Scheda di sala
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I C O N C E R T I 2 0 1 6 - 2 0 1 7 TIMOTHY BROCK DIRETTORE ORCHESTRA DEL TEATRO REGIO VENERDÌ 30 DICEMBRE 2016 ORE 20.30 SABATO 31 DICEMBRE 2016 ORE 17.30 TEATRO REGIO Il direttore d’orchestra e compositore statunitense Timothy Brock (1963) Timothy Brock direttore Orchestra del Teatro Regio Charlie Chaplin (1889-1977) Tempi moderni (1936) Proiezione del film con esecuzione dal vivo della colonna sonora Arrangiamenti musicali di David Raksin e Edward Powell Direttore della registrazione originale Alfred Newman Temi musicali utilizzati nella colonna sonora: Cal Massey, Halleluiah, I’m a Bum e Prisoners’ Song James A. Bland, How Dry Am I e In the Evening by the Moonlight Léo Daniderff, Je cherche après Titine Partitura per esecuzioni dal vivo a cura di Timothy Brock In occasione dell’80° anniversario della prima proiezione del film (1936) e del 40° anniversario della morte di Charlie Chaplin (1889-1977) Restate in contatto con il Teatro Regio: Tempi moderni (Modern Times) Un film di Charlie Chaplin (Usa 1936, 87 minuti) Sceneggiatura e montaggio Charlie Chaplin Fotografia Rollie Totheroth, Ira Morgan Scenografia Charles D. Hall, Russell Spencer Musica Charlie Chaplin Produzione Charlie Chaplin per United Artists PersonaggiInterpreti Charlot Charlie Chaplin Una monella Paulette Goddard Il proprietario del Caffè Henry Bergman L’operaio Big Bill Stanley J. Sanford Il capo meccanico Chester Conklin Il direttore della fabbrica Allan Garcia Il caporeparto Sam Stein La donna con i bottoni Juana Sutton Altri operai Jack Low Walter James Heinie Conklin Il padre della monella Stanley Blystone Lo sceriffo Couler Edward LeSaint Gli scassinatori Hank Mann Louis Natheaux Il cappellano del carcere Dr Cecil Reynolds La moglie del cappellano Myra McKinney Il direttore del carcere Lloyd Ingraham Il compagno di cella Dick Alexander Un galeotto John Rank Durata della produzione: settembre 1933 - 12 gennaio 1936 Prima proiezione assoluta: New York, Rivoli Theatre, 5 febbraio 1936 Restaurato da Cineteca di Bologna presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata in collaborazione con Criterion Collection Charlie Chaplin compositore Tempi moderni è l’ultima apparizione del personaggio di Charlot (Tramp), che qui si confronta con il tema dell’automazione industriale e della Grande Depressione. La vicenda di Charlot e della monella (Paulette Goddard) è, come raccontò Chaplin, la storia degli «unici spiriti liberi in un mondo di automi: siamo come bambini privi del senso di responsabilità, mentre il resto dell’umanità è oppresso dal senso del dovere; siamo spiritualmente liberi». Chaplin aveva vissuto con sentimenti contrastanti la transizione al cinema sonoro, poiché vedeva nel dialogo un nemico della poesia muta di cui vivevano i suoi personaggi. I piani di lavorazione del film testimoniano di un’iniziale preparazione dei dialoghi; ma alcune prove di sonorizzazione, dalle quali Chaplin fu deluso, fecero propendere per la realizzazione di un film essenzialmente muto. La colonna sonora è infatti composta da sola musica e da alcuni effetti sonori spesso utilizzati in maniera anti-realistica e caricaturale. Le uniche voci presenti sono quelle filtrate dai mezzi di riproduzione tecnologica, come ad esempio l’autoritaria “voce del padrone” nella fabbrica. Charlie Chaplin è accreditato come compositore delle musiche a partire da Luci della città (City Lights, 1931), così come poi per Tempi moderni, Il grande dittatore (The Great Dictator, 1940) e Monsieur Verdoux (1947), sebbene la questione sia dibattuta. Nel 1936 Kurt London giudicò le musiche di Tempi moderni come banali e superficiali e, a proposito di Luci della città, George Jean Nathan affermò che si trattava di una «povera parafrasi» di canzoni popolari del passato e che, come musicista, Chaplin era piuttosto «trasandato». Ma, come ha sostenuto Sergio Miceli, quelle musiche erano una straordinaria incarnazione della funzione pantomimica