Sussidiarietà orizzontale e funzioni comunali

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Sussidiarietà orizzontale e funzioni comunali
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO
Facoltà di economia
Corso di laurea in economia e commercio
Tesi curriculare
SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE E
FUNZIONI COMUNALI
Relatore: prof. Gregorio Arena
Laureanda: Zambotti Elisabetta
ANNO ACCADEMICO 2002-2003
L’idea di sussidiarietà non comporta solamente che il soccorso
sia distribuito in proporzione al bisogno, ma, soprattutto, che se
ne faccia carico il più largamente possibile la società civile e che
non rimanga esclusivo appannaggio delle istanze pubbliche. I
cittadini sono abilitati, e persino incentivati, a rispondere ai
bisogni d’interesse generale, ed è grazie a loro che l’istanza
pubblica nazionale, o le collettività locali, finanziano la
ridistribuzione sociale. Tutto ciò al fine che i cittadini possano
acquisire la più ampia autonomia possibile e, al tempo stesso,
accrescere l’efficacia dell’azione.
Ma in una simile prospettiva l’idea della sussidiarietà si scontra
con delle resistenze culturali.
(Chantal Millon-Delsol)
III
PREMESSA
Questo lavoro è frutto, oltre che dell’interesse personale verso le questioni
giuridiche legate al mondo del cosiddetto Terzo Settore, anche dell’intensa
collaborazione che, grazie allo strumento del tirocinio formativo, si è instaurata
con il Comune di Civezzano, il quale mi ha pazientemente ospitata per il periodo
in cui ho svolto la mia analisi sulle funzioni comunali. A partire dal sindaco, dr.
Michele Dallapiccola, fino ad arrivare a tutti i dipendenti, che si sono sempre
dimostrati attenti alle mie esigenze di studentessa e sinceramente interessati al
mio lavoro, vorrei perciò esprimere la mia gratitudine all’intera amministrazione
comunale per avermi dato questa importante opportunità, che spero di aver
saputo sfruttare al meglio, e per aver quotidianamente soddisfatto tutte le mie
necessità di studio. Un grazie particolare va al segretario comunale, dott. Mariano
Carlini, il quale mi ha sempre supportata ed ha seguito con grande disponibilità
non soltanto lo svolgimento del mio lavoro all’interno del Comune, ma anche
l’intera stesura di questa tesi.
Un ringraziamento a parte va poi alla Presidente dell’Associazione provinciale
delle ASUC, dott.ssa Nicoletta Aloisi per la grande disponibilità ed il grande
aiuto offertomi nel reperire la documentazione sulle proprietà collettive e sui
diritti di uso civico necessaria al mio lavoro.
Un grazie infine a tutti coloro che, nei modi più svariati, mi hanno aiutata in
questi anni di studio ed hanno condiviso con me soddisfazioni ed insuccessi,
sostenendomi sempre con grande pazienza. È senz’altro anche merito loro se
oggi sono qui a discutere la mia tesi di laurea.
V
SOMMARIO
SOMMARIO
1
INTRODUZIONE
3
1. ORIGINI E SIGNIFICATO DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ
7
1.1. Il principio di sussidiarietà in generale
7
1.2. Genesi filosofica del principio
8
1.3. Il principio di sussidiarietà nella dottrina sociale della Chiesa Cattolica
11
1.4. Sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale
15
2. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÁ NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO 17
2.1. Dal Trattato CE all’ordinamento italiano
17
2.2. Introduzione del principio di sussidiarietà nel diritto italiano
19
2.3. La riforma del Titolo V della Costituzione e l’introduzione del principio di sussidiarietà a
livello costituzionale
21
3. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE COME SANCITO
DALL’ARTICOLO 118 ULTIMO COMMA DELLA COSTITUZIONE
25
3.1. L’interpretazione del principio di sussidiarietà orizzontale
25
3.2. Relazione tra primo e quarto comma dell’art. 118 della Costituzione
29
3.3. Analisi ed implicazioni dell’art. 118 quarto comma
30
4. LE FUNZIONI AMMINISTRATIVE DEI COMUNI
4.1. Le funzioni amministrative alla luce del principio di sussidiarietà verticale
35
35
4.2. Le funzioni attribuite ai comuni dal Testo Unico delle leggi in materia di ordinamento
degli enti locali (d.lgs. 267/2000)
37
4.3. Le funzioni di servizio alla persona e alla comunità
44
4.4. Le funzioni di assetto ed utilizzazione del territorio
48
4.5. Le funzioni di sviluppo economico
51
4.6. Le funzioni amministrative per servizi di competenza statale
53
4.7. Le funzioni amministrative strumentali
55
5. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE APPLICATO ALLE FUNZIONI
COMUNALI
57
5.1. Il principio di sussidiarietà orizzontale come anello di collegamento fra cittadini ed
amministrazioni comunali
57
1
5.2. Ambito di applicazione e modalità di attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale
da parte dei cittadini
60
5.2.1. I servizi alla persona e alla comunità
62
5.2.2. La gestione del territorio
66
5.2.3. Lo sviluppo economico
70
5.2.4. Il controllo sull’operato delle amministrazioni e la tutela dei diritti
70
5.2.5. Alcune regole di base da seguire nello svolgimento delle iniziative civiche
71
5.3. Modalità di attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale da parte delle
amministrazioni comunali
73
5.3.1. Un cambiamento di mentalità per non ostacolare le iniziative dei cittadini
73
5.3.2. La comunicazione pubblica
74
5.3.3. Il controllo delle iniziative civiche e il “responsabile del procedimento sussidiato” 76
5.3.4. Finanziamenti, patrocini e concessione in uso di strutture e attrezzature
78
5.3.5. Stipula di convenzioni con i cittadini per l’erogazione di servizi
79
5.4. Sussidiarietà orizzontale, solidarietà e libertà
80
5.5. Il ruolo di associazioni ed imprese nell’attuazione dell’art. 118 della Costituzione
82
5.6. Problematiche e questioni aperte legate alla sussidiarietà orizzontale
84
5.6.1. I principi giuridici che devono essere seguiti dai cittadini
85
5.6.2. La definizione dell’interesse generale: un problema giuridico ma anche politico
86
5.6.3. La responsabilità per le azioni svolte dai cittadini
88
5.6.4. Contrasto dell’art. 118 u.c. Costituzione con alcune norme vigenti
91
6. DIRITTI DI USO CIVICO E CORPI DEI VIGILI DEL FUOCO VOLONTARI: DUE
APPLICAZIONI STORICHE DELLA SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE IN TRENTINO 95
6.1. Le Carte di Regola: antichi esempi di autonome iniziative dei cittadini per lo
svolgimento di attività di interesse generale
95
6.2. Le Amministrazioni Separate degli Usi Civici: l’evoluzione del sistema di governo della
proprietà collettiva in ottica sussidiaria
98
6.3. Il servizio antincendio in Trentino: la sussidiarietà orizzontale come strumento per
combattere le sventure comuni
103
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
109
APPENDICE
115
Avviso di iniziativa civica ai sensi dell’art. 118 u.c. della Costituzione italiana
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
2
115
117
INTRODUZIONE
La curiosità e l’interesse che ho sempre nutrito per le organizzazioni no profit,
nonché l’intervento in prima persona in associazioni di volontariato, mi hanno
spinta a studiare gli strumenti giuridici che consentono ai privati cittadini di
incrementare il livello di benessere dell’intera comunità attraverso la creazione di
forme di partecipazione attiva alla vita sociale. Il principio di sussidiarietà
orizzontale di cui all’art. 118 ultimo comma della Costituzione, è senza dubbio il
più importante di questi strumenti, in quanto rappresenta la formale
legittimazione dell’attività di tutti coloro che, spinti da spirito di solidarietà e
senso civico, decidono di intraprendere azioni volte a supportare l’operato delle
amministrazioni pubbliche nella realizzazione di obiettivi di interesse generale.
Da qui dunque è nata l’idea di “immaginare” quali forme di intervento possono
essere attuate dai cittadini per perseguire finalità di tipo collettivo e secondo quali
modalità le pubbliche istituzioni possono sostenere tali iniziative. In particolare
ho deciso di focalizzare la mia attenzione sulle attività svolte dalla società civile
a sostegno delle funzioni esercitate dai comuni, in quanto ritengo che questi,
essendo gli enti più vicini alla popolazione, siano presumibilmente anche quelli
che possono trarre dall’azione dei cittadini il maggiore beneficio, sia in termini di
risparmio di risorse, che in termini di partecipazione democratica alla gestione
dei beni collettivi.
Il lavoro è stato sviluppato partendo dalle origini filosofiche del principio di
sussidiarietà, seguendone l’evoluzione fino ad arrivare alla sua introduzione
nell’ordinamento giuridico italiano. In questo modo è stato possibile
comprendere le motivazioni che hanno spinto il legislatore alla stesura del
novellato testo dell’art. 118 della Costituzione e le finalità che lo stesso ha voluto
perseguire concedendo alle formazioni della società civile la facoltà di
intraprendere, in maniera del tutto autonoma, azioni volte alla realizzazione
3
dell’interesse generale.
Sarebbe stato tuttavia impossibile comprendere quali tipi di iniziative possono
essere messe in atto dai cittadini nell’ambito delle funzioni normalmente svolte
dai comuni, senza prima conoscere le norme che regolano il funzionamento e
l’organizzazione delle amministrazioni comunali stesse. Ho iniziato perciò il mio
lavoro dallo studio dei principi giuridici e delle leggi vigenti in materia di
amministrazione degli enti locali, concentrandomi in particolare sul d.lgs.
267/2000 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Per
esaminare dall’interno l’attività esercitata dai comuni, ho svolto inoltre un
periodo di tirocinio presso il Comune di Civezzano, ente di medie dimensioni che
mi ha dato la possibilità di rendermi effettivamente conto della grande quantità di
funzioni che questi enti quotidianamente svolgono a servizio del benessere
collettivo.
Una volta compresi i compiti ed il funzionamento delle amministrazioni
comunali, ho cercato poi di ipotizzare da una parte le azioni che i cittadini
possono concretamente attuare al fine di supportarne l’attività, e dall’altra le
modalità con cui le stesse amministrazioni possono a loro volta favorire le
iniziative civiche intraprese dalla società civile. L’art. 118 ultimo comma della
Costituzione infatti pone a carico delle istituzioni il dovere di incoraggiare le
proposte messe in atto dalla cittadinanza, una volta constatato che queste vanno
realmente a beneficio della collettività, ma nulla dice a proposito delle forme in
cui tale sostegno deve essere realizzato.
Nel corso dell’analisi si è riscontrato che l’applicazione del principio di
sussidiarietà orizzontale di fatto offre alla cittadinanza molte opportunità per
promuovere iniziative a carattere collettivo nei più svariati ambiti della vita
sociale e della partecipazione alla cura del bene comune; sono emersi tuttavia
anche diversi problemi, legati soprattutto alla necessità di un cambiamento di
mentalità da parte delle amministrazioni, le quali, nonostante le recenti
disposizioni normative, troppo spesso sono ancora convinte di essere gli unici
soggetti deputati alla realizzazione dell’interesse generale. L’operato dei cittadini
4
si scontra pertanto con le radicate resistenze culturali che tuttora permeano il
sistema amministrativo italiano e di fatto intralciano l’interesse della società
civile verso le questioni legate alla partecipazione democratica. Affinché il
principio di sussidiarietà orizzontale riceva piena attuazione è fondamentale
dunque che le amministrazioni comunali accettino l’autonomia della società
civile nella realizzazione di iniziative di interesse generale e collaborino con essa
al fine di aumentare l’efficacia e l’efficienza delle azioni amministrative; è
necessario altresì che anche la cittadinanza assuma la consapevolezza
dell’importanza del proprio contributo responsabile alla causa comune ed
abbandoni perciò gli interessi egoistici per far prevalere l’interesse della
collettività. Questo non significa negare l’autorità degli enti pubblici, ma
semplicemente affermare che i cittadini hanno l’obbligo morale di difendere i
propri spazi di autonomia e di partecipazione attiva alla vita amministrativa. In
passato, almeno qui in Trentino, la popolazione ha sempre intrapreso iniziative di
carattere pubblico senza dover attendere il sostegno né tanto meno il benestare
del potere centrale; e questo addirittura molti secoli prima della definizione
giuridica del principio di sussidiarietà orizzontale. Mi riferisco in particolare alla
gestione delle proprietà collettive e al servizio antincendio, funzioni queste
esercitate da secoli su base volontaria nonché tratti fondanti dell’autonomia del
Trentino. Da questo punto di vista il principio di sussidiarietà orizzontale può
essere visto anche come un ritorno agli antichi valori della solidarietà e della
responsabilità nei confronti della ricerca e della cura del bene comune, valori che
la popolazione trentina ha tramandato per generazioni nel corso degli anni. Oggi
l’art. 118 ultimo comma della Costituzione consente di nuovo, seppure in altri
termini, questo tipo di partecipazione democratica per la realizzazione del bene
comune; forse è bene che cittadini ed amministrazioni si soffermino a riflettere su
questa importante lezione di democrazia impartita dalla storia ed approfittino
della possibilità loro accordata di collaborare in modo concreto all’incremento
del benessere collettivo.
5
1. ORIGINI E SIGNIFICATO DEL PRINCIPIO DI
SUSSIDIARIETÀ
1.1. Il principio di sussidiarietà in generale
Il sostantivo sussidiarietà deriva etimologicamente dal latino subsidium: il
termine era usato in ambito militare per indicare le truppe di riserva che
restavano nella retroguardia, pronte ad intervenire in aiuto alle coorti che
combattevano in prima acies. Il Grande dizionario della lingua italiana del
Battaglia spiega la sussidiarietà attraverso una definizione tra le più esaustive:
«Principio ideologico-istituzionale [...] secondo cui le strutture e le istituzioni
politiche di livello superiore, in particolare quelle dello Stato nazionale, devono
prendersi cura dei soli aspetti del bene comune cui non possono adeguatamente
provvedere le strutture e istituzioni di livello inferiore (corpi sociali intermedi)
come le comunità locali, le organizzazioni sindacali, del volontariato [...] e le
altre organizzazioni “libere” ossia di diritto privato (associative, cooperative,
imprenditoriali)»1.
Nella accezione giuridica, il principio di sussidiarietà implica dunque una
modalità di riallocazione delle funzioni pubbliche: queste spettano di regola ai
soggetti che sono più vicini alla popolazione, e quindi ai bisogni ed alle risorse, e
solo in via di eccezione possono essere in capo a soggetti collocati in posizioni
via via più distanti dalla comunità locale. Tale concetto implica, come meglio
vedremo in seguito, due livelli di lettura: quello della sussidiarietà verticale (fra
istituzioni pubbliche) e quello della sussidiarietà orizzontale (fra istituzioni
pubbliche e società civile, organizzata nella formazioni sociali).
Da soli tuttavia questi due livelli direbbero poco se non fossero interpretati
attraverso i valori della supplenza e dell’aiuto, che interagiscono strettamente per
1
F. Occhetta, Il principio di sussidiarietà, in Aggiornamenti sociali, anno 52, n. 6, pag. 528, Centro studi
sociali, Milano 2001
7
la realizzazione del principio di sussidiarietà. Infatti la semplice supplenza, intesa
come mero spostamento di una determinata funzione dal livello al quale era stata
attribuita ad un altro livello, perché non in grado di svolgerla, non avrebbe
significato se non presupponesse l’aiuto. Aiuto, come si evince anche dal
significato stesso del termine, inteso come sostegno che i livelli superiori sono
tenuti a dare a quelli inferiori affinché possano esercitare al meglio le funzioni di
propria competenza. Si tratta, a ben vedere, non di un criterio sostanziale, ma di
un principio meramente procedurale: esso non dice a quale soggetto vadano
assegnati i diversi compiti, ma espone semplicemente il metodo da seguire di
volta in volta per individuarlo2. La riassegnazione delle competenze dei pubblici
poteri deve avvenire dunque solo dopo aver constatato l’incapacità del livello di
responsabilità inferiore nello svolgimento di una determinata funzione e dopo
aver verificato l’impatto di tale sostegno in termini di efficienza, intesa come
capacità del livello di responsabilità superiore di raggiungere il risultato voluto.
Ma il principio di sussidiarietà non riguarda solamente l’attribuzione delle
competenze fra diversi livelli pubblici; esso riguarda in primo luogo la
valorizzazione delle capacità e dell’autonomia dei singoli e delle loro
organizzazioni, i quali sicuramente sono i soggetti più vicini ai bisogni della
popolazione. Questo a sua volta implica la necessità di azioni di educazione e di
responsabilizzazione volte ad aumentare il senso civico dei cittadini. Solo in
questo modo infatti la sussidiarietà può diventare un modo nuovo di
amministrare il bene pubblico, un modo che prevede la collaborazione e la
partecipazione della popolazione alle attività amministrative.
1.2. Genesi filosofica del principio
Nonostante la nozione di sussidiarietà assuma connotati precisi solo in epoche
recenti, la valorizzazione dell’autonomia del singolo che sottende al principio fu
2
G. U. Rescigno, Principio di sussidiarietà orizzontale e diritti sociali, in Diritto pubblico, anno VIII, n.
1, Il mulino, Bologna 2002, pag. 14
8
considerata già da Aristotele3, il quale «considera l’individuo come il fulcro del
sistema politico, e per questo lo Stato, la polis, deve agire in funzione del suo
bene»4. Compito del potere pubblico è dunque per il filosofo greco quello di
garantire la libertà, mentre ogni articolazione della società civile deve rispondere
ai bisogni insoddisfatti della sfera immediatamente inferiore; tuttavia le funzioni
svolte dai diversi gruppi non si confondono, ma si sovrappongono muovendosi
nel rispetto della sfera di competenza propria degli altri.
Successivamente la riflessione di Aristotele sulla sussidiarietà venne ripresa da
San Tommaso d’Aquino a base della legittimazione dell’azione umana: la
persona è la prima protagonista per la costruzione del bene comune, tuttavia è
sempre bisognosa di un sostegno che le deve venire dalle formazioni sociali e, in
subordine, dal potere politico. Da una parte quindi il potere politico risulta essere
necessario, dall’altra è limitato perché sussidiario alla persona stessa. Per San
Tommaso dunque il principio di sussidiarietà deve essere concepito come
elemento indispensabile alla concreta realizzazione del bene comune: è il
risultato di una pluralità di apporti (da parte dei singoli, ma anche delle
formazioni sociali e dei pubblici poteri) in un contesto non conflittuale nel cui
ambito è offerta alla persona la possibilità di svilupparsi. Infatti soltanto il
desiderio di indipendenza riflesso nelle autonome azioni umane conduce allo
sviluppo delle capacità e, conseguentemente, della personalità dell’individuo.
Nel pensiero di Althusius il principio di sussidiarietà è implicitamente presente
nella definizione della sovranità: essa dovrebbe spettare di diritto al popolo in
quanto gruppo di individui liberi e responsabili dotati di autonoma capacità di
agire. In questa visione l’intervento dello Stato è legittimato dall’esigenza di
sicurezza: il potere pubblico si inserisce con la funzione di garante del benessere
creato dal popolo, il quale non ha la capacità di difendere la propria libertà in
mancanza di un giudice imparziale che definisca le controversie fra gli individui.
Anche se questa impostazione venne successivamente ripresa da molti altri
3
P. Duret, La sussidiarietà “orizzontale”: le radici e le suggestioni di un concetto, in Jus – Rivista di
scienze giuridiche, anno XLVII, n. 1, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano 2000 pag. 96
4
G. D’Agnolo, La sussidiarietà nell’Unione Europea, Cedam, Padova 1998, pag. 8
9
studiosi, tra i quali spiccano Locke e von Humboldt, Althusius fu il primo a
teorizzare il concetto di contratto sociale: il popolo affida allo Stato la funzione
giurisdizionale in cambio di protezione da aggressioni esterne che potrebbero
minarne la libertà.
Nonostante risalgano ad epoche e culture del tutto distanti, le diverse teorie fin
qui viste hanno alcune linee di fondo comuni, che possono essere di seguito
schematizzate:
•
I cittadini devono essere messi nelle condizioni di poter agire
autonomamente per perseguire il bene comune
•
A questo scopo deve essere garantita loro la libertà
•
Gli individui devono essere responsabilizzati nel senso di acquisire piena
coscienza delle conseguenze del proprio agire sulla sfera di benessere e di
libertà altrui
•
Lo Stato deve intervenire soltanto come potere regolatore delle azioni dei
cittadini al fine di svilupparne l’autonomia e la responsabilità; se questo non
avviene, lo Stato deborda in un potere paternalistico, quasi dispotico, che lo
«conduce a considerare i sudditi come eterni minorenni, che non giungono
mai, in quanto cittadini, all’età della ragione»5.
Quest’ultimo aspetto porta ad una definizione “negativa” di sussidiarietà: i
pubblici poteri non devono ingerire eccessivamente nella sfera di azione della
società civile perché questo porterebbe allo svuotamento e alla sterilizzazione
dell’iniziativa libera e responsabile dei cittadini. Accanto a questa definizione
“negativa” esiste tuttavia anche un’accezione “positiva” di sussidiarietà: siccome
gli individui, pur se dotati di capacità ed autonomia, non sono comunque in grado
di provvedere totalmente al proprio benessere, l’apparato pubblico ha il compito
di supplire alle mancanze della società civile e di rispondere a tutte le istanze
provenienti da essa in modo da garantirne un’efficace realizzazione.
5
J. Locke, Trattato sul governo, a cura di L. Formigari, Rist, Editori riuniti, Roma 1984, pag. 179
10
1.3. Il principio di sussidiarietà nella dottrina sociale della Chiesa Cattolica
Nell’ambito della dottrina sociale della Chiesa Cattolica il principio di
sussidiarietà trova una delle sue più complete formulazioni; esso infatti viene
implicitamente trattato già nel 1891 da Leone XIII, che nell’enciclica Rerum
Novarum scrive: «Entro i limiti determinati dal fine suo, la famiglia ha dunque,
per la scelta e l'uso dei mezzi necessari alla sua conservazione e alla sua legittima
indipendenza, diritti almeno eguali a quelli della società civile. Diciamo almeno
eguali, perché essendo il consorzio domestico logicamente e storicamente
anteriore al civile, anteriori altresì e più naturali ne debbono essere i diritti e i
doveri. Che se l'uomo, se la famiglia, entrando a far parte della società civile,
trovassero nello Stato non aiuto, ma offesa, non tutela, ma diminuzione dei propri
diritti, la civile convivenza sarebbe piuttosto da fuggire che da desiderare. È
dunque un errore grande e dannoso volere che lo Stato possa intervenire a suo
talento nel santuario della famiglia. Certo, se qualche famiglia si trova per
avventura in sì gravi strettezze che da sé stessa non le è affatto possibile uscirne,
è giusto in tali frangenti l'intervento dei pubblici poteri, giacché ciascuna
famiglia è parte del corpo sociale. Similmente in caso di gravi discordie nelle
relazioni scambievoli tra i membri di una famiglia intervenga lo Stato e renda a
ciascuno il suo, poiché questo non è usurpare i diritti dei cittadini, ma assicurarli
e tutelarli secondo la retta giustizia. Qui però deve arrestarsi lo Stato; la natura
non gli consente di andare oltre. La patria potestà non può lo Stato né annientarla
né assorbirla, poiché nasce dalla sorgente stessa della vita umana»6.
Leone XIII pose dunque la sua attenzione all’applicazione del principio di
sussidiarietà all’istituzione familiare, propugnando un intervento dello Stato
soltanto nel caso in cui la famiglia non sia capace di provvedere da sola ai propri
bisogni. Il compito del potere pubblico dovrebbe perciò esaurirsi nel momento in
cui siano garantiti i diritti fondamentali di tutti i cittadini, lasciando alle famiglie
il compito dell’educazione libera e responsabile dei figli.
6
Leone
XIII,
enciclica
Rerum
www.vatican.va/offices/papal_docs_list_it.html
Novarum,
Roma
1891,
sito
internet
11
L’affermazione completa del principio di sussidiarietà si ha tuttavia nell’enciclica
Quadragesimo Anno (che celebra appunto il quarantesimo anniversario della
Rerum Novarum), scritta da Pio XI nel 1931. In questa lettera il papa esprime
l’importanza della ripartizione delle competenze nello svolgimento di funzioni di
interesse generale tra pubblici poteri e società civile secondo un criterio di
solidarietà: «È vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la
mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da
grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche dalle piccole. Ma deve
tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale che
siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le
forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a
una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si
può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto
ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società
stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non
già distruggerle e assorbirle. Perciò è necessario che l'autorità suprema dello
stato, rimetta ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure
di minor momento, dalle quali essa del resto sarebbe più che mai distratta; e
allora essa potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a
lei solo spettano, perché essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza,
di incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità. Si persuadano
dunque fermamente gli uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà
mantenuto l'ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio
della funzione suppletiva dell'attività sociale, tanto più forte riuscirà l'autorità e la
potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera la condizione dello Stato
stesso»7.
Nella filosofia cattolica dunque il principio di sussidiarietà viene affermato quale
concetto fondamentale dell’etica sociale: i bisogni degli individui devono essere
7
Pio
XI,
enciclica
Quadragesimo
www.vatican.va/offices/papal_docs_list_it.html
12
Anno,
Roma
1931,
sito
internet
soddisfatti dalle autonome iniziative delle varie componenti della società civile
(singoli, famiglie, associazioni), che hanno così l’opportunità di crescere nella
dimensione umana in un contesto di libertà e responsabilità. Il principio di
sussidiarietà si coniuga di conseguenza con la piena partecipazione delle persone
alla vita sociale e civile del Paese, che per il cristiano non deve più essere vista
soltanto come un diritto, bensì come un dovere morale, un impegno quotidiano
nelle proprie scelte di vita. L’intervento dello Stato (nelle sue varie forme)
dovrebbe avvenire solamente nel momento in cui l’impegno della società civile si
rivelasse insufficiente o fallimentare nella realizzazione dei vari interessi; questo
consentirebbe non solo un utilizzo più razionale del potere pubblico, che avrebbe
in sostanza principalmente il ruolo di guida nella definizione degli interessi
meritevoli di tutela e di garante della libertà e dell’uguaglianza, ma
permetterebbe altresì di raggiungere gli obiettivi prefissati nel rispetto del
principio costituzionale del buon andamento, dato che spesso la maggior
efficienza si rivela essere la carta vincente delle istituzioni della società civile.
La riflessione filosofica della Chiesa sul principio di sussidiarietà non si
esaurisce tuttavia nella Quadragesimo Anno. Tale concetto viene infatti più volte
ripreso: nel 1946 da Pio XII, il quale auspica un’applicazione della sussidiarietà
anche all’interno della stessa comunità ecclesiastica, nel 1961 da Giovanni
XXIII, che nell’enciclica Mater et Magistra propone un’applicazione della
sussidiarietà anche al campo economico8, e nel 1991 da Giovanni Paolo II, che
8
« […] Vero è che oggi gli sviluppi delle conoscenze scientifiche e delle tecniche produttive offrono ai
poteri pubblici maggiori possibilità concrete di ridurre gli squilibri tra i diversi settori produttivi, tra le
diverse zone all’interno delle comunità politiche e tra diversi paesi su piano mondiale; come pure di
contenere le oscillazioni nell’avvicendarsi delle situazioni economiche e di fronteggiare con prospettive
di risultati positivi i fenomeni di disoccupazione massiva. Conseguentemente i poteri pubblici,
responsabili del bene comune, non possono non sentirsi impegnati a svolgere in campo economico una
azione multiforme, più vasta, più organica; come pure ad adeguarsi a tale scopo nelle strutture, nelle
competenze, nei mezzi e nei metodi. Ma deve essere sempre riaffermato il principio che la presenza dello
Stato in campo economico, anche se ampia e penetrante, non va attuata per ridurre sempre più la sfera di
libertà dell’iniziativa personale dei singoli cittadini, ma anzi per garantire a quella sfera la maggiore
ampiezza possibile nell’effettiva tutela, per tutti e per ciascuno, dei diritti essenziali della persona; fra i
quali è da ritenersi il diritto che le singole persone hanno di essere e di rimanere normalmente le prime
responsabili del proprio mantenimento e di quello della propria famiglia; il che implica che nei sistemi
economici sia consentito e facilitato il libero svolgimento delle attività produttive. Del resto lo stesso
evolversi storico mette in rilievo ognora più chiaro che non si può avere una convivenza ordinata e
feconda senza l’apporto in campo economico sia dei singoli cittadini che dei poteri pubblici; apporto
13
nell’enciclica Centesimus Annus (che celebra il centesimo anniversario della
Rerum Novarum) recita testualmente: «Se Leone XIII si appella allo Stato per
rimediare secondo giustizia alla condizione dei poveri, lo fa anche perché
riconosce opportunamente che lo Stato ha il compito di sovrintendere al bene
comune e di curare che ogni settore della vita sociale, non escluso quello
economico, contribuisca a promuoverlo, pur nel rispetto della giusta autonomia
di ciascuno di essi. Ciò, però, non deve far pensare che per Papa Leone ogni
soluzione della questione sociale debba venire dallo Stato. Al contrario, egli
insiste più volte sui necessari limiti dell'intervento dello Stato e sul suo carattere
strumentale, giacché l'individuo, la famiglia e la società gli sono anteriori ed esso
esiste per tutelare i diritti dell'uno e delle altre, e non già per soffocarli»9.
Anche l’attuale pontefice dunque sottolinea l’importanza del principio di
sussidiarietà nell’amministrazione dei bisogni degli individui, evidenziando il
simultaneo, concordemente realizzato, secondo proporzioni rispondenti alle esigenze del bene comune
nelle mutevoli situazioni e vicende umane. L’esperienza infatti attesta che dove manca l’iniziativa
personale dei singoli vi è tirannide politica; ma vi è pure ristagno dei settori economici diretti a produrre
soprattutto la gamma indefinita dei beni di consumo e di servizi che hanno attinenza, oltre che ai bisogni
materiali, alle esigenze dello spirito: beni e servizi che impegnano, in modo speciale, la creatrice genialità
dei singoli. Mentre dove manca o fa difetto la doverosa opera dello Stato, vi è disordine insanabile,
sfruttamento dei deboli da parte dei forti meno scrupolosi, che attecchiscono in ogni terra e in ogni tempo,
come il loglio tra il grano. […]» (Giovanni XXIII, enciclica Mater et Magistra, Roma 1961, sito internet
www.vatican.va/offices/papal_docs_list_it.html)
9
« […] Si è assistito negli ultimi anni ad un vasto ampliamento della sfera di intervento del potere
pubblico, che ha portato a costituire, in qualche modo, uno Stato di tipo nuovo: lo “Stato del benessere”.
