Sussidiarietà orizzontale e funzioni comunali
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Sussidiarietà orizzontale e funzioni comunali
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO Facoltà di economia Corso di laurea in economia e commercio Tesi curriculare SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE E FUNZIONI COMUNALI Relatore: prof. Gregorio Arena Laureanda: Zambotti Elisabetta ANNO ACCADEMICO 2002-2003 L’idea di sussidiarietà non comporta solamente che il soccorso sia distribuito in proporzione al bisogno, ma, soprattutto, che se ne faccia carico il più largamente possibile la società civile e che non rimanga esclusivo appannaggio delle istanze pubbliche. I cittadini sono abilitati, e persino incentivati, a rispondere ai bisogni d’interesse generale, ed è grazie a loro che l’istanza pubblica nazionale, o le collettività locali, finanziano la ridistribuzione sociale. Tutto ciò al fine che i cittadini possano acquisire la più ampia autonomia possibile e, al tempo stesso, accrescere l’efficacia dell’azione. Ma in una simile prospettiva l’idea della sussidiarietà si scontra con delle resistenze culturali. (Chantal Millon-Delsol) III PREMESSA Questo lavoro è frutto, oltre che dell’interesse personale verso le questioni giuridiche legate al mondo del cosiddetto Terzo Settore, anche dell’intensa collaborazione che, grazie allo strumento del tirocinio formativo, si è instaurata con il Comune di Civezzano, il quale mi ha pazientemente ospitata per il periodo in cui ho svolto la mia analisi sulle funzioni comunali. A partire dal sindaco, dr. Michele Dallapiccola, fino ad arrivare a tutti i dipendenti, che si sono sempre dimostrati attenti alle mie esigenze di studentessa e sinceramente interessati al mio lavoro, vorrei perciò esprimere la mia gratitudine all’intera amministrazione comunale per avermi dato questa importante opportunità, che spero di aver saputo sfruttare al meglio, e per aver quotidianamente soddisfatto tutte le mie necessità di studio. Un grazie particolare va al segretario comunale, dott. Mariano Carlini, il quale mi ha sempre supportata ed ha seguito con grande disponibilità non soltanto lo svolgimento del mio lavoro all’interno del Comune, ma anche l’intera stesura di questa tesi. Un ringraziamento a parte va poi alla Presidente dell’Associazione provinciale delle ASUC, dott.ssa Nicoletta Aloisi per la grande disponibilità ed il grande aiuto offertomi nel reperire la documentazione sulle proprietà collettive e sui diritti di uso civico necessaria al mio lavoro. Un grazie infine a tutti coloro che, nei modi più svariati, mi hanno aiutata in questi anni di studio ed hanno condiviso con me soddisfazioni ed insuccessi, sostenendomi sempre con grande pazienza. È senz’altro anche merito loro se oggi sono qui a discutere la mia tesi di laurea. V SOMMARIO SOMMARIO 1 INTRODUZIONE 3 1. ORIGINI E SIGNIFICATO DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ 7 1.1. Il principio di sussidiarietà in generale 7 1.2. Genesi filosofica del principio 8 1.3. Il principio di sussidiarietà nella dottrina sociale della Chiesa Cattolica 11 1.4. Sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale 15 2. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÁ NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO 17 2.1. Dal Trattato CE all’ordinamento italiano 17 2.2. Introduzione del principio di sussidiarietà nel diritto italiano 19 2.3. La riforma del Titolo V della Costituzione e l’introduzione del principio di sussidiarietà a livello costituzionale 21 3. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE COME SANCITO DALL’ARTICOLO 118 ULTIMO COMMA DELLA COSTITUZIONE 25 3.1. L’interpretazione del principio di sussidiarietà orizzontale 25 3.2. Relazione tra primo e quarto comma dell’art. 118 della Costituzione 29 3.3. Analisi ed implicazioni dell’art. 118 quarto comma 30 4. LE FUNZIONI AMMINISTRATIVE DEI COMUNI 4.1. Le funzioni amministrative alla luce del principio di sussidiarietà verticale 35 35 4.2. Le funzioni attribuite ai comuni dal Testo Unico delle leggi in materia di ordinamento degli enti locali (d.lgs. 267/2000) 37 4.3. Le funzioni di servizio alla persona e alla comunità 44 4.4. Le funzioni di assetto ed utilizzazione del territorio 48 4.5. Le funzioni di sviluppo economico 51 4.6. Le funzioni amministrative per servizi di competenza statale 53 4.7. Le funzioni amministrative strumentali 55 5. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE APPLICATO ALLE FUNZIONI COMUNALI 57 5.1. Il principio di sussidiarietà orizzontale come anello di collegamento fra cittadini ed amministrazioni comunali 57 1 5.2. Ambito di applicazione e modalità di attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale da parte dei cittadini 60 5.2.1. I servizi alla persona e alla comunità 62 5.2.2. La gestione del territorio 66 5.2.3. Lo sviluppo economico 70 5.2.4. Il controllo sull’operato delle amministrazioni e la tutela dei diritti 70 5.2.5. Alcune regole di base da seguire nello svolgimento delle iniziative civiche 71 5.3. Modalità di attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale da parte delle amministrazioni comunali 73 5.3.1. Un cambiamento di mentalità per non ostacolare le iniziative dei cittadini 73 5.3.2. La comunicazione pubblica 74 5.3.3. Il controllo delle iniziative civiche e il “responsabile del procedimento sussidiato” 76 5.3.4. Finanziamenti, patrocini e concessione in uso di strutture e attrezzature 78 5.3.5. Stipula di convenzioni con i cittadini per l’erogazione di servizi 79 5.4. Sussidiarietà orizzontale, solidarietà e libertà 80 5.5. Il ruolo di associazioni ed imprese nell’attuazione dell’art. 118 della Costituzione 82 5.6. Problematiche e questioni aperte legate alla sussidiarietà orizzontale 84 5.6.1. I principi giuridici che devono essere seguiti dai cittadini 85 5.6.2. La definizione dell’interesse generale: un problema giuridico ma anche politico 86 5.6.3. La responsabilità per le azioni svolte dai cittadini 88 5.6.4. Contrasto dell’art. 118 u.c. Costituzione con alcune norme vigenti 91 6. DIRITTI DI USO CIVICO E CORPI DEI VIGILI DEL FUOCO VOLONTARI: DUE APPLICAZIONI STORICHE DELLA SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE IN TRENTINO 95 6.1. Le Carte di Regola: antichi esempi di autonome iniziative dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale 95 6.2. Le Amministrazioni Separate degli Usi Civici: l’evoluzione del sistema di governo della proprietà collettiva in ottica sussidiaria 98 6.3. Il servizio antincendio in Trentino: la sussidiarietà orizzontale come strumento per combattere le sventure comuni 103 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 109 APPENDICE 115 Avviso di iniziativa civica ai sensi dell’art. 118 u.c. della Costituzione italiana RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 2 115 117 INTRODUZIONE La curiosità e l’interesse che ho sempre nutrito per le organizzazioni no profit, nonché l’intervento in prima persona in associazioni di volontariato, mi hanno spinta a studiare gli strumenti giuridici che consentono ai privati cittadini di incrementare il livello di benessere dell’intera comunità attraverso la creazione di forme di partecipazione attiva alla vita sociale. Il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 ultimo comma della Costituzione, è senza dubbio il più importante di questi strumenti, in quanto rappresenta la formale legittimazione dell’attività di tutti coloro che, spinti da spirito di solidarietà e senso civico, decidono di intraprendere azioni volte a supportare l’operato delle amministrazioni pubbliche nella realizzazione di obiettivi di interesse generale. Da qui dunque è nata l’idea di “immaginare” quali forme di intervento possono essere attuate dai cittadini per perseguire finalità di tipo collettivo e secondo quali modalità le pubbliche istituzioni possono sostenere tali iniziative. In particolare ho deciso di focalizzare la mia attenzione sulle attività svolte dalla società civile a sostegno delle funzioni esercitate dai comuni, in quanto ritengo che questi, essendo gli enti più vicini alla popolazione, siano presumibilmente anche quelli che possono trarre dall’azione dei cittadini il maggiore beneficio, sia in termini di risparmio di risorse, che in termini di partecipazione democratica alla gestione dei beni collettivi. Il lavoro è stato sviluppato partendo dalle origini filosofiche del principio di sussidiarietà, seguendone l’evoluzione fino ad arrivare alla sua introduzione nell’ordinamento giuridico italiano. In questo modo è stato possibile comprendere le motivazioni che hanno spinto il legislatore alla stesura del novellato testo dell’art. 118 della Costituzione e le finalità che lo stesso ha voluto perseguire concedendo alle formazioni della società civile la facoltà di intraprendere, in maniera del tutto autonoma, azioni volte alla realizzazione 3 dell’interesse generale. Sarebbe stato tuttavia impossibile comprendere quali tipi di iniziative possono essere messe in atto dai cittadini nell’ambito delle funzioni normalmente svolte dai comuni, senza prima conoscere le norme che regolano il funzionamento e l’organizzazione delle amministrazioni comunali stesse. Ho iniziato perciò il mio lavoro dallo studio dei principi giuridici e delle leggi vigenti in materia di amministrazione degli enti locali, concentrandomi in particolare sul d.lgs. 267/2000 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Per esaminare dall’interno l’attività esercitata dai comuni, ho svolto inoltre un periodo di tirocinio presso il Comune di Civezzano, ente di medie dimensioni che mi ha dato la possibilità di rendermi effettivamente conto della grande quantità di funzioni che questi enti quotidianamente svolgono a servizio del benessere collettivo. Una volta compresi i compiti ed il funzionamento delle amministrazioni comunali, ho cercato poi di ipotizzare da una parte le azioni che i cittadini possono concretamente attuare al fine di supportarne l’attività, e dall’altra le modalità con cui le stesse amministrazioni possono a loro volta favorire le iniziative civiche intraprese dalla società civile. L’art. 118 ultimo comma della Costituzione infatti pone a carico delle istituzioni il dovere di incoraggiare le proposte messe in atto dalla cittadinanza, una volta constatato che queste vanno realmente a beneficio della collettività, ma nulla dice a proposito delle forme in cui tale sostegno deve essere realizzato. Nel corso dell’analisi si è riscontrato che l’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale di fatto offre alla cittadinanza molte opportunità per promuovere iniziative a carattere collettivo nei più svariati ambiti della vita sociale e della partecipazione alla cura del bene comune; sono emersi tuttavia anche diversi problemi, legati soprattutto alla necessità di un cambiamento di mentalità da parte delle amministrazioni, le quali, nonostante le recenti disposizioni normative, troppo spesso sono ancora convinte di essere gli unici soggetti deputati alla realizzazione dell’interesse generale. L’operato dei cittadini 4 si scontra pertanto con le radicate resistenze culturali che tuttora permeano il sistema amministrativo italiano e di fatto intralciano l’interesse della società civile verso le questioni legate alla partecipazione democratica. Affinché il principio di sussidiarietà orizzontale riceva piena attuazione è fondamentale dunque che le amministrazioni comunali accettino l’autonomia della società civile nella realizzazione di iniziative di interesse generale e collaborino con essa al fine di aumentare l’efficacia e l’efficienza delle azioni amministrative; è necessario altresì che anche la cittadinanza assuma la consapevolezza dell’importanza del proprio contributo responsabile alla causa comune ed abbandoni perciò gli interessi egoistici per far prevalere l’interesse della collettività. Questo non significa negare l’autorità degli enti pubblici, ma semplicemente affermare che i cittadini hanno l’obbligo morale di difendere i propri spazi di autonomia e di partecipazione attiva alla vita amministrativa. In passato, almeno qui in Trentino, la popolazione ha sempre intrapreso iniziative di carattere pubblico senza dover attendere il sostegno né tanto meno il benestare del potere centrale; e questo addirittura molti secoli prima della definizione giuridica del principio di sussidiarietà orizzontale. Mi riferisco in particolare alla gestione delle proprietà collettive e al servizio antincendio, funzioni queste esercitate da secoli su base volontaria nonché tratti fondanti dell’autonomia del Trentino. Da questo punto di vista il principio di sussidiarietà orizzontale può essere visto anche come un ritorno agli antichi valori della solidarietà e della responsabilità nei confronti della ricerca e della cura del bene comune, valori che la popolazione trentina ha tramandato per generazioni nel corso degli anni. Oggi l’art. 118 ultimo comma della Costituzione consente di nuovo, seppure in altri termini, questo tipo di partecipazione democratica per la realizzazione del bene comune; forse è bene che cittadini ed amministrazioni si soffermino a riflettere su questa importante lezione di democrazia impartita dalla storia ed approfittino della possibilità loro accordata di collaborare in modo concreto all’incremento del benessere collettivo. 5 1. ORIGINI E SIGNIFICATO DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ 1.1. Il principio di sussidiarietà in generale Il sostantivo sussidiarietà deriva etimologicamente dal latino subsidium: il termine era usato in ambito militare per indicare le truppe di riserva che restavano nella retroguardia, pronte ad intervenire in aiuto alle coorti che combattevano in prima acies. Il Grande dizionario della lingua italiana del Battaglia spiega la sussidiarietà attraverso una definizione tra le più esaustive: «Principio ideologico-istituzionale [...] secondo cui le strutture e le istituzioni politiche di livello superiore, in particolare quelle dello Stato nazionale, devono prendersi cura dei soli aspetti del bene comune cui non possono adeguatamente provvedere le strutture e istituzioni di livello inferiore (corpi sociali intermedi) come le comunità locali, le organizzazioni sindacali, del volontariato [...] e le altre organizzazioni “libere” ossia di diritto privato (associative, cooperative, imprenditoriali)»1. Nella accezione giuridica, il principio di sussidiarietà implica dunque una modalità di riallocazione delle funzioni pubbliche: queste spettano di regola ai soggetti che sono più vicini alla popolazione, e quindi ai bisogni ed alle risorse, e solo in via di eccezione possono essere in capo a soggetti collocati in posizioni via via più distanti dalla comunità locale. Tale concetto implica, come meglio vedremo in seguito, due livelli di lettura: quello della sussidiarietà verticale (fra istituzioni pubbliche) e quello della sussidiarietà orizzontale (fra istituzioni pubbliche e società civile, organizzata nella formazioni sociali). Da soli tuttavia questi due livelli direbbero poco se non fossero interpretati attraverso i valori della supplenza e dell’aiuto, che interagiscono strettamente per 1 F. Occhetta, Il principio di sussidiarietà, in Aggiornamenti sociali, anno 52, n. 6, pag. 528, Centro studi sociali, Milano 2001 7 la realizzazione del principio di sussidiarietà. Infatti la semplice supplenza, intesa come mero spostamento di una determinata funzione dal livello al quale era stata attribuita ad un altro livello, perché non in grado di svolgerla, non avrebbe significato se non presupponesse l’aiuto. Aiuto, come si evince anche dal significato stesso del termine, inteso come sostegno che i livelli superiori sono tenuti a dare a quelli inferiori affinché possano esercitare al meglio le funzioni di propria competenza. Si tratta, a ben vedere, non di un criterio sostanziale, ma di un principio meramente procedurale: esso non dice a quale soggetto vadano assegnati i diversi compiti, ma espone semplicemente il metodo da seguire di volta in volta per individuarlo2. La riassegnazione delle competenze dei pubblici poteri deve avvenire dunque solo dopo aver constatato l’incapacità del livello di responsabilità inferiore nello svolgimento di una determinata funzione e dopo aver verificato l’impatto di tale sostegno in termini di efficienza, intesa come capacità del livello di responsabilità superiore di raggiungere il risultato voluto. Ma il principio di sussidiarietà non riguarda solamente l’attribuzione delle competenze fra diversi livelli pubblici; esso riguarda in primo luogo la valorizzazione delle capacità e dell’autonomia dei singoli e delle loro organizzazioni, i quali sicuramente sono i soggetti più vicini ai bisogni della popolazione. Questo a sua volta implica la necessità di azioni di educazione e di responsabilizzazione volte ad aumentare il senso civico dei cittadini. Solo in questo modo infatti la sussidiarietà può diventare un modo nuovo di amministrare il bene pubblico, un modo che prevede la collaborazione e la partecipazione della popolazione alle attività amministrative. 1.2. Genesi filosofica del principio Nonostante la nozione di sussidiarietà assuma connotati precisi solo in epoche recenti, la valorizzazione dell’autonomia del singolo che sottende al principio fu 2 G. U. Rescigno, Principio di sussidiarietà orizzontale e diritti sociali, in Diritto pubblico, anno VIII, n. 1, Il mulino, Bologna 2002, pag. 14 8 considerata già da Aristotele3, il quale «considera l’individuo come il fulcro del sistema politico, e per questo lo Stato, la polis, deve agire in funzione del suo bene»4. Compito del potere pubblico è dunque per il filosofo greco quello di garantire la libertà, mentre ogni articolazione della società civile deve rispondere ai bisogni insoddisfatti della sfera immediatamente inferiore; tuttavia le funzioni svolte dai diversi gruppi non si confondono, ma si sovrappongono muovendosi nel rispetto della sfera di competenza propria degli altri. Successivamente la riflessione di Aristotele sulla sussidiarietà venne ripresa da San Tommaso d’Aquino a base della legittimazione dell’azione umana: la persona è la prima protagonista per la costruzione del bene comune, tuttavia è sempre bisognosa di un sostegno che le deve venire dalle formazioni sociali e, in subordine, dal potere politico. Da una parte quindi il potere politico risulta essere necessario, dall’altra è limitato perché sussidiario alla persona stessa. Per San Tommaso dunque il principio di sussidiarietà deve essere concepito come elemento indispensabile alla concreta realizzazione del bene comune: è il risultato di una pluralità di apporti (da parte dei singoli, ma anche delle formazioni sociali e dei pubblici poteri) in un contesto non conflittuale nel cui ambito è offerta alla persona la possibilità di svilupparsi. Infatti soltanto il desiderio di indipendenza riflesso nelle autonome azioni umane conduce allo sviluppo delle capacità e, conseguentemente, della personalità dell’individuo. Nel pensiero di Althusius il principio di sussidiarietà è implicitamente presente nella definizione della sovranità: essa dovrebbe spettare di diritto al popolo in quanto gruppo di individui liberi e responsabili dotati di autonoma capacità di agire. In questa visione l’intervento dello Stato è legittimato dall’esigenza di sicurezza: il potere pubblico si inserisce con la funzione di garante del benessere creato dal popolo, il quale non ha la capacità di difendere la propria libertà in mancanza di un giudice imparziale che definisca le controversie fra gli individui. Anche se questa impostazione venne successivamente ripresa da molti altri 3 P. Duret, La sussidiarietà “orizzontale”: le radici e le suggestioni di un concetto, in Jus – Rivista di scienze giuridiche, anno XLVII, n. 1, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano 2000 pag. 96 4 G. D’Agnolo, La sussidiarietà nell’Unione Europea, Cedam, Padova 1998, pag. 8 9 studiosi, tra i quali spiccano Locke e von Humboldt, Althusius fu il primo a teorizzare il concetto di contratto sociale: il popolo affida allo Stato la funzione giurisdizionale in cambio di protezione da aggressioni esterne che potrebbero minarne la libertà. Nonostante risalgano ad epoche e culture del tutto distanti, le diverse teorie fin qui viste hanno alcune linee di fondo comuni, che possono essere di seguito schematizzate: • I cittadini devono essere messi nelle condizioni di poter agire autonomamente per perseguire il bene comune • A questo scopo deve essere garantita loro la libertà • Gli individui devono essere responsabilizzati nel senso di acquisire piena coscienza delle conseguenze del proprio agire sulla sfera di benessere e di libertà altrui • Lo Stato deve intervenire soltanto come potere regolatore delle azioni dei cittadini al fine di svilupparne l’autonomia e la responsabilità; se questo non avviene, lo Stato deborda in un potere paternalistico, quasi dispotico, che lo «conduce a considerare i sudditi come eterni minorenni, che non giungono mai, in quanto cittadini, all’età della ragione»5. Quest’ultimo aspetto porta ad una definizione “negativa” di sussidiarietà: i pubblici poteri non devono ingerire eccessivamente nella sfera di azione della società civile perché questo porterebbe allo svuotamento e alla sterilizzazione dell’iniziativa libera e responsabile dei cittadini. Accanto a questa definizione “negativa” esiste tuttavia anche un’accezione “positiva” di sussidiarietà: siccome gli individui, pur se dotati di capacità ed autonomia, non sono comunque in grado di provvedere totalmente al proprio benessere, l’apparato pubblico ha il compito di supplire alle mancanze della società civile e di rispondere a tutte le istanze provenienti da essa in modo da garantirne un’efficace realizzazione. 5 J. Locke, Trattato sul governo, a cura di L. Formigari, Rist, Editori riuniti, Roma 1984, pag. 179 10 1.3. Il principio di sussidiarietà nella dottrina sociale della Chiesa Cattolica Nell’ambito della dottrina sociale della Chiesa Cattolica il principio di sussidiarietà trova una delle sue più complete formulazioni; esso infatti viene implicitamente trattato già nel 1891 da Leone XIII, che nell’enciclica Rerum Novarum scrive: «Entro i limiti determinati dal fine suo, la famiglia ha dunque, per la scelta e l'uso dei mezzi necessari alla sua conservazione e alla sua legittima indipendenza, diritti almeno eguali a quelli della società civile. Diciamo almeno eguali, perché essendo il consorzio domestico logicamente e storicamente anteriore al civile, anteriori altresì e più naturali ne debbono essere i diritti e i doveri. Che se l'uomo, se la famiglia, entrando a far parte della società civile, trovassero nello Stato non aiuto, ma offesa, non tutela, ma diminuzione dei propri diritti, la civile convivenza sarebbe piuttosto da fuggire che da desiderare. È dunque un errore grande e dannoso volere che lo Stato possa intervenire a suo talento nel santuario della famiglia. Certo, se qualche famiglia si trova per avventura in sì gravi strettezze che da sé stessa non le è affatto possibile uscirne, è giusto in tali frangenti l'intervento dei pubblici poteri, giacché ciascuna famiglia è parte del corpo sociale. Similmente in caso di gravi discordie nelle relazioni scambievoli tra i membri di una famiglia intervenga lo Stato e renda a ciascuno il suo, poiché questo non è usurpare i diritti dei cittadini, ma assicurarli e tutelarli secondo la retta giustizia. Qui però deve arrestarsi lo Stato; la natura non gli consente di andare oltre. La patria potestà non può lo Stato né annientarla né assorbirla, poiché nasce dalla sorgente stessa della vita umana»6. Leone XIII pose dunque la sua attenzione all’applicazione del principio di sussidiarietà all’istituzione familiare, propugnando un intervento dello Stato soltanto nel caso in cui la famiglia non sia capace di provvedere da sola ai propri bisogni. Il compito del potere pubblico dovrebbe perciò esaurirsi nel momento in cui siano garantiti i diritti fondamentali di tutti i cittadini, lasciando alle famiglie il compito dell’educazione libera e responsabile dei figli. 6 Leone XIII, enciclica Rerum www.vatican.va/offices/papal_docs_list_it.html Novarum, Roma 1891, sito internet 11 L’affermazione completa del principio di sussidiarietà si ha tuttavia nell’enciclica Quadragesimo Anno (che celebra appunto il quarantesimo anniversario della Rerum Novarum), scritta da Pio XI nel 1931. In questa lettera il papa esprime l’importanza della ripartizione delle competenze nello svolgimento di funzioni di interesse generale tra pubblici poteri e società civile secondo un criterio di solidarietà: «È vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche dalle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle. Perciò è necessario che l'autorità suprema dello stato, rimetta ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle quali essa del resto sarebbe più che mai distratta; e allora essa potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei solo spettano, perché essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza, di incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità. Si persuadano dunque fermamente gli uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà mantenuto l'ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio della funzione suppletiva dell'attività sociale, tanto più forte riuscirà l'autorità e la potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera la condizione dello Stato stesso»7. Nella filosofia cattolica dunque il principio di sussidiarietà viene affermato quale concetto fondamentale dell’etica sociale: i bisogni degli individui devono essere 7 Pio XI, enciclica Quadragesimo www.vatican.va/offices/papal_docs_list_it.html 12 Anno, Roma 1931, sito internet soddisfatti dalle autonome iniziative delle varie componenti della società civile (singoli, famiglie, associazioni), che hanno così l’opportunità di crescere nella dimensione umana in un contesto di libertà e responsabilità. Il principio di sussidiarietà si coniuga di conseguenza con la piena partecipazione delle persone alla vita sociale e civile del Paese, che per il cristiano non deve più essere vista soltanto come un diritto, bensì come un dovere morale, un impegno quotidiano nelle proprie scelte di vita. L’intervento dello Stato (nelle sue varie forme) dovrebbe avvenire solamente nel momento in cui l’impegno della società civile si rivelasse insufficiente o fallimentare nella realizzazione dei vari interessi; questo consentirebbe non solo un utilizzo più razionale del potere pubblico, che avrebbe in sostanza principalmente il ruolo di guida nella definizione degli interessi meritevoli di tutela e di garante della libertà e dell’uguaglianza, ma permetterebbe altresì di raggiungere gli obiettivi prefissati nel rispetto del principio costituzionale del buon andamento, dato che spesso la maggior efficienza si rivela essere la carta vincente delle istituzioni della società civile. La riflessione filosofica della Chiesa sul principio di sussidiarietà non si esaurisce tuttavia nella Quadragesimo Anno. Tale concetto viene infatti più volte ripreso: nel 1946 da Pio XII, il quale auspica un’applicazione della sussidiarietà anche all’interno della stessa comunità ecclesiastica, nel 1961 da Giovanni XXIII, che nell’enciclica Mater et Magistra propone un’applicazione della sussidiarietà anche al campo economico8, e nel 1991 da Giovanni Paolo II, che 8 « […] Vero è che oggi gli sviluppi delle conoscenze scientifiche e delle tecniche produttive offrono ai poteri pubblici maggiori possibilità concrete di ridurre gli squilibri tra i diversi settori produttivi, tra le diverse zone all’interno delle comunità politiche e tra diversi paesi su piano mondiale; come pure di contenere le oscillazioni nell’avvicendarsi delle situazioni economiche e di fronteggiare con prospettive di risultati positivi i fenomeni di disoccupazione massiva. Conseguentemente i poteri pubblici, responsabili del bene comune, non possono non sentirsi impegnati a svolgere in campo economico una azione multiforme, più vasta, più organica; come pure ad adeguarsi a tale scopo nelle strutture, nelle competenze, nei mezzi e nei metodi. Ma deve essere sempre riaffermato il principio che la presenza dello Stato in campo economico, anche se ampia e penetrante, non va attuata per ridurre sempre più la sfera di libertà dell’iniziativa personale dei singoli cittadini, ma anzi per garantire a quella sfera la maggiore ampiezza possibile nell’effettiva tutela, per tutti e per ciascuno, dei diritti essenziali della persona; fra i quali è da ritenersi il diritto che le singole persone hanno di essere e di rimanere normalmente le prime responsabili del proprio mantenimento e di quello della propria famiglia; il che implica che nei sistemi economici sia consentito e facilitato il libero svolgimento delle attività produttive. Del resto lo stesso evolversi storico mette in rilievo ognora più chiaro che non si può avere una convivenza ordinata e feconda senza l’apporto in campo economico sia dei singoli cittadini che dei poteri pubblici; apporto 13 nell’enciclica Centesimus Annus (che celebra il centesimo anniversario della Rerum Novarum) recita testualmente: «Se Leone XIII si appella allo Stato per rimediare secondo giustizia alla condizione dei poveri, lo fa anche perché riconosce opportunamente che lo Stato ha il compito di sovrintendere al bene comune e di curare che ogni settore della vita sociale, non escluso quello economico, contribuisca a promuoverlo, pur nel rispetto della giusta autonomia di ciascuno di essi. Ciò, però, non deve far pensare che per Papa Leone ogni soluzione della questione sociale debba venire dallo Stato. Al contrario, egli insiste più volte sui necessari limiti dell'intervento dello Stato e sul suo carattere strumentale, giacché l'individuo, la famiglia e la società gli sono anteriori ed esso esiste per tutelare i diritti dell'uno e delle altre, e non già per soffocarli»9. Anche l’attuale pontefice dunque sottolinea l’importanza del principio di sussidiarietà nell’amministrazione dei bisogni degli individui, evidenziando il simultaneo, concordemente realizzato, secondo proporzioni rispondenti alle esigenze del bene comune nelle mutevoli situazioni e vicende umane. L’esperienza infatti attesta che dove manca l’iniziativa personale dei singoli vi è tirannide politica; ma vi è pure ristagno dei settori economici diretti a produrre soprattutto la gamma indefinita dei beni di consumo e di servizi che hanno attinenza, oltre che ai bisogni materiali, alle esigenze dello spirito: beni e servizi che impegnano, in modo speciale, la creatrice genialità dei singoli. Mentre dove manca o fa difetto la doverosa opera dello Stato, vi è disordine insanabile, sfruttamento dei deboli da parte dei forti meno scrupolosi, che attecchiscono in ogni terra e in ogni tempo, come il loglio tra il grano. […]» (Giovanni XXIII, enciclica Mater et Magistra, Roma 1961, sito internet www.vatican.va/offices/papal_docs_list_it.html) 9 « […] Si è assistito negli ultimi anni ad un vasto ampliamento della sfera di intervento del potere pubblico, che ha portato a costituire, in qualche modo, uno Stato di tipo nuovo: lo “Stato del benessere”. Questi sviluppi si sono avuti in alcuni Stati per rispondere in modo più adeguato a molte necessità e bisogni, ponendo rimedio a forme di povertà e di privazione indegne della persona umana. Non sono, però, mancati eccessi ed abusi che hanno provocato, specialmente negli anni più recenti, dure critiche allo Stato del benessere, qualificato come «Stato assistenziale». Disfunzioni e difetti nello Stato assistenziale derivano da un'inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato. Anche in questo ambito deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune. Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese. Sembra, infatti, che conosce meglio il bisogno e riesce meglio a soddisfarlo chi è ad esso più vicino e si fa prossimo al bisognoso. Si aggiunga che spesso un certo tipo di bisogni richiede una risposta che non sia solo materiale, ma che ne sappia cogliere la domanda umana più profonda. Si pensi anche alla condizione dei profughi, degli immigrati, degli anziani o dei malati ed a tutte le svariate forme che richiedono assistenza, come nel caso dei tossico-dipendenti: persone tutte che possono essere efficacemente aiutate solo da chi offre loro, oltre alle necessarie cure, un sostegno sinceramente fraterno. […]» (Giovanni Paolo II, enciclica Centesimus Annus, Roma 1991, sito internet www.vatican.va/offices/papal_docs_list_it.html) 14 ruolo centrale di impegno e responsabilità che la persona umana e la famiglia dovrebbero rivestire all’interno della società civile. In conclusione si può quindi affermare che il principio di sussidiarietà è una delle basi su cui poggia la dottrina sociale della Chiesa; nonostante la sua introduzione risalga ormai a più di un secolo fa, quanto in esso contenuto è tuttavia ancora di grande attualità, come dimostra la sua recente introduzione nell’ordinamento giuridico italiano. Negli ultimi anni infatti la sussidiarietà ha subito una trasformazione da principio puramente filosofico a principio giuridico, trasformazione che ha portato a considerare, come vedremo in seguito, la possibilità, grazie all’iniziativa volontaria della società civile, di un nuovo modo di intendere l’amministrazione. 1.4. Sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale Abbiamo fin qui spiegato in che cosa consiste il principio di sussidiarietà e come questo riguardi la ripartizione delle competenze nello svolgimento di compiti di interesse generale. Abbiamo altresì anticipato che tale principio implica due livelli di lettura: quello della sussidiarietà verticale e quello della sussidiarietà orizzontale. E proprio di questa differenza ci apprestiamo ora a parlare. La sussidiarietà verticale riguarda i rapporti tra enti pubblici: rappresenta il criterio di distribuzione delle competenze fra Stato ed autonomie locali. Come abbiamo già avuto modo di osservare, il punto cruciale di questa ripartizione sta nel fatto che le competenze vanno allocate al livello di responsabilità territorialmente più vicino al cittadino; agli enti locali vanno lasciate non solo le competenze giuridiche, ma anche i mezzi finanziari ed amministrativi necessari all’esercizio concreto di questi compiti10. Soltanto quando il livello inferiore non sia in grado di svolgere la funzione assegnatagli, interviene con funzione appunto sussidiaria l’ente gerarchicamente superiore. Da questo punto di vista il principio di sussidiarietà non si discosta molto dalla nozione tradizionale di federalismo, 10 M. Orsetti, Profili giuridici del principio di sussidiarietà, articolo pubblicato il 16 settembre 2003 nel sito internet www.ddp.unipi.it/dipartimento/Gruppi/Pisarum_j_oe/articoli 15 tante volte invocata anche in Italia, cui tuttavia aggiunge un elemento nuovo di primaria importanza: la necessità, da parte del livello di governo superiore, di giustificare l’esercizio del potere di sostegno (o di quello di sostituzione) con l’inadeguatezza accertata del livello inferiore allo svolgimento del compito cui precedentemente era stato preposto. La sussidiarietà orizzontale riguarda invece i rapporti tra pubblici poteri da un lato e società civile (cittadini singoli o associati) dall’altro: è il paradigma mediante il quale vengono distribuiti i compiti di erogazione di servizi e benefici ai cittadini. Introdurre in un ordinamento giuridico il principio di sussidiarietà orizzontale significa quindi affermare che i cittadini possono svolgere un ruolo attivo nell’amministrazione dei beni pubblici; è il ribaltamento del tradizionale paradigma bipolare che vedeva contrapposti da un lato la pubblica amministrazione, con le funzioni di garante della legalità e di definizione degli interessi generali da tutelare, e dall’altro, in posizione di subordine, i cittadini amministrati, destinatari passivi degli interventi messi in atto dai pubblici poteri. Con la sussidiarietà orizzontale i cittadini hanno la facoltà di abbandonare la loro poltrona di spettatori per entrare in scena sul palco della gestione del bene comune: tutti hanno il diritto di essere protagonisti nella realizzazione di funzioni di interesse generale in una posizione paritaria rispetto ai pubblici poteri. Questo tuttavia presuppone un cambio radicale nel modo di intendere l’amministrazione: si deve attuare un processo culturale che conduca da una visione piramidale dei pubblici poteri, nella quale i cittadini occupano l’ultimo posto, ad un modello a rete, in cui cittadini ed enti pubblici interagiscono per realizzare quella che viene comunemente chiamata “amministrazione condivisa”11. Solo così infatti cittadini ed amministrazioni potranno essere effettivamente consapevoli delle proprie responsabilità e pronti a collaborare insieme per il perseguimento dell’interesse generale; altrimenti il principio di sussidiarietà orizzontale rischia di rimanere soltanto una bella ideologia. 11 G. Arena, La comunicazione pubblica nell’amministrazione della sussidiarietà, articolo pubblicato nel sito internet www.uro.it/Database/urpdegliurp/pubblicando.nsf il giorno 11 giugno 2003 16 2. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÁ NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO 2.1. Dal Trattato CE all’ordinamento italiano Nell’ordinamento giuridico italiano le norme comunitarie sono direttamente applicabili, anzi si posizionano addirittura in posizione gerarchicamente più elevata rispetto alle stesse norme interne, tanto che se queste ultime sono in contrasto con una disposizione comunitaria, vengono automaticamente disapplicate. Infatti «i rapporti tra l’ordinamento comunitario e gli ordinamenti degli Stati membri si sono evoluti in modo tale che qualsiasi fonte del diritto comunitario può prevalere su qualunque fonte degli Stati membri, a qualsiasi livello sia situata nel sistema statale delle fonti»12. Questo apparente contrasto con il principio di sovranità dell’ordinamento giuridico italiano all’interno dello Stato è giustificato dall’interpretazione data dalla Corte costituzionale, che in alcune sentenze ha stabilito che le limitazioni della sovranità nazionale contenute nei trattati comunitari (e quindi anche l’accettazione di fonti normative di rango superiore a qualsiasi altra fonte italiana) costituiscono attuazione dei principi sanciti dall’art. 11 della Costituzione italiana13: «L’Italia (…) consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni». Successivamente la L. cost. 3/2001, che ha portato alla modifica della Costituzione, ha introdotto il nuovo primo comma dell’art. 17, che legittima esplicitamente la preminenza delle norme comunitarie su quelle interne laddove dichiara che «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». 12 13 D. Sorace, Diritto delle amministrazioni pubbliche, Il mulino, Bologna 2002, pag. 31 Sentenze della Corte costituzionale n. 183 del 1973 e n. 232 del 1975 17 Sviluppiamo dunque la nostra analisi del principio di sussidiarietà nell’ordinamento giuridico italiano cominciando proprio dall’introduzione dello stesso a livello comunitario, posto che anche le norme europee sono fonti del diritto dello Stato. Il principio di sussidiarietà entra a far parte dell’ordinamento europeo nel 1992, prendendo spunto dalla Grundgesetz, la Costituzione della Repubblica Federale Tedesca del 1948, nella quale vengono definiti i criteri di riparto delle competenze fra Governo Federale e singoli Laender14; l’art. 3B del Trattato di Maastricht infatti stabilisce che «la Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal Trattato. (…) Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario». Il principio di sussidiarietà definisce quindi la linea direttrice dell’integrazione europea e diventa il principio ispiratore della politica comunitaria: gli stati membri mantengono la loro autonomia decisionale, ma per lo svolgimento di determinate funzioni possono essere aiutati o addirittura sostituiti dalla Comunità Europea, anche se quest’ultima non ha competenza esclusiva nei settori in cui interviene. Lo stesso Trattato di Maastricht fissa anche dei limiti all’intervento della comunità laddove specifica che gli obiettivi che si perseguono non possono essere sufficientemente realizzati dagli stati membri e pertanto sono tali da essere attuati meglio a livello comunitario. Tali limiti tuttavia sono abbastanza equivoci, in quanto i termini “sufficientemente” e “meglio” possono dare adito a interpretazioni diverse e contrastanti, per cui è difficile a priori stabilire quando la Comunità possa o debba intervenire, e comunque lo si deve decidere di volta in volta senza poter prescindere dal caso specifico15. Forse da questo punto di 14 15 P. Duret, op. cit., pag. 123 F. Occhetta, op. cit. 18 vista «l’idea di sussidiarietà è più politica che giuridica»16. Non è tuttavia questa la sede per approfondire tale problematica; basti sapere che nel Trattato di Maastricht il principio di sussidiarietà assume una connotazione prettamente verticale, anche se in realtà non costituisce tanto un criterio di ripartizione delle competenze fra Unione Europea e singoli Stati membri, quanto piuttosto un sistema per ovviare all’incapacità del livello inferiore di svolgere le proprie funzioni: anche quando interviene la Comunità, le competenze restano in capo al livello originariamente preposto, e non appena questo dimostra di essere nuovamente in grado di svolgere le proprie funzioni in maniera adeguata, la legittimazione dell’intervento comunitario cessa17. 2.2. Introduzione del principio di sussidiarietà nel diritto italiano La sussidiarietà è un concetto molto recente per l’ordinamento italiano; appare infatti per la prima volta nella L. 59/1997 (Bassanini 1) all’art. 4 c. 3 con riferimento alla ripartizione delle competenze tra i vari livelli di governo: «I conferimenti di funzioni di cui ai commi 1 e 2 avvengono nell’osservanza dei seguenti principi fondamentali: a) il principio di sussidiarietà, con l’attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche, anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, all’autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati (…)». Come si può osservare, con la L. 59/1997 il principio di sussidiarietà viene introdotto nel nostro ordinamento in entrambe le sue accezioni: quella verticale laddove definisce un criterio di riparto delle competenze fra regioni ed enti locali, 16 C Millon-Delsol, Le principe de subsidiaritè, Presses Universitaires de France, Parigi 1993; trad. it. Il principio di sussidiarietà, a cura di M. Tringali, Giuffrè, Milano 2003, pag. 96 17 G. Rucco, Il principio di sussidiarietà quale criterio del recente processo di riorganizzazione del sistema pubblico italiano, in Oikonomia – rivista di etica e scienze sociali, anno II, n. 2 giugno 2000, sito internet www.pust.edu/oikonomia/pages/giu2000/art12.htm 19 stabilendo che le funzioni amministrative debbano essere svolte dalle autorità territorialmente più vicine ai cittadini (per cui in primo luogo dai comuni), e quella orizzontale laddove apre lo spazio all’iniziativa dei cittadini, favorendo l’esecuzione da parte di questi ultimi di funzioni e compiti di interesse generale. Interpretando il testo normativo dunque, si può dire che «l’applicazione del principio in senso verticale deve essere fatta tenendo nel massimo conto la possibilità di una successiva applicazione del principio anche in senso orizzontale. Individuato cioè il livello e quindi l’ente cui allocare la funzione o il compito di rilevanza sociale, la legge prefigura la possibilità dell’ente attributario di ulteriormente dislocare il potere stesso verso la società civile»18. Il principio di sussidiarietà è stato successivamente ripreso, sia nella sua accezione verticale che in quella orizzontale, dall’art. 2 c. 5 L. 265/1999 (che ha introdotto nell’art. 2 L. 142/1990 il c. 5, poi confluito nell’art. 3 d.lgs. 267/2000 Testo unico in materia di ordinamento degli enti locali); è previsto infatti che «comuni e province, oltre ad essere titolari di funzioni proprie, possono essere destinatari di funzioni amministrative ulteriori, conferite loro con legge dello Stato o delle regioni, secondo il principio di sussidiarietà» e che «i comuni e le province svolgano le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali». A ben vedere questa formulazione del principio non è poi tanto diversa da quella fornita dalla L. 59/1997, ma rispetto a quest’ultima introduce in aggiunta il criterio dell’adeguatezza: per poter svolgere attività di interesse generale i cittadini devono dare dimostrazione di essere in grado di fornire un livello qualitativo consono al tipo di funzione o servizio reso; infatti «con la menzionata formulazione legislativa del principio, alla società civile è attribuito un titolo per poter svolgere funzioni proprie di comuni e province, purché l’esercizio delle stesse possa venire effettuato adeguatamente»19. Se dunque l’amministrazione 18 19 P. De Carli, Sussidiarietà e governo economico, Guiffrè, Milano 2002, pag. 222 P. De Carli, op. cit., pag. 223 20 riscontrasse che il perseguimento degli interessi collettivi da parte delle formazioni sociali non rispecchia un desiderato livello delle prestazioni, l’iniziativa dei cittadini non potrebbe venire legittimata, né tanto meno potrebbe l’amministrazione rinunciare a svolgere quella determinata funzione. 2.3. La riforma del Titolo V della Costituzione e l’introduzione del principio di sussidiarietà a livello costituzionale Come è ormai noto, la L. cost. 3/2001 ha introdotto importanti modifiche nel Titolo V della Costituzione italiana. Ai nostri fini è tuttavia sufficiente sapere che in seguito a detta riforma ha finalmente trovato spazio all’interno della nostra Carta fondamentale anche il principio di sussidiarietà, che è diventato dunque a tutti gli effetti un vero e proprio principio costituzionale, sancito in entrambe le sue accezioni, quella verticale e quella orizzontale, rispettivamente ai commi 1 e 4 del novellato art. 118: «Le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. (…) Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». In realtà, già la Commissione bicamerale per le riforme costituzionali aveva avanzato la proposta di introdurre il principio di sussidiarietà orizzontale nel nuovo testo costituzionale, ma con una formulazione diversa da quella che poi è stata effettivamente accettata dalle Camere; la prima versione dell’art 56 del Progetto di riforma (che è datata 30 giugno 1997) infatti recitava: «Le funzioni che non possono essere più adeguatamente svolte dall’autonomia dei privati sono ripartite tra le comunità locali, organizzate in comuni e province, le regioni e lo Stato, in base al principio di sussidiarietà e di differenziazione, nel rispetto delle autonomie funzionali, riconosciute dalla legge. La titolarità delle funzioni spetta agli enti più vicini agli interessi dei cittadini, secondo il criterio di omogeneità ed 21 adeguatezza delle strutture organizzative rispetto alle funzioni medesime». Questa formulazione tuttavia venne presto abbandonata per l’evidente svalutazione del principio in essa sancito: in tale testo infatti la sussidiarietà era intesa come un mero criterio di ripartizione delle competenze tra cittadini ed amministrazioni da un lato e tra pubbliche amministrazioni dall’altro, senza alcun riferimento alla generalità degli interessi coinvolti né tanto meno a forme di collaborazione tra cittadini ed enti pubblici. Seguendo questa formula semplicemente l’amministrazione avrebbe rivestito un ruolo residuale rispetto all’azione dei privati: compito degli enti pubblici sarebbe diventato allora quello di fornire i soli servizi che i cittadini non fossero riusciti a garantire con la loro autonoma iniziativa. Circa un anno dopo (19 marzo 1998) la Commissione bicamerale approvava un nuovo testo per l’art. 56 del Progetto di riforma, secondo il quale: «Nel rispetto delle attività che possono essere adeguatamente svolte dall’autonoma iniziativa dei cittadini, anche attraverso le formazioni sociali, le funzioni pubbliche sono attribuite a comuni, province, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà e differenziazione. La titolarità delle funzioni compete rispettivamente ai comuni, alle province, alle regioni e allo Stato, secondo i criteri di omogeneità ed adeguatezza». Confrontando i testi, si può notare che la differenza tra le due formulazioni era minima: l’unica nota di rilievo è il fatto che “l’autonomia dei privati” della prima versione cedeva il passo “all’autonoma iniziativa dei cittadini”, espressione che armonizzava in parte il principio giuridico della sussidiarietà a quello sociale della dottrina cattolica, abbandonando il connotato esclusivamente economico della prima versione. In generale tuttavia si può affermare che il dibattito sulla sussidiarietà avvenuto in seno alla Commissione bicamerale ha portato più ad uno scontro tra chi voleva difendere la pubblicità dei servizi al cittadino e chi al contrario ne propugnava la liberalizzazione in un’ottica concorrenziale, che non ad una riflessione sulle implicazioni sociali derivanti dall’affermazione di tale principio, che 22 costituiscono invece il cuore della questione20. Come è noto il tentativo della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali è stato definitivamente abbandonato qualche tempo più tardi, ma la questione della sussidiarietà (anche dietro forte spinta della Compagnia delle Opere, che con una petizione ha raccolto centinaia di migliaia di firme) è stata riportata in Parlamento durante la XIII Legislatura. Il nuovo dibattito vedeva schierati da una parte il centro-destra, che finalizzava l’introduzione del principio di sussidiarietà nella Costituzione alla circoscrizione delle aree di intervento pubblico nell’economia, il centro-sinistra, che «vedeva nella sussidiarietà l’affermazione del primato della persona sullo Stato e dunque della priorità del cittadino rispetto all’organizzazione amministrativa»21 ed infine l’estrema sinistra, per la quale il principio di sussidiarietà era in netto contrasto con l’art. 3 della Costituzione, per cui non doveva essere introdotto nel nostro ordinamento. Le discussioni parlamentari che seguirono hanno condotto all’approvazione della L. cost. 3/2001 che, come abbiamo accennato all’inizio, ha modificato tutto il Titolo V della Costituzione, introducendo il principio di sussidiarietà nel novellato testo dell’art. 118, sia nella sua accezione verticale (le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza), che in quella orizzontale (Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà). Per quanto riguarda in particolare la sussidiarietà orizzontale, è prevalsa la proposta portata avanti dal centro-sinistra di rispettare la volontà dei costituenti di anteporre la persona allo Stato. In questa prospettiva la sussidiarietà si pone dunque come punto di equilibrio tra l’obbligo dello Stato di intervenire a sostegno della 20 P. Duret, op. cit., pag. 131 A. Poggi, L’autonoma iniziativa dei cittadini, comunicazione al convegno 118: cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma 7-8 febbraio 2003, sito internet www.astridonline.it/Sussidiari/Interventi/index.htm 21 23 persona per garantirne il pieno sviluppo e l’obbligo dello Stato di rispettare la libertà dei cittadini in campo civile ed economico22. In questo senso dunque la sussidiarietà orizzontale non si pone in contrasto con gli artt. 2 e 3 della Costituzione, ma ne costituisce anzi una maggiore e più ampia specificazione, in quanto non toglie nulla allo Stato in termini di obblighi, ma introduce possibilità nuove per realizzare obiettivi di interesse generale, prevedendo forme di collaborazione con i cittadini; se lo Stato, secondo il dettato dell’art. 3 della Costituzione, deve comunque garantire l’uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini (rimovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana), ma ha l’obbligo al contempo di garantire a tutte le persone, sia a livello singolo che associato, una maggiore facoltà di intervento nelle questioni che riguardano l’amministrazione della cosa pubblica, allora il principio di sussidiarietà rappresenta veramente una riforma che amplia la sfera delle libertà del cittadino, incrementando in questo modo il livello di civiltà del nostro Paese. 22 A. Poggi, op. cit. 24 3. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE COME SANCITO DALL’ARTICOLO 118 ULTIMO COMMA DELLA COSTITUZIONE 3.1. L’interpretazione del principio di sussidiarietà orizzontale Abbiamo visto come il principio di sussidiarietà orizzontale sia entrato a pieno titolo a far parte dei principi generali cui è informato il nostro ordinamento giuridico; in particolare esso è stabilito dall’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione: «Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». L’interpretazione di detto principio tuttavia dà adito ancora a molte controversie: nonostante infatti siano trascorsi più di due anni dalla promulgazione della L. cost. 3/2001, esistono finora almeno due modi differenti di intendere la sussidiarietà, suffragati ciascuno da diverse motivazioni e sottendenti in genere una ben determinata idea politica. Del resto l’intenso dibattito parlamentare a cui aveva dato vita la proposta di introdurre nella nostra Costituzione il principio di sussidiarietà orizzontale derivava proprio da questa diversità di punti di vista. Non è nostro compito, né nostro proposito, cercare di capire quale di questi sia il modo “giusto” e quale quello “sbagliato”, ma un’analisi seria del principio di sussidiarietà orizzontale non può prescindere dall’esatta cognizione delle intenzioni del legislatore al momento della stesura del quarto comma dell’art. 118 e richiede necessariamente la comprensione degli obiettivi che egli si era prefissato di raggiungere con l’introduzione nell’ordinamento giuridico di tale principio. Una prima interpretazione della sussidiarietà orizzontale vede l’intervento dei cittadini per finalità di interesse generale come piena attuazione del principio di libertà di iniziativa economica sancito dall’art. 41 della Costituzione. I sostenitori 25 di tale opinione infatti propongono la limitazione al minimo dell’intervento pubblico nell’economia a favore del libero scambio anche per quanto riguarda settori di preminente interesse pubblico come istruzione, sanità e assistenza sociale. Essi giustificano il loro punto di vista con la motivazione che spesso un mercato concorrenziale consente di fornire servizi ritenuti essenziali in modo più efficiente e con un livello qualitativo migliore, determinando allo stesso tempo un risparmio di risorse da parte del settore pubblico. In particolare Paolo De Carli sostiene l’idea che la sussidiarietà orizzontale rappresenti un nuovo modo di governare i rapporti tra settore pubblico e cittadini privati ed afferma perciò che «la preoccupazione pubblica di assicurare un servizio, o di assicurarlo a condizioni particolari di accessibilità, deve tuttavia tener conto della presenza e del ruolo occupato nello stesso settore da soggetti privati o privato-sociali poiché questi, se idoneamente sostenuti, possono contribuire a svolgere quel servizio o a svolgerlo alle condizioni di accessibilità desiderate, permettendo così al soggetto pubblico di risparmiare spese di impianto ed avviamento di strutture proprie in quel settore. (…) La sussidiarietà corrisponde infatti alla creazione di un concorso fra soggetti pubblici e privati e, nella accezione piena del principio, anche alla riduzione del ruolo del pubblico nei limiti in cui il servizio o l’attività possano essere assicurati dai soggetti privati in modo efficiente e secondo gli interessi di pubblica utilità prefissati dallo stesso potere pubblico»23. In quest’ottica dunque il principio di sussidiarietà orizzontale è visto meramente come sinonimo di privatizzazione; settore pubblico e privati sono ritenuti perfetti sostituti nello svolgimento di attività di interesse generale, pertanto lo Stato dovrebbe intervenire soltanto quando non vi siano già attività di tipo privato ad occuparsi dell’erogazione di beni e servizi essenziali, mentre dovrebbe ritirarsi dal mercato nel momento in cui fossero i cittadini ad intraprendere iniziative economiche di rilevanza generale (non ha importanza se con o senza scopo di lucro). Infatti, sempre secondo De Carli, «la maggior parte dei fenomeni di sussidiarietà si determina a seguito dell’arretramento e della riduzione 23 P. De Carli, op. cit., pag. 345 26 dell’intervento diretto dei poteri pubblici anche se devono essere attentamente valutate le modalità concrete di arretramento»24. Per fugare ogni possibilità di confusione è bene a questo punto fare una piccola precisazione. Molti ritengono che la sussidiarietà orizzontale, intesa nel modo appena esposto, equivalga all’esternalizzazione di servizi pubblici. A nostro avviso invece l’outsourcing non ha niente a che vedere con tale principio, in quanto non presuppone nessuna iniziativa da parte dei cittadini. Nel momento in cui un ente pubblico affida la gestione di un servizio all’esterno, l’impresa (ma potrebbe essere anche un’associazione) che ne assume in carico la fornitura è vincolata contrattualmente (potrebbe essere mediante un appalto oppure con una qualunque altra forma negoziale) ed è sempre soggetta al controllo dell’ente affidatario, il quale se non altro può recedere se ritiene che la qualità del servizio non sia adeguata allo standard desiderato. Con la sussidiarietà invece le cose sono ben diverse; non esiste un contratto che definisca diritti ed obblighi delle parti, per cui tutto è rimesso alla iniziativa e alla capacità dei privati. L’ente pubblico semmai può intervenire soltanto con l’erogazione di contributi per lo svolgimento dell’attività. Se la pubblica amministrazione, nel momento in cui i privati organizzano l’erogazione di un determinato servizio, si ritrae, tutto sarà rimesso completamente alla sensibilità, alla discrezionalità e alla capacità delle imprese, che presumibilmente seguiranno perlopiù una logica di mercato. Se il servizio non si rivelasse più adeguato alle esigenze degli utenti, l’ente pubblico non avrebbe di fatto nessun potere di controllo sulle organizzazioni private, che continuerebbero indisturbate nel loro modus operandi (nei limiti ovviamente della legalità e dei limiti imposti dal secondo e dal terzo comma dell’art. 41 della Costituzione), mentre all’amministrazione non rimarrebbe altro che intervenire direttamente, tornando di fatto alla situazione di partenza. Per questo motivo non possiamo ritenere che tale modo di interpretare il principio di sussidiarietà orizzontale rispetti la ratio che ha ispirato il legislatore che ha scritto il quarto comma dell’art. 118 della Costituzione. Ad avvalorare la 24 P. De Carli, op. cit., pag. 232 27 nostra tesi ci sono i verbali delle sedute parlamentari in cui è stata discussa la formula da inserire nel testo della L. cost. 3/2001: leggendo gli interventi effettuati dagli esponenti del centro-sinistra si può comprendere come i promotori del principio non intendessero ridurre l’intervento dei cittadini per scopi di interesse generale ad una mera iniziativa economica, né promuovere l’arretramento dello Stato per lasciare spazio all’iniziativa privata. Essi al contrario hanno cercato di promuovere e sostenere una collaborazione fra privato e pubblico, fra cittadini ed amministrazioni per “inventare” insieme un nuovo modo di soddisfare gli interessi ed i bisogni della collettività. In particolare l’on. Massimo D’Alema, durante una delle sedute più interessanti ed animate, ha chiaramente spiegato quale fosse il significato intrinseco del principio quando ha affermato che «il ruolo dell’iniziativa privata è riconosciuto e garantito nella nostra Costituzione e certamente non compete a noi di introdurre questo principio. Vi è già; vi hanno provveduto i padri costituenti! Anche il principio di sussidiarietà, in realtà, è contenuto, nelle forme e nel linguaggio di allora, nella prima parte della Costituzione. Il passo in avanti che noi facciamo è nel riconoscere la necessità oggi di favorire l’azione della società civile nella forma dei cittadini singoli, associati, delle associazioni e delle imprese nello svolgimento di attività pubbliche. Qui noi non parliamo della libera iniziativa privata, ma della necessità, dell’opportunità che le istituzioni favoriscano tale azione»25. Anche l’on. Rosa Russo Jervolino si è pronunciata sulla questione, chiarendo le motivazioni che hanno ispirato l’attuale testo dell’art. 118 c. 4 della Costituzione: «Noi non pensiamo ad un monopolio dello Stato, ma ad una responsabilità dello Stato stesso che, però, associ a sé, in una logica di cittadinanza attiva, tutte le formazioni sociali che agiscono senza scopo di lucro e nell’interesse generale»26. Dunque negli intenti dei legislatori che hanno approvato la legge di revisione 25 Atti della seduta della Camera dei deputati del giorno 21 settembre 2000, sito internet www.camera.it/chioschetto.asp?content=/_dati/leg13/lavori/stenografici/jvhomefr.htm 26 Atti della seduta della Camera dei deputati del giorno 20 settembre 2000, sito internet www.camera.it/chioschetto.asp?content=/_dati/leg13/lavori/stenografici/jvhomefr.htm 28 costituzionale, il principio di sussidiarietà orizzontale non rappresenta un modo per manlevare lo Stato dai suoi obblighi devolvendo compiti e responsabilità ai privati in un’ottica di privatizzazione, ma è soprattutto una possibilità nuova che è data ai cittadini di collaborare con le amministrazioni per il perseguimento di interessi generali, è di per sé stesso un nuovo modo di amministrare. 3.2. Relazione tra primo e quarto comma dell’art. 118 della Costituzione È doveroso a questo punto fare un piccolo passo indietro. Abbiamo visto come il principio di sussidiarietà verticale, sancito dalle leggi 59/1997 e 267/2000 prima e dalla Costituzione poi (il primo comma dell’art. 118 recita: «Le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza»), rappresenti il criterio di distribuzione delle competenze fra enti pubblici di livelli diversi. Ora ci chiediamo come tale principio si rapporti con la sussidiarietà orizzontale. Se accettiamo l’interpretazione liberista della sussidiarietà orizzontale, quella per cui Stato e cittadini sono visti come sostituti nella soddisfazione dell’interesse generale, allora si può cadere nella tentazione di affermare che sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale siano due dimensioni diverse dello stesso principio: la prima ripartisce le competenze fra i diversi livelli delle amministrazioni pubbliche, mentre la seconda distribuisce le stesse tra settore pubblico e settore privato. In realtà abbiamo visto anche come l’interpretazione liberista del principio di sussidiarietà orizzontale sia riduttiva e non rispecchi i veri intenti del legislatore, il quale ha pensato l’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione per dare ai cittadini la possibilità di collaborare con le amministrazioni pubbliche nella gestione del bene comune. Secondo questa impostazione dunque si può ragionevolmente sostenere che sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale 29 «non possano essere considerate applicazioni diverse dello stesso principio»27. Esse infatti chiamano in causa principi giuridici differenti in quanto riguardano rispettivamente la ripartizione delle competenze fra i vari livelli delle amministrazioni pubbliche (questo è un punto fermo della sussidiarietà verticale) e le modalità di intervento dei cittadini per il perseguimento dell’interesse generale. Tuttavia, pur riguardando problematiche diverse, sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale sono due principi concatenati reciprocamente poiché, una volta individuato il livello più adeguato allo svolgimento delle funzioni pubbliche in base al principio di sussidiarietà verticale, il principio di «sussidiarietà orizzontale consente alle istituzioni titolari di tali funzioni di perseguire l’interesse generale non più da sole, ma insieme con i cittadini»28. Sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale dunque sono principi che si integrano e si completano a vicenda e difficilmente possono essere compresi se vengono analizzati disgiuntamente, essendo finalizzati entrambi alla realizzazione di interessi collettivi. 