e di allusione coreutica, un registro al quale Chaplin fece ancora ricorso nei suoi film parlati – ad esempio nel Grande dittatore con la celebre scena di Adenoid Hynkel e della sua danza con il mappamondo. In un’epoca nella quale l’avvento del sonoro aveva già rivoluzionato il linguaggio del cinema, proiettato verso una nuova modernità, la musica di Chaplin somiglia alla vicenda di Charlot e della monella: è la candida, spensierata e talvolta incompresa sopravvivenza di una pratica musicale ormai tramontata, eredità dei tempi del muto, caratterizzata dall’uso estensivo di melodie popolari e da un accentuato mickey-mousing nelle parti più comiche, cioè da una modalità di stretta relazione tra immagini e suoni, con concatenazioni di sincroni espliciti, in cui l’orchestra stessa e la musica hanno il ruolo di comprimari nello sketch. Violinista e violoncellista amatoriale, Chaplin non fece mai segreto di non saper scrivere né leggere musica e fu per questo bollato col nomignolo dispregiativo di hummer, in gergo colui che si limita a canticchiare o fischiettare una melodia a un arrangiatore in grado di dargli una forma compiuta. Per gli addetti ai lavori, in realtà, la collaborazione con Chaplin non costituì mai motivo di scandalo come lo fu per la critica. Nella fucina hollywoodiana gli arrangiatori e orchestratori, selezionati per le loro doti di flessibilità, lavoravano abitualmente con una molteplicità di idiomi e stili e con musicisti di diversa estrazione e natura, molti dei quali senza alcuna formazione classica. Nell’officina artigianale del cinema uno hummer è anche colui che ha il dono di dar vita a una hummable melody, una melodia orecchiabile e memorizzabile – un istinto melodico talvolta precluso al più fine degli orchestratori o al compositore più colto. Assieme all’arrangiatore Edward Powell, su proposta del direttore d’orchestra Alfred Newman, Chaplin venne affiancato dal ventitreenne David Raksin. Conosciuto dal grande pubblico soprattutto per le musiche di Laura (Otto Preminger, 1944), Raksin ha spesso raccontato degli anni con Chaplin. Non fu certamente un rapporto facile: a pochi giorni dall’inizio della collaborazione Raksin fu licenziato, con grande stupore di Al Newman, che giudicava eccellenti i brogliacci fin qui realizzati. Chaplin non amava essere contraddetto. Attorniato da collaboratori adulanti egli, ricorda Raksin, non sembrava accorgersi che i modi di produzione accentratori coi quali teneva l’assoluto controllo della macchina del film somigliavano paradossalmente al mondo descritto e deplorato in Tempi moderni. Dopo un chiarimento, seguito probabilmente all’intervento di mediazione di Newman, Raksin ottenne da Chaplin la libertà di discutere insieme le scelte musicali, «per il bene della colonna sonora». Il processo compositivo di Tempi moderni fu assolutamente eccezionale per la prassi cui Chaplin era abituato, che consisteva nel dettare melodie a un arrangiatore che, lavorandovi in solitudine, tornava con il lavoro concluso, cosa che avvenne per esempio con Meredith Wilson per Il grande dittatore. Chaplin e Raksin invece lavorarono insieme per mesi in una sala di proiezione dotata di pianoforte, selezionando i motivi in collaborazione. Chaplin, ricorda Raksin, arrivava a metà mattina con qualche motivo in testa. Fischiettava le melodie o le canticchiava, talvolta le accennava con un dito sul pianoforte. Di qui cominciava un estenuante lavoro di riscrittura finché non era più possibile stabilire a chi apparteneva l’idea originaria. Per l’armonizzazione, così come per le variazioni di temi e motivi, per la strumentazione e per l’orchestrazione, il principio era molto simile: Raksin non si limitava a proporre una soluzione, ma discuteva di ogni dettaglio con Chaplin, il quale interveniva citando modelli noti a entrambi – «un pizzico di Gershwin in più potrebbe starci bene qui!» – e aveva con sé un registratore che utilizzava per far riascoltare a Raksin melodie annotate nei giorni precedenti. Anche dal