La terapia che guarda al sesso

Transcript

La terapia che guarda al sesso
Latina
Il giornale di
SANITÀ
GIOVEDÌ 12 GENNAIO 2017
19
Il convegno dello Spi Cgil di Latina e Frosinone sulla medicina di genere
La terapia che guarda al sesso
Casati: “Questa branca mette in crisi i modelli organizzativi delle strutture sanitarie”
di MICHELA SCISCIONE
L
a salute non è neutra;
uomini e donne necessitano di un approccio
scientifico specifico in quanto reagiscono in modo differente alla malattia. Questo, in
sostanza, è quanto trapelato
dal convegno organizzato dal
Sindacato Pensionati Italiani
della provincia di Latina e Frosinone, in collaborazione con
la ASL di Latina, presso la Curia Vescovile, al fine di formare e sensibilizzare quante più
persone possibili sull’importanza della medicina di genere. Nella fattispecie, alcuni
specialisti dell’azienda ASL di
Latina, insieme ai rappresentanti dello SPI-CGIL e ai docenti dell’Università La Sapienza di Roma, hanno illustrato ai tanti pensionati presenti in cosa consiste questa
nuova branca della ricerca
biomedica relativamenteinedita per l’Italia evidenziando
la necessità di applicare il
concetto di diversità in medicina, in particolare nel trattamento delle malattie cardiovascolari, reumatiche e neurovegetative.
“La medicina di genere garantisce a tutti, donne e uomini, una reale equità e il miglior trattamento possibile in
funzione della specificità di
genere – ha spiegato il Segretario Generale dello SPI-CGIL di Latina e Frosinone,
Guido Tomassi. Di fatto, non
si tratta solo di un bene per le
LA NOTA
Collaborare con le associazioni e con i privati per migliorare la realtà locale in cui
si vive. Questo l’appello che
le Acli provinciali di Latina
hanno lanciato a tutti sindaci
della provincia attraverso una lettera aperta che è stata
recapitata anche a tutti i segretari provinciali dei partiti.
Un appello all’applicazione
di un principio costituzionale, quello di sussidiarietà, introdotto dal 2001 nella nostra carta fondamentale.
“Quello che chiediamo è la
creazione di nuove alleanze
alla pari per sviluppare azioni
inedite di welfare, che si sta
sviluppando in numerose città italiane a partire dal Regolamento sulla collaborazione
tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani, adottato per la prima
volta a Bologna nel 2014” ha
dichiarato Nicola Tavoletta,
direttore provinciale delle Acli Latina. Se ad esempio esiste uno storico problema di
insufficienza di spazi pubblici di aggregazione in un quartiere, un Patto di collaborazione potrà iniziare a rispondere alla difficoltà mettendo
a collaborare alcuni abitanti
g
All’incontro oltre al segretario Spi Cgil Tomassi, anche il sindaco Coletta e il manager Asl Casati
donne ma consente azioni di do neutro è uno specchio deprevenzione, di diagnosi e di formante”. Un pensiero avalcura più efficaci e appropriati lato appieno dal sindaco di
per tutti. Parità non significa Latina Damiano Coletta che
uguaglianza
ha sottolima specifineato l’imcità di geneportanza di
re – ha conun approccio di genere
cluso: la me- Uomini e donne
in medicina:
dicina di ge- reagiscono in modo
nere si pro- diverso alla malattia “nella mia
prima vita
pone
di
da medico –
combattere
ha detto il
questi luoghi comuni;
primo cittatra uomini e donne è tutto di- dino – ho constatato la neverso e pensare i corpi in mo- cessità di differenziare il trat-
“
”
tamento delle patologie ri- na determinata malattia eraspetto al sesso. In quest’otti- no falsati in quanto ricavati
ca la medicina di genere rap- prevalentemente da diagnopresenta usi maschili.
na rivoluApplicare il
zione cultuconcetto di
rale sia per
diversità in
quanto ri- Con questo approcmedicina, e
guarda la va- cio spesa sanitaria
quindi conlutazione e- più consapevole
siderare
i
pidemiolofattori biogica, sia in
logici, ma
termini di
anche socio
prevenzioculturali dei
ne: in passato, infatti, i dati pazienti – ha concluso – gadai qualisi partivaper cercare rantirebbe a ogni ognuno
il modo di relazionarsi con u- l’appropriatezza terapeuti-
“
”
ca, nonché una gestione più
consapevole della spesa sanitaria”. Già, perché affrontare la malattia differentemente a seconda del sesso,
non solo ottimizzerebbe la
diagnosi,le terapiee laconsistenza, ma consentirebbe alla medicina di evolversi
scientificamente e socialmente: “La medicinadi genere – ha spiegato il Commissario della ASL di Latina, Giorgio Casati – mette in definitiva crisi i modelli organizzativi delle strutture sanitarie
tant’è che si parla sempre più
spesso di multidisciplinarità
in una cura del paziente che
tiene necessariamente conto
della specificità di genere.