3.3. Analisi ed implicazioni dell’art. 118 quarto comma Esaminando passo per passo il testo dell’ultimo comma dell’art. 118 possiamo comprendere appieno il potenziale innovativo che il principio di sussidiarietà orizzontale può avere sull’attuale modo di amministrare la cosa pubblica: • STATO, REGIONI, CITTÀ METROPOLITANE, PROVINCE E COMUNI FAVORISCONO Se i cittadini si attivano per la cura dell’interesse generale, le pubbliche amministrazioni devono aiutarli, non possono limitarsi a stare a guardare né tanto meno possono ostacolarli (testualmente infatti la norma dice che lo Stato “favorisce”, non “può favorire”). Come abbiamo già accennato, la sussidiarietà non è un modo per sancire il disimpegno dello Stato nei confronti della società e 27 A. Albanese, Il principio di sussidiarietà orizzontale: autonomia sociale e compiti pubblici, in Diritto pubblico, anno VIII, n. 1, Il mulino, Bologna 2002 28 G. Arena, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118 u.c. Costituzione, comunicazione al convegno 118: cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma 7-8 febbraio 2003, sito internet www.astridonline.it/Sussidiari/Interventi/index.htm 30 della tutela dei diritti dei cittadini e quanto previsto dall’art. 118 non libera le istituzioni dalla responsabilità primaria di adoperarsi per il bene della collettività. Ciò significa che le funzioni pubbliche rimangono ancora competenza delle amministrazioni, ma i cittadini assumono ora un ruolo nuovo, che non è più passivo, ma comporta la loro collaborazione con gli enti pubblici al fine di migliorare ed arricchire la gestione del bene comune. E in questo devono essere favoriti dalle amministrazioni. Tuttavia le modalità pratiche di sostegno alle iniziative dei cittadini sono lasciate alla discrezionalità delle amministrazioni: possono consistere nella concessione di contributi per lo svolgimento di determinate attività, nel rimborso delle spese sostenute, nel semplice patrocinio di un’iniziativa, nell’autorizzazione all’uso di attrezzature o strutture di proprietà dell’ente pubblico oppure in forme del tutto nuove che saranno create ad hoc di volta in volta. Questo rappresenta sicuramente una svolta epocale nel modo di amministrare e probabilmente incontrerà molte resistenze, soprattutto all’interno delle stesse amministrazioni, forse non ancora pronte a “subire” l’ingerenza dei cittadini. Tuttavia, grazie proprio all’apporto dei cittadini, l’amministrazione potrà essere resa più flessibile e più vicina alle loro esigenze: l’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale infatti permetterà di svolgere le funzioni pubbliche in modo sempre diverso, adattando le modalità di affrontare i problemi alle esigenze peculiari che di volta in volta si manifesteranno. Sarà un po’ come mescolare due colori, che rappresentano rispettivamente la pubblica amministrazione ed i cittadini: il risultato non è la somma dei due colori iniziali, ma un colore del tutto nuovo, la gradazione del quale dipenderà dalla proporzione con cui essi vengono impiegati. Con il principio di sussidiarietà orizzontale nasce dunque un nuovo modo di amministrare, che sarà ogni volta diverso a seconda delle modalità con le quali l’amministrazione deciderà di appoggiare le iniziative dei cittadini29. 29 G. Arena, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118 u.c. Costituzione, comunicazione al convegno 118: cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma 7-8 febbraio 2003, sito internet www.astridonline.it/Sussidiari/Interventi/index.htm 31 • L’AUTONOMA INIZIATIVA DEI CITTADINI, SINGOLI E ASSOCIATI I cittadini possono attivarsi nell’interesse generale in maniera del tutto autonoma, di propria iniziativa, senza aspettare che la pubblica amministrazione chieda loro di farlo o li autorizzi. Questo priva i soggetti pubblici del monopolio esclusivo nella rappresentanza dell’interesse generale, affidando il compito di garantire la cura dei beni comuni anche ai cittadini. Questi ultimi non sono più solamente soggetti passivi del tutto estranei alle problematiche relative all’amministrazione del Paese, chiamati ad esprimere il proprio parere soltanto quando ogni cinque anni si va alle urne per legittimare la classe dirigente. Al contrario essi diventano depositari di un ruolo centrale nella vita politica e amministrativa del Paese ed assumono la consapevolezza di poter contribuire in modo concreto al miglioramento della condizione di benessere della società. Questo significa che l’attuazione della norma sancita dall’art. 118 ultimo comma non dipende, come solitamente accade, dalla diligenza delle istituzioni, bensì esclusivamente dal senso civico e dal grado di responsabilità dei cittadini; solo loro possono decidere se e come intervenire e le amministrazioni non possono far altro che favorirli. Senza dubbio dunque la possibilità per i cittadini di rivestire una parte da comprimari nell’amministrazione della cosa pubblica ha una grande valenza positiva, che si manifesta sotto due aspetti diversi: in primo luogo ha un valore intrinseco dal punto di vista civile in quanto espressione dell’impegno della gente comune per la soddisfazione di interessi non individuali ma collettivi; secondariamente perché i cittadini, mettendo a disposizione della collettività in modo gratuito risorse proprie (non necessariamente quantificabili in termini monetari), consentono all’amministrazione di conseguire un guadagno netto oppure di soddisfare un maggior numero di interessi senza necessariamente aumentare il livello del prelievo fiscale30. Sotto questo punto di vista dovrebbe pertanto essere quasi naturale che le amministrazioni favoriscano spontaneamente le iniziative autonome dei cittadini. 30 G. Arena, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118 u.c. Costituzione, comunicazione al convegno 118: cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma 7-8 febbraio 2003, sito internet www.astridonline.it/Sussidiari/Interventi/index.htm 32 • PER LO SVOLGIMENTO DI ATTIVITÀ DI INTERESSE GENERALE, SULLA BASE DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ Nel momento in cui i cittadini si attivano autonomamente, devono fornire prova della generalità dell’interesse che perseguono al fine di giustificare e legittimare la loro azione e poter essere così sostenuti dalla pubblica amministrazione. Questo è indubbiamente l’aspetto più problematico dell’applicazione concreta del principio di sussidiarietà orizzontale. La definizione di interesse generale comporta infatti non pochi problemi di natura giuridica. È ovviamente scontato che il principio di sussidiarietà orizzontale consente di perseguire gli interessi più disparati e che sotto le mentite spoglie di interesse generale potrebbero nascondersi varie forme di tornaconto personale (o ristretto ad una piccola cerchia di persone) che nulla hanno a che vedere con veri interessi di tipo collettivo; ora è chiaro che la pubblica amministrazione non può legittimare azioni volte a perseguire intenti di questo tipo, perché altrimenti cadrebbe in un paradosso: l’azione degli enti pubblici infatti è vincolata al principio di legalità, che ha lo scopo di garantire che le funzioni amministrative si svolgano secondo le norme di legge senza favorire nessun interesse personale; sarebbe perciò assurdo che le amministrazioni dovessero sottostare a tale principio quando agiscono in prima persona, ma potessero nel contempo legittimare e addirittura favorire iniziative personali di cittadini che possono non rispettare lo stesso principio. La soluzione del problema relativo all’interesse generale (che cosa si debba intendere con questa locuzione e a chi competa la sua definizione) è dunque di importanza cruciale per il successo della sussidiarietà orizzontale. Inoltre, data la molteplicità dei bisogni da soddisfare e la scarsità delle risorse a disposizione, la definizione dell’interesse generale da perseguire è di solito un problema prettamente politico; sono i rappresentanti eletti (e quindi legittimati) dal popolo a fare questa scelta ed i cittadini, nel momento in cui sono chiamati alle urne, sanno che a seconda del voto che esprimeranno saranno perseguiti alcuni piuttosto che altri interessi. Questo meccanismo tuttavia potrebbe non funzionare più con l’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale, in 33 quanto gli stessi cittadini potrebbero attivarsi per perseguire interessi che essi stessi hanno definito preminenti e generali. Si deve dunque escludere a priori la possibilità per i cittadini di individuare essi stessi l’interesse generale in modi che vadano al di fuori di quanto previsto dalla legge; piuttosto si può dire che l’interesse generale che i cittadini sono liberi di perseguire (grazie alla sussidiarietà orizzontale) deve essere già stato qualificato come tale da una norma di legge. Concludendo si può comunque affermare che, nonostante le problematiche che la sua applicazione solleva e sulle quali ci soffermeremo più avanti, il principio di sussidiarietà orizzontale, così come definito dall’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione, rappresenta certamente un cambiamento epocale nel modo di concepire i rapporti tra cittadini ed istituzioni: se democrazia significa letteralmente “governo del popolo”, allora i cittadini non possono e non devono più accettare di essere soggetti passivi che subiscono la amministrazione, bensì devono maturare la consapevolezza del loro compito all’interno della società civile. Questo comporta una assunzione di responsabilità da parte dei cittadini stessi, i quali hanno ora la possibilità di dare concretamente il proprio prezioso contributo all’amministrazione del bene comune. Da questo punto di vista la sussidiarietà orizzontale rappresenta uno strumento nuovo di partecipazione democratica, le cui potenzialità sono ancora tutte da scoprire. Inoltre questo principio amplia la sfera degli strumenti in mano alle amministrazioni per attuare il principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3 della Costituzione; l’autonoma iniziativa dei cittadini consente infatti di perseguire interessi generali e allo stesso tempo di realizzare pienamente la personalità e le aspirazioni proprie dei cittadini, in quanto ognuno è libero di dare il proprio apporto in base ai talenti e alle energie che possiede. La diversità di ciascun individuo può dunque diventare una ricchezza per tutta la società, ma perché questo avvenga cittadini ed amministrazioni devono lavorare fianco a fianco con comunanza di obiettivi. Soltanto in questo modo la sussidiarietà orizzontale potrà rappresentare effettivamente un nuovo modello di democrazia. 34 4. LE FUNZIONI AMMINISTRATIVE DEI COMUNI 4.1. Le funzioni amministrative alla luce del principio di sussidiarietà verticale Come abbiamo già avuto modo di osservare, il principio di sussidiarietà verticale determina il criterio per la ripartizione delle funzioni pubbliche tra i diversi livelli delle amministrazioni (in modo particolare per quanto riguarda gli enti locali). Il primo comma del novellato testo dell’art. 118 della Costituzione prevede infatti che «le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà ed adeguatezza». Il secondo comma dello stesso articolo stabilisce inoltre che «i comuni, le province e le città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze». Per il principio di sussidiarietà verticale dunque, tutte le funzioni amministrative spettano, in via generale, a titolo originario ai comuni, che sono gli enti più vicini alla popolazione, e solo in via derivata (ossia per esigenze di omogeneità ed adeguatezza) agli enti gerarchicamente e territorialmente superiori31. Peraltro il nuovo disposto costituzionale di fatto legittima un’impostazione che si era già fatta strada nel diritto amministrativo allorché la L. 59/1997 (Bassanini 1), introducendo già allora il principio di sussidiarietà verticale, aveva ribaltato completamente il rapporto fra Stato, regioni ed enti locali nella distribuzione delle rispettive competenze. L’art. 4 c. 3 infatti sanciva che «i conferimenti di funzioni di cui ai commi 1 e 2 avvengono nell’osservanza dei seguenti principi fondamentali: a) il principio di sussidiarietà, con l’attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le 31 L. Olivieri, in M. Borghesi, L. Olivieri, S. Palazzolo, V. Persegati, N. Rinaldi, C. Saffioti, L’ordinamento degli enti locali: il Testo unico (d.lgs. 267/2000) e le Leggi collegate, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna 2003, pag. 189 e pag. 212 35 dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche, anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, all’autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati (…)». Successivamente anche l’art. 2 c. 5 della L. 265/1999 aveva riconosciuto lo stesso principio, affermando che «comuni e province, oltre ad essere titolari di funzioni proprie, possono essere destinatari di funzioni amministrative ulteriori, conferite loro con legge dello Stato o delle regioni, secondo il principio di sussidiarietà». Le norme sopra esposte, confluite in seguito nel d.lgs. 267/2000 (Testo Unico delle leggi in materia di ordinamento degli enti locali), hanno fissato dunque i principi regolatori dell’ordinamento degli enti locali e, precorrendo di fatto lo stesso testo costituzionale, hanno gradualmente ma completamente rovesciato il precedente sistema di attribuzione delle competenze, secondo il quale la gestione delle funzioni amministrative doveva essere impostata sulla gerarchia e sulla corrispondenza con le funzioni legislative32; il vecchio testo dell’art. 118 della Costituzione infatti recitava: «Spettano alla regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, che possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle province, ai comuni o ad altri enti locali. Lo Stato può con legge delegare alla regione l’esercizio di altre funzioni amministrative. La regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle province, ai comuni o ad altri enti locali, valendosi dei loro uffici». Le regioni perciò erano competenti esclusivamente per le funzioni amministrative connesse con le materie per le quali godevano della potestà legislativa concorrente a norma del precedente testo dell’art. 117 della Costituzione, mentre lo Stato era titolare di tutte le altre funzioni. Quest’ultimo tuttavia aveva la facoltà di delegare agli enti locali, mediante apposita previsione normativa, altre funzioni di interesse esclusivamente locale, mentre le regioni potevano a loro volta esercitare le 32 L. Olivieri, op. cit., pag. 196 36 proprie funzioni amministrative deputandole ad altri enti locali oppure avvalendosi dei loro uffici. L’autonomia locale era dunque estremamente limitata in quanto gli enti locali non erano mai investiti a titolo originario di funzioni amministrative. Le nuove disposizioni normative invece, avallate circa un anno dopo l’introduzione del d.lgs. 267/2000 anche dal nuovo testo costituzionale, hanno abbandonato definitivamente il criterio della corrispondenza tra potestà legislativa e funzioni amministrative: ora è l’ente locale più vicino alla popolazione (ossia in primo luogo il comune) che si deve occupare delle questioni amministrative, che possono essere delegate ai livelli superiori soltanto quando ne sia richiesto l’esercizio unitario oppure quando l’ente minore non sia commisurato ai bisogni da soddisfare. La logica dell’attribuzione dall’alto delle competenze viene perciò rovesciata, in quanto lo Stato non ha più il compito di stabilire quali competenze debbano essere delegate agli enti locali, bensì deve decidere soltanto quali funzioni debbano essere loro sottratte per poter essere svolte ad un livello maggiore che ne assicuri adeguatezza ed unitarietà33. Di conseguenza agli enti locali viene riconosciuta ora un’ampia autonomia, che si esplica nella capacità di essere titolari di funzioni proprie e nella responsabilità di essere i primi interlocutori dei cittadini. 4.2. Le funzioni attribuite ai comuni dal Testo Unico delle leggi in materia di ordinamento degli enti locali (d.lgs. 267/2000) Abbiamo visto come per il principio di sussidiarietà verticale le funzioni amministrative spettino in primo luogo agli enti gerarchicamente e territorialmente più vicini ai cittadini, ossia ai comuni. Si tratta perciò a questo punto di capire quali siano le funzioni amministrative che i comuni sono chiamati ad espletare e come queste vengano di fatto esercitate. Il d.lgs. 267/2000 (Testo Unico delle leggi in materia di ordinamento degli enti locali) sancisce all’art. 3 il principio di autonomia degli enti locali, in modo 33 L. Olivieri, op. cit., pag. 189 e pag. 200 37 particolare per quel che riguarda comuni e province: «Le comunità locali, ordinate in comuni e province, sono autonome. Il comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo. La provincia, ente locale intermedio tra comune e regione, rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo. I comuni e le province hanno autonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa, nonché autonomia impositiva e finanziaria nell’ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica. I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il principio di sussidiarietà. I comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali». Questa norma, riassumendo tutte le norme precedentemente esaminate, riprende i principi fondamentali che regolano l’organizzazione degli enti locali, ossia autonomia (c. 1), sussidiarietà verticale (c. 4) e sussidiarietà orizzontale (c. 5). Della sussidiarietà orizzontale abbiamo già ampiamente parlato, quindi non è il caso di soffermarci ulteriormente in questa sede. Qui interessa invece specificare quali siano le funzioni che gli enti locali, e in particolar modo i comuni, sono chiamati in ogni caso a svolgere, con o senza l’aiuto dei cittadini. Chiarito questo, passeremo ad illustrare le modalità con cui concretamente può esercitarsi l’azione delle formazioni sociali nella gestione del bene comune. Secondo l’art. 3 del Testo Unico gli enti locali (e quindi anche i comuni) godono di diverse forme di autonomia (statutaria, normativa, organizzativa, amministrativa, impositiva e finanziaria), che si estrinsecano nella facoltà di essere titolari, oltre che delle funzioni fondamentali loro attribuite mediante legge dello Stato a norma dell’art. 117 lett. p) della Costituzione, anche di funzioni proprie e di funzioni conferite, come del resto afferma anche il c. 2 dell’art. 118 della Costituzione. Dobbiamo tuttavia chiarire quali siano il significato e la differenza tra le locuzioni “funzione fondamentale”, “funzione propria” e 38 “funzione conferita”. In prima battuta, anche dal punto di vista lessicale, potrebbe sembrare che non esista distinzione fra funzioni fondamentali e funzioni proprie. Tuttavia l’art. 117 della Costituzione stabilisce che «lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (…) p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane». Alla luce di questa norma dunque sono funzioni fondamentali soltanto quelle attribuite esclusivamente mediante legge dello Stato, per cui sicuramente le funzioni proprie di cui parlano sia l’art. 118 della Costituzione che l’art. 3 del d.lgs. 267/2000 sono cosa diversa. Possiamo dire che le funzioni fondamentali sono l’elemento costitutivo dell’ente locale, la propria ragion d’essere; rappresentano l’insieme delle competenze che lo Stato toglie agli enti territoriali minori per assicurarne l’esercizio ad un livello maggiormente adeguato. Sono dunque funzioni che non possono essere oggetto di applicazione del principio di sussidiarietà verticale, in quanto «per loro natura non possono non essere ascritte ad un certo livello gerarchico istituzionale»34. Accettando questa interpretazione, le funzioni proprie sono allora quelle che lo Stato e le regioni attribuiscono agli enti locali in applicazione del principio di differenziazione; rappresentano l’elemento distintivo di enti locali di un medesimo livello, ovvero ciò che consente di differenziare le competenze amministrative in base alle dimensioni degli enti o alla loro collocazione territoriale ed economica. A questo punto per esclusione diventano funzioni conferite tutte quelle mansioni che vengono allocate agli enti più vicini alla cittadinanza, quelle che per loro natura prevedono l’applicazione del principio di sussidiarietà. Sono quell’insieme di competenze che un tempo potevano essere deferite ai livelli amministrativi gerarchicamente inferiori mediante l’istituto della delega; ora che detto istituto non esiste più, queste funzioni non sono più delegate dai livelli superiori, ma spettano a titolo originario al livello gerarchicamente più vicino ai cittadini, quindi in primo luogo al comune35. 34 35 L. Olivieri, op. cit., pag. 210 L. Olivieri, op. cit., pag. 208 39 Chiarito che ai comuni, in quanto enti locali, spettano funzioni fondamentali, proprie e conferite, e che cosa si debba con le stesse intendere, facciamo un passo avanti e vediamo nel dettaglio quali sono le funzioni effettivamente attribuite ai comuni. Il primo comma dell’art. 13 del d.lgs. 267/2000 stabilisce che «spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto e dell’utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze». Questa formulazione legislativa ci consente di affermare che il comune è un ente a fini generali, in quanto ha la facoltà di «esercitare tutte le competenze amministrative riguardanti la propria comunità»36. È bene notare che il testo legislativo parla di funzioni amministrative e non anche di funzioni legislative: questo significa che le competenze attribuite ai comuni riguardano esclusivamente l’amministrazione, nonostante la facoltà loro accordata di adottare statuti e regolamenti. Del resto gli statuti sono atti volti a disciplinare aspetti relativi alla configurazione istituzionale dell’ente più che a dettare norme specifiche che i cittadini sono tenuti a seguire, mentre i regolamenti possono essere considerati essi stessi strumenti amministrativi, in quanto fissano in genere le regole generali cui il comune deve attenersi nell’esercitare le proprie funzioni. Ai comuni sono dunque attribuite funzioni precipuamente amministrative, nel senso che prevedono l’esercizio di attività volte all’immediato perseguimento di interessi pubblici, all’indiretta cura di interessi particolari attraverso la soddisfazione di interessi generali e al bilanciamento tra il conseguimento dei primi e la compressione dei secondi, e le potestà normative loro concesse sono comunque sempre preordinate alla realizzazione di questo obiettivo. La funzione amministrativa dei comuni consiste perciò nell’attuazione, mediante l’utilizzo di risorse economiche e 36 L. Olivieri, op. cit., pag. 222 40 finanziarie pubbliche, di tutte quelle previsioni normative che in astratto definiscono gli interessi generali da perseguire nell’ambito della comunità locale. Tuttavia, se da un lato l’art. 13 del Testo Unico stabilisce che il comune deve svolgere le funzioni amministrative generali riguardanti la popolazione locale, dall’altro la stessa norma specifica anche quali tra queste competenze devono essere prese in considerazione e venire esercitate per prime dal comune per adempiere in maniera corretta al proprio fine istituzionale. Queste funzioni riguardano i servizi alla persona e alla comunità, l’assetto e l’utilizzazione del territorio e lo sviluppo economico, ed essendo state individuate da una legge dello Stato, possono a ragione essere considerate funzioni fondamentali tipiche, senza le quali i comuni non avrebbero motivo di esistere. Il legislatore ha posto dunque la sua attenzione sulle funzioni che possono rendere un servizio in modo particolare alla persona, intesa non come singolo ma come componente di una comunità; conseguentemente la promozione e lo sviluppo della comunità e del territorio comunali devono essere perseguiti non solo attraverso la soddisfazione di interessi eminentemente pubblici, ma anche mediante la realizzazione di particolari categorie di interessi singoli; questo tipo di attività infatti consente di ottenere ricadute benefiche su tutta la popolazione, in quanto il miglioramento della qualità della vita dei singoli cittadini comporta senz’altro anche un arricchimento della vita sociale dell’intera comunità locale. La legge tuttavia non limita il campo di azione dei comuni ad un elenco ristretto di funzioni definite in positivo, ma lascia alle singole amministrazioni libertà di scelta per quel che riguarda gli scopi che intendono perseguire con la loro attività. Non a caso «spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale», mentre nella definizione dei compiti da assolvere in via prioritaria viene usato il termine “precipuamente”, che sta ad indicare perciò più una raccomandazione che non una prescrizione. È pacifico dunque che il comune debba essere considerato un ente a competenza generale, che può esercitare la propria attività anche relativamente a materie nelle 41 quali la legge non gli attribuisce esplicitamente la potestà amministrativa37. L’art. 13 del Testo Unico precisa tuttavia che, nonostante la generalità delle competenze in materia locale dei comuni, alcune funzioni possono essere attribuite ad altri soggetti mediante legge statale o regionale. Questo significa che per garantire l’adeguata realizzazione di determinati obiettivi, i comuni possono essere espropriati delle proprie competenze tipiche, anche se di esclusivo interesse locale, da parte dello Stato o delle regioni. Il tutto però deve avvenire nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale (sancito dall’art. 3 dello stesso Testo Unico e dalla Costituzione), che vuole che le funzioni pubbliche vengano allocate all’ente più vicino alla popolazione nei limiti della garanzia dell’adeguatezza e dell’unitarietà dell’azione amministrativa. Il secondo comma dell’art. 13 del d.lgs. 267/2000 è volto alla promozione della collaborazione fra enti locali: «Il comune, per l’esercizio delle funzioni in ambiti territoriali adeguati, attua forme sia di decentramento, sia di cooperazione con altri comuni e con la provincia». Questa norma è una specificazione del principio di sussidiarietà verticale, in quanto consente di svolgere determinate funzioni non esercitabili a livello comunale perché troppo onerose dal punto di vista organizzativo e finanziario, ad un livello ritenuto maggiormente adeguato, senza dover per forza allocare le stesse a livelli amministrativi superiori (come le province o le regioni). Lo sviluppo di queste forme amministrative ha avuto un grande incremento in questi ultimi anni poiché ha consentito, grazie all’istituto della convenzione, la creazione di strutture sovracomunali (che raccolgono tutti o solamente alcuni comuni di una determinata zona) mediante le quali anche realtà comunali molto piccole e con scarsità di risorse economiche sono riuscite a non rinunciare all’esercizio di funzioni ritenute importanti dal punto di vista della promozione delle comunità locali. Ma la gamma delle funzioni amministrative attribuite ai comuni dal Testo Unico non si esaurisce nelle competenze di interesse esclusivamente locale. Nella tradizione amministrativa italiana infatti i comuni hanno sempre avuto il 37 Consiglio di Stato, sezione III, parere n. 239 del 27 aprile 1993 42 compito di espletare alcune funzioni di competenza statale ma di diretto impatto con il territorio. Non a caso fino agli anni Settanta la funzione principale dei comuni è stata la gestione dei servizi demografici. L’art. 14 del d.lgs. 267/2000 disciplina dunque i compiti del comune per i servizi di competenza statale: «Il comune gestisce i servizi elettorali, di stato civile, di anagrafe, di leva militare e di statistica. Le relative funzioni sono esercitate dal sindaco quale ufficiale di Governo, ai sensi dell’art. 54. Ulteriori funzioni amministrative per servizi di competenza statale possono essere affidate ai comuni dalla legge che regola anche i relativi rapporti finanziari, assicurando le risorse necessarie». Questa norma stabilisce dunque tassativamente l’elenco delle funzioni di competenza statale che i comuni sono chiamati a svolgere (servizi elettorale, anagrafe, stato civile, statistica e leva militare). Decreta inoltre la possibilità per lo Stato di delegare ai comuni lo svolgimento di altre funzioni di competenza statale, che dovranno tuttavia essere individuate volta per volta dalla legge, insieme alle risorse finanziarie che dovranno essere necessariamente attribuite ai comuni per l’esercizio delle stesse. È da notare il fatto che le funzioni amministrative in esame sono e restano di competenza statale: lo Stato le svolge avvalendosi delle strutture comunali, ma i comuni non ne diventano mai i titolari (le hanno per così dire soltanto in gestione). Questo concetto è ancora più chiaro in considerazione del fatto che il sindaco, che è l’organo preposto all’esercizio di dette funzioni (anche se nella pratica le stesse vengono poi affidate ai funzionari preposti ai servizi demografici), non agisce in veste di capo dell’amministrazione comunale, bensì come ufficiale del Governo. In questo senso l’art. 14 del Testo Unico non può essere considerato un’ulteriore specificazione del principio di sussidiarietà verticale38. 