punto di vista tecnico, la genesi di Tempi moderni è atipica. Dalla metà degli anni Trenta i sincroni con la scena venivano calcolati mediante strette corrispondenze matematiche tra il tempo di scorrimento della pellicola e le durate musicali. Né Chaplin né Raksin applicarono queste tecniche sul film. La sequenza in cui Charlot è risucchiato dagli ingranaggi della fabbrica, ad esempio, contiene 14 cambi di tempo, 9 cambi di metro e ben 27 punti di sincrono nell’arco di appena 68 secondi. Nessun compositore esperto del tempo avrebbe prodotto questa sequenza senza l’ausilio di calcoli predeterminati, come invece fecero Una famosa scena dal film Tempi moderni (1936) di Charlie Chaplin. Foto © Roy Export SAS Charlie Chaplin nei panni del suo celebre personaggio The Tramp (il Vagabondo o, come venne chiamato in Italia e in molti altri paesi, Charlot), che debuttò al cinema nel febbraio del 1914 nei film Kid Auto Races at Venice (Charlot ingombrante) e Mabel’s Strange Predicament (Charlot all’hotel). Foto © Roy Export SAS. Raksin e Chaplin, riscrivendo la musica e proiettando la pellicola innumerevoli volte sinché ogni frammento non era finalmente al suo posto. Raksin rifiutò sempre categoricamente di assumersi la paternità delle musiche composte insieme al regista: Chaplin, nella testimonianza del compositore, aveva le idee straordinariamente chiare, possedeva un enorme talento “naturale” per la musica ed era in grado di intervenire con competenza sui più piccoli dettagli. Nella celebre scena conclusiva, per esempio, Chaplin desiderava una melodia pucciniana, una cifra che traspare a un ascolto attento della versione finale e che si intreccia con lo stile di Raksin, egualmente riconoscibile. Qui la delicatezza della melodia, tesa all’espressione di sentimenti contrastanti, di un pathos malinconico, ma anche pieno di speranza, perfettamente sospeso tra i due tempi del dramma, il passato e il futuro, è l’incarnazione profonda del messaggio del film. Questa melodia si appella direttamente alle risorse emotive dello spettatore con una forza ancora attuale e che forse non sarebbe mai arrivata a tanto se non fosse scaturita dal contatto, finanche dalla frizione, di intelligenze musicali così diverse, e così diversamente incarnazione del loro tempo. La ricostruzione della partitura di Modern Times, commissionata a Tim Brock dalla Chaplin Association e dalla Los Angeles Chamber Orchestra, è stata ultimata nel 2000. I manoscritti originali sono conservati a Ginevra, sede del Charlie Chaplin Archive. Il lavoro di ricostruzione filologica ha richiesto più di 14 mesi per districarsi in una complessità che può a prima vista apparire sorprendente, ma che è nella natura della musica per film. Rispetto ai processi e ai principi della composizione “classica”, infatti, la musica per il cinema, a partire dai suoi esordi, si configura come un processo fluido: dai brogliacci iniziali alla prima stesura della partitura, la composizione prende vita solo durante la sessione di incisione ed è frequente che anche in questa fase sia sottoposta a revisioni radicali. La ricostruzione deve perciò districarsi tra i molteplici strati, tecnici e processuali, che hanno dato vita alla colonna sonora nella sua forma definitiva. Va poi menzionata la grande quantità di materiale composto ma scartato all’ultimo momento: nel caso di Tempi moderni approssimativamente 1/3 dei manoscritti consegnati dagli orchestratori non sono finiti nel film, rigettati da Chaplin dopo un primo ascolto. Nella partitura direttoriale di Alfred Newman sono spesso presenti annotazioni siglate «CC» (presumibilmente Charlie Chaplin), vergate con una spessa penna rossa, con note del tipo «più luminoso e più gioioso qui», oppure, «meno flauti, più ottoni»: una traccia dell’attenzione con cui Charlie Chaplin seguì, partecipandovi attivamente, l’intero processo di incisione. Nel caso di Tempi moderni il lavoro di ricostruzione è reso ancor più arduo dal fatto che sulla partitura direttoriale non sono annotate