Questi sviluppi si sono avuti in alcuni Stati per rispondere in modo più adeguato a molte necessità e
bisogni, ponendo rimedio a forme di povertà e di privazione indegne della persona umana. Non sono,
però, mancati eccessi ed abusi che hanno provocato, specialmente negli anni più recenti, dure critiche allo
Stato del benessere, qualificato come «Stato assistenziale». Disfunzioni e difetti nello Stato assistenziale
derivano da un'inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato. Anche in questo ambito deve
essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita
interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in
caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista
del bene comune. Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale
provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche
burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese. Sembra,
infatti, che conosce meglio il bisogno e riesce meglio a soddisfarlo chi è ad esso più vicino e si fa
prossimo al bisognoso. Si aggiunga che spesso un certo tipo di bisogni richiede una risposta che non sia
solo materiale, ma che ne sappia cogliere la domanda umana più profonda. Si pensi anche alla condizione
dei profughi, degli immigrati, degli anziani o dei malati ed a tutte le svariate forme che richiedono
assistenza, come nel caso dei tossico-dipendenti: persone tutte che possono essere efficacemente aiutate
solo da chi offre loro, oltre alle necessarie cure, un sostegno sinceramente fraterno. […]» (Giovanni Paolo
II, enciclica Centesimus Annus, Roma 1991, sito internet www.vatican.va/offices/papal_docs_list_it.html)
14
ruolo centrale di impegno e responsabilità che la persona umana e la famiglia
dovrebbero rivestire all’interno della società civile.
In conclusione si può quindi affermare che il principio di sussidiarietà è una delle
basi su cui poggia la dottrina sociale della Chiesa; nonostante la sua introduzione
risalga ormai a più di un secolo fa, quanto in esso contenuto è tuttavia ancora di
grande attualità, come dimostra la sua recente introduzione nell’ordinamento
giuridico italiano. Negli ultimi anni infatti la sussidiarietà ha subito una
trasformazione da principio puramente filosofico a principio giuridico,
trasformazione che ha portato a considerare, come vedremo in seguito, la
possibilità, grazie all’iniziativa volontaria della società civile, di un nuovo modo
di intendere l’amministrazione.
1.4. Sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale
Abbiamo fin qui spiegato in che cosa consiste il principio di sussidiarietà e come
questo riguardi la ripartizione delle competenze nello svolgimento di compiti di
interesse generale. Abbiamo altresì anticipato che tale principio implica due
livelli di lettura: quello della sussidiarietà verticale e quello della sussidiarietà
orizzontale. E proprio di questa differenza ci apprestiamo ora a parlare.
La sussidiarietà verticale riguarda i rapporti tra enti pubblici: rappresenta il
criterio di distribuzione delle competenze fra Stato ed autonomie locali. Come
abbiamo già avuto modo di osservare, il punto cruciale di questa ripartizione sta
nel fatto che le competenze vanno allocate al livello di responsabilità
territorialmente più vicino al cittadino; agli enti locali vanno lasciate non solo le
competenze giuridiche, ma anche i mezzi finanziari ed amministrativi necessari
all’esercizio concreto di questi compiti10. Soltanto quando il livello inferiore non
sia in grado di svolgere la funzione assegnatagli, interviene con funzione appunto
sussidiaria l’ente gerarchicamente superiore. Da questo punto di vista il principio
di sussidiarietà non si discosta molto dalla nozione tradizionale di federalismo,
10
M. Orsetti, Profili giuridici del principio di sussidiarietà, articolo pubblicato il 16 settembre 2003 nel
sito internet www.ddp.unipi.it/dipartimento/Gruppi/Pisarum_j_oe/articoli
15
tante volte invocata anche in Italia, cui tuttavia aggiunge un elemento nuovo di
primaria importanza: la necessità, da parte del livello di governo superiore, di
giustificare l’esercizio del potere di sostegno (o di quello di sostituzione) con
l’inadeguatezza accertata del livello inferiore allo svolgimento del compito cui
precedentemente era stato preposto.
La sussidiarietà orizzontale riguarda invece i rapporti tra pubblici poteri da un
lato e società civile (cittadini singoli o associati) dall’altro: è il paradigma
mediante il quale vengono distribuiti i compiti di erogazione di servizi e benefici
ai cittadini. Introdurre in un ordinamento giuridico il principio di sussidiarietà
orizzontale significa quindi affermare che i cittadini possono svolgere un ruolo
attivo nell’amministrazione dei beni pubblici; è il ribaltamento del tradizionale
paradigma bipolare che vedeva contrapposti da un lato la pubblica
amministrazione, con le funzioni di garante della legalità e di definizione degli
interessi generali da tutelare, e dall’altro, in posizione di subordine, i cittadini
amministrati, destinatari passivi degli interventi messi in atto dai pubblici poteri.
Con la sussidiarietà orizzontale i cittadini hanno la facoltà di abbandonare la loro
poltrona di spettatori per entrare in scena sul palco della gestione del bene
comune: tutti hanno il diritto di essere protagonisti nella realizzazione di funzioni
di interesse generale in una posizione paritaria rispetto ai pubblici poteri. Questo
tuttavia presuppone un cambio radicale nel modo di intendere l’amministrazione:
si deve attuare un processo culturale che conduca da una visione piramidale dei
pubblici poteri, nella quale i cittadini occupano l’ultimo posto, ad un modello a
rete, in cui cittadini ed enti pubblici interagiscono per realizzare quella che viene
comunemente chiamata “amministrazione condivisa”11. Solo così infatti cittadini
ed amministrazioni potranno essere effettivamente consapevoli delle proprie
responsabilità e pronti a collaborare insieme per il perseguimento dell’interesse
generale; altrimenti il principio di sussidiarietà orizzontale rischia di rimanere
soltanto una bella ideologia.
11
G. Arena, La comunicazione pubblica nell’amministrazione della sussidiarietà, articolo pubblicato nel
sito internet www.uro.it/Database/urpdegliurp/pubblicando.nsf il giorno 11 giugno 2003
16
2. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÁ
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO
2.1. Dal Trattato CE all’ordinamento italiano
Nell’ordinamento giuridico italiano le norme comunitarie sono direttamente
applicabili, anzi si posizionano addirittura in posizione gerarchicamente più
elevata rispetto alle stesse norme interne, tanto che se queste ultime sono in
contrasto con una disposizione comunitaria, vengono automaticamente
disapplicate. Infatti «i rapporti tra l’ordinamento comunitario e gli ordinamenti
degli Stati membri si sono evoluti in modo tale che qualsiasi fonte del diritto
comunitario può prevalere su qualunque fonte degli Stati membri, a qualsiasi
livello sia situata nel sistema statale delle fonti»12. Questo apparente contrasto
con il principio di sovranità dell’ordinamento giuridico italiano all’interno dello
Stato è giustificato dall’interpretazione data dalla Corte costituzionale, che in
alcune sentenze ha stabilito che le limitazioni della sovranità nazionale contenute
nei trattati comunitari (e quindi anche l’accettazione di fonti normative di rango
superiore a qualsiasi altra fonte italiana) costituiscono attuazione dei principi
sanciti dall’art. 11 della Costituzione italiana13: «L’Italia (…) consente, in
condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad
un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni».
Successivamente la L. cost. 3/2001, che ha portato alla modifica della
Costituzione, ha introdotto il nuovo primo comma dell’art. 17, che legittima
esplicitamente la preminenza delle norme comunitarie su quelle interne laddove
dichiara che «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel
rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali».
12
13
D. Sorace, Diritto delle amministrazioni pubbliche, Il mulino, Bologna 2002, pag. 31
Sentenze della Corte costituzionale n. 183 del 1973 e n. 232 del 1975
17
Sviluppiamo
dunque
la
nostra
analisi
del
principio
di
sussidiarietà
nell’ordinamento giuridico italiano cominciando proprio dall’introduzione dello
stesso a livello comunitario, posto che anche le norme europee sono fonti del
diritto dello Stato.
Il principio di sussidiarietà entra a far parte dell’ordinamento europeo nel 1992,
prendendo spunto dalla Grundgesetz, la Costituzione della Repubblica Federale
Tedesca del 1948, nella quale vengono definiti i criteri di riparto delle
competenze fra Governo Federale e singoli Laender14; l’art. 3B del Trattato di
Maastricht infatti stabilisce che «la Comunità agisce nei limiti delle competenze
che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal Trattato. (…) Nei
settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene,
secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi
dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli stati
membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione
in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario».
Il principio di sussidiarietà definisce quindi la linea direttrice dell’integrazione
europea e diventa il principio ispiratore della politica comunitaria: gli stati
membri mantengono la loro autonomia decisionale, ma per lo svolgimento di
determinate funzioni possono essere aiutati o addirittura sostituiti dalla Comunità
Europea, anche se quest’ultima non ha competenza esclusiva nei settori in cui
interviene. Lo stesso Trattato di Maastricht fissa anche dei limiti all’intervento
della comunità laddove specifica che gli obiettivi che si perseguono non possono
essere sufficientemente realizzati dagli stati membri e pertanto sono tali da essere
attuati meglio a livello comunitario. Tali limiti tuttavia sono abbastanza equivoci,
in quanto i termini “sufficientemente” e “meglio” possono dare adito a
interpretazioni diverse e contrastanti, per cui è difficile a priori stabilire quando
la Comunità possa o debba intervenire, e comunque lo si deve decidere di volta
in volta senza poter prescindere dal caso specifico15. Forse da questo punto di
14
15
P. Duret, op. cit., pag. 123
F. Occhetta, op. cit.
18
vista «l’idea di sussidiarietà è più politica che giuridica»16. Non è tuttavia questa
la sede per approfondire tale problematica; basti sapere che nel Trattato di
Maastricht il principio di sussidiarietà assume una connotazione prettamente
verticale, anche se in realtà non costituisce tanto un criterio di ripartizione delle
competenze fra Unione Europea e singoli Stati membri, quanto piuttosto un
sistema per ovviare all’incapacità del livello inferiore di svolgere le proprie
funzioni: anche quando interviene la Comunità, le competenze restano in capo al
livello originariamente preposto, e non appena questo dimostra di essere
nuovamente in grado di svolgere le proprie funzioni in maniera adeguata, la
legittimazione dell’intervento comunitario cessa17.
2.2. Introduzione del principio di sussidiarietà nel diritto italiano
La sussidiarietà è un concetto molto recente per l’ordinamento italiano; appare
infatti per la prima volta nella L. 59/1997 (Bassanini 1) all’art. 4 c. 3 con
riferimento alla ripartizione delle competenze tra i vari livelli di governo: «I
conferimenti di funzioni di cui ai commi 1 e 2 avvengono nell’osservanza dei
seguenti principi fondamentali: a) il principio di sussidiarietà, con l’attribuzione
della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle
province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali,
associative e organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con
le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche, anche al fine di
favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle
famiglie, associazioni e comunità, all’autorità territorialmente e funzionalmente
più vicina ai cittadini interessati (…)».
Come si può osservare, con la L. 59/1997 il principio di sussidiarietà viene
introdotto nel nostro ordinamento in entrambe le sue accezioni: quella verticale
laddove definisce un criterio di riparto delle competenze fra regioni ed enti locali,
16
C Millon-Delsol, Le principe de subsidiaritè, Presses Universitaires de France, Parigi 1993; trad. it. Il
principio di sussidiarietà, a cura di M. Tringali, Giuffrè, Milano 2003, pag. 96
17
G. Rucco, Il principio di sussidiarietà quale criterio del recente processo di riorganizzazione del
sistema pubblico italiano, in Oikonomia – rivista di etica e scienze sociali, anno II, n. 2 giugno 2000, sito
internet www.pust.edu/oikonomia/pages/giu2000/art12.htm
19
stabilendo che le funzioni amministrative debbano essere svolte dalle autorità
territorialmente più vicine ai cittadini (per cui in primo luogo dai comuni), e
quella orizzontale laddove apre lo spazio all’iniziativa dei cittadini, favorendo
l’esecuzione da parte di questi ultimi di funzioni e compiti di interesse generale.
Interpretando il testo normativo dunque, si può dire che «l’applicazione del
principio in senso verticale deve essere fatta tenendo nel massimo conto la
possibilità di una successiva applicazione del principio anche in senso
orizzontale. Individuato cioè il livello e quindi l’ente cui allocare la funzione o il
compito di rilevanza sociale, la legge prefigura la possibilità dell’ente attributario
di ulteriormente dislocare il potere stesso verso la società civile»18.
Il principio di sussidiarietà
è stato successivamente ripreso, sia nella sua
accezione verticale che in quella orizzontale, dall’art. 2 c. 5 L. 265/1999 (che ha
introdotto nell’art. 2 L. 142/1990 il c. 5, poi confluito nell’art. 3 d.lgs. 267/2000
Testo unico in materia di ordinamento degli enti locali); è previsto infatti che
«comuni e province, oltre ad essere titolari di funzioni proprie, possono essere
destinatari di funzioni amministrative ulteriori, conferite loro con legge dello
Stato o delle regioni, secondo il principio di sussidiarietà» e che «i comuni e le
province svolgano le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere
adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro
formazioni sociali».
A ben vedere questa formulazione del principio non è poi tanto diversa da quella
fornita dalla L. 59/1997, ma rispetto a quest’ultima introduce in aggiunta il
criterio dell’adeguatezza: per poter svolgere attività di interesse generale i
cittadini devono dare dimostrazione di essere in grado di fornire un livello
qualitativo consono al tipo di funzione o servizio reso; infatti «con la menzionata
formulazione legislativa del principio, alla società civile è attribuito un titolo per
poter svolgere funzioni proprie di comuni e province, purché l’esercizio delle
stesse possa venire effettuato adeguatamente»19. Se dunque l’amministrazione
18
19
P. De Carli, Sussidiarietà e governo economico, Guiffrè, Milano 2002, pag. 222
P. De Carli, op. cit., pag. 223
20
riscontrasse che il perseguimento degli interessi collettivi da parte delle
formazioni sociali non rispecchia un desiderato livello delle prestazioni,
l’iniziativa dei cittadini non potrebbe venire legittimata, né tanto meno potrebbe
l’amministrazione rinunciare a svolgere quella determinata funzione.
2.3. La riforma del Titolo V della Costituzione e l’introduzione del principio di
sussidiarietà a livello costituzionale
Come è ormai noto, la L. cost. 3/2001 ha introdotto importanti modifiche nel
Titolo V della Costituzione italiana. Ai nostri fini è tuttavia sufficiente sapere che
in seguito a detta riforma ha finalmente trovato spazio all’interno della nostra
Carta fondamentale anche il principio di sussidiarietà, che è diventato dunque a
tutti gli effetti un vero e proprio principio costituzionale, sancito in entrambe le
sue accezioni, quella verticale e quella orizzontale, rispettivamente ai commi 1 e
4 del novellato art. 118: «Le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni
salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a province, città
metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza. (…) Stato, regioni, città metropolitane, province
e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per
lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di
sussidiarietà».
In realtà, già la Commissione bicamerale per le riforme costituzionali aveva
avanzato la proposta di introdurre il principio di sussidiarietà orizzontale nel
nuovo testo costituzionale, ma con una formulazione diversa da quella che poi è
stata effettivamente accettata dalle Camere; la prima versione dell’art 56 del
Progetto di riforma (che è datata 30 giugno 1997) infatti recitava: «Le funzioni
che non possono essere più adeguatamente svolte dall’autonomia dei privati sono
ripartite tra le comunità locali, organizzate in comuni e province, le regioni e lo
Stato, in base al principio di sussidiarietà e di differenziazione, nel rispetto delle
autonomie funzionali, riconosciute dalla legge. La titolarità delle funzioni spetta
agli enti più vicini agli interessi dei cittadini, secondo il criterio di omogeneità ed
21
adeguatezza delle strutture organizzative rispetto alle funzioni medesime».
Questa formulazione tuttavia venne presto abbandonata per l’evidente
svalutazione del principio in essa sancito: in tale testo infatti la sussidiarietà era
intesa come un mero criterio di ripartizione delle competenze tra cittadini ed
amministrazioni da un lato e tra pubbliche amministrazioni dall’altro, senza alcun
riferimento alla generalità degli interessi coinvolti né tanto meno a forme di
collaborazione tra cittadini ed enti pubblici. Seguendo questa formula
semplicemente l’amministrazione avrebbe rivestito un ruolo residuale rispetto
all’azione dei privati: compito degli enti pubblici sarebbe diventato allora quello
di fornire i soli servizi che i cittadini non fossero riusciti a garantire con la loro
autonoma iniziativa.
Circa un anno dopo (19 marzo 1998) la Commissione bicamerale approvava un
nuovo testo per l’art. 56 del Progetto di riforma, secondo il quale: «Nel rispetto
delle attività che possono essere adeguatamente svolte dall’autonoma iniziativa
dei cittadini, anche attraverso le formazioni sociali, le funzioni pubbliche sono
attribuite a comuni, province, regioni e Stato, sulla base dei principi di
sussidiarietà
e
differenziazione.
La
titolarità
delle
funzioni
compete
rispettivamente ai comuni, alle province, alle regioni e allo Stato, secondo i
criteri di omogeneità ed adeguatezza». Confrontando i testi, si può notare che la
differenza tra le due formulazioni era minima: l’unica nota di rilievo è il fatto che
“l’autonomia dei privati” della prima versione cedeva il passo “all’autonoma
iniziativa dei cittadini”, espressione che armonizzava in parte il principio
giuridico della sussidiarietà a quello sociale della dottrina cattolica,
abbandonando il connotato esclusivamente economico della prima versione. In
generale tuttavia si può affermare che il dibattito sulla sussidiarietà avvenuto in
seno alla Commissione bicamerale ha portato più ad uno scontro tra chi voleva
difendere la pubblicità dei servizi al cittadino e chi al contrario ne propugnava la
liberalizzazione in un’ottica concorrenziale, che non ad una riflessione sulle
implicazioni sociali derivanti dall’affermazione di tale principio, che
22
costituiscono invece il cuore della questione20.
Come è noto il tentativo della Commissione bicamerale per le riforme
costituzionali è stato definitivamente abbandonato qualche tempo più tardi, ma la
questione della sussidiarietà (anche dietro forte spinta della Compagnia delle
Opere, che con una petizione ha raccolto centinaia di migliaia di firme) è stata
riportata in Parlamento durante la XIII Legislatura. Il nuovo dibattito vedeva
schierati da una parte il centro-destra, che finalizzava l’introduzione del principio
di sussidiarietà nella Costituzione alla circoscrizione delle aree di intervento
pubblico nell’economia, il centro-sinistra, che «vedeva nella sussidiarietà
l’affermazione del primato della persona sullo Stato e dunque della priorità del
cittadino rispetto all’organizzazione amministrativa»21 ed infine l’estrema
sinistra, per la quale il principio di sussidiarietà era in netto contrasto con l’art. 3
della Costituzione, per cui non doveva essere introdotto nel nostro ordinamento.
Le discussioni parlamentari che seguirono hanno condotto all’approvazione della
L. cost. 3/2001 che, come abbiamo accennato all’inizio, ha modificato tutto il
Titolo V della Costituzione, introducendo il principio di sussidiarietà nel
novellato testo dell’art. 118, sia nella sua accezione verticale (le funzioni
amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio
unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato, sulla
base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza), che in quella
orizzontale (Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono
l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di
attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà). Per quanto
riguarda in particolare la sussidiarietà orizzontale, è prevalsa la proposta portata
avanti dal centro-sinistra di rispettare la volontà dei costituenti di anteporre la
persona allo Stato. In questa prospettiva la sussidiarietà si pone dunque come
punto di equilibrio tra l’obbligo dello Stato di intervenire a sostegno della
20
P. Duret, op. cit., pag. 131
A. Poggi, L’autonoma iniziativa dei cittadini, comunicazione al convegno 118: cittadini attivi per una
nuova
amministrazione,
Roma
7-8
febbraio
2003,
sito
internet
www.astridonline.it/Sussidiari/Interventi/index.htm
21
23
persona per garantirne il pieno sviluppo e l’obbligo dello Stato di rispettare la
libertà dei cittadini in campo civile ed economico22. In questo senso dunque la
sussidiarietà orizzontale non si pone in contrasto con gli artt. 2 e 3 della
Costituzione, ma ne costituisce anzi una maggiore e più ampia specificazione, in
quanto non toglie nulla allo Stato in termini di obblighi, ma introduce possibilità
nuove per realizzare obiettivi di interesse generale, prevedendo forme di
collaborazione con i cittadini; se lo Stato, secondo il dettato dell’art. 3 della
Costituzione, deve comunque garantire l’uguaglianza formale e sostanziale dei
cittadini (rimovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono
il pieno sviluppo della persona umana), ma ha l’obbligo al contempo di garantire
a tutte le persone, sia a livello singolo che associato, una maggiore facoltà di
intervento nelle questioni che riguardano l’amministrazione della cosa pubblica,
allora il principio di sussidiarietà rappresenta veramente una riforma che amplia
la sfera delle libertà del cittadino, incrementando in questo modo il livello di
civiltà del nostro Paese.
22
A. Poggi, op. cit.
24
3. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE
COME SANCITO DALL’ARTICOLO 118 ULTIMO
COMMA DELLA COSTITUZIONE
3.1. L’interpretazione del principio di sussidiarietà orizzontale
Abbiamo visto come il principio di sussidiarietà orizzontale sia entrato a pieno
titolo a far parte dei principi generali cui è informato il nostro ordinamento
giuridico; in particolare esso è stabilito dall’ultimo comma dell’art. 118 della
Costituzione: «Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono
l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di
attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà».
L’interpretazione di detto principio tuttavia dà adito ancora a molte controversie:
nonostante infatti siano trascorsi più di due anni dalla promulgazione della L.
cost. 3/2001, esistono finora almeno due modi differenti di intendere la
sussidiarietà, suffragati ciascuno da diverse motivazioni e sottendenti in genere
una ben determinata idea politica. Del resto l’intenso dibattito parlamentare a cui
aveva dato vita la proposta di introdurre nella nostra Costituzione il principio di
sussidiarietà orizzontale derivava proprio da questa diversità di punti di vista.
Non è nostro compito, né nostro proposito, cercare di capire quale di questi sia il
modo “giusto” e quale quello “sbagliato”, ma un’analisi seria del principio di
sussidiarietà orizzontale non può prescindere dall’esatta cognizione delle
intenzioni del legislatore al momento della stesura del quarto comma dell’art.
118 e richiede necessariamente la comprensione degli obiettivi che egli si era
prefissato di raggiungere con l’introduzione nell’ordinamento giuridico di tale
principio.
Una prima interpretazione della sussidiarietà orizzontale vede l’intervento dei
cittadini per finalità di interesse generale come piena attuazione del principio di
libertà di iniziativa economica sancito dall’art. 41 della Costituzione. I sostenitori
25
di tale opinione infatti propongono la limitazione al minimo dell’intervento
pubblico nell’economia a favore del libero scambio anche per quanto riguarda
settori di preminente interesse pubblico come istruzione, sanità e assistenza
sociale. Essi giustificano il loro punto di vista con la motivazione che spesso un
mercato concorrenziale consente di fornire servizi ritenuti essenziali in modo più
efficiente e con un livello qualitativo migliore, determinando allo stesso tempo
un risparmio di risorse da parte del settore pubblico. In particolare Paolo De Carli
sostiene l’idea che la sussidiarietà orizzontale rappresenti un nuovo modo di
governare i rapporti tra settore pubblico e cittadini privati ed afferma perciò che
«la preoccupazione pubblica di assicurare un servizio, o di assicurarlo a
condizioni particolari di accessibilità, deve tuttavia tener conto della presenza e
del ruolo occupato nello stesso settore da soggetti privati o privato-sociali poiché
questi, se idoneamente sostenuti, possono contribuire a svolgere quel servizio o a
svolgerlo alle condizioni di accessibilità desiderate, permettendo così al soggetto
pubblico di risparmiare spese di impianto ed avviamento di strutture proprie in
quel settore. (…) La sussidiarietà corrisponde infatti alla creazione di un
concorso fra soggetti pubblici e privati e, nella accezione piena del principio,
anche alla riduzione del ruolo del pubblico nei limiti in cui il servizio o l’attività
possano essere assicurati dai soggetti privati in modo efficiente e secondo gli
interessi di pubblica utilità prefissati dallo stesso potere pubblico»23.
In quest’ottica dunque il principio di sussidiarietà orizzontale è visto meramente
come sinonimo di privatizzazione; settore pubblico e privati sono ritenuti perfetti
sostituti nello svolgimento di attività di interesse generale, pertanto lo Stato
dovrebbe intervenire soltanto quando non vi siano già attività di tipo privato ad
occuparsi dell’erogazione di beni e servizi essenziali, mentre dovrebbe ritirarsi
dal mercato nel momento in cui fossero i cittadini ad intraprendere iniziative
economiche di rilevanza generale (non ha importanza se con o senza scopo di
lucro). Infatti, sempre secondo De Carli, «la maggior parte dei fenomeni di
sussidiarietà si determina a seguito dell’arretramento e della riduzione
23
P. De Carli, op. cit., pag. 345
26
dell’intervento diretto dei poteri pubblici anche se devono essere attentamente
valutate le modalità concrete di arretramento»24.
Per fugare ogni possibilità di confusione è bene a questo punto fare una piccola
precisazione. Molti ritengono che la sussidiarietà orizzontale, intesa nel modo
appena esposto, equivalga all’esternalizzazione di servizi pubblici. A nostro
avviso invece l’outsourcing non ha niente a che vedere con tale principio, in
quanto non presuppone nessuna iniziativa da parte dei cittadini. Nel momento in
cui un ente pubblico affida la gestione di un servizio all’esterno, l’impresa (ma
potrebbe essere anche un’associazione) che ne assume in carico la fornitura è
vincolata contrattualmente (potrebbe essere mediante un appalto oppure con una
qualunque altra forma negoziale) ed è sempre soggetta al controllo dell’ente
affidatario, il quale se non altro può recedere se ritiene che la qualità del servizio
non sia adeguata allo standard desiderato. Con la sussidiarietà invece le cose
sono ben diverse; non esiste un contratto che definisca diritti ed obblighi delle
parti, per cui tutto è rimesso alla iniziativa e alla capacità dei privati. L’ente
pubblico semmai può intervenire soltanto con l’erogazione di contributi per lo
svolgimento dell’attività. Se la pubblica amministrazione, nel momento in cui i
privati organizzano l’erogazione di un determinato servizio, si ritrae, tutto sarà
rimesso completamente alla sensibilità, alla discrezionalità e alla capacità delle
imprese, che presumibilmente seguiranno perlopiù una logica di mercato. Se il
servizio non si rivelasse più adeguato alle esigenze degli utenti, l’ente pubblico
non avrebbe di fatto nessun potere di controllo sulle organizzazioni private, che
continuerebbero indisturbate nel loro modus operandi (nei limiti ovviamente
della legalità e dei limiti imposti dal secondo e dal terzo comma dell’art. 41 della
Costituzione), mentre all’amministrazione non rimarrebbe altro che intervenire
direttamente, tornando di fatto alla situazione di partenza.
Per questo motivo non possiamo ritenere che tale modo di interpretare il
principio di sussidiarietà orizzontale rispetti la ratio che ha ispirato il legislatore
che ha scritto il quarto comma dell’art. 118 della Costituzione. Ad avvalorare la
24
P. De Carli, op. cit., pag. 232
27
nostra tesi ci sono i verbali delle sedute parlamentari in cui è stata discussa la
formula da inserire nel testo della L. cost. 3/2001: leggendo gli interventi
effettuati dagli esponenti del centro-sinistra si può comprendere come i
promotori del principio non intendessero ridurre l’intervento dei cittadini per
scopi di interesse generale ad una mera iniziativa economica, né promuovere
l’arretramento dello Stato per lasciare spazio all’iniziativa privata. Essi al
contrario hanno cercato di promuovere e sostenere una collaborazione fra privato
e pubblico, fra cittadini ed amministrazioni per “inventare” insieme un nuovo
modo di soddisfare gli interessi ed i bisogni della collettività. In particolare l’on.
Massimo D’Alema, durante una delle sedute più interessanti ed animate, ha
chiaramente spiegato quale fosse il significato intrinseco del principio quando ha
affermato che «il ruolo dell’iniziativa privata è riconosciuto e garantito nella
nostra Costituzione e certamente non compete a noi di introdurre questo
principio. Vi è già; vi hanno provveduto i padri costituenti! Anche il principio di
sussidiarietà, in realtà, è contenuto, nelle forme e nel linguaggio di allora, nella
prima parte della Costituzione. Il passo in avanti che noi facciamo è nel
riconoscere la necessità oggi di favorire l’azione della società civile nella forma
dei cittadini singoli, associati, delle associazioni e delle imprese nello
svolgimento di attività pubbliche. Qui noi non parliamo della libera iniziativa
privata, ma della necessità, dell’opportunità che le istituzioni favoriscano tale
azione»25. Anche l’on. Rosa Russo Jervolino si è pronunciata sulla questione,
chiarendo le motivazioni che hanno ispirato l’attuale testo dell’art. 118 c. 4 della
Costituzione: «Noi non pensiamo ad un monopolio dello Stato, ma ad una
responsabilità dello Stato stesso che, però, associ a sé, in una logica di
cittadinanza attiva, tutte le formazioni sociali che agiscono senza scopo di lucro e
nell’interesse generale»26.
Dunque negli intenti dei legislatori che hanno approvato la legge di revisione
25
Atti della seduta della Camera dei deputati del giorno 21 settembre 2000, sito internet
www.camera.it/chioschetto.asp?content=/_dati/leg13/lavori/stenografici/jvhomefr.htm
26
Atti della seduta della Camera dei deputati del giorno 20 settembre 2000, sito internet
www.camera.it/chioschetto.asp?content=/_dati/leg13/lavori/stenografici/jvhomefr.htm
28
costituzionale, il principio di sussidiarietà orizzontale non rappresenta un modo
per manlevare lo Stato dai suoi obblighi devolvendo compiti e responsabilità ai
privati in un’ottica di privatizzazione, ma è soprattutto una possibilità nuova che
è data ai cittadini di collaborare con le amministrazioni per il perseguimento di
interessi generali, è di per sé stesso un nuovo modo di amministrare.
3.2. Relazione tra primo e quarto comma dell’art. 118 della Costituzione
È doveroso a questo punto fare un piccolo passo indietro. Abbiamo visto come il
principio di sussidiarietà verticale, sancito dalle leggi 59/1997 e 267/2000 prima
e dalla Costituzione poi (il primo comma dell’art. 118 recita: «Le funzioni
amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio
unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato, sulla
base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza»), rappresenti
il criterio di distribuzione delle competenze fra enti pubblici di livelli diversi. Ora
ci chiediamo come tale principio si rapporti con la sussidiarietà orizzontale.
Se accettiamo l’interpretazione liberista della sussidiarietà orizzontale, quella per
cui Stato e cittadini sono visti come sostituti nella soddisfazione dell’interesse
generale, allora si può cadere nella tentazione di affermare che sussidiarietà
verticale e sussidiarietà orizzontale siano due dimensioni diverse dello stesso
principio: la prima ripartisce le competenze fra i diversi livelli delle
amministrazioni pubbliche, mentre la seconda distribuisce le stesse tra settore
pubblico e settore privato.
In realtà abbiamo visto anche come l’interpretazione liberista del principio di
sussidiarietà orizzontale sia riduttiva e non rispecchi i veri intenti del legislatore,
il quale ha pensato l’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione per dare ai
cittadini la possibilità di collaborare con le amministrazioni pubbliche nella
gestione del bene comune. Secondo questa impostazione dunque si può
ragionevolmente sostenere che sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale
29
«non possano essere considerate applicazioni diverse dello stesso principio»27.