38 L. Olivieri, op. cit., pag. 231 43 4.3. Le funzioni di servizio alla persona e alla comunità La soddisfazione dei bisogni delle persone e delle comunità appartenenti ad un determinato ambito territoriale è uno dei principali fini istituzionali dei comuni. È logico infatti che la soluzione di molti problemi locali, alcuni dei quali di vitale importanza, sia affidata proprio ai comuni, essendo questi la forma di ente pubblico più vicina alla popolazione. Lo stesso art. 3 della Costituzione afferma che è compito della Repubblica (intesa qui nel senso di insieme delle pubbliche istituzioni e quindi comprendente anche i comuni) operare al fine di eliminare gli ostacoli (principalmente quelli di ordine economico) che limitano la libertà degli individui e ne impediscono il pieno sviluppo. Il comune, o meglio anche il comune, ha perciò il compito sociale di aiutare le persone più deboli a vivere in maniera dignitosa e ad inserirsi nella comunità in modo pieno, e a questo scopo può operare nelle forme più svariate (che possono andare dalla concessione di contributi e sussidi all’organizzazione e all’erogazione di tutta una gamma di servizi, ma che in ogni modo rappresentano sempre attività volte alla soddisfazione di bisogni dell’individuo). Solo una società in cui vengono attenuate le disparità che impediscono alle persone di concretizzare le proprie aspirazioni e di compiere le proprie scelte liberamente (ossia senza particolari vincoli di carattere economico o sociale) può di fatto consentire ad ognuno di realizzare pienamente la propria personalità, e senza dubbio una società di questo tipo è più democratica e si troverà in futuro a dover risolvere un numero minore di problematiche di carattere sociologico e psicologico. Di conseguenza la realizzazione degli interessi del singolo consente di incrementare indirettamente anche il benessere di tutta la comunità. Non è dunque un caso che l’art. 13 del d.lgs. 267/2000 comprenda tra le attività di preminente competenza comunale anche l’esercizio di funzioni di servizio alla persona e alla comunità. La formulazione data dal Testo Unico è tuttavia piuttosto generica, in quanto nella locuzione “servizi alla persona” possono essere contenute una miriade di attività, finalizzate ciascuna alla soddisfazione di 44 bisogni differenti. Secondo l’ormai celeberrima piramide di Maslow39, i bisogni vengono classificati secondo una gerarchia basata sulla necessità e sull’imminenza della loro soddisfazione. bisogno di autorealizzazione bisogno di stima e di status sociale bisogni sociali (o di appartenenza) bisogno di sicurezza bisogni fisiologici Alla base si trovano perciò i bisogni più materiali per la persona umana, come quelli fisiologici ed essenziali, mentre man mano che si sale si trovano bisogni sempre più astratti e secondari; ogni volta che un bisogno di livello inferiore è soddisfatto, le persone cessano di preoccuparsene e cominciano a ricercare la soddisfazione di altri bisogni, questa volta di livello superiore. Il comune, in quanto ente pubblico con lo scopo istituzionale di esercitare funzioni di servizio alla persona e alla comunità, può contribuire a soddisfare una molteplicità di bisogni, che nella gerarchia di Maslow occupano posizioni anche diverse. Ovviamente, data la limitatezza delle risorse a disposizione, non tutti i bisogni della popolazione potranno essere soddisfatti; su quali bisogni investire le risorse pubbliche è come al solito una scelta politica, che dovrà essere fatta dagli amministratori. Alcune norme tuttavia stabiliscono l’obbligo per i comuni di erogare determinati servizi, quindi di fatto la discrezionalità politica può essere esercitata limitatamente ai servizi non necessari per legge e tenendo logicamente conto del vincolo di bilancio. I servizi alla persona e alla comunità erogati dai comuni possono essere dunque i più svariati; analizziamoli brevemente secondo l’ordine dei bisogni che sono diretti a soddisfare, ossia risalendo la scala di Maslow dal basso verso l’alto. Ovviamente in quest’ottica si incontrano prima i servizi volti a garantire la 39 A. H. Maslow, Motivation and personality, Harper & Row, New York 1954; trad. it. Motivazione e personalità, a cura di E. Riverso, Armando, Roma 1973, pag. 87 45 soddisfazione di bisogni fondamentali e fisiologici dell’uomo, come l’erogazione di acqua potabile, la gestione delle fognature, i servizi cimiteriali, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. È da notare come questo tipo di servizi spesso non vengano gestiti in proprio, ma siano esternalizzati a imprese private mediante contratti di appalto; a volte invece per la loro erogazione vengono create imprese apposite, giuridicamente private ma a partecipazione comunale (aziende municipalizzate). Qualunque sia la modalità con cui vengono forniti, è comunque indubbio che questi servizi sono da ritenersi essenziali, in quanto è la legge stessa a stabilirne la necessità dell’erogazione. Detti servizi poi sono fondamentali anche nell’ottica della tutela dell’igiene e della sicurezza pubbliche, esigenze queste che a ragione possono ben essere comprese fra i bisogni fondamentali che i comuni sono tenuti a soddisfare. Infatti a norma del R.D. 773/1931 (Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza) il sindaco ricopre il ruolo istituzionale di autorità di pubblica sicurezza ed i comuni devono esercitare una stretta vigilanza sui locali pubblici e su tutta una serie di attività (quali lotterie, sparo di mine, sparo a salve, spettacoli e mestieri girovaghi) ritenute pericolose. Inoltre i comuni devono vigilare sull’attività dei locali pubblici anche per ragioni di igiene pubblica, secondo il dettato del R.D. 1265/1934 (Testo Unico delle leggi sanitarie), ed hanno la facoltà di non concedere (o revocare) la licenza di apertura o di ordinare la chiusura dei locali qualora gli standard igienici fissati dalla legge non siano rispettati. L’art. 33 del Testo Unico delle Leggi Regionali sull’ordinamento dei comuni infine affida direttamente al sindaco la facoltà, in casi di necessità ed urgenza, di emanare provvedimenti non contemplati dalla legge in materia di igiene e sicurezza pubbliche. Il livello superiore della piramide è occupato dal bisogno di sicurezza. Come abbiamo appena visto il comune ha il compito, affidato al sindaco, di garantire la sicurezza e l’ordine pubblico; anzi la legge considera la soddisfazione di questo bisogno addirittura come una funzione che il comune è tenuto obbligatoriamente ad esercitare (in pratica la sicurezza dei cittadini è considerata dalla legge un bisogno fondamentale). 46 Salendo ancora nella piramide troviamo i bisogni sociali, fra i quali spiccano l’amore ed il senso di appartenenza. Logicamente il comune non può sopperire alle carenze affettive delle persone, ma può scegliere di erogare determinati servizi al fine di incrementare l’aggregazione ed il senso di appartenenza ad una comunità, bisogni questi che nella società sempre più globale, ma sempre più individualista di oggi diventano ogni giorno più pressanti, soprattutto fra le persone emarginate e sole, come anziani ed extracomunitari. Il comune può allora intervenire nel campo dell’assistenza sociale al fine di combattere situazioni di violenza e di degrado; può investire nella creazione di opportunità di incontro e socializzazione per ingenerare nei cittadini la volontà di partecipare attivamente alla vita della comunità; ancora può scegliere di aiutare le famiglie nell’educazione dei figli, creando strutture di sostegno ai genitori, come asili nido, scuole materne, centri giovanili; può infine realizzare infrastrutture dedicate alla cultura e al tempo libero, quali biblioteche e impianti sportivi. Qualunque sia la forma di intervento, questi servizi sono comunque di grande importanza non solo per le singole persone che ne usufruiscono, ma per tutta la comunità locale, in quanto offrono possibilità di incontro e di dialogo costruttivo fra i cittadini. Infine troviamo i bisogni di stima e di autorealizzazione. Anche in questo ambito il comune non può intervenire direttamente, ma può senza dubbio contribuire investendo sulla cultura e sull’educazione; è ben noto infatti che cittadini con un livello culturale medio-alto hanno la possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro in posizioni corrispondenti alle proprie aspirazioni e alle quali sono associate in genere retribuzioni maggiori. Questo inoltre consente al comune un risparmio economico sugli interventi di carattere sociale, poiché è dimostrato che molte situazioni di degrado della dignità umana si verificano proprio laddove mancano cultura e mezzi finanziari; le risorse risparmiate possono inoltre essere utilizzate dai comuni per investire nella realizzazione di bisogni ancora diversi, per cui l’istruzione e la cultura possono essere a ragione considerate fattori di crescita non solo personale, ma di tutta la comunità. 47 4.4. Le funzioni di assetto ed utilizzazione del territorio Dopo l’erogazione di servizi alla persona e alla comunità, il d.lgs. 267/2000 affida ai comuni, tra le funzioni definite preminenti, anche la disciplina dell’assetto e dell’utilizzazione del territorio. A livello nazionale le norme di riferimento per l’esercizio di questa funzione sono rispettivamente la L. 1150/1942 per quel che riguarda l’urbanistica e il d.p.r. 380/2001 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) per quanto attiene all’edilizia. Entrambe queste norme fissano i principi fondamentali che devono essere seguiti nella realizzazione degli interventi sul territorio; in particolare la L. 1150/1942 pone in capo ai comuni l’obbligo di approvare il Piano Regolatore Generale, mentre il d.p.r. 380/2001 stabilisce l’obbligo di adottare il regolamento edilizio comunale. Il Piano Regolatore Generale è un atto mediante il quale il territorio comunale viene interamente suddiviso in aree, ciascuna delle quali ha una ben definita destinazione. Grazie a questo strumento il comune può perciò pianificare lo sviluppo del centro abitato e stabilire quali aree debbano essere riservate alle residenze private, al commercio, alla produzione agricola o siano soggette a vincoli di natura paesaggistico-ambientale. A dire il vero la L. 1150/1942 aveva posto anche l’obbligo di realizzare dei piani territoriali di coordinamento, i quali però hanno avuto scarsa attuazione. Il regolamento edilizio comunale invece ha principalmente la funzione di disciplinare il funzionamento della Commissione edilizia comunale e di specificare i vincoli architettonici e le norme igieniche cui devono sottostare gli edifici di nuova costruzione. Da questo punto di vista il regolamento edilizio chiarisce ed integra le disposizioni contenute nel Codice Civile, soprattutto per quanto riguarda l’indicazione ed il rispetto dei confini. La combinazione di questi strumenti normativi consente quindi al comune di gestire il proprio territorio in maniera equilibrata e di programmare l’espansione del centro abitato in modo armonioso e coerente con le esigenze di tutela dell’ambiente e del paesaggio. Nella Regione Trentino - Alto Adige tuttavia urbanistica ed edilizia sono materie 48 che lo Statuto di Autonomia attribuisce alla competenza primaria provinciale, per cui anche la Provincia di Trento si è dotata di una sua norma di riferimento, la L.P. 22/1991. Ciononostante lo svolgimento delle funzioni di assetto ed utilizzo del territorio, anche se è regolato da norme diverse da quelle poste per il resto d’Italia, segue comunque gli stessi principi ispiratori; la L.P. 22/1991 affida ai comuni gli stessi compiti e gli stessi obiettivi della normativa nazionale, per la realizzazione dei quali attribuisce loro strumenti amministrativi del tutto simili se non addirittura uguali. A norma dell’art. 4 di detta legge infatti «i comuni hanno la gestione del proprio territorio, provvedono alla formazione degli strumenti urbanistici comunali, esercitano la vigilanza sull'attività edilizia e adottano gli altri provvedimenti di loro competenza». Lo strumento principale con cui il comune esercita la funzione di pianificazione del territorio è anche in questo caso il Piano Regolatore Generale, di cui all’art. 13 della L.P. 22/1991; questo viene adottato dal Consiglio comunale ed ha l’obiettivo di definire «direttive, prescrizioni e vincoli da osservare nella formazione dei piani attuativi e dei piani di lottizzazione e per l'esecuzione degli interventi sul territorio». Il Consiglio comunale deve inoltre approvare, a norma dell’art. 21, il regolamento edilizio comunale. La legge tuttavia affida ai comuni non solo il compito di pianificare l’utilizzo del territorio, ma anche quello di tutelarlo, sia per quel che riguarda la conservazione dei beni di interesse storico e culturale, sia dal punto di vista ambientale. Per la provincia di Trento l’art. 24 della L.P. 22/1991 stabilisce che «la tutela del tessuto storico, sociale, culturale ed economico degli insediamenti storici costituisce elemento necessario per la pianificazione urbanistica», mentre l’art. 26 dispone che «nell'elaborazione degli strumenti di pianificazione e delle loro varianti devono essere tenute in particolare considerazione le esigenze di tutela dall'inquinamento atmosferico, idrico, acustico e di smaltimento dei rifiuti nonché di stabilità e sicurezza dei terreni, in relazione alla localizzazione degli interventi sul territorio.» L’art. 24 bis della medesima norma attribuisce inoltre ai comuni del Trentino 49 l’ulteriore onere della conservazione e valorizzazione del patrimonio edilizio montano esistente: «I piani regolatori generali e i regolamenti edilizi dei comuni, anche al fine di consentire il riutilizzo a fini abitativi del patrimonio edilizio tradizionale, disciplinano le condizioni e le modalità che devono essere osservate nell'esecuzione degli interventi di recupero, di conservazione e di valorizzazione del patrimonio medesimo destinato originariamente ad attività agricole e silvopastorali». È appena il caso di evidenziare che anche la realizzazione di opere o interventi da parte dei comuni stessi deve di norma sottostare ai principi e alle regole stabilite dalle leggi in materia. Sarebbe infatti un controsenso che i comuni disciplinassero rigidamente l’attività dei privati al fine di tutelare il territorio ed il patrimonio ambientale e poi potessero essi stessi agire al di fuori delle regole. L’art. 80 della L.P. 22/1991 (ma a livello nazionale si possono riscontrare regole del tutto analoghe) stabilisce a questo proposito che «le opere pubbliche dei comuni, anche associati o riuniti, sono deliberate dagli organi competenti in conformità alle previsioni degli strumenti di pianificazione e alle norme in vigore». Bisogna tuttavia precisare che per alcuni casi particolari (e comunque di interesse pubblico) la Provincia (la Regione nel resto d’Italia) ha facoltà di accordare il permesso di effettuare interventi in deroga alla normativa (art. 104 L.P. 22/1991). La legge infine pone in capo al comune l’onere di vigilare sull’utilizzo del territorio e sullo svolgimento dell’attività edilizia, nonché di reprimere i comportamenti contrari ai principi e alle regole da essa sanciti in materia; a tale scopo ha messo a disposizione dell’ente tutta una serie di strumenti di controllo preventivi (concessione edilizia, autorizzazioni e permessi vari) e repressivi (sanzioni, sospensioni, limitazioni della proprietà privata, demolizioni delle opere abusive) che gli attribuiscono un potere volto a garantire di fatto il rispetto delle norme vigenti. Ancora una volta la norma di riferimento per la provincia di Trento è la L.P. 22/1991, che all’art. 117 stabilisce che «il sindaco esercita la vigilanza su ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del 50 territorio comunale al fine di assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento agli strumenti di pianificazione territoriale e ai provvedimenti di concessione, di autorizzazione o alle denunce d'inizio di attività; a tal fine si avvale dei funzionari comunali o di incaricati». 4.5. Le funzioni di sviluppo economico A norma dell’art. 13 del d.lgs. 267/2000 la funzione di sviluppo economico è l’ultimo dei compiti di preminente interesse comunale. Come abbiamo già avuto modo di osservare per le funzioni di servizio alla persona, anche la locuzione “sviluppo economico” è molto generica e può comprendere una miriade di funzioni; quello che interessa sottolineare in questa sede è il fatto che i comuni hanno il compito istituzionale di promuovere lo sviluppo delle realtà economiche locali, ma per fare questo devono avere lo sguardo attento ai bisogni non realizzati della popolazione ed operare in un’ottica di coordinamento con la politica del territorio attuata, altrimenti la ricchezza economica rischia di andare a scapito di altri interessi che il comune deve comunque soddisfare. Questo significa che tutte le decisioni prese dall’amministrazione comunale possono potenzialmente avere un impatto sulle attività economiche locali; non occorre cioè che una decisione riguardi direttamente il settore economico per avere un feed-back sul benessere e sulla ricchezza dei cittadini. Nelle funzioni di sviluppo economico possono allora rientrare in primo luogo tutte le decisioni relative alla destinazione economica delle aree comunali stabilita nel Piano Regolatore Generale; infatti è abbastanza logico che a seconda della proporzione di territorio (rispetto al totale) che viene riservata alle attività produttive (siano esse agricole, industriali o commerciali), si avrà una connotazione diversa dell’attività lavorativa, e quindi del grado di ricchezza, della popolazione residente. Inoltre, prescindendo dalla mobilità della forza lavoro, la presenza di industrie sul territorio crea nuova occupazione, per cui in genere si verifica un’espansione numerica della popolazione, attratta da nuove prospettive lavorative; questa a sua volta richiama altre attività commerciali in quanto abbisogna di nuove abitazioni 51 e di un certo numero di servizi, che in parte vengono forniti dal settore pubblico e in parte dai privati. Nella pianificazione del territorio perciò il comune deve tenere in considerazione tutti questi fattori e deve riuscire a perseguire uno sviluppo economico compatibile sia con il proprio vincolo di bilancio, sia con la tutela dell’ambiente. Quest’ultimo aspetto assume ancora maggiore importanza nelle zone ad alta vocazione turistica, dove si rende sempre più necessario contemperare l’esigenza di espandere le attività turistiche in quanto apportatrici di ricchezza con la necessità di difendere il territorio da scempi paesaggistici e da sfruttamenti selvaggi delle risorse naturali. Un altro aspetto della pianificazione del territorio che ha un notevole impatto anche sull’economia locale è la costruzione di infrastrutture di viabilità; per produrre nel modo adeguato infatti, le attività economiche hanno bisogno di una forte rete di vie di comunicazione, e a sua volta la presenza di infrastrutture di trasporto incentiva la creazione di nuove imprese. Pertanto le decisioni relative alla realizzazione di lavori pubblici da parte dei comuni influenzano non soltanto l’assetto del territorio e del paesaggio, ma anche il suo sviluppo economico. Questo dimostra come le funzioni spettanti ai comuni a norma dell’art. 13 del d.lgs. 267/2000, sebbene formalmente suddivise in tre tipologie distinte, siano in realtà strettamente correlate fra loro e non possano essere esercitate se non in base ad una politica armoniosa e coordinata, in un’ottica di ampio respiro che sia coerente con gli obiettivi che l’amministrazione si propone di raggiungere; ciò significa che, nonostante la discrezionalità amministrativa di cui sono dotati, nell’esercizio di una delle tre funzioni indicate dal Testo Unico, i comuni non possono mai prescindere del tutto dallo svolgimento delle altre due. Nelle funzioni di sviluppo economico attribuite ai comuni dall’art. 13 del d.lgs. 267/2000 rientra infine senza dubbio anche la disciplina delle licenze per gli esercizi commerciali, che la legge dello Stato affida alla competenza regionale, e che pertanto in provincia di Trento è regolamentata dalla L.P. 4/2000; questa legge infatti attribuisce ai comuni discrezionalità, oltre che per quel che riguarda la destinazione commerciale delle aree stabilita con il Piano Regolatore Generale, 52 anche per la determinazione della superficie degli esercizi (e dei relativi parcheggi) e per la fissazione degli orari di apertura e di chiusura giornalieri e settimanali (stabiliti mediante decreto del sindaco). Questi poteri quindi possono essere visti come piccoli strumenti nelle mani dell’amministrazione che, se utilizzati in maniera coordinata, possono favorire oppure per disincentivare la nascita di nuove attività economiche; è chiaro perciò come anche l’esercizio di questa funzione abbia un impatto diretto sul benessere locale, inteso non soltanto in senso economico, ma anche in termini di disponibilità per la popolazione di beni e servizi. 4.6. Le funzioni amministrative per servizi di competenza statale Abbiamo visto come, a norma dell’art. 14 del d.lgs. 267/2000, lo Stato svolga servizi di sua competenza utilizzando le strutture dei comuni. L’esercizio di queste funzioni (anagrafe, stato civile, elettorale, statistica e leva militare), essendo affidato in gestione ai comuni mediante legge dello Stato, è un loro preciso obbligo e non comporta pertanto alcun tipo di discrezionalità amministrativa (addirittura non comporta nemmeno discrezionalità organizzativa, in quanto le direttive riguardanti queste funzioni vengono emanate direttamente dal Ministero dell’Interno tramite circolari). Il servizio di anagrafe è regolato dalla L. 1228/1954, mentre il servizio di stato civile segue ora le disposizioni del d.p.r. 396/2000, che ha notevolmente semplificato l’esercizio di questo ufficio. Entrambe queste norme disciplinano dettagliatamente tutti i compiti attribuiti agli ufficiali di anagrafe e di stato civile e stabiliscono le modalità con cui questi devono essere svolti. L’attività anagrafica riguarda essenzialmente l’aggiornamento continuo della popolazione residente all’interno del comune e la registrazione di tutti i movimenti migratori della popolazione sia in entrata che in uscita dal comune (compresa la popolazione emigrata all’estero, che viene perciò iscritta all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), mentre l’attività dell’ufficio di stato civile riguarda la tenuta dei registri dei nati e dei morti all’interno del comune e dei cambiamenti 53 intervenuti appunto nello stato civile delle persone (come matrimoni, separazioni, divorzi, riconoscimenti di paternità, variazioni di nomi, cognomi e cittadinanza). Nonostante riguardino aspetti differenti della popolazione, queste due funzioni hanno in realtà un obiettivo analogo (tant’è vero che nei comuni in genere sono svolte dal medesimo ufficio): la tenuta e l’aggiornamento dei registri di anagrafe e stato civile è infatti un’attività di certazione, ossia un’attività che ha lo scopo di dare certezza a notizie riguardanti condizioni personali dei cittadini; per questo motivo non possono essere analizzate separatamente, anche perché si integrano e si completano a vicenda. Per quel che riguarda la funzione elettorale, lo Stato affida ai comuni il compito di aggiornare a scadenze periodiche (in genere semestrali) gli elenchi dei cittadini che hanno diritto di voto in quanto residenti all’interno del territorio comunale. Vengono perciò costantemente inseriti negli elenchi elettorali i cittadini italiani che hanno raggiunto la maggiore età o che sono immigrati nel comune, mentre vengono eliminati dagli elenchi coloro che sono deceduti o emigrati in altri comuni. I compiti dei comuni riguardanti la leva militare si risolvono essenzialmente nell’aggiornamento periodico delle liste di leva (inserimento dei maschi residenti nel comune che hanno raggiunto il diciottesimo anno di età) ed il trasferimento delle stesse al Distretto militare competente, il quale a sua volta rimette poi al comune il compito di notificare agli interessati i congedi e le chiamate alla leva. Questa funzione comunque è destinata progressivamente a diminuire fino ad esaurirsi fra qualche anno con la definitiva soppressione dell’obbligo di leva. Il comune infine ha l’obbligo a scopo statistico di raccogliere per conto dello Stato dati riguardanti la popolazione e l’economia locale; questi dati devono essere trasmessi all’ISTAT, che li rielabora e li aggrega a livello nazionale (in provincia di Trento tuttavia questa funzione è svolta, anziché dall’ISTAT, dall’Ufficio provinciale di statistica). 54 4.7. Le funzioni amministrative strumentali I comuni infine svolgono una serie di funzioni che, pur non essendo volte al diretto perseguimento degli interessi della popolazione, sono comunque di importanza fondamentale, in quanto senza di esse nessun bisogno potrebbe essere soddisfatto. Si tratta delle funzioni di raccolta e gestione delle risorse finanziarie, del reclutamento e della direzione del personale dipendente. Tali attività consentono ai comuni di attuare le proprie politiche e di perseguire i propri obiettivi; senza queste funzioni i comuni non avrebbero la possibilità di agire, da un lato per la mancanza di fondi, che determinerebbe l’impossibilità di operare qualsivoglia spesa, dall’altro per la mancanza di persone in grado di occuparsi concretamente della gestione delle risorse e della messa in atto delle decisioni politiche prese dagli amministratori. La raccolta di risorse avviene essenzialmente tramite le imposte comunali (soprattutto ICI, ma in parte anche l’addizionale comunale IRPEF) e altre poche entrate derivanti in genere perlopiù dalla gestione di beni immobili. Il gettito derivante dalle imposte segue come logico le disposizioni di diritto tributario: per l’ICI la norma di riferimento è il d.lgs. 504/1992, mentre l’addizionale comunale IRPEF è disciplinata dal d.lgs. 360/1999. La gestione degli immobili è regolata invece da norme di diritto privato, anche se alcuni tipi di beni pubblici (beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile) devono seguire una disciplina particolare, sia per quanto riguarda il loro utilizzo che la loro vendita. La gestione del bilancio comunale avviene secondo il regolamento di contabilità (che ogni comune è tenuto ad adottare) e le altre norme sancite dal nuovo ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, contenuto nella parte seconda del d.lgs. 267/2000. Entro il 31 dicembre di ogni anno il Consiglio comunale deve approvare il bilancio preventivo per l’anno successivo, nel quale devono essere indicate tutte le spese che il comune intende effettuare e tutte le entrate mediante le quali tali spese saranno finanziate. Il principio che deve essere seguito infatti è quello per cui non può essere prevista alcuna spesa se non 55 viene stabilita anche la relativa fonte di finanziamento, per cui il bilancio deve essere sempre in pareggio. Sia le entrate che le spese sono suddivise per capitoli, ossia per aree di intervento omogenee; con il bilancio preventivo viene destinata ad ogni capitolo di spesa una determinata somma (proveniente ovviamente dai capitoli delle entrate) che durante l’anno può essere usata per effettuare le spese relative a quell’area di intervento. Una volta esaurita la somma disponibile, nessuna spesa può più essere effettuata relativamente a quel capitolo, a meno che non intervengano in corso d’anno variazioni di bilancio, con le quali l’amministrazione può decidere di trasferire fondi da alcuni capitoli ad altri. In questo modo la legge obbliga gli amministratori dei comuni a controllare costantemente la situazione finanziaria ed impedisce che possano essere effettuate spese superiori a quelle previste, per le quali mancherebbe la relativa copertura finanziaria. La gestione del personale dipendente infine, dopo la privatizzazione del pubblico impiego operata dal d.lgs. 29/1993 (incluso successivamente nel d.lgs. 165/2001 Testo Unico del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), segue nella maggior parte dei casi le norme di diritto del lavoro vigenti e la disciplina posta dalla contrattazione collettiva; il reclutamento del personale tuttavia avviene sempre mediante concorso a norma dell’art. 97 della Costituzione, il quale al terzo comma sancisce che «[a]gli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge». In questo modo la legge cerca di garantire che la pubblica amministrazione rispetti i principi di imparzialità e buon andamento sanciti dal primo comma dello stesso articolo e che le posizioni lavorative siano occupate effettivamente da personale capace e competente. 56 5. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE APPLICATO ALLE FUNZIONI COMUNALI 5.1. Il principio di sussidiarietà orizzontale come anello di collegamento fra cittadini ed amministrazioni comunali Abbiamo visto precedentemente come il principio di sussidiarietà orizzontale sancito dall’art. 118 ultimo comma della Costituzione rappresenti la formale legittimazione delle azioni volte al perseguimento di finalità di interesse generale intraprese dalla società civile. Di conseguenza i cittadini possono intraprendere qualunque azione che possa recare beneficio a tutta la collettività senza correre il rischio di trovarsi di fronte ad ostacoli o di incappare in sanzioni da parte delle amministrazioni; in pratica nessun cittadino potrà più essere multato “per eccesso di cittadinanza”, come in alcuni casi è successo in passato. Almeno in linea di principio dunque i cittadini possono intervenire ogniqualvolta lo ritengano opportuno al fine di collaborare con le amministrazioni alla soddisfazione dei bisogni della collettività; questo in teoria comporta che i cittadini possano dare il proprio apporto anche per quanto riguarda l’esercizio di tutte le funzioni di competenza comunale esaminate nel capitolo precedente. Nella realtà tuttavia le cose sono un po’ più complicate di come possono sembrare ad una prima sommaria analisi. Da un lato infatti è impensabile che il perseguimento di determinati obiettivi, affidato alle pubbliche istituzioni direttamente dalla legge, sia rimesso nelle mani di cittadini che, per quanto spinti dalle migliori intenzioni e dai più buoni propositi, operano a titolo volontario e non sono pertanto obbligati ad intervenire se non appunto perché mossi dal proprio senso di responsabilità. Questi inoltre spesso non hanno nemmeno le competenze necessarie per gestire i beni pubblici e perseguire finalità generali: abbiamo visto, analizzando le funzioni comunali, quante siano le norme che devono essere seguite perché l’amministrazione operi in modo legittimo; solamente persone con 57 alle spalle un lungo percorso di studi giuridici possono districarsi agevolmente in questo labirinto, e non è detto che comuni cittadini, che si danno da fare per migliorare la società in cui vivono mossi solamente da senso civico e buona volontà, abbiano tale caratteristica. Non è dunque nemmeno da prendere in considerazione l’ipotesi che le amministrazioni comunali possano esimersi dai loro compiti nel momento in cui cittadini volenterosi si dedichino alla realizzazione di obiettivi di utilità collettiva, né tanto meno gli stessi cittadini possono pretendere di sostituirsi con le loro iniziative all’operato delle istituzioni. L’azione volontaria dei cittadini per finalità di interesse generale non può risolversi dunque che in forme di collaborazione con le amministrazioni, nel pieno rispetto delle norme di legge vigenti. Tuttavia, se da un lato i comuni non possono devolvere i loro compiti ai cittadini in un’ottica di privatizzazione delle funzioni pubbliche, dall’altro non possono nemmeno ostacolare le azioni intraprese della società civile (naturalmente una volta assodato che queste rientrano nei parametri fissati dalla legge), poiché altrimenti sarebbero essi stessi a violare un principio costituzionale, che come tale sono tenuti ad osservare; anche le amministrazioni comunali quindi devono per forza di cose abituarsi all’ingerenza delle formazioni della società civile nell’esercizio delle loro funzioni, e per fare questo devono sforzarsi di operare un cambio di mentalità, abbandonando definitivamente l’idea che i cittadini sono protagonisti passivi della vita amministrativa; i comuni soddisfano interessi e gestiscono beni appartenenti alla collettività e per questo motivo i cittadini hanno non soltanto il diritto, ma anche il dovere morale di interessarsi a tali questioni e di pretendere di parteciparvi giorno per giorno. Ma se da una parte le amministrazioni devono cambiare atteggiamento nei confronti dei cittadini, dall’altra anche i cittadini devono abbandonare la pretesa che le stesse amministrazioni si occupino sempre di tutti i loro bisogni e li assecondino in tutte le loro richieste. Infatti nonostante la grande diffusione di associazioni e gruppi che volontariamente e con grande altruismo si adoperano per intraprendere iniziative che vanno a beneficio di tutti, è diffusa e radicata la mentalità che le 58 amministrazioni pubbliche, specialmente quelle più vicine alla popolazione e al territorio come appunto i comuni, siccome hanno il potere di imporre e raccogliere tributi, devono provvedere a tutto ciò di cui i cittadini-contribuenti hanno bisogno. La maggior parte della popolazione ignora che la principale fonte di finanziamento dei comuni, ossia il gettito derivante dalle imposte comunali, è ridotta ormai quasi esclusivamente all’ICI. I comuni dunque sono sempre più a corto di risorse, a fronte di spese che tendono continuamente ad aumentare, per cui si trovano a dover far i conti con il pareggio del bilancio, proprio come avviene nelle normali famiglie: è logico pertanto che, nell’ambito della loro discrezionalità, gli amministratori si trovano a dover fare delle scelte politiche relative al livello di pressione fiscale da imporre e alla priorità dei bisogni da soddisfare. Non si può pretendere di ridurre il prelievo fiscale ed aumentare la quantità (e magari anche la qualità) dei servizi offerti, come non si può pretendere che le amministrazioni soddisfino sempre le esigenze di tutti. Il principio di sussidiarietà orizzontale, offrendo la possibilità di collaborare per la realizzazione di interessi riguardanti la collettività, rappresenta perciò l’anello di collegamento tra cittadini ed amministrazioni comunali: ogni volta che i cittadini, anziché limitarsi a prendere atto passivamente che c’è un problema da risolvere, assumono la consapevolezza dell’importanza della propria azione e provano a collaborare con l’amministrazione comunale per trovare una soluzione efficace, viene data piena attuazione a questo principio costituzionale. Non occorre che i cittadini compiano chissà quali grandi opere o inventino nuove soluzioni tecnologiche perché il loro contributo possa avere una qualche utilità per la comunità in cui vivono; da questo punto di vista il principio di sussidiarietà orizzontale può essere tradotto concretamente in semplici azioni quotidiane, come ad esempio la differenziazione dei rifiuti, che i cittadini possono eseguire solamente con un po’ di attenzione, ma che sommate insieme assumono una grande importanza per tutta la collettività. Se tutti si rendessero conto che ogni singolo gesto di civiltà, per quanto insignificante possa sembrare, rappresenta un piccolo apporto alla causa comune, e decidessero perciò di fare ciascuno la 59 propria parte in maniera responsabile, soltanto con questo starebbero già osservando un principio costituzionale. Sembra niente, ma nella società attuale, sempre più individualista ed estranea ai valori della solidarietà e del rispetto per i beni appartenenti alla comunità, questo è già molto. 