le modifiche operate durante la sessione di incisione: in questo caso solo le parti dei musicisti conservano traccia dei cambiamenti che Newman e Chaplin dettarono direttamente dal podio durante le sei (!) settimane di registrazione della colonna musicale. Per quanto la colonna sonora, e i master originali delle sessioni, siano giunti sino a noi in un eccellente stato di conservazione, le tecnologie di incisione dell’epoca hanno alcune insormontabili limitazioni tecniche, per gamma di frequenze riproducibili sulla pellicola 35mm, per le condizioni degli apparati di riproduzione e di ascolto nelle sale cinematografiche del tempo. Come ha osservato Brock, lo spettatore dell’epoca era in grado di ascoltare solo la superficie di questa grande partitura. Nella celebre scena della catena di montaggio vengono per esempio impiegate incudini con tre diverse intonazioni; ancora, la partitura prescrive che le trombe utilizzino sino a nove tipi di sordine diverse. Si tratta di raffinatezze dell’orchestrazione che andavano in parte perdute durante l’incisione. L’esecuzione dal vivo consente dunque di immergersi nella vitalità coloristica della musica e di restituirle la piena potenza espressiva. Al direttore e ai musicisti spettano grandi difficoltà nell’esecuzione dal vivo, determinate dalla necessità di rispettare i punti di sincrono per l’intera durata. Tentare un’analogia con l’opera lirica sarebbe solo in minima parte pertinente: nell’opera è infatti prevalentemente l’azione scenica a modulare i suoi tempi sulla musica; nella performance sotto lo schermo, invece, direttore e orchestra debbono aderire ai tempi inflessibili dettati dal film, con un virtuosismo che non lascia spazio a errori. Un’esecuzione dal vivo va concepita anche in questa prospettiva: quando si spengono le luci e il film mostra i titoli di testa possiamo vivere la stessa emozione che anima musicisti, direttore, compositore quando la partitura prende vita, per la prima volta, durante una sessione di registrazione. Ma, nella felice intuizione di Brock, c’è un momento nel quale il dialogo tra l’orchestra e lo schermo si inverte: è la meravigliosa esecuzione della canzone nonsense Je cherche après Titine, composta nel 1917 da Léo Daniderff, e nota al pubblico di tutto il mondo proprio attraverso l’interpretazione di Chaplin. Alla compresenza della mimica e della danza, si aggiunge qui la magia della voce, in una sorta di fusione totale delle arti di Charlot. Possiamo tentare, anche qui, di immedesimarci nell’emozione del pubblico del tempo, che dopo un ventennio di pantomima muta, può udire per la prima volta al cinema la voce di Charlot, nel film con il quale Chaplin si accomiata per sempre dal suo più celebre personaggio. Di fronte a questa straordinaria interpretazione, ha senso che l’orchestra arretri e ascolti in silenzio, come si farebbe con la cadenza di un grande solista. Ilario Meandri Ilario Meandri è ricercatore presso l’Università di Torino, dove insegna Musica per il cinema ed Etnomusicologia. Come etnomusicologo ha condotto ricerche sul campo in Italia, Kosovo, Macedonia e Grecia. Ha inoltre condotto estensive ricerche in Italia e Stati Uniti, sulla storia del sonoro cinematografico, sul lavoro di rumoristi e sonorizzatori e sul mondo dei compositori cinematografici nella Hollywood contemporanea, temi sui quali ha pubblicato diversi saggi e monografie. Testo approssimativo della canzone nonsense cantata nel film da Charlie Chaplin sul motivo di Je cherche après Titine di Léo Daniderff Se bella giu satore je notre so cafore je notre si cavore je la tu la ti la twah. La spinash o la bouchon cigaretto portobello si rakish spaghaletto ti la tu la ti la twah. Señora pilasina voulez-vous le taximeter? le zionta su la seat a tu la tu la tu la wa. Sa montia si n’amora la sontia so gravora la zontcha con sora je la possa ti la twah. Je notre so lamina je notre so cosina je le se tro savita je la tossa vila twah. Se motra so la sonta ci vossa l’otra volta li zoscha si catonta tra la la la la la la. Le deu le ceu pawnbroka li deu c’est peu how much a li ze comtess e croota ponka wa la ponka wa. Riconosciuto ormai come uno dei massimi esperti al mondo nel campo della musica per film, Timothy Brock ha diretto importanti orchestre quali Royal Philarmonic Orchestra, Los Angeles Chamber Orchestra, Chicago Symphony, Bbc Symphony, Orchestra della Radio Austriaca, Orchestra di Santa Cecilia, tutte le principali orchestre di Francia, Rotterdam Philharmonic, Tonhalle di Zurigo, Orchestra della Suisse Romande, Orchestra della Toscana, del Teatro Massimo di Palermo e del Comunale di Bologna; quest’anno tornerà al Barbican Centre con la Bbc Symphony Orchestra, a Bruxelles con la Brussel Philharmonic ed è ospite ogni anno alla Konzerthaus di Vienna. Nel dicembre del 2011 ha debuttato alla Salle Pleyel di Parigi; nel corso della stagione 11/12 si è esibito per ben due volte con la New York Philharmonic dove è tornato nuovamente nel 2016 con ben cinque concerti in Usa e Cina. Ha debuttato anche a Kuala Lumpur, Lisbona, oltre a tornare come sempre a Madrid, Parigi, Lione, Londra, Glasgow, Vienna, Roma, Firenze, Milano, Torino… Timothy Brock, nato a Olympia nello stato di Washington nel 1963, è attivo come direttore e compositore, specializzato nel repertorio della prima metà del XX secolo e in rappresentazioni di film muti con accompagnamento musicale. Tra le sue composizioni si segnalano tre sinfonie, due opere e diversi concerti per strumento solista e orchestra, nonché oltre 20 colonne sonore originali per film muti. Durante la sua carriera ha presentato oltre 30 prime esecuzioni per il Nord America, di autori quali Šostakovič, Eisler, Schulhoff e altri. Timothy Brock ha scritto musiche per film di Buster Keaton (Come vinsi la guerra, Una settimana e Io… e il ciclone), Ernst Lubitsch (Il ventaglio di Lady Windermere), Robert Wiene (Il gabinetto del dottor Caligari), Friedrich Wilhelm Murnau (Faust, Aurora), Marcel L’Herbier (Il fu Mattia Pascal, un capolavoro della cinematografia europea degli anni Venti), per I tre furfanti, l’ultimo western muto di John Ford, e molti altri ancora; ha inoltre restaurato celebri colonne sonore quali Nuova Babilonia di Šostakovič e Cabiria di Ildebrando Pizzetti e Manlio Mazza. Recentemente ha ricevuto commissioni per nuove partiture dalla Los Angeles Chamber Orchestra, dalla Konzerthaus di Vienna (Frau im Mond, 2017), dall’Orchestra di Lione, dalla 20th Century Fox, dal Teatro de la Zarzuela di Madrid. Nel 1999 la Fondazione Chaplin ha chiesto a Brock di restaurare la partitura originale per Tempi moderni: da quel momento è iniziata una proficua collaborazione tra la famiglia Chaplin e la Cineteca Nazionale di Bologna che ha portato al restauro delle musiche originali di tutti i grandi capolavori di Charlie Chaplin, che Brock ha eseguito praticamente in tutto il mondo. L’Orchestra del Teatro Regio è l’erede del complesso fondato alla fine dell’Ottocento da Arturo Toscanini, sotto la cui direzione vennero eseguiti numerosissimi concerti e molte storiche produzioni operistiche, quali la prima italiana del Crepuscolo degli dèi di Wagner e le prime assolute di Manon Lescaut e La bohème di Puccini. Nel corso della sua lunga storia ha dimostrato una spiccata duttilità nell’affrontare il grande repertorio così come molti titoli del Novecento, anche in prima assoluta, come Gargantua di Corghi e Leggenda di Solbiati. L’Orchestra si è esibita con i solisti più celebri e alla guida del complesso si sono alternati direttori di fama internazionale come Roberto Abbado, Ahronovič, Bartoletti, Bychkov, Campanella, Gelmetti, Gergiev, Hogwood, Luisi, Luisotti, Oren, Pidò, Sado, Steinberg, Tate e infine Gianandrea Noseda, che dal 2007 ricopre il ruolo di Direttore musicale del Teatro Regio. Ha inoltre accompagnato grandi compagnie di balletto come quelle del Bol’šoj di Mosca e del Mariinskij di San Pietroburgo. Numerosi gli inviti in festival e teatri stranieri; negli ultimi anni è stata ospite, sempre