Esse infatti chiamano in causa principi giuridici differenti in quanto riguardano
rispettivamente la ripartizione delle competenze fra i vari livelli delle
amministrazioni pubbliche (questo è un punto fermo della sussidiarietà verticale)
e le modalità di intervento dei cittadini per il perseguimento dell’interesse
generale. Tuttavia, pur riguardando problematiche diverse, sussidiarietà verticale
e sussidiarietà orizzontale sono due principi concatenati reciprocamente poiché,
una volta individuato il livello più adeguato allo svolgimento delle funzioni
pubbliche in base al principio di sussidiarietà verticale, il principio di
«sussidiarietà orizzontale consente alle istituzioni titolari di tali funzioni di
perseguire l’interesse generale non più da sole, ma insieme con i cittadini»28.
Sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale dunque sono principi che si
integrano e si completano a vicenda e difficilmente possono essere compresi se
vengono
analizzati
disgiuntamente,
essendo
finalizzati
entrambi
alla
realizzazione di interessi collettivi.
3.3. Analisi ed implicazioni dell’art. 118 quarto comma
Esaminando passo per passo il testo dell’ultimo comma dell’art. 118 possiamo
comprendere appieno il potenziale innovativo che il principio di sussidiarietà
orizzontale può avere sull’attuale modo di amministrare la cosa pubblica:
• STATO, REGIONI, CITTÀ METROPOLITANE, PROVINCE E COMUNI
FAVORISCONO
Se i cittadini si attivano per la cura dell’interesse generale, le pubbliche
amministrazioni devono aiutarli, non possono limitarsi a stare a guardare né tanto
meno possono ostacolarli (testualmente infatti la norma dice che lo Stato
“favorisce”, non “può favorire”). Come abbiamo già accennato, la sussidiarietà
non è un modo per sancire il disimpegno dello Stato nei confronti della società e
27
A. Albanese, Il principio di sussidiarietà orizzontale: autonomia sociale e compiti pubblici, in Diritto
pubblico, anno VIII, n. 1, Il mulino, Bologna 2002
28
G. Arena, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118 u.c. Costituzione, comunicazione al
convegno 118: cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma 7-8 febbraio 2003, sito internet
www.astridonline.it/Sussidiari/Interventi/index.htm
30
della tutela dei diritti dei cittadini e quanto previsto dall’art. 118 non libera le
istituzioni dalla responsabilità primaria di adoperarsi per il bene della collettività.
Ciò significa che le funzioni pubbliche rimangono ancora competenza delle
amministrazioni, ma i cittadini assumono ora un ruolo nuovo, che non è più
passivo, ma comporta la loro collaborazione con gli enti pubblici al fine di
migliorare ed arricchire la gestione del bene comune. E in questo devono essere
favoriti dalle amministrazioni. Tuttavia le modalità pratiche di sostegno alle
iniziative dei cittadini sono lasciate alla discrezionalità delle amministrazioni:
possono consistere nella concessione di contributi per lo svolgimento di
determinate attività, nel rimborso delle spese sostenute, nel semplice patrocinio
di un’iniziativa, nell’autorizzazione all’uso di attrezzature o strutture di proprietà
dell’ente pubblico oppure in forme del tutto nuove che saranno create ad hoc di
volta in volta. Questo rappresenta sicuramente una svolta epocale nel modo di
amministrare e probabilmente incontrerà molte resistenze, soprattutto all’interno
delle stesse amministrazioni, forse non ancora pronte a “subire” l’ingerenza dei
cittadini. Tuttavia, grazie proprio all’apporto dei cittadini, l’amministrazione
potrà essere resa più flessibile e più vicina alle loro esigenze: l’applicazione del
principio di sussidiarietà orizzontale infatti permetterà di svolgere le funzioni
pubbliche in modo sempre diverso, adattando le modalità di affrontare i problemi
alle esigenze peculiari che di volta in volta si manifesteranno. Sarà un po’ come
mescolare
due
colori,
che
rappresentano
rispettivamente
la
pubblica
amministrazione ed i cittadini: il risultato non è la somma dei due colori iniziali,
ma un colore del tutto nuovo, la gradazione del quale dipenderà dalla
proporzione con cui essi vengono impiegati. Con il principio di sussidiarietà
orizzontale nasce dunque un nuovo modo di amministrare, che sarà ogni volta
diverso a seconda delle modalità con le quali l’amministrazione deciderà di
appoggiare le iniziative dei cittadini29.
29
G. Arena, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118 u.c. Costituzione, comunicazione al
convegno 118: cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma 7-8 febbraio 2003, sito internet
www.astridonline.it/Sussidiari/Interventi/index.htm
31
• L’AUTONOMA INIZIATIVA DEI CITTADINI, SINGOLI E ASSOCIATI
I cittadini possono attivarsi nell’interesse generale in maniera del tutto autonoma,
di propria iniziativa, senza aspettare che la pubblica amministrazione chieda loro
di farlo o li autorizzi. Questo priva i soggetti pubblici del monopolio esclusivo
nella rappresentanza dell’interesse generale, affidando il compito di garantire la
cura dei beni comuni anche ai cittadini. Questi ultimi non sono più solamente
soggetti passivi del tutto estranei alle problematiche relative all’amministrazione
del Paese, chiamati ad esprimere il proprio parere soltanto quando ogni cinque
anni si va alle urne per legittimare la classe dirigente. Al contrario essi diventano
depositari di un ruolo centrale nella vita politica e amministrativa del Paese ed
assumono la consapevolezza di poter contribuire in modo concreto al
miglioramento della condizione di benessere della società. Questo significa che
l’attuazione della norma sancita dall’art. 118 ultimo comma non dipende, come
solitamente accade, dalla diligenza delle istituzioni, bensì esclusivamente dal
senso civico e dal grado di responsabilità dei cittadini; solo loro possono decidere
se e come intervenire e le amministrazioni non possono far altro che favorirli.
Senza dubbio dunque la possibilità per i cittadini di rivestire una parte da
comprimari nell’amministrazione della cosa pubblica ha una grande valenza
positiva, che si manifesta sotto due aspetti diversi: in primo luogo ha un valore
intrinseco dal punto di vista civile in quanto espressione dell’impegno della gente
comune per la soddisfazione di interessi non individuali ma collettivi;
secondariamente perché i cittadini, mettendo a disposizione della collettività in
modo gratuito risorse proprie (non necessariamente quantificabili in termini
monetari), consentono all’amministrazione di conseguire un guadagno netto
oppure di soddisfare un maggior numero di interessi senza necessariamente
aumentare il livello del prelievo fiscale30. Sotto questo punto di vista dovrebbe
pertanto
essere
quasi
naturale
che
le
amministrazioni
favoriscano
spontaneamente le iniziative autonome dei cittadini.
30
G. Arena, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118 u.c. Costituzione, comunicazione al
convegno 118: cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma 7-8 febbraio 2003, sito internet
www.astridonline.it/Sussidiari/Interventi/index.htm
32
• PER LO SVOLGIMENTO DI ATTIVITÀ DI INTERESSE GENERALE,
SULLA BASE DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ
Nel momento in cui i cittadini si attivano autonomamente, devono fornire prova
della generalità dell’interesse che perseguono al fine di giustificare e legittimare
la loro azione e poter essere così sostenuti dalla pubblica amministrazione.
Questo è indubbiamente l’aspetto più problematico dell’applicazione concreta del
principio di sussidiarietà orizzontale. La definizione di interesse generale
comporta infatti non pochi problemi di natura giuridica. È ovviamente scontato
che il principio di sussidiarietà orizzontale consente di perseguire gli interessi più
disparati e che sotto le mentite spoglie di interesse generale potrebbero
nascondersi varie forme di tornaconto personale (o ristretto ad una piccola
cerchia di persone) che nulla hanno a che vedere con veri interessi di tipo
collettivo; ora è chiaro che la pubblica amministrazione non può legittimare
azioni volte a perseguire intenti di questo tipo, perché altrimenti cadrebbe in un
paradosso: l’azione degli enti pubblici infatti è vincolata al principio di legalità,
che ha lo scopo di garantire che le funzioni amministrative si svolgano secondo
le norme di legge senza favorire nessun interesse personale; sarebbe perciò
assurdo che le amministrazioni dovessero sottostare a tale principio quando
agiscono in prima persona, ma potessero nel contempo legittimare e addirittura
favorire iniziative personali di cittadini che possono non rispettare lo stesso
principio. La soluzione del problema relativo all’interesse generale (che cosa si
debba intendere con questa locuzione e a chi competa la sua definizione) è
dunque di importanza cruciale per il successo della sussidiarietà orizzontale.
Inoltre, data la molteplicità dei bisogni da soddisfare e la scarsità delle risorse a
disposizione, la definizione dell’interesse generale da perseguire è di solito un
problema prettamente politico; sono i rappresentanti eletti (e quindi legittimati)
dal popolo a fare questa scelta ed i cittadini, nel momento in cui sono chiamati
alle urne, sanno che a seconda del voto che esprimeranno saranno perseguiti
alcuni piuttosto che altri interessi. Questo meccanismo tuttavia potrebbe non
funzionare più con l’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale, in
33
quanto gli stessi cittadini potrebbero attivarsi per perseguire interessi che essi
stessi hanno definito preminenti e generali.
Si deve dunque escludere a priori la possibilità per i cittadini di individuare essi
stessi l’interesse generale in modi che vadano al di fuori di quanto previsto dalla
legge; piuttosto si può dire che l’interesse generale che i cittadini sono liberi di
perseguire (grazie alla sussidiarietà orizzontale) deve essere già stato qualificato
come tale da una norma di legge.
Concludendo si può comunque affermare che, nonostante le problematiche che la
sua applicazione solleva e sulle quali ci soffermeremo più avanti, il principio di
sussidiarietà orizzontale, così come definito dall’ultimo comma dell’art. 118
della Costituzione, rappresenta certamente un cambiamento epocale nel modo di
concepire i rapporti tra cittadini ed istituzioni: se democrazia significa
letteralmente “governo del popolo”, allora i cittadini non possono e non devono
più accettare di essere soggetti passivi che subiscono la amministrazione, bensì
devono maturare la consapevolezza del loro compito all’interno della società
civile. Questo comporta una assunzione di responsabilità da parte dei cittadini
stessi, i quali hanno ora la possibilità di dare concretamente il proprio prezioso
contributo all’amministrazione del bene comune. Da questo punto di vista la
sussidiarietà orizzontale rappresenta uno strumento nuovo di partecipazione
democratica, le cui potenzialità sono ancora tutte da scoprire. Inoltre questo
principio amplia la sfera degli strumenti in mano alle amministrazioni per attuare
il principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3 della Costituzione;
l’autonoma iniziativa dei cittadini consente infatti di perseguire interessi generali
e allo stesso tempo di realizzare pienamente la personalità e le aspirazioni proprie
dei cittadini, in quanto ognuno è libero di dare il proprio apporto in base ai talenti
e alle energie che possiede. La diversità di ciascun individuo può dunque
diventare una ricchezza per tutta la società, ma perché questo avvenga cittadini
ed amministrazioni devono lavorare fianco a fianco con comunanza di obiettivi.
Soltanto in questo modo la sussidiarietà orizzontale potrà rappresentare
effettivamente un nuovo modello di democrazia.
34
4. LE FUNZIONI AMMINISTRATIVE DEI COMUNI
4.1. Le funzioni amministrative alla luce del principio di sussidiarietà verticale
Come abbiamo già avuto modo di osservare, il principio di sussidiarietà verticale
determina il criterio per la ripartizione delle funzioni pubbliche tra i diversi livelli
delle amministrazioni (in modo particolare per quanto riguarda gli enti locali). Il
primo comma del novellato testo dell’art. 118 della Costituzione prevede infatti
che «le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per
assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane,
regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà ed adeguatezza». Il secondo
comma dello stesso articolo stabilisce inoltre che «i comuni, le province e le città
metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle
conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze».
Per il principio di sussidiarietà verticale dunque, tutte le funzioni amministrative
spettano, in via generale, a titolo originario ai comuni, che sono gli enti più vicini
alla popolazione, e solo in via derivata (ossia per esigenze di omogeneità ed
adeguatezza) agli enti gerarchicamente e territorialmente superiori31. Peraltro il
nuovo disposto costituzionale di fatto legittima un’impostazione che si era già
fatta strada nel diritto amministrativo allorché la L. 59/1997 (Bassanini 1),
introducendo già allora il principio di sussidiarietà verticale, aveva ribaltato
completamente il rapporto fra Stato, regioni ed enti locali nella distribuzione
delle rispettive competenze. L’art. 4 c. 3 infatti sanciva che «i conferimenti di
funzioni di cui ai commi 1 e 2 avvengono nell’osservanza dei seguenti principi
fondamentali: a) il principio di sussidiarietà, con l’attribuzione della generalità
dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle
comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e
organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le
31
L. Olivieri, in M. Borghesi, L. Olivieri, S. Palazzolo, V. Persegati, N. Rinaldi, C. Saffioti,
L’ordinamento degli enti locali: il Testo unico (d.lgs. 267/2000) e le Leggi collegate, Maggioli Editore,
Sant’Arcangelo di Romagna 2003, pag. 189 e pag. 212
35
dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche, anche al fine di
favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle
famiglie, associazioni e comunità, all’autorità territorialmente e funzionalmente
più vicina ai cittadini interessati (…)».
Successivamente anche l’art. 2 c. 5 della L. 265/1999 aveva riconosciuto lo
stesso principio, affermando che «comuni e province, oltre ad essere titolari di
funzioni proprie, possono essere destinatari di funzioni amministrative ulteriori,
conferite loro con legge dello Stato o delle regioni, secondo il principio di
sussidiarietà».
Le norme sopra esposte, confluite in seguito nel d.lgs. 267/2000 (Testo Unico
delle leggi in materia di ordinamento degli enti locali), hanno fissato dunque i
principi regolatori dell’ordinamento degli enti locali e, precorrendo di fatto lo
stesso testo costituzionale, hanno gradualmente ma completamente rovesciato il
precedente sistema di attribuzione delle competenze, secondo il quale la gestione
delle funzioni amministrative doveva essere impostata sulla gerarchia e sulla
corrispondenza con le funzioni legislative32; il vecchio testo dell’art. 118 della
Costituzione infatti recitava: «Spettano alla regione le funzioni amministrative
per le materie elencate nel precedente articolo, salvo quelle di interesse
esclusivamente locale, che possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica
alle province, ai comuni o ad altri enti locali. Lo Stato può con legge delegare
alla regione l’esercizio di altre funzioni amministrative. La regione esercita
normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle province, ai comuni
o ad altri enti locali, valendosi dei loro uffici». Le regioni perciò erano
competenti esclusivamente per le funzioni amministrative connesse con le
materie per le quali godevano della potestà legislativa concorrente a norma del
precedente testo dell’art. 117 della Costituzione, mentre lo Stato era titolare di
tutte le altre funzioni. Quest’ultimo tuttavia aveva la facoltà di delegare agli enti
locali, mediante apposita previsione normativa, altre funzioni di interesse
esclusivamente locale, mentre le regioni potevano a loro volta esercitare le
32
L. Olivieri, op. cit., pag. 196
36
proprie funzioni amministrative deputandole ad altri enti locali oppure
avvalendosi dei loro uffici. L’autonomia locale era dunque estremamente limitata
in quanto gli enti locali non erano mai investiti a titolo originario di funzioni
amministrative.
Le nuove disposizioni normative invece, avallate circa un anno dopo
l’introduzione del d.lgs. 267/2000 anche dal nuovo testo costituzionale, hanno
abbandonato definitivamente il criterio della corrispondenza tra potestà
legislativa e funzioni amministrative: ora è l’ente locale più vicino alla
popolazione (ossia in primo luogo il comune) che si deve occupare delle
questioni amministrative, che possono essere delegate ai livelli superiori soltanto
quando ne sia richiesto l’esercizio unitario oppure quando l’ente minore non sia
commisurato ai bisogni da soddisfare. La logica dell’attribuzione dall’alto delle
competenze viene perciò rovesciata, in quanto lo Stato non ha più il compito di
stabilire quali competenze debbano essere delegate agli enti locali, bensì deve
decidere soltanto quali funzioni debbano essere loro sottratte per poter essere
svolte ad un livello maggiore che ne assicuri adeguatezza ed unitarietà33. Di
conseguenza agli enti locali viene riconosciuta ora un’ampia autonomia, che si
esplica nella capacità di essere titolari di funzioni proprie e nella responsabilità di
essere i primi interlocutori dei cittadini.
4.2. Le funzioni attribuite ai comuni dal Testo Unico delle leggi in materia di
ordinamento degli enti locali (d.lgs. 267/2000)
Abbiamo visto come per il principio di sussidiarietà verticale le funzioni
amministrative
spettino
in
primo
luogo
agli
enti
gerarchicamente
e
territorialmente più vicini ai cittadini, ossia ai comuni. Si tratta perciò a questo
punto di capire quali siano le funzioni amministrative che i comuni sono chiamati
ad espletare e come queste vengano di fatto esercitate.
Il d.lgs. 267/2000 (Testo Unico delle leggi in materia di ordinamento degli enti
locali) sancisce all’art. 3 il principio di autonomia degli enti locali, in modo
33
L. Olivieri, op. cit., pag. 189 e pag. 200
37
particolare per quel che riguarda comuni e province: «Le comunità locali,
ordinate in comuni e province, sono autonome. Il comune è l’ente locale che
rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina
lo sviluppo. La provincia, ente locale intermedio tra comune e regione,
rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina
lo sviluppo. I comuni e le province hanno autonomia statutaria, normativa,
organizzativa e amministrativa, nonché autonomia impositiva e finanziaria
nell’ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della
finanza pubblica. I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di
quelle conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il principio di
sussidiarietà. I comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le
attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa
dei cittadini e delle loro formazioni sociali».
Questa norma, riassumendo tutte le norme precedentemente esaminate, riprende i
principi fondamentali che regolano l’organizzazione degli enti locali, ossia
autonomia (c. 1), sussidiarietà verticale (c. 4) e sussidiarietà orizzontale (c. 5).
Della sussidiarietà orizzontale abbiamo già ampiamente parlato, quindi non è il
caso di soffermarci ulteriormente in questa sede. Qui interessa invece specificare
quali siano le funzioni che gli enti locali, e in particolar modo i comuni, sono
chiamati in ogni caso a svolgere, con o senza l’aiuto dei cittadini. Chiarito
questo, passeremo ad illustrare le modalità con cui concretamente può esercitarsi
l’azione delle formazioni sociali nella gestione del bene comune.
Secondo l’art. 3 del Testo Unico gli enti locali (e quindi anche i comuni) godono
di
diverse
forme
di
autonomia
(statutaria,
normativa,
organizzativa,
amministrativa, impositiva e finanziaria), che si estrinsecano nella facoltà di
essere titolari, oltre che delle funzioni fondamentali loro attribuite mediante legge
dello Stato a norma dell’art. 117 lett. p) della Costituzione, anche di funzioni
proprie e di funzioni conferite, come del resto afferma anche il c. 2 dell’art. 118
della Costituzione. Dobbiamo tuttavia chiarire quali siano il significato e la
differenza tra le locuzioni “funzione fondamentale”, “funzione propria” e
38
“funzione conferita”.
In prima battuta, anche dal punto di vista lessicale, potrebbe sembrare che non
esista distinzione fra funzioni fondamentali e funzioni proprie. Tuttavia l’art. 117
della Costituzione stabilisce che «lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti
materie: (…) p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali
di comuni, province e città metropolitane». Alla luce di questa norma dunque
sono funzioni fondamentali soltanto quelle attribuite esclusivamente mediante
legge dello Stato, per cui sicuramente le funzioni proprie di cui parlano sia l’art.
118 della Costituzione che l’art. 3 del d.lgs. 267/2000 sono cosa diversa.
Possiamo dire che le funzioni fondamentali sono l’elemento costitutivo dell’ente
locale, la propria ragion d’essere; rappresentano l’insieme delle competenze che
lo Stato toglie agli enti territoriali minori per assicurarne l’esercizio ad un livello
maggiormente adeguato. Sono dunque funzioni che non possono essere oggetto
di applicazione del principio di sussidiarietà verticale, in quanto «per loro natura
non possono non essere ascritte ad un certo livello gerarchico istituzionale»34.
Accettando questa interpretazione, le funzioni proprie sono allora quelle che lo
Stato e le regioni attribuiscono agli enti locali in applicazione del principio di
differenziazione; rappresentano l’elemento distintivo di enti locali di un
medesimo livello, ovvero ciò che consente di differenziare le competenze
amministrative in base alle dimensioni degli enti o alla loro collocazione
territoriale ed economica. A questo punto per esclusione diventano funzioni
conferite tutte quelle mansioni che vengono allocate agli enti più vicini alla
cittadinanza, quelle che per loro natura prevedono l’applicazione del principio di
sussidiarietà. Sono quell’insieme di competenze che un tempo potevano essere
deferite ai livelli amministrativi gerarchicamente inferiori mediante l’istituto
della delega; ora che detto istituto non esiste più, queste funzioni non sono più
delegate dai livelli superiori, ma spettano a titolo originario al livello
gerarchicamente più vicino ai cittadini, quindi in primo luogo al comune35.
34
35
L. Olivieri, op. cit., pag. 210
L. Olivieri, op. cit., pag. 208
39
Chiarito che ai comuni, in quanto enti locali, spettano funzioni fondamentali,
proprie e conferite, e che cosa si debba con le stesse intendere, facciamo un passo
avanti e vediamo nel dettaglio quali sono le funzioni effettivamente attribuite ai
comuni.
Il primo comma dell’art. 13 del d.lgs. 267/2000 stabilisce che «spettano al
comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il
territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e
alla comunità, dell’assetto e dell’utilizzazione del territorio e dello sviluppo
economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla
legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze». Questa
formulazione legislativa ci consente di affermare che il comune è un ente a fini
generali, in quanto ha la facoltà di «esercitare tutte le competenze amministrative
riguardanti la propria comunità»36.
È bene notare che il testo legislativo parla di funzioni amministrative e non anche
di funzioni legislative: questo significa che le competenze attribuite ai comuni
riguardano esclusivamente l’amministrazione, nonostante la facoltà loro
accordata di adottare statuti e regolamenti. Del resto gli statuti sono atti volti a
disciplinare aspetti relativi alla configurazione istituzionale dell’ente più che a
dettare norme specifiche che i cittadini sono tenuti a seguire, mentre i
regolamenti possono essere considerati essi stessi strumenti amministrativi, in
quanto fissano in genere le regole generali cui il comune deve attenersi
nell’esercitare le proprie funzioni. Ai comuni sono dunque attribuite funzioni
precipuamente amministrative, nel senso che prevedono l’esercizio di attività
volte all’immediato perseguimento di interessi pubblici, all’indiretta cura di
interessi particolari attraverso la soddisfazione di interessi generali e al
bilanciamento tra il conseguimento dei primi e la compressione dei secondi, e le
potestà normative loro concesse sono comunque sempre preordinate alla
realizzazione di questo obiettivo. La funzione amministrativa dei comuni
consiste perciò nell’attuazione, mediante l’utilizzo di risorse economiche e
36
L. Olivieri, op. cit., pag. 222
40
finanziarie pubbliche, di tutte quelle previsioni normative che in astratto
definiscono gli interessi generali da perseguire nell’ambito della comunità locale.
Tuttavia, se da un lato l’art. 13 del Testo Unico stabilisce che il comune deve
svolgere le funzioni amministrative generali riguardanti la popolazione locale,
dall’altro la stessa norma specifica anche quali tra queste competenze devono
essere prese in considerazione e venire esercitate per prime dal comune per
adempiere in maniera corretta al proprio fine istituzionale. Queste funzioni
riguardano i servizi alla persona e alla comunità, l’assetto e l’utilizzazione del
territorio e lo sviluppo economico, ed essendo state individuate da una legge
dello Stato, possono a ragione essere considerate funzioni fondamentali tipiche,
senza le quali i comuni non avrebbero motivo di esistere.
Il legislatore ha posto dunque la sua attenzione sulle funzioni che possono
rendere un servizio in modo particolare alla persona, intesa non come singolo ma
come componente di una comunità; conseguentemente la promozione e lo
sviluppo della comunità e del territorio comunali devono essere perseguiti non
solo attraverso la soddisfazione di interessi eminentemente pubblici, ma anche
mediante la realizzazione di particolari categorie di interessi singoli; questo tipo
di attività infatti consente di ottenere ricadute benefiche su tutta la popolazione,
in quanto il miglioramento della qualità della vita dei singoli cittadini comporta
senz’altro anche un arricchimento della vita sociale dell’intera comunità locale.
La legge tuttavia non limita il campo di azione dei comuni ad un elenco ristretto
di funzioni definite in positivo, ma lascia alle singole amministrazioni libertà di
scelta per quel che riguarda gli scopi che intendono perseguire con la loro
attività. Non a caso «spettano al comune tutte le funzioni amministrative che
riguardano la popolazione ed il territorio comunale», mentre nella definizione dei
compiti da assolvere in via prioritaria viene usato il termine “precipuamente”,
che sta ad indicare perciò più una raccomandazione che non una prescrizione. È
pacifico dunque che il comune debba essere considerato un ente a competenza
generale, che può esercitare la propria attività anche relativamente a materie nelle
41
quali la legge non gli attribuisce esplicitamente la potestà amministrativa37.
L’art. 13 del Testo Unico precisa tuttavia che, nonostante la generalità delle
competenze in materia locale dei comuni, alcune funzioni possono essere
attribuite ad altri soggetti mediante legge statale o regionale. Questo significa che
per garantire l’adeguata realizzazione di determinati obiettivi, i comuni possono
essere espropriati delle proprie competenze tipiche, anche se di esclusivo
interesse locale, da parte dello Stato o delle regioni. Il tutto però deve avvenire
nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale (sancito dall’art. 3 dello stesso
Testo Unico e dalla Costituzione), che vuole che le funzioni pubbliche vengano
allocate all’ente più vicino alla popolazione nei limiti della garanzia
dell’adeguatezza e dell’unitarietà dell’azione amministrativa.
Il secondo comma dell’art. 13 del d.lgs. 267/2000 è volto alla promozione della
collaborazione fra enti locali: «Il comune, per l’esercizio delle funzioni in ambiti
territoriali adeguati, attua forme sia di decentramento, sia di cooperazione con
altri comuni e con la provincia». Questa norma è una specificazione del principio
di sussidiarietà verticale, in quanto consente di svolgere determinate funzioni non
esercitabili a livello comunale perché
troppo onerose dal punto di vista
organizzativo e finanziario, ad un livello ritenuto maggiormente adeguato, senza
dover per forza allocare le stesse a livelli amministrativi superiori (come le
province o le regioni). Lo sviluppo di queste forme amministrative ha avuto un
grande incremento in questi ultimi anni poiché ha consentito, grazie all’istituto
della convenzione, la creazione di strutture sovracomunali (che raccolgono tutti o
solamente alcuni comuni di una determinata zona) mediante le quali anche realtà
comunali molto piccole e con scarsità di risorse economiche sono riuscite a non
rinunciare all’esercizio di funzioni ritenute importanti dal punto di vista della
promozione delle comunità locali.
Ma la gamma delle funzioni amministrative attribuite ai comuni dal Testo Unico
non si esaurisce nelle competenze di interesse esclusivamente locale.
Nella tradizione amministrativa italiana infatti i comuni hanno sempre avuto il
37
Consiglio di Stato, sezione III, parere n. 239 del 27 aprile 1993
42
compito di espletare alcune funzioni di competenza statale ma di diretto impatto
con il territorio. Non a caso fino agli anni Settanta la funzione principale dei
comuni è stata la gestione dei servizi demografici.
L’art. 14 del d.lgs. 267/2000 disciplina dunque i compiti del comune per i servizi
di competenza statale: «Il comune gestisce i servizi elettorali, di stato civile, di
anagrafe, di leva militare e di statistica. Le relative funzioni sono esercitate dal
sindaco quale ufficiale di Governo, ai sensi dell’art. 54. Ulteriori funzioni
amministrative per servizi di competenza statale possono essere affidate ai
comuni dalla legge che regola anche i relativi rapporti finanziari, assicurando le
risorse necessarie». Questa norma stabilisce dunque tassativamente l’elenco delle
funzioni di competenza statale che i comuni sono chiamati a svolgere (servizi
elettorale, anagrafe, stato civile, statistica e leva militare). Decreta inoltre la
possibilità per lo Stato di delegare ai comuni lo svolgimento di altre funzioni di
competenza statale, che dovranno tuttavia essere individuate volta per volta dalla
legge, insieme alle risorse finanziarie che dovranno essere necessariamente
attribuite ai comuni per l’esercizio delle stesse.
È da notare il fatto che le funzioni amministrative in esame sono e restano di
competenza statale: lo Stato le svolge avvalendosi delle strutture comunali, ma i
comuni non ne diventano mai i titolari (le hanno per così dire soltanto in
gestione). Questo concetto è ancora più chiaro in considerazione del fatto che il
sindaco, che è l’organo preposto all’esercizio di dette funzioni (anche se nella
pratica le stesse vengono poi affidate ai funzionari preposti ai servizi
demografici), non agisce in veste di capo dell’amministrazione comunale, bensì
come ufficiale del Governo. In questo senso l’art. 14 del Testo Unico non può
essere considerato un’ulteriore specificazione del principio di sussidiarietà
verticale38.
38
L. Olivieri, op. cit., pag. 231
43
4.3. Le funzioni di servizio alla persona e alla comunità
La soddisfazione dei bisogni delle persone e delle comunità appartenenti ad un
determinato ambito territoriale è uno dei principali fini istituzionali dei comuni.
È logico infatti che la soluzione di molti problemi locali, alcuni dei quali di vitale
importanza, sia affidata proprio ai comuni, essendo questi la forma di ente
pubblico più vicina alla popolazione. Lo stesso art. 3 della Costituzione afferma
che è compito della Repubblica (intesa qui nel senso di insieme delle pubbliche
istituzioni e quindi comprendente anche i comuni) operare al fine di eliminare gli
ostacoli (principalmente quelli di ordine economico) che limitano la libertà degli
individui e ne impediscono il pieno sviluppo. Il comune, o meglio anche il
comune, ha perciò il compito sociale di aiutare le persone più deboli a vivere in
maniera dignitosa e ad inserirsi nella comunità in modo pieno, e a questo scopo
può operare nelle forme più svariate (che possono andare dalla concessione di
contributi e sussidi all’organizzazione e all’erogazione di tutta una gamma di
servizi, ma che in ogni modo rappresentano sempre attività volte alla
soddisfazione di bisogni dell’individuo). Solo una società in cui vengono
attenuate le disparità che impediscono alle persone di concretizzare le proprie
aspirazioni e di compiere le proprie scelte liberamente (ossia senza particolari
vincoli di carattere economico o sociale) può di fatto consentire ad ognuno di
realizzare pienamente la propria personalità, e senza dubbio una società di questo
tipo è più democratica e si troverà in futuro a dover risolvere un numero minore
di problematiche di carattere sociologico e psicologico. Di conseguenza la
realizzazione degli interessi del singolo consente di incrementare indirettamente
anche il benessere di tutta la comunità.