5.2. Ambito di applicazione e modalità di attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale da parte dei cittadini Sappiamo che con il principio di sussidiarietà orizzontale i cittadini possono intraprendere iniziative volte alla soddisfazione di interessi generali. Tale principio è da ritenersi direttamente applicabile, nel senso che non sono necessarie interpretazioni legislative o norme attuative per poter svolgere una qualunque azione civica in base all’art. 118 ultimo comma della Costituzione. Questa impostazione del resto è sempre stata sostenuta fin dall’entrata in vigore del nuovo testo costituzionale da tutte quelle organizzazioni che si preoccupano di sostenere e diffondere la sussidiarietà orizzontale. I cittadini possono quindi da subito intraprendere azioni civiche a sostegno dell’operato delle amministrazioni comunali, senza dover attendere altro. Dobbiamo tuttavia chiederci a questo punto quale sia l’ambito di applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale, ossia in quali funzioni amministrative anche i cittadini possano svolgere un ruolo attivo, focalizzando la nostra attenzione in modo particolare su quelle tipiche dei comuni. Innanzitutto c’è da dire che la legge non stabilisce nulla in proposito, per cui si può ragionevolmente ritenere che i cittadini siano liberi di agire in qualunque campo, purché questo non sia loro precluso da un atto normativo. Interpretando il principio, possiamo però affermare che l’art. 118 ultimo comma della Costituzione conferisce ai cittadini e alle loro formazioni sociali la facoltà di occuparsi «della produzione, della cura e della riproduzione dei beni comuni»40. Secondo la definizione data dal sociologo Carlo Donolo «i beni comuni sono beni che una società (…) detiene in comune. I beni pubblici o comuni sono una classe di beni che si 40 G. Moro, Manuale di cittadinanza attiva, Carocci editore, Roma 1998, pag. 39 60 presentano nell’esperienza sociale come presupposti di ogni forma di agire e insieme come esiti – voluti e non voluti – dell’interazione tra attori. Esempi classici di tali beni sono un paesaggio apprezzato, la vivibilità urbana, la fiducia negli scambi sociali, un saper fare diffuso»41. In base a questa espressione è impossibile stilare un elenco che comprenda tutti i beni comuni, poiché, per quanto dettagliato, questo sarebbe comunque sempre incompleto. I beni comuni sono dunque quei beni, non necessariamente tangibili e misurabili, dai quali ognuno può ricavare un beneficio diretto o indiretto. Per questo motivo possiamo «considerare all’interno dei beni comuni anche i beni pubblici, vale a dire quelle risorse, quei servizi e quelle infrastrutture che sono di proprietà pubblica o collettiva e, almeno potenzialmente, a disposizione di tutti»42. I beni pubblici sono accomunati da due caratteristiche: essi sono non escludibili (ossia il loro utilizzo non può essere impedito ad alcun soggetto) e non rivali nel consumo (ossia il loro utilizzo da parte di un soggetto non impedisce che contemporaneamente ne fruiscano anche altri soggetti, senza per questo che l’utilità di alcuno di essi diminuisca)43. In effetti i beni dotati di entrambe queste peculiarità sono veramente pochi; la maggior parte dei beni che nel gergo vengono comunemente definiti pubblici sono in realtà rivali nel consumo, nel senso che il loro utilizzo può alla lunga dare luogo a quella che Hardin chiamò “tragedia dei beni comuni”44: quando l’accesso ad una risorsa è illimitato, ossia quando la proprietà fa capo ad una collettività, si determina l’utilizzo indiscriminato della stessa da parte di tutti i proprietari, i quali non considerano gli effetti delle azioni individuali sui beni di tipo collettivo; di conseguenza la risorsa è destinata ad esaurirsi. Per evitare lo sfruttamento indiscriminato del bene ed il suo conseguente esaurimento, la gestione di questo viene affidata all’ente pubblico, che ne regolamenta l’accesso e l’utilizzo da parte dei membri della collettività in modo che tutti possano goderne, ma che venga al contempo 41 C. Donolo, L’intelligenza delle istituzioni, Feltrinelli, Milano 1997, pag. 20 G. Moro, op. cit., pag. 40 43 P. Bosi (a cura di), Corso di scienza delle finanze, Il mulino, Bologna 1996, pag. 65 44 G. Hardin, The tragedy of the commons, in J. Baden, G. Hardin, Managing the commons, Freeman & C., New York 1977, pag. 21 42 61 preservata l’integrità e l’efficienza del bene stesso. Anche i comuni, in quanto enti pubblici, hanno il compito di gestire beni di proprietà collettiva; poiché essi inoltre rappresentano l’istituzione territorialmente più vicina ai bisogni e alle necessità della popolazione, la legge affida loro in particolare il compito di amministrare i beni pubblici di interesse locale. Il principio di sussidiarietà orizzontale introduce tuttavia un modo nuovo di governare i beni collettivi: gli enti pubblici continuano ad occuparsi della loro gestione, ma ora anche i privati cittadini possono responsabilmente intraprendere azioni volte alla cura dei beni comuni, intesi qui nel senso ampio della parola, ossia comprendendo anche quel complesso di beni intangibili (come ad esempio un bel paesaggio) il cui godimento, seppur impercettibile, determina un incremento nel benessere di chi ne fruisce. Sapendo che l’art. 13 del d.lgs. 267/2000 affida ai comuni «tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto e dell’utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico», vediamo dunque nel dettaglio quali possono essere gli ambiti di applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale e quali le azioni che i cittadini possono in concreto attuare al fine di collaborare con le amministrazioni comunali alla gestione dei beni collettivi di interesse locale. 5.2.1. I servizi alla persona e alla comunità Il primo ambito comunale di applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale è dunque, a norma dell’art. 13 del Testo Unico sull’ordinamento degli enti locali, quello dei servizi alla persona. Come è facile intuire, la quantità di attività che i cittadini possono intraprendere al fine di incrementare il livello di benessere di tutta la comunità è veramente enorme, data l’eterogeneità dei bisogni da soddisfare. In particolare, i servizi maggiormente interessati dall’applicazione del principio saranno quelli legati ai settori delle problematiche sociali, dell’istruzione e del tempo libero. 62 Per quanto riguarda le problematiche sociali, le iniziative civiche attuabili dalla popolazione possono concernere questioni come l’immigrazione, la condizione degli anziani, dei minori e dei disabili, il degrado delle periferie urbane, il disagio giovanile. Sicuramente questo tipo di problematiche interessano principalmente i grossi centri urbani; non ne sono tuttavia estranei nemmeno i piccoli centri, in quanto la globalizzazione interessa purtroppo anche questo tipo di fenomeni. Lo spirito di solidarietà che nella maggior parte dei casi è il motore delle azioni intraprese dalla società civile può spingere i cittadini a cimentarsi in questi campi nei modi più svariati. Vediamo solo alcuni esempi degli interventi che possono essere attuati. Considerando il problema dell’inserimento sociale e lavorativo degli immigrati, la cittadinanza attiva potrebbe intervenire mediante la creazione di sportelli di incontro tra domanda ed offerta di lavoro; molte famiglie italiane si trovano infatti a dover affrontare il problema della cura di anziani non autosufficienti e cercano pertanto persone disposte ad assisterli a tempo pieno. Del resto poche persone sono ormai disposte a svolgere questo tipo di lavori, che pertanto vengono affidati in genere a donne immigrate. Cittadini sensibili a questo tipo di problemi potrebbero costituire una rete di contatti tra famiglie che hanno la necessità di trovare qualcuno disposto a prendersi cura dei congiunti bisognosi da un lato ed immigrate in cerca di lavoro dall’altra, assicurandosi che tali persone siano in regola con i permessi di soggiorno, curando gli aspetti legali e fiscali della collaborazione, raccogliendo magari anche referenze e, perché no, offrendo quel po’ di formazione che basta per prendersi cura di anziani ed ammalati in modo adeguato. Altri cittadini potrebbero invece decidere di occuparsi della condizione giovanile e della prevenzione dei disagi e delle problematiche legate alle dipendenze, soprattutto nelle periferie delle grandi città, dove la microcriminalità e la malavita sembrano farla da padrone. A questo proposito è bene ricordare il ruolo centrale che rivestono gli oratori, i quali hanno alle spalle una lunghissima tradizione nel campo dell’educazione e della formazione dei giovani e da più di 63 due secoli sono luoghi in cui il principio di sussidiarietà viene concretamente applicato. Non a caso il nostro legislatore ha recentemente emanato una legge (L. 206/2003) che ne riconosce l’importante ruolo educativo e ne incentiva l’attività. Al di là di questo aspetto comunque c’è da dire che le iniziative che possono essere intraprese nel campo giovanile sono veramente molte e svariate: si va dalla creazione di semplici punti di aggregazione (magari in strutture messe a disposizione dal comune come già avviene in molte città) alla più complessa organizzazione di attività con cadenze regolari nel corso della settimana, come corsi di musica, teatro, danza e quant’altro può destare l’interesse dei giovani. L’aumento numerico degli anziani è e sarà in futuro uno dei più grossi problemi e allo stesso tempo una delle più grosse opportunità della nostra società; se da un lato infatti l’allungamento della vita media causa la condizione di abbandono di molte persone sole, dall’altra il miglioramento delle condizioni di vita fino ad età anche molto avanzate consente a molte persone pensionate che dispongono di tempo libero e buona salute, di rendersi ancora utili per la società. In quest’ambito potrebbero essere dunque intraprese tutta una serie di iniziative volte a dare un aiuto concreto agli anziani non autosufficienti e a colmarne il senso di abbandono, come andare a fare la spesa al posto loro, accompagnarli dal medico, organizzare animazione all’interno delle case di riposo. Da questo punto di vista potrebbero rivestire grande importanza i circoli di pensionati ed anziani, presenti praticamente ovunque, i quali potrebbero collaborare con le università della terza età e con i servizi sociali, diventando luoghi in cui a molte persone (le quali spesso, finita la loro attività lavorativa, non sanno come occupare il proprio tempo) viene data l’opportunità di rimanere attivi e di sentirsi ancora utili facendo qualcosa di concreto per gli altri. Altre iniziative di sicuro interesse generale attuabili dai cittadini sono quelle destinate alla inclusione sociale e al miglioramento della condizione dei disabili. Queste persone incontrano molti ostacoli nella vita di tutti i giorni e spesso non hanno libero accesso a molti luoghi per via delle barriere architettoniche, nonostante la legge tuteli i loro interessi e cerchi di dare loro opportunità uguali a 64 quelle di tutte le altre persone. Spesso anche solo un marciapiede può essere un ostacolo insormontabile che fa sentire il disabile diverso dagli altri e ne aumenta perciò il senso di esclusione dalla vita sociale; i cittadini attivi possono intervenire per porre un rimedio a queste situazioni: non ci vuole molto per costruire al posto del gradino all’inizio e alla fine dei marciapiedi una piccola rampa in cemento, affinché anche chi è costretto su di una sedia a rotelle possa muoversi liberamente ed in modo indipendente. Le amministrazioni comunali potrebbero anche non essere d’accordo con il fatto che i cittadini si prendano il diritto di modificare l’assetto delle strade urbane, ma è difficile che possano intralciare questo tipo di iniziative in quanto la generalità dell’interesse che viene realizzato è palese; l’art. 118 ultimo comma della Costituzione legittima questo tipo di azioni e tutela i cittadini contro eventuali ostacoli posti dalle amministrazioni comunali, in quanto pone a loro carico l’obbligo di favorire tali iniziative una volta appurata l’utilità che queste rivestono per tutta la collettività. Altro settore fondamentale dei servizi alla persona è quello dell’istruzione; in questo caso i cittadini direttamente coinvolti nel problema a livello comunale saranno presumibilmente i genitori dei bambini che frequentano la scuola, ai quali interesserà monitorare la salubrità dell’ambiente scolastico ed il rispetto delle norme di sicurezza degli edifici. In questo senso possono essere intraprese diverse iniziative per collaborare con l’amministrazione comunale, che vanno dalla semplice segnalazione di guasti ed inosservanze delle norme di sicurezza al comune per sollecitarne l’intervento, alla soluzione diretta del problema, qualora il comune tardasse a prendere provvedimenti. Se ad esempio all’interno dell’edificio scolastico non fossero state affisse le mappe obbligatorie riportanti il piano di evacuazione, i genitori potrebbero farle predisporre da un professionista addetto del settore (magari uno dei genitori dei bambini che frequentano la scuola). Altro caso di intervento potrebbe essere la cura del giardino di una scuola materna: se l’amministrazione comunale trascurasse di tagliare periodicamente l’erba, i genitori dei bambini potrebbero agire in prima persona, chiedendo magari all’amministrazione comunale di favorirli mettendo loro a 65 disposizione le proprie attrezzature (tosaerba, sementi per i fiori, tubi per annaffiare…). Altro esempio ancora sono i nonni vigile che negli orari di inizio e fine delle lezioni fanno attraversare la strada ai bambini in prossimità della scuola. L’amministrazione comunale dal canto suo ha l’obbligo di favorire tutte queste iniziative, in quanto la sicurezza ed il benessere dei bambini sono interessi non solo delle famiglie, ma dell’intera collettività, e come tali vanno tutelati. L’ultimo ambito di applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale nel settore dei servizi alla persona è quello del tempo libero. Arte, cultura, sport ed attività ricreative sono attività curate per la maggior parte dalla passione e dalla disponibilità della cittadinanza. Da questo punto di vista la collaborazione tra associazioni di cittadini ed amministrazioni comunali è già in molti casi viva ed intensa; il fatto che le stesse amministrazioni spesso concedano a questi gruppi sovvenzioni e contributi è una specie di riconoscimento formale dell’importanza che le iniziative da loro organizzate rivestono per l’intera collettività, sia sotto l’aspetto culturale che sociale, dal momento che nella maggior parte dei casi il far parte di un’associazione ingenera nelle persone un forte senso di appartenenza alla comunità. Mediante questo tipo di attività infatti vengono trasmessi valori quali l’impegno, l’amicizia e l’altruismo che purtroppo nel pensiero comune vengono sempre più spesso travisati. Le amministrazioni comunali pertanto non possono non sostenere tali iniziative e non essere grate ai cittadini che dedicano il proprio tempo per realizzarle. 5.2.2. La gestione del territorio Seguendo sempre l’art. 13 del d.lgs. 267/2000, il secondo ambito comunale di applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale riguarda l’assetto e l’utilizzazione del territorio e comprende in modo particolare i settori della difesa dell’ambiente, dello sviluppo del territorio, della sicurezza e della protezione civile. In questi campi dunque possono trovare spazio anche le iniziative della cittadinanza. La difesa dell’ambiente sta diventando ogni giorno un problema più pressante: 66 inquinamento dell’aria e dell’acqua, smaltimento dei rifiuti, tutela dei patrimoni paesaggistici sono questioni che riguardano la salute ed il benessere di ciascuno di noi e che incideranno ancora più pesantemente sulle generazioni future. Le azioni dei cittadini attivi in questo ambito possono dunque essere un grande esempio di civiltà per tutta la società: la sensibilizzazione allo sfruttamento dei mezzi pubblici e all’uso intelligente dell’automobile, l’organizzazione delle domeniche senza auto, la pulizia di boschi e spiagge, la differenziazione scrupolosa dei rifiuti, la pressione a livello politico affinché vengano introdotte norme di legge che stabiliscano regole rigide per le industrie che producono scorie pericolose e pene severe per chi le disattende, la promozione di modelli di consumo ecocompatibili (come il boicottaggio dei prodotti il cui imballaggio costituisce overpacking) sono tutti esempi di azioni di responsabilità intraprese da comuni cittadini per migliorare il mondo in cui viviamo. Da molti anni ormai l’associazione Legambiente promuove iniziative ambientali che rientrano nell’ambito della sussidiarietà orizzontale: operazione spiagge pulite, nontiscordardimé – operazione scuole pulite, puliamo il mondo… sono progetti che coinvolgono ogni anno migliaia di cittadini volontari in attività volte in concreto a migliorare il mondo in cui viviamo. Questo tipo di iniziative spesso non richiedono un grande impegno da parte dei cittadini, se non un po’ di tempo libero e di buona volontà: sarebbe perciò interessante, nonché dimostrazione di grande senso civico, che tali azioni diventassero abituali anche senza un’organizzazione nazionale che le promuova, ma soltanto grazie a gruppi di cittadini volontari che periodicamente dedichino una mezza giornata per ripulire a livello comunale un pezzo di bosco o un argine di fiume. Un altro aspetto importante della gestione del territorio è quello legato al suo sviluppo. In questo ambito le azioni della cittadinanza attiva possono riguardare la regolamentazione del traffico, la viabilità, l’assetto e la tutela dei centri storici e dei beni culturali, l’arredo urbano, la cura di parchi ed aree verdi. Concretamente i cittadini possono intraprendere diversi tipi di azioni, come ad esempio curare le aiuole comunali (magari utilizzando attrezzature messe a 67 disposizione dall’amministrazione comunale); sistemare le panchine all’interno dei giardini pubblici, riverniciando quelle imbrattate e riparando quelle danneggiate da atti di vandalismo; predisporre dei cartelli, riportanti notizie storiche ed artistiche, da affiggere all’esterno dei palazzi e dei monumenti di interesse culturale per informare residenti e turisti del patrimonio esistente sul territorio comunale; sistemare la segnaletica stradale nel caso questa sia danneggiata o porre degli specchi sugli incroci pericolosi per evitare che la scarsa visibilità provochi incidenti automobilistici. Quest’ultimo tipo di azione tuttavia è contraria all’art. 15 del Codice della Strada (d.lgs. 285/1992), che stabilisce il divieto assoluto di manomettere la segnaletica stradale. Il preside di una scuola elementare romana è stato multato proprio in base a questa norma perché, dopo ripetuti ed inutili solleciti all’amministrazione comunale, aveva ridipinto le strisce pedonali ormai scolorite davanti all’ingresso della scuola al fine di impedire che qualcuno dei suoi alunni venisse accidentalmente investito. Non si può affatto negare che una simile azione sia compiuta per interesse generale; ma come comportarsi nel caso una disposizione di legge vieti espressamente l’applicazione del principio di sussidiarietà? La questione è dubbia, per cui forse vale la pena ritornarci nel dettaglio più avanti. Qui basta solo premettere che è difficile poter pensare che i cittadini possano, sebbene in virtù di un principio costituzionalmente sancito e per finalità di interesse generale, contravvenire ad una specifica norma di legge. Anche l’incremento della sicurezza e la lotta alla microcriminalità sono ambiti in cui la cittadinanza può impegnarsi al fine di migliorare vivibilità delle aree urbane. Sebbene infatti questo tipo di problemi riguardi essenzialmente le periferie delle grandi città, purtroppo la malvivenza comincia ad interessare seriamente ed in modo preoccupante anche i piccoli centri. Grande polemica hanno suscitato le ronde di quartiere istituite dai cittadini per combattere i furti nelle abitazioni; il principio di sussidiarietà legittima anche questo tipo di azioni, ma è estremamente importante (se non in questo caso addirittura fondamentale) che i cittadini ricerchino la collaborazione con le istituzioni (polizia municipale e 68 corpi dello Stato), per evitare che tali iniziative si trasformino in linciaggi di massa; la giustizia “fai da te” infatti non è mai vera giustizia e la popolazione che la mette in atto passa dalla parte del torto alla stregua dei malviventi che vuole punire. Ben vengano dunque le ronde di quartiere se il controllo riesce a fare da deterrente contro la microcriminalità, ma bisogna accuratamente evitare (e questo è compito del buon senso delle persone che si attivano, oltre che del controllo da parte delle amministrazioni comunali) che i cittadini oltrepassino i propri limiti; l’uso della forza (comprese ovviamente le armi) deve infatti restare esclusivo appannaggio delle forze dell’ordine. Altra applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale in questo ambito può essere l’organizzazione di gruppi di cittadini che controllino alle entrate dei parchi pubblici ove giocano i bambini che non vi entrino i motorini. Se l’amministrazione comunale conferisce a questi cittadini volontari il potere di multare i motorini all’interno dei parchi, forse questi perderanno la cattiva abitudine e non vi entreranno più nemmeno nelle ore in cui questo tipo di controllo non viene attuato. Anche ripulire i giardini pubblici dalle immondizie e da quant’altro può nuocere alla salute e alla sicurezza dei bambini che vi giocano (come ad esempio le siringhe usate, che sono sì un caso estremo, ma purtroppo non così infrequente) può essere un’azione che i cittadini possono intraprendere senza costi soltanto mettendo a disposizione un po’ di tempo libero. L’amministrazione comunale potrebbe in questo caso accollarsi l’onere di comprare quanto necessario alla pulizia (rastrelli, sacchi, guanti), sostenendo in ogni caso una spesa molto contenuta. Per quanto riguarda la protezione civile infine, la cittadinanza può intraprendere iniziative per valutare i rischi, prevenire i disastri, migliorare l’intervento nelle emergenze, avviare rapidamente le ricostruzioni dopo l’avvenimento di calamità. A questo proposito bisogna ammettere che, almeno in Trentino, il settore della protezione civile organizzata su base volontaria è sempre stato all’avanguardia, grazie soprattutto all’apporto dei corpi dei vigili del fuoco volontari e degli alpini che, presenti praticamente in tutti i comuni, da più di un secolo applicano il 69 principio di sussidiarietà orizzontale per aiutare la popolazione colpita da catastrofi con solidarietà ed altruismo. 5.2.3. Lo sviluppo economico L’art. 13 del d.lgs. 267/2000 comprende infine tra le funzioni affidate ai comuni anche quelle volte allo sviluppo economico del territorio. È questo un aspetto in cui il principio di sussidiarietà opera in modo trasversale; infatti anche se è difficile immaginare che i cittadini perseguano direttamente lo sviluppo economico del proprio territorio, le autonome iniziative che essi mettono in atto, generando in molti casi un risparmio di denaro pubblico, permettono alle amministrazioni comunali di realizzare interessi che altrimenti non verrebbero soddisfatti a causa del vincolo di bilancio. In questo modo le attività economiche ricevono un impulso positivo, suscitato dal fatto di poter fruire di una più ampia gamma di servizi ed infrastrutture offerti dalle amministrazioni, e ciò non può che incrementare il livello di ricchezza e benessere di tutta la popolazione residente sul territorio comunale. 5.2.4. Il controllo sull’operato delle amministrazioni e la tutela dei diritti Un ultimo ambito di applicazione della sussidiarietà orizzontale alle funzioni comunali è quello del controllo sull’attività svolta dall’ente pubblico stesso al fine di tutelare i diritti dei cittadini contro gli abusi di potere delle amministrazioni. In questo caso assume vitale importanza la ridefinizione in chiave qualitativa del ruolo dei comuni, mediante l’assunzione di nuovi modelli di comportamento da parte dei dipendenti comunali e la vigilanza sull’applicazione dei principi amministrativi, in modo particolare legalità, imparzialità, efficienza e trasparenza. Inoltre, dopo l’introduzione della L. 241/1990 e delle tre leggi Bassanini (L. 59/1997, L. 127/1997 e L. 191/1998) anche la semplificazione è diventata un principio giuridico che le amministrazioni sono tenute ad osservare, per cui i cittadini hanno il diritto di pretendere che la semplificazione, ove prevista, venga attuata. Per fare questo i 70 cittadini possono collaborare con il difensore civico oppure, laddove questa figura non sia stata istituita, creare degli sportelli presso cui altri cittadini possano rivolgersi per denunciare mancanze ed abusi da parte dell’amministrazione. Fondamentale in questo caso è l’atteggiamento dell’amministrazione stessa: se questa è aperta alle richieste e alle esigenze della popolazione ed è disposta ad operare in maniera trasparente, allora potrà instaurarsi con i cittadini un dialogo costruttivo che consentirà varie forme di collaborazione ed il conseguente miglioramento dei servizi offerti. La ricerca della qualità all’interno dei comuni può in questo caso essere un buon punto di partenza per migliorare il rapporto tra cittadino ed ente pubblico. Infatti la relativa certificazione garantisce a cittadini ed utenti che i servizi offerti dai comuni soddisfino sempre determinati standard, anche con riferimento alla comunicazione pubblica e ai canoni di comportamento dei dipendenti. 5.2.5. Alcune regole di base da seguire nello svolgimento delle iniziative civiche Da quanto sinora visto, si può comprendere come le iniziative che i cittadini possono promuovere al fine di apportare un beneficio all’intera collettività siano davvero le più svariate: si va da semplici azioni che non comportano nessun costo in termini monetari, ma soltanto un po’ di entusiasmo, tempo libero e voglia di lavorare, ad azioni per le quali sono richieste invece professionalità e competenze specifiche, oltre che disponibilità economiche. Nonostante questa eterogeneità, si possono tuttavia individuare alcune regole generali che sarebbe utile venissero seguite dai cittadini nello svolgimento delle attività intraprese in base al principio di sussidiarietà orizzontale. Innanzitutto è bene (anche se non è un obbligo) che i cittadini informino l’ente pubblico (tramite un avviso di iniziativa civica come quello in appendice) prima di intraprendere una qualunque attività sussidiaria; in questo modo infatti, se l’azione promossa viene ritenuta meritevole, l’amministrazione comunale può decidere anche di concedere ai cittadini dei finanziamenti, di mettere a loro disposizione mezzi e strutture o di coprire parte delle spese relative all’attività 71 stessa, mentre invece è molto più difficile per i cittadini riuscire ad ottenere anche solo il rimborso dei costi sostenuti, semplicemente presentando il conto, in quanto il procedimento di spesa delle amministrazioni non consente che vengano autorizzate uscite non previste in bilancio. Bisogna dire poi che in generale, per poter promuovere iniziative a carattere sussidiario, è necessario che i cittadini si organizzino e suddividano tra loro i compiti da svolgere in modo chiaro; sono veramente rare le iniziative che non richiedono almeno un minimo di programmazione e se i cittadini sono disarticolati, la loro azione rischia di essere scoordinata e caotica, e di non riuscire pertanto a raggiungere gli obiettivi per i quali era stata intrapresa. Sarebbe utile infine che i cittadini, prima di mettere in atto una qualsiasi iniziativa, si informassero circa le norme che regolano il settore in cui vogliono intervenire; è difficile infatti riuscire a svolgere funzioni di interesse generale senza avere quantomeno acquisito alcuni fondamentali rudimenti giuridici, dal momento che gli amministratori di norma preposti a farlo devono seguire un lungo percorso di apprendimento prima di riuscire a districarsi nella giungla di decreti, leggi e regolamenti che disciplinano le attività amministrative. A prima vista può sembrare che seguire queste prescrizioni (in modo particolare l’ultima) costituisca solo un gravoso onere aggiuntivo per i cittadini, i quali spesso, nonostante la buona volontà, devono già fare i conti con la scarsità di tempo, la carenza di risorse sia umane che economiche, e con amministrazioni pubbliche che nella realizzazione delle iniziative civiche li ostacolano in tutti i modi; è naturale quindi pensare che sia inutile, se non addirittura dannoso conformarsi a prassi di comportamento così impegnative, almeno finché queste non diventano obbligatorie. A ben guardare però i principi sopra esposti possono consentire di incrementare l’efficacia e l’efficienza delle azioni dei cittadini, per cui forse vale la pena almeno tentare di metterli in pratica, se non altro per dimostrare che le attività svolte dalla cittadinanza non hanno nulla da invidiare in quanto ai risultati raggiunti a quelle messe in atto direttamente dalle amministrazioni pubbliche. 72 5.3. Modalità di attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale da parte delle amministrazioni comunali Nel precedente paragrafo abbiamo cercato di immaginare le possibili azioni che i cittadini possono mettere in atto al fine di collaborare con le amministrazioni comunali nella realizzazione di interessi generali. Come già sappiamo, la Costituzione stabilisce a carico delle pubbliche istituzioni l’obbligo di favorire i cittadini nello svolgimento di tali iniziative. Pertanto cercheremo ora di immaginare in quali modi le amministrazioni comunali possono appoggiare questo tipo di progetti e come l’azione dei cittadini possa essere resa ancora più efficace grazie alla legittimazione e al sostegno dell’ente pubblico. 5.3.1. Un cambiamento di mentalità per non ostacolare le iniziative dei cittadini Sappiamo già che l’art. 118 quarto comma della Costituzione afferma che «Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Utilizzando la figura retorica della litote, possiamo esprimere il termine “favorire” anche con la negazione del suo contrario, ossia “non ostacolare”. Il primo modo in cui le amministrazioni comunali possono sostenere le iniziative civiche intraprese dai cittadini è dunque quello di non ostacolarle. Lasciare i cittadini liberi di agire per la realizzazione di interessi generali è di vitale importanza per l’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale, in quanto consente alla popolazione di assumere la consapevolezza dell’importanza del proprio contributo e di adoperarsi responsabilmente per il bene della collettività. È logico infatti che i cittadini tenderanno ad impegnarsi più volentieri e saranno più soddisfatti del loro lavoro se riceveranno il benestare (e magari anche il sostegno) da parte delle amministrazioni comunali, le quali riconosceranno così pubblicamente che il loro impegno è utile alla causa comune. Al contrario l’opposizione da parte delle amministrazioni, se immotivata, non può che svilire lo spirito di iniziativa dei cittadini, i quali non sentendosi di alcuna utilità, rinunceranno presto a mettere in 73 atto qualunque forma di intervento. Il non ostacolare è dunque il primo modo in cui le amministrazioni comunali possono favorire le azioni dei cittadini, ed è inoltre un modo poco oneroso, in quanto non comporta alcun costo a carico del bilancio. A questo proposito è però necessario un cambiamento di mentalità da parte delle stesse amministrazioni; l’ingerenza dei cittadini nelle questioni amministrative infatti è spesso mal vista dagli enti pubblici, i quali tendono a vedere i cittadini soltanto come un impedimento che ostacola il loro lavoro. Per questo motivo troppo spesso le amministrazioni pubbliche, per il potere loro conferito dallo Stato, tendono ad escludere la cittadinanza dalla gestione del bene pubblico; questo è un grosso intralcio alla partecipazione democratica (la cura della cosa pubblica dovrebbe infatti riguardare la popolazione in prima persona) e costituisce ora anche violazione di una norma costituzionale. Il principio di sussidiarietà orizzontale implica invece un nuovo modo di amministrare: la collaborazione con i cittadini diventa un punto fermo dell’ordinamento giuridico, per cui è necessario che le amministrazioni comunali vi si adeguino, altrimenti, ostacolando senza una valida giustificazione l’azione dei cittadini, compiono anche un illecito amministrativo. 