con la direzione del maestro Noseda, in Germania, Spagna, Austria, Francia e Svizzera. Nell’estate del 2010 ha tenuto una trionfale tournée in Giappone e in Cina con La traviata e La bohème, un successo ampiamente bissato nel 2013 con il “Regio Japan Tour”. Nel 2014, dopo le tournée a San Pietroburgo ed Edimburgo, si è tenuto a dicembre il primo tour negli Stati Uniti e Canada con l’esecuzione del Guglielmo Tell di Rossini. Tre gli importanti appuntamenti internazionali nel 2016: i complessi artistici del Teatro sono stati ospiti d’onore al 44° Hong Kong Festival con Simon Boccanegra, due concerti e la Messa da Requiem di Verdi; a Parigi e a Essen con Lucia di Lammermoor in forma di concerto, protagonista Diana Damrau; allo storico Savonlinna Opera Festival con La bohème e Norma. L’Orchestra e il Coro del Teatro hanno una intensa attività discografica, nell’ambito della quale si segnalano diverse produzioni video di particolare interesse: Medea, Edgar, Thaïs, Adriana Lecouvreur, Boris Godunov, Un ballo in maschera, I Vespri siciliani, Don Carlo e Faust. Tra le incisioni discografiche più recenti, tutte dirette da Gianandrea Noseda, figurano il cd Fiamma del Belcanto con Diana Damrau (WarnerClassics/Erato), recensito dal «New York Times» come uno dei 25 migliori dischi di musica classica del 2015, due cd verdiani con Rolando Villazón e Anna Netrebko e uno mozartiano con Ildebrando D’Arcangelo (Deutsche Grammophon); Chandos ha pubblicato Quattro pezzi sacri di Verdi e, nell’ambito della collana «Musica Italiana», due album dedicati a composizioni sinfonico-corali di Goffredo Petrassi. Il Regio è inoltre l’unico teatro italiano presente su The Opera Platform, la piattaforma digitale europea dedicata all’opera. Teatro Regio Walter Vergnano, Sovrintendente Gastón Fournier-Facio, Direttore artistico Gianandrea Noseda, Direttore musicale Orchestra Violini primi Stefano Vagnarelli * Marina Bertolo Claudia Zanzotto Claudia Curri Elio Lercara Carmen Lupoli Enrico Luxardo Alessio Murgia Ivana Nicoletta Luigi Presta Laura Quaglia Daniele Soncin Giuseppe Tripodi Violini secondi Cecilia Bacci * Tomoka Osakabe Bartolomeo Angelillo Silvana Balocco Paola Bettella Anna Rita Ercolini Silvio Gasparella Fation Hoxholli Roberto Lirelli Anselma Martellono Paola Pradotto Viole Enrico Carraro * Alessandro Cipolletta Gustavo Fioravanti Andrea Arcelli Rita Bracci Maria Elena Eusebietti Clara Maria Garcia Barrientos Alma Mandolesi Roberto Musso Violoncelli Relja Lukic * Davide Eusebietti Giulio Arpinati Amedeo Fenoglio Alfredo Giarbella Marco Mosca Paola Perardi Contrabbassi Davide Botto * Atos Canestrelli Fulvio Caccialupi Andrea Cocco Stefano Schiavolin Flauti (anche Ottavini) Nicolò Manachino * Roberto Baiocco Oboe João Barroso * Corno inglese Alessandro Cammilli Clarinetti Luigi Picatto * Luciano Meola Clarinetto basso Edmondo Tedesco Fagotto Umberto Codecà * Corni Natalino Ricciardo * Eros Tondella Trombe Sandro Angotti * Paolo Paravagna Marco Rigoletti Tromboni Gianluca Scipioni * Enrico Avico Timpani Clarinetto contrabbasso Ranieri Paluselli * Roberto Bocchio Percussioni Paolo Bertoldo Sassofono contralto Lavinio Carminati e clarinetto Enrico Femia Francesco Morando Massimiliano Francese Sassofono soprano e contralto Roberto Genova Arpa Marta Pettoni * Sassofono tenore Patrick Brocco Pianoforte Giannandrea Agnoletto * prime parti Si ringrazia la Fondazione Pro Canale di Milano per aver messo i propri strumenti a disposizione dei professori Stefano Vagnarelli (violino Francesco Ruggeri, Cremona 1686), Cecilia Bacci (violino Santo Serafino, Venezia 1725), Enrico Carraro (viola Giovanni Paolo Maggini, Brescia 1600 ca.), Relja Lukic (violoncello Giovanni Francesco Celoniato, Torino 1732), Marina Bertolo (violino Carlo Ferdinando Landolfi, Milano 1751) e Bartolomeo Angelillo (violino Bernardo Calcanius, Genova 1756). Si ringrazia la Fondazione Zegna per il contributo dato al vincitore del Concorso per Prima viola. © Fondazione Teatro Regio di Torino Prezzo: € 1