Certoè ancoralunga lastrada
dapercorrere intalsenso –ha
concluso – ma si tratta di un
passo importante verso la
realizzazione di percorsi
sempre più specifici, magari
azzurri, rosa, bianchi, volti ad
un approccio individualizzato del paziente ed una consapevole gestione della spesa
sanitaria”. “Siamo ancora indietro per quanto ne concerne la medicina di genere – ha
concluso la Segretaria SPI-CGIL Restituta Rotondi – iniziative come questa, però,
servono a favorire l’inserimento dei trattamenti di genere nel piano socio-sanitario alfine diridurre illivello di
errore, migliorare le terapie e
infine generare risparmio per
il servizio regionale e nazionale”.
Lettera aperta delle Acli ai sindaci della provincia e ai segretari dei partiti
Il futuro è nella collaborazione
I regolamenti già attivi in altri capoluoghi della penisola
con soggetti pubblici, privati,
del terzo settore: il Comune,
un liceo, la parrocchia,
un’impresa sociale, un comitato di cittadini. Basta che alcuni abbiano l’idea e si responsabilizzino, poi chiunque si potrà unire. Una grande chance di cambiamento esplicitata dall’art 118 della
Costituzione. Non si tratta di
una collaborazione sporadica con privati e aziende ma di
una compartecipazione tra
amministrazione locale e società civile normata in modo
chiaro e generale. Il primo
comune ad attuare questa
buona pratica è stato quello
di Bologna nel 2014 quando,
alcuni tra i maggiori esperti
di diritto amministrativo,
hanno accolto lo stimolo di
uno straordinario funzionario del Comune di Bologna,
Donato Di Memmo, che mise
in evidenza un problema che
gli si presentava quotidianamente. Troppo spesso le energie di molti bolognesi at-
tivi venivano disperse: occorreva un dispositivo, il più
semplice possibile, per canalizzarle meglio. Fu così che
Bologna adottò il primo Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni
urbani. Il Regolamento prevede la possibilità, da parte
dei cittadini o organizzazioni
della società civile, di proporre un intervento che si
realizza con il contemporaneo impegno dei cittadini
proponenti e del Comune.
Quest’ultimo assicura sempre un proprio supporto:
mettendo a disposizione i
propri mezzi di comunicazione diffusa, il lavoro di dipendenti comunali e le attrezzature per i diversi settori di intervento pubblico locale, le
proprie reti con altri soggetti
del territorio. Il regolamento
offre una cornice giuridica in
cui tale azione può collocarsi
e ne delinea le regole; ogni
singolo intervento diventa
parte di un Patto di collaborazione che specifica, coerentemente con il regolamento, i soggetti, i modi e i
tempi con cui cittadini e istituzioni si impegnano reciprocamente a realizzare obiettivi comuni. “La cultura
dell’Amministrazione condivisa è andata via via incidendo su due sfide di cambiamento culturale – ha spiegato Maurizio Scarsella, presidente provinciale delle Acli -.
Da una parte lo snellimento
burocratico e la rapidità realizzativa sono diventati evidenti (ne sono esempio gli oltre duecento Patti stipulati
nel comune di Bologna);
dall’altra parte la costruzione
di collaborazioni multi-attoriali, inedite dal punto di vista tematico, sorprendenti
sotto il profilo dei contraenti
(“nemici storici”, per così dire, che finalmente si alleano)”. Sono oggi quasi cento i
Comuni italiani che hanno a-
dottato questo Regolamento,
tra cui capoluoghi di Regione
come Torino, Bari e Genova,
ma anche luoghi fortemente
simbolici come Casal di Principe, numerose realtà medie
lombarde e toscane ma anche
più piccole, come Acireale in
Sicilia. Il patto di collaborazione, in concreto, prevede
che un bene comune possa
diventare oggetto di azioni di
cura, rigenerazione, riuso o
gestione per iniziativa di cittadini singoli o associati, ovvero su proposta dei funzionari o dei responsabili politici comunali. Tale proposta
può quindi venire “dall’alto”
o “dal basso” ma risulterà
sempre come azione, materiale e/o immateriale, che
non può prescindere dal responsabilizzarsi delle diverse
parti contraenti, che si impegnano a rispettare gli impegni pattuiti. “Molti amministratori a cui viene presentato questo nuovo strumento di
diritto amministrativo ri-
spondono che nel loro comune c’è già un regolamento simile. Ma i regolamenti settoriali, ad esempio un regolamento per la cura del verde
comunale, non sono ombrelli
sufficientemente ampi per
proteggere le molteplici, diverse e spesso sorprendenti
declinazioni di una cittadinanza attiva (non solo nella
cura di orti e giardini) che
non vuole avere nei confronti
dell’amministrazione pubblica locale un atteggiamento rivendicativo, ma costruttivo, sperimentale, collaborativo – sottolinea Nicola Tavoletta -. L’idea di fondo è che
nuove prassi generative capaci di far fronte a problemi
complessi abbiano bisogno di
laboratori territorializzati e
condivisi. Restringendo il
campo, ad esempio al solo tema del verde pubblico urbano, si andrebbe ad impoverire uno strumento normativo
che invece può riguardare i
più svariati settori”.