5.3.2. La comunicazione pubblica Favorire le iniziative civiche significa tuttavia anche far conoscere alla popolazione i propri diritti e la possibilità loro conferita di collaborare per il perseguimento del benessere collettivo; strettamente connesso al fatto di non ostacolare le azioni dei cittadini è dunque l’aspetto della diffusione del principio di sussidiarietà orizzontale. Se infatti l’amministrazione comunale riesce a mettere in atto un cambio di mentalità nelle persone che lavorano al suo interno, aprendosi alla collaborazione con i cittadini, sicuramente capirà anche che l’intervento dei cittadini può fornire soluzioni nuove a molti problemi amministrativi, consentendo al contempo un risparmio di risorse; a quel punto diventerà naturale per le amministrazioni intraprendere attività di informazione della società civile riguardo all’art. 118 ultimo comma della Costituzione. La 74 sussidiarietà deve essere diffusa perché la maggior parte dei cittadini, che magari si impegnerebbe anche volentieri per la causa comune, ignora ancora del tutto la facoltà loro concessa di intraprendere iniziative in modo autonomo e responsabile. Informare i cittadini circa le loro possibilità di collaborare nelle questioni amministrative, oltre ad essere un modo per l’amministrazione comunale di essere più trasparente, in quanto rende i cittadini edotti dei loro diritti, è un investimento che non necessariamente deve essere di entità ingente, ma che sicuramente consentirà in un futuro di avere cittadini più responsabili e di conseguire risparmi di spesa pubblica che potranno essere utilizzati dalle amministrazioni comunali per ampliare la gamma di interventi a finalità collettiva da esse realizzati. Le forme con cui può essere attuato questo tipo di comunicazione pubblica sono le più svariate: si può andare da semplici cartelloni informativi affissi all’interno del municipio a vere e proprie campagne di sensibilizzazione, comprendenti magari anche interventi formativi all’interno delle scuole nell’ambito dell’educazione civica (la quale per la verità è una materia che purtroppo viene insegnata sempre meno), condotte magari in collaborazione con organizzazioni (come Cittadinanzattiva o Quelli del 118) che già da tempo si occupano dell’applicazione e della diffusione del principio di sussidiarietà orizzontale. Ma la comunicazione pubblica nell’ambito del principio di sussidiarietà può essere perseguita anche mediante degli incentivi alla popolazione che si attiva per collaborare con l’ente pubblico; la gente infatti spesso non è disposta a collaborare se non ha un tornaconto personale, quindi per ottenere qualche buon risultato in termini di partecipazione, forse vale la pena che l’amministrazione comunale fornisca ai cittadini un valido motivo per impegnarsi (attenzione però: l’incentivo non deve essere la sanzione ex post di un comportamento negativo, ma l’incoraggiamento ex ante di una buona abitudine). Un esempio su tutti è quello della differenziazione dei rifiuti nel Comune di Lavis, qui in Trentino: l’amministrazione ha fornito a tutti i residenti una tessera magnetica con la quale questi possono portare i rifiuti differenziati direttamente al centro raccolta. La 75 quantità di rifiuti conferita viene pesata e memorizzata sulla tessera. A chi intraprende questa buona pratica l’Ufficio Tributi del Comune applica poi in sede di emissione delle cartelle di pagamento uno sconto sulla tariffa per lo smaltimento dei rifiuti in proporzione alla quantità portata direttamente in discarica. Questo sconto è un riconoscimento ai cittadini che con il loro comportamento fanno ottenere all’amministrazione un risparmio netto sul costo della raccolta dei rifiuti. Il meccanismo funziona, in quanto molti cittadini, anche se non sono sensibili alle problematiche ambientali, pur di pagare meno tasse si prendono il disturbo di portare i propri rifiuti direttamente alla discarica. Da questo punto di vista il sistema dell’incentivo non è sempre positivo, in quanto il principio di sussidiarietà orizzontale dovrebbe basarsi sul senso civico e sulla responsabilità dei cittadini, senza dover attendere che sia l’amministrazione a fare il primo passo; può comunque essere utile per ingenerare comportamenti positivi laddove la maggioranza delle persone pretenda che tutto sia curato dall’amministrazione e rifiuti categoricamente di assumersi il compito di fare la propria parte nella risoluzione dei problemi collettivi. Inoltre, una volta generata nelle persone l’abitudine a tenere determinati comportamenti positivi, l’incentivo può anche essere eliminato, senza che per questo i cittadini perdano il buon costume di collaborare con l’amministrazione comunale; sappiamo tutti infatti quanto sia difficile perdere le usanze ormai acquisite. D’altra parte è più facile perdere una buona abitudine per assimilarne una cattiva che viceversa, per cui sicuramente il meccanismo dell’incentivo, anche se alla fine può dare origine a risultati senza dubbio migliori, comporta tempi di realizzazione molto più lunghi. 5.3.3. Il controllo delle iniziative civiche e il “responsabile del procedimento sussidiato” Il fatto che le amministrazioni comunali non ostacolino le azioni dei cittadini e diffondano la mentalità sussidiaria non significa comunque che esse non debbano allo stesso tempo continuare a controllare l’operato dei cittadini; quello di garantire che con le azioni sussidiarie vengano effettivamente perseguiti interessi 76 generali e non vengano invece realizzati interessi esclusivamente personali, magari lesivi di diritti tutelati dall’ordinamento, è infatti uno dei compiti principali che la legge riserva alla competenza pubblica. Da questo punto di vista evitare che vengano svolte azioni sussidiarie soltanto a parole ma non anche nei fatti rappresenta un modo implicito per favorire le iniziative civiche veramente meritevoli di tutela: se le amministrazioni comunali di fatto impediscono che i cittadini si cimentino in progetti che non portano un beneficio all’intera popolazione residente nel comune, quest’ultima può avere la certezza che, nel momento in cui l’amministrazione locale non ostacola, e anzi in qualche modo magari appoggia, una particolare iniziativa messa in atto da alcuni concittadini in base al principio di sussidiarietà, tale azione è sicuramente legittima e reca, magari anche solo indirettamente, un effettivo vantaggio a tutti coloro che in qualche modo sono legati al territorio comunale. Per questo motivo il controllo da parte degli enti locali sulle iniziative civiche è fondamentale ed è altrettanto essenziale che eventuali azioni lesive di interessi collettivi tutelati siano tempestivamente bloccate dalle amministrazioni comunali, unici soggetti dotati del potere di procedere in questo senso. Al fine di attuare un controllo più stretto sulle azioni dei cittadini le amministrazioni potrebbero istituire «la figura del “responsabile del procedimento sussidiato”, cioè del procedimento che nasce per iniziativa dei cittadini sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale»45. L’art. 4 della L. 241/90 infatti ha istituito il responsabile del procedimento amministrativo, che segue il corso degli atti necessari all’emanazione dei provvedimenti e al quale tutti i cittadini possono rivolgersi per avere informazioni e prendere visione degli incartamenti relativi al procedimento stesso. Allo stesso modo le amministrazioni comunali potrebbero istituire il “responsabile del procedimento sussidiato”, il quale avrebbe il compito di coordinare l’iniziativa civica per quanto riguarda la collaborazione con l’amministrazione comunale e al quale i cittadini potrebbero 45 G. Arena, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118 u.c. Costituzione, comunicazione al convegno 118: cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma 7-8 febbraio 2003, sito internet www.astridonline.it/Sussidiari/Interventi/index.htm 77 rivolgersi per ottenere istruzioni in merito alla possibilità o meno di attuare l’intervento, indicazioni circa le regole ed i principi giuridici da seguire, informazioni relative a finanziamenti, patrocini e sostegni vari al progetto da parte dell’amministrazione comunale. Questo ufficio avrebbe inoltre il compito di curare la diffusione del principio di sussidiarietà orizzontale tra la popolazione residente, in modo da incentivare i cittadini a ricercare soluzioni creative ai problemi amministrativi quotidiani. Una specie di sportello unico insomma dove amministrazione comunale e cittadini possano incontrarsi per mettere in atto forme di collaborazione che siano utili per tutti. In questo modo l’amministrazione potrebbe essere sempre al corrente delle azioni che vengono intraprese (anche se non ha il dovere di autorizzarle formalmente) e potrebbe controllare che esse vadano effettivamente nella direzione della realizzazione di interessi di tipo generale. Il costo per l’amministrazione in questo senso potrebbe anche essere abbastanza consistente, soprattutto in termini di organizzazione e formazione del personale dipendente preposto a questo ufficio, ma costituirebbe ad ogni modo un investimento che in futuro permetterebbe di risparmiare risorse, ovviamente a condizione che venga attuato in modo da far percepire ai cittadini che il principio di sussidiarietà orizzontale è uno strumento grazie al quale essi possono aumentare la loro partecipazione democratica alla vita amministrativa. 5.3.4. Finanziamenti, patrocini e concessione in uso di strutture e attrezzature Le amministrazioni comunali possono tuttavia favorire le iniziative di interesse generale intraprese dalla società civile anche in modo più specifico e concreto, ad esempio mettendo gratuitamente a disposizione dei cittadini attrezzature e strutture di proprietà comunale utili allo svolgimento di tali attività, concedendo finanziamenti (anche sotto forma di patrocini) oppure rimborsando parte delle spese sostenute dai cittadini per l’attuazione di dette iniziative. Questa modalità di intervento a sostegno dei cittadini tuttavia è onerosa per l’amministrazione, la quale pertanto con ogni probabilità vaglierà bene il ritorno in termini di utilità generale derivante da queste attività prima di finanziarle. Sarebbe inoltre un 78 notevole passo avanti se le amministrazioni comunali comprendessero l’importanza che l’azione dei cittadini può avere per lo sviluppo delle comunità locali ed inserissero pertanto nel proprio bilancio preventivo un capitolo di spesa destinato alla copertura dei costi relativi allo svolgimento di attività sussidiarie da parte della società civile; in questo modo i cittadini intenzionati a portare avanti qualche progetto con finalità collettiva potrebbero pareggiare senza troppi sacrifici (e soprattutto senza rimetterci di tasca propria) le uscite necessarie a tale scopo, logicamente nel limite dell’importo disponibile sul capitolo di spesa stesso. Sappiamo infatti quanto sia difficile per i cittadini reperire i finanziamenti necessari alla realizzazione di attività di volontariato, le quali, per quanto utili per l’intera comunità, non vengono ancora molto considerate da enti ed imprese di tipo privato. 5.3.5. Stipula di convenzioni con i cittadini per l’erogazione di servizi L’ultima modalità di sostegno concreto alle iniziative civiche è rappresentata dalla fornitura di servizi in convenzione con soggetti privati: in questo modo l’amministrazione comunale affida l’erogazione di un servizio direttamente ai cittadini, ma mantiene un controllo sull’attività da questi svolta attraverso la concessione di appositi finanziamenti e la fissazione nella convenzione (che obbliga le parti alla stregua di un contratto) di tutta una serie di standard quantitativi e qualitativi cui deve corrispondere il servizio stesso. Questa forma di intervento da parte delle amministrazioni comunali non deve essere quindi confusa con una mera privatizzazione di servizi, in quanto l’ente pubblico, pur non curandone più direttamente l’erogazione, ne mantiene comunque la supervisione. Come è facile intuire, la stipulazione di una convenzione con l’amministrazione richiede maggiore organizzazione e professionalità da parte dei cittadini, i quali devono costituirsi in forme associative adeguate al fine di poter essere parte di un negozio giuridico (essi devono infatti assumere la titolarità di diritti ed obblighi) e devono essere in grado di fornire il servizio loro affidato secondo i livelli qualitativi stabiliti dall’amministrazione. 79 5.4. Sussidiarietà orizzontale, solidarietà e libertà Da quanto finora esposto appare chiaramente come il principio di sussidiarietà orizzontale proponga ai cittadini un nuovo modello di democrazia. Alla società civile infatti è data la possibilità di impegnarsi per curare gli interessi di tutta la collettività secondo le proprie attitudini e le proprie inclinazioni naturali, in un’ottica di collaborazione e di scambio con le amministrazioni pubbliche. L’art. 118 ultimo comma della Costituzione può essere visto dunque anche come un modo per riscoprire i valori della solidarietà e della gratuità, che erano ben radicati nelle generazioni passate, ma che purtroppo oggi vengono troppo spesso dimenticati. Ma se democrazia significa soprattutto libertà, allora la sussidiarietà orizzontale, proponendo un nuovo modello di democrazia, presume anche un nuovo modello di libertà, che non punta sulla soddisfazione di interessi personali ma che al contrario si estrinseca nella possibilità di agire a concreto beneficio di tutta la collettività. Come spesso accade con i cosiddetti “nuovi diritti”, anche le azioni poste in essere in base all’art. 118 ultimo comma della Costituzione implicano dunque l’esercizio di un “diritto non egoistico”, in quanto avvantaggiano anche (se non soprattutto) soggetti diversi da quelli che agiscono. La cittadinanza attiva esercita perciò una libertà nuova, che non rientra né fra i diritti di libertà tradizionali, né fra i diritti sociali, ma che si caratterizza per essere una forma di “libertà solidale” (nel senso che fra le motivazioni dei cittadini che si prendono cura dei beni comuni vi sono la responsabilità e la solidarietà nei confronti della comunità di appartenenza), dal cui esercizio il soggetto agente trae per sé un vantaggio minimo, comunque inferiore a quello che ne traggono altri soggetti46. Purtroppo questo tipo di libertà viene preso poco in considerazione persino dalla classe dirigente, la quale in molti casi non è un buon esempio per la cittadinanza, nonostante la realizzazione degli interessi della comunità sia il suo compito istituzionale principale. Spetta dunque ai cittadini stessi essere modello di quella 46 Documento base per la discussione al convegno L’Italia dei beni comuni – I Convenzione nazionale della sussidiarietà, Roma 12 marzo 2004, sito internet www.cittadinanzattiva.it 80 che è la vera libertà, ossia la facoltà concessa ad ogni individuo di agire responsabilmente nei limiti del rispetto dei diritti altrui e non, come molti pensano, la possibilità di compiere indiscriminatamente qualunque azione. La libertà di ogni persona infatti finisce dove comincia la libertà delle altre. Grazie alle iniziative civiche gli interessi personali passano in secondo piano rispetto alla realizzazione del bene comune, ma proprio mediante la realizzazione di interessi di tipo collettivo viene offerta a ciascun individuo la possibilità di realizzare la propria personalità in piena libertà secondo il dettato dell’art. 2 della Costituzione. Le iniziative civiche messe in atto dai cittadini in base al principio di sussidiarietà orizzontale sono pertanto espressione del principio di libertà riconosciuto ad ogni individuo dalla stessa Costituzione e per questo motivo le amministrazioni pubbliche hanno il dovere istituzionale di favorire queste azioni, rimuovendo tutti gli ostacoli che di fatto impediscono ai cittadini di esprimersi e realizzare completamente la propria personalità. Da questo punto di vista il principio di sussidiarietà integra l’art. 3 della Costituzione e ne costituisce uno strumento di attuazione. Attraverso le azioni civiche quindi i cittadini hanno modo di trovare la soddisfazione personale e di realizzarsi nel modo più opportuno. Le azioni che la società civile può mettere in atto sono infatti molteplici ed ognuno può impegnarsi nel settore che ritiene più vicino alla propria sensibilità e alle proprie capacità. In questo modo la sussidiarietà orizzontale diventa strumento di realizzazione anche per quelle persone che sono ad alto rischio di esclusione sociale, come ad esempio i pensionati, i quali possono così sentire di non essere un peso bensì una risorsa ancora utile alla società. Il bagaglio di esperienza e di competenze che queste persone portano con sé infatti può essere una vera ricchezza per tutta la collettività se viene correttamente messo a disposizione. Fondamentale a questo scopo è la collaborazione con le nuove generazioni, in quanto le esigenze della società cambiano velocemente ed i giovani hanno spesso idee nuove ed originali, ma non hanno l’esperienza necessaria per portarle a compimento nel modo giusto. Lo scambio intergenerazionale assume dunque un’importanza cruciale 81 nell’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale e può diventare esempio per un dialogo costruttivo anche a livello politico. L’art. 118 quarto comma della Costituzione rappresenta infine una grande opportunità per tutti coloro che non sono in possesso della cittadinanza politica di esercitare quella che potremmo chiamare cittadinanza amministrativa, ossia «il riconoscimento di una sfera autonoma di diritti che riguarda il rapporto di soggetti non cittadini italiani con le amministrazioni pubbliche italiane e che li tutela nell’ambito di tale rapporto»47. Nessuno infatti può impedire che anche gli stranieri mettano in atto iniziative di utilità generale, sebbene essi non abbiano il diritto di voto nel nostro Paese. Questo può essere per loro un modo di sentirsi meno diversi dai cittadini italiani e di fare qualcosa di concreto per migliorare la propria condizione e la società nella quale hanno scelto di vivere. 5.5. Il ruolo di associazioni ed imprese nell’attuazione dell’art. 118 della Costituzione Con il principio di sussidiarietà orizzontale i cittadini attivi possono avere un ruolo da protagonisti al fianco delle istituzioni nell’educazione dei propri concittadini ai valori della solidarietà e della responsabilità e nella diffusione di buone pratiche che, con un po’ di impegno da parte di ciascuno, possono diventare delle abitudini positive per l’intera collettività. A questo proposito un ruolo fondamentale può essere rivestito dal cosiddetto Terzo settore, ossia quell’insieme di gruppi, associazioni ed organizzazioni senza scopo di lucro che nel nostro Paese opera da ormai molti anni nei più svariati settori della vita sociale, dallo sport alla cultura, dall’assistenza ai malati alla tutela dei diritti dei cittadini. Solo in Trentino le associazioni senza scopo di lucro sono più di 300048, 47 G. Arena, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118 u.c. Costituzione, comunicazione al convegno 118: cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma 7-8 febbraio 2003, sito internet www.astridonline.it/Sussidiari/Interventi/index.htm 48 Le associazioni iscritte nella banca dati del Centro Servizi Volontariato della Provincia di Trento sono 3030 (dato al 23.02.2004, sito internet www.volontariatotrentino.it), per cui è presumibile che il numero reale di sia superiore, in quanto le associazioni, per ottenere le agevolazioni concesse dal d.lgs. 460/1997, hanno il solo obbligo di depositare lo statuto presso l’Ufficio del Registro e non anche quello di iscriversi ad albi o banche dati. I dati dell’Ufficio del Registro tuttavia non sono disponibili. 82 senza contare il movimento cooperativo e tutto il volontariato che ruota attorno alle parrocchie, l’operato del quale il più delle volte non può essere quantificato in termini statistici, non essendo costituito in forme giuridiche riconosciute. È ben comprensibile dunque come l’azione di queste persone, impegnate a titolo gratuito nelle più molteplici attività, possa rappresentare una vera e propria ricchezza, che merita di essere sfruttata e sostenuta in vari modi dalle amministrazioni data l’importanza che essa riveste per tutta la collettività. Recenti disposizioni legislative hanno accordato alle associazioni senza scopo di lucro molte agevolazioni, soprattutto dal punto di vista fiscale (artt. 108 e 111 T.U.I.R., d.lgs. 460/1997), proprio per riconoscere formalmente l’importanza del ruolo da queste svolto a supporto delle funzioni amministrative. È pertanto una grossa opportunità per i cittadini che intendono perseguire obiettivi di interesse generale costituirsi nella forma giuridica dell’associazione, poiché in questo modo possono beneficiare di una serie di agevolazioni per lo svolgimento delle attività istituzionali che altrimenti non potrebbero ricevere, né a livello singolo, né a livello di gruppo giuridicamente non riconosciuto. Da questo punto di vista è ancora più necessario dunque che i cittadini si cimentino, prima di intraprendere qualunque iniziativa, nello studio delle norme giuridiche che regolano i vari ambiti di attività delle associazioni e seguano scrupolosamente tutti gli adempimenti che devono essere osservati. È fondamentale perciò che i cittadini attivi curino innanzitutto la propria formazione e l’aggiornamento costante sulle novità legislative e sulle opportunità loro offerte. Le amministrazioni pubbliche potrebbero pertanto, oltre che informare circa le iniziative che possono essere messe in atto per collaborare alla realizzazione dell’interesse generale, anche formare i cittadini sulle modalità concrete mediante cui queste attività possono essere realizzate in maniera vantaggiosa. Anche questo potrebbe essere un modo per le amministrazioni di favorire le autonome iniziative dei cittadini, ovvero un modo per dare attuazione all’art. 118 quarto comma della Costituzione. Nulla vieta tuttavia che anche le imprese tradizionali (per intenderci quelle che hanno come obiettivo il profitto) si dedichino alla realizzazione di iniziative di 83 interesse generale; infatti «come i cittadini sono chiamati ad esercitare responsabilità che superano lo stretto ambito individuale nonché il ruolo tradizionalmente riconosciuto al principio di libertà di associazione, così le imprese sono allo stesso modo chiamate ad esercitare responsabilità pubbliche al di là o a completamento della propria tradizionale vocazione alla produzione della ricchezza e alla promozione del lavoro. In questo senso la nozione di cittadinanza d’impresa assume un significato proprio e non solo metaforico: nel prendersi cura di problemi di interesse generale, le imprese si comportano come cittadini, o meglio esercitano la cittadinanza in termini di sussidiarietà»49. Per mettere in evidenza e rendicontare alla società le iniziative di interesse collettivo realizzate, le imprese hanno a disposizione lo strumento del bilancio sociale; questo permette loro di ottenere una grande legittimazione da parte di tutta la società civile e di conseguenza di imporsi sul mercato non solo per la qualità dei propri prodotti, ma anche per il proprio modo di porsi nei confronti dell’ambiente esterno. Alla lunga una filosofia aziendale di questo tipo consente alle imprese di crearsi un vantaggio competitivo solido che, in un mercato in cui la concorrenza è sempre più serrata, è sicuramente un grosso fattore di successo50. 5.6. Problematiche e questioni aperte legate alla sussidiarietà orizzontale Abbiamo visto come il principio di sussidiarietà orizzontale, dando formale legittimazione alle azioni dei cittadini volte al soddisfacimento di interessi generali, rappresenti una nuova forma di collegamento fra settore pubblico e società civile: i cittadini possono intraprendere iniziative di pubblica utilità e le istituzioni devono favorire ed incoraggiare tali attività in un’ottica di collaborazione e reciprocità. Così definito, questo principio sembra avere grandi 49 Documento base per la discussione al convegno L’Italia dei beni comuni – I Convenzione nazionale della sussidiarietà, Roma 12 marzo 2004, sito internet www.cittadinanzattiva.it 50 È da notare tuttavia come il Consiglio di Stato non sia dello stesso avviso e sostenga che le imprese non abbiano nulla a che fare con il fenomeno della sussidiarietà orizzontale, per cui non possano nemmeno accedere a eventuali finanziamenti pubblici stanziati per favorire iniziative di interesse generale sulla base dell’art. 118 della Costituzione (Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, parere n. 1440 del 25 agosto 2003). A questo proposito vedasi anche G. Razzano, Il Consiglio di Stato, il principio di sussidiarietà orizzontale e le imprese, articolo pubblicato il 19 gennaio 2004 nel sito internet www.associazionedeicostituzionalisti.it/materiali/anticipazioni/sussidiarieta/index.html. 84 potenzialità e senz’altro, se correttamente applicato, può creare le condizioni per una maturazione responsabile della popolazione e per una civile convivenza dei cittadini fra loro e con le istituzioni. Tuttavia, nonostante siamo concordi nel ritenere che l’art. 118 ultimo comma della Costituzione sia immediatamente applicabile senza bisogno di norme attuative, l’applicazione di questo principio, così ipoteticamente ricco di valori, solleva anche diverse questioni, sia dal punto di vista giuridico che da quello politico, che meritano di essere prese in considerazione. 5.6.1. I principi giuridici che devono essere seguiti dai cittadini In primo luogo il principio di sussidiarietà orizzontale suscita un interrogativo circa i principi giuridici che i cittadini devono osservare nel momento in cui intraprendono una qualunque iniziativa positiva per la collettività; le amministrazioni pubbliche infatti, nello svolgere le proprie funzioni, devono seguire tutta una serie di principi, quali imparzialità, trasparenza, efficienza ed economicità, volti a garantire che il loro operato segua sempre i dettami della legge e non sia causa di ingiustificate sperequazioni sociali. Ci si chiede allora se anche i cittadini abbiano l’obbligo di osservare gli stessi vincoli di tipo giuridico o possano invece agire liberamente. L’art. 118 ultimo comma della Costituzione non dice niente a questo proposito, ma si può ragionevolmente affermare che la risposta a questo interrogativo sia affermativa. Non si vede infatti perché se le amministrazioni devono seguire determinati principi non lo debbano fare anche i cittadini; questi ultimi, nel momento in cui decidono di agire per realizzare finalità di carattere collettivo, diventano una specie di strumento amministrativo atipico, una sorta di prolungamento del braccio con cui agiscono le istituzioni, e come tale è abbastanza logico che debbano operare seguendo le stesse norme giuridiche dettate per le amministrazioni. Non si potrebbe tollerare infatti che i cittadini, seppur mossi dai più sinceri sentimenti di solidarietà e senso civico, potessero intraprendere, anche al di fuori della legge, qualunque tipo di iniziativa solo perché questa ha una certa utilità per la società; non sarebbe giusto e non 85 avrebbe senso proprio alla luce dell’art. 118 quarto comma della Costituzione: il principio di sussidiarietà orizzontale può infatti essere inteso come uno strumento per aumentare il livello di civiltà e di democrazia del nostro Paese, ma civiltà e democrazia significano anzitutto rispetto delle regole e regole uguali per tutti. Sarebbe dunque utile che il legislatore si pronunciasse sulla questione e chiarisse una volta per tutte secondo quali principi i cittadini possono intervenire nella cura dei beni comuni e quali regole debbano seguire nella loro azione, in modo da legittimare definitivamente ed inequivocabilmente le iniziative intraprese in base alla sussidiarietà orizzontale. 5.6.2. La definizione dell’interesse generale: un problema giuridico ma anche politico Il secondo problema sollevato dall’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale riguarda, come già accennato in precedenza, la definizione di interesse generale: l’art. 118 della Costituzione a questo proposito non è chiaro per cui possono sorgere dubbi ed interrogativi di vario genere, come ad esempio che cosa si debba intendere per interesse generale, a chi spetti la sua definizione o quali azioni possano essere effettivamente ritenute di interesse generale e possano quindi essere portate avanti dai cittadini. Bisogna accuratamente evitare che la sussidiarietà orizzontale diventi una specie di scudo dietro il quale proteggere e giustificare qualunque attività, e che in nome della sussidiarietà orizzontale vengano legittimate azioni volte a perseguire esclusivamente interessi personali. Le autonome iniziative dei cittadini di cui parla la Costituzione devono rivestire non solo a parole, ma anche nei fatti una reale utilità per la popolazione, sia essa quella dell’intera nazione, di una sola città o addirittura di un singolo quartiere, ma comunque intesa sempre nel senso di «insieme [di persone] costituente il gruppo di riferimento di un pubblico potere»51. Le istituzioni, e in modo particolare i comuni per la loro vicinanza alle comunità locali, non possono assolutamente favorire attività mirate a soddisfare interessi e bisogni di tipo 51 D. Sorace, op. cit., pag. 369 86 individuale e per questo hanno il compito fondamentale di sorvegliare le iniziative svolte dai cittadini, favorendo quelle che realmente esprimono un interesse collettivo (nel senso ampio della parola) ed ostacolando al contrario quelle che sottintendono un beneficio che va ad appannaggio esclusivo di una ristretta cerchia di popolazione. Sarebbe perciò opportuno un intervento legislativo volto a specificare un po’ più dettagliatamente il significato della locuzione “interesse generale” contenuta nell’art. 118 della Costituzione, in modo da porre dei limiti ben precisi entro cui i cittadini possono mettere in atto le proprie iniziative e da chiarire senza margine di dubbio quali tipi di azioni civiche debbano essere appoggiate dalle amministrazioni, e quali invece debbano essere contrastate. Nell’attuale situazione di confusione infatti la stessa iniziativa sussidiaria potrebbe paradossalmente essere favorita da un’amministrazione che dà dell’interesse generale un’interpretazione più ampia, ed osteggiata al contrario da un altro ente che ne dà invece un’interpretazione maggiormente restrittiva. Il problema sollevato dalla definizione dell’interesse generale tuttavia non è soltanto giuridico (riguardante cioè la legittimità dell’azione dei cittadini), ma anche politico; sappiamo infatti che la decisione circa gli interessi da perseguire spetta in via generale agli amministratori eletti dalla popolazione, la quale presumibilmente esprime il proprio voto in base alla politica che ritiene più giusta e che si aspetta venga perseguita una volta che un determinato schieramento viene investito del potere di gestire la cosa pubblica. Il principio di sussidiarietà orizzontale potrebbe insidiare questa logica democratica, in quanto i cittadini hanno la facoltà di intraprendere azioni che, anche se non in linea con la politica che la maggioranza degli elettori mediante il proprio voto ha dichiarato di preferire, non sono ostacolabili dalle istituzioni poiché rivestono un’utilità generale. Le amministrazioni comunali dunque potrebbero paradossalmente trovarsi a dover favorire (soprattutto dal punto di vista finanziario) delle iniziative che non rientrano nel loro programma e che non verrebbero mai svolte se non in base al principio di sussidiarietà orizzontale. Forse un esempio può aiutarci a comprendere meglio il nocciolo del problema. Supponiamo che un 87 comune finanzi perché di interesse generale una particolare attività proposta da un gruppo di cittadini e che questa stessa attività non rientri nel programma politico dell’amministrazione. Supponiamo inoltre che successivamente altri cittadini chiedano al comune il finanziamento di un’iniziativa di interesse generale, questa volta in linea con le convinzioni politiche della maggioranza, ma che il comune sia costretto a negare l’aiuto economico perché, come si suol dire, ha già raschiato il fondo del barile e pertanto non ha più fondi disponibili a tale scopo. I cittadini che hanno eletto la maggioranza potrebbero vedere in questo rifiuto una mancanza di coerenza da parte degli amministratori e potrebbero quindi sentirsi traditi proprio da coloro che ritenevano più capaci di altri nel gestire il denaro pubblico e nei quali avevano perciò riposto la loro fiducia. Questo effettivamente è un problema di non facile soluzione, che rischia di mettere in crisi l’intero impianto democratico delle nostre istituzioni e di far aumentare il disinteresse dei cittadini nei confronti dei problemi legati all’amministrazione pubblica. Il pericolo infatti è quello che i cittadini, una volta delusi, siano portati all’indifferenza verso le questioni politiche ed arrivino a pensare che andare a votare sia soltanto una inutile scocciatura, dimenticando le tante battaglie che nel corso della storia sono state condotte per ottenere il diritto di esprimere le proprie opinioni. Per salvaguardare il principio di democrazia sul quale devono reggersi le istituzioni, sarebbe dunque opportuno che il legislatore si pronunciasse sulla questione, almeno per quanto riguarda l’aspetto della concessione di finanziamenti allo svolgimento di attività sussidiarie, ponendo a disciplina di questi regole chiare ed eventualmente anche qualche limite. 