Scheda di sala

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Scheda di sala
I
C O N C E R T I
2 0 1 6 - 2 0 1 7
TIMOTHY BROCK
DIRETTORE
ORCHESTRA
DEL TEATRO REGIO
VENERDÌ 30 DICEMBRE 2016 ORE 20.30
SABATO 31 DICEMBRE 2016 ORE 17.30
TEATRO REGIO
Il direttore d’orchestra e compositore statunitense Timothy Brock (1963)
Timothy Brock direttore
Orchestra del Teatro Regio
Charlie Chaplin (1889-1977)
Tempi moderni (1936)
Proiezione del film con esecuzione dal vivo della colonna sonora
Arrangiamenti musicali di David Raksin e Edward Powell
Direttore della registrazione originale Alfred Newman
Temi musicali utilizzati nella colonna sonora:
Cal Massey, Halleluiah, I’m a Bum e Prisoners’ Song
James A. Bland, How Dry Am I e In the Evening by the Moonlight
Léo Daniderff, Je cherche après Titine
Partitura per esecuzioni dal vivo a cura di Timothy Brock
In occasione dell’80° anniversario della prima proiezione del film (1936)
e del 40° anniversario della morte di Charlie Chaplin (1889-1977)
Restate in contatto con il Teatro Regio:
Tempi moderni
(Modern Times)
Un film di Charlie Chaplin
(Usa 1936, 87 minuti)
Sceneggiatura e montaggio Charlie Chaplin
Fotografia
Rollie Totheroth, Ira Morgan
Scenografia
Charles D. Hall, Russell Spencer
Musica
Charlie Chaplin
Produzione
Charlie Chaplin per United Artists
PersonaggiInterpreti
Charlot Charlie Chaplin
Una monella Paulette Goddard
Il proprietario del Caffè Henry Bergman
L’operaio Big Bill Stanley J. Sanford
Il capo meccanico Chester Conklin
Il direttore della fabbrica Allan Garcia
Il caporeparto Sam Stein
La donna con i bottoni Juana Sutton
Altri operai Jack Low
Walter James
Heinie Conklin
Il padre della monella Stanley Blystone
Lo sceriffo Couler Edward LeSaint
Gli scassinatori Hank Mann
Louis Natheaux
Il cappellano del carcere Dr Cecil Reynolds
La moglie del cappellano Myra McKinney
Il direttore del carcere Lloyd Ingraham
Il compagno di cella Dick Alexander
Un galeotto John Rank
Durata della produzione: settembre 1933 - 12 gennaio 1936
Prima proiezione assoluta: New York, Rivoli Theatre, 5 febbraio 1936
Restaurato da Cineteca di Bologna presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata
in collaborazione con Criterion Collection
Charlie Chaplin compositore
Tempi moderni è l’ultima apparizione del personaggio di Charlot (Tramp),
che qui si confronta con il tema dell’automazione industriale e della Grande Depressione. La vicenda di Charlot e della monella (Paulette Goddard) è, come raccontò Chaplin, la storia degli «unici spiriti liberi in un mondo di automi: siamo
come bambini privi del senso di responsabilità, mentre il resto dell’umanità è
oppresso dal senso del dovere; siamo spiritualmente liberi».
Chaplin aveva vissuto con sentimenti contrastanti la transizione al cinema
sonoro, poiché vedeva nel dialogo un nemico della poesia muta di cui vivevano i
suoi personaggi. I piani di lavorazione del film testimoniano di un’iniziale preparazione dei dialoghi; ma alcune prove di sonorizzazione, dalle quali Chaplin fu
deluso, fecero propendere per la realizzazione di un film essenzialmente muto. La
colonna sonora è infatti composta da sola musica e da alcuni effetti sonori spesso
utilizzati in maniera anti-realistica e caricaturale. Le uniche voci presenti sono
quelle filtrate dai mezzi di riproduzione tecnologica, come ad esempio l’autoritaria “voce del padrone” nella fabbrica.
Charlie Chaplin è accreditato come compositore delle musiche a partire da
Luci della città (City Lights, 1931), così come poi per Tempi moderni, Il grande
dittatore (The Great Dictator, 1940) e Monsieur Verdoux (1947), sebbene la questione sia dibattuta. Nel 1936 Kurt London giudicò le musiche di Tempi moderni
come banali e superficiali e, a proposito di Luci della città, George Jean Nathan
affermò che si trattava di una «povera parafrasi» di canzoni popolari del passato e
che, come musicista, Chaplin era piuttosto «trasandato». Ma, come ha sostenuto
Sergio Miceli, quelle musiche erano una straordinaria incarnazione della funzione pantomimica e di allusione coreutica, un registro al quale Chaplin fece ancora
ricorso nei suoi film parlati – ad esempio nel Grande dittatore con la celebre scena
di Adenoid Hynkel e della sua danza con il mappamondo. In un’epoca nella quale
l’avvento del sonoro aveva già rivoluzionato il linguaggio del cinema, proiettato
verso una nuova modernità, la musica di Chaplin somiglia alla vicenda di Charlot
e della monella: è la candida, spensierata e talvolta incompresa sopravvivenza di
una pratica musicale ormai tramontata, eredità dei tempi del muto, caratterizzata
dall’uso estensivo di melodie popolari e da un accentuato mickey-mousing nelle
parti più comiche, cioè da una modalità di stretta relazione tra immagini e suoni,
con concatenazioni di sincroni espliciti, in cui l’orchestra stessa e la musica hanno
il ruolo di comprimari nello sketch.
Violinista e violoncellista amatoriale, Chaplin non fece mai segreto di non
saper scrivere né leggere musica e fu per questo bollato col nomignolo dispregiativo di hummer, in gergo colui che si limita a canticchiare o fischiettare una melodia
a un arrangiatore in grado di dargli una forma compiuta. Per gli addetti ai lavori,
in realtà, la collaborazione con Chaplin non costituