il popolo potè affluire più liberamente9.
f) Le reliquie della santa. A Catania, di Sant‟Agata esistono, integri e incorrotti, il
capo e altri pezzi di varie membra indistinte, e cioè visceri e pezzi disseccati del
torace, collocati entro il mezzo busto d‟argento; e poi anche esistono: tutto
l‟avambraccio destro con la rispettiva mano; tutto l‟arto inferiore destro con il
rispettivo piede; e una mammella; tutte queste reliquie sono site in appositi artistici
reliquiari; e infine il celebre velo rossastro, custodito anch‟esso in un‟artistica
teca10.
8
ASS, febr.,1, p. 618, n. 12, Bruxelles, 1658
G. CONSOLI, S. Agata vergine e martire catanese, p.112, Catania, 1959
10
Cfr. G. CONSOLI, o.c., p.165
9
5
2. Le fonti letterario – paleografiche, quali testimonianze
ricollegabili all’evento del martirio di S. Agata. I tre generi di tali
fonti.
Relativamente a questo tipo di fonti, riguardanti il martirio di Sant‟Agata, sono tre i generi
storiografici che a noi possono interessare: gli atti protocollari del
processo; il racconto
dei testimoni oculari, che furono spettatori del martirio; e i vari altri documenti letterari
narrativi del martirio di Sant‟Agata.
a) Gli atti protocollari del processo. A noi non sono pervenuti documenti, che
formalmente riportano gli atti protocollari del processo, ciò si deve a due motivi: in
primo luogo perché Catania non aveva avuto, ancora, precedenti del genere, che
avessero potuto mettere all‟erta i cristiani del luogo per far fronte ad un tale
avvenimento, e provvedere cioè ad avere copia di documenti così importanti;
cinquant‟anni dopo, invece, quando avvenne il martirio di Sant‟Euplio, la cosa fu
diversa, i catanesi infatti, seppero procurarsi copia di tutti gli atti protocollari di
quel processo1. In secondo luogo, perché a Catania non risiedeva un proprio
vescovo locale, con la scorta degli Uffici propri di una curia diocesana, che avrebbe
dovuto farsi carico di quel compito.
b) La cronaca del martirio di Agata, redatta inizialmente da testimoni oculari e
riprodotta successivamente da copisti e traduttori. Le comunità cristiane dei luoghi,
dove avvenivano particolari casi di martirio, si facevano dovere di redigere e
formalizzare subito il documento narrativo della vicenda di quel martirio e di
trasmettere copia alle altre comunità cristiane sorelle. E così dovette avvenire anche
per l‟originaria cronaca del martirio di Sant‟Agata, che subito sarà stata trasmessa
alla Chiesa di Malta, dove dopo Catania, si affermò più che altrove il culto della
martire catanese. A tal proposito uno dei biografi di Sant‟Agata, mons. Salvatore
Romeo, scrive: «Che voluttà di ascoltare quella narrazione e di vedere, come
rappresentato sotto gli occhi, quel duello combattuto dalla fanciulla in difesa della
fede maltrattata! Quanta commozione nel popolo, a cui tutto parla di Agata, il
1
F. CORSARO, Studi sui documenti agiografici intorno al martirio di Sant’Euplio, pp.1 – 41, Catania, 1957
6
giorno, la tomba…»2 . Tale documento costituì indiscutibilmente il racconto
originario, la prima edizione della stesura del martirio di Sant‟Agata cosiddetta
«Passio beatae Agathae»3. Questo documento fu iniziato ad essere redatto
all‟indomani del giorno, in cui Sant‟Agata fu sepolta e cioè sin dal momento in cui
il giovane, che intervenne per mettere la tavoletta di marmo accanto alla testa del
cadavere di Agata, deposto già nel sarcofago, non fu mai più rintracciato 4.
All‟inizio del VI secolo Fulgenzio Ferrando rieditò quel documento originario,
ritoccandolo un poco, forse arricchendolo con qualche opportuna rielaborazione,
ma lasciandolo intatto nella sostanza del suo testo originale.
c) I vari altri documenti letterari narrativi del martirio di Sant‟Agata. I rappresentanti
della comunità cristiana catanese, oltre a provvedere alla stesura di una cronaca
delle vicende del martirio di Sant‟Agata, dovettero anche provvedere a redigere
altri documenti, che, a seguito dell‟evento di quel martirio, la prassi in casi del
genere imponeva. La prassi liturgica delle periodiche e regolari convocazioni,
allora chiamata sinassi, prevedeva la compilazione di un calendario ove fossero
indicate le particolari commemorazioni, assegnate ad ogni singola assise. Da tale
calendario ne scaturì il cosiddetto martirologio, ove era d‟obbligo annotare la
ricorrenza del giorno della morte di ogni martire: quel giorno di morte era chiamato
«dies natalis» , cioè il giorno in cui il martire nasceva ed entrava nella gloria
celeste. Nella celebrazione liturgica di quel giorno il popolo cristiano era impegnato
a svolgere una particolare ufficiatura sacra e cioè una appropriata recita di salmi
biblici, intercalati da inni, versetti e preci, rivolti all‟esaltazione di quel martire: il
tutto confluiva nella celebrazione della Santa Messa, le cui parti variabili venivano
sintonizzate al particolare significato del martirio5.
2
S. ROMEO, S. Agata V. e M. e il suo culto, p. 107, Catania, 1922
S. D‟ARRIGO, Il martirio di Sant’Agata nel quadro storico del suo tempo, p. 227, Catania, 1988
4
ASS, Febr. I tom., p.613, n. 13, Bruxelles, 1658
5
Cfr. S. D‟ARRIGO,o.c., pp. 231 - 232
3
7
3. Agata e la sua storia
La vita
Il quadro dei dati relativi alla vita e al martirio di S. Agata può risultare dalle notizie, che
dalle suddette fonti storiche ci vengono riferite in modo diretto ed esplicito, o da quelle
che ci vengono riferite dal mondo indiretto ed implicito delle tradizioni e dei racconti
popolari che oralmente si tramandano da secoli.
La quasi totalità dei manoscritti latini (e cioè 131 su 171) e la totalità dei manoscritti greci
(30 in tutto) riferiscono che Sant‟Agata morì nel 251, anno del terzo consolato di Decio.
Da quanto emerge dal contesto del racconto del martirio, e cioè che Sant‟Agata al
momento in cui morì contava circa 20 anni, si fa risalire la sua nascita nell‟anno 231 circa.
I documenti narrativi del martirio a noi pervenuti indicano in tre punti che Agata nacque a
Catania1.
Il primo punto è quello relativo all‟inizio del processo. Secondo il testo latino Agata fu
martirizzata a Catania; nel versi 24 e 25 la stessa redazione latina riferisce che, alla
domanda di Quinziano di esporre le proprie generalità, Agata rispondesse di essere «nata
libera, ma provengo anche da nobile famiglia, come lo attesta tutta la mia parentela»2. Con
queste parole Agata dichiara che tutta la sua parentela era residente a Catania.
Il secondo punto del testo latino narra dell‟apparizione di un angelo proprio nel momento
della sepoltura del cadavere di Agata. Questi depose dentro il sepolcro una lapide in
marmo in cui si preannunciava il fatto che Agata, ad appena un anno dalla sua morte,
avrebbe salvato la sua patria, ossia Catania, dalla forza devastante della lava3.
Il terzo punto è quello relativo al fatto che il testo della redazione greca, riportato nel
manoscritto del Senato di Messina, espressamente recita che «Catania è la patria della
magnanima S. Agata»: tale testo è di assoluto valore storico perché risale all‟epoca in cui
in Catania ancora non era stato eretto alcun tempio a S. Agata4.
Agata era dunque una fanciulla di nobili origini; la sua famiglia possedeva case e terreni
coltivati sia nella città di Catania che in provincia.
1
Cfr. Fonti storiche
S. D‟ARRIGO, Il martirio di S. Agata nel quadro storico del suo tempo, II vol, pp 678 s., Catania 2002
3
Cfr. Fonti storiche
2
8
Il padre Rao e la madre Apolla decisero di chiamarla Agata, che in greco significa «la
buona».
Racchiuso in questo nome sta il suo destino: bontà e purezza furono, infatti, le doti che la
distinsero sin dalla prima infanzia.
La fanciulla trascorreva le sue giornate in un sereno ambiente familiare nel quale metteva
tutto il suo impegno nelle semplici cose di ogni giorno per imitare e testimoniare Gesù,
fuggendo il lusso e la vita mondana che invece erano al centro degli interessi delle
coetanee di pari grado sociale.
La voce del popolo l‟ha descritta per secoli così: con corpo slanciato, i lineamenti delicati,
le labbra rosee, i capelli biondi; e in tal modo l‟arte sacra l‟ha sempre raffigurata.
Bellezza, candore e purezza verginale facevano di Agata una creatura davvero angelica.
All‟età in cui Sant‟Agata compì i 7 o gli 8 anni, i suoi genitori, avanzarono la richiesta al
capo della Chiesa locale catanese, affinché la bambina fosse ammessa all‟iniziazione
cristiana.
Troviamo riscontro di tale notizia in un libro scritto da Ippolito di Roma nell‟anno 215,
cioè 36 anni prima del martirio di Sant‟Agata, nel quale conferma la notizia che in quel
tempo all‟iniziazione cristiana venivano ammessi non solo gli adulti, ma anche i bambini
pervenuti all‟uso della ragione e cioè all‟età di 7 o 8 anni 5.
Il capo della Chiesa locale catanese, allora non era un Vescovo residenziale titolare della
Chiesa di Catania. A quel tempo infatti, in Sicilia c‟era solo un Vescovo, che dirigeva tutta
la Chiesa dell‟isola e risiedeva a Siracusa6.
Il Vescovo, tuttavia, delegava uno dei cosiddetti Corepiscopi, o vescovi itineranti, per
dirigere comunità cristiane, numerose e consistenti, come quella di Catania.
Durante gli anni dell‟adolescenza poi, Agata fece la sua scelta di consacrarsi come
«vergine di Dio».
La più antica testimonianza in merito, oltre i documenti narrativi del martirio di
Sant‟Agata, ce la offre S. Metodio vescovo di Olimpo, autore di un libro intitolato
5
IPPOLITO DI ROMA, La tradizione apostolica, trad. italiana a cura di R. TATEO, p.25 ss., ed. Paoline,
Roma, 1979
6
Cfr. CSEL, Collectio Avellana, vol. I, Epistola 73, pp. 182- 187.
9
«Simposio delle dieci vergini» nel quale esalta Sant‟Agata come campione della verginità
cristiana7.
Le fonti letterario paleografiche sottolineano che Agata, nel momento in cui subì il
martirio, aveva già raggiunto l‟età della giovinezza. Il testo e il contesto del racconto
rivelano in Agata la perfetta identità di una giovane di età compresa tra i 18 e i 25 anni. I
punti significativi che permettono di stabilire ciò sono i seguenti:
-
Il linguaggio con cui Agata protesta contro Quinziano che aveva ordinato di
infliggerle la tortura dello strappo della mammella8;
-
Il magistrato, durante il processo, tradisce dei segni di incertezza e perplessità
sulla legittimità del suo potere nel trattare quella causa, dovute al fatto che
Agata si trovava nell‟arco di età, che va dai 18 ai 25 anni, durante i quali la
“Lex Laetoria” proteggeva le giovani donne, dando a chiunque la facoltà di
contrapporre un‟ azione popolare contro gli abusi di potere; difatti il processo di
Sant‟Agata si chiuse con una sollevazione popolare che costrinse Quinziano a
fuggire per sottrarsi al linciaggio della folla9;
-
Le leggi della Chiesa, allora, consentivano la consacrazione ufficiale delle
vergini a Cristo solo dopo il raggiungimento del loro diciottesimo anno di età10;
-
La più antica raffigurazione iconografica di Sant‟Agata è il mosaico dell‟anno
550 circa presso la Chiesa di S. Apollinare Nuovo in Ravenna, in cui Agata è
raffigurata con indosso l‟abito ufficiale delle diaconesse con la tunica lunga,
con la dalmatica defluente dai ginocchi in giù e con la stola a tracollo. Da ciò si
evince che la prima tradizione orale catanese designava Agata come diaconessa,
pertanto doveva necessariamente aver superato i 20 anni d‟età11.
7
M. PELLEGRINO, L’inno del simposio di S. Metodio martire: in Riv. della facoltà di lettere e filosofia
dell‟Università di Torino, vol. X, fasc. 1, p.61, Torino, 1958
8
ASS, o.c., p. 616, n. 8
9
Cfr. P. BONFANTE, Istituzioni di Diritto Romano, p. 57, Roma, 1934. Corpus Iuris Civilis: Inst. 4, 1, 18.
S. DI SALVO, Lex Laetoria, pp.265, Napoli, 1979
10
Cfr. SCHIWIETZ, in Arch. für Katholichen Kirchen Recht, 78, 1898, 21 - 24
11
Enc. Catt., vol. VIII, col. 257, tavola XIX
10
Il processo
Il testo della redazione latina del martirio di Sant‟Agata sottolinea il fatto che Quinziano, il
proconsole, che reggeva la Sicilia intorno all‟anno 251, si innamorò di Agata e per tanto si
può ben dire che il fascino e la bellezza di Agata, furono la vera causa del suo martirio.
Infatti tra la fine del 250 e l‟inizio del 251 l‟imperatore Decio aveva già archiviato il suo
editto di persecuzione contro i cristiani e proprio il vescovo Dionigi tornato ad Alessandria
dopo l‟esilio, attestò che in quel momento l‟impero godeva un clima di piena pace.
Allora perché Agata, in quei primi mesi del 251 venne giustiziata in nome di quelle
persecuzioni che erano già state archiviate?
L‟unica risposta si può trovare nella forte rabbia e vendetta che un uomo come Quinziano,
potè nutrire nei confronti di una ragazza capace di respingere le sue proposte amorose.
Venuto a conoscenza della illibatezza di Agata, Quinziano fece di tutto affinchè potesse
vederla subito e al suo cospetto non seppe frenare il proprio ardore. Vedendosi respinto, fa
partire come una freccia la sua prima minaccia di arresto che provvide subito a
formalizzare e a fare eseguire.
Quell‟ordine di arresto non conteneva il motivo giuridico pertanto si presentava come un
provvedimento di custodia preventiva.
A tale titolo Quinziano dispose che Agata fosse affidata ad una matrona di nome Afrodìsia
per la durata di un mese. Afrodisìa era una donna dissoluta, madre di nove figlie tutte già
avviate alla prostituzione sacra, maestra di vizi e di corruzione.
L‟intento era chiaro: corrompere Agata ed avvicinarla ai piaceri della carne.
Per farle dimenticare Gesù, Afrodisia la tentò con ogni mezzo: banchetti, festini,
divertimenti di ogni genere, le promise gioielli, ricchezze e schiavi. Ma Agata disprezzava
ognuno di questi doni.
Durante la permanenza a casa di Afrodisia, fiorì la leggenda secondo cui la giovane,
avendo finto di accettare di darsi a Quinziano, si sarebbe posta al telaio per tessere una
coperta con la promessa che avrebbe sposato Quinziano appena ultimato il lavoro. Ma
Agata, come Penelope nella leggenda epica dell‟Odissea , di giorno tesseva e di notte
disfaceva il lavoro12. Quando lo strumento della persuasione si rivelò incapace a piegare la
12
11
sua ferrea volontà, Afrodisia usò allora le minacce; ma Agata incorruttibile, respingeva
ogni proposta, si mostrava insensibile a ogni minaccia, opponeva secchi rifiuti: «Vane sono
le vostre promesse, stolte le vostre parole, impotenti le minacce. Sappiate che il mio cuore
è fermo come una pietra in Cristo e non cederà mai»13.
Allo scadere del mese e di fronte alla fermezza di Agata, Afrodisia non potè far altro che
arrendersi.
Sconfitta e umiliata, riconsegnò la giovane a Quinziano: «Ha la testa più dura della lava
dell‟Etna, non fa altro che piangere e pregare il suo invisibile Sposo. Sperare da lei un
minimo segno d‟affetto è soltanto tempo perso14».
Dopo quel mese, il provvedimento poliziesco fu tramutato in un atto coercitivo di
comparizione giudiziaria, durante il quale Agata fu formalmente sottoposta ad un processo
con l‟accusa di vilipendio alla religione pagana incriminandola dello speciale delitto di lesa
maestà della religione dello Stato Romano15.
Il processo al quale Agata fu sottoposta comportò un‟istruttoria, un dibattimento e il
pronunciamento della sentenza.
Durante l‟istruttoria, Agata si mostra in tutta la sua dignitosa fierezza. All‟accusa, da parte
di Quinziano, di essersi presentata in tribunale vestita come una schiava, lei risponde che
tale abito era segno della sua consacrazione al servizio di Cristo e pertanto doveva essere
considerato emblema della massima libertà umana. Quinziano, risentito e imbarazzato
dalla dialettica di Agata, insorge imputando alla ragazza l‟accusa di vilipendio e lesa
maestà.
13
SANTO D‟ARRIGO, Il martirio di Sant’Agata nel quadro storico del suo tempo, Catania, 1988, p.699
14
15
Ivi,700
SANTO D‟ARRIGO, Il martirio di S. Agata nel quadro storico del suo tempo, II vol, pp 695 s., Catania
2002
12
Il martirio
Il magistrato fa infliggere ad Agata il supplizio dell‟eculeo detto anche cavalletto16.
L‟eculeo (dal latino equus, cavallo) consisteva in un tronco o tavolone di legno, sostenuto
da quattro gambe simili ad un piccolo cavallo.
In cima e ai piedi dello strumento erano applicati anelli, carrucola, ruote e viti giranti. Il
prigioniero veniva disteso supino con le braccia riverse verso la testa, oppure strettamente
legate dietro la schiena.
Assicurati i piedi agli anelli e i polsi o le braccia alle funi, le membra del torturato
venivano distorti e le ossa slogate.
Ad Agata furono stirate le membra, fu percossa con le verghe, lacerata col pettine di ferro,
le furono squarciati i fianchi con lamine arroventate ma ogni tormento, invece di spezzarle
la resistenza, sembrava darle nuovo vigore.
Allora Quinziano si accanì ulteriormente contro la giovinetta e ordinò agli aguzzini che le
amputassero le mammelle.
«Empio, crudele e disumano tiranno, non ti vergogni», gli disse Agata, «di stroncare in una
donna le sorgenti della vita dalle quali tu stesso traesti alimento, succhiando al seno di tua
madre?17».
L‟ordine di Quinziano era un gesto di rabbia e di vendetta: ciò che non aveva potuto
ottenere ora voleva distruggere.
Vederla soffrire sotto il dolore del martirio, violandone il pudore, umiliandola nella sua
dignità di donna. Questo forse, avrebbe reso giustizia ad un rifiuto in fronte ad un Essere
Inesistente, ma nessun segno di turbamento segnò il volto né le parole di Agata, la quale
disse: «Tu strazi il mio corpo, ma la mia anima rimane intatta.»
Agata fu riportata in cella, ferita e sanguinante.
Quest‟ultima delle torture, costituirà in seguito il segno distintivo del suo martirio, infatti
nell‟iconografia sacra Agata verrà rappresentata con le tenaglie e i due seni posati su un
piatto.
16
GIOVANNI LANZAFAME, Sant’Agata e la sua festa; barocco in processione, Ed.Greco, Catania, 2005,
p.28
17
ASS, o.c., p. 616, n. 8
13
In carcere, dopo tre giorni, a mezzanotte l‟apostolo Pietro, accompagnato da un bambino
porta lanterna, appare ad Agata.
Inizialmente Agata non volle che l‟anziano le porgesse i medicamenti che aveva portato
con sé per guarire le sue ferite. «La mia medicina è Cristo», disse rifiutando delicatamente
l‟aiuto, «se egli vuole, con una sola parola, può risanarmi18».
Ma quando l‟uomo la rassicurò e le disse di essere l‟apostolo di Cristo, Agata chinò il capo
e accettò che su di lei si compisse la volontà di Dio.
Quando fu ricondotta in tribunale per la terza volta, Quinziano, sbalordito e incredulo nel
vedere rimarginate le ferite sul corpo di Agata, volle sapere cosa fosse accaduto.
Agata gli rispose fiera: «Mi ha fatta guarire Cristo19».
Quella giovane fanciulla, così bella e fragile ma anche così determinata, doveva apparire al
proconsole come la più pesante delle sconfitte personali.
Per Agata fu decisa la morte più atroce: un letto di tizzoni ardenti con lamine arroventate e
punte infuocate.
A questo punto, secondo la tradizione, si sarebbe verificato un altro miracolo a
testimoniare la chiara santità di Agata: il fuoco, che straziava il suo corpo, non bruciò
invece il velo (Flammeum Virginale) che la ricopriva.
Per questa ragione il «velo di sant‟Agata» diventò da subito una delle reliquie più preziose.
Dopo un anno esatto dalla sua morte, il 5 febbraio 252, una violenta eruzione dell‟Etna
minacciava Catania. Molti cristiani e cittadini anche pagani, corsero al suo sepolcro,
presero il prodigioso velo e lo opposero alla lava di fuoco che si arrestò; da allora S. Agata
divenne non soltanto la patrona di Catania, ma la protettrice contro le eruzioni vulcaniche
e, in seguito, contro gli incendi.
Le fonti storiche dicono che, quando Agata fu spinta nella fornace, un violento terremoto
scosse l‟intera città di Catania20.
Immediatamente tutti pensarono che fosse il grido di dolore della sua terra, afflitta per
l‟orrendo delitto.
E così tra verità e leggenda si giunge all‟epilogo.
18
ASS, o.c. pp. 616 ss., nn.7 - 10
ASS, o.c., p.618, n.11
20
ASS, o.c., p.618, n.12
19
14
Il tremendo terremoto fece crollare le mura del pretorio ove era stata pronunciata la
condanna.
Seppelliti tra le macerie, rimasero i due fidi consiglieri di Quinziano: Silvano e Falconio.
Il popolo, nel frattempo, cominciò a tumultuare e a ribellarsi al punto da indurre il tiranno a
fuggire sul suo cavallo verso la piana di Catania; giunto che fu a ridosso del fiume Simeto,
il cavallo lanciato a forte velocità scivolò giù, scaraventando Quinziano nelle agitate e
limacciose acque del fiume.
Per questa ragione una leggenda popolare, che si trascina tutt‟oggi vuole che di tanto in
tanto il fantasma del proconsole vaghi inquieto in quelle zone, mentre c‟è chi sostiene di
vedere le quiete acque del fiume, in certi periodi dell‟anno, ribollire ancora per lo sdegno
echeggiando nell‟aria uno scalpitio di cavallo.
La folla dei catanesi che aveva assistito al supplizio di Agata l‟accompagnò alle porte del
carcere, dove venne condotta agonizzante, e vegliò su di lei negli ultimi istanti prima della
morte.
Con le poche forze che le erano rimaste, Agata unì le mani in preghiera e, di fronte alla
folla commossa, recitò con un filo di voce questa orazione spontanea: «Signore, che mi hai
creato e custodito fin dalla mia prima infanzia e che nella giovinezza mi hai fatto agire con
determinazione, che togliesti da me l‟amore terreno, che preservasti il mio corpo dalle
contaminazioni degli uomini, ti prego di accogliere ora il mio spirito.21»
I cristiani che avevano assistito al martirio e alla morte di Agata raccolsero con devozione
il suo corpo e lo cosparsero di aromi e di oli profumati, come era in uso a quell‟epoca.
Poi con grande venerazione lo deposero in un sarcofago di pietra, che da allora è luogo di
culto22.
Quando il sepolcro ormai stava per essere chiuso, si avvicinò un fanciullo, vestito di seta
bianca e seguito da altri cento giovanetti. Presso il capo della vergine depose una tavoletta
di marmo, che oggi è una preziosa reliquia custodita nella chiesa di sant‟Agata a Cremona,
con l‟iscrizione latina « Mentem Sanctam Spontaneam Honorem Deo et Patriae
21
22
ASS, o.c., p.618, n.12
Cfr. Fonti archeologiche
15
Liberationem» che in italiano significa «Mente santa che volentieri rese onore a Dio e
salvezza della sua patria».
Questa iscrizione, detta anche «elogio dell‟angelo», è la sintesi delle caratteristiche della
santa catanese ed è anche una solenne promessa di protezione alla città.
Invalse allora la consuetudine di scolpire tali parole nelle campane, anche in quelle di uso
civile.
Si leggono ancor oggi sopra una grande campana della basilica di S. Pietro in Vaticano,
sopra la campana maggiore di Assisi e in numerose campane d‟Europa23.
Catania conservò, pare, la preziosa tavoletta sino al 563, ma poi fu rubata e trasportata a
Cremona dov‟è tutt‟oggi conservata nella Chiesa dedicata a Sant‟Agata.
23
A. GERMANÀ DI STEFANO, Una poesia inedita in onore di S. Agata, Catania,1995 Pag.25
16
4. I miracoli e la nascita della devozione
Si attribuiscono ad Agata un‟infinità di miracoli.
Ancora oggi, si dice che la sua opera di protezione preserva Catania dalle furie della natura
e dalle intemperanze degli stessi cittadini.
Ne riporterò solo alcuni, i più emblematici, dai quali si potrà evincere il grande amore e la
devozione dei catanesi per la loro «Santuzza1».
Il miracolo del Velo.
Trascorso un anno esatto dal martirio di Agata, l‟Etna minacciò di distruggere Catania con
una violenta ed inarrestabile colata lavica.
Certi della grandezza e della santità di Agata, i catanesi, con grande devozione, presero il
velo rosso poggiato sul sarcofago della Santa e, tra preghiere e invocazioni, lo portarono in
processione dinanzi al fronte della colata nella speranza che la giovinetta potesse
intercedere e salvare la città da un triste destino2.
L‟eruzione iniziata il primo di febbraio, si arrestò miracolosamente il 5 dello stesso mese,
giorno in cui ricorreva il primo anniversario del martirio.
Da questo momento ha inizio il patrocinio di S. Agata sulla città di Catania3.
Una tradizione popolare vuole inoltre, che il Velo virginale di S.Agata, lungo m. 4 e largo
cm. 50, originariamente sarebbe stato di colore bianco in segno di candore4.
La leggenda vuole che non appena esso fu posto a contatto con la lava, diventò rosso fuoco
proprio del colore che ancora oggi si osserva, sappiamo però da fonti storiche che il velo
faceva parte dell‟abito delle diaconesse e che era di colore rosso5.
Dopo questo primo miracolo la fama di Sant‟Agata si diffuse rapidamente in tutta l‟isola e
da lì a poco si propagò oltre lo stretto di Messina.
1
Lett. «Piccola Santa», vezzeggiativo usato dai catanesi per chiamare Agata
SANTO PRIVITERA, Il libro di Sant’Agata, Catania, 1999, p.28
3
MARIA TORRISI, Sant’Agata, Cinisello Balsamo (Mi), 1997, p.19
4
SANTO PRIVITERA, Il libro di Sant’Agata, Catania, 1999, p.30
5
Cfr. Fonti Storiche
2
17
La sua tomba, venerata in una cappelletta nei pressi del luogo del martirio, divenne meta di
numerosi pellegrinaggi.
Il miracolo a S. Lucia
Nel 303 circa, cinquantadue anni dopo il martirio, la giovane Lucia di Siracusa, andò con
la propria madre Eutichia, gravemente ammalata, a visitare il sepolcro di S. Agata.
Lucia, inginocchiata sulla tomba della vergine e martire catanese, pregò con fervore per la
guarigione della madre, finchè S.Agata apparsale in sogno le disse: « Lucia, sorella mia,
perché domandi a me ciò che tu stessa puoi fare? confida che come la città di Catania è
sublimata da me in Cristo, così la tua Siracusa sarà nobilitata da lui per te6».
Lucia ritornò a Siracusa col cuore pieno di gioia e speranza.
La madre guarì e la profezia del suo martirio si avverò un anno dopo: santa Lucia è stata
infatti martirizzata il 13 dicembre del 304, durante le persecuzioni di Diocleziano.
Federico II
Nel 1231 Federico II arriva in Sicilia per assoggettarla al proprio dominio.
Diverse città dell‟isola si ammutinarono, e tra esse Catania.
Federico II furente ne ordinò la distruzione, ma i catanesi ottennero che, prima
dell‟esecuzione dello sterminio, in cattedrale venisse celebrata l‟ultima messa, alla quale
presenziò lo stesso imperatore.
Durante la funzione però accadde il miracolo.
Il re svevo, sulle pagine del suo breviario, lesse una frase, comparsa miracolosamente, che
gli suonò come un pericoloso avvertimento: «Noli offendere Patria Agathae quia ultrix
iniuriarum est.» (Non offendere la patria di Agata perché essa vendica le ingiustizie)7.
Immediatamente abbandonò il progetto di distruzione, revocò l‟editto e si accontentò
soltanto che il popolo passasse sotto un simbolico giogo formato da due spade appese ad
6
7
SANTO PRIVITERA, Il libro di Sant’Agata, Catania, 1999, p.30
ALFONZO DEODATO TOSCANO, Catania e Sant’Agata, Catania 1959, p.43
18
una porta ubicata in un quartiere del centro della città che per questo motivo venne
chiamata “Porta di mezzo”.
La città ricorda questo evento con un bassorilievo di marmo che si trova oggi all‟ingresso
del palazzo comunale e raffigura Agata, seduta su un trono come una vera regina, che
calpesta il volto barbuto di Federico II di Svevia.
La lava e i terremoti
Nel 1169 un terremoto fece da preludio a una tremenda eruzione. Un fiume di lava,
scorrendo per i pendii dell‟Etna e allargandosi per le campagne, distruggeva ogni cosa al
suo passare e avanzava inarrestabile verso la città. E come era avvenuto un anno dopo la
morte di Agata, una processione di fedeli, invocando la protezione della sua Patrona portò
il sacro velo innanzi alla colata. Questa si bloccò, piegandosi così ad un volere superiore,
ad un volere capace di superare per intensità quello stesso della natura.
Miracoli simili i catanesi li ottennero anche nel 1239, nel 1381, nel 1408,nel 1444, nel
1536, nel 1567 e nel 16358.
L‟eruzione più disastrosa però avvenne nel 1669: una serie di bocche si aprirono lungo i
fianchi del vulcano, che eruttò lava e lapilli per sessantotto giorni.
La lava distrusse molti centri abitati e giunse fino in città, circondando il fossato del
Castello Ursino.
Quando il magma giunse a una distanza di trecento metri dal Duomo, miracolosamente
scansò i luoghi in cui Sant‟Agata era stata imprigionata, aveva subito il martirio e dove poi
era stata sepolta, per andare a scaricarsi in mare e proseguire per più di tre chilometri verso
il mare.
Sembrò chiara la volontà della santa catanese di salvare i luoghi che appartenevano alla sua
storia e al suo culto.
A quella terribile eruzione è legato anche un altro evento prodigioso: un affresco, che
raffigurava sant‟Agata in carcere, e che si trovava in un‟edicola sulle mura delle città, fu
trasportato intatto dal fiume di lava per centinaia di metri.
Tutt‟oggi quel dipinto si trova sull‟altare maggiore di una chiesa dedicata alla patrona.
8
MARIA TORRISI, Sant’Agata, Cinisello Balsamo (Mi), 1997, p.23
19
La particolare posizione geografica della sua Catania però non lascia lunghe tregue e nel
1693 un violento terremoto fece tremare nuovamente Catania.
Si contarono circa diciottomila morti. Nessuno dei superstiti voleva più ritornare in città.
Il tesoriere Don Giuseppe Cilestri che si era miracolosamente salvato, presa una preziosa
reliquia di S. Agata (la mammella) ed il Ciborio che egli stesso aveva con le sue mani poco
prima tirato da sotto le macerie, e li portò al cospetto dei superstiti.
Di fronte alle suppliche del Cilestri e a quelle sante reliquie, i catanesi scampati alla
catastrofe tornarono in città e rimboccandosi le maniche contribuirono in maniera
determinante alla ricostruzione della città.
La peste
In più occasioni Sant‟Agata ha posto la sua mano sulla città anche a protezione dalle
epidemie.
Nel 1575 imperversò in Sicilia il terribile flagello della peste e molti catanesi si
ammalarono finendo negli ospedali.
Come riferiscono gli “Acta Sanctorum”, i catanesi portarono, per le vie della città, il corpo
della martire e una volta giunte accanto agli ospedali dove erano ricoverati gli appestati,
essi guarirono e nessuno fu più contagiato9.
Catania ottenne un altro segno di protezione nel 1743, quando una seconda ondata di peste
stava per diffondersi da Messina anche a Catania.
Il miracolo ci fu anche stavolta: le reliquie furono portate in processione e la peste cessò.
In ricordo di questo prodigio, i catanesi, eressero nell‟odierna piazza dei Martiri (che il
popolino denominò «chianu „a statua» letteralmente «piano della statua») il monumento
che raffigura S. Agata in atto di schiacciare un serpente simboleggiante la peste.
Il terremoto del 1908
Il 28 dicembre del 1908, la città di Catania viene svegliata da una forte scossa sismica, si
temettero danni a case e persone ma, fortunatamente, l‟evento riservò solo tanto spavento.
9
SANTO PRIVITERA, Il libro di Sant’Agata, Catania, 1999, p.33
20
Alla notizia che le città di Messina e Reggio Calabria erano ridotte ad un cumulo di
macerie, molti catanesi partirono per prestare soccorso.
La popolazione, fortemente provata dall‟avvenimento e memore del disastroso sisma che
nel 1693 aveva atterrato la città, temette il ripetersi di quell‟evento.
Fu così che il Cardinale Arcivescovo Francica Nava affidandosi nuovamente alla
grandezza di Agata, portò in processione il miracoloso Velo agatino percorrendo la via
Stesicorea (oggi via Etnea) per circa tre chilometri, partendo dalla Cattedrale e arrivando
alla Chiesa di Sant‟Agata al Borgo.
Le temute scosse sismiche non si verificarono.
La devozione: i patronati
La devozione per la santa catanese è davvero molto diffusa: in Italia sant‟Agata infatti, è
patrona di 44 comuni, 14 dei quali portano il nome della santa.
Il titolo più antico lo detiene la città di Catania, qui la devozione è profondamente radicata
ed il nome di Agata riecheggia nella storia della città.
La “ A ”, lettera iniziale di questo popolarissimo nome, sormonta il monumento principale
della città, l‟elefante Eliodoro, simbolo di Catania posizionato al centro della barocca
Piazza Duomo, proprio in fronte alla Cattedrale. Con lo sguardo rivolto ad est, l‟elefante
Eliodoro troneggia sul suo alto obelisco, come a vedetta, a protezione della dimora odierna
di Agata, posta dentro la splendida Basilica catanese. Un‟altra “ A ” si staglia nella pietra
sulla facciata del Palazzo municipale, una campeggia al centro dello stemma civico,
un‟altra al centro del gonfalone dell‟Università10.
All‟estero sant‟Agata è compatrona della Repubblica di San Marino.
Questa devozione ha un‟origine antica: secondo la tradizione proprio il 5 febbraio, giorno
del martirio della santa catanese, uno scalpellino dalmata di nome Marino, sfuggito con
altri cristiani alle persecuzioni di Diocleziano (nel IV secolo), fondò il piccolo Stato sorto
attorno al monte Titano. Ma la santa catanese è compatrona anche di Rabat, a Malta, dove
10
SANTI CORRENTI, Cataniamia, Catania, 2000, p.38
21
una tradizione locale vuole che Agata si fosse rifugiata sull‟isola durante le persecuzioni di
Decio.
Gli abitanti di Rabat hanno voluto individuare nelle “ catacombe di sant‟Agata ” il punto
preciso in cui si nascose per alcuni giorni.
Anche qui la devozione affonda le sue radici nella storia: il 20 luglio 1551, durante il
primo assedio di Malta, una statua di sant‟Agata fu collocata sulle mura della città affinché
la proteggesse.
La tradizione vuole che mille abitanti dell‟isola, con l‟aiuto celeste della santa, siano
riusciti a contrastare e a bloccare l‟assedio di diecimila turchi11.
In Spagna Agata è la patrona di Villalba del Alcor, in Andalusia, dove esiste un simulacro
rivestito di preziosi broccati.
Sant‟Agata è venerata anche a Jena, in provincia di Valencia, mentre a Barcellona le è stata
dedicata la cappella del Palazzo reale, dove i re cattolici ricevettero Cristoforo Colombo di
ritorno dalla scoperta dell‟America.
Nella provincia di Segovia, sempre in Spagna, ogni anno, il 5 febbraio viene eletta una
sindachessa e quel giorno nella cittadina lo scettro del potere è affidato soltanto alle donne.
In Portogallo sant‟Agata (in portoghese Agueda) è patrona di una cittadina che porta il suo
nome, nella provincia di Coimbra.
In Germania è patrona di Aschaffemburg, una città della Baviera.
In Francia molte sono le località sotto il patronato di Agata: a Le Fournet, una città
immersa nei boschi della Normandia, nello stemma cittadino, in onore della santa, sono
raffigurate la palma, simbolo del martirio, e la tenaglia, strumento con cui venne torturata.
In Grecia molte località portano il nome di Agata e la santa si invoca per scongiurare i
pericoli delle tempeste.
In Argentina, dove è la protettrice dei vigili del fuoco, le è stata dedicata la cattedrale di
Buenos Aires. In diversi altri punti del pianeta ci sono luoghi di venerazione agatini,
persino in America, dove esistono una Sainte Agathe des Monts nel Québec e una Sainte
Agathe en Monitoba presso Winnipeg, in Canada.
11
GIOVANNI LANZAFAME, Sant’Agata e la sua festa; barocco in processione, Catania, 2005, p.23
22
Ma anche in India, a Viayawala, c‟è un santuario a lei dedicato12.
Stabilire quanti siano in tutto il mondo i luoghi di culto e i devoti di sant‟Agata è
un‟impresa alquanto difficoltosa.
I fonditori di campane
Un tempo sant‟Agata era considerata protettrice dei fonditori di campane e degli ottonai.
Questa tradizione nacque, secondo alcuni, perchè, quando scoppiavano calamità, era
consuetudine suonare le campane.
Quindi la santa, solitamente invocata contro le calamità, fu nominata protettrice di coloro
che realizzavano gli strumenti utilizzati per dare l‟allarme.
Ma, secondo altri, la protezione era invocata dagli stessi fonditori affinché la vergine
catanese proteggesse la fusione e la perfetta riuscita delle campane.
I tessitori
La venerazione di sant‟Agata come patrona dei tessitori nasce dalla leggenda popolare, che
ho già citato nel racconto del processo, che ha trasformato Agata in una sorta di Penelope
cristiana.
La leggenda vuole che Agata, per allontanare le nozze con un uomo molesto e odioso,
sicuramente lo stesso Quinziano, lo avrebbe convinto ad aspettare che fosse terminata una
tela che stava tessendo.
Ma, come faceva la moglie di Ulisse con i Proci, Agata di giorno tesseva e di notte scuciva,
cosicché la tela non fu mai ultimata.
Agata, protettrice dai pericoli del fuoco
La devozione per sant‟Agata protettrice contro i pericoli del fuoco si diffuse durante il
Medioevo.
12
MARIA TORRISI, Sant’Agata, Cinisello Balsamo (Mi), 1997, p.27
23
Si disse a quell‟epoca che, se la santa proteggeva contro il fuoco di un vulcano, a maggior
ragione poteva difendere contro tutti gli incendi. La prerogativa di allontanare il fuoco ha
diffuso il culto di sant‟Agata oltre i confini nazionali.
Per esempio a Lione, in Francia, i contadini il 5 febbraio fanno benedire un pane che
scagliano contro le fiamme in caso di incendio. Sempre durante il Medioevo si diffuse la
credenza che sant‟Agata proteggesse anche contro qualsiasi altra calamità naturale:
inondazioni, bufere, epidemie e carestie13.
Agata protettrice dalle malattie femminili
Sempre più donne si rivolgono oggi a Sant‟Agata, che fu martirizzata con l‟amputazione
delle mammelle, per scongiurare le malattie e i tumori al seno e, più in generale, contro
tutte le malattie femminili.
Numerosi sono i casi di guarigioni miracolose operate per intercessione di Sant‟Agata su
casi diagnosticati inguaribili.
Sant‟Agata inoltre protegge le puerpere che hanno male al seno e le gestanti che a lei si
rivolgono per ottenere un parto felice e la grazia di allattare personalmente i propri figli.
L’iconografia
Il nome e l‟esempio di Agata sono stati fonte di notevole ispirazione per gli artisti lungo i
secoli. Andando a ritroso nel tempo riscontriamo la presenza della santa martire catanese
già nell‟arte bizantina del VII secolo: in un mosaico della chiesa di Sant‟Apollinare Nuovo
a Ravenna dove viene rappresentata in piedi, vestita dell‟abito ufficiale delle diaconesse,
una lunga tunica verde. Nel rinascimento vediamo raffigurazioni della martire con le
tenaglie e i seni in una coppa come nelle opere di Filippo Lippi nella Galleria degli Uffizi e
di Sebastiano del Piombo nella Galleria Pitti a Firenze14.
Dal secolo XVI in poi gli attributi si svolgono in forme narrative e a volte drammatiche
come nel dipinto del Tiepolo e di quelli dei pittori della scuola del Caravaggio.
13
14
MARIA TORRISI, Sant’Agata, Cinisello Balsamo (Mi), 1997, p.28
Vedi Appendice fotografica
24
Del secolo XVI è la bellissima statua di Sant‟Agata, venerata a Sorihuela di Guadalimar,
provincia di Jaen in Andalusia, del secolo XX opera di Antonio Leanes, la statua
professionale di Sant‟Agata di Villalba del Alcor, provincia di Huelva sempre in
Andalusia15.
Nel patrimonio artistico di Catania esistono opere pittoriche degne di rilievo che
raffigurano sant‟Agata; ma nelle parti plastiche, oltre al busto reliquiario, opera del XIV
secolo dell‟insigne orafo senese Giovanni Di Bartolo, esistono pochissime opere scultoree
che raffigurano la Santa Patrona.
Tale opera offre un‟immagine dolce della santa, con un sorriso placido.
Ma lo stemma della città, scolpito nella pietra lavica dell‟Etna, raffigura Agata con lo
sguardo fiero e con la spada sguainata e pronta a difendere quanti a lei si affidano; è
un‟immagine che incute timore.
Le immagini di Sant‟Agata, centinaia diffuse in tutto il mondo, rappresentano la santa con i
simboli e gli elementi del martirio: giglio della purezza, palma del martirio, tenaglie, seno
reciso.
15
Vedi Appendice fotografica
25
5. Le reliquie: trafugamento e ritorno a Catania
Nel 1040, dopo due secoli di dominazione araba, i Bizantini comandati dal generale
Giorgio Maniace tentarono di riconquistare la Sicilia.
La loro vittoria fu soltanto temporanea, anche perché Stefano, il responsabile della flotta
bizantina, commise il grave errore di farsi sfuggire il più importante prigioniero di guerra,
il capo militare arabo Abd Allah.
Per questa ragione il generale Maniace inflisse a Stefano una severa punizione, ignaro che
l‟ammiraglio fosse fratello dell‟imperatore Michele IV Plaflagone della casa imperiale di
Costantinopoli.
Per sanare l‟incidente diplomatico e recuperare la stima dei sovrani, Giorgio Maniace
decise di donare alla casa regnante le preziose reliquie di Sant‟Agata, di Santa Lucia, di
Sant‟Euplio e San Leone, già conosciute e venerate in tutto il Mediterraneo1.
Il 6 gennaio 1040, fra la disperazione del popolo catanese e la protesta delle autorità
ecclesiastiche, le reliquie furono imbarcate su una nave per essere traslate nella chiesa di
santa Sofia, a Costantinopoli.
Non appena il comandante diede l‟ordine di salpare, una violenta tempesta si abbattè sulla
città per tre giorni, sconvolgendo il mare e distruggendo diverse imbarcazioni della flotta
bizantina, quasi che sant‟Agata non volesse staccarsi dalla sua città.
Alla fine i catanesi, addolorati e inermi, videro allontanarsi a bordo di una nave bizantina
le preziose reliquie della loro patrona.
Una fontanella con un‟effige di sant‟Agata che guarda ad oriente, posta di fronte alla
marina, ricorda il punto dal quale i catanesi in lacrime assistettero impotenti a questo furto.
Passarono 86 anni prima che le reliquie di Sant‟Agata tornassero in patria. La tradizione
vuole che fosse la stessa Santa a volerlo, richiedendolo espressamente a due militari della
guardia imperiale bizantina a lei devoti, Gisliberto (o Gilberto) e Goselmo (o Guglielmo).
S. Agata apparve in sogno a Gisliberto, esprimendogli la precisa volontà di tornare in
patria.
1
TERESA DI BLASI, Storia cronologica del Regno di Sicilia, vol.I, Catania, 1987, p.61
26
Il soldato francese inizialmente non dette peso a quel sogno ma quando esso si ripetè per
altre due volte, si confidò col commilitone Goselmo.
Insieme decisero di assecondare quel sogno.
I due militari, praticarono un foro nel tetto della chiesa di S. Sofia dov‟era stato deposto il
corpo della martire catanese.
Poi, calatisi nel tempio, giunsero davanti al sarcofago e qui prelevarono il corpo2.
Per sfuggire più facilmente ai controlli dovettero sezionare il corpo della santa in cinque
parti, per poi nasconderle dentro le faretre in cui normalmente si riponevano le frecce,
ricoprendo il tutto con petali di rose profumate.
Approdarono prima a Smirne, da lì attraverso il mare Adriatico, approdarono a Taranto;
qui effettuarono una prima ricognizione delle membra sparse di sant‟Agata.
Nel riporle nuovamente nelle faretre, i due soldati lasciarono fuori una mammella, tutt‟oggi
venerata nella chiesa di Santa Caterina d‟Alessandria a Galatina, in provincia di Lecce.
Giunti a Messina con il prezioso carico, vi sostarono per circa tre giorni.
Gisliberto partì verso Catania per dare la notizia alle autorità locali, mentre le reliquie
furono lasciate in un monastero sotto la custodia di Goselmo.
Nell‟agosto del 1126 il Vescovo Maurizio si trovava nella residenza estiva di Acicastello
quando apprese da Gisliberto la lieta notizia del ritorno in Sicilia del corpo di Agata3.
Per prudenza, prima di diffondere la notizia in città, volle accertarsi che i due dicessero la
verità e che quelle che avevano trasportato fossero realmente le spoglie della santa.
Inviò a Messina due monaci benedettini fidatissimi, Oldmanno e Luca, per il
riconoscimento: le reliquie furono confrontate con i referti redatti durante le ultime
ricognizioni.
Soltanto dopo la conferma dei monaci, il Vescovo Maurizio diede la notizia ai catanesi.
Era il 17 agosto 1126.
Il popolo, svegliato durante la notte da uno scampanio a festa, non perse tempo a cambiarsi
e si riversò in strada così come si trovava, anche a piedi nudi e in camicia da notte, per
accogliere prima possibile le reliquie finalmente recuperate.
2
SANTI CORRENTI, “L’avventurosa vicenda”, sta in Agata, nobile e martire, p.18, supplemento alla
rivista “Prospettive”, Catania, 1991
3
CARMELINA NASELLI, lo studio catanese e il culto di Sant’Agata, Catania 1934, p.72
27
L‟incontro tra il Vescovo Maurizio recante le Sacre reliquie e le autorità nobiliari catanesi,
tra due ali festanti di popolo che sventolava bianchi fazzoletti, avvenne nei pressi del
quartiere di Ognina.
A ricordo dell‟avvenimento, il Vescovo Maurizio, fece erigere nel luogo esatto
dell‟incontro, un tempietto denominato Sant‟Agata alle sciare.
I documenti storici del 1126, registrano un miracolo, compiuto quella stessa notte. Una
donna, cieca e paralitica dalla nascita, riacquistò vista e uso delle gambe nell‟atto di
prostrarsi davanti al sacro tesoro4.
I catanesi furono così riconoscenti ai due soldati che li elessero cittadini onorari e li vollero
eterni custodi delle reliquie della santa: le loro spoglie infatti, riposano in cattedrale, in una
parete della cappella della Madonna, accanto a quelle di sant‟Agata.
Il busto reliquiario
Dal 1376 la testa e il torace di sant‟Agata sono custoditi in un prezioso reliquiario
d‟argento lavorato finemente a sbalzo e decorato con ceselli e smalto.
Ha l‟aspetto di una statua a mezzo busto, con l‟incarnato del volto in fine smalto e il
biondo dei capelli in oro, in realtà, però, è un raffinato forziere, cavo all‟interno, in cui
sono custodite le reliquie della testa, del costato e di alcuni organi interni.
L‟opera venne commissionata nel 1373 dall‟allora vescovo di Catania, Marziale, un
benedettino francese oriundo di Limoges, all‟orafo senese Giovanni Di Bartolo.
Il busto, alto 60 cm, è in argento sbalzato rifinito a cesello, parzialmente dorato. Poggia su
una base ottagonale allargate da due mensoline. Sulle facciate ottagonali Di Bartolo pose lo
stemma degli Aragona, in quel tempo regnanti in Sicilia, della città di Catania, del Papa
Gregorio XI e dei due vescovi committenti, Marziale ed Elia che gli successe. L‟opera è
un vero capolavoro d‟arte e giunse a Catania l‟11 dicembre del 1376.5
La devozione dei fedeli arricchisce continuamente di gioielli, ori e pietre preziose la
finissima rete che ricopre il Busto.
4
5
MARIA TORRISI, Sant’Agata, Cinisello Balsamo (Mi), 1997, p.33
G. LANZAFAME, Sant‟Agata e la sua festa, Barocco in processione, pag 47 s., ed. Greco, 2005
28
Tra gli oltre 250 pezzi che a più strati ricoprono il reliquiario, alcuni sono doni di
particolare valore6.
La corona, un gioiello di 1370 grammi tempestato di pietre preziose, fu, secondo una
tradizione non confermata, un dono di Riccardo I d‟inghilterra detto “ Cuor di Leone ”, che
giunse in Sicilia nel 1190, durante una crociata. La regina Margherita di Savoia, nel 1881,
offrì un prezioso anello, mentre il vicerè Ferdinando Acugna una massiccia collana
quattrocentesca.
Vincenzo Bellini donò alla patrona della sua città la croce di cavaliere della Legion
d‟Onore conferitagli nel 1835 dal re di Francia Luigi Filippo.
Anche papi, vescovi e cardinali negli anni hanno arricchito il tesoro di sant‟Agata di
collane e croci pettorali, oggetti preziosi che si aggiungono ai tantissimi ex voto che il
popolo catanese continua a offrire alla “Santuzza”. Nella stessa data in cui fu realizzato il
Busto, gli orafi di Limoges eseguirono anche i reliquiari per le membra: uno per ciascun
femore, uno per ciascun braccio, uno per ciascuna gamba.
I reliquiari per la mammella e per il velo furono eseguiti più tardi, nel 1628.
Attraverso il vetro delle teche, che protegge ma non nasconde, durante la festa di
sant‟Agata si può vedere il miracoloso velo, una striscia di seta rosso cupo, lunga 4 metri e
alta 50 centimetri, che le ricognizioni garantiscono ancora morbida, come se fosse stata
tessuta di recente.
Attraverso il reliquiario della mano destra e del piede destro si possono scorgere i tessuti
del corpo della santa ancora miracolosamente intatti7.
Lo scrigno
Le reliquie del corpo, che per secoli furono conservate in una cassa di legno, daI 1576 si
trovano in uno scrigno rettangolare d‟argento alto 85 centimetri, lungo un metro e 48, largo
56. Il coperchio è suddiviso in 14 riquadri che raffigurano altrettante sante che onorano
Agata. All‟interno si conservano anche due documenti storici: la bolla pontificia di Urbano
Il del 1091 che conferma solennemente che sant‟Agata nacque a Catania e non a Palermo,
6
7
SALVATORE ROMEO, S. Agata V. M. e il suo culto, Catania 1992, p. 221
Vedi Appendice fotografica
29
come voleva una tradizione, e una pergamena del 1666 che proclama sant‟Agata protettrice
perpetua di Messina8.
La reliquia del seno
Fra tutte le città italiane di cui sant‟Agata è compatrona, Gallipoli e Galatina, in Puglia,
sono coinvolte in una singolare contesa che vede come protagonista una reliquia di
sant‟Agata, la mammella.
Una leggenda diffusa in Puglia spiegherebbe con un miracolo la presenza della reliquia a
Gallipoli.
Si dice che l‟8 agosto del 1126 sant‟Agata apparve in sogno a una donna e la avverti che il
suo bambino stringeva qualcosa tra le labbra.