5.6.3. La responsabilità per le azioni svolte dai cittadini L’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale solleva infine alcuni problemi riguardo alla responsabilità per le azioni svolte dai cittadini. Anche in questo caso un esempio può essere utile per capire i termini della questione. Ipotizziamo che un gruppo di persone desideri sopperire alle carenze dell’amministrazione comunale nella cura di una zona destinata dal Piano 88 Regolatore Generale a verde pubblico e che la stessa amministrazione favorisca tale iniziativa mettendo a disposizione dei cittadini volenterosi le proprie attrezzature per lo sfalcio dell’erba ed i lavori di giardinaggio. Immaginiamo per un momento che uno di questi cittadini utilizzando l’attrezzatura di proprietà del comune si ferisca o, peggio ancora, ferisca accidentalmente qualche ignaro passante, la cui unica colpa è quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. La domanda a questo punto sorge spontanea: chi è responsabile per l’accaduto? Tralasciando la responsabilità penale, che come sappiamo è sempre personale e quindi è posta in capo alla persona che stava utilizzando l’oggetto che ha causato il sinistro, è difficile stabilire a priori chi possa essere ritenuto titolare della responsabilità civile e sia pertanto tenuto a risarcire il danno. In genere infatti il proprietario dell’oggetto è corresponsabile per il sinistro da questo cagionato in solido con l’autore materiale del danno, se non altro per affidamento incauto (come del resto avviene nel caso di incidenti stradali). Per tutelarsi ed evitare di dover risarcire il danno le amministrazioni comunali dovrebbero stipulare una polizza assicurativa contro la responsabilità civile per ciascun oggetto che potenzialmente potrebbe causare un sinistro, ma questo ovviamente farebbe lievitare le spese comunali, che di conseguenza diventerebbero insostenibili. Le normali polizze contro la responsabilità civile di cui sono dotati tutti i comuni infatti coprono solamente i danni accidentalmente causati dai dipendenti comunali nell’esercizio delle loro mansioni, non anche quelli cagionati da normali cittadini, i quali sono svincolati da qualunque rapporto contrattuale con l’amministrazione comunale. Coloro dunque che per un caso fortuito provocassero un danno a se stessi o ad altri potrebbero essere chiamati a risponderne in solido con l’amministrazione, la quale presumibilmente tenterebbe di rivalersi sul cittadino anche per la quota di risarcimento da essa pagato; è proprio il caso di dire che i cittadini si troverebbero ad avere, oltre al danno, anche la beffa (senza contare il fatto che in genere i risarcimenti per danni a persone non sono cifre per nulla insignificanti). Questo logicamente scoraggerebbe le iniziative civiche dei cittadini, per i quali sarebbe davvero 89 troppo oneroso sobbarcarsi anche questo tipo di responsabilità, in aggiunta al fatto che già mettono gratuitamente a disposizione il loro tempo e le loro energie per il bene di tutti. Per questo motivo tale problema deve assolutamente essere risolto a livello legislativo, altrimenti rischia di neutralizzare il principio di sussidiarietà orizzontale: se infatti i cittadini sono consapevoli di correre il rischio di poter essere chiamati a risarcire un eventuale danno da loro causato (per svolgere un’azione alla quale oltretutto non sono obbligati), molto probabilmente nessuno di loro sarà più disposto ad intraprendere alcuna iniziativa civica, con il risultato che la realizzazione degli interessi generali verrà rimessa di nuovo esclusivamente nelle mani dell’amministrazione. In Toscana ad esempio il Comune di Castagneto Carducci ha tentato in qualche modo di ovviare a questo problema con la stipulazione di una polizza ad personam. Da qualche anno infatti un abitante del paese, essendo ormai in pensione e disponendo perciò di molto tempo libero, si dedica gratuitamente proprio alla cura delle aiuole comunali; l’amministrazione locale, per non correre rischi, ha deciso di pagare un premio annuo di assicurazione contro gli infortuni a favore del volenteroso anziano, trattandolo così quasi come fosse un dipendente comunale. Tale polizza tuttavia copre soltanto gli infortuni che occorressero al volontario e non anche la responsabilità civile, quindi il problema viene solo parzialmente risolto; la soluzione proposta dal Comune di Castagneto non è dunque proponibile laddove i cittadini che si attivano per perseguire l’interesse generale siano di volta in volta diversi a seconda dell’iniziativa che viene intrapresa, in quanto gli enti non possono prendersi il lusso di pagare un premio di assicurazione per ognuno di loro. Un intervento legislativo volto a chiarire i limiti delle responsabilità di ciascun attore coinvolto nelle azioni sussidiarie sarebbe dunque utile ed auspicabile; sarebbe inoltre estremamente positivo che anche le compagnie di assicurazione si interessassero al problema ed inventassero dei pacchetti assicurativi ad hoc da proporre alle amministrazioni comunali, le quali avrebbero in questo modo la possibilità di tutelare se stesse ed i cittadini attivi che intraprendessero iniziative civiche. La ricaduta di questo 90 investimento sarebbe senza dubbio positiva ed invoglierebbe sicuramente i cittadini a mettere in atto azioni con effetti positivi per tutta la popolazione; infatti se una persona sa che la sua responsabilità è in qualche modo limitata, allora è sicuramente meglio disposta ad impegnarsi gratuitamente e a dedicare il proprio tempo alla causa comune. 5.6.4. Contrasto dell’art. 118 u.c. Costituzione con alcune norme vigenti A questo punto è bene fare una piccola riflessione per fugare ogni dubbio circa un ulteriore problema giuridico che si potrebbe pensare derivi dall’applicazione dell’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione. Il fatto che il principio di sussidiarietà orizzontale sia sancito a livello costituzionale ed occupi quindi una posizione superiore nella gerarchia delle fonti del diritto rispetto a molte delle norme di legge che disciplinano l’attività dei comuni, potrebbe far venire il sospetto che queste ultime siano automaticamente incostituzionali e vadano perciò disapplicate qualora vietino ai cittadini di svolgere determinate azioni di interesse generale. A parte il fatto che la questione di legittimità costituzionale può essere sollevata soltanto nel corso di un processo e che solo la Corte costituzionale può abrogare una norma di legge per incostituzionalità, è bene affermare fin d’ora l’infondatezza dell’assunto: non si può assolutamente pensare che una norma costituzionale sovverta l’ordine delle cose legittimando iniziative contrarie alla legge. Del resto è naturale che sia così: se tutti potessero intraprendere qualunque azione in nome della sussidiarietà orizzontale, sarebbe il caos. Un esempio può chiarire meglio il concetto. La L. 1228/1954 disciplina il servizio di anagrafe dei comuni e stabilisce che tale attività sia svolta dal sindaco o dai funzionari da egli delegati, i quali per questa mansione ricoprono il ruolo di ufficiali dello Stato. Il motivo di questa norma sta nell’esigenza di certezza delle informazioni riguardanti i cittadini residenti all’interno dei comuni, per cui soltanto persone investite della carica di ufficiali dello Stato possono svolgere l’attività di certazione, la quale rappresenta il nucleo centrale del servizio di 91 anagrafe. I cittadini, seppur mossi da buone intenzioni, non possono perciò collaborare con l’amministrazione comunale in questo tipo di attività: è la legge stessa a stabilire implicitamente tale divieto, nonostante l’apparente contrasto con il principio di sussidiarietà orizzontale sancito dalla Costituzione. È dunque da escludere a priori che la L. 1228/1954 possa essere ritenuta incostituzionale: essa infatti è stata dettata per risolvere un particolare problema amministrativo e pertanto non può essere in ogni caso disattesa, a prescindere dall’art. 118 quarto comma della nostra Carta fondamentale. Lo stesso ragionamento potrebbe essere ripetuto per l’esercizio di tutte le altre funzioni che l’ordinamento affida direttamente alla competenza comunale: se è la stessa legge a stabilire che una data attività debba essere svolta esclusivamente dall’istituzione ad essa preposta, i cittadini devono astenersi dal compiere qualunque azione in merito, altrimenti violano una norma giuridica e di conseguenza possono persino essere chiamati a rispondere del compimento di un illecito. Abbiamo visto tuttavia in precedenza l’esempio del preside di scuola elementare che è stato multato per violazione dell’art. 15 del Codice della Strada perché, dopo ripetuti solleciti all’amministrazione comunale, aveva imbiancato le strisce pedonali davanti alla scuola al fine di evitare che i suoi alunni venissero investiti. Certamente la sua iniziativa era svolta nell’interesse generale, ma è altrettanto vero che questo preside ha pur sempre trasgredito una norma di legge. Come ci si deve comportare in casi come questi? La questione è quanto mai aperta, in quanto è logico che non possono essere legittimate azioni in contrasto con la legge, ma è vero anche che se l’amministrazione comunale tarda ad intervenire è giusto che i cittadini possano risolvere direttamente i problemi che interessano l’intera comunità. Forse in casi simili un po’ di buon senso ed un po’ di elasticità nell’applicazione delle norme da parte degli amministratori potrebbe essere la soluzione che consente di applicare il principio di sussidiarietà orizzontale pur rimanendo entro i limiti stabiliti dalle altre leggi. È certo infatti che i cittadini non possono in alcun modo arrogarsi il diritto di sostituirsi alle amministrazioni 92 comunali nell’esercizio delle loro funzioni, almeno quando è la legge a stabilire che quelle stesse funzioni non possano essere svolte se non dalle amministrazioni competenti; tuttavia nel caso in cui le azioni promosse dai cittadini siano mosse dalla buona fede e siano utili per l’intera collettività, forse vale la pena di valutare prima quali siano le conseguenze che ne derivano. Infatti è giusto sanzionare i cittadini che compiono azioni illecite quando queste sono fini a se stesse o, peggio ancora, hanno conseguenze negative per la collettività; ma se la violazione di una norma porta soltanto conseguenze positive? In questo caso forse sarebbe opportuna una valutazione attenta sull’entità dei costi e dei benefici derivanti dalla violazione, e nel caso i benefici siano superiori ai costi, forse varrebbe la pena non sanzionare la trasgressione (o al limite comminare una sanzione simbolica, come ad esempio una multa di un euro, in modo da riconoscere che è stato sì prodotto un risultato positivo, per mezzo però di un’azione che è pur sempre sbagliata). Concludendo, possiamo affermare che il problema dell’incostituzionalità delle norme antecedenti l’introduzione del principio di sussidiarietà nella Costituzione non si pone in quanto ogni norma di legge è stata dettata per realizzare un particolare obiettivo, che spesso ha poco o nulla a che vedere con il principio di sussidiarietà orizzontale e per questo deve essere perseguito esclusivamente dagli enti pubblici. È questo ad esempio il caso di tutte quelle leggi che implicano l’esercizio da parte delle amministrazioni di poteri autoritativi o concessori: in questa ipotesi l’autonoma iniziativa dei cittadini non è da ritenersi legittimata, per cui si può affermare che il contrasto con l’art. 118 ultimo comma della Costituzione è solamente apparente. Ci sono tuttavia anche casi (come quello del preside multato) in cui, nonostante la legge stabilisca esplicitamente una competenza esclusiva a favore della pubblica amministrazione, non si comprende perché i cittadini non dovrebbero avere la facoltà di intervenire con iniziative autonome in applicazione dell’art. 118 ultimo comma della Costituzione: non esiste infatti un vero motivo per cui l’esercizio di una funzione di interesse generale non possa essere svolta anche dalla società civile ora che il principio di 93 sussidiarietà orizzontale è stato sancito a livello costituzionale; l’unica spiegazione sta nella secolare tradizione amministrativa italiana che ha sempre visto le funzioni di cura degli interessi pubblici come un compito esclusivo degli enti pubblici. Tale visione è stata tuttavia rovesciata dal legislatore che ha riformato il Titolo V della Costituzione; ora, parlare di incostituzionalità delle norme antecedenti l’introduzione del principio di sussidiarietà orizzontale nell’ordinamento italiano è sicuramente eccessivo, ma non si può negare che in certi casi queste diano vita ad un contrasto con l’art. 118. Per questo motivo sarebbe auspicabile che il legislatore intervenisse, abolendo o adeguando quelle norme che ingiustificatamente vietano ai cittadini di intraprendere autonome iniziative nell’interesse generale; nel frattempo forse è bene che le amministrazioni non procedano ciecamente nel sanzionare i cittadini, ma si soffermino prima a valutare sulla bilancia dei costi e dei benefici i risultati ottenuti dalle attività svolte (in contrasto con la legge) dalla società civile. Anche a questo proposito dunque è meglio che i cittadini informino preventivamente l’amministrazione comunale circa la loro intenzione di procedere con un’iniziativa civica; in questo modo infatti l’amministrazione ha la possibilità di valutare la legittimità dell’azione e di informare a sua volta i cittadini dei rischi a cui vanno incontro prima che questi agiscano. È questo un esempio di come una buona comunicazione tra amministrazione e cittadinanza possa avere ricadute positive sulla gestione dei beni comuni. L’amministrazione inoltre, se informata dai cittadini dell’esistenza di un problema riguardante tutta la collettività, potrebbe anche decidere di intervenire direttamente al fine di trovare una soluzione. In questo modo salverebbe i cittadini dall’incombenza di attivarsi pur in violazione della legge e non si troverebbe a dover decidere tra l’applicazione alla lettera la legge (comminando quindi una sanzione ai cittadini) e la giustificazione della loro azione alla luce dell’art. 118 ultimo comma della Costituzione. 94 6. DIRITTI DI USO CIVICO E CORPI DEI VIGILI DEL FUOCO VOLONTARI: DUE APPLICAZIONI STORICHE DELLA SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE IN TRENTINO 6.1. Le Carte di Regola: antichi esempi di autonome iniziative dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale Il principio di sussidiarietà orizzontale, sancito dall’art. 118 ultimo comma della Costituzione ed acclamato a gran voce come l’ultima frontiera della democrazia, non è in effetti del tutto nuovo per la realtà trentina: la sua applicazione, anche se con alcune differenze rispetto ad oggi, risale addirittura al Medioevo, quando la popolazione riuscì a negoziare con i feudatari alcune forme di autonomia nella gestione delle limitate risorse economiche di proprietà comune. Lo strumento giuridico che permise questa seppur limitata sorta di indipendenza furono le Carte (o Statuti) di Regola, documenti scritti caratteristici dell’epoca feudale, presenti a partire dal secolo XII in quasi tutte le comunità del Trentino, nei quali erano contenute le norme che definivano la vita delle comunità nei suoi aspetti economici, amministrativi e civili. In particolare esse stabilivano le direttive per l’amministrazione e l’utilizzo dei beni indivisi, ossia di quei beni, come boschi, pascoli e malghe, che appartenevano alla comunità locale, cioè all’insieme delle famiglie residenti, le quali erano responsabili della loro conservazione e del loro accrescimento. Per il solo fatto di essere parte di una ben definita comunità di paese, le famiglie avevano il diritto di utilizzare tali beni, i quali pertanto erano realmente di tutti. Nessuno poteva agire individualmente: nella comunità esisteva una fortissima coesione e la responsabilità portava a riconoscere che i diritti di una singola persona non potevano mai ledere quelli della vicinia (come venivano anticamente chiamate le frazioni). Il cuore delle Carte di Regola era dunque la consapevolezza di avere dei beni che appartenevano a tutti da amministrare in piena autonomia, segno questo della maturità di un popolo che si autogoverna 95 senza enti intermediari e che nei suoi affari minuti non ha bisogno di tutori52. L’amministrazione dei beni pubblici era democratica: i capifamiglia si riunivano in assemblea (regola maggiore o piena regola) per stabilire le regole da seguire nell’utilizzo dei beni stessi e per eleggere coloro che avrebbero gestito la vicinia. L’elezione aveva luogo ogni anno ed era libera; la partecipazione alla gestione era ritenuta talmente importante che i capifamiglia che venivano scelti avevano l’obbligo di accettare la carica, anche se non potevano essere successivamente rieletti. L’amministrazione dei beni collettivi era infatti l’unica espressione di autonomia che poteva essere esercitata nei confronti del feudatario ed è pertanto logico che la popolazione cercasse di conservare gelosamente quei pochi diritti che a fatica era riuscita a conquistare. In un’epoca in cui la povertà era la caratteristica comune della stragrande maggioranza della popolazione, i beni collettivi rivestivano una grandissima importanza per l’economia di sussistenza del territorio trentino, basata sull’agricoltura e sull’allevamento del bestiame; erano inoltre una garanzia contro la miseria, in quanto chi non disponeva dei mezzi necessari per vivere poteva accingere ai beni appartenenti alla comunità per soddisfare almeno le prime necessità. Proprio per questo motivo era necessario che la comunità li gestisse in maniera oculata, al fine di preservarne l’integrità e di evitarne l’esaurimento. In particolare era fondamentale la razionalizzazione del taglio degli alberi, in quanto il legname era il principale materiale utilizzato nell’edilizia, oltre che praticamente l’unico combustibile disponibile. Se dopo quasi mille anni il Trentino possiede il patrimonio ambientale attuale è soprattutto grazie all’uso oculato che ne è stato fatto nel corso dei secoli dalle famiglie chiamate a gestirlo; soltanto l’amministrazione diretta da parte delle comunità locali ha permesso infatti di evitare lo sfruttamento indiscriminato delle risorse ed il conseguente depauperamento del territorio. L’autonomia di gestione stabilita dalle Carte di Regola era perciò di fatto molto 52 F. Turrini, I beni collettivi: un fondamento, una garanzia per il Trentino, relazione all’Assemblea dell’Associazione provinciale delle ASUC, Trento 19 ottobre 2003 96 simile a quello che noi oggi chiamiamo principio di sussidiarietà orizzontale: le comunità locali infatti si davano delle norme di comportamento e si occupavano direttamente della gestione del territorio; le famiglie si sentivano effettivamente proprietarie dell’ambiente in cui vivevano e pertanto lo amministravano con la stessa cura che riservavano ai propri beni, organizzandosi per svolgere tutte quelle azioni necessarie alla sua conservazione e all’accrescimento delle risorse in esso contenute. Mediante tali attività veniva dunque perseguito un interesse generale (nel senso che riguardava tutte le famiglie abitanti all’interno della vicinia): le migliorie apportate al territorio in conseguenza di una gestione mirata da parte della popolazione in esso residente, sono un patrimonio collettivo che si è tramandato di generazione in generazione fino ai giorni nostri e che noi abbiamo la responsabilità di lasciare in eredità alle nuove generazioni53. Il fatto poi che questa autonomia fosse esercitata in maniera democratica, dimostra l’elevato livello di civiltà che, nonostante l’arretratezza tecnologica e la scarsità di mezzi dell’epoca, la popolazione trentina era riuscita a raggiungere. Le Carte di Regola sono dunque senza ombra di dubbio uno dei primi esempi nella storia di applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale: gruppi di cittadini che autonomamente (ossia senza che venga loro imposto dall’alto) si attivano per conservare l’integrità di un territorio e consentirne a tutti un adeguato sfruttamento in un’ottica solidaristica. Il diritto delle popolazioni locali 53 «L’attività agro-silvo-pastorale ha da sempre dato luogo anche a ricadute esterne di interesse generale, per lo più positive. In particolare, a margine della produzione vera e propria, si riconoscono ricadute utili relativamente: alla regolazione delle acque; alla tutela contro l’erosione superficiale del suolo; all’uso ludico-ricreativo; al contributo estetico paesaggistico; alla conservazione delle biodiversità; alla perpetuazione delle tradizioni rurali legate alla coltivazione della terra, all’allevamento del bestiame, alla cura del bosco, ai modi di vivere delle comunità di contadini, pastori e boscaioli. La certezza dell’integrità territoriale, unita alla sicurezza di disporre del bene all’infinito, attraverso il succedersi delle generazioni, permette di impostare programmi a lungo termine con la sicurezza di poterli portare a compimento. Questa certezza è particolarmente apprezzata quando si mettono in atto miglioramenti fondiari con lunghi tempi di ritorno dei benefici, caso che ricorre in effetti con una certa frequenza nelle situazioni montane, ad esempio nel miglioramento dei pascoli o dei boschi. […] Lo svantaggio, del tutto ovvio, consiste nel non poter disporre del più importante e comune strumento di autofinanziamento, costituito dalla vendita di una parte della proprietà per realizzare investimenti su quella residua. Sono pertanto particolarmente difficili da realizzare tutti quei miglioramenti che richiedono un considerevole impiego di capitale, in aggiunta agli eventuali incentivi pubblici.» (B. Giau, La gestione polifunzionale degli ecosistemi collettivi agro-silvo-pastorali, in P. Nervi, (a cura di), I demani civici e le proprietà collettive: un diverso modo di possedere, un diverso modo di gestire, atti della II riunione scientifica (Trento, 7-8 novembre 1996), Cedam, Padova 1998, pag. 75 e pag. 78) 97 di amministrare i beni collettivi in via quasi del tutto indipendente dall’autorità sovrana è assimilabile per comunità di intenti all’art. 118 ultimo comma della Costituzione, il quale a sua volta concede ai cittadini di oggi la possibilità di impegnarsi in prima persona per la realizzazione di attività che recano un beneficio all’intera collettività. Da questo punto di vista il principio di sussidiarietà orizzontale, ultima novità nel campo dell’amministrazione dei beni pubblici, altro non è che un ritorno a valori antichi, di cui la popolazione trentina si è fatta portavoce nel corso dei secoli. 6.2. Le Amministrazioni Separate degli Usi Civici: l’evoluzione del sistema di governo della proprietà collettiva in ottica sussidiaria Il sistema delle vicinie cadde nel 1803 insieme al Principato Vescovile. I nuovi governi, francese prima, bavarese ed austriaco poi, tentarono in tutti i modi di esautorare l’autonomia delle popolazioni trentine, ma alla fine si videro costretti ad accettarla; la consuetudine di amministrare direttamente la proprietà collettiva era infatti talmente radicata nella mentalità e nel modo di vivere, che nessun potere centrale riuscì a cancellare i diritti che la gente locale da secoli era abituata ad esercitare. Da qui l’istituto degli usi civici, erede dell’esperienza delle Carte di Regola, che l’Impero Austro-Ungarico costituì come diritto di godimento concesso a tutti gli abitanti di un comune o di una frazione sopra determinate terre, appartenenti al comune o alla frazione stessa. Dopo l’annessione al Regno d’Italia i diritti di uso civico rimasero pressoché immutati, anche perché i problemi da risolvere durante i primi anni di governo italiano erano ben altri. In seguito il regime fascista vide come un pericolo il fatto che le comunità locali potessero continuare ad esercitare una certa autonomia; pertanto nel 1927 venne emanata la L. n. 1766 sugli usi civici, la quale regolamentava le antiche forme di governo della proprietà collettiva presenti sul territorio nazionale, trattandole tutte alla stessa stregua, nonostante queste fossero molto differenti fra loro a causa delle diverse tradizioni che le avevano generate e delle diverse discipline cui erano state sottoposte fino all’unificazione dello 98 Stato54. In Trentino i diritti di uso civico vennero istituzionalizzati con la riforma del Libro Fondiario, avvenuta dopo l’unificazione dello Stato. Da allora gli usi civici sono iscritti all’Ufficio Tavolare, dove vengono registrati i decreti di assegnazione stabiliti dal Commissario per gli usi civici, figura istituita dalla L. 1766/1927 con il compito di verificare, mediante ricognizioni sul territorio, l’esistenza di antichi usi civici a favore delle popolazioni locali. Il decreto assegna al comune o alla frazione il diritto di uso civico per quei beni che appartengono alla collettività territoriale locale da immemorabile tempo e costituiscono pertanto il patrimonio antico della stessa collettività; su di essi esistono a favore dei cittadini residenti da generazioni nel territorio gli usi civici, ossia diritti di utilizzo e sfruttamento, quali ad esempio tagliare la legna, cavare sassi e far pascolare il bestiame. I terreni gravati da uso civico hanno natura demaniale, ossia sono inalienabili, imprescrittibili e, di conseguenza, 54 «[…] Il legislatore del 1927 ha messo sullo stesso piano l’uso civico del Comune di Monte Sant’Angelo in Puglia, e la Magnifica Comunità di Fiemme, o le Regole Ampezzane. […] Si è insomma livellato quanto non era livellabile, immiserendo in una visione appiattita quanto aveva, al contrario, bisogno di essere valorizzato non soltanto nelle sue sfaccettature ma soprattutto nelle sue essenziali differenziazioni se non opposizioni. L’uso civico del comune di Monte Sant’Angelo può essere ritenuto un diritto reale su cosa altrui o, per usare la decrepita terminologia ottocentesca della legislazione unitaria per gli Stati Pontifici, una servitù di pascere, seminare, legnare, cioè una realtà modesta sotto tutti i punti di vista. Altra cosa sono le autentiche proprietà collettive: le Regole Ampezzane o del Comelico, la Magnifica Comunità di Fiemme, la Magnifica Comunità di Cadore, e così via, soprattutto condensate in questo arco alpino orientale. […] Là [a Monte S. Angelo] abbiamo un espediente che si colloca su un piano strettamente economico-giuridico: si vuol consentire a una certa comunità di poter utilizzare certi beni, di essere titolari di diritti reali limitati su certi beni. Con le autentiche proprietà collettive io mi trovo di fronte a tutto un assetto peculiarissimo della vita sociale, che rispecchia, a sua volta, tutta una peculiarissima concezione della vita associata e delle relazioni fra terra, comunità, singoli operatori. Ho, insomma, qui una compenetrazione fra terra e sangue come non trovo in nessun altra istituzione del vivere associato. Ecco il significato della mia cura nel distinguere le “autentiche” proprietà collettive da forme parziali e ridotte e ridottissime di collettivismo fondiario. La vera proprietà collettiva è un ordinamento giuridico primario. Uso di proposito questa categorizzazione impegnativa. È un ordinamento giuridico primario, perché qui si ha una comunità che vive certi valori e li osserva, valori ad essa peculiari, gelosamente conservati lungo linee generazionali dalla durata almeno plurisecolare, valori meritevoli del nostro rispetto e della nostra comprensione. L’uso civico di Monte Sant’Angelo è per certo una realtà rispettabile, ma costituisce semplicemente uno dei tanti istituti del vivere associato, che non può essere né enfatizzato né ingigantito. Qui, nelle proprietà collettive di queste montagne alpine, ho invece tutta un’esperienza di vita associata, tutto un costume giuridico, con peculiarità proprie; sono di fronte a qualcosa che vive ed opera al di là dello Stato italiano, ben al di dentro della società civile italiana ma probabilmente assai più in profondo rispetto alla corteccia dell’apparato statuale italiano, come la storia del diritto – storia di tempi lunghi – segnala con lampante evidenza.» (P. Grossi, I domini collettivi come realtà complessa nei rapporti con il diritto statuale, in P. Nervi (a cura di), I demani civici e le proprietà collettive: un diverso modo di possedere, un diverso modo di gestire, atti della II riunione scientifica (Trento, 7-8 novembre 1996), Cedam, Padova 1998, pag. 22) 99 inusucapibili, ma non sono beni pubblici nel senso da noi oggi inteso, in quanto su di essi gravano dei diritti a favore della popolazione residente nel territorio comprendente i terreni medesimi; di conseguenza il comune proprietario del terreno non può disporne liberamente. Gli usi civici esistono in varie forme in tutta Italia, ma sono senza dubbio più diffusi nell’arco alpino, in modo particolare in Trentino, dove quasi il 70% del territorio è gravato da diritti di uso civico a favore delle popolazioni locali. L’autonomia della Provincia di Trento ha origine infatti proprio dall’apprendimento del demanio civico e dall’endogeno potere di autotutela creato dalle Carte di Regola, che hanno formulato nel tempo precise, concrete ed oculate regole di autonomia, prima ancora che sulle popolazioni si imponessero le potenze sovraregionali. Proprio in virtù dello Statuto di autonomia, che assegna alla Provincia di Trento competenza legislativa primaria in materia, nel 1952 venne emanata, in attuazione della L. 1776/1927 (la quale prevedeva esclusivamente principi generali di diritto civile), la L.P. n. 1/52. Questa stabiliva che la gestione degli usi civici spettasse ai comuni o alle frazioni: queste ultime, per esercitare i diritti di cui erano titolari, dovevano istituire le ASUC – Amministrazioni Separate degli Usi Civici – che pertanto sono diventate in Trentino gli enti gestori dei diritti di uso civico e delle proprietà collettive. Le ASUC erano costituite da un comitato di gestione eletto da tutti i capifamiglia (iscritti all’apposito albo in quanto residenti da generazioni all’interno della frazione), proprio come avveniva nelle antiche vicinie. Il comitato era (ed è tuttora) chiamato ad amministrare i terreni sui quali gravano i diritti di uso civico; in questo modo gli abitanti della frazione conservavano l’antico diritto a gestire direttamente le proprietà collettive appartenenti al proprio territorio. Grazie alle ASUC dunque, il principio di sussidiarietà orizzontale poteva ricevere una nuova forma di applicazione: l’autonomia concessa alle popolazioni locali, riconoscendo il lavoro di gestione del territorio da esse operato nel corso dei secoli, permetteva di portare avanti nel tempo le tradizioni amministrative originarie delle Carte di Regola, nonostante le modalità di gestione del territorio 100 fossero cambiate per rispondere alla evoluzione delle istituzioni pubbliche e della società. In principio le regole per la gestione delle ASUC ricalcavano quelle dettate per le amministrazioni comunali; di conseguenza erano molto semplici, in quanto inizialmente anche le regole per la gestione dei comuni erano tali. L’ordinamento dei comuni si è poi evoluto nel tempo, ma le regole per l’amministrazione delle ASUC sono rimaste praticamente immutate per 50 anni. L’entrata in vigore della L.P. 5/2002 ha tuttavia modificato abbastanza radicalmente la vecchia disciplina provinciale dei beni di uso civico; la nuova legge concede infatti il diritto di voto (attivo e passivo) per il comitato di gestione delle ASUC all’assemblea degli utenti, formata da tutti i cittadini italiani maggiorenni residenti nella frazione, anziché soltanto ai capifamiglia come avveniva in passato. L’assemblea degli utenti inoltre ha il compito di approvare lo statuto, senza il quale l’ASUC non potrà più funzionare. Questa regola, dettata molto probabilmente per risvegliare nella popolazione locale l’interesse alla gestione delle proprietà collettive, rischia tuttavia di snaturare il contenuto originario dei diritti di uso civico. Inoltre sono ora previsti adempimenti in capo al comitato di gestione dell’ASUC che vanno ben al di là di una semplice amministrazione da parte dei cittadini. Ora le ASUC devono seguire tutta una serie di norme di gestione che si avvicinano sempre di più a quelle dei comuni; questa è una grossa complicazione per i membri del comitato di gestione, i quali molto spesso sono persone comuni, che lavorano volontariamente e gratuitamente in un’ottica sussidiaria semplicemente perché credono nell’importanza della conduzione autonoma del territorio, ma che non hanno le competenze necessarie per gestire una simile macchina burocratica. Il comune a cui appartiene la frazione in cui opera l’ASUC ed il Servizio Autonomie Locali della Provincia hanno inoltre ampi poteri di controllo sull’operato delle ASUC stesse e possono persino promuovere autonomamente l’estinzione o la sospensione del vincolo di uso civico a favore di una frazione; e questo anche nei comuni dove esistono le ASUC, nonostante in passato sia il Consiglio di Stato che la Corte di Cassazione abbiano stabilito che la competenza 101 ad autorizzare l’alienazione dei beni gravati da uso civico (come l’estinzione e la sospensione degli stessi diritti) spetti esclusivamente all’amministrazione separata dei beni frazionali e non ai consigli comunali55. Siccome tuttavia per estinguere il vincolo di uso civico gravante su un terreno occorre necessariamente l’autorizzazione del Servizio Autonomie Locali della Provincia, di fatto è l’ente provinciale a decidere del destino dei diritti di uso civico anche quando l’azione viene promossa dai consigli comunali (o dagli stessi comitati di gestione dell’ASUC). Come si può immaginare, questa legge ha sollevato molte polemiche, in quanto si corre il rischio che nel tempo riescano a sopravvivere solo le ASUC che possono disporre di ingenti patrimoni, in quanto sono le uniche in grado di sostenere i costi derivanti dal nuovo sistema di gestione (assunzione di dipendenti che seguano a tempo pieno gli aspetti burocratici ed amministrativi, rimborso delle spese sostenute dai comuni a favore dell’ASUC, erogazione di contributi al comune o al corpo dei vigili del fuoco per la realizzazione di interventi a favore della frazione); le ASUC delle piccole frazioni, dove mancano competenze e risorse economiche, sono destinate invece a scomparire. Non volendo entrare nel merito della questione, in questa sede preme solamente sottolineare che a fronte di un principio costituzionale che incentiva le iniziative autonome dei cittadini ed obbliga le amministrazioni pubbliche a favorirle, la L.P. 5/2002 burocratizza le attività che da sempre sono state svolte dalla popolazione in ottica sussidiaria a tal punto da farle trasformare quasi in un altro tipo di amministrazione pubblica. La L.P. 5/2002 ostacola a tal punto quella che per secoli è stata la più forte affermazione di autonomia della popolazione trentina da rimetterla nuovamente nelle mani dell’amministrazione pubblica: infatti il nuovo sistema di gestione delle ASUC è talmente complicato che disincentiva decisamente le persone residenti nelle frazioni ad impegnarsi nella gestione delle proprietà collettive; di conseguenza, mancando chi si accolla l’onere della gestione dell’ASUC, i diritti di uso civico, da sempre gestiti dalle 55 Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 345 del 4 luglio 1986 e Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 11127 del 23 dicembre 1994 102 famiglie, ritorneranno per forza ad essere gestiti dai comuni (questi ultimi infatti sono gli enti deputati all’amministrazione dei diritti di uso civico nel caso venga a mancare l’ASUC). La L.P. 5/2002 rappresenta perciò un notevole passo indietro rispetto al passato, in quanto non favorisce (anche se non pone un divieto in tal senso) l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale (in questo caso la cura dei beni comuni); con questa legge le amministrazioni comunali finiranno per prendersi direttamente in carico funzioni pubbliche aggiuntive, riducendo sempre di più l’autonomia di gestione dei demani civici da parte dei cittadini. Paradossalmente quindi, da una parte l’ordinamento statale promuove la libera iniziativa dei cittadini per perseguire l’interesse generale, e nello stesso tempo dall’altra il legislatore provinciale approva una legge che contrasta palesemente con l’art. 118 ultimo comma della Costituzione; e questo è ancora più assurdo se si pensa che avviene proprio qui in Trentino, dove per secoli la popolazione ha precorso i tempi dell’ordinamento giuridico, applicando nella gestione delle proprietà collettive quello che poi è diventato il principio di sussidiarietà orizzontale, sancito ora anche a livello costituzionale. 6.3. Il servizio antincendio in Trentino: la sussidiarietà orizzontale come strumento per combattere le sventure comuni Il servizio antincendio può essere considerato un’altra particolare applicazione storica del principio di sussidiarietà orizzontale in Trentino; esso infatti si basa quasi esclusivamente su corpi di vigili del fuoco volontari, la cui origine va ricercata nell’esigenza diffusa di prevenire e contrastare efficacemente il dilagare degli incendi. In un ambiente in cui il principale materiale usato nell’edilizia era il legno e in cui le case venivano costruite l’una ammassata all’altra per evitare la dispersione del calore durante i mesi invernali, era logico che ogni piccola scintilla poteva trasformarsi in un rogo terrificante. Gli incendi costituivano in effetti una vera e propria sciagura per tutta la comunità: quando divampavano erano difficili da arrestare, sia per la scarsità di acqua (i centri abitati venivano 103 costruiti in genere a debita distanza dai corsi d’acqua, i quali non erano ancora stati canalizzati), sia per la carenza di mezzi tecnologici atti alle operazioni di spegnimento; il fuoco si propagava velocemente a tutte le abitazioni, arrivando a distruggere gran parte del centro abitato, e la popolazione altro non poteva fare che restare inerme a guardare le proprie case (e quanto contenevano) andare letteralmente in fumo. Il disinteresse dimostrato dalle pubbliche autorità nei confronti di questo problema spinse pertanto le popolazioni locali a costituirsi in associazioni volontarie a difesa dai rischi del fuoco già dal Medioevo. Le popolazioni locali stabilirono all’interno delle antiche Carte di Regola, oltre alle direttive per la gestione e l’utilizzo dei beni collettivi, anche norme per la prevenzione degli incendi e pene rigorose per chi veniva colto in flagrante ad appiccare il fuoco. La difesa dal pericolo delle fiamme veniva attuata mediante regole semplici, che dovevano però essere rigorosamente osservate: in caso di incendio almeno un uomo per abitazione doveva partecipare ai soccorsi e tutte le famiglie avevano l’obbligo di tenere sempre due secchi pieni d’acqua in casa. A questo proposito venne istituita la figura del sovrastante, persona incaricata di controllare periodicamente i camini delle case ed il rispetto delle norme di prevenzione contro gli incendi, nonché di dare tempestivamente l’allarme ed accorrere per primo a spegnere gli incendi qualora questi divampassero; il sovrastante poteva addirittura essere punito dalla comunità nel caso non adempisse puntualmente ai compiti affidatigli. Con il tempo vennero poi istituite ronde notturne per sorvegliare i fuochi durante i mesi invernali; furono inoltre sancite alcune prescrizioni da rispettare nella costruzione delle case, anche se bisognerà aspettare il 1787 perché un regolamento imperiale decreti l’obbligo di costruire i nuovi edifici in muratura (ad eccezione dei tetti che avrebbero potuto continuare ad essere costruiti con le scandole in legno di abete, data la scarsità e l’onerosità di altri tipi di coperture). Al di là della semplicità e dell’incompletezza delle norme imposte, è comunque da notare come ancora una volta la libera iniziativa delle popolazioni locali tentò 104 di sopperire alle carenze del potere centrale nel perseguimento di un obiettivo di interesse generale quale la protezione dei centri abitati dal rischio di incendio. Inoltre le Carte di Regola stabilivano anche forme di aiuto concreto alle persone colpite dagli incendi, come la possibilità di prelevare una certa quantità di legname, da usare nella ricostruzione di quanto distrutto dal fuoco, direttamente dai boschi appartenenti alla comunità (tale facoltà è presente ancora oggi nei regolamenti di talune ASUC). L’ottica solidale del principio di sussidiarietà orizzontale era pertanto già viva e presente molti anni fa, quando ancora nessuna legge aveva codificato la possibilità per i cittadini di adoperarsi per il bene della collettività; semplicemente la gente aveva a cuore il bene della propria comunità, quindi lasciava da parte gli interessi egoistici ed usava il proprio spirito di iniziativa per esercitare quella che precedentemente abbiamo definito “libertà solidale”. Attorno al 1400 iniziarono le prime opere di canalizzazione delle acque e le cosiddette rogge vennero fatte passare anche all’interno dei centri abitati; in questo modo, in caso di incendio l’acqua poteva essere a portata di mano. Con l’andare del tempo inoltre i progressi della tecnologia misero a disposizione delle comunità nuovi strumenti per lo spegnimento del fuoco e le norme per la prevenzione degli incendi andarono facendosi più dettagliate. Le comunità cominciarono anche a comperare attrezzature antincendio collettive, che potessero essere usate per spegnere qualunque fuoco divampasse in paese e che venivano perciò affidate alla custodia dei sovrastanti. Ciononostante, l’organizzazione dei soccorsi e delle squadre di spegnimento in caso di incendio era sempre caotica e disarticolata, in quanto era affidata alla popolazione, che seppur mossa dallo spirito di solidarietà che unisce le comunità in casi di simili calamità, operava senza la direzione di un coordinatore. Per di più bisogna considerare il fatto che spesso la gente cadeva in preda al panico, per cui si può ben comprendere come mai le azioni messe in atto per estinguere le fiamme risultassero poco efficaci. Si decise pertanto di sostituire la figura del sovrastante con squadre di volontari che dovevano compiere turni di guardia e partecipare a 105 riunioni di addestramento periodiche al fine di imparare a coordinare l’azione della popolazione nelle operazioni di spegnimento e di soccorso. Nel 1688 l’imperatore Leopoldo II emanò il primo regolamento antincendio vigente in tutto l’impero; successivamente ne vennero emanati degli altri, ma tutti erano sempre abbastanza carenti. Nel 1787 venne varato il Regolamento generale per gli incendi, valido per tutti i borghi del Tirolo, e di conseguenza anche per il Trentino. La vera portata innovativa di questo atto fu la previsione di dettagliate norme antincendio in campo edilizio ed urbanistico (come l’obbligo della licenza edilizia per le costruzioni nuove, che doveva essere rilasciata da una apposita commissione formata da periti e spazzacamini, i quali periodicamente procedevano anche alle ispezioni delle abitazioni) e di prescrizioni per il mantenimento dell’ordine pubblico in caso di incendio. Tale regolamento preludeva all’istituzione dei veri corpi dei vigili del fuoco, ma ci vollero più di 50 anni prima che venisse effettivamente attuato; nel frattempo la libera iniziativa delle popolazioni locali continuava a dare vita a gruppi organizzati di volontari che prestavano la loro opera per spegnere i roghi, purtroppo ancora frequenti nonostante i progressi legislativi e tecnologici. Attorno alla metà del XIX secolo vennero istituiti i primi veri corpi di pompieri volontari simili a quelli odierni, organizzati secondo un ordinamento ben definito, rispecchiante la gerarchia militare, e guidati da un vero e proprio comandante, il quale subentrò in pratica nel ruolo che precedentemente spettava al sovrastante. Le manovre di addestramento (in genere alla domenica pomeriggio) divennero consuetudine per i vigili del fuoco, i quali diedero vita anche squadre di giovani allievi per favorire il ricambio generazionale. Bisognerà attendere tuttavia fino al 1881 perché i corpi dei vigili del fuoco volontari vengano riconosciuti ed istituzionalizzati ufficialmente dalla legge imperiale. Nel 1910 i corpi di pompieri volontari in Trentino erano già ben 180 ed impegnavano un totale di 2740 uomini56. La prima guerra mondiale reclutò tutte le giovani generazioni e molti corpi vennero smembrati. Dopo la guerra molti dei 56 M. Zeni, Storia dell’antincendio in Trentino, Publiprint, Trento 1988, pag. 262 106 gruppi sciolti vennero ricostituiti secondo il modello prebellico; il R.D. 2472/1935 decretò tuttavia l’accorpamento di tutti i gruppi di pompieri comunali in un unico corpo provinciale, fissando anche il numero massimo di uomini che potevano prestare il proprio operato a titolo volontario. Con la seconda guerra mondiale i pompieri volontari vennero arruolati e dopo l’8 settembre 1943 i vigili del fuoco, tornati in Trentino, diedero vita a gruppi antincendio spontanei per prestare soccorso alle vittime dei bombardamenti. Lo statuto di autonomia del 1948 affidò infine alla Regione la competenza legislativa nell’ambito del servizio antincendi e della protezione civile. Nel 1955 venne emanata la prima legge regionale in materia, la quale istituiva i due Corpi di Vigili del Fuoco permanenti di Trento e Bolzano, e stabiliva che ciascun comune dovesse dotarsi di almeno un corpo di vigili del fuoco volontari; per il resto però la costituzione dei corpi volontari all’interno dei singoli comuni era lasciata alla libera iniziativa dei cittadini, con l’unico vincolo del rispetto delle leggi del settore. La riforma del 1978 trasferì la competenza legislativa in materia alle due province autonome, ma di fatto non cambiò un granché. Da allora l’organizzazione dei corpi dei pompieri è rimasta pressoché invariata. Attualmente i corpi dei vigili del fuoco volontari sono sottoposti, per quanto riguarda l’attività, al controllo e al coordinamento da parte del Corpo dei Vigili del Fuoco permanente di Trento, mentre per quanto attiene l’aspetto finanziario, il loro bilancio deve essere approvato dal Servizio Antincendi della Provincia ed inserito come capitolo separato all’interno del bilancio del comune cui appartengono. Per il resto l’organizzazione dei corpi dei vigili del fuoco volontari deve seguire le norme nazionali e provinciali sulla sicurezza, ma è lasciata all’iniziativa e alla disponibilità dei cittadini, che operano a titolo volontario. Ancora oggi dunque l’attività di protezione civile nella Provincia di Trento è organizzata e gestita dai cittadini in un’ottica solidale sulla base del principio di sussidiarietà. Nonostante dunque nel corso del tempo anche il servizio antincendio si sia evoluto e burocratizzato secondo schemi abbastanza rigidi, è da notare come la tradizione che sta all’origine dei corpi dei vigili del fuoco 107 volontari sia ancora profondamente radicata nel nostro territorio: nella sola Provincia di Trento i corpi di vigili del fuoco volontari sono 242, per un totale di circa 4000 persone impegnate57. Se si pensa che i comuni sono 223, ci si può rendere conto della grande portata sociale di tale tipo di attività. Il fatto che questa sia ancora organizzata per la maggior parte su base volontaria è la dimostrazione di come l’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale possa dare origine, se regolamentato nel modo corretto, a risultati eccellenti. I corpi dei vigili del fuoco volontari trentini infatti sono all’avanguardia non solo per quanto riguarda l’attività di prevenzione e soccorso in caso di incendi, ma anche in tutti gli altri ambiti della protezione civile. Nel corso del tempo infatti le situazioni di pericolo determinate dal rischio incendi sono progressivamente diminuite, ma i vigili del fuoco volontari hanno evoluto ed aggiornato le proprie competenze, diventando un valido punto di riferimento in tutti i casi in cui vi siano condizioni di pericolo o necessità di soccorsi tempestivi. Anche in questo caso dunque lo spirito di iniziativa della popolazione trentina ha precorso notevolmente i tempi del legislatore nazionale, attuando nei fatti il principio di sussidiarietà orizzontale prima ancora che venisse sancito dall’ordinamento giuridico; mediante una legislazione che incentiva questo tipo di attività, l’autonomia della Provincia di Trento ha permesso inoltre a tutti i comuni cittadini che lo desiderano, di impegnarsi attivamente per perseguire nel migliore dei modi l’interesse generale della pubblica sicurezza. Le amministrazioni comunali infine, finanziando in gran parte l’attività dei corpi dei vigili del fuoco volontari, favoriscono questo tipo di iniziativa sussidiaria e di fatto ne riconoscono pubblicamente l’utilità, proprio come ora stabilito anche dall’art. 118 quarto comma della Costituzione. Il caso del servizio antincendio è pertanto un buon esempio di come in Trentino la collaborazione tra legislatore, amministrazioni pubbliche e cittadini per la realizzazione dell’interesse generale abbia effettivamente prodotto risultati positivi che vanno a beneficio di tutta la collettività. 57 M. Zeni, Storia dell’antincendio in Trentino, Publiprint, Trento 1988, pag. 319 108 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Nelle pagine di questo lavoro abbiamo esaminato il principio di sussidiarietà orizzontale sancito dall’art. 118 ultimo comma della Costituzione: «Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Questo significa che ai privati cittadini è accordata la facoltà di adoperarsi per il bene comune mediante la realizzazione di iniziative che soddisfino un interesse non egoistico, recando di conseguenza un beneficio alla collettività. La vera portata innovativa di tale assunto è il fatto che le attività intraprese dalla società civile sono autonome, ossia non devono necessariamente essere autorizzate dalla pubblica amministrazione, soggetto generalmente incaricato di definire e perseguire gli interessi pubblici. In altre parole con il nuovo testo costituzionale anche i cittadini diventano depositari del compito di curare gli interessi generali al fianco degli enti pubblici, ed insieme a questi ultimi possono perseguire il bene pubblico in un’ottica di autonomia, responsabilità e solidarietà. Nel corso dell’analisi ci siamo soffermati in modo particolare ad analizzare le attività che le formazioni della società civile possono intraprendere in ambito locale per supportare, in un’ottica non di sostituzione, bensì appunto di sussidiarietà, l’operato delle amministrazioni comunali e collaborare con esse al perseguimento degli interessi della popolazione nei più svariati settori della vita sociale ed amministrativa, dai servizi alla persona alla tutela del territorio. Tuttavia il testo costituzionale non stabilisce solamente la possibilità per la società civile di impegnarsi in modo autonomo per la realizzazione del bene della collettività; esso impone altresì a carico della Repubblica (che a norma dell’art. 114 comma 1 della Costituzione è formata da Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni) il dovere di favorire questo tipo di iniziative. Di conseguenza 109 abbiamo cercato di immaginare le modalità mediante le quali le pubbliche istituzioni possono incoraggiare le azioni poste in essere dai cittadini, soffermandoci ancora una volta in modo particolare sulle amministrazioni comunali. Queste ultime hanno a disposizione diverse possibilità per appoggiare l’attività dei cittadini, dal semplice laissez faire all’impegno in prima linea mediante forme concrete di sostegno delle iniziative civiche. Al di là di come effettivamente società civile ed amministrazioni comunali diano attuazione all’art. 118 ultimo comma della Costituzione, è da notare comunque come il principio di sussidiarietà orizzontale costituisca una grande opportunità per realizzare quella che può essere definita amministrazione condivisa tra istituzioni e cittadini: questi ultimi infatti possono collaborare a supporto delle amministrazioni pubbliche nella realizzazione delle proprie finalità istituzionali, consentendo al contempo di risolvere i problemi derivanti dalla cura dei beni comuni secondo modalità sempre nuove in base alle forme (come e quanto) della loro partecipazione. Questo consente da un lato di risparmiare risorse pubbliche, in quanto i cittadini possono svolgere a titolo gratuito servizi che altrimenti dovrebbero essere acquistati o erogati dalle amministrazioni, e dall’altro di aumentare il livello di partecipazione della società civile a questioni che la riguardano direttamente poiché inerenti la gestione dei beni comuni. «La partecipazione alla vita del Paese che si realizza attraverso l’attuazione del principio di sussidiarietà è sicuramente espressione di democrazia, ma è un modo di esercizio della sovranità popolare che i membri dell’Assemblea Costituente difficilmente avrebbero potuto immaginare, considerato che la loro cultura istituzionale era, inevitabilmente, legata agli schemi tradizionali; la partecipazione “all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3, comma 2 della Costituzione) cui essi facevano riferimento era principalmente quella che poteva manifestarsi attraverso l’esercizio del diritto di voto e la partecipazione alle attività dei partiti politici, dei sindacati e delle altre formazioni sociali. Invece dall’attivarsi dei cittadini in base all’art. 118 ultimo comma possono nascere nuove forme di esercizio della sovranità popolare e di 110 partecipazione democratica, non partecipazione politica a né riconducibili quelle della né alle categorie partecipazione nella della sfera amministrativa, ma certamente non meno significative ed incisive delle forme tradizionali, con cui si integrano e completano a vicenda ai fini della realizzazione di una maggiore democrazia complessiva del nostro Paese. È possibile ipotizzare che in seguito ad un’autonoma iniziativa di cittadini finalizzata a prendersi cura di determinati beni comuni si avvii un rapporto di collaborazione tra amministrazioni pubbliche e privati che preveda, fra l’altro, anche momenti di partecipazione di questi ultimi al processo decisionale, secondo le modalità previste dall’ordinamento.»58 Affinché queste forme di partecipazione (in particolare per quanto riguarda i processi decisionali) possano essere concretizzate, è necessario tuttavia che le amministrazioni operino al loro interno un radicale cambiamento di mentalità; le istituzioni infatti spesso ostacolano le iniziative dei cittadini, in quanto si sentono defraudate del loro tradizionale ruolo di unici soggetti preposti alla realizzazione degli interessi pubblici, e tendono per questo ad appoggiare soltanto quelle azioni che possono essere da esse controllate ed ufficializzate. Non a caso due applicazioni storiche del principio di sussidiarietà orizzontale che sono riuscite a sopravvivere fino ad oggi sono le ASUC ed i corpi dei vigili del fuoco volontari, organizzazioni che sono state burocratizzate a tal punto da diventare a loro volta delle amministrazioni a sé stanti, inserite però all’interno del contesto più ampio delle amministrazioni comunali. Queste forme concrete di sussidiarietà orizzontale sono ancora vive solo perché nel tempo sono state rigidamente regolamentate, evolvendosi secondo gli schemi dettati dall’autorità pubblica. Nella tradizionale visione amministrativa accentrata, retaggio storico della formazione degli Stati nazionali, gli enti pubblici cercano infatti di governare ogni aspetto della vita amministrativa e non accettano ciò che non può essere direttamente controllato, a meno che non sia sottoposto alla direzione di un altro 58 Documento base per la discussione al convegno L’Italia dei beni comuni – I Convenzione nazionale della sussidiarietà, Roma 12 marzo 2004, sito internet www.cittadinanzattiva.it 111 ente che funziona esattamente secondo le stesse regole gerarchiche e burocratiche. La L.P. 5/2002 è l’estrinsecazione più evidente di questo modo di pensare: la Provincia di Trento ha burocratizzato a tal punto le ASUC da trasformarle in vere e proprie amministrazioni pubbliche; questo però ne mette a repentaglio la stessa esistenza, sia per la mancanza di competenze da parte dei cittadini chiamati ad amministrare le proprietà collettive che per la scarsità di risorse finanziarie che da anni affligge le ASUC stesse. Il principio di sussidiarietà presuppone invece un ritorno agli antichi valori della solidarietà e dell’autonomia di organizzazione da parte delle popolazioni locali, in modo che possano anch’esse occuparsi direttamente del perseguimento dell’interesse della collettività al fianco delle istituzioni; perché questo avvenga è necessario tuttavia che le amministrazioni pubbliche accettino l’ingerenza delle formazioni della società civile nelle questioni amministrative come un’opportunità e non come un disturbo alla loro attività. Questo aspetto forse è ancora più importante proprio per le amministrazioni comunali, che sono gli enti territorialmente e funzionalmente più vicini alla popolazione; la cittadinanza infatti presumibilmente si attiverà in ristretti ambiti territoriali, prima di cimentarsi in azioni di più ampio respiro. È logico dunque che i comuni saranno i primi a beneficiare delle iniziative civiche intraprese dalla popolazione, ma saranno certamente anche i primi ai quali i cittadini si rivolgeranno per ottenere qualche forma di sostegno concreto. Il favore delle amministrazioni comunali è quindi fondamentale per la diffusione dell’art. 118 quarto comma della Costituzione e per la sua concreta applicazione. Il cambio di mentalità proposto dal principio di sussidiarietà orizzontale consente inoltre di attuare una nuova forma di semplificazione amministrativa: i cittadini hanno la facoltà di operare nell’interesse generale senza dovere attendere i tempi (a volte estremamente lunghi) delle amministrazioni e questo è sicuramente un notevole passo avanti nell’ottica della semplificazione, idea elevata dopo le tre leggi Bassanini al rango di principio amministrativo e che, come tale, deve essere rispettata da tutti gli enti pubblici nell’esercizio delle proprie funzioni. 112 I cittadini devono pertanto impegnarsi affinché le amministrazioni accettino il contributo da loro apportato alla causa comune e non devono scoraggiarsi se ci saranno amministrazioni che inizialmente ostacoleranno le loro iniziative. Le azioni poste in essere dalla cittadinanza in base al principio di sussidiarietà orizzontale sono infatti produttrici di diritto, fonti viventi di diritto amministrativo e costituzionale, per cui potranno creare, grazie anche alle pronunce giurisprudenziali che seguiranno eventuali controversie, dei precedenti in campo amministrativo cui gli enti pubblici dovranno attenersi. In questo modo le istituzioni restie al cambiamento saranno costrette ad accettare la possibilità concessa ai cittadini di intraprendere iniziative autonome e questi potranno esercitare di fatto la libertà di impegnarsi al servizio della collettività. Per le amministrazioni pubbliche inoltre l’art. 118 ultimo comma della Costituzione rappresenta un’opportunità unica per incrementare la quantità e la qualità dei servizi offerti senza dover aumentare il livello della pressione fiscale: i cittadini attivi infatti non chiedono nulla alle amministrazioni in cambio delle iniziative da essi intraprese, per cui sarebbe saggio che le istituzioni imparassero a cogliere questa occasione, soprattutto nel nostro Paese, dove decine di migliaia di persone ogni giorno decidono di spendere il proprio tempo per realizzare la propria personalità non in modo egoistico, bensì attraverso la realizzazione degli interessi di tutti. 113 APPENDICE Avviso di iniziativa civica ai sensi dell’art. 118 u.c. della Costituzione italiana59 c.a. Sindaco del Comune di ______________ e p.c. altre autorità pubbliche interessate I cittadini afferenti all’associazione _______________________ manifestano la loro preoccupazione per la mancata attenzione al problema _________________________________________________________________ Considerato che l’art. 118 u.c. della Costituzione recita «Stato, regioni, province città metropolitane e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà», qualora i soggetti in indirizzo non dovessero provvedere entro 15 giorni alla risoluzione del problema, i cittadini afferenti all’associazione _________________________ procederanno autonomamente ai sensi dell’art. 118 u.c. della Costituzione nei modi ritenuti più opportuni. Il presente avviso è da intendersi come formale atto di messa in mora ai sensi dell’art. 3 della L. 281/1998. 59 Liberamente adattato dall’esempio di avviso di iniziativa civica compreso nel materiale del convegno 118: cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma 7-8 febbraio 2003 115 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Albanese Alessandra, Il principio di sussidiarietà orizzontale: autonomia sociale e compiti pubblici, in Diritto pubblico, anno VIII, n. 1, Il mulino, Bologna 2002 Aloisi Nicoletta, Legge provinciale n. 5 del 13.03.2002 e relativo regolamento di esecuzione, comunicazione all’incontro dell’Associazione provinciale delle ASUC con i Consiglieri provinciali, Trento 3 giugno 2003 Antonini Luca, A scuola di sussidiarietà orizzontale, ne Il Sole 24 Ore, anno 137, n. 345 del 15 dicembre 2001, Milano 2001 Arena Gregorio, La comunicazione pubblica nell’amministrazione della sussidiarietà, articolo pubblicato nel sito internet www.uro.it/Database/urpdegliurp/pubblicando.nsf il giorno 11 giugno 2003 Arena Gregorio, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118 u.c. 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