Non è dunque un caso che l’art. 13 del d.lgs. 267/2000 comprenda tra le attività
di preminente competenza comunale anche l’esercizio di funzioni di servizio alla
persona e alla comunità. La formulazione data dal Testo Unico è tuttavia
piuttosto generica, in quanto nella locuzione “servizi alla persona” possono
essere contenute una miriade di attività, finalizzate ciascuna alla soddisfazione di
44
bisogni differenti. Secondo l’ormai celeberrima piramide di Maslow39, i bisogni
vengono
classificati
secondo
una
gerarchia
basata
sulla
necessità
e
sull’imminenza della loro soddisfazione.
bisogno di autorealizzazione
bisogno di stima e di status sociale
bisogni sociali (o di appartenenza)
bisogno di sicurezza
bisogni fisiologici
Alla base si trovano perciò i bisogni più materiali per la persona umana, come
quelli fisiologici ed essenziali, mentre man mano che si sale si trovano bisogni
sempre più astratti e secondari; ogni volta che un bisogno di livello inferiore è
soddisfatto, le persone cessano di preoccuparsene e cominciano a ricercare la
soddisfazione di altri bisogni, questa volta di livello superiore.
Il comune, in quanto ente pubblico con lo scopo istituzionale di esercitare
funzioni di servizio alla persona e alla comunità, può contribuire a soddisfare una
molteplicità di bisogni, che nella gerarchia di Maslow occupano posizioni anche
diverse. Ovviamente, data la limitatezza delle risorse a disposizione, non tutti i
bisogni della popolazione potranno essere soddisfatti; su quali bisogni investire
le risorse pubbliche è come al solito una scelta politica, che dovrà essere fatta
dagli amministratori. Alcune norme tuttavia stabiliscono l’obbligo per i comuni
di erogare determinati servizi, quindi di fatto la discrezionalità politica può essere
esercitata limitatamente ai servizi non necessari per legge e tenendo logicamente
conto del vincolo di bilancio.
I servizi alla persona e alla comunità erogati dai comuni possono essere dunque i
più svariati; analizziamoli brevemente secondo l’ordine dei bisogni che sono
diretti a soddisfare, ossia risalendo la scala di Maslow dal basso verso l’alto.
Ovviamente in quest’ottica si incontrano prima i servizi volti a garantire la
39
A. H. Maslow, Motivation and personality, Harper & Row, New York 1954; trad. it. Motivazione e
personalità, a cura di E. Riverso, Armando, Roma 1973, pag. 87
45
soddisfazione di bisogni fondamentali e fisiologici dell’uomo, come l’erogazione
di acqua potabile, la gestione delle fognature, i servizi cimiteriali, la raccolta e lo
smaltimento dei rifiuti. È da notare come questo tipo di servizi spesso non
vengano gestiti in proprio, ma siano esternalizzati a imprese private mediante
contratti di appalto; a volte invece per la loro erogazione vengono create imprese
apposite, giuridicamente private ma a partecipazione comunale (aziende
municipalizzate). Qualunque sia la modalità con cui vengono forniti, è comunque
indubbio che questi servizi sono da ritenersi essenziali, in quanto è la legge stessa
a stabilirne la necessità dell’erogazione. Detti servizi poi sono fondamentali
anche nell’ottica della tutela dell’igiene e della sicurezza pubbliche, esigenze
queste che a ragione possono ben essere comprese fra i bisogni fondamentali che
i comuni sono tenuti a soddisfare. Infatti a norma del R.D. 773/1931 (Testo
Unico delle leggi di pubblica sicurezza) il sindaco ricopre il ruolo istituzionale di
autorità di pubblica sicurezza ed i comuni devono esercitare una stretta vigilanza
sui locali pubblici e su tutta una serie di attività (quali lotterie, sparo di mine,
sparo a salve, spettacoli e mestieri girovaghi) ritenute pericolose. Inoltre i comuni
devono vigilare sull’attività dei locali pubblici anche per ragioni di igiene
pubblica, secondo il dettato
del R.D. 1265/1934 (Testo Unico delle leggi
sanitarie), ed hanno la facoltà di non concedere (o revocare) la licenza di apertura
o di ordinare la chiusura dei locali qualora gli standard igienici fissati dalla legge
non siano rispettati. L’art. 33 del Testo Unico delle Leggi Regionali
sull’ordinamento dei comuni infine affida direttamente al sindaco la facoltà, in
casi di necessità ed urgenza, di emanare provvedimenti non contemplati dalla
legge in materia di igiene e sicurezza pubbliche.
Il livello superiore della piramide è occupato dal bisogno di sicurezza.
Come abbiamo appena visto il comune ha il compito, affidato al sindaco, di
garantire la sicurezza e l’ordine pubblico; anzi la legge considera la
soddisfazione di questo bisogno addirittura come una funzione che il comune è
tenuto obbligatoriamente ad esercitare (in pratica la sicurezza dei cittadini è
considerata dalla legge un bisogno fondamentale).
46
Salendo ancora nella piramide troviamo i bisogni sociali, fra i quali spiccano
l’amore ed il senso di appartenenza. Logicamente il comune non può sopperire
alle carenze affettive delle persone, ma può scegliere di erogare determinati
servizi al fine di incrementare l’aggregazione ed il senso di appartenenza ad una
comunità, bisogni questi che nella società sempre più globale, ma sempre più
individualista di oggi diventano ogni giorno più pressanti, soprattutto fra le
persone emarginate e sole, come anziani ed extracomunitari. Il comune può
allora intervenire nel campo dell’assistenza sociale al fine di combattere
situazioni di violenza e di degrado; può investire nella creazione di opportunità di
incontro e socializzazione per ingenerare nei cittadini la volontà di partecipare
attivamente alla vita della comunità; ancora può scegliere di aiutare le famiglie
nell’educazione dei figli, creando strutture di sostegno ai genitori, come asili
nido, scuole materne, centri giovanili; può infine realizzare infrastrutture dedicate
alla cultura e al tempo libero, quali biblioteche e impianti sportivi. Qualunque sia
la forma di intervento, questi servizi sono comunque di grande importanza non
solo per le singole persone che ne usufruiscono, ma per tutta la comunità locale,
in quanto offrono possibilità di incontro e di dialogo costruttivo fra i cittadini.
Infine troviamo i bisogni di stima e di autorealizzazione. Anche in questo ambito
il comune non può intervenire direttamente, ma può senza dubbio contribuire
investendo sulla cultura e sull’educazione; è ben noto infatti che cittadini con un
livello culturale medio-alto hanno la possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro
in posizioni corrispondenti alle proprie aspirazioni e alle quali sono associate in
genere retribuzioni maggiori. Questo inoltre consente al comune un risparmio
economico sugli interventi di carattere sociale, poiché è dimostrato che molte
situazioni di degrado della dignità umana si verificano proprio laddove mancano
cultura e mezzi finanziari; le risorse risparmiate possono inoltre essere utilizzate
dai comuni per investire nella realizzazione di bisogni ancora diversi, per cui
l’istruzione e la cultura possono essere a ragione considerate fattori di crescita
non solo personale, ma di tutta la comunità.
47
4.4. Le funzioni di assetto ed utilizzazione del territorio
Dopo l’erogazione di servizi alla persona e alla comunità, il d.lgs. 267/2000
affida ai comuni, tra le funzioni definite preminenti, anche la disciplina
dell’assetto e dell’utilizzazione del territorio.
A livello nazionale le norme di riferimento per l’esercizio di questa funzione
sono rispettivamente la L. 1150/1942 per quel che riguarda l’urbanistica e il
d.p.r. 380/2001 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia) per quanto attiene all’edilizia. Entrambe queste norme fissano i
principi fondamentali che devono essere seguiti nella realizzazione degli
interventi sul territorio; in particolare la L. 1150/1942 pone in capo ai comuni
l’obbligo di approvare il Piano Regolatore Generale, mentre il d.p.r. 380/2001
stabilisce l’obbligo di adottare il regolamento edilizio comunale.
Il Piano Regolatore Generale è un atto mediante il quale il territorio comunale
viene interamente suddiviso in aree, ciascuna delle quali ha una ben definita
destinazione. Grazie a questo strumento il comune può perciò pianificare lo
sviluppo del centro abitato e stabilire quali aree debbano essere riservate alle
residenze private, al commercio, alla produzione agricola o siano soggette a
vincoli di natura paesaggistico-ambientale. A dire il vero la L. 1150/1942 aveva
posto anche l’obbligo di realizzare dei piani territoriali di coordinamento, i quali
però hanno avuto scarsa attuazione. Il regolamento edilizio comunale invece ha
principalmente la funzione di disciplinare il funzionamento della Commissione
edilizia comunale e di specificare i vincoli architettonici e le norme igieniche cui
devono sottostare gli edifici di nuova costruzione. Da questo punto di vista il
regolamento edilizio chiarisce ed integra le disposizioni contenute nel Codice
Civile, soprattutto per quanto riguarda l’indicazione ed il rispetto dei confini. La
combinazione di questi strumenti normativi consente quindi al comune di gestire
il proprio territorio in maniera equilibrata e di programmare l’espansione del
centro abitato in modo armonioso e coerente con le esigenze di tutela
dell’ambiente e del paesaggio.
Nella Regione Trentino - Alto Adige tuttavia urbanistica ed edilizia sono materie
48
che lo Statuto di Autonomia attribuisce alla competenza primaria provinciale, per
cui anche la Provincia di Trento si è dotata di una sua norma di riferimento, la
L.P. 22/1991. Ciononostante lo svolgimento delle funzioni di assetto ed utilizzo
del territorio, anche se è regolato da norme diverse da quelle poste per il resto
d’Italia, segue comunque gli stessi principi ispiratori; la L.P. 22/1991 affida ai
comuni gli stessi compiti e gli stessi obiettivi della normativa nazionale, per la
realizzazione dei quali attribuisce loro strumenti amministrativi del tutto simili
se non addirittura uguali. A norma dell’art. 4 di detta legge infatti «i comuni
hanno la gestione del proprio territorio, provvedono alla formazione degli
strumenti urbanistici comunali, esercitano la vigilanza sull'attività edilizia e
adottano gli altri provvedimenti di loro competenza». Lo strumento principale
con cui il comune esercita la funzione di pianificazione del territorio è anche in
questo caso il Piano Regolatore Generale, di cui all’art. 13 della L.P. 22/1991;
questo viene adottato dal Consiglio comunale ed ha l’obiettivo di definire
«direttive, prescrizioni e vincoli da osservare nella formazione dei piani attuativi
e dei piani di lottizzazione e per l'esecuzione degli interventi sul territorio». Il
Consiglio comunale deve inoltre approvare, a norma dell’art. 21, il regolamento
edilizio comunale.
La legge tuttavia affida ai comuni non solo il compito di pianificare l’utilizzo del
territorio, ma anche quello di tutelarlo, sia per quel che riguarda la conservazione
dei beni di interesse storico e culturale, sia dal punto di vista ambientale. Per la
provincia di Trento l’art. 24 della L.P. 22/1991 stabilisce che «la tutela del
tessuto storico, sociale, culturale ed economico degli insediamenti storici
costituisce elemento necessario per la pianificazione urbanistica», mentre l’art.
26 dispone che «nell'elaborazione degli strumenti di pianificazione e delle loro
varianti devono essere tenute in particolare considerazione le esigenze di tutela
dall'inquinamento atmosferico, idrico, acustico e di smaltimento dei rifiuti
nonché di stabilità e sicurezza dei terreni, in relazione alla localizzazione degli
interventi sul territorio.»
L’art. 24 bis della medesima norma attribuisce inoltre ai comuni del Trentino
49
l’ulteriore onere della conservazione e valorizzazione del patrimonio edilizio
montano esistente: «I piani regolatori generali e i regolamenti edilizi dei comuni,
anche al fine di consentire il riutilizzo a fini abitativi del patrimonio edilizio
tradizionale, disciplinano le condizioni e le modalità che devono essere osservate
nell'esecuzione degli interventi di recupero, di conservazione e di valorizzazione
del patrimonio medesimo destinato originariamente ad attività agricole e silvopastorali».
È appena il caso di evidenziare che anche la realizzazione di opere o interventi da
parte dei comuni stessi deve di norma sottostare ai principi e alle regole stabilite
dalle leggi in materia. Sarebbe infatti un controsenso che i comuni
disciplinassero rigidamente l’attività dei privati al fine di tutelare il territorio ed il
patrimonio ambientale e poi potessero essi stessi agire al di fuori delle regole.
L’art. 80 della L.P. 22/1991 (ma a livello nazionale si possono riscontrare regole
del tutto analoghe) stabilisce a questo proposito che «le opere pubbliche dei
comuni, anche associati o riuniti, sono deliberate dagli organi competenti in
conformità alle previsioni degli strumenti di pianificazione e alle norme in
vigore». Bisogna tuttavia precisare che per alcuni casi particolari (e comunque di
interesse pubblico) la Provincia (la Regione nel resto d’Italia) ha facoltà di
accordare il permesso di effettuare interventi in deroga alla normativa (art. 104
L.P. 22/1991).
La legge infine pone in capo al comune l’onere di vigilare sull’utilizzo del
territorio e sullo svolgimento dell’attività edilizia, nonché di reprimere i
comportamenti contrari ai principi e alle regole da essa sanciti in materia; a tale
scopo ha messo a disposizione dell’ente tutta una serie di strumenti di controllo
preventivi (concessione edilizia, autorizzazioni e permessi vari) e repressivi
(sanzioni, sospensioni, limitazioni della proprietà privata, demolizioni delle opere
abusive) che gli attribuiscono un potere volto a garantire di fatto il rispetto delle
norme vigenti. Ancora una volta la norma di riferimento per la provincia di
Trento è la L.P. 22/1991, che all’art. 117 stabilisce che «il sindaco esercita la
vigilanza su ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del
50
territorio comunale al fine di assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di
regolamento agli strumenti di pianificazione territoriale e ai provvedimenti di
concessione, di autorizzazione o alle denunce d'inizio di attività; a tal fine si
avvale dei funzionari comunali o di incaricati».
4.5. Le funzioni di sviluppo economico
A norma dell’art. 13 del d.lgs. 267/2000 la funzione di sviluppo economico è
l’ultimo dei compiti di preminente interesse comunale. Come abbiamo già avuto
modo di osservare per le funzioni di servizio alla persona, anche la locuzione
“sviluppo economico” è molto generica e può comprendere una miriade di
funzioni; quello che interessa sottolineare in questa sede è il fatto che i comuni
hanno il compito istituzionale di promuovere lo sviluppo delle realtà economiche
locali, ma per fare questo devono avere lo sguardo attento ai bisogni non
realizzati della popolazione ed operare in un’ottica di coordinamento con la
politica del territorio attuata, altrimenti la ricchezza economica rischia di andare a
scapito di altri interessi che il comune deve comunque soddisfare. Questo
significa che tutte le decisioni prese dall’amministrazione comunale possono
potenzialmente avere un impatto sulle attività economiche locali; non occorre
cioè che una decisione riguardi direttamente il settore economico per avere un
feed-back sul benessere e sulla ricchezza dei cittadini. Nelle funzioni di sviluppo
economico possono allora rientrare in primo luogo tutte le decisioni relative alla
destinazione economica delle aree comunali stabilita nel Piano Regolatore
Generale; infatti è abbastanza logico che a seconda della proporzione di territorio
(rispetto al totale) che viene riservata alle attività produttive (siano esse agricole,
industriali o commerciali), si avrà una connotazione diversa dell’attività
lavorativa, e quindi del grado di ricchezza, della popolazione residente. Inoltre,
prescindendo dalla mobilità della forza lavoro, la presenza di industrie sul
territorio crea nuova occupazione, per cui in genere si verifica un’espansione
numerica della popolazione, attratta da nuove prospettive lavorative; questa a sua
volta richiama altre attività commerciali in quanto abbisogna di nuove abitazioni
51
e di un certo numero di servizi, che in parte vengono forniti dal settore pubblico e
in parte dai privati. Nella pianificazione del territorio perciò il comune deve
tenere in considerazione tutti questi fattori e deve riuscire a perseguire uno
sviluppo economico compatibile sia con il proprio vincolo di bilancio, sia con la
tutela dell’ambiente. Quest’ultimo aspetto assume ancora maggiore importanza
nelle zone ad alta vocazione turistica, dove si rende sempre più necessario
contemperare l’esigenza di espandere le attività turistiche in quanto apportatrici
di ricchezza con la necessità di difendere il territorio da scempi paesaggistici e da
sfruttamenti selvaggi delle risorse naturali.
Un altro aspetto della pianificazione del territorio che ha un notevole impatto
anche sull’economia locale è la costruzione di infrastrutture di viabilità; per
produrre nel modo adeguato infatti, le attività economiche hanno bisogno di una
forte rete di vie di comunicazione, e a sua volta la presenza di infrastrutture di
trasporto incentiva la creazione di nuove imprese. Pertanto le decisioni relative
alla realizzazione di lavori pubblici da parte dei comuni influenzano non soltanto
l’assetto del territorio e del paesaggio, ma anche il suo sviluppo economico.
Questo dimostra come le funzioni spettanti ai comuni a norma dell’art. 13 del
d.lgs. 267/2000, sebbene formalmente suddivise in tre tipologie distinte, siano in
realtà strettamente correlate fra loro e non possano essere esercitate se non in
base ad una politica armoniosa e coordinata, in un’ottica di ampio respiro che sia
coerente con gli obiettivi che l’amministrazione si propone di raggiungere; ciò
significa che, nonostante la discrezionalità amministrativa di cui sono dotati,
nell’esercizio di una delle tre funzioni indicate dal Testo Unico, i comuni non
possono mai prescindere del tutto dallo svolgimento delle altre due.
Nelle funzioni di sviluppo economico attribuite ai comuni dall’art. 13 del d.lgs.
267/2000 rientra infine senza dubbio anche la disciplina delle licenze per gli
esercizi commerciali, che la legge dello Stato affida alla competenza regionale, e
che pertanto in provincia di Trento è regolamentata dalla L.P. 4/2000; questa
legge infatti attribuisce ai comuni discrezionalità, oltre che per quel che riguarda
la destinazione commerciale delle aree stabilita con il Piano Regolatore Generale,
52
anche per la determinazione della superficie degli esercizi (e dei relativi
parcheggi) e per la fissazione degli orari di apertura e di chiusura giornalieri e
settimanali (stabiliti mediante decreto del sindaco). Questi poteri quindi possono
essere visti come piccoli strumenti nelle mani dell’amministrazione che, se
utilizzati in maniera coordinata, possono favorire oppure per disincentivare la
nascita di nuove attività economiche; è chiaro perciò come anche l’esercizio di
questa funzione abbia un impatto diretto sul benessere locale, inteso non soltanto
in senso economico, ma anche in termini di disponibilità per la popolazione di
beni e servizi.
4.6. Le funzioni amministrative per servizi di competenza statale
Abbiamo visto come, a norma dell’art. 14 del d.lgs. 267/2000, lo Stato svolga
servizi di sua competenza utilizzando le strutture dei comuni. L’esercizio di
queste funzioni (anagrafe, stato civile, elettorale, statistica e leva militare),
essendo affidato in gestione ai comuni mediante legge dello Stato, è un loro
preciso obbligo e non comporta pertanto alcun tipo di discrezionalità
amministrativa (addirittura non comporta nemmeno discrezionalità organizzativa,
in quanto le direttive riguardanti queste funzioni vengono emanate direttamente
dal Ministero dell’Interno tramite circolari).
Il servizio di anagrafe è regolato dalla L. 1228/1954, mentre il servizio di stato
civile segue ora le disposizioni del d.p.r. 396/2000, che ha notevolmente
semplificato l’esercizio di questo ufficio. Entrambe queste norme disciplinano
dettagliatamente tutti i compiti attribuiti agli ufficiali di anagrafe e di stato civile
e stabiliscono le modalità con cui questi devono essere svolti. L’attività
anagrafica riguarda essenzialmente l’aggiornamento continuo della popolazione
residente all’interno del comune e la registrazione di tutti i movimenti migratori
della popolazione sia in entrata che in uscita dal comune (compresa la
popolazione emigrata all’estero, che viene perciò iscritta all’Anagrafe degli
Italiani Residenti all’Estero), mentre l’attività dell’ufficio di stato civile riguarda
la tenuta dei registri dei nati e dei morti all’interno del comune e dei cambiamenti
53
intervenuti appunto nello stato civile delle persone (come matrimoni, separazioni,
divorzi, riconoscimenti di paternità, variazioni di nomi, cognomi e cittadinanza).
Nonostante riguardino aspetti differenti della popolazione, queste due funzioni
hanno in realtà un obiettivo analogo (tant’è vero che nei comuni in genere sono
svolte dal medesimo ufficio): la tenuta e l’aggiornamento dei registri di anagrafe
e stato civile è infatti un’attività di certazione, ossia un’attività che ha lo scopo di
dare certezza a notizie riguardanti condizioni personali dei cittadini; per questo
motivo non possono essere analizzate separatamente, anche perché si integrano e
si completano a vicenda.
Per quel che riguarda la funzione elettorale, lo Stato affida ai comuni il compito
di aggiornare a scadenze periodiche (in genere semestrali) gli elenchi dei cittadini
che hanno diritto di voto in quanto residenti all’interno del territorio comunale.
Vengono perciò costantemente inseriti negli elenchi elettorali i cittadini italiani
che hanno raggiunto la maggiore età o che sono immigrati nel comune, mentre
vengono eliminati dagli elenchi coloro che sono deceduti o emigrati in altri
comuni.
I compiti dei comuni riguardanti la leva militare si risolvono essenzialmente
nell’aggiornamento periodico delle liste di leva (inserimento dei maschi residenti
nel comune che hanno raggiunto il diciottesimo anno di età) ed il trasferimento
delle stesse al Distretto militare competente, il quale a sua volta rimette poi al
comune il compito di notificare agli interessati i congedi e le chiamate alla leva.
Questa funzione comunque è destinata progressivamente a diminuire fino ad
esaurirsi fra qualche anno con la definitiva soppressione dell’obbligo di leva.
Il comune infine ha l’obbligo a scopo statistico di raccogliere per conto dello
Stato dati riguardanti la popolazione e l’economia locale; questi dati devono
essere trasmessi all’ISTAT, che li rielabora e li aggrega a livello nazionale (in
provincia di Trento tuttavia questa funzione è svolta, anziché dall’ISTAT,
dall’Ufficio provinciale di statistica).
54
4.7. Le funzioni amministrative strumentali
I comuni infine svolgono una serie di funzioni che, pur non essendo volte al
diretto perseguimento degli interessi della popolazione, sono comunque di
importanza fondamentale, in quanto senza di esse nessun bisogno potrebbe
essere soddisfatto. Si tratta delle funzioni di raccolta e gestione delle risorse
finanziarie, del reclutamento e della direzione del personale dipendente. Tali
attività consentono ai comuni di attuare le proprie politiche e di perseguire i
propri obiettivi; senza queste funzioni i comuni non avrebbero la possibilità di
agire, da un lato per la mancanza di fondi, che determinerebbe l’impossibilità di
operare qualsivoglia spesa, dall’altro per la mancanza di persone in grado di
occuparsi concretamente della gestione delle risorse e della messa in atto delle
decisioni politiche prese dagli amministratori.
La raccolta di risorse avviene essenzialmente tramite le imposte comunali
(soprattutto ICI, ma in parte anche l’addizionale comunale IRPEF) e altre poche
entrate derivanti in genere perlopiù dalla gestione di beni immobili. Il gettito
derivante dalle imposte segue come logico le disposizioni di diritto tributario: per
l’ICI la norma di riferimento è il d.lgs. 504/1992, mentre l’addizionale comunale
IRPEF è disciplinata dal d.lgs. 360/1999.
La gestione degli immobili è regolata invece da norme di diritto privato, anche se
alcuni tipi di beni pubblici (beni appartenenti al demanio o al patrimonio
indisponibile) devono seguire una disciplina particolare, sia per quanto riguarda
il loro utilizzo che la loro vendita.
La gestione del bilancio comunale avviene secondo il regolamento di contabilità
(che ogni comune è tenuto ad adottare) e le altre norme sancite dal nuovo
ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, contenuto nella parte
seconda del d.lgs. 267/2000. Entro il 31 dicembre di ogni anno il Consiglio
comunale deve approvare il bilancio preventivo per l’anno successivo, nel quale
devono essere indicate tutte le spese che il comune intende effettuare e tutte le
entrate mediante le quali tali spese saranno finanziate. Il principio che deve
essere seguito infatti è quello per cui non può essere prevista alcuna spesa se non
55
viene stabilita anche la relativa fonte di finanziamento, per cui il bilancio deve
essere sempre in pareggio. Sia le entrate che le spese sono suddivise per capitoli,
ossia per aree di intervento omogenee; con il bilancio preventivo viene destinata
ad ogni capitolo di spesa una determinata somma (proveniente ovviamente dai
capitoli delle entrate) che durante l’anno può essere usata per effettuare le spese
relative a quell’area di intervento. Una volta esaurita la somma disponibile,
nessuna spesa può più essere effettuata relativamente a quel capitolo, a meno che
non intervengano in corso d’anno variazioni di bilancio, con le quali
l’amministrazione può decidere di trasferire fondi da alcuni capitoli ad altri. In
questo modo la legge obbliga gli amministratori dei comuni a controllare
costantemente la situazione finanziaria ed impedisce che possano essere
effettuate spese superiori a quelle previste, per le quali mancherebbe la relativa
copertura finanziaria.
La gestione del personale dipendente infine, dopo la privatizzazione del pubblico
impiego operata dal d.lgs. 29/1993 (incluso successivamente nel d.lgs. 165/2001
Testo Unico del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), segue
nella maggior parte dei casi le norme di diritto del lavoro vigenti e la disciplina
posta dalla contrattazione collettiva; il reclutamento del personale tuttavia
avviene sempre mediante concorso a norma dell’art. 97 della Costituzione, il
quale al terzo comma sancisce che «[a]gli impieghi nelle pubbliche
amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».
In questo modo la legge cerca di garantire che la pubblica amministrazione
rispetti i principi di imparzialità e buon andamento sanciti dal primo comma
dello stesso articolo e che le posizioni lavorative siano occupate effettivamente
da personale capace e competente.
56
5. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE
APPLICATO ALLE FUNZIONI COMUNALI
5.1. Il principio di sussidiarietà orizzontale come anello di collegamento fra
cittadini ed amministrazioni comunali
Abbiamo visto precedentemente come il principio di sussidiarietà orizzontale
sancito dall’art. 118 ultimo comma della Costituzione rappresenti la formale
legittimazione delle azioni volte al perseguimento di finalità di interesse generale
intraprese dalla società civile. Di conseguenza i cittadini possono intraprendere
qualunque azione che possa recare beneficio a tutta la collettività senza correre il
rischio di trovarsi di fronte ad ostacoli o di incappare in sanzioni da parte delle
amministrazioni; in pratica nessun cittadino potrà più essere multato “per eccesso
di cittadinanza”, come in alcuni casi è successo in passato. Almeno in linea di
principio dunque i cittadini possono intervenire ogniqualvolta lo ritengano
opportuno al fine di collaborare con le amministrazioni alla soddisfazione dei
bisogni della collettività; questo in teoria comporta che i cittadini possano dare il
proprio apporto anche per quanto riguarda l’esercizio di tutte le funzioni di
competenza comunale esaminate nel capitolo precedente. Nella realtà tuttavia le
cose sono un po’ più complicate di come possono sembrare ad una prima
sommaria analisi. Da un lato infatti è impensabile che il perseguimento di
determinati obiettivi, affidato alle pubbliche istituzioni direttamente dalla legge,
sia rimesso nelle mani di cittadini che, per quanto spinti dalle migliori intenzioni
e dai più buoni propositi, operano a titolo volontario e non sono pertanto
obbligati ad intervenire se non appunto perché mossi dal proprio senso di
responsabilità. Questi inoltre spesso non hanno nemmeno le competenze
necessarie per gestire i beni pubblici e perseguire finalità generali: abbiamo visto,
analizzando le funzioni comunali, quante siano le norme che devono essere
seguite perché l’amministrazione operi in modo legittimo; solamente persone con
57
alle spalle un lungo percorso di studi giuridici possono districarsi agevolmente in
questo labirinto, e non è detto che comuni cittadini, che si danno da fare per
migliorare la società in cui vivono mossi solamente da senso civico e buona
volontà, abbiano tale caratteristica. Non è dunque nemmeno da prendere in
considerazione l’ipotesi che le amministrazioni comunali possano esimersi dai
loro compiti nel momento in cui cittadini volenterosi si dedichino alla
realizzazione di obiettivi di utilità collettiva, né tanto meno gli stessi cittadini
possono pretendere di sostituirsi con le loro iniziative all’operato delle istituzioni.
L’azione volontaria dei cittadini per finalità di interesse generale non può
risolversi dunque che in forme di collaborazione con le amministrazioni, nel
pieno rispetto delle norme di legge vigenti.
Tuttavia, se da un lato i comuni non possono devolvere i loro compiti ai cittadini
in un’ottica di privatizzazione delle funzioni pubbliche, dall’altro non possono
nemmeno ostacolare le azioni intraprese della società civile (naturalmente una
volta assodato che queste rientrano nei parametri fissati dalla legge), poiché
altrimenti sarebbero essi stessi a violare un principio costituzionale, che come
tale sono tenuti ad osservare; anche le amministrazioni comunali quindi devono
per forza di cose abituarsi all’ingerenza delle formazioni della società civile
nell’esercizio delle loro funzioni, e per fare questo devono sforzarsi di operare un
cambio di mentalità, abbandonando definitivamente l’idea che i cittadini sono
protagonisti passivi della vita amministrativa; i comuni soddisfano interessi e
gestiscono beni appartenenti alla collettività e per questo motivo i cittadini hanno
non soltanto il diritto, ma anche il dovere morale di interessarsi a tali questioni e
di pretendere di parteciparvi giorno per giorno. Ma se da una parte le
amministrazioni devono cambiare atteggiamento nei confronti dei cittadini,
dall’altra anche i cittadini devono abbandonare la pretesa che le stesse
amministrazioni si occupino sempre di tutti i loro bisogni e li assecondino in tutte
le loro richieste. Infatti nonostante la grande diffusione di associazioni e gruppi
che volontariamente e con grande altruismo si adoperano per intraprendere
iniziative che vanno a beneficio di tutti, è diffusa e radicata la mentalità che le
58
amministrazioni pubbliche, specialmente quelle più vicine alla popolazione e al
territorio come appunto i comuni, siccome hanno il potere di imporre e
raccogliere tributi, devono provvedere a tutto ciò di cui i cittadini-contribuenti
hanno bisogno. La maggior parte della popolazione ignora che la principale fonte
di finanziamento dei comuni, ossia il gettito derivante dalle imposte comunali, è
ridotta ormai quasi esclusivamente all’ICI. I comuni dunque sono sempre più a
corto di risorse, a fronte di spese che tendono continuamente ad aumentare, per
cui si trovano a dover far i conti con il pareggio del bilancio, proprio come
avviene nelle normali famiglie: è logico pertanto che, nell’ambito della loro
discrezionalità, gli amministratori si trovano a dover fare delle scelte politiche
relative al livello di pressione fiscale da imporre e alla priorità dei bisogni da
soddisfare. Non si può pretendere di ridurre il prelievo fiscale ed aumentare la
quantità (e magari anche la qualità) dei servizi offerti, come non si può
pretendere che le amministrazioni soddisfino sempre le esigenze di tutti. Il
principio di sussidiarietà orizzontale, offrendo la possibilità di collaborare per la
realizzazione di interessi riguardanti la collettività, rappresenta perciò l’anello di
collegamento tra cittadini ed amministrazioni comunali: ogni volta che i cittadini,
anziché limitarsi a prendere atto passivamente che c’è un problema da risolvere,
assumono la consapevolezza dell’importanza della propria azione e provano a
collaborare con l’amministrazione comunale per trovare una soluzione efficace,
viene data piena attuazione a questo principio costituzionale. Non occorre che i
cittadini compiano chissà quali grandi opere o inventino nuove soluzioni
tecnologiche perché il loro contributo possa avere una qualche utilità per la
comunità in cui vivono; da questo punto di vista il principio di sussidiarietà
orizzontale può essere tradotto concretamente in semplici azioni quotidiane,
come ad esempio la differenziazione dei rifiuti, che i cittadini possono eseguire
solamente con un po’ di attenzione, ma che sommate insieme assumono una
grande importanza per tutta la collettività. Se tutti si rendessero conto che ogni
singolo gesto di civiltà, per quanto insignificante possa sembrare, rappresenta un
piccolo apporto alla causa comune, e decidessero perciò di fare ciascuno la
59
propria parte in maniera responsabile, soltanto con questo starebbero già
osservando un principio costituzionale. Sembra niente, ma nella società attuale,
sempre più individualista ed estranea ai valori della solidarietà e del rispetto per i
beni appartenenti alla comunità, questo è già molto.
5.2. Ambito di applicazione e modalità di attuazione del principio di
sussidiarietà orizzontale da parte dei cittadini
Sappiamo che con il principio di sussidiarietà orizzontale i cittadini possono
intraprendere iniziative volte alla soddisfazione di interessi generali. Tale
principio è da ritenersi direttamente applicabile, nel senso che non sono
necessarie interpretazioni legislative o norme attuative per poter svolgere una
qualunque azione civica in base all’art. 118 ultimo comma della Costituzione.
Questa impostazione del resto è sempre stata sostenuta fin dall’entrata in vigore
del nuovo testo costituzionale da tutte quelle organizzazioni che si preoccupano
di sostenere e diffondere la sussidiarietà orizzontale. I cittadini possono quindi da
subito intraprendere azioni civiche a sostegno dell’operato delle amministrazioni
comunali, senza dover attendere altro.
Dobbiamo tuttavia chiederci a questo punto quale sia l’ambito di applicazione del
principio di sussidiarietà orizzontale, ossia in quali funzioni amministrative
anche i cittadini possano svolgere un ruolo attivo, focalizzando la nostra
attenzione in modo particolare su quelle tipiche dei comuni. Innanzitutto c’è da
dire che la legge non stabilisce nulla in proposito, per cui si può ragionevolmente
ritenere che i cittadini siano liberi di agire in qualunque campo, purché questo
non sia loro precluso da un atto normativo. Interpretando il principio, possiamo
però affermare che l’art. 118 ultimo comma della Costituzione conferisce ai
cittadini e alle loro formazioni sociali la facoltà di occuparsi «della produzione,
della cura e della riproduzione dei beni comuni»40. Secondo la definizione data
dal sociologo Carlo Donolo «i beni comuni sono beni che una società (…)
detiene in comune. I beni pubblici o comuni sono una classe di beni che si
40
G. Moro, Manuale di cittadinanza attiva, Carocci editore, Roma 1998, pag. 39
60
presentano nell’esperienza sociale come presupposti di ogni forma di agire e
insieme come esiti – voluti e non voluti – dell’interazione tra attori. Esempi
classici di tali beni sono un paesaggio apprezzato, la vivibilità urbana, la fiducia
negli scambi sociali, un saper fare diffuso»41. In base a questa espressione è
impossibile stilare un elenco che comprenda tutti i beni comuni, poiché, per
quanto dettagliato, questo sarebbe comunque sempre incompleto. I beni comuni
sono dunque quei beni, non necessariamente tangibili e misurabili, dai quali
ognuno può ricavare un beneficio diretto o indiretto. Per questo motivo possiamo
«considerare all’interno dei beni comuni anche i beni pubblici, vale a dire quelle
risorse, quei servizi e quelle infrastrutture che sono di proprietà pubblica o
collettiva e, almeno potenzialmente, a disposizione di tutti»42. I beni pubblici
sono accomunati da due caratteristiche: essi sono non escludibili (ossia il loro
utilizzo non può essere impedito ad alcun soggetto) e non rivali nel consumo
(ossia il loro utilizzo da parte di un soggetto non impedisce che
contemporaneamente ne fruiscano anche altri soggetti, senza per questo che
l’utilità di alcuno di essi diminuisca)43. In effetti i beni dotati di entrambe queste
peculiarità sono veramente pochi; la maggior parte dei beni che nel gergo
vengono comunemente definiti pubblici sono in realtà rivali nel consumo, nel
senso che il loro utilizzo può alla lunga dare luogo a quella che Hardin chiamò
“tragedia dei beni comuni”44: quando l’accesso ad una risorsa è illimitato, ossia
quando la proprietà fa capo ad una collettività, si determina l’utilizzo
indiscriminato della stessa da parte di tutti i proprietari, i quali non considerano
gli effetti delle azioni individuali sui beni di tipo collettivo; di conseguenza la
risorsa è destinata ad esaurirsi. Per evitare lo sfruttamento indiscriminato del
bene ed il suo conseguente esaurimento, la gestione di questo viene affidata
all’ente pubblico, che ne regolamenta l’accesso e l’utilizzo da parte dei membri
della collettività in modo che tutti possano goderne, ma che venga al contempo
41
C. Donolo, L’intelligenza delle istituzioni, Feltrinelli, Milano 1997, pag. 20
G. Moro, op. cit., pag. 40
43
P. Bosi (a cura di), Corso di scienza delle finanze, Il mulino, Bologna 1996, pag. 65
44
G. Hardin, The tragedy of the commons, in J. Baden, G. Hardin, Managing the commons, Freeman &
C., New York 1977, pag. 21
42
61
preservata l’integrità e l’efficienza del bene stesso. Anche i comuni, in quanto
enti pubblici, hanno il compito di gestire beni di proprietà collettiva; poiché essi
inoltre rappresentano l’istituzione territorialmente più vicina ai bisogni e alle
necessità della popolazione, la legge affida loro in particolare il compito di
amministrare i beni pubblici di interesse locale.
Il principio di sussidiarietà orizzontale introduce tuttavia un modo nuovo di
governare i beni collettivi: gli enti pubblici continuano ad occuparsi della loro
gestione, ma ora anche i privati cittadini possono responsabilmente intraprendere
azioni volte alla cura dei beni comuni, intesi qui nel senso ampio della parola,
ossia comprendendo anche quel complesso di beni intangibili (come ad esempio
un bel paesaggio) il cui godimento, seppur impercettibile, determina un
incremento nel benessere di chi ne fruisce.
Sapendo che l’art. 13 del d.lgs. 267/2000 affida ai comuni «tutte le funzioni
amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale,
precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità,
dell’assetto e dell’utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico»,
vediamo dunque nel dettaglio quali possono essere gli ambiti di applicazione del
principio di sussidiarietà orizzontale e quali le azioni che i cittadini possono in
concreto attuare al fine di collaborare con le amministrazioni comunali alla
gestione dei beni collettivi di interesse locale.
5.2.1. I servizi alla persona e alla comunità
Il primo ambito comunale di applicazione del principio di sussidiarietà
orizzontale è dunque, a norma dell’art. 13 del Testo Unico sull’ordinamento degli
enti locali, quello dei servizi alla persona. Come è facile intuire, la quantità di
attività che i cittadini possono intraprendere al fine di incrementare il livello di
benessere di tutta la comunità è veramente enorme, data l’eterogeneità dei
bisogni da soddisfare. In particolare, i servizi maggiormente interessati
dall’applicazione del principio saranno quelli legati ai settori delle problematiche
sociali, dell’istruzione e del tempo libero.
62
Per quanto riguarda le problematiche sociali, le iniziative civiche attuabili dalla
popolazione possono concernere questioni come l’immigrazione, la condizione
degli anziani, dei minori e dei disabili, il degrado delle periferie urbane, il disagio
giovanile. Sicuramente questo tipo di problematiche interessano principalmente i
grossi centri urbani; non ne sono tuttavia estranei nemmeno i piccoli centri, in
quanto la globalizzazione interessa purtroppo anche questo tipo di fenomeni. Lo
spirito di solidarietà che nella maggior parte dei casi è il motore delle azioni
intraprese dalla società civile può spingere i cittadini a cimentarsi in questi campi
nei modi più svariati. Vediamo solo alcuni esempi degli interventi che possono
essere attuati.
Considerando il problema dell’inserimento sociale e lavorativo degli immigrati,
la cittadinanza attiva potrebbe intervenire mediante la creazione di sportelli di
incontro tra domanda ed offerta di lavoro; molte famiglie italiane si trovano
infatti a dover affrontare il problema della cura di anziani non autosufficienti e
cercano pertanto persone disposte ad assisterli a tempo pieno. Del resto poche
persone sono ormai disposte a svolgere questo tipo di lavori, che pertanto
vengono affidati in genere a donne immigrate. Cittadini sensibili a questo tipo di
problemi potrebbero costituire una rete di contatti tra famiglie che hanno la
necessità di trovare qualcuno disposto a prendersi cura dei congiunti bisognosi da
un lato ed immigrate in cerca di lavoro dall’altra, assicurandosi che tali persone
siano in regola con i permessi di soggiorno, curando gli aspetti legali e fiscali
della collaborazione, raccogliendo magari anche referenze e, perché no, offrendo
quel po’ di formazione che basta per prendersi cura di anziani ed ammalati in
modo adeguato.
Altri cittadini potrebbero invece decidere di occuparsi della condizione giovanile
e della prevenzione dei disagi e delle problematiche legate alle dipendenze,
soprattutto nelle periferie delle grandi città, dove la microcriminalità e la
malavita sembrano farla da padrone. A questo proposito è bene ricordare il ruolo
centrale che rivestono gli oratori, i quali hanno alle spalle una lunghissima
tradizione nel campo dell’educazione e della formazione dei giovani e da più di
63
due secoli sono luoghi in cui il principio di sussidiarietà viene concretamente
applicato. Non a caso il nostro legislatore ha recentemente emanato una legge (L.
206/2003) che ne riconosce l’importante ruolo educativo e ne incentiva l’attività.
Al di là di questo aspetto comunque c’è da dire che le iniziative che possono
essere intraprese nel campo giovanile sono veramente molte e svariate: si va dalla
creazione di semplici punti di aggregazione (magari in strutture messe a
disposizione dal comune come già avviene in molte città) alla più complessa
organizzazione di attività con cadenze regolari nel corso della settimana, come
corsi di musica, teatro, danza e quant’altro può destare l’interesse dei giovani.
L’aumento numerico degli anziani è e sarà in futuro uno dei più grossi problemi
e allo stesso tempo una delle più grosse opportunità della nostra società; se da un
lato infatti l’allungamento della vita media causa la condizione di abbandono di
molte persone sole, dall’altra il miglioramento delle condizioni di vita fino ad età
anche molto avanzate consente a molte persone pensionate che dispongono di
tempo libero e buona salute, di rendersi ancora utili per la società. In
quest’ambito potrebbero essere dunque intraprese tutta una serie di iniziative
volte a dare un aiuto concreto agli anziani non autosufficienti e a colmarne il
senso di abbandono, come andare a fare la spesa al posto loro, accompagnarli dal
medico, organizzare animazione all’interno delle case di riposo. Da questo punto
di vista potrebbero rivestire grande importanza i circoli di pensionati ed anziani,
presenti praticamente ovunque, i quali potrebbero collaborare con le università
della terza età e con i servizi sociali, diventando luoghi in cui a molte persone (le
quali spesso, finita la loro attività lavorativa, non sanno come occupare il proprio
tempo) viene data l’opportunità di rimanere attivi e di sentirsi ancora utili
facendo qualcosa di concreto per gli altri.
Altre iniziative di sicuro interesse generale attuabili dai cittadini sono quelle
destinate alla inclusione sociale e al miglioramento della condizione dei disabili.
Queste persone incontrano molti ostacoli nella vita di tutti i giorni e spesso non
hanno libero accesso a molti luoghi per via delle barriere architettoniche,
nonostante la legge tuteli i loro interessi e cerchi di dare loro opportunità uguali a
64
quelle di tutte le altre persone. Spesso anche solo un marciapiede può essere un
ostacolo insormontabile che fa sentire il disabile diverso dagli altri e ne aumenta
perciò il senso di esclusione dalla vita sociale; i cittadini attivi possono
intervenire per porre un rimedio a queste situazioni: non ci vuole molto per
costruire al posto del gradino all’inizio e alla fine dei marciapiedi una piccola
rampa in cemento, affinché anche chi è costretto su di una sedia a rotelle possa
muoversi liberamente ed in modo indipendente. Le amministrazioni comunali
potrebbero anche non essere d’accordo con il fatto che i cittadini si prendano il
diritto di modificare l’assetto delle strade urbane, ma è difficile che possano
intralciare questo tipo di iniziative in quanto la generalità dell’interesse che viene
realizzato è palese; l’art. 118 ultimo comma della Costituzione legittima questo
tipo di azioni e tutela i cittadini contro eventuali ostacoli posti dalle
amministrazioni comunali, in quanto pone a loro carico l’obbligo di favorire tali
iniziative una volta appurata l’utilità che queste rivestono per tutta la collettività.
Altro settore fondamentale dei servizi alla persona è quello dell’istruzione; in
questo caso i cittadini direttamente coinvolti nel problema a livello comunale
saranno presumibilmente i genitori dei bambini che frequentano la scuola, ai
quali interesserà monitorare la salubrità dell’ambiente scolastico ed il rispetto
delle norme di sicurezza degli edifici. In questo senso possono essere intraprese
diverse iniziative per collaborare con l’amministrazione comunale, che vanno
dalla semplice segnalazione di guasti ed inosservanze delle norme di sicurezza al
comune per sollecitarne l’intervento, alla soluzione diretta del problema, qualora
il comune tardasse a prendere provvedimenti. Se ad esempio all’interno
dell’edificio scolastico non fossero state affisse le mappe obbligatorie riportanti il
piano di evacuazione, i genitori potrebbero farle predisporre da un professionista
addetto del settore (magari uno dei genitori dei bambini che frequentano la
scuola). Altro caso di intervento potrebbe essere la cura del giardino di una
scuola materna: se l’amministrazione comunale trascurasse di tagliare
periodicamente l’erba, i genitori dei bambini potrebbero agire in prima persona,
chiedendo magari all’amministrazione comunale di favorirli mettendo loro a
65
disposizione le proprie attrezzature (tosaerba, sementi per i fiori, tubi per
annaffiare…). Altro esempio ancora sono i nonni vigile che negli orari di inizio e
fine delle lezioni fanno attraversare la strada ai bambini in prossimità della
scuola. L’amministrazione comunale dal canto suo ha l’obbligo di favorire tutte
queste iniziative, in quanto la sicurezza ed il benessere dei bambini sono interessi
non solo delle famiglie, ma dell’intera collettività, e come tali vanno tutelati.
L’ultimo ambito di applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale nel
settore dei servizi alla persona è quello del tempo libero. Arte, cultura, sport ed
attività ricreative sono attività curate per la maggior parte dalla passione e dalla
disponibilità della cittadinanza. Da questo punto di vista la collaborazione tra
associazioni di cittadini ed amministrazioni comunali è già in molti casi viva ed
intensa; il fatto che le stesse amministrazioni spesso concedano a questi gruppi
sovvenzioni e contributi è una specie di riconoscimento formale dell’importanza
che le iniziative da loro organizzate rivestono per l’intera collettività, sia sotto
l’aspetto culturale che sociale, dal momento che nella maggior parte dei casi il far
parte di un’associazione ingenera nelle persone un forte senso di appartenenza
alla comunità. Mediante questo tipo di attività infatti vengono trasmessi valori
quali l’impegno, l’amicizia e l’altruismo che purtroppo nel pensiero comune
vengono sempre più spesso travisati. Le amministrazioni comunali pertanto non
possono non sostenere tali iniziative e non essere grate ai cittadini che dedicano il
proprio tempo per realizzarle.
5.2.2. La gestione del territorio
Seguendo sempre l’art. 13 del d.lgs. 267/2000, il secondo ambito comunale di
applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale riguarda l’assetto e
l’utilizzazione del territorio e comprende in modo particolare i settori della difesa
dell’ambiente, dello sviluppo del territorio, della sicurezza e della protezione
civile. In questi campi dunque possono trovare spazio anche le iniziative della
cittadinanza.
La difesa dell’ambiente sta diventando ogni giorno un problema più pressante:
66
inquinamento dell’aria e dell’acqua, smaltimento dei rifiuti, tutela dei patrimoni
paesaggistici sono questioni che riguardano la salute ed il benessere di ciascuno
di noi e che incideranno ancora più pesantemente sulle generazioni future. Le
azioni dei cittadini attivi in questo ambito possono dunque essere un grande
esempio di civiltà per tutta la società: la sensibilizzazione allo sfruttamento dei
mezzi pubblici e all’uso intelligente dell’automobile, l’organizzazione delle
domeniche senza auto, la pulizia di boschi e spiagge, la differenziazione
scrupolosa dei rifiuti, la pressione a livello politico affinché vengano introdotte
norme di legge che stabiliscano regole rigide per le industrie che producono
scorie pericolose e pene severe per chi le disattende, la promozione di modelli di
consumo ecocompatibili (come il boicottaggio dei prodotti il cui imballaggio
costituisce overpacking) sono tutti esempi di azioni di responsabilità intraprese
da comuni cittadini per migliorare il mondo in cui viviamo. Da molti anni ormai
l’associazione Legambiente promuove iniziative ambientali che rientrano
nell’ambito
della
sussidiarietà
orizzontale:
operazione
spiagge
pulite,
nontiscordardimé – operazione scuole pulite, puliamo il mondo… sono progetti
che coinvolgono ogni anno migliaia di cittadini volontari in attività volte in
concreto a migliorare il mondo in cui viviamo. Questo tipo di iniziative spesso
non richiedono un grande impegno da parte dei cittadini, se non un po’ di tempo
libero e di buona volontà: sarebbe perciò interessante, nonché dimostrazione di
grande senso civico, che tali azioni diventassero abituali anche senza
un’organizzazione nazionale che le promuova, ma soltanto grazie a gruppi di
cittadini volontari che periodicamente dedichino una mezza giornata per ripulire
a livello comunale un pezzo di bosco o un argine di fiume.
Un altro aspetto importante della gestione del territorio è quello legato al suo
sviluppo. In questo ambito le azioni della cittadinanza attiva possono riguardare
la regolamentazione del traffico, la viabilità, l’assetto e la tutela dei centri storici
e dei beni culturali, l’arredo urbano, la cura di parchi ed aree verdi.
Concretamente i cittadini possono intraprendere diversi tipi di azioni, come ad
esempio curare le aiuole comunali (magari utilizzando attrezzature messe a
67
disposizione dall’amministrazione comunale); sistemare le panchine all’interno
dei giardini pubblici, riverniciando quelle imbrattate e riparando quelle
danneggiate da atti di vandalismo; predisporre dei cartelli, riportanti notizie
storiche ed artistiche, da affiggere all’esterno dei palazzi e dei monumenti di
interesse culturale per informare residenti e turisti del patrimonio esistente sul
territorio comunale; sistemare la segnaletica stradale nel caso questa sia
danneggiata o porre degli specchi sugli incroci pericolosi per evitare che la scarsa
visibilità provochi incidenti automobilistici. Quest’ultimo tipo di azione tuttavia
è contraria all’art. 15 del Codice della Strada (d.lgs. 285/1992), che stabilisce il
divieto assoluto di manomettere la segnaletica stradale. Il preside di una scuola
elementare romana è stato multato proprio in base a questa norma perché, dopo
ripetuti ed inutili solleciti all’amministrazione comunale, aveva ridipinto le
strisce pedonali ormai scolorite davanti all’ingresso della scuola al fine di
impedire che qualcuno dei suoi alunni venisse accidentalmente investito. Non si
può affatto negare che una simile azione sia compiuta per interesse generale; ma
come comportarsi nel caso una disposizione di legge vieti espressamente
l’applicazione del principio di sussidiarietà? La questione è dubbia, per cui forse
vale la pena ritornarci nel dettaglio più avanti. Qui basta solo premettere che è
difficile poter pensare che i cittadini possano, sebbene in virtù di un principio
costituzionalmente sancito e per finalità di interesse generale, contravvenire ad
una specifica norma di legge.
Anche l’incremento della sicurezza e la lotta alla microcriminalità sono ambiti in
cui la cittadinanza può impegnarsi al fine di migliorare vivibilità delle aree
urbane. Sebbene infatti questo tipo di problemi riguardi essenzialmente le
periferie delle grandi città, purtroppo la malvivenza comincia ad interessare
seriamente ed in modo preoccupante anche i piccoli centri. Grande polemica
hanno suscitato le ronde di quartiere istituite dai cittadini per combattere i furti
nelle abitazioni; il principio di sussidiarietà legittima anche questo tipo di azioni,
ma è estremamente importante (se non in questo caso addirittura fondamentale)
che i cittadini ricerchino la collaborazione con le istituzioni (polizia municipale e
68
corpi dello Stato), per evitare che tali iniziative si trasformino in linciaggi di
massa; la giustizia “fai da te” infatti non è mai vera giustizia e la popolazione che
la mette in atto passa dalla parte del torto alla stregua dei malviventi che vuole
punire. Ben vengano dunque le ronde di quartiere se il controllo riesce a fare da
deterrente contro la microcriminalità, ma bisogna accuratamente evitare (e questo
è compito del buon senso delle persone che si attivano, oltre che del controllo da
parte delle amministrazioni comunali) che i cittadini oltrepassino i propri limiti;
l’uso della forza (comprese ovviamente le armi) deve infatti restare esclusivo
appannaggio delle forze dell’ordine.
Altra applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale in questo ambito può
essere l’organizzazione di gruppi di cittadini che controllino alle entrate dei
parchi pubblici ove giocano i bambini che non vi entrino i motorini. Se
l’amministrazione comunale conferisce a questi cittadini volontari il potere di
multare i motorini all’interno dei parchi, forse questi perderanno la cattiva
abitudine e non vi entreranno più nemmeno nelle ore in cui questo tipo di
controllo non viene attuato. Anche ripulire i giardini pubblici dalle immondizie e
da quant’altro può nuocere alla salute e alla sicurezza dei bambini che vi giocano
(come ad esempio le siringhe usate, che sono sì un caso estremo, ma purtroppo
non così infrequente) può essere un’azione che i cittadini possono intraprendere
senza costi soltanto mettendo a disposizione un po’ di tempo libero.
L’amministrazione comunale potrebbe in questo caso accollarsi l’onere di
comprare quanto necessario alla pulizia (rastrelli, sacchi, guanti), sostenendo in
ogni caso una spesa molto contenuta.
Per quanto riguarda la protezione civile infine, la cittadinanza può intraprendere
iniziative per valutare i rischi, prevenire i disastri, migliorare l’intervento nelle
emergenze, avviare rapidamente le ricostruzioni dopo l’avvenimento di calamità.
A questo proposito bisogna ammettere che, almeno in Trentino, il settore della
protezione civile organizzata su base volontaria è sempre stato all’avanguardia,
grazie soprattutto all’apporto dei corpi dei vigili del fuoco volontari e degli alpini
che, presenti praticamente in tutti i comuni, da più di un secolo applicano il
69
principio di sussidiarietà orizzontale per aiutare la popolazione colpita da
catastrofi con solidarietà ed altruismo.
5.2.3. Lo sviluppo economico
L’art. 13 del d.lgs. 267/2000 comprende infine tra le funzioni affidate ai comuni
anche quelle volte allo sviluppo economico del territorio. È questo un aspetto in
cui il principio di sussidiarietà opera in modo trasversale; infatti anche se è
difficile immaginare che i cittadini perseguano direttamente lo sviluppo
economico del proprio territorio, le autonome iniziative che essi mettono in atto,
generando in molti casi un risparmio di denaro pubblico, permettono alle
amministrazioni comunali di realizzare interessi che altrimenti non verrebbero
soddisfatti a causa del vincolo di bilancio. In questo modo le attività economiche
ricevono un impulso positivo, suscitato dal fatto di poter fruire di una più ampia
gamma di servizi ed infrastrutture offerti dalle amministrazioni, e ciò non può
che incrementare il livello di ricchezza e benessere di tutta la popolazione
residente sul territorio comunale.
5.2.4. Il controllo sull’operato delle amministrazioni e la tutela dei diritti
Un ultimo ambito di applicazione della sussidiarietà orizzontale alle funzioni
comunali è quello del controllo sull’attività svolta dall’ente pubblico stesso al
fine di tutelare i diritti dei cittadini contro gli abusi di potere delle
amministrazioni. In questo caso assume vitale importanza la ridefinizione in
chiave qualitativa del ruolo dei comuni, mediante l’assunzione di nuovi modelli
di comportamento da parte dei dipendenti comunali e la vigilanza
sull’applicazione dei principi amministrativi, in modo particolare legalità,
imparzialità, efficienza e trasparenza. Inoltre, dopo l’introduzione della L.
241/1990 e delle tre leggi Bassanini (L. 59/1997, L. 127/1997 e L. 191/1998)
anche la semplificazione è diventata un principio giuridico che le
amministrazioni sono tenute ad osservare, per cui i cittadini hanno il diritto di
pretendere che la semplificazione, ove prevista, venga attuata. Per fare questo i
70
cittadini possono collaborare con il difensore civico oppure, laddove questa
figura non sia stata istituita, creare degli sportelli presso cui altri cittadini possano
rivolgersi per denunciare mancanze ed abusi da parte dell’amministrazione.
Fondamentale in questo caso è l’atteggiamento dell’amministrazione stessa: se
questa è aperta alle richieste e alle esigenze della popolazione ed è disposta ad
operare in maniera trasparente, allora potrà instaurarsi con i cittadini un dialogo
costruttivo che consentirà varie forme di collaborazione ed il conseguente
miglioramento dei servizi offerti. La ricerca della qualità all’interno dei comuni
può in questo caso essere un buon punto di partenza per migliorare il rapporto tra
cittadino ed ente pubblico. Infatti la relativa certificazione garantisce a cittadini
ed utenti che i servizi offerti dai comuni soddisfino sempre determinati standard,
anche con riferimento alla comunicazione pubblica e ai canoni di comportamento
dei dipendenti.
5.2.5. Alcune regole di base da seguire nello svolgimento delle iniziative civiche
Da quanto sinora visto, si può comprendere come le iniziative che i cittadini
possono promuovere al fine di apportare un beneficio all’intera collettività siano
davvero le più svariate: si va da semplici azioni che non comportano nessun
costo in termini monetari, ma soltanto un po’ di entusiasmo, tempo libero e
voglia di lavorare, ad azioni per le quali sono richieste invece professionalità e
competenze specifiche, oltre che disponibilità economiche. Nonostante questa
eterogeneità, si possono tuttavia individuare alcune regole generali che sarebbe
utile venissero seguite dai cittadini nello svolgimento delle attività intraprese in
base al principio di sussidiarietà orizzontale.
Innanzitutto è bene (anche se non è un obbligo) che i cittadini informino l’ente
pubblico (tramite un avviso di iniziativa civica come quello in appendice) prima
di intraprendere una qualunque attività sussidiaria; in questo modo infatti, se
l’azione promossa viene ritenuta meritevole, l’amministrazione comunale può
decidere anche di concedere ai cittadini dei finanziamenti, di mettere a loro
disposizione mezzi e strutture o di coprire parte delle spese relative all’attività
71
stessa, mentre invece è molto più difficile per i cittadini riuscire ad ottenere
anche solo il rimborso dei costi sostenuti, semplicemente presentando il conto, in
quanto il procedimento di spesa delle amministrazioni non consente che vengano
autorizzate uscite non previste in bilancio.
Bisogna dire poi che in generale, per poter promuovere iniziative a carattere
sussidiario, è necessario che i cittadini si organizzino e suddividano tra loro i
compiti da svolgere in modo chiaro; sono veramente rare le iniziative che non
richiedono almeno un minimo di programmazione e se i cittadini sono
disarticolati, la loro azione rischia di essere scoordinata e caotica, e di non
riuscire pertanto a raggiungere gli obiettivi per i quali era stata intrapresa.
Sarebbe utile infine che i cittadini, prima di mettere in atto una qualsiasi
iniziativa, si informassero circa le norme che regolano il settore in cui vogliono
intervenire; è difficile infatti riuscire a svolgere funzioni di interesse generale
senza avere quantomeno acquisito alcuni fondamentali rudimenti giuridici, dal
momento che gli amministratori di norma preposti a farlo devono seguire un
lungo percorso di apprendimento prima di riuscire a districarsi nella giungla di
decreti, leggi e regolamenti che disciplinano le attività amministrative.
A prima vista può sembrare che seguire queste prescrizioni (in modo particolare
l’ultima) costituisca solo un gravoso onere aggiuntivo per i cittadini, i quali
spesso, nonostante la buona volontà, devono già fare i conti con la scarsità di
tempo, la carenza di risorse sia umane che economiche, e con amministrazioni
pubbliche che nella realizzazione delle iniziative civiche li ostacolano in tutti i
modi; è naturale quindi pensare che sia inutile, se non addirittura dannoso
conformarsi a prassi di comportamento così impegnative, almeno finché queste
non diventano obbligatorie. A ben guardare però i principi sopra esposti possono
consentire di incrementare l’efficacia e l’efficienza delle azioni dei cittadini, per
cui forse vale la pena almeno tentare di metterli in pratica, se non altro per
dimostrare che le attività svolte dalla cittadinanza non hanno nulla da invidiare in
quanto ai risultati raggiunti a quelle messe in atto direttamente dalle
amministrazioni pubbliche.
72
5.3. Modalità di attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale da parte
delle amministrazioni comunali
Nel precedente paragrafo abbiamo cercato di immaginare le possibili azioni che i
cittadini possono mettere in atto al fine di collaborare con le amministrazioni
comunali nella realizzazione di interessi generali. Come già sappiamo, la
Costituzione stabilisce a carico delle pubbliche istituzioni l’obbligo di favorire i
cittadini nello svolgimento di tali iniziative. Pertanto cercheremo ora di
immaginare in quali modi le amministrazioni comunali possono appoggiare
questo tipo di progetti e come l’azione dei cittadini possa essere resa ancora più
efficace grazie alla legittimazione e al sostegno dell’ente pubblico.