La donna si svegliò e ne ebbe conferma, ma non riuscì a convincerlo ad aprire la bocca.
Tentò a lungo: poi, in preda alla disperazione, si rivolse al vescovo.
Il prelato recitò una litania invocando tutti i santi, e soltanto quando pronunciò il nome di
Agata il bimbo aprì la bocca9.
Da essa venne fuori una mammella, evidentemente quella di sant‟Agata.
La reliquia rimase a Gallipoli, nella basilica dedicata alla santa, dal 1126 al 1389, quando
il principe Del Balzo Orsini la trasferì a Galatina, dove fece costruire la chiesa di Santa
Caterina d‟Alessandria d‟Egitto, nella quale è ancora oggi custodita la reliquia, presso un
convento di frati cappuccini.
Altre reliquie si trovano in varie parti del mondo10.
8
Cfr. SANTO D‟ARRIGO, Il martirio di S. Agata nel quadro storico del suo tempo, II vol, p.345, Catania
2002 – PATERNO‟ – BONAIUTO, L’ardenza e tenacità dell’impegno di Palermo nel contendere a Catania
la gloria di aver dato alla luce S. Agata, Catania, 1747, p. 84
9
MARIA TORRISI, Sant’Agata, Cinisello Balsamo (Mi), 1997, p.35
10
A Palermo sono custodite le reliquie dell‟ulna e del radio di un braccio. A Messina un osso del braccio. A Roma, in
diverse chiese si conservano frammenti del velo. A Sant‟Agata dei Goti, in provincia di Benevento, si conserva un dito.
Altre piccole reliquie si trovano a Sant‟Agata di Bianco, a Capua, a Capri, a Siponto, a Foggia, a Firenze, a Pistoia, a
Udine, a Ferrara. Anche all‟estero si custodiscono piccole reliquie di sant‟Agata. In Spagna: a Palencia, a Oviedo e a
Barcellona. In Francia: a Cambrai, Hanan, Breau Preau e Douai. In Belgio: a Bruxelles, a Thienen, a Laar; ad Anversa. E
ancora, in Lussemburgo, nella Repubblica Ceca (Praga) e in Germania (Colonia).
30
II PARTE
La devozione
Le origini della festa di S. Agata
Le origini del culto agatino risalgono all‟anno successivo al suo martirio, avvenuto nel
251. La conversione collettiva del popolo alla fede si ebbe col primo miracolo compiuto
dal Velo agatino che arrestò immediatamente il fiume di lava che si dirigeva verso la città.
Diversa invece è l‟origine della festa.
Studiosi del „6 – „700, tra cui Pietro Carrera e Francesco Privitera, accennano che già
molti secoli prima della nascita della Santa, per predizione o veggenze di sibille e profeti
nella Catania pagana, il popolo recava in giro per le piazze e le strade la statua di una
Vergine col bambino simboleggiante la futura madre del Redentore; “giro”, affermano gli
studiosi, “che fu un abbozzo della festa della Vergine e Martire Agata sua figlia e
11
discepola” .
A ciò va riferita un‟altra antica tradizione frequentemente accostata ad alcuni riti e usanze
ancora oggi in uso nella festa di S. Agata, cioè il culto della dea egiziana Iside, venerata
come simbolo di sposa, madre, guida dei defunti, protettrice dei naviganti12.
Secondo quanto riferisce lo studioso Emanuele Piaceri, citando la descrizione lasciata dal
filosofo Apuleio nella celebre “Metamorfosi”, si potrebbe attestare che l‟antica festa di
Iside in Corinto avrebbe parecchi punti in comune con la Festa di S. Agata13.
Innanzitutto la festa dedicata a Iside era una festa marinara, poiché il rito imponeva la
processione verso il mare laddove veniva consacrata alla dea la nave che poi sarebbe stata
lanciata nelle acque. E d‟indole marinara, all‟origine, pare fosse stata la festa di S. Agata.
11
S. PRIVITERA, Il libro di s. Agata,Catania 2001, p.65;
PIETRO CARRERA, Memorie storiche di Catania, vol.I – II, Catania, 1693
FRANCESCO PRIVITERA, Dolorosa tragedia, Catania, 1695
12
A. GERMANA‟ DI STEFANO, Una poesia inedita in onore di Sant’Agata, Catania 1995, p.44
13
E. CIACIERI, Culti e miti nella storia dell‟antica Sicilia, Catania 1910, p.26
31
La processione dal tempio scendeva alla marina, quartiere vicino al porto proprio come
avveniva in Corinto, ma non per lanciare in mare una nave, ma perché là era approdata la
barca recante le Sacre Reliquie della Santa.
Anche l‟origine del sacco bianco, indossato oggi dai devoti nei giorni della festa,
troverebbe riscontro nell‟antica ritualità dei festeggiamenti di Iside.
Alla processione, infatti, gli adepti della dea indossavano sugli abiti una tunica di lino
bianco simile all‟attuale sacco agatino.
Il già citato Pietro Carrera nel 1641, a tal proposito scriveva: «i condottieri della bara di
S.Agata si chiamavano gli ignudi perché vanno coi piedi scalzi e gambe ignude, avendo
sulle vesti una camicia»14.
Di grande importanza é infine il grande ruolo che le donne avevano nella festa; esse
ricorrevano alla “mascherata” come avveniva nella festa celebrata a Corinto, espletando il
rito delle “‟ntuppateddi” in voga fino allo scorso secolo.15
Grazie a questo rito si rendevano irriconoscibili e così si sarebbero offerte, per quel giorno,
alle galanterie degli uomini.
Dall‟archivio storico di Catania del 1925, si ricavano alcune notizie per cui le
“ntuppateddi” vengono definite come: “certe donne” le quali frammischiandosi, per non
farsi riconoscere dalla folla, coprivano il capo con una specie di sacco di seta nera
completamente chiuso e con un solo foro onde potessero guardare con l‟occhio destro.
Ponendo un uomo sotto braccio, lo conducevano o si lasciavano condurre da un dolciere
per aver comprati confetti o altre ghiottornie, o addirittura in gioielleria.
Un‟altra testimonianza di questa antica tradizione peculiare della festa di sant‟Agata la
troviamo all‟interno della novella “La coda del diavolo” di Giovanni Verga.16
La dea Iside era anche il simbolo di sposa e madre e rappresentava la forza produttrice
della natura; sicchè durante il rito, un ministro del culto portava in mano un vasetto d‟oro a
forma di mammella e alla presenza del popolo faceva libazione di latte. Il riferimento alla
festa di S. Agata consiste nel seno strappato alla Santa, in forza del quale durante la festa
14
S. PRIVITERA, Il libro di s. Agata,Catania 2001, p.66;
“ntuppateddi”: chiuse dentro sacchi di seta nera
16
Vedi Appendice
15
32
Agatina, le donne sofferenti offrono oggi mammelle di cera quale riconoscenza per la
guarigione ottenuta.
Per ultimo si può trovare un legame con il velo di Iside, al quale si sarebbe sostituito poi il
miracoloso Velo agatino.
33
L’inizio ufficiale dei festeggiamenti agatini
Le origini del festeggiamenti in onore della Santa Patrona di Catania, si fanno risalire al 17
agosto del 1126.
Fu l'allora Vescovo benedettino Maurizio che, per accogliere festosamente le reliquie
agatine di ritorno da Costantinopoli, coinvolse autorità e maestranze della città affinché
non restassero fredde di fronte al fausto evento1.
Per tutto il tempo in cui il sacro corpo fu assente dalla sua terra (86 anni), continuò però,
testimoniata con la preghiera, la devozione indelebile del popolo verso la sfortunata eroina
cristiana.
Ecco perché, quella notte di agosto le campane di tutte le chiese della città, cominciarono a
suonare a distesa e i cittadini dì Catania si precipitarono per le strade per festeggiare
l'avvenimento.
Tuttavia, non essendo esistito un simulacro con le Reliquie anteriore all'attuale dei 1376, si
può dire che negli anni che precedettero questa data, fatta eccezione per l'episodio sopra
citato, le Reliquie si venerarono in chiesa con poche manifestazioni festaiole.
Una prova indiretta di ciò si ha nel racconto del fatto storico secondo cui, nel pomeriggio
del 4 febbraio 1169 mentre il popolo stava radunato nella Cattedrale proprio per venerare
le Reliquie della Santa venne colto dal terremoto e gran parte venne seppellito sotto le
macerie.2
Nel dicembre del 1373 Marziale, Vescovo di Catania, commissionò un busto reliquiario,
senza badare a spese, al famoso orafo senese Giovanni Di Bartolo che in quel tempo
lavorava ed operava ad Avignone. Da quel momento fino ai nostri giorni, il busto
reliquiario che contiene la testa ed il torace di Sant‟Agata, venne impreziosito ed adornato
con preziosi ex voto che umili contadini o personaggi illustri donavano alla martire
catanese, tanto da costituire un vero e proprio tesoro.
1
MARIA TORRISI, Sant’Agata, Cinisello Balsamo (Mi), 1997, p.33
A. GERMANA‟ DI STEFANO, La festa di S. Agata: le candelore e la processione delle Reliquie”, pag 85,
Catania 1996
2
34
Si dà per certo quindi che è a partire dal 1376 che le Reliquie vennero condotte in giro per
le vie interne praticabili, tra gli omaggi del Vescovo, del Senato e del popolo.3
Inizialmente venne fatto costruire un Fercolo in legno dorato di stile gotico che venne
successivamente dato in dono alla città di Troina (EN) per la processione di S. Silvestro,
protettore di quella comunità.4
Il Fercolo, o Vara, su cui viene adagiato oggi il busto reliquiario risale invece fra il 1540 e
il 1550 a cura del progettista Antonio Archifel. È realizzato in lamina d‟argento
artisticamente cesellata, con alcuni ornamenti in rame dorato. La sua forma attuale è di un
tempietto a base rettangolare, sostenuto da sei colonne in stile corinzio e sormontato da un
ricco capolino finemente cesellato. Su di esso troneggiano dodici statuette rappresentanti
gli apostoli.
Un tempo la Vara veniva portata a spalla dagli "ignudi" o "scalzi" (così nominati perché,
per atto penitenziale durante la processione, si presentavano a petto nudo e senza calzari),
poi venne trainata con due lunghi cordoni mediante un sistema di mezzeluna
d‟acciaio. Attualmente il Fercolo viene fatto tirare sempre con i due lunghi cordoni ma
avendo
alla
base
come
supporto
meccanico
un
sistema
di
rulli.
Il “Liber Cerimoniarum”
Col passare dei secoli, alle solenni cerimonie religiose si affiancarono motivi di puro
folclore. Il Senato volle festeggiamenti più fastosi, il popolo dal canto suo, intendeva
vivere nella completa esaltazione la fede verso la Santa Patrona: ad un dato momento si
rese necessaria una regolamentazione.
Nel 1522 il nobile catanese, don Alvaro Paternò, legato di Catania presso la regia corte,
redasse il "Liber cerimoniarum" che possiamo considerare il primo cerimoniale per i
festeggiamenti agatini. 5
3
A. GERMANA‟ DI STEFANO, La festa di S. Agata: le candelore e la processione delle Reliquie”, pag 86,
Catania 1996
4
G. LANZAFAME, Sant‟Agata e la sua festa, Barocco in processione, pag 53 s., ed. Greco, 2005
5
BONAFEDE MANCINI: “Le Confraternite di Valentano in età moderna”, biblioteca civica di Viterbo, pag
171.
35
Furono istituite giostre, organizzati cortei e corse di cavalli, cavalcate nobiliari, spari di
mortaretti e addobbi vari per tutto il percorso della processione. La folla radunata nel
piazzale della loggia seguiva con interesse le varie manifestazioni.
In tale cerimoniale vennero fissate anche le pene da comminare ai trasgressori dell'ordine
pubblico.
I palii e le gare che in un primo tempo si svolgevano nella zona della marina, a causa della
folla assai numerosa, vennero dirottati nella zona del corso, nell'attuale strada che dal
Duomo prosegue lungo la Via Vittorio Emanuele.
Gli stendardi e i drappi, tutti di notevole valore, venivano consegnati ai vincitori
direttamente dalle autorità cittadine che a quel tempo erano i Giurati, il Capitano di
Giustizia, il Patrizio, il Mastro Notaro del Senato.6
Il percorso del Simulacro di S. Agata non era lo stesso di oggi: si svolgeva in un solo
giorno, il 4 di febbraio e, fra il „400 e il‟500, quando ancora il fercolo era di legno, la
processione passava dal Castello Ursino e vi entrava, usanza poi perduta nel tempo. Nella
giornata del 5 invece, il popolo rendeva omaggio alla Patrona in Cattedrale.
Fra il 1669 ed il 1693 i festeggiamenti furono interrotti per via di calamità naturali che
colpirono la città di Catania.
Nel 1669 un‟eruzione lavica di spaventose proporzioni, distrusse parecchi centri abitati
della provincia arrivando a toccare anche la città di Catania modificandone la topografia
del centro e della parte costiera.
Nel 1693 un terremoto piuttosto cruento rase al suolo quasi completamente ciò che era
della vecchia città di cui rimase poco o nulla.7
È certo che il duca di Camastra, nel tracciare le linee guida per la ricostruzione della città,
tenne conto dell‟esigenza di creare un comodo percorso per la processione agatina. In
questo clima di cambiamento anche il Cerimoniarum cambiò: molte delle usanze caddero
in disuso mentre altre vennero istituite.
Nel 1712, quando ormai la città si era allargata e aveva raggiunto l‟assetto urbanistico
odierno, fu stabilita in due giorni (il 4 e 5 febbraio) la durata della processione e la
6
7
S. PRIVITERA, Il libro di s. Agata, pag 69, Boemi 2001, Catania
Ivi, pag 71
36
divisione in "giro interno" e "giro esterno" che in questa forma potè toccare tutti i quartieri
della città.8 Quanto appena esplicitato trova riscontro in ciò che scrive Jean Delumeau, il
quale sostiene che il fenomeno delle processioni rappresenta un modo antichissimo di
rivivere simbolicamente il passato9.
La processione diventa spesso una festa, oblio e vittoria della paura e manifestazione di
speranza anche quando esprime atteggiamenti penitenziali.
Rappresentava e rappresenta ancora, una pausa dal travaglio quotidiano dove la musica
diventava un accompagnamento obbligato: questi eventi, dovevano essere il più rumorosi
possibile in quanto rumore e luce oltre ad essere espressione di gioia esuberante,
richiamavano vittoria sulla paura legata a pestilenze o guerre.
Delumeau fa riferimento anche alla devozione legata alla protezione dei santi sottolineando
il fatto che il loro culto non fu una derivazione del culto degli eroi ma da quello dei martiri
cristiani e che il parallelismo e l‟analogia con il paganesimo non significa necessariamente
una sua filiazione, anzi, al contrario delle usanze funerarie pagane, dal 1500 in poi, invalse
l‟uso di portare le reliquie dei santi all‟interno delle cinte murarie della città.
Inoltre, a differenza del Santissimo che viene conservato lontano per cui diventa
inaccessibile ai laici, il santo è accessibile a tutti, si trovano infatti altari dedicati ai santi
nelle navate delle chiese, in posti facilmente raggiungibili.
8
Ivi, pag 70
JEAN DELUMEAU, Rassurer et protèger – Le sentiment de sécuritè dans l’Occident d’autrefois, Fayard,
1989
9
37
LA FESTA DI S. AGATA OGGI
A Catania il mese di febbraio è decisamente il più freddo in assoluto, ma per alcuni giorni
le strade della città diventano roventi di urla, canti, fuochi d‟artificio in onore della
patrona: Sant‟Agata.
Sono giorni in cui questa vorticosa città improvvisamente si ferma, per far rivivere un
cerimoniale che nei secoli ha subito ben poche variazioni sostanziali, con una devozione
sempre immutata che travalica ceti e convinzioni politiche e religiose.
I festeggiamenti hanno il loro punto cruciale nei primi giorni di febbraio, ma è già dal mese
di gennaio che la città si prepara all‟evento. Si svolgono infatti manifestazioni culturali,
celebrazioni, riti religiosi in onore della Santa Patrona. Gia dalla prima domenica di
gennaio, nella chiesa di s. Agata al borgo, viene esposto ai fedeli il sacro Velo che viene
omaggiato da tutte le Associazioni agatine esistenti in città.
Nel corso delle domeniche successive il Velo verrà condotto nelle parrocchie dai vari
quartieri e nelle chiese erette sui luoghi del martirio. Tra le manifestazioni che precedono
l‟inizio ufficiale della festa è tradizione, nel corso di un‟apposita celebrazione ufficiata
dall‟Arcivescovo, benedire i portantini delle candelore e i cittadini che, nei giorni della
processione, indosseranno il “sacco” votivo per condurre in giro le sacre Reliquie. È di
recente istituzione l‟apertura al pubblico di tutti i monumenti cittadini: dai luoghi di culto
agatini alle Basiliche, Santuari della città, oltre che Palazzo degli Elefanti, sede del
comune, e tutti i musei.
Anche le vetrine dei negozi prolungano la loro illuminazione fino a tardi innalzando la città
in un tripudio di gioia e di colore.
Ed è proprio la luce, uno dei punti nodali, sia teologici che folcloristici della Festa di S.
Agata.
Agata come luce da seguire, come punto di riferimento per ogni devoto che porta in spalla
ceri di grosse dimensioni, a volte pesanti quanto il peso della persona stessa che lo porta,
lungo il percorso della processione.
L‟offerta della cera risale al 1300 circa, quando costituiva un obbligo da parte dei quartieri
e delle maestranze donare denaro o, in alternativa, ceri, obbligo che venne formalizzato nel
38
1435, quando re Alfonzo d‟Aragona dispose che anche soprattutto le maestranze dovessero
offrire un cero in segno di devozione alla Santa.
in una processione detta della
<<luminaria>> o della <<cera>>.1
Oggi questa consuetudine che si può ammirare nella giornata del 3 febbraio, conserva
ancora lo stesso carattere sfarzoso di un tempo. Vi partecipano l‟Arcivescovo, i Capitoli
delle Basiliche Cattedrale e Collegiata, il Clero secolare e regolare, il Seminario
Arcivescovile, le Autorità civili e militari, il Magnifico Rettore, gli Ordini cavallereschi, le
Associazioni agatine e le Confraternite. il Sindaco e gli assessori comunali partecipano alla
processione, prendendo posto all‟interno di due carrozze: la settecentesca Carrozza del
Senato, seguita da un‟altra più piccola che normalmente si possono ammirare nell‟atrio di
palazzo degli Elefanti.
1
MARIA ADELE DI LEO, Feste patronali di Sicilia, p. 13, Roma 1997
39
LE CANDELORE E LA LORO STORIA
Segno di luce e di folclore sono le candelore.
Mons. Giovanni Lanzafame, mariologo e studioso di tradizioni agatine, citando alcune
fonti storiche afferma che “La festa della Candelora è la sostituzione di un rito sacro ad un
rito pagano: quali ad esempio le processioni falloriche dell‟antica Grecia”1.
La candelora simboleggia la festa della purificazione della Vergine, in occasione della
quale si benedicono le candele.
Incerta è la data della sua istituzione; sembra infatti, che sia stata istituita da papa Gelasio I
nel 492 nel giorno del 2 febbraio.
Abolita la festa di Cerere celebrata dai Gentili i quali accendevano grandi torce facendole
portare in giro dalle donne, papa Gelasio fece sostituire tale cerimonia con il ricordo della
presentazione di Gesù al Tempio.
La funzione della benedizione delle candele ed il corteo dei cerei si ha con l‟ascesa al
pontificato nel 687 di Sergio I che stabilì anche l‟itinerario della processione.
Ogni partecipante riceveva un cero simboleggiante la « Luce del mondo e la gloria
d‟Israele » parole con le quali il vecchio Simeone, parlando con Maria al tempio, definì
Cristo2.
Varie ipotesi si avvicendano per spiegare l‟origine di questa funzione religiosa, Mons.
Giovanni Lanzafame a tal proposito ne sottolinea due: una è la festa Ambrubiale che si
celebrava a Roma il primo febbraio, durante la quale il popolo circondava la città con
candele accese e pregava gli dei affinché fossero propizi.
Altra ipotesi sostiene che la festa avrebbe avuto inizio nel 540 con il papa Vigilio il quale,
secondo la tradizione, venne a venerare il sepolcro delle reliquie di Sant‟Agata, come
sostituzione alla festa di Proserpina. In ogni caso la festa della Candelora è la sostituzione
di un rito sacro ad un rito pagano3.
1
G. LANZAFAME, Sant‟Agata e la sua festa Barocco in processione, pag 57 Ed Greco, 2005
Cfr. Lc, 2, 32
3
G. LANZAFAME, Sant‟Agata e la sua festa Barocco in processione, pag 57 Ed Greco, 2005
2
40
La festa di sant‟Agata è inscindibile dalla tradizionale sfilata delle candelore.
Riccamente adornata di statue di Santi, Angeli, putti e gruppi scultorei raffiguranti episodi
della Vita e del martirio di Sant‟Agata racchiusi in scenografiche nicchie, «a cannalora»
(come viene comunemente denominata dal popolo) è inoltre ornata con nastri, fiori ed ex
voto.
L‟uso di dipingere il cero e di adornarlo con immagini di Cristo, della Vergine e dei Santi,
è antichissimo nella Chiesa e lo osserva San Paolino, vescovo di Capua già nel IX secolo. 4
Le candelore precedono il fercolo in processione, perché un tempo, mancava
l‟illuminazione elettrica e quindi avevano la funzione di illuminare il passo ai devoti.
Sono portate a spalla da un numero di portatori che, a seconda del peso del cero, possono
variare da 4 a 12 uomini. Lateralmente vi sono due robuste aste locate alla base che
permettono agli otto o dodici forzuti uomini che si alternano durante il percorso, di
trasportarla con tutto il suo peso che mediamente si aggira sui 500 – 700 kg.
Nel XVII secolo si chiamavano Gilii o Gigli e rappresentavano, come oggi, le maestranze,
le categorie degli artigiani e piccoli commercianti. Per forma e per numero erano molto
diverse da quelle odierne: si presentavano, infatti, molto alte e in forme strane, bizzarre (di
navi, castelli, piramidi etc.), destinate a variare di anno in anno.
Nel 1514 ogni candelora era accompagnata da due consoli, o artigiani dell‟arte, della
confraternita a cui apparteneva la candelora; inizialmente furono una trentina,
successivamente passarono a 28.
Con la redazione del “Liber Cerimoniarum” di Don Alvaro Paternò, venne anche istituito il
“Lordus cerorum” che stabiliva l‟ordine secondo il quale ciascuna candelora avrebbe
dovuto sfilare. 5
Dopo il terremoto del 1693, le candelore assunsero le caratteristiche barocche che ancora
oggi possiamo osservare.
Nel XIX secolo le candelore erano 15, agli inizi del „900 se ne contarono 13 e
camminavano processionalmente a coppia. Oggi sono in totale 11.
4
5
G. LANZAFAME, Sant‟Agata e la sua festa Barocco in processione, pag 57 ss. Ed Greco, 2005
Ibidem
41
Le candelore fino a qualche decennio fa, uscivano il 2 di febbraio; oggi invece, gli
organizzatori, forse per allungare il clima festoso, hanno ritenuto opportuno anticipare di
qualche settimana.
Sicchè già dalla seconda metà di gennaio, le prime candelore seguite dall‟immancabile
“banda musicale” e dal corteo di bambini e curiosi, con la caratteristica danza detta a
“annacata” fanno la loro apparizione.
Mèta preferita, le zone commerciali del centro storico dove ogni “annacata”
che
simboleggia “un‟auspicio”, può fruttare anche laute mance e qualche buon rinfresco per i
“conduttori”.
Il 2 febbraio le due candelore, dei pescivendoli e dei macellai si trovano in Pescheria6 per
sfidarsi nella tradizionale “annacata”, incalzati dal tifo dei sostenitori.
Vince chi riesce a far durare più a lungo “l‟annacata” e il premio consiste in una somma di
denaro variabile in quanto raccolta, nel pieno rispetto della tradizione, fermandosi sotto il
balcone di cittadini danarosi e generosi.
6
Piazza adiacente piazza Duomo dove si svolge lo storico mercato del pesce.
42
La festa: un misto di devozione, folclore e tradizione
Dal 3 al 5 febbraio Catania offre alla sua patrona una festa così straordinaria che può essere
paragonata soltanto alla settimana santa di Siviglia o a quella del Corpus Domini in Perù.
In questi 3 giorni la città dimentica ogni cosa per concentrarsi sulla festa; un misto di
devozione e folklore, che attira ogni anno milioni di persone, tra devoti e curiosi.
Giorno 3 febbraio è riservato all‟offerta delle candele.
Due carrozze settecentesche, che un tempo appartenevano al Senato che governava la città
e le undici candelore, grossi cerei rappresentativi delle corporazioni o dei mestieri,
vengono portate in corteo al quale partecipano le maggiori autorità religiose, civili e
militari.
Questa prima giornata di festa si conclude in serata con un grandioso spettacolo di giochi
pirotecnici in piazza Duomo.
A questa serata è legato un vecchio detto cittadino, che viene utilizzato quando si deve
indicare qualcosa di veramente ed esageratamente grande e meraviglioso che si esplicita
nel: “mancu a sira „o tri!” (lett. “neanche la sera del 3, vengono sparati fuochi così
grandi”).
I fuochi artificiali durante la festa di Sant‟Agata, oltre ad esprimere la grande gioia dei
fedeli, assumono un significato particolare, in quanto ricordano che la patrona martirizzata
sulla brace, vigila sempre sul fuoco dell‟Etna e su tutti gli incendi.
Il 4 febbraio è il giorno più emozionante, perché segna il primo incontro della città con la
santa patrona.
Già dalle prime ore dell‟alba le strade della città si popolano di cittadini.
Sono devoti che indossano il tradizionale “sacco” bianco che copre gli abiti e la “scuzzitta”
nera sulla veste, guanti bianchi che sventolano un fazzoletto anch‟esso bianco stirato a fitte
pieghe.
Anche l‟abbigliamento dei devoti si lega a tradizioni antiche.
Il “sacco” viene indossato per voto fatto o dal devoto stesso o da familiari; molto spesso
infatti, si vedono bambini, anche con pochi mesi di vita, indossare il tradizionale sacco
43
proprio per un voto fatto dai genitori o dai nonni in un momento di particolare gravità o
durante la gravidanza o al momento del parto.
Il significato del sacco (sconosciuto il più delle volte anche da chi lo indossa) racchiude
molteplici significati.