5.3.1. Un cambiamento di mentalità per non ostacolare le iniziative dei cittadini
Sappiamo già che l’art. 118 quarto comma della Costituzione afferma che «Stato,
regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa
dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse
generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Utilizzando la figura retorica
della litote, possiamo esprimere il termine “favorire” anche con la negazione del
suo contrario, ossia “non ostacolare”. Il primo modo in cui le amministrazioni
comunali possono sostenere le iniziative civiche intraprese dai cittadini è dunque
quello di non ostacolarle. Lasciare i cittadini liberi di agire per la realizzazione di
interessi generali è di vitale importanza per l’applicazione del principio di
sussidiarietà orizzontale, in quanto consente alla popolazione di assumere la
consapevolezza dell’importanza del proprio contributo e di adoperarsi
responsabilmente per il bene della collettività. È logico infatti che i cittadini
tenderanno ad impegnarsi più volentieri e saranno più soddisfatti del loro lavoro
se riceveranno il benestare (e magari anche il sostegno) da parte delle
amministrazioni comunali, le quali riconosceranno così pubblicamente che il loro
impegno è utile alla causa comune. Al contrario l’opposizione da parte delle
amministrazioni, se immotivata, non può che svilire lo spirito di iniziativa dei
cittadini, i quali non sentendosi di alcuna utilità, rinunceranno presto a mettere in
73
atto qualunque forma di intervento. Il non ostacolare è dunque il primo modo in
cui le amministrazioni comunali possono favorire le azioni dei cittadini, ed è
inoltre un modo poco oneroso, in quanto non comporta alcun costo a carico del
bilancio. A questo proposito è però necessario un cambiamento di mentalità da
parte delle stesse amministrazioni; l’ingerenza dei cittadini nelle questioni
amministrative infatti è spesso mal vista dagli enti pubblici, i quali tendono a
vedere i cittadini soltanto come un impedimento che ostacola il loro lavoro. Per
questo motivo troppo spesso le amministrazioni pubbliche, per il potere loro
conferito dallo Stato, tendono ad escludere la cittadinanza dalla gestione del bene
pubblico; questo è un grosso intralcio alla partecipazione democratica (la cura
della cosa pubblica dovrebbe infatti riguardare la popolazione in prima persona)
e costituisce ora anche violazione di una norma costituzionale. Il principio di
sussidiarietà orizzontale implica invece un nuovo modo di amministrare: la
collaborazione con i cittadini diventa un punto fermo dell’ordinamento giuridico,
per cui è necessario che le amministrazioni comunali vi si adeguino, altrimenti,
ostacolando senza una valida giustificazione l’azione dei cittadini, compiono
anche un illecito amministrativo.
5.3.2. La comunicazione pubblica
Favorire le iniziative civiche significa tuttavia anche far conoscere alla
popolazione i propri diritti e la possibilità loro conferita di collaborare per il
perseguimento del benessere collettivo; strettamente connesso al fatto di non
ostacolare le azioni dei cittadini è dunque l’aspetto della diffusione del principio
di sussidiarietà orizzontale. Se infatti l’amministrazione comunale riesce a
mettere in atto un cambio di mentalità nelle persone che lavorano al suo interno,
aprendosi alla collaborazione con i cittadini, sicuramente capirà anche che
l’intervento dei cittadini può fornire soluzioni nuove a molti problemi
amministrativi, consentendo al contempo un risparmio di risorse; a quel punto
diventerà naturale per le amministrazioni intraprendere attività di informazione
della società civile riguardo all’art. 118 ultimo comma della Costituzione. La
74
sussidiarietà deve essere diffusa perché la maggior parte dei cittadini, che magari
si impegnerebbe anche volentieri per la causa comune, ignora ancora del tutto la
facoltà loro concessa di intraprendere iniziative in modo autonomo e
responsabile. Informare i cittadini circa le loro possibilità di collaborare nelle
questioni amministrative, oltre ad essere un modo per l’amministrazione
comunale di essere più trasparente, in quanto rende i cittadini edotti dei loro
diritti, è un investimento che non necessariamente deve essere di entità ingente,
ma che sicuramente consentirà in un futuro di avere cittadini più responsabili e di
conseguire risparmi di spesa pubblica che potranno essere utilizzati dalle
amministrazioni comunali per ampliare la gamma di interventi a finalità
collettiva da esse realizzati. Le forme con cui può essere attuato questo tipo di
comunicazione pubblica sono le più svariate: si può andare da semplici cartelloni
informativi affissi all’interno del municipio a vere e proprie campagne di
sensibilizzazione, comprendenti magari anche interventi formativi all’interno
delle scuole nell’ambito dell’educazione civica (la quale per la verità è una
materia che purtroppo viene insegnata sempre meno), condotte magari in
collaborazione con organizzazioni (come Cittadinanzattiva o Quelli del 118) che
già da tempo si occupano dell’applicazione e della diffusione del principio di
sussidiarietà orizzontale.
Ma la comunicazione pubblica nell’ambito del principio di sussidiarietà può
essere perseguita anche mediante degli incentivi alla popolazione che si attiva per
collaborare con l’ente pubblico; la gente infatti spesso non è disposta a
collaborare se non ha un tornaconto personale, quindi per ottenere qualche buon
risultato in termini di partecipazione, forse vale la pena che l’amministrazione
comunale fornisca ai cittadini un valido motivo per impegnarsi (attenzione però:
l’incentivo non deve essere la sanzione ex post di un comportamento negativo,
ma l’incoraggiamento ex ante di una buona abitudine). Un esempio su tutti è
quello della differenziazione dei rifiuti nel Comune di Lavis, qui in Trentino:
l’amministrazione ha fornito a tutti i residenti una tessera magnetica con la quale
questi possono portare i rifiuti differenziati direttamente al centro raccolta. La
75
quantità di rifiuti conferita viene pesata e memorizzata sulla tessera. A chi
intraprende questa buona pratica l’Ufficio Tributi del Comune applica poi in sede
di emissione delle cartelle di pagamento uno sconto sulla tariffa per lo
smaltimento dei rifiuti in proporzione alla quantità portata direttamente in
discarica. Questo sconto è un riconoscimento ai cittadini che con il loro
comportamento fanno ottenere all’amministrazione un risparmio netto sul costo
della raccolta dei rifiuti. Il meccanismo funziona, in quanto molti cittadini, anche
se non sono sensibili alle problematiche ambientali, pur di pagare meno tasse si
prendono il disturbo di portare i propri rifiuti direttamente alla discarica. Da
questo punto di vista il sistema dell’incentivo non è sempre positivo, in quanto il
principio di sussidiarietà orizzontale dovrebbe basarsi sul senso civico e sulla
responsabilità dei cittadini, senza dover attendere che sia l’amministrazione a
fare il primo passo; può comunque essere utile per ingenerare comportamenti
positivi laddove la maggioranza delle persone pretenda che tutto sia curato
dall’amministrazione e rifiuti categoricamente di assumersi il compito di fare la
propria parte nella risoluzione dei problemi collettivi. Inoltre, una volta generata
nelle persone l’abitudine a tenere determinati comportamenti positivi, l’incentivo
può anche essere eliminato, senza che per questo i cittadini perdano il buon
costume di collaborare con l’amministrazione comunale; sappiamo tutti infatti
quanto sia difficile perdere le usanze ormai acquisite. D’altra parte è più facile
perdere una buona abitudine per assimilarne una cattiva che viceversa, per cui
sicuramente il meccanismo dell’incentivo, anche se alla fine può dare origine a
risultati senza dubbio migliori, comporta tempi di realizzazione molto più lunghi.
5.3.3. Il controllo delle iniziative civiche e il “responsabile del procedimento
sussidiato”
Il fatto che le amministrazioni comunali non ostacolino le azioni dei cittadini e
diffondano la mentalità sussidiaria non significa comunque che esse non debbano
allo stesso tempo continuare a controllare l’operato dei cittadini; quello di
garantire che con le azioni sussidiarie vengano effettivamente perseguiti interessi
76
generali e non vengano invece realizzati interessi esclusivamente personali,
magari lesivi di diritti tutelati dall’ordinamento, è infatti uno dei compiti
principali che la legge riserva alla competenza pubblica. Da questo punto di vista
evitare che vengano svolte azioni sussidiarie soltanto a parole ma non anche nei
fatti rappresenta un modo implicito per favorire le iniziative civiche veramente
meritevoli di tutela: se le amministrazioni comunali di fatto impediscono che i
cittadini si cimentino in progetti che non portano un beneficio all’intera
popolazione residente nel comune, quest’ultima può avere la certezza che, nel
momento in cui l’amministrazione locale non ostacola, e anzi in qualche modo
magari appoggia, una particolare iniziativa messa in atto da alcuni concittadini in
base al principio di sussidiarietà, tale azione è sicuramente legittima e reca,
magari anche solo indirettamente, un effettivo vantaggio a tutti coloro che in
qualche modo sono legati al territorio comunale. Per questo motivo il controllo
da parte degli enti locali sulle iniziative civiche è fondamentale ed è altrettanto
essenziale che eventuali azioni lesive di interessi collettivi tutelati siano
tempestivamente bloccate dalle amministrazioni comunali, unici soggetti dotati
del potere di procedere in questo senso.
Al fine di attuare un controllo più stretto sulle azioni dei cittadini le
amministrazioni
potrebbero
istituire
«la
figura
del
“responsabile
del
procedimento sussidiato”, cioè del procedimento che nasce per iniziativa dei
cittadini sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale»45. L’art. 4 della L.
241/90 infatti ha istituito il responsabile del procedimento amministrativo, che
segue il corso degli atti necessari all’emanazione dei provvedimenti e al quale
tutti i cittadini possono rivolgersi per avere informazioni e prendere visione degli
incartamenti relativi al procedimento stesso. Allo stesso modo le amministrazioni
comunali potrebbero istituire il “responsabile del procedimento sussidiato”, il
quale avrebbe il compito di coordinare l’iniziativa civica per quanto riguarda la
collaborazione con l’amministrazione comunale e al quale i cittadini potrebbero
45
G. Arena, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118 u.c. Costituzione, comunicazione al
convegno 118: cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma 7-8 febbraio 2003, sito internet
www.astridonline.it/Sussidiari/Interventi/index.htm
77
rivolgersi per ottenere istruzioni in merito alla possibilità o meno di attuare
l’intervento, indicazioni circa le regole ed i principi giuridici da seguire,
informazioni relative a finanziamenti, patrocini e sostegni vari al progetto da
parte dell’amministrazione comunale. Questo ufficio avrebbe inoltre il compito
di curare la diffusione del principio di sussidiarietà orizzontale tra la popolazione
residente, in modo da incentivare i cittadini a ricercare soluzioni creative ai
problemi amministrativi quotidiani. Una specie di sportello unico insomma dove
amministrazione comunale e cittadini possano incontrarsi per mettere in atto
forme di collaborazione che siano utili per tutti. In questo modo
l’amministrazione potrebbe essere sempre al corrente delle azioni che vengono
intraprese (anche se non ha il dovere di autorizzarle formalmente) e potrebbe
controllare che esse vadano effettivamente nella direzione della realizzazione di
interessi di tipo generale. Il costo per l’amministrazione in questo senso potrebbe
anche essere abbastanza consistente, soprattutto in termini di organizzazione e
formazione del personale dipendente preposto a questo ufficio, ma costituirebbe
ad ogni modo un investimento che in futuro permetterebbe di risparmiare risorse,
ovviamente a condizione che venga attuato in modo da far percepire ai cittadini
che il principio di sussidiarietà orizzontale è uno strumento grazie al quale essi
possono aumentare la loro partecipazione democratica alla vita amministrativa.
5.3.4. Finanziamenti, patrocini e concessione in uso di strutture e attrezzature
Le amministrazioni comunali possono tuttavia favorire le iniziative di interesse
generale intraprese dalla società civile anche in modo più specifico e concreto, ad
esempio mettendo gratuitamente a disposizione dei cittadini attrezzature e
strutture di proprietà comunale utili allo svolgimento di tali attività, concedendo
finanziamenti (anche sotto forma di patrocini) oppure rimborsando parte delle
spese sostenute dai cittadini per l’attuazione di dette iniziative. Questa modalità
di intervento a sostegno dei cittadini tuttavia è onerosa per l’amministrazione, la
quale pertanto con ogni probabilità vaglierà bene il ritorno in termini di utilità
generale derivante da queste attività prima di finanziarle. Sarebbe inoltre un
78
notevole passo avanti se le amministrazioni comunali comprendessero
l’importanza che l’azione dei cittadini può avere per lo sviluppo delle comunità
locali ed inserissero pertanto nel proprio bilancio preventivo un capitolo di spesa
destinato alla copertura dei costi relativi allo svolgimento di attività sussidiarie da
parte della società civile; in questo modo i cittadini intenzionati a portare avanti
qualche progetto con finalità collettiva potrebbero pareggiare senza troppi
sacrifici (e soprattutto senza rimetterci di tasca propria) le uscite necessarie a tale
scopo, logicamente nel limite dell’importo disponibile sul capitolo di spesa
stesso. Sappiamo infatti quanto sia difficile per i cittadini reperire i finanziamenti
necessari alla realizzazione di attività di volontariato, le quali, per quanto utili per
l’intera comunità, non vengono ancora molto considerate da enti ed imprese di
tipo privato.
5.3.5. Stipula di convenzioni con i cittadini per l’erogazione di servizi
L’ultima modalità di sostegno concreto alle iniziative civiche è rappresentata
dalla fornitura di servizi in convenzione con soggetti privati: in questo modo
l’amministrazione comunale affida l’erogazione di un servizio direttamente ai
cittadini, ma mantiene un controllo sull’attività da questi svolta attraverso la
concessione di appositi finanziamenti e la fissazione nella convenzione (che
obbliga le parti alla stregua di un contratto) di tutta una serie di standard
quantitativi e qualitativi cui deve corrispondere il servizio stesso. Questa forma
di intervento da parte delle amministrazioni comunali non deve essere quindi
confusa con una mera privatizzazione di servizi, in quanto l’ente pubblico, pur
non curandone più direttamente l’erogazione, ne mantiene comunque la
supervisione. Come è facile intuire, la stipulazione di una convenzione con
l’amministrazione richiede maggiore organizzazione e professionalità da parte
dei cittadini, i quali devono costituirsi in forme associative adeguate al fine di
poter essere parte di un negozio giuridico (essi devono infatti assumere la
titolarità di diritti ed obblighi) e devono essere in grado di fornire il servizio loro
affidato secondo i livelli qualitativi stabiliti dall’amministrazione.
79
5.4. Sussidiarietà orizzontale, solidarietà e libertà
Da quanto finora esposto appare chiaramente come il principio di sussidiarietà
orizzontale proponga ai cittadini un nuovo modello di democrazia. Alla società
civile infatti è data la possibilità di impegnarsi per curare gli interessi di tutta la
collettività secondo le proprie attitudini e le proprie inclinazioni naturali, in
un’ottica di collaborazione e di scambio con le amministrazioni pubbliche. L’art.
118 ultimo comma della Costituzione può essere visto dunque anche come un
modo per riscoprire i valori della solidarietà e della gratuità, che erano ben
radicati nelle generazioni passate, ma che purtroppo oggi vengono troppo spesso
dimenticati.
Ma se democrazia significa soprattutto libertà, allora la sussidiarietà orizzontale,
proponendo un nuovo modello di democrazia, presume anche un nuovo modello
di libertà, che non punta sulla soddisfazione di interessi personali ma che al
contrario si estrinseca nella possibilità di agire a concreto beneficio di tutta la
collettività. Come spesso accade con i cosiddetti “nuovi diritti”, anche le azioni
poste in essere in base all’art. 118 ultimo comma della Costituzione implicano
dunque l’esercizio di un “diritto non egoistico”, in quanto avvantaggiano anche
(se non soprattutto) soggetti diversi da quelli che agiscono. La cittadinanza attiva
esercita perciò una libertà nuova, che non rientra né fra i diritti di libertà
tradizionali, né fra i diritti sociali, ma che si caratterizza per essere una forma di
“libertà solidale” (nel senso che fra le motivazioni dei cittadini che si prendono
cura dei beni comuni vi sono la responsabilità e la solidarietà nei confronti della
comunità di appartenenza), dal cui esercizio il soggetto agente trae per sé un
vantaggio minimo, comunque inferiore a quello che ne traggono altri soggetti46.
Purtroppo questo tipo di libertà viene preso poco in considerazione persino dalla
classe dirigente, la quale in molti casi non è un buon esempio per la cittadinanza,
nonostante la realizzazione degli interessi della comunità sia il suo compito
istituzionale principale. Spetta dunque ai cittadini stessi essere modello di quella
46
Documento base per la discussione al convegno L’Italia dei beni comuni – I Convenzione nazionale
della sussidiarietà, Roma 12 marzo 2004, sito internet www.cittadinanzattiva.it
80
che è la vera libertà, ossia la facoltà concessa ad ogni individuo di agire
responsabilmente nei limiti del rispetto dei diritti altrui e non, come molti
pensano, la possibilità di compiere indiscriminatamente qualunque azione. La
libertà di ogni persona infatti finisce dove comincia la libertà delle altre. Grazie
alle iniziative civiche gli interessi personali passano in secondo piano rispetto
alla realizzazione del bene comune, ma proprio mediante la realizzazione di
interessi di tipo collettivo viene offerta a ciascun individuo la possibilità di
realizzare la propria personalità in piena libertà secondo il dettato dell’art. 2 della
Costituzione. Le iniziative civiche messe in atto dai cittadini in base al principio
di sussidiarietà orizzontale sono pertanto espressione del principio di libertà
riconosciuto ad ogni individuo dalla stessa Costituzione e per questo motivo le
amministrazioni pubbliche hanno il dovere istituzionale di favorire queste azioni,
rimuovendo tutti gli ostacoli che di fatto impediscono ai cittadini di esprimersi e
realizzare completamente la propria personalità. Da questo punto di vista il
principio di sussidiarietà integra l’art. 3 della Costituzione e ne costituisce uno
strumento di attuazione. Attraverso le azioni civiche quindi i cittadini hanno
modo di trovare la soddisfazione personale e di realizzarsi nel modo più
opportuno. Le azioni che la società civile può mettere in atto sono infatti
molteplici ed ognuno può impegnarsi nel settore che ritiene più vicino alla
propria sensibilità e alle proprie capacità. In questo modo la sussidiarietà
orizzontale diventa strumento di realizzazione anche per quelle persone che sono
ad alto rischio di esclusione sociale, come ad esempio i pensionati, i quali
possono così sentire di non essere un peso bensì una risorsa ancora utile alla
società. Il bagaglio di esperienza e di competenze che queste persone portano con
sé infatti può essere una vera ricchezza per tutta la collettività se viene
correttamente messo a disposizione. Fondamentale a questo scopo è la
collaborazione con le nuove generazioni, in quanto le esigenze della società
cambiano velocemente ed i giovani hanno spesso idee nuove ed originali, ma non
hanno l’esperienza necessaria per portarle a compimento nel modo giusto. Lo
scambio
intergenerazionale
assume
dunque
un’importanza
cruciale
81
nell’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale e può diventare
esempio per un dialogo costruttivo anche a livello politico.
L’art. 118 quarto comma della Costituzione rappresenta infine una grande
opportunità per tutti coloro che non sono in possesso della cittadinanza politica di
esercitare quella che potremmo chiamare cittadinanza amministrativa, ossia «il
riconoscimento di una sfera autonoma di diritti che riguarda il rapporto di
soggetti non cittadini italiani con le amministrazioni pubbliche italiane e che li
tutela nell’ambito di tale rapporto»47. Nessuno infatti può impedire che anche gli
stranieri mettano in atto iniziative di utilità generale, sebbene essi non abbiano il
diritto di voto nel nostro Paese. Questo può essere per loro un modo di sentirsi
meno diversi dai cittadini italiani e di fare qualcosa di concreto per migliorare la
propria condizione e la società nella quale hanno scelto di vivere.
5.5. Il ruolo di associazioni ed imprese nell’attuazione dell’art. 118 della
Costituzione
Con il principio di sussidiarietà orizzontale i cittadini attivi possono avere un
ruolo da protagonisti al fianco delle istituzioni nell’educazione dei propri
concittadini ai valori della solidarietà e della responsabilità e nella diffusione di
buone pratiche che, con un po’ di impegno da parte di ciascuno, possono
diventare delle abitudini positive per l’intera collettività. A questo proposito un
ruolo fondamentale può essere rivestito dal cosiddetto Terzo settore, ossia
quell’insieme di gruppi, associazioni ed organizzazioni senza scopo di lucro che
nel nostro Paese opera da ormai molti anni nei più svariati settori della vita
sociale, dallo sport alla cultura, dall’assistenza ai malati alla tutela dei diritti dei
cittadini. Solo in Trentino le associazioni senza scopo di lucro sono più di 300048,
47
G. Arena, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118 u.c. Costituzione, comunicazione al
convegno 118: cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma 7-8 febbraio 2003, sito internet
www.astridonline.it/Sussidiari/Interventi/index.htm
48
Le associazioni iscritte nella banca dati del Centro Servizi Volontariato della Provincia di Trento sono
3030 (dato al 23.02.2004, sito internet www.volontariatotrentino.it), per cui è presumibile che il numero
reale di sia superiore, in quanto le associazioni, per ottenere le agevolazioni concesse dal d.lgs. 460/1997,
hanno il solo obbligo di depositare lo statuto presso l’Ufficio del Registro e non anche quello di iscriversi
ad albi o banche dati. I dati dell’Ufficio del Registro tuttavia non sono disponibili.
82
senza contare il movimento cooperativo e tutto il volontariato che ruota attorno
alle parrocchie, l’operato del quale il più delle volte non può essere quantificato
in termini statistici, non essendo costituito in forme giuridiche riconosciute. È
ben comprensibile dunque come l’azione di queste persone, impegnate a titolo
gratuito nelle più molteplici attività, possa rappresentare una vera e propria
ricchezza, che merita di essere sfruttata e sostenuta in vari modi dalle
amministrazioni data l’importanza che essa riveste per tutta la collettività.
Recenti disposizioni legislative hanno accordato alle associazioni senza scopo di
lucro molte agevolazioni, soprattutto dal punto di vista fiscale (artt. 108 e 111
T.U.I.R., d.lgs. 460/1997), proprio per riconoscere formalmente l’importanza del
ruolo da queste svolto a supporto delle funzioni amministrative. È pertanto una
grossa opportunità per i cittadini che intendono perseguire obiettivi di interesse
generale costituirsi nella forma giuridica dell’associazione, poiché in questo
modo possono beneficiare di una serie di agevolazioni per lo svolgimento delle
attività istituzionali che altrimenti non potrebbero ricevere, né a livello singolo,
né a livello di gruppo giuridicamente non riconosciuto. Da questo punto di vista è
ancora più necessario dunque che i cittadini si cimentino, prima di intraprendere
qualunque iniziativa, nello studio delle norme giuridiche che regolano i vari
ambiti di attività delle associazioni e seguano scrupolosamente tutti gli
adempimenti che devono essere osservati. È fondamentale perciò che i cittadini
attivi curino innanzitutto la propria formazione e l’aggiornamento costante sulle
novità legislative e sulle opportunità loro offerte. Le amministrazioni pubbliche
potrebbero pertanto, oltre che informare circa le iniziative che possono essere
messe in atto per collaborare alla realizzazione dell’interesse generale, anche
formare i cittadini sulle modalità concrete mediante cui queste attività possono
essere realizzate in maniera vantaggiosa. Anche questo potrebbe essere un modo
per le amministrazioni di favorire le autonome iniziative dei cittadini, ovvero un
modo per dare attuazione all’art. 118 quarto comma della Costituzione.
Nulla vieta tuttavia che anche le imprese tradizionali (per intenderci quelle che
hanno come obiettivo il profitto) si dedichino alla realizzazione di iniziative di
83
interesse generale; infatti «come i cittadini sono chiamati ad esercitare
responsabilità che superano lo stretto ambito individuale nonché il ruolo
tradizionalmente riconosciuto al principio di libertà di associazione, così le
imprese sono allo stesso modo chiamate ad esercitare responsabilità pubbliche al
di là o a completamento della propria tradizionale vocazione alla produzione
della ricchezza e alla promozione del lavoro. In questo senso la nozione di
cittadinanza d’impresa assume un significato proprio e non solo metaforico: nel
prendersi cura di problemi di interesse generale, le imprese si comportano come
cittadini, o meglio esercitano la cittadinanza in termini di sussidiarietà»49. Per
mettere in evidenza e rendicontare alla società le iniziative di interesse collettivo
realizzate, le imprese hanno a disposizione lo strumento del bilancio sociale;
questo permette loro di ottenere una grande legittimazione da parte di tutta la
società civile e di conseguenza di imporsi sul mercato non solo per la qualità dei
propri prodotti, ma anche per il proprio modo di porsi nei confronti dell’ambiente
esterno. Alla lunga una filosofia aziendale di questo tipo consente alle imprese di
crearsi un vantaggio competitivo solido che, in un mercato in cui la concorrenza
è sempre più serrata, è sicuramente un grosso fattore di successo50.
5.6. Problematiche e questioni aperte legate alla sussidiarietà orizzontale
Abbiamo visto come il principio di sussidiarietà orizzontale, dando formale
legittimazione alle azioni dei cittadini volte al soddisfacimento di interessi
generali, rappresenti una nuova forma di collegamento fra settore pubblico e
società civile: i cittadini possono intraprendere iniziative di pubblica utilità e le
istituzioni devono favorire ed incoraggiare tali attività in un’ottica di
collaborazione e reciprocità. Così definito, questo principio sembra avere grandi
49
Documento base per la discussione al convegno L’Italia dei beni comuni – I Convenzione nazionale
della sussidiarietà, Roma 12 marzo 2004, sito internet www.cittadinanzattiva.it
50
È da notare tuttavia come il Consiglio di Stato non sia dello stesso avviso e sostenga che le imprese non
abbiano nulla a che fare con il fenomeno della sussidiarietà orizzontale, per cui non possano nemmeno
accedere a eventuali finanziamenti pubblici stanziati per favorire iniziative di interesse generale sulla base
dell’art. 118 della Costituzione (Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, parere n.
1440 del 25 agosto 2003). A questo proposito vedasi anche G. Razzano, Il Consiglio di Stato, il principio
di sussidiarietà orizzontale e le imprese, articolo pubblicato il 19 gennaio 2004 nel sito internet
www.associazionedeicostituzionalisti.it/materiali/anticipazioni/sussidiarieta/index.html.
84
potenzialità e senz’altro, se correttamente applicato, può creare le condizioni per
una maturazione responsabile della popolazione e per una civile convivenza dei
cittadini fra loro e con le istituzioni. Tuttavia, nonostante siamo concordi nel
ritenere che l’art. 118 ultimo comma della Costituzione sia immediatamente
applicabile senza bisogno di norme attuative, l’applicazione di questo principio,
così ipoteticamente ricco di valori, solleva anche diverse questioni, sia dal punto
di vista giuridico che da quello politico, che meritano di essere prese in
considerazione.
5.6.1. I principi giuridici che devono essere seguiti dai cittadini
In primo luogo il principio di sussidiarietà orizzontale suscita un interrogativo
circa i principi giuridici che i cittadini devono osservare nel momento in cui
intraprendono una qualunque iniziativa positiva per la collettività; le
amministrazioni pubbliche infatti, nello svolgere le proprie funzioni, devono
seguire tutta una serie di principi, quali imparzialità, trasparenza, efficienza ed
economicità, volti a garantire che il loro operato segua sempre i dettami della
legge e non sia causa di ingiustificate sperequazioni sociali. Ci si chiede allora se
anche i cittadini abbiano l’obbligo di osservare gli stessi vincoli di tipo giuridico
o possano invece agire liberamente. L’art. 118 ultimo comma della Costituzione
non dice niente a questo proposito, ma si può ragionevolmente affermare che la
risposta a questo interrogativo sia affermativa. Non si vede infatti perché se le
amministrazioni devono seguire determinati principi non lo debbano fare anche i
cittadini; questi ultimi, nel momento in cui decidono di agire per realizzare
finalità di carattere collettivo, diventano una specie di strumento amministrativo
atipico, una sorta di prolungamento del braccio con cui agiscono le istituzioni, e
come tale è abbastanza logico che debbano operare seguendo le stesse norme
giuridiche dettate per le amministrazioni. Non si potrebbe tollerare infatti che i
cittadini, seppur mossi dai più sinceri sentimenti di solidarietà e senso civico,
potessero intraprendere, anche al di fuori della legge, qualunque tipo di iniziativa
solo perché questa ha una certa utilità per la società; non sarebbe giusto e non
85
avrebbe senso proprio alla luce dell’art. 118 quarto comma della Costituzione: il
principio di sussidiarietà orizzontale può infatti essere inteso come uno strumento
per aumentare il livello di civiltà e di democrazia del nostro Paese, ma civiltà e
democrazia significano anzitutto rispetto delle regole e regole uguali per tutti.
Sarebbe dunque utile che il legislatore si pronunciasse sulla questione e chiarisse
una volta per tutte secondo quali principi i cittadini possono intervenire nella
cura dei beni comuni e quali regole debbano seguire nella loro azione, in modo
da legittimare definitivamente ed inequivocabilmente le iniziative intraprese in
base alla sussidiarietà orizzontale.
5.6.2. La definizione dell’interesse generale: un problema giuridico ma anche
politico
Il secondo problema sollevato dall’applicazione del principio di sussidiarietà
orizzontale riguarda, come già accennato in precedenza, la definizione di
interesse generale: l’art. 118 della Costituzione a questo proposito non è chiaro
per cui possono sorgere dubbi ed interrogativi di vario genere, come ad esempio
che cosa si debba intendere per interesse generale, a chi spetti la sua definizione
o quali azioni possano essere effettivamente ritenute di interesse generale e
possano quindi essere portate avanti dai cittadini. Bisogna accuratamente evitare
che la sussidiarietà orizzontale diventi una specie di scudo dietro il quale
proteggere e giustificare qualunque attività, e che in nome della sussidiarietà
orizzontale vengano legittimate azioni volte a perseguire esclusivamente interessi
personali. Le autonome iniziative dei cittadini di cui parla la Costituzione devono
rivestire non solo a parole, ma anche nei fatti una reale utilità per la popolazione,
sia essa quella dell’intera nazione, di una sola città o addirittura di un singolo
quartiere, ma comunque intesa sempre nel senso di «insieme [di persone]
costituente il gruppo di riferimento di un pubblico potere»51. Le istituzioni, e in
modo particolare i comuni per la loro vicinanza alle comunità locali, non possono
assolutamente favorire attività mirate a soddisfare interessi e bisogni di tipo
51
D. Sorace, op. cit., pag. 369
86
individuale e per questo hanno il compito fondamentale di sorvegliare le
iniziative svolte dai cittadini, favorendo quelle che realmente esprimono un
interesse collettivo (nel senso ampio della parola) ed ostacolando al contrario
quelle che sottintendono un beneficio che va ad appannaggio esclusivo di una
ristretta cerchia di popolazione. Sarebbe perciò opportuno un intervento
legislativo volto a specificare un po’ più dettagliatamente il significato della
locuzione “interesse generale” contenuta nell’art. 118 della Costituzione, in
modo da porre dei limiti ben precisi entro cui i cittadini possono mettere in atto le
proprie iniziative e da chiarire senza margine di dubbio quali tipi di azioni
civiche debbano essere appoggiate dalle amministrazioni, e quali invece debbano
essere contrastate. Nell’attuale situazione di confusione infatti la stessa iniziativa
sussidiaria potrebbe paradossalmente essere favorita da un’amministrazione che
dà dell’interesse generale un’interpretazione più ampia, ed osteggiata al contrario
da un altro ente che ne dà invece un’interpretazione maggiormente restrittiva.
Il problema sollevato dalla definizione dell’interesse generale tuttavia non è
soltanto giuridico (riguardante cioè la legittimità dell’azione dei cittadini), ma
anche politico; sappiamo infatti che la decisione circa gli interessi da perseguire
spetta in via generale agli amministratori eletti dalla popolazione, la quale
presumibilmente esprime il proprio voto in base alla politica che ritiene più
giusta e che si aspetta venga perseguita una volta che un determinato
schieramento viene investito del potere di gestire la cosa pubblica. Il principio di
sussidiarietà orizzontale potrebbe insidiare questa logica democratica, in quanto i
cittadini hanno la facoltà di intraprendere azioni che, anche se non in linea con la
politica che la maggioranza degli elettori mediante il proprio voto ha dichiarato
di preferire, non sono ostacolabili dalle istituzioni poiché rivestono un’utilità
generale. Le amministrazioni comunali dunque potrebbero paradossalmente
trovarsi a dover favorire (soprattutto dal punto di vista finanziario) delle
iniziative che non rientrano nel loro programma e che non verrebbero mai svolte
se non in base al principio di sussidiarietà orizzontale. Forse un esempio può
aiutarci a comprendere meglio il nocciolo del problema. Supponiamo che un
87
comune finanzi perché di interesse generale una particolare attività proposta da
un gruppo di cittadini e che questa stessa attività non rientri nel programma
politico dell’amministrazione. Supponiamo inoltre che successivamente altri
cittadini chiedano al comune il finanziamento di un’iniziativa di interesse
generale, questa volta in linea con le convinzioni politiche della maggioranza, ma
che il comune sia costretto a negare l’aiuto economico perché, come si suol dire,
ha già raschiato il fondo del barile e pertanto non ha più fondi disponibili a tale
scopo. I cittadini che hanno eletto la maggioranza potrebbero vedere in questo
rifiuto una mancanza di coerenza da parte degli amministratori e potrebbero
quindi sentirsi traditi proprio da coloro che ritenevano più capaci di altri nel
gestire il denaro pubblico e nei quali avevano perciò riposto la loro fiducia.
Questo effettivamente è un problema di non facile soluzione, che rischia di
mettere in crisi l’intero impianto democratico delle nostre istituzioni e di far
aumentare il disinteresse dei cittadini nei confronti dei problemi legati
all’amministrazione pubblica. Il pericolo infatti è quello che i cittadini, una volta
delusi, siano portati all’indifferenza verso le questioni politiche ed arrivino a
pensare che andare a votare sia soltanto una inutile scocciatura, dimenticando le
tante battaglie che nel corso della storia sono state condotte per ottenere il diritto
di esprimere le proprie opinioni. Per salvaguardare il principio di democrazia sul
quale devono reggersi le istituzioni, sarebbe dunque opportuno che il legislatore
si pronunciasse sulla questione, almeno per quanto riguarda l’aspetto della
concessione di finanziamenti allo svolgimento di attività sussidiarie, ponendo a
disciplina di questi regole chiare ed eventualmente anche qualche limite.
5.6.3. La responsabilità per le azioni svolte dai cittadini
L’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale solleva infine alcuni
problemi riguardo alla responsabilità per le azioni svolte dai cittadini. Anche in
questo caso un esempio può essere utile per capire i termini della questione.
Ipotizziamo che un gruppo di persone desideri sopperire alle carenze
dell’amministrazione comunale nella cura di una zona destinata dal Piano
88
Regolatore Generale a verde pubblico e che la stessa amministrazione favorisca
tale iniziativa mettendo a disposizione dei cittadini volenterosi le proprie
attrezzature per lo sfalcio dell’erba ed i lavori di giardinaggio. Immaginiamo per
un momento che uno di questi cittadini utilizzando l’attrezzatura di proprietà del
comune si ferisca o, peggio ancora, ferisca accidentalmente qualche ignaro
passante, la cui unica colpa è quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento
sbagliato. La domanda a questo punto sorge spontanea: chi è responsabile per
l’accaduto? Tralasciando la responsabilità penale, che come sappiamo è sempre
personale e quindi è posta in capo alla persona che stava utilizzando l’oggetto
che ha causato il sinistro, è difficile stabilire a priori chi possa essere ritenuto
titolare della responsabilità civile e sia pertanto tenuto a risarcire il danno. In
genere infatti il proprietario dell’oggetto è corresponsabile per il sinistro da
questo cagionato in solido con l’autore materiale del danno, se non altro per
affidamento incauto (come del resto avviene nel caso di incidenti stradali). Per
tutelarsi ed evitare di dover risarcire il danno le amministrazioni comunali
dovrebbero stipulare una polizza assicurativa contro la responsabilità civile per
ciascun oggetto che potenzialmente potrebbe causare un sinistro, ma questo
ovviamente farebbe lievitare le spese comunali, che di conseguenza
diventerebbero insostenibili. Le normali polizze contro la responsabilità civile di
cui sono dotati tutti i comuni infatti coprono solamente i danni accidentalmente
causati dai dipendenti comunali nell’esercizio delle loro mansioni, non anche
quelli cagionati da normali cittadini, i quali sono svincolati da qualunque
rapporto contrattuale con l’amministrazione comunale. Coloro dunque che per un
caso fortuito provocassero un danno a se stessi o ad altri potrebbero essere
chiamati a risponderne in solido con l’amministrazione, la quale presumibilmente
tenterebbe di rivalersi sul cittadino anche per la quota di risarcimento da essa
pagato; è proprio il caso di dire che i cittadini si troverebbero ad avere, oltre al
danno, anche la beffa (senza contare il fatto che in genere i risarcimenti per danni
a persone non sono cifre per nulla insignificanti). Questo logicamente
scoraggerebbe le iniziative civiche dei cittadini, per i quali sarebbe davvero
89
troppo oneroso sobbarcarsi anche questo tipo di responsabilità, in aggiunta al
fatto che già mettono gratuitamente a disposizione il loro tempo e le loro energie
per il bene di tutti. Per questo motivo tale problema deve assolutamente essere
risolto a livello legislativo, altrimenti rischia di neutralizzare il principio di
sussidiarietà orizzontale: se infatti i cittadini sono consapevoli di correre il
rischio di poter essere chiamati a risarcire un eventuale danno da loro causato
(per svolgere un’azione alla quale oltretutto non sono obbligati), molto
probabilmente nessuno di loro sarà più disposto ad intraprendere alcuna
iniziativa civica, con il risultato che la realizzazione degli interessi generali verrà
rimessa di nuovo esclusivamente nelle mani dell’amministrazione.
In Toscana ad esempio il Comune di Castagneto Carducci ha tentato in qualche
modo di ovviare a questo problema con la stipulazione di una polizza ad
personam. Da qualche anno infatti un abitante del paese, essendo ormai in
pensione e disponendo perciò di molto tempo libero, si dedica gratuitamente
proprio alla cura delle aiuole comunali; l’amministrazione locale, per non correre
rischi, ha deciso di pagare un premio annuo di assicurazione contro gli infortuni a
favore del volenteroso anziano, trattandolo così quasi come fosse un dipendente
comunale. Tale polizza tuttavia copre soltanto gli infortuni che occorressero al
volontario e non anche la responsabilità civile, quindi il problema viene solo
parzialmente risolto; la soluzione proposta dal Comune di Castagneto non è
dunque proponibile laddove i cittadini che si attivano per perseguire l’interesse
generale siano di volta in volta diversi a seconda dell’iniziativa che viene
intrapresa, in quanto gli enti non possono prendersi il lusso di pagare un premio
di assicurazione per ognuno di loro. Un intervento legislativo volto a chiarire i
limiti delle responsabilità di ciascun attore coinvolto nelle azioni sussidiarie
sarebbe dunque utile ed auspicabile; sarebbe inoltre estremamente positivo che
anche le compagnie di assicurazione si interessassero al problema ed
inventassero dei pacchetti assicurativi ad hoc da proporre alle amministrazioni
comunali, le quali avrebbero in questo modo la possibilità di tutelare se stesse ed
i cittadini attivi che intraprendessero iniziative civiche. La ricaduta di questo
90
investimento sarebbe senza dubbio positiva ed invoglierebbe sicuramente i
cittadini a mettere in atto azioni con effetti positivi per tutta la popolazione;
infatti se una persona sa che la sua responsabilità è in qualche modo limitata,
allora è sicuramente meglio disposta ad impegnarsi gratuitamente e a dedicare il
proprio tempo alla causa comune.
5.6.4. Contrasto dell’art. 118 u.c. Costituzione con alcune norme vigenti
A questo punto è bene fare una piccola riflessione per fugare ogni dubbio circa
un ulteriore problema giuridico che si potrebbe pensare derivi dall’applicazione
dell’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione. Il fatto che il principio di
sussidiarietà orizzontale sia sancito a livello costituzionale ed occupi quindi una
posizione superiore nella gerarchia delle fonti del diritto rispetto a molte delle
norme di legge che disciplinano l’attività dei comuni, potrebbe far venire il
sospetto che queste ultime siano automaticamente incostituzionali e vadano
perciò disapplicate qualora vietino ai cittadini di svolgere determinate azioni di
interesse generale. A parte il fatto che la questione di legittimità costituzionale
può essere sollevata soltanto nel corso di un processo e che solo la Corte
costituzionale può abrogare una norma di legge per incostituzionalità, è bene
affermare fin d’ora l’infondatezza dell’assunto: non si può assolutamente pensare
che una norma costituzionale sovverta l’ordine delle cose legittimando iniziative
contrarie alla legge. Del resto è naturale che sia così: se tutti potessero
intraprendere qualunque azione in nome della sussidiarietà orizzontale, sarebbe il
caos.
Un esempio può chiarire meglio il concetto. La L. 1228/1954 disciplina il
servizio di anagrafe dei comuni e stabilisce che tale attività sia svolta dal sindaco
o dai funzionari da egli delegati, i quali per questa mansione ricoprono il ruolo di
ufficiali dello Stato. Il motivo di questa norma sta nell’esigenza di certezza delle
informazioni riguardanti i cittadini residenti all’interno dei comuni, per cui
soltanto persone investite della carica di ufficiali dello Stato possono svolgere
l’attività di certazione, la quale rappresenta il nucleo centrale del servizio di
91
anagrafe. I cittadini, seppur mossi da buone intenzioni, non possono perciò
collaborare con l’amministrazione comunale in questo tipo di attività: è la legge
stessa a stabilire implicitamente tale divieto, nonostante l’apparente contrasto con
il principio di sussidiarietà orizzontale sancito dalla Costituzione. È dunque da
escludere a priori che la L. 1228/1954 possa essere ritenuta incostituzionale: essa
infatti è stata dettata per risolvere un particolare problema amministrativo e
pertanto non può essere in ogni caso disattesa, a prescindere dall’art. 118 quarto
comma della nostra Carta fondamentale.
Lo stesso ragionamento potrebbe essere ripetuto per l’esercizio di tutte le altre
funzioni che l’ordinamento affida direttamente alla competenza comunale: se è la
stessa legge a stabilire che una data attività debba essere svolta esclusivamente
dall’istituzione ad essa preposta, i cittadini devono astenersi dal compiere
qualunque azione in merito, altrimenti violano una norma giuridica e di
conseguenza possono persino essere chiamati a rispondere del compimento di un
illecito.
Abbiamo visto tuttavia in precedenza l’esempio del preside di scuola elementare
che è stato multato per violazione dell’art. 15 del Codice della Strada perché,
dopo ripetuti solleciti all’amministrazione comunale, aveva imbiancato le strisce
pedonali davanti alla scuola al fine di evitare che i suoi alunni venissero investiti.
Certamente la sua iniziativa era svolta nell’interesse generale, ma è altrettanto
vero che questo preside ha pur sempre trasgredito una norma di legge. Come ci si
deve comportare in casi come questi? La questione è quanto mai aperta, in
quanto è logico che non possono essere legittimate azioni in contrasto con la
legge, ma è vero anche che se l’amministrazione comunale tarda ad intervenire è
giusto che i cittadini possano risolvere direttamente i problemi che interessano
l’intera comunità. Forse in casi simili un po’ di buon senso ed un po’ di elasticità
nell’applicazione delle norme da parte degli amministratori potrebbe essere la
soluzione che consente di applicare il principio di sussidiarietà orizzontale pur
rimanendo entro i limiti stabiliti dalle altre leggi. È certo infatti che i cittadini non
possono in alcun modo arrogarsi il diritto di sostituirsi alle amministrazioni
92
comunali nell’esercizio delle loro funzioni, almeno quando è la legge a stabilire
che quelle stesse funzioni non possano essere svolte se non dalle amministrazioni
competenti; tuttavia nel caso in cui le azioni promosse dai cittadini siano mosse
dalla buona fede e siano utili per l’intera collettività, forse vale la pena di
valutare prima quali siano le conseguenze che ne derivano. Infatti è giusto
sanzionare i cittadini che compiono azioni illecite quando queste sono fini a se
stesse o, peggio ancora, hanno conseguenze negative per la collettività; ma se la
violazione di una norma porta soltanto conseguenze positive? In questo caso
forse sarebbe opportuna una valutazione attenta sull’entità dei costi e dei benefici
derivanti dalla violazione, e nel caso i benefici siano superiori ai costi, forse
varrebbe la pena non sanzionare la trasgressione (o al limite comminare una
sanzione simbolica, come ad esempio una multa di un euro, in modo da
riconoscere che è stato sì prodotto un risultato positivo, per mezzo però di
un’azione che è pur sempre sbagliata).
Concludendo, possiamo affermare che il problema dell’incostituzionalità delle
norme antecedenti l’introduzione del principio di sussidiarietà nella Costituzione
non si pone in quanto ogni norma di legge è stata dettata per realizzare un
particolare obiettivo, che spesso ha poco o nulla a che vedere con il principio di
sussidiarietà orizzontale e per questo deve essere perseguito esclusivamente dagli
enti pubblici. È questo ad esempio il caso di tutte quelle leggi che implicano
l’esercizio da parte delle amministrazioni di poteri autoritativi o concessori: in
questa ipotesi l’autonoma iniziativa dei cittadini non è da ritenersi legittimata,
per cui si può affermare che il contrasto con l’art. 118 ultimo comma della
Costituzione è solamente apparente. Ci sono tuttavia anche casi (come quello del
preside multato) in cui, nonostante la legge stabilisca esplicitamente una
competenza esclusiva a favore della pubblica amministrazione, non si comprende
perché i cittadini non dovrebbero avere la facoltà di intervenire con iniziative
autonome in applicazione dell’art. 118 ultimo comma della Costituzione: non
esiste infatti un vero motivo per cui l’esercizio di una funzione di interesse
generale non possa essere svolta anche dalla società civile ora che il principio di
93
sussidiarietà orizzontale è stato sancito a livello costituzionale; l’unica
spiegazione sta nella secolare tradizione amministrativa italiana che ha sempre
visto le funzioni di cura degli interessi pubblici come un compito esclusivo degli
enti pubblici. Tale visione è stata tuttavia rovesciata dal legislatore che ha
riformato il Titolo V della Costituzione; ora, parlare di incostituzionalità delle
norme antecedenti l’introduzione del principio di sussidiarietà orizzontale
nell’ordinamento italiano è sicuramente eccessivo, ma non si può negare che in
certi casi queste diano vita ad un contrasto con l’art. 118. Per questo motivo
sarebbe auspicabile che il legislatore intervenisse, abolendo o adeguando quelle
norme che ingiustificatamente vietano ai cittadini di intraprendere autonome
iniziative nell’interesse generale; nel frattempo forse è bene che le
amministrazioni non procedano ciecamente nel sanzionare i cittadini, ma si
soffermino prima a valutare sulla bilancia dei costi e dei benefici i risultati
ottenuti dalle attività svolte (in contrasto con la legge) dalla società civile. Anche
a questo proposito dunque è meglio che i cittadini informino preventivamente
l’amministrazione comunale circa la loro intenzione di procedere con
un’iniziativa civica; in questo modo infatti l’amministrazione ha la possibilità di
valutare la legittimità dell’azione e di informare a sua volta i cittadini dei rischi a
cui vanno incontro prima che questi agiscano. È questo un esempio di come una
buona comunicazione tra amministrazione e cittadinanza possa avere ricadute
positive sulla gestione dei beni comuni. L’amministrazione inoltre, se informata
dai cittadini dell’esistenza di un problema riguardante tutta la collettività,
potrebbe anche decidere di intervenire direttamente al fine di trovare una
soluzione. In questo modo salverebbe i cittadini dall’incombenza di attivarsi pur
in violazione della legge e non si troverebbe a dover decidere tra l’applicazione
alla lettera la legge (comminando quindi una sanzione ai cittadini) e la
giustificazione della loro azione alla luce dell’art. 118 ultimo comma della
Costituzione.
94
6. DIRITTI DI USO CIVICO E CORPI DEI VIGILI DEL
FUOCO VOLONTARI: DUE APPLICAZIONI STORICHE
DELLA SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE IN TRENTINO
6.1. Le Carte di Regola: antichi esempi di autonome iniziative dei cittadini per
lo svolgimento di attività di interesse generale
Il principio di sussidiarietà orizzontale, sancito dall’art. 118 ultimo comma della
Costituzione ed acclamato a gran voce come l’ultima frontiera della democrazia,
non è in effetti del tutto nuovo per la realtà trentina: la sua applicazione, anche se
con alcune differenze rispetto ad oggi, risale addirittura al Medioevo, quando la
popolazione riuscì a negoziare con i feudatari alcune forme di autonomia nella
gestione delle limitate risorse economiche di proprietà comune. Lo strumento
giuridico che permise questa seppur limitata sorta di indipendenza furono le
Carte (o Statuti) di Regola, documenti scritti caratteristici dell’epoca feudale,
presenti a partire dal secolo XII in quasi tutte le comunità del Trentino, nei quali
erano contenute le norme che definivano la vita delle comunità nei suoi aspetti
economici, amministrativi e civili. In particolare esse stabilivano le direttive per
l’amministrazione e l’utilizzo dei beni indivisi, ossia di quei beni, come boschi,
pascoli e malghe, che appartenevano alla comunità locale, cioè all’insieme delle
famiglie residenti, le quali erano responsabili della loro conservazione e del loro
accrescimento. Per il solo fatto di essere parte di una ben definita comunità di
paese, le famiglie avevano il diritto di utilizzare tali beni, i quali pertanto erano
realmente di tutti. Nessuno poteva agire individualmente: nella comunità esisteva
una fortissima coesione e la responsabilità portava a riconoscere che i diritti di
una singola persona non potevano mai ledere quelli della vicinia (come venivano
anticamente chiamate le frazioni). Il cuore delle Carte di Regola era dunque la
consapevolezza di avere dei beni che appartenevano a tutti da amministrare in
piena autonomia, segno questo della maturità di un popolo che si autogoverna
95
senza enti intermediari e che nei suoi affari minuti non ha bisogno di tutori52.
L’amministrazione dei beni pubblici era democratica: i capifamiglia si riunivano
in assemblea (regola maggiore o piena regola) per stabilire le regole da seguire
nell’utilizzo dei beni stessi e per eleggere coloro che avrebbero gestito la vicinia.
L’elezione aveva luogo ogni anno ed era libera; la partecipazione alla gestione
era ritenuta talmente importante che i capifamiglia che venivano scelti avevano
l’obbligo di accettare la carica, anche se non potevano essere successivamente
rieletti. L’amministrazione dei beni collettivi era infatti l’unica espressione di
autonomia che poteva essere esercitata nei confronti del feudatario ed è pertanto
logico che la popolazione cercasse di conservare gelosamente quei pochi diritti
che a fatica era riuscita a conquistare.
In un’epoca in cui la povertà era la caratteristica comune della stragrande
maggioranza della popolazione, i beni collettivi rivestivano una grandissima
importanza per l’economia di sussistenza del territorio trentino, basata
sull’agricoltura e sull’allevamento del bestiame; erano inoltre una garanzia
contro la miseria, in quanto chi non disponeva dei mezzi necessari per vivere
poteva accingere ai beni appartenenti alla comunità per soddisfare almeno le
prime necessità. Proprio per questo motivo era necessario che la comunità li
gestisse in maniera oculata, al fine di preservarne l’integrità e di evitarne
l’esaurimento. In particolare era fondamentale la razionalizzazione del taglio
degli alberi, in quanto il legname era il principale materiale utilizzato
nell’edilizia, oltre che praticamente l’unico combustibile disponibile. Se dopo
quasi mille anni il Trentino possiede il patrimonio ambientale attuale è
soprattutto grazie all’uso oculato che ne è stato fatto nel corso dei secoli dalle
famiglie chiamate a gestirlo; soltanto l’amministrazione diretta da parte delle
comunità locali ha permesso infatti di evitare lo sfruttamento indiscriminato delle
risorse ed il conseguente depauperamento del territorio.
L’autonomia di gestione stabilita dalle Carte di Regola era perciò di fatto molto
52
F. Turrini, I beni collettivi: un fondamento, una garanzia per il Trentino, relazione all’Assemblea
dell’Associazione provinciale delle ASUC, Trento 19 ottobre 2003
96
simile a quello che noi oggi chiamiamo principio di sussidiarietà orizzontale: le
comunità locali infatti si davano delle norme di comportamento e si occupavano
direttamente della gestione del territorio; le famiglie si sentivano effettivamente
proprietarie dell’ambiente in cui vivevano e pertanto lo amministravano con la
stessa cura che riservavano ai propri beni, organizzandosi per svolgere tutte
quelle azioni necessarie alla sua conservazione e all’accrescimento delle risorse
in esso contenute. Mediante tali attività veniva dunque perseguito un interesse
generale (nel senso che riguardava tutte le famiglie abitanti all’interno della
vicinia): le migliorie apportate al territorio in conseguenza di una gestione mirata
da parte della popolazione in esso residente, sono un patrimonio collettivo che si
è tramandato di generazione in generazione fino ai giorni nostri e che noi
abbiamo la responsabilità di lasciare in eredità alle nuove generazioni53. Il fatto
poi che questa autonomia fosse esercitata in maniera democratica, dimostra
l’elevato livello di civiltà che, nonostante l’arretratezza tecnologica e la scarsità
di mezzi dell’epoca, la popolazione trentina era riuscita a raggiungere.
Le Carte di Regola sono dunque senza ombra di dubbio uno dei primi esempi
nella storia di applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale: gruppi di
cittadini che autonomamente (ossia senza che venga loro imposto dall’alto) si
attivano per conservare l’integrità di un territorio e consentirne a tutti un
adeguato sfruttamento in un’ottica solidaristica. Il diritto delle popolazioni locali
53
«L’attività agro-silvo-pastorale ha da sempre dato luogo anche a ricadute esterne di interesse generale,
per lo più positive. In particolare, a margine della produzione vera e propria, si riconoscono ricadute utili
relativamente: alla regolazione delle acque; alla tutela contro l’erosione superficiale del suolo; all’uso
ludico-ricreativo; al contributo estetico paesaggistico; alla conservazione delle biodiversità; alla
perpetuazione delle tradizioni rurali legate alla coltivazione della terra, all’allevamento del bestiame, alla
cura del bosco, ai modi di vivere delle comunità di contadini, pastori e boscaioli. La certezza dell’integrità
territoriale, unita alla sicurezza di disporre del bene all’infinito, attraverso il succedersi delle generazioni,
permette di impostare programmi a lungo termine con la sicurezza di poterli portare a compimento.
Questa certezza è particolarmente apprezzata quando si mettono in atto miglioramenti fondiari con lunghi
tempi di ritorno dei benefici, caso che ricorre in effetti con una certa frequenza nelle situazioni montane,
ad esempio nel miglioramento dei pascoli o dei boschi. […] Lo svantaggio, del tutto ovvio, consiste nel
non poter disporre del più importante e comune strumento di autofinanziamento, costituito dalla vendita
di una parte della proprietà per realizzare investimenti su quella residua. Sono pertanto particolarmente
difficili da realizzare tutti quei miglioramenti che richiedono un considerevole impiego di capitale, in
aggiunta agli eventuali incentivi pubblici.» (B. Giau, La gestione polifunzionale degli ecosistemi collettivi
agro-silvo-pastorali, in P. Nervi, (a cura di), I demani civici e le proprietà collettive: un diverso modo di
possedere, un diverso modo di gestire, atti della II riunione scientifica (Trento, 7-8 novembre 1996),
Cedam, Padova 1998, pag. 75 e pag. 78)
97
di amministrare i beni collettivi in via quasi del tutto indipendente dall’autorità
sovrana è assimilabile per comunità di intenti all’art. 118 ultimo comma della
Costituzione, il quale a sua volta concede ai cittadini di oggi la possibilità di
impegnarsi in prima persona per la realizzazione di attività che recano un
beneficio all’intera collettività. Da questo punto di vista il principio di
sussidiarietà orizzontale, ultima novità nel campo dell’amministrazione dei beni
pubblici, altro non è che un ritorno a valori antichi, di cui la popolazione trentina
si è fatta portavoce nel corso dei secoli.
6.2. Le Amministrazioni Separate degli Usi Civici: l’evoluzione del sistema di
governo della proprietà collettiva in ottica sussidiaria
Il sistema delle vicinie cadde nel 1803 insieme al Principato Vescovile. I nuovi
governi, francese prima, bavarese ed austriaco poi, tentarono in tutti i modi di
esautorare l’autonomia delle popolazioni trentine, ma alla fine si videro costretti
ad accettarla; la consuetudine di amministrare direttamente la proprietà collettiva
era infatti talmente radicata nella mentalità e nel modo di vivere, che nessun
potere centrale riuscì a cancellare i diritti che la gente locale da secoli era abituata
ad esercitare. Da qui l’istituto degli usi civici, erede dell’esperienza delle Carte di
Regola, che l’Impero Austro-Ungarico costituì come diritto di godimento
concesso a tutti gli abitanti di un comune o di una frazione sopra determinate
terre, appartenenti al comune o alla frazione stessa.
Dopo l’annessione al Regno d’Italia i diritti di uso civico rimasero pressoché
immutati, anche perché i problemi da risolvere durante i primi anni di governo
italiano erano ben altri. In seguito il regime fascista vide come un pericolo il fatto
che le comunità locali potessero continuare ad esercitare una certa autonomia;
pertanto nel 1927 venne emanata la L. n. 1766 sugli usi civici, la quale
regolamentava le antiche forme di governo della proprietà collettiva presenti sul
territorio nazionale, trattandole tutte alla stessa stregua, nonostante queste fossero
molto differenti fra loro a causa delle diverse tradizioni che le avevano generate e
delle diverse discipline cui erano state sottoposte fino all’unificazione dello
98
Stato54.
In Trentino i diritti di uso civico vennero istituzionalizzati con la riforma del
Libro Fondiario, avvenuta dopo l’unificazione dello Stato. Da allora gli usi civici
sono iscritti all’Ufficio Tavolare, dove vengono registrati i decreti di
assegnazione stabiliti dal Commissario per gli usi civici, figura istituita dalla L.
1766/1927 con il compito di verificare, mediante ricognizioni sul territorio,
l’esistenza di antichi usi civici a favore delle popolazioni locali. Il decreto
assegna al comune o alla frazione il diritto di uso civico per quei beni che
appartengono alla collettività territoriale locale da immemorabile tempo e
costituiscono pertanto il patrimonio antico della stessa collettività; su di essi
esistono a favore dei cittadini residenti da generazioni nel territorio gli usi civici,
ossia diritti di utilizzo e sfruttamento, quali ad esempio tagliare la legna, cavare
sassi e far pascolare il bestiame. I terreni gravati da uso civico hanno natura
demaniale, ossia sono inalienabili, imprescrittibili e, di conseguenza,
54
«[…] Il legislatore del 1927 ha messo sullo stesso piano l’uso civico del Comune di Monte
Sant’Angelo in Puglia, e la Magnifica Comunità di Fiemme, o le Regole Ampezzane. […] Si è insomma
livellato quanto non era livellabile, immiserendo in una visione appiattita quanto aveva, al contrario,
bisogno di essere valorizzato non soltanto nelle sue sfaccettature ma soprattutto nelle sue essenziali
differenziazioni se non opposizioni. L’uso civico del comune di Monte Sant’Angelo può essere ritenuto
un diritto reale su cosa altrui o, per usare la decrepita terminologia ottocentesca della legislazione unitaria
per gli Stati Pontifici, una servitù di pascere, seminare, legnare, cioè una realtà modesta sotto tutti i punti
di vista. Altra cosa sono le autentiche proprietà collettive: le Regole Ampezzane o del Comelico, la
Magnifica Comunità di Fiemme, la Magnifica Comunità di Cadore, e così via, soprattutto condensate in
questo arco alpino orientale. […] Là [a Monte S. Angelo] abbiamo un espediente che si colloca su un
piano strettamente economico-giuridico: si vuol consentire a una certa comunità di poter utilizzare certi
beni, di essere titolari di diritti reali limitati su certi beni. Con le autentiche proprietà collettive io mi trovo
di fronte a tutto un assetto peculiarissimo della vita sociale, che rispecchia, a sua volta, tutta una
peculiarissima concezione della vita associata e delle relazioni fra terra, comunità, singoli operatori. Ho,
insomma, qui una compenetrazione fra terra e sangue come non trovo in nessun altra istituzione del
vivere associato. Ecco il significato della mia cura nel distinguere le “autentiche” proprietà collettive da
forme parziali e ridotte e ridottissime di collettivismo fondiario. La vera proprietà collettiva è un
ordinamento giuridico primario. Uso di proposito questa categorizzazione impegnativa. È un ordinamento
giuridico primario, perché qui si ha una comunità che vive certi valori e li osserva, valori ad essa
peculiari, gelosamente conservati lungo linee generazionali dalla durata almeno plurisecolare, valori
meritevoli del nostro rispetto e della nostra comprensione. L’uso civico di Monte Sant’Angelo è per certo
una realtà rispettabile, ma costituisce semplicemente uno dei tanti istituti del vivere associato, che non
può essere né enfatizzato né ingigantito. Qui, nelle proprietà collettive di queste montagne alpine, ho
invece tutta un’esperienza di vita associata, tutto un costume giuridico, con peculiarità proprie; sono di
fronte a qualcosa che vive ed opera al di là dello Stato italiano, ben al di dentro della società civile italiana
ma probabilmente assai più in profondo rispetto alla corteccia dell’apparato statuale italiano, come la
storia del diritto – storia di tempi lunghi – segnala con lampante evidenza.» (P. Grossi, I domini collettivi
come realtà complessa nei rapporti con il diritto statuale, in P. Nervi (a cura di), I demani civici e le
proprietà collettive: un diverso modo di possedere, un diverso modo di gestire, atti della II riunione
scientifica (Trento, 7-8 novembre 1996), Cedam, Padova 1998, pag. 22)
99
inusucapibili, ma non sono beni pubblici nel senso da noi oggi inteso, in quanto
su di essi gravano dei diritti a favore della popolazione residente nel territorio
comprendente i terreni medesimi; di conseguenza il comune proprietario del
terreno non può disporne liberamente.
Gli usi civici esistono in varie forme in tutta Italia, ma sono senza dubbio più
diffusi nell’arco alpino, in modo particolare in Trentino, dove quasi il 70% del
territorio è gravato da diritti di uso civico a favore delle popolazioni locali.