Controversa è l'origine del tradizionale abito che i devoti indossano nei giorni dei
festeggiamenti: camici e guanti bianchi con in testa una papalina nera. Una radicata
leggenda popolare vuole siano legati al fatto che, i cittadini catanesi, svegliati in piena
notte dal suono delle campane al rientro delle reliquie in città, si riversarono nelle strade in
camicia da notte; la leggenda risulta essere priva di fondamento poiché l'uso della camicia
da notte risale al 1300 mentre la traslazione delle reliquie avvenne nel 1126. Un'altra
leggenda afferma che l'abito bianco sia legato al precedente culto della dea Iside. Ma la
tradizione storica più affermata indica che l'abito votivo altro non è che un saio
penitenziale o cilicio.
Non è la tunica bianca che portavano i sacerdoti della dea Iside durante le feste in suo
onore che avevano luogo dall'1 al 15 Agosto di ogni anno, come ci fa sapere anche Apuleio
nelle Metamorfosi.
Non è «la camicia da notte» come ci narra una leggenda del 1700 secondo la quale
all'arrivo delle preziose reliquie di S. Agata (1126) i cittadini accorsero a venerarle con
indosso la camicia da notte, in quanto l'uso della stessa ebbe inizio verso la fine del XIV°
secolo.
Questa camicia bianca che viene chiamata «il sacco» altro non è che il «saio penitenziale»
o «cilicio» di una volta ovvero il «sakkos» greco-bizantino cioè una «veste liturgica» e
«teologicamente ricca».
È l'antico «perizoma» cioè il «sak» che viene tradotto in il «sacco», fatto di una stoffa
molto ruvida, vera tela di sacco, che gli uomini e le donne si avvolgevano intorno alle reni
nei giorni di lutto e di penitenza, i più zelanti direttamente sopra la pelle come una sorta di
cilicio.
Il sacco era fatto di tela bianca, era il vestito della gente del popolo, quello che
verosimilmente adoperò Gesù per lavare, come servo, i piedi dei suoi discepoli, fatto di
44
stoffa molto ruvida1.
I Profeti avevano portato il «sak» in segno di protesta contro il lusso; nell'Apocalisse si
dice che alla vigilia del giorno del giudizio Dio manderà i suoi due testimoni a profetizzare
... «vestiti di sak».
Una conferma di quanto sopra viene da Mons. Adolfo Longhitano, Archivista della
Cattedrale di Catania, che nel settimanale «Prospettive» scrive «Il Vescovo Maurizio
afferma : Noi vi andammo incontro a piedi scalzi ed in bianche vesti» (Noi = Vescovo e
Monaci dell'Abbazia-Cattedrale, quindi con abiti liturgici).
La «camicia da notte» nel Medio-Evo non era ancora usata da alcuno; infatti risulta dai
documenti che i devoti sino all'inizio del „500 non indossavano l'abito bianco, ma erano
nudi «fasciati nel mezzo della persona solamente da una avvolta tovaglia».
Circa l'abbigliamento dei devoti nei secoli XVI° e XVII° dai documenti risulta: Alvaro
Paterno', nel suo cerimoniale della prima metà del "500, lamenta che nel passato i devoti,
sfidando i rigori del freddo invernale, portavano il fercolo di S. Agata nudi senza
raffreddori o malanni, ora da qualche tempo è invaso l'uso di andare «coperti et vestiti cum
saki di disciplina».
In principio il sacco era di colore cenere, poi si usò il bianco che indica purezza, scienza
religione, speranza mentre la berretta scura vuole indicare la cenere ed il cingolo la castità.
Due secoli addietro invalse l'uso di portare i guanti bianchi in segno di rispetto, mentre il
fazzoletto si usava, sino a mezzo secolo fa per salutare i parenti e gli amici che partivano
con la diligenza oppure con il treno.
Altra leggenda vuole che i cristiani soppressero la cerimonia pagana di portare una toga
bianca in occasione della festa di Iside, dea del mare; infatti, sotto la dominazione romana i
catanesi, nel mese di Agosto, portavano in giro la dea Iside, raffigurata da una statua di una
giovane in abiti succinti, in occasione delle feste in suo onore ed in onore di Augusto.
1
Cfr. Gv. 13, 4
45
Una leggenda popolare vuole che rappresenti l‟abbigliamento notturno che i catanesi
indossavano quando, nel lontano 1126, corsero incontro alle reliquie che Gisliberto e
Goselmo, due soldati della corte imperiale, riportarono da Costantinopoli2.
All‟interno del duomo, una celletta chiusa per tutto l‟anno, la cosiddetta «cammaredda»
(cameretta) protetta da impenetrabili cancelli e nascosta alla vista, custodisce il bene più
prezioso e più caro ai catanesi e ai devoti abatini: il busto reliquiario e i ricchissimi ex voto
che lo ricoprono interamente, comunemente detti «il tesoro».
La cappella è il vero «cuore» della cattedrale, non soltanto per l‟importanza che riveste, ma
anche per la collocazione fisica.
Il piccolo vano, infatti, è ricavato all‟interno di una parete, tra l‟altare maggiore e la navata
laterale destra.
Un robusto cancello di bronzo la protegge da eventuali tentativi di furto.
Tre differenti chiavi, ognuna custodita da una persona diversa, sono necessarie per aprire il
cancello di ferro che protegge le reliquie in cattedrale: una chiave viene custodita dal
tesoriere, una seconda dal cerimoniere, la terza dal priore del capitolo della cattedrale.
Quando la terza chiave toglie l‟ultima mandata al cancello della cameretta in cui è
custodito il Busto e il sacello viene aperto, il viso sorridente e sereno di Agata si affaccia
dalla cameretta nel crescente tripudio dei fedeli impazienti di rivederla.
È tradizione far derivare da questa prima visione del busto, l‟andamento positivo o meno
dell‟anno appena iniziato.
Il volto infatti, è stato forgiato in modo tale che la diversa illuminazione che riceve, faccia
cambiare espressione al viso della Santuzza.
A questo momento si legano 2 devozioni di origine prettamente popolare che difficilmente
si rintracciano sui libri, ma che vengono proprio tramandate da padre in figlio.
Una devozione vuole che all‟uscita dalla «cammaredda» il volto della santa sia sorridente,
felice di essere nuovamente tra i suoi concittadini, e che, al momento del rientro, il 6
mattina quindi, improvvisamente si incupisca proprio perché non vuole essere rinchiusa
per un altro anno. L‟altra devozione è tutta personale, a volte falsata dai sentimenti propri
2
Cfr. Parte I, Cap. 5
46
del devoto; se infatti sant‟Agata sorride sarà un anno propizio per il fedele, viceversa se
appare seria è segno foriero di situazioni non facili da affrontare.
Luccicante di oro e di gemme preziose, il busto viene issato sul fercolo d‟argento
rinascimentale, foderato di velluto rosso che rappresenta non solo il colore del sangue del
martirio, ma anche il colore dei re.
Prima di lasciare la cattedrale per la tradizionale processione lungo le vie della città,
Catania dà il benvenuto alla sua patrona con una Messa solenne celebrata dall‟arcivescovo.
Tra i fragori e gli spari a festa, il fercolo viene caricato da alcuni devoti, appartenenti ad
associazioni agatine, del prezioso scrigno con le reliquie e portato in processione per la
città.
Il «giro» dura l‟intera giornata.
Il fercolo attraversa i luoghi del martirio e ripercorre le vicende della storia della
“Santuzza” che si intrecciano con quelle della città: il duomo, i luoghi del martirio,
percorsi in fretta, senza soste, quasi a evitare alla Santa il rinnovarsi del triste ricordo.
I devoti guidano il fercolo tra la folla che si accalca lungo le strade e nelle piazze.
A ritmo cadenzato gridano: «Cittadini, viva Sant‟Agata!»
Il giro si conclude a notte fonda quando il fercolo ritorna in cattedrale.
Il 5 febbraio, i garofani rossi del giorno precedente, simboleggianti il martirio, vengono
sostituiti da quelli bianchi che rappresentano la purezza.
Al tramonto ha inizio la seconda parte della processione che si snoda per le vie del centro
di Catania.
Anche la tradizione legata all‟offerta della cera, che inizialmente “serviva” per illuminare
il percorso effettuato dal fercolo anticipandolo, adesso si è modificato secondo le esigenze
personali.
Molti devoti, durante il percorso del 5 febbraio precedono il fercolo portando sulle spalle
grossi cerei votivi, differenti di peso, in base al voto fatto (alcuni pesanti quanto il devoto
stesso).
Il momento più atteso è il passaggio per la via di Sangiuliano che, per la pendenza è il
punto più pericoloso di tutta la processione.
47
Esso rappresenta una prova di coraggio per i “cittadini”, ma è interpretato anche, a seconda
di come viene superato l‟ostacolo, come un segno celeste di buono o cattivo auspicio per
l‟intero anno.
La processione del 4 e quella del 5 febbraio possiedono un ritmo scandito dalle urla dei
devoti che per tutto il percorso ripetono « Semu tutti devoti, Cittadini, Evviva Sant‟Aita!3».
“Cosa sia tale grido”, si chiese durante la metà degli anni 50 la studiosa abatini Carmelina
Naselli, “non è facile dire: espressione di fede, di amore, di giubilo, richiamo e monito o
tutte queste cose insieme?4”. E ancora oggi non lo si sa con certezza.
Nel XVII secolo sui testi storici, troviamo che la fede e l‟esultanza per la patrona era
espresso con un grido breve e semplice: “olè”, formula tipica di provenienza spagnola.
Poi quando dopo il disastroso terremoto del 1693 la festa tornò a rinascere, numerose
innovazioni furono introdotte. Tra queste il modo di esultare.
Il vecchio “olè” venne sostituito dal grido “viva S. Aita”.
Nella seconda metà del XIX
secolo il grido si completò nella maniera attuale cioè
“Cittadini evviva S. Aita”. Un‟evoluzione linguistica che si compì con l‟avvento dell‟unità
d‟Italia. Oggi, al grido di “Cittadini evviva S. Aita” (anziché per esteso) “Cittadini…
Cittadini” all‟esortazione si risponde con un‟incomprensibile “cit… cit” che è una palese
involuzione.
Alle prime luci dell‟alba del giorno 6 febbraio i fuochi artificiali segnano l‟entrata nella
«cammaredda» della Santa e con essa la chiusura dei festeggiamenti.
Quando Catania riconsegna in cattedrale il reliquiario e lo scrigno, i sacchi bianchi non
profumano più di bucato, i volti sono segnati dalla stanchezza, i muscoli fanno male, la
voce è ridotta ad un filo sottile.
Ma la soddisfazione di aver portato in trionfo il corpo di Sant‟Agata per le vie della sua
Catania riempie tutti di gioia e ripaga di tutte le fatiche.
3
Lett. «Siamo tutti devoti, Cittadini Evviva Sant‟Agata!»
CARMELINA NASELLI, Il grido dei catanesi al passaggio della Santa, in Asso, anno IV, serie V, Catania
1952
4
48
La festa in cucina
Anche la cucina subisce il fascino della tradizione; nei giorni di febbraio si ritrovano alcuni
dolci tipici: dalle olivette, originariamente solo verdi, legati a due tradizioni, una delle
quali non trova riscontro in nessun testo storico, ma è frutto di una trasmissione orale in
quanto giustifica la presenza di un albero di ulivo all‟esterno del carcere dove la santa fu
rinchiusa.
La tradizione vuole, infatti, che prima di entrare in carcere Agata si fermò per allacciarsi
un calzare e in quel luogo nacque spontaneamente un albero di ulivo.
Altra tradizione, tutta popolare, vuole che Agata, rinchiusa in carcere, non avendo di che
sfamarsi, vedendo fuori dalla grata un albero di ulivo, allungasse una mano per raccogliere
qualche olivetta, ancora acerba e sfamarsi.
La tradizione ha arricchito la leggenda volendo che tra le mani della santa, per miracolo, le
olivette maturassero per cui oggi, queste olivette di marzapane, tradizionalmente verdi,
sono state affiancate da altre ricoperte di cioccolato nero e bianco proprio a voler
sottolineare il miracolo.
Altro dolce tipico di questo periodo sono le cosiddette “minnedde di S. Aita” (piccole
mammelle di S. Agata) che sono delle piccole cassatele ripiene di ricotta e ricoperte di
glassa che ricordano nella forma e nei colori un piccolo seno.
Infine un dolce tipico, sempre presente all‟interno delle pasticcerie catanesi è il panserotto,
che richiama anch‟esso la forma di un piccolo seno.
Sia le piccole cassatele che i panserotti vogliono far riferimento al martirio di Agata, anche
se pare facciano riferimento all‟antico culto della dea Iside dove il ministro del culto
portava in mano un vasetto d‟oro a forma di mammella e alla presenza del popolo facesse
libazione di latte.
49
CONCLUSIONI
Già molti anni fa, uno studioso e critico d‟arte come Giulio Carlo d‟Argan aveva intuito
che la società moderna sarebbe stata figlia del Barocco, discendente di quel secolo dove
tutto è virtuosismo, illusione, monumentalità, trionfalismo.
E proprio in quest‟epoca, i festeggiamenti agatini nascono e si snodano nelle loro
impostazioni teologiche e folkloristiche sfruttando quella tecnica della persuasione che ha
funzione pedagogica accattivante, che mira a colpire le reazioni sentimentali dello
spettatore
sorprendendolo
nell‟esagerazione,
sbalordendolo
nell‟atemporalità
dell‟avvenimento.
Infatti, nonostante modifiche e adattamenti siano stati apportati al rituale, sia religioso che
folkloristico, la festa che oggi si organizza è una sintesi percettibile e di complessa
realizzazione, tra l‟esigenza di mantenere viva la tradizione di un rituale rigido,
contestualizzato, storico e la necessità di avvicinare questa storia alla gente che con essa
nasce, cresce e si confronta nella quotidianità della propria vita.
Rimane affascinante, infatti, come modi di dire, atteggiamenti e inflessioni dialettali, usati
dai catanesi nel gergo comune e giornaliero, facciano riferimento alla vita di Agata o a
momenti particolari della festa.1
Ovviamente una festa che tenta, ancora oggi, di meravigliare con eccessi e stravaganze,
rischia frequentemente di anteporre l‟aspetto gioviale, folkloristico, spettacolare a quello
religioso, usando questo trionfalismo barocco come un tentativo artificioso di riempire quel
vuoto di spiritualità che caratterizza l‟uomo moderno.
Pertanto è con questa antilogia che ogni anno, gli organizzatori dei festeggiamenti agatini,
devono confrontarsi perseguendo quel giusto equilibrio dove la fede, profonda e atavica
dei catanesi verso Agata, trovi un terreno fertile per la riflessione, personale e di comunità,
e la voglia di festeggiare in maniera esplosiva e colorata. La festa quindi come luogo
«Si chiù longa di Sant‟Aita» – «sei più lunga di S. Agata» riferita a donne che perdono molto tempo per
uscire di casa
«Pari a tila di S. Aita» –«sembra la tela di S. Agata» riferito ad avvenimenti o storie talmente lunghe che
sembrano non finire mai…
1
50
immaginario dove confrontarsi, con le proprie miserie umane e in Lei, nel ricordo della sua
passione per Cristo e del suo martirio, ripartire con più coraggio e voglia di scommettersi.
È proprio nell‟incontro fisico con Agata fra le vie eleganti e barocche del centro o fra i
vicoli stretti e colorati delle periferie più malconce, che Catania rinasce, risorge e trova la
forza di lottare, con gioia e determinazione sulle tracce di una personalità forte, decisa,
leale.
Rimane quindi una festa di luce, di riflessione, di colori, di musica, di suoni,
che
invogliano ogni cittadino a scendere nelle strade, ad incontrarsi a ritrovarsi accomunati da
un unico motto: «Semu tutti devoti, tutti! Viva S. Aita».
E poco importa se sei distante migliaia di chilometri o inchiodato in un letto, Lei ti sorride
dalle dirette estenuanti in televisione, o dal digitale terrestre o da una webcam sull‟ultimo e
aggiornatissimo sito internet mentre «passeggia» con i suoi concittadini fra le via della
città, in quel periodo dell‟anno in cui i mandorli cominciano a sbocciare e l‟odore di nuovo
della primavera è nell‟aria.
La festa di S. Agata nasce fondamentalmente dall‟esigenza di apertura all‟altro, da
un‟ansia di gioia e di liberazione che diventa cerimonia, che diventa «movimento», che
diventa speranza verso un futuro migliore e più giusto, vero e proprio cammino di
catechesi
e
incontro
di
Cristo
nell‟oggi
che
tutti
viviamo.
51
Appendici
I. Elenco delle undici candelore
II. Brano tratto da «La coda del diavolo» di Giovanni Verga
III. Appendice fotografica
Elenco delle 11 candelore in base all’ordine di collocazione stabilito nella processione:
1. Candelora di Mons. Ventimiglia (o di S. Aita).
Apre la sfilata, ed è sempre la prima ad uscire. Si tratta della più piccola e dal
popolo viene meglio conosciuta come “ a cannalora di S. Aita”. Fu donata da
Mons. Ventimiglia nel 1766.
E‟ tutta indorata e consta di tre ordini: una base, una parte intermedia e una parte
superiore.
2. Candelora dei Rinoti.
Si fregia del titolo di “primo cereo”, di fatti apre la processione dei grandi cerei.
Con quattro ordini fregiati in stile barocco e quattro aquile alla base, è da
considerare un omaggio dei giardinieri e ortolani del quartiere periferico di
S.Giuseppe La Rena.
3. Candelora dei Giardinieri.
Si riconosce per il suo inequivocabile stile gotico veneziano. Consta di tre ordini
compresa la base, che accolgono i simulacri di alcuni Santi tra i quali spicca S.
Euplio. Si erge sugli stendardi e sulla boccia del cerone una sobria corona che gli
conferisce un aspetto regale. Per tale motivo viene comunemente denominata “la
regina”.
4. Candelora dei Pescivendoli.
Di fattura ottocentesca per il suo portamento è meglio conosciuta con il
soprannome di “Bersagliera”. In stile Rococò, in essa si ammirano i palcoscenici
inneggianti al martirio di Agata. Caratteristica del cereo è la ghirlanda di fiori posta
al di sopra della scenografia che oscilla al movimento del passo rendendola
inconfondibile rispetto alle altre.
5. Candelora dei Fruttivendoli.
Per la sua cadenza leggiadra ed aggraziata è denominata “la signorina”. Alla base di
questa candelora figurano quattro artistici cigni. Il fusto mostra oltre alle scene del
martirio, un trionfo di statue, tra cui sotto la corona spicca quella di S. Agata.
52
6. Candelora dei Macellai.
Detta comunemente dei “chianchieri”. Questa candelora si distingue per la sua
forma molto simile ad una prismatica torre. Nella parte sommatale spicca un
mazzetto di fiori freschi trapunto da artistici ex voto. Alla base quattro artistici
leoni, nel terzo ordine, dentro le nicchie ornate da colonne corinzie, spicca al centro
la statua di S. Sebastiano protettore della categoria.
7. Candelora dei Pastai.
Si tratta della sola sopravvissuta dei cerei settecenteschi. All‟interno si troverebbe
addirittura anche il cerone originale. Costruita in stile barocco, è priva di
scenografie. Nella parte sommitale vi è una corona ben visibile sormontata da un
nugolo di gagliardetti.
8. Candelora dei Pizzicagnoli (o alimentaristi).
Questa candelora è riconoscibile per il suo stile liberty. La base della candelora è
costituita da quattro bellissime cariatidi, all‟estremità, invece, sono alloggiati gli
antichi gagliardetti dei quattro gruppi di cantanti che un tempo, in occasione dei
festeggiamenti patronali, eseguivano nelle strade inni in onore della Santa.
9. Candelora dei Bettolieri.
E‟ la più alta di tutte. In stile impero, agli angoli della base troneggiano quattro
leoni che sono raffigurati in atteggiamento mansueto. All‟interno di piccoli
palcoscenici sono rappresentati quattro dei più significativi monumenti del martirio.
10. Candelora dei Panettieri.
E‟ la più pesante di tutte le altre. Per la sua caratteristica andatura, è meglio
conosciuta come la “mamma”. La base presenta quattro caratteristici telamoni e
altri elementi ornamentali.
11. Candelora del Circolo di S. Agata.
Voluta nel 1876 dal Cardinale G. Benedetto Dusmet, risulta essere la più recente. È
stata costruita in stile neoclassico. Si compone di tre ordini nel secondo dei quali
sono raffigurate le statue rappresentanti le anime del purgatorio: S. Agata, S. Euplio
e l‟Immacolata Concezione compatrona di Catania.
53
Da «La Coda del diavolo» di Giovanni Verga:
“A Catania la quaresima vien senza carnevale; ma in compenso c'è la festa di
Sant'Agata, - gran veglione di cui tutta la città è il teatro - nel quale le signore,
ed anche le pedine, hanno il diritto di mascherarsi, sotto il pretesto d'intrigare
amici e conoscenti, e d'andar attorno, dove vogliono, come vogliono, con chi
vogliono, senza che il marito abbia diritto di metterci la punta del naso.
Questo si chiama il diritto di 'ntuppatedda, diritto il quale, checché ne dicano i
cronisti, dovette esserci lasciato dai Saraceni, a giudicarne dal gran valore che
ha per la donna dell'harem. Il costume componesi di un vestito elegante e
severo, possibilmente nero, chiuso quasi per intero nel manto, il quale poi
copre tutta la persona e lascia scoperto soltanto un occhio per vederci e per far
perdere la tramontana, o per far dare al diavolo. La sola civetteria che il
costume permette è una punta di guanto, una punta di stivalino, una punta di
sottana o di fazzoletto ricamato, una punta di qualche cosa da far valere
insomma, tanto da lasciare indovinare il rimanente. Dalle quattro alle otto o
alle nove di sera la 'ntuppatedda è padrona di sé (cosa che da noi ha un certo
valore), delle strade, dei ritrovi, di voi, se avete la fortuna di esser conosciuto
da lei, della vostra borsa e della vostra testa, se ne avete; è padrona di
staccarvi dal braccio di un amico, di farvi piantare in asso la moglie o
l'amante, di farvi scendere di carrozza, di farvi interrompere gli affari, di
prendervi dal caffè, di chiamarvi se siete alla finestra, di menarvi pel naso da
un capo all'altro della città, fra il mogio e il fatuo, ma in fondo con cera
parlante d'uomo che ha una paura maledetta di sembrar ridicolo; di farvi
pestare i piedi dalla folla, di farvi comperare, per amore di quel solo occhio
che potete scorgere, sotto pretesto che ne ha il capriccio, tutto ciò che
54
lascereste volentieri dal mercante, di rompervi la testa e le gambe - le
'ntuppatedde più delicate, più fragili, sono instancabili, - di rendervi geloso, di
rendervi innamorato, di rendervi imbecille, e allorché siete rifinito, intontito,
balordo, di piantarvi lì, sul marciapiede della via, o alla porta del caffè, con un
sorriso stentato di cuor contento che fa pietà, e con un punto interrogativo
negli occhi, un punto interrogativo fra il curioso e l'indispettito. Per dir tutta la
verità, c'è sempre qualcuno che non è lasciato così, né con quel viso; ma sono
pochi gli eletti, mentre voi ve ne restate colla vostra curiosità in corpo, nove
volte su dieci, foste anche il marito della donna che vi ha rimorchiato al suo
braccio per quattro o cinque ore - il segreto della 'ntuppatedda è sacro.
Singolare usanza in un paese che ha la riputazione di possedere i mariti più
suscettibili di cristianità! È vero che è un'usanza che se ne va.”
55
Appendice fotografica
Giovan Battista Tiepolo – “Il martirio di Sant‟Agata” –
Olio su tela del 1750 conservato presso il “Staatliche Musean”
di Berlino.
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Ravenna – S. Apollinare Nuovo (VI) secolo
La prima iconografia di Sant‟Agata
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Firenze, Palazzo Pitti, quadro del pittore Sebastiano del Piombo, eseguito nel 1520,
raffigurante il martirio di Agata.
Belpasso (prov. Ct)
Parrocchia «Maria SS. Immacolata»
L‟apparizione di S. Agata a S. Lucia
Opera di Giuseppe Barone del 1950
Belpasso (prov. Ct)
Parrocchia «Maria SS. Immacolata»
Il Martirio di S. Agata
Opera di P. Raffaele Stramondo del 1983
62
Simulacro di S.Agata, opera dell‟orefice Giovanni Di Bartolo che l‟eseguì nell‟anno 1376.
Due angioletti inginocchiati poggianti su mensole a sbalzo presentano ai fedeli il busto
della martire dal viso in atto di schiudere le labbra al sorriso.
La martire regge con la mano destra una lunga croce del secolo XVI in argento e smeraldi
a cui è legato un gruppo di gigli in filigrana e perle, mentre con la sinistra fa mostra d‟una
tavoletta in smalto con la scritta: «Mentem Sanctam Spontaneam Honorem Deo et Patriae
Liberationem». La corona d‟oro a 13 fiordalisi incastonati di smalti, erroneamente attribuiti
a Riccardo I d‟Inghilterra, è artigianato del secolo XVI.
63
Candelora dei fruttivendoli
Candelora dei giardinieri
Candelora dei bettolieri
Candelora dei macellai
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Pittura del secolo XIII sulla « Sacra tavola
di S. Agata» conservata nella Chiesa di S.
Agata a Cremona, ove sono raffigurati ben
11 particolari del martirio di S. Agata,
disposti in 4 ordini orizzontali:
I: 1. Agata e Afrodisia; 2. Agata e
Quinziano;
3. Agata tra le torture; 4.
Agata torturata;
II: 5. Agata e S. Pietro; III: 6. Agata sul
rogo; 7. Il terremoto a Catania; 8. Agata
muore in carcere; IV: 9. L‟angelo depone la
tavoletta; 10. Quinziano annega nel Simeto;
11. La lava arrestata dal velo di S.Agata.
( Dentro l‟involucro di tale pittura è
custodita e sigillata la tavoletta contenente
l‟epigrafe «MSSHDEPL»)
Particolare della festa: devoti con cerei votivi.
65
Bancarella di frutta secca che sottolinea
il momento di festa cittadino.
Cassatelle di ricotta
Torrone di mandorle che per il
colore richiama quello della lava
dell‟Etna.
Panserotti dolci
66
BIBLIOGRAFIA
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Catania, 1988
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67
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Catania , Catania, 1852
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