L’autonomia
della
Provincia
di
Trento
ha
origine
infatti
proprio
dall’apprendimento del demanio civico e dall’endogeno potere di autotutela
creato dalle Carte di Regola, che hanno formulato nel tempo precise, concrete ed
oculate regole di autonomia, prima ancora che sulle popolazioni si imponessero
le potenze sovraregionali. Proprio in virtù dello Statuto di autonomia, che
assegna alla Provincia di Trento competenza legislativa primaria in materia, nel
1952 venne emanata, in attuazione della L. 1776/1927 (la quale prevedeva
esclusivamente principi generali di diritto civile), la L.P. n. 1/52. Questa stabiliva
che la gestione degli usi civici spettasse ai comuni o alle frazioni: queste ultime,
per esercitare i diritti di cui erano titolari, dovevano istituire le ASUC –
Amministrazioni Separate degli Usi Civici – che pertanto sono diventate in
Trentino gli enti gestori dei diritti di uso civico e delle proprietà collettive. Le
ASUC erano costituite da un comitato di gestione eletto da tutti i capifamiglia
(iscritti all’apposito albo in quanto residenti da generazioni all’interno della
frazione), proprio come avveniva nelle antiche vicinie. Il comitato era (ed è
tuttora) chiamato ad amministrare i terreni sui quali gravano i diritti di uso
civico; in questo modo gli abitanti della frazione conservavano l’antico diritto a
gestire direttamente le proprietà collettive appartenenti al proprio territorio.
Grazie alle ASUC dunque, il principio di sussidiarietà orizzontale poteva ricevere
una nuova forma di applicazione: l’autonomia concessa alle popolazioni locali,
riconoscendo il lavoro di gestione del territorio da esse operato nel corso dei
secoli, permetteva di portare avanti nel tempo le tradizioni amministrative
originarie delle Carte di Regola, nonostante le modalità di gestione del territorio
100
fossero cambiate per rispondere alla evoluzione delle istituzioni pubbliche e della
società.
In principio le regole per la gestione delle ASUC ricalcavano quelle dettate per le
amministrazioni comunali; di conseguenza erano molto semplici, in quanto
inizialmente anche le regole per la gestione dei comuni erano tali. L’ordinamento
dei comuni si è poi evoluto nel tempo, ma le regole per l’amministrazione delle
ASUC sono rimaste praticamente immutate per 50 anni. L’entrata in vigore della
L.P. 5/2002 ha tuttavia modificato abbastanza radicalmente la vecchia disciplina
provinciale dei beni di uso civico; la nuova legge concede infatti il diritto di voto
(attivo e passivo) per il comitato di gestione delle ASUC all’assemblea degli
utenti, formata da tutti i cittadini italiani maggiorenni residenti nella frazione,
anziché soltanto ai capifamiglia come avveniva in passato. L’assemblea degli
utenti inoltre ha il compito di approvare lo statuto, senza il quale l’ASUC non
potrà più funzionare. Questa regola, dettata molto probabilmente per risvegliare
nella popolazione locale l’interesse alla gestione delle proprietà collettive, rischia
tuttavia di snaturare il contenuto originario dei diritti di uso civico. Inoltre sono
ora previsti adempimenti in capo al comitato di gestione dell’ASUC che vanno
ben al di là di una semplice amministrazione da parte dei cittadini. Ora le ASUC
devono seguire tutta una serie di norme di gestione che si avvicinano sempre di
più a quelle dei comuni; questa è una grossa complicazione per i membri del
comitato di gestione, i quali molto spesso sono persone comuni, che lavorano
volontariamente e gratuitamente in un’ottica sussidiaria semplicemente perché
credono nell’importanza della conduzione autonoma del territorio, ma che non
hanno le competenze necessarie per gestire una simile macchina burocratica. Il
comune a cui appartiene la frazione in cui opera l’ASUC ed il Servizio
Autonomie Locali della Provincia hanno inoltre ampi poteri di controllo
sull’operato delle ASUC stesse e possono persino promuovere autonomamente
l’estinzione o la sospensione del vincolo di uso civico a favore di una frazione; e
questo anche nei comuni dove esistono le ASUC, nonostante in passato sia il
Consiglio di Stato che la Corte di Cassazione abbiano stabilito che la competenza
101
ad autorizzare l’alienazione dei beni gravati da uso civico (come l’estinzione e la
sospensione degli stessi diritti) spetti esclusivamente all’amministrazione
separata dei beni frazionali e non ai consigli comunali55. Siccome tuttavia per
estinguere il vincolo di uso civico gravante su un terreno occorre
necessariamente l’autorizzazione del Servizio Autonomie Locali della Provincia,
di fatto è l’ente provinciale a decidere del destino dei diritti di uso civico anche
quando l’azione viene promossa dai consigli comunali (o dagli stessi comitati di
gestione dell’ASUC). Come si può immaginare, questa legge ha sollevato molte
polemiche, in quanto si corre il rischio che nel tempo riescano a sopravvivere
solo le ASUC che possono disporre di ingenti patrimoni, in quanto sono le
uniche in grado di sostenere i costi derivanti dal nuovo sistema di gestione
(assunzione di dipendenti che seguano a tempo pieno gli aspetti burocratici ed
amministrativi, rimborso delle spese sostenute dai comuni a favore dell’ASUC,
erogazione di contributi al comune o al corpo dei vigili del fuoco per la
realizzazione di interventi a favore della frazione); le ASUC delle piccole
frazioni, dove mancano competenze e risorse economiche, sono destinate invece
a scomparire. Non volendo entrare nel merito della questione, in questa sede
preme solamente sottolineare che a fronte di un principio costituzionale che
incentiva le iniziative autonome dei cittadini ed obbliga le amministrazioni
pubbliche a favorirle, la L.P. 5/2002 burocratizza le attività che da sempre sono
state svolte dalla popolazione in ottica sussidiaria a tal punto da farle trasformare
quasi in un altro tipo di amministrazione pubblica. La L.P. 5/2002 ostacola a tal
punto quella che per secoli è stata la più forte affermazione di autonomia della
popolazione trentina da rimetterla nuovamente nelle mani dell’amministrazione
pubblica: infatti il nuovo sistema di gestione delle ASUC è talmente complicato
che disincentiva decisamente le persone residenti nelle frazioni ad impegnarsi
nella gestione delle proprietà collettive; di conseguenza, mancando chi si accolla
l’onere della gestione dell’ASUC, i diritti di uso civico, da sempre gestiti dalle
55
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 345 del 4 luglio 1986 e Corte di Cassazione, sezione II,
sentenza n. 11127 del 23 dicembre 1994
102
famiglie, ritorneranno per forza ad essere gestiti dai comuni (questi ultimi infatti
sono gli enti deputati all’amministrazione dei diritti di uso civico nel caso venga
a mancare l’ASUC). La L.P. 5/2002 rappresenta perciò un notevole passo
indietro rispetto al passato, in quanto non favorisce (anche se non pone un divieto
in tal senso) l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di
interesse generale (in questo caso la cura dei beni comuni); con questa legge le
amministrazioni comunali finiranno per prendersi direttamente in carico funzioni
pubbliche aggiuntive, riducendo sempre di più l’autonomia di gestione dei
demani civici da parte dei cittadini. Paradossalmente quindi, da una parte
l’ordinamento statale promuove la libera iniziativa dei cittadini per perseguire
l’interesse generale, e nello stesso tempo dall’altra il legislatore provinciale
approva una legge che contrasta palesemente con l’art. 118 ultimo comma della
Costituzione; e questo è ancora più assurdo se si pensa che avviene proprio qui in
Trentino, dove per secoli la popolazione ha precorso i tempi dell’ordinamento
giuridico, applicando nella gestione delle proprietà collettive quello che poi è
diventato il principio di sussidiarietà orizzontale, sancito ora anche a livello
costituzionale.
6.3. Il servizio antincendio in Trentino: la sussidiarietà orizzontale come
strumento per combattere le sventure comuni
Il servizio antincendio può essere considerato un’altra particolare applicazione
storica del principio di sussidiarietà orizzontale in Trentino; esso infatti si basa
quasi esclusivamente su corpi di vigili del fuoco volontari, la cui origine va
ricercata nell’esigenza diffusa di prevenire e contrastare efficacemente il dilagare
degli incendi. In un ambiente in cui il principale materiale usato nell’edilizia era
il legno e in cui le case venivano costruite l’una ammassata all’altra per evitare la
dispersione del calore durante i mesi invernali, era logico che ogni piccola
scintilla poteva trasformarsi in un rogo terrificante. Gli incendi costituivano in
effetti una vera e propria sciagura per tutta la comunità: quando divampavano
erano difficili da arrestare, sia per la scarsità di acqua (i centri abitati venivano
103
costruiti in genere a debita distanza dai corsi d’acqua, i quali non erano ancora
stati canalizzati), sia per la carenza di mezzi tecnologici atti alle operazioni di
spegnimento; il fuoco si propagava velocemente a tutte le abitazioni, arrivando a
distruggere gran parte del centro abitato, e la popolazione altro non poteva fare
che restare inerme a guardare le proprie case (e quanto contenevano) andare
letteralmente in fumo.
Il disinteresse dimostrato dalle pubbliche autorità nei confronti di questo
problema spinse pertanto le popolazioni locali a costituirsi in associazioni
volontarie a difesa dai rischi del fuoco già dal Medioevo. Le popolazioni locali
stabilirono all’interno delle antiche Carte di Regola, oltre alle direttive per la
gestione e l’utilizzo dei beni collettivi, anche norme per la prevenzione degli
incendi e pene rigorose per chi veniva colto in flagrante ad appiccare il fuoco. La
difesa dal pericolo delle fiamme veniva attuata mediante regole semplici, che
dovevano però essere rigorosamente osservate: in caso di incendio almeno un
uomo per abitazione doveva partecipare ai soccorsi e tutte le famiglie avevano
l’obbligo di tenere sempre due secchi pieni d’acqua in casa. A questo proposito
venne istituita la figura del sovrastante, persona incaricata di controllare
periodicamente i camini delle case ed il rispetto delle norme di prevenzione
contro gli incendi, nonché di dare tempestivamente l’allarme ed accorrere per
primo a spegnere gli incendi qualora questi divampassero; il sovrastante poteva
addirittura essere punito dalla comunità nel caso non adempisse puntualmente ai
compiti affidatigli. Con il tempo vennero poi istituite ronde notturne per
sorvegliare i fuochi durante i mesi invernali; furono inoltre sancite alcune
prescrizioni da rispettare nella costruzione delle case, anche se bisognerà
aspettare il 1787 perché un regolamento imperiale decreti l’obbligo di costruire i
nuovi edifici in muratura (ad eccezione dei tetti che avrebbero potuto continuare
ad essere costruiti con le scandole in legno di abete, data la scarsità e l’onerosità
di altri tipi di coperture).
Al di là della semplicità e dell’incompletezza delle norme imposte, è comunque
da notare come ancora una volta la libera iniziativa delle popolazioni locali tentò
104
di sopperire alle carenze del potere centrale nel perseguimento di un obiettivo di
interesse generale quale la protezione dei centri abitati dal rischio di incendio.
Inoltre le Carte di Regola stabilivano anche forme di aiuto concreto alle persone
colpite dagli incendi, come la possibilità di prelevare una certa quantità di
legname, da usare nella ricostruzione di quanto distrutto dal fuoco, direttamente
dai boschi appartenenti alla comunità (tale facoltà è presente ancora oggi nei
regolamenti di talune ASUC). L’ottica solidale del principio di sussidiarietà
orizzontale era pertanto già viva e presente molti anni fa, quando ancora nessuna
legge aveva codificato la possibilità per i cittadini di adoperarsi per il bene della
collettività; semplicemente la gente aveva a cuore il bene della propria comunità,
quindi lasciava da parte gli interessi egoistici ed usava il proprio spirito di
iniziativa per esercitare quella che precedentemente abbiamo definito “libertà
solidale”.
Attorno al 1400 iniziarono le prime opere di canalizzazione delle acque e le
cosiddette rogge vennero fatte passare anche all’interno dei centri abitati; in
questo modo, in caso di incendio l’acqua poteva essere a portata di mano. Con
l’andare del tempo inoltre i progressi della tecnologia misero a disposizione delle
comunità nuovi strumenti per lo spegnimento del fuoco e le norme per la
prevenzione degli incendi andarono facendosi più dettagliate. Le comunità
cominciarono anche a comperare attrezzature antincendio collettive, che
potessero essere usate per spegnere qualunque fuoco divampasse in paese e che
venivano perciò affidate alla custodia dei sovrastanti. Ciononostante,
l’organizzazione dei soccorsi e delle squadre di spegnimento in caso di incendio
era sempre caotica e disarticolata, in quanto era affidata alla popolazione, che
seppur mossa dallo spirito di solidarietà che unisce le comunità in casi di simili
calamità, operava senza la direzione di un coordinatore. Per di più bisogna
considerare il fatto che spesso la gente cadeva in preda al panico, per cui si può
ben comprendere come mai le azioni messe in atto per estinguere le fiamme
risultassero poco efficaci. Si decise pertanto di sostituire la figura del sovrastante
con squadre di volontari che dovevano compiere turni di guardia e partecipare a
105
riunioni di addestramento periodiche al fine di imparare a coordinare l’azione
della popolazione nelle operazioni di spegnimento e di soccorso.
Nel 1688 l’imperatore Leopoldo II emanò il primo regolamento antincendio
vigente in tutto l’impero; successivamente ne vennero emanati degli altri, ma
tutti erano sempre abbastanza carenti. Nel 1787 venne varato il Regolamento
generale per gli incendi, valido per tutti i borghi del Tirolo, e di conseguenza
anche per il Trentino. La vera portata innovativa di questo atto fu la previsione di
dettagliate norme antincendio in campo edilizio ed urbanistico (come l’obbligo
della licenza edilizia per le costruzioni nuove, che doveva essere rilasciata da una
apposita commissione formata da periti e spazzacamini, i quali periodicamente
procedevano anche alle ispezioni delle abitazioni) e di prescrizioni per il
mantenimento dell’ordine pubblico in caso di incendio. Tale regolamento
preludeva all’istituzione dei veri corpi dei vigili del fuoco, ma ci vollero più di 50
anni prima che venisse effettivamente attuato; nel frattempo la libera iniziativa
delle popolazioni locali continuava a dare vita a gruppi organizzati di volontari
che prestavano la loro opera per spegnere i roghi, purtroppo ancora frequenti
nonostante i progressi legislativi e tecnologici.
Attorno alla metà del XIX secolo vennero istituiti i primi veri corpi di pompieri
volontari simili a quelli odierni, organizzati secondo un ordinamento ben
definito, rispecchiante la gerarchia militare, e guidati da un vero e proprio
comandante, il quale subentrò in pratica nel ruolo che precedentemente spettava
al sovrastante. Le manovre di addestramento (in genere alla domenica
pomeriggio) divennero consuetudine per i vigili del fuoco, i quali diedero vita
anche squadre di giovani allievi per favorire il ricambio generazionale. Bisognerà
attendere tuttavia fino al 1881 perché i corpi dei vigili del fuoco volontari
vengano riconosciuti ed istituzionalizzati ufficialmente dalla legge imperiale.
Nel 1910 i corpi di pompieri volontari in Trentino erano già ben 180 ed
impegnavano un totale di 2740 uomini56. La prima guerra mondiale reclutò tutte
le giovani generazioni e molti corpi vennero smembrati. Dopo la guerra molti dei
56
M. Zeni, Storia dell’antincendio in Trentino, Publiprint, Trento 1988, pag. 262
106
gruppi sciolti vennero ricostituiti secondo il modello prebellico; il R.D.
2472/1935 decretò tuttavia l’accorpamento di tutti i gruppi di pompieri comunali
in un unico corpo provinciale, fissando anche il numero massimo di uomini che
potevano prestare il proprio operato a titolo volontario. Con la seconda guerra
mondiale i pompieri volontari vennero arruolati e dopo l’8 settembre 1943 i vigili
del fuoco, tornati in Trentino, diedero vita a gruppi antincendio spontanei per
prestare soccorso alle vittime dei bombardamenti. Lo statuto di autonomia del
1948 affidò infine alla Regione la competenza legislativa nell’ambito del servizio
antincendi e della protezione civile. Nel 1955 venne emanata la prima legge
regionale in materia, la quale istituiva i due Corpi di Vigili del Fuoco permanenti
di Trento e Bolzano, e stabiliva che ciascun comune dovesse dotarsi di almeno
un corpo di vigili del fuoco volontari; per il resto però la costituzione dei corpi
volontari all’interno dei singoli comuni era lasciata alla libera iniziativa dei
cittadini, con l’unico vincolo del rispetto delle leggi del settore. La riforma del
1978 trasferì la competenza legislativa in materia alle due province autonome,
ma di fatto non cambiò un granché.
Da allora l’organizzazione dei corpi dei pompieri è rimasta pressoché invariata.
Attualmente i corpi dei vigili del fuoco volontari sono sottoposti, per quanto
riguarda l’attività, al controllo e al coordinamento da parte del Corpo dei Vigili
del Fuoco permanente di Trento, mentre per quanto attiene l’aspetto finanziario,
il loro bilancio deve essere approvato dal Servizio Antincendi della Provincia ed
inserito come capitolo separato all’interno del bilancio del comune cui
appartengono. Per il resto l’organizzazione dei corpi dei vigili del fuoco volontari
deve seguire le norme nazionali e provinciali sulla sicurezza, ma è lasciata
all’iniziativa e alla disponibilità dei cittadini, che operano a titolo volontario.
Ancora oggi dunque l’attività di protezione civile nella Provincia di Trento è
organizzata e gestita dai cittadini in un’ottica solidale sulla base del principio di
sussidiarietà. Nonostante dunque nel corso del tempo anche il servizio
antincendio si sia evoluto e burocratizzato secondo schemi abbastanza rigidi, è da
notare come la tradizione che sta all’origine dei corpi dei vigili del fuoco
107
volontari sia ancora profondamente radicata nel nostro territorio: nella sola
Provincia di Trento i corpi di vigili del fuoco volontari sono 242, per un totale di
circa 4000 persone impegnate57. Se si pensa che i comuni sono 223, ci si può
rendere conto della grande portata sociale di tale tipo di attività. Il fatto che
questa sia ancora organizzata per la maggior parte su base volontaria è la
dimostrazione di come l’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale
possa dare origine, se regolamentato nel modo corretto, a risultati eccellenti. I
corpi dei vigili del fuoco volontari trentini infatti sono all’avanguardia non solo
per quanto riguarda l’attività di prevenzione e soccorso in caso di incendi, ma
anche in tutti gli altri ambiti della protezione civile. Nel corso del tempo infatti le
situazioni di pericolo determinate dal rischio incendi sono progressivamente
diminuite, ma i vigili del fuoco volontari hanno evoluto ed aggiornato le proprie
competenze, diventando un valido punto di riferimento in tutti i casi in cui vi
siano condizioni di pericolo o necessità di soccorsi tempestivi. Anche in questo
caso dunque lo spirito di iniziativa della popolazione trentina ha precorso
notevolmente i tempi del legislatore nazionale, attuando nei fatti il principio di
sussidiarietà orizzontale prima ancora che venisse sancito dall’ordinamento
giuridico; mediante una legislazione che incentiva questo tipo di attività,
l’autonomia della Provincia di Trento ha permesso inoltre a tutti i comuni
cittadini che lo desiderano, di impegnarsi attivamente per perseguire nel migliore
dei modi l’interesse generale della pubblica sicurezza. Le amministrazioni
comunali infine, finanziando in gran parte l’attività dei corpi dei vigili del fuoco
volontari, favoriscono questo tipo di iniziativa sussidiaria e di fatto ne
riconoscono pubblicamente l’utilità, proprio come ora stabilito anche dall’art.
118 quarto comma della Costituzione. Il caso del servizio antincendio è pertanto
un buon esempio di come in Trentino la collaborazione tra legislatore,
amministrazioni pubbliche e cittadini per la realizzazione dell’interesse generale
abbia effettivamente prodotto risultati positivi che vanno a beneficio di tutta la
collettività.
57
M. Zeni, Storia dell’antincendio in Trentino, Publiprint, Trento 1988, pag. 319
108
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Nelle pagine di questo lavoro abbiamo esaminato il principio di sussidiarietà
orizzontale sancito dall’art. 118 ultimo comma della Costituzione: «Stato,
regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa
dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse
generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Questo significa che ai privati
cittadini è accordata la facoltà di adoperarsi per il bene comune mediante la
realizzazione di iniziative che soddisfino un interesse non egoistico, recando di
conseguenza un beneficio alla collettività. La vera portata innovativa di tale
assunto è il fatto che le attività intraprese dalla società civile sono autonome,
ossia
non
devono
necessariamente
essere
autorizzate
dalla
pubblica
amministrazione, soggetto generalmente incaricato di definire e perseguire gli
interessi pubblici. In altre parole con il nuovo testo costituzionale anche i
cittadini diventano depositari del compito di curare gli interessi generali al fianco
degli enti pubblici, ed insieme a questi ultimi possono perseguire il bene pubblico
in un’ottica di autonomia, responsabilità e solidarietà. Nel corso dell’analisi ci
siamo soffermati in modo particolare ad analizzare le attività che le formazioni
della società civile possono intraprendere in ambito locale per supportare, in
un’ottica non di sostituzione, bensì appunto di sussidiarietà, l’operato delle
amministrazioni comunali e collaborare con esse al perseguimento degli interessi
della popolazione nei più svariati settori della vita sociale ed amministrativa, dai
servizi alla persona alla tutela del territorio.
Tuttavia il testo costituzionale non stabilisce solamente la possibilità per la
società civile di impegnarsi in modo autonomo per la realizzazione del bene della
collettività; esso impone altresì a carico della Repubblica (che a norma dell’art.
114 comma 1 della Costituzione è formata da Stato, regioni, città metropolitane,
province e comuni) il dovere di favorire questo tipo di iniziative. Di conseguenza
109
abbiamo cercato di immaginare le modalità mediante le quali le pubbliche
istituzioni possono incoraggiare le azioni poste in essere dai cittadini,
soffermandoci ancora una volta in modo particolare sulle amministrazioni
comunali. Queste ultime hanno a disposizione diverse possibilità per appoggiare
l’attività dei cittadini, dal semplice laissez faire all’impegno in prima linea
mediante forme concrete di sostegno delle iniziative civiche. Al di là di come
effettivamente società civile ed amministrazioni comunali diano attuazione
all’art. 118 ultimo comma della Costituzione, è da notare comunque come il
principio di sussidiarietà orizzontale costituisca una grande opportunità per
realizzare quella che può essere definita amministrazione condivisa tra istituzioni
e cittadini: questi ultimi infatti possono collaborare a supporto delle
amministrazioni pubbliche nella realizzazione delle proprie finalità istituzionali,
consentendo al contempo di risolvere i problemi derivanti dalla cura dei beni
comuni secondo modalità sempre nuove in base alle forme (come e quanto) della
loro partecipazione. Questo consente da un lato di risparmiare risorse pubbliche,
in quanto i cittadini possono svolgere a titolo gratuito servizi che altrimenti
dovrebbero essere acquistati o erogati dalle amministrazioni, e dall’altro di
aumentare il livello di partecipazione della società civile a questioni che la
riguardano direttamente poiché inerenti la gestione dei beni comuni.
«La partecipazione alla vita del Paese che si realizza attraverso l’attuazione del
principio di sussidiarietà è sicuramente espressione di democrazia, ma è un modo
di esercizio della sovranità popolare che i membri dell’Assemblea Costituente
difficilmente avrebbero potuto immaginare, considerato che la loro cultura
istituzionale
era,
inevitabilmente,
legata
agli
schemi
tradizionali;
la
partecipazione “all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art.
3, comma 2 della Costituzione) cui essi facevano riferimento era principalmente
quella che poteva manifestarsi attraverso l’esercizio del diritto di voto e la
partecipazione alle attività dei partiti politici, dei sindacati e delle altre
formazioni sociali. Invece dall’attivarsi dei cittadini in base all’art. 118 ultimo
comma possono nascere nuove forme di esercizio della sovranità popolare e di
110
partecipazione
democratica,
non
partecipazione
politica
a
né
riconducibili
quelle
della
né
alle
categorie
partecipazione
nella
della
sfera
amministrativa, ma certamente non meno significative ed incisive delle forme
tradizionali, con cui si integrano e completano a vicenda ai fini della
realizzazione di una maggiore democrazia complessiva del nostro Paese. È
possibile ipotizzare che in seguito ad un’autonoma iniziativa di cittadini
finalizzata a prendersi cura di determinati beni comuni si avvii un rapporto di
collaborazione tra amministrazioni pubbliche e privati che preveda, fra l’altro,
anche momenti di partecipazione di questi ultimi al processo decisionale,
secondo le modalità previste dall’ordinamento.»58
Affinché queste forme di partecipazione (in particolare per quanto riguarda i
processi decisionali) possano essere concretizzate, è necessario tuttavia che le
amministrazioni operino al loro interno un radicale cambiamento di mentalità; le
istituzioni infatti spesso ostacolano le iniziative dei cittadini, in quanto si sentono
defraudate del loro tradizionale ruolo di unici soggetti preposti alla realizzazione
degli interessi pubblici, e tendono per questo ad appoggiare soltanto quelle azioni
che possono essere da esse controllate ed ufficializzate. Non a caso due
applicazioni storiche del principio di sussidiarietà orizzontale che sono riuscite a
sopravvivere fino ad oggi sono le ASUC ed i corpi dei vigili del fuoco volontari,
organizzazioni che sono state burocratizzate a tal punto da diventare a loro volta
delle amministrazioni a sé stanti, inserite però all’interno del contesto più ampio
delle amministrazioni comunali. Queste forme concrete di sussidiarietà
orizzontale sono ancora vive solo perché nel tempo sono state rigidamente
regolamentate, evolvendosi secondo gli schemi dettati dall’autorità pubblica.
Nella tradizionale visione amministrativa accentrata, retaggio storico della
formazione degli Stati nazionali, gli enti pubblici cercano infatti di governare
ogni aspetto della vita amministrativa e non accettano ciò che non può essere
direttamente controllato, a meno che non sia sottoposto alla direzione di un altro
58
Documento base per la discussione al convegno L’Italia dei beni comuni – I Convenzione nazionale
della sussidiarietà, Roma 12 marzo 2004, sito internet www.cittadinanzattiva.it
111
ente che funziona esattamente secondo le stesse regole gerarchiche e
burocratiche. La L.P. 5/2002 è l’estrinsecazione più evidente di questo modo di
pensare: la Provincia di Trento ha burocratizzato a tal punto le ASUC da
trasformarle in vere e proprie amministrazioni pubbliche; questo però ne mette a
repentaglio la stessa esistenza, sia per la mancanza di competenze da parte dei
cittadini chiamati ad amministrare le proprietà collettive che per la scarsità di
risorse finanziarie che da anni affligge le ASUC stesse. Il principio di
sussidiarietà presuppone invece un ritorno agli antichi valori della solidarietà e
dell’autonomia di organizzazione da parte delle popolazioni locali, in modo che
possano anch’esse occuparsi direttamente del perseguimento dell’interesse della
collettività al fianco delle istituzioni; perché questo avvenga è necessario tuttavia
che le amministrazioni pubbliche accettino l’ingerenza delle formazioni della
società civile nelle questioni amministrative come un’opportunità e non come un
disturbo alla loro attività. Questo aspetto forse è ancora più importante proprio
per le amministrazioni comunali, che sono gli enti territorialmente e
funzionalmente
più
vicini
alla
popolazione;
la
cittadinanza
infatti
presumibilmente si attiverà in ristretti ambiti territoriali, prima di cimentarsi in
azioni di più ampio respiro. È logico dunque che i comuni saranno i primi a
beneficiare delle iniziative civiche intraprese dalla popolazione, ma saranno
certamente anche i primi ai quali i cittadini si rivolgeranno per ottenere qualche
forma di sostegno concreto. Il favore delle amministrazioni comunali è quindi
fondamentale per la diffusione dell’art. 118 quarto comma della Costituzione e
per la sua concreta applicazione.
Il cambio di mentalità proposto dal principio di sussidiarietà orizzontale consente
inoltre di attuare una nuova forma di semplificazione amministrativa: i cittadini
hanno la facoltà di operare nell’interesse generale senza dovere attendere i tempi
(a volte estremamente lunghi) delle amministrazioni e questo è sicuramente un
notevole passo avanti nell’ottica della semplificazione, idea elevata dopo le tre
leggi Bassanini al rango di principio amministrativo e che, come tale, deve essere
rispettata da tutti gli enti pubblici nell’esercizio delle proprie funzioni.
112
I cittadini devono pertanto impegnarsi affinché le amministrazioni accettino il
contributo da loro apportato alla causa comune e non devono scoraggiarsi se ci
saranno amministrazioni che inizialmente ostacoleranno le loro iniziative. Le
azioni poste in essere dalla cittadinanza in base al principio di sussidiarietà
orizzontale sono infatti produttrici di diritto, fonti viventi di diritto
amministrativo e costituzionale, per cui potranno creare, grazie anche alle
pronunce giurisprudenziali che seguiranno eventuali controversie, dei precedenti
in campo amministrativo cui gli enti pubblici dovranno attenersi. In questo modo
le istituzioni restie al cambiamento saranno costrette ad accettare la possibilità
concessa ai cittadini di intraprendere iniziative autonome e questi potranno
esercitare di fatto la libertà di impegnarsi al servizio della collettività. Per le
amministrazioni pubbliche inoltre l’art. 118 ultimo comma della Costituzione
rappresenta un’opportunità unica per incrementare la quantità e la qualità dei
servizi offerti senza dover aumentare il livello della pressione fiscale: i cittadini
attivi infatti non chiedono nulla alle amministrazioni in cambio delle iniziative da
essi intraprese, per cui sarebbe saggio che le istituzioni imparassero a cogliere
questa occasione, soprattutto nel nostro Paese, dove decine di migliaia di persone
ogni giorno decidono di spendere il proprio tempo per realizzare la propria
personalità non in modo egoistico, bensì attraverso la realizzazione degli interessi
di tutti.
113
APPENDICE
Avviso di iniziativa civica ai sensi dell’art. 118 u.c. della Costituzione italiana59
c.a. Sindaco
del Comune di ______________
e p.c.
altre autorità pubbliche interessate
I cittadini afferenti all’associazione _______________________ manifestano la
loro
preoccupazione
per
la
mancata
attenzione
al
problema
_________________________________________________________________
Considerato che l’art. 118 u.c. della Costituzione recita «Stato, regioni, province
città metropolitane e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini,
singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base
del principio di sussidiarietà», qualora i soggetti in indirizzo non dovessero
provvedere entro 15 giorni alla risoluzione del problema, i cittadini afferenti
all’associazione _________________________ procederanno autonomamente ai
sensi dell’art. 118 u.c. della Costituzione nei modi ritenuti più opportuni.
Il presente avviso è da intendersi come formale atto di messa in mora ai sensi
dell’art. 3 della L. 281/1998.
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Liberamente adattato dall’esempio di avviso di iniziativa civica compreso nel materiale del convegno
118: cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma 7-8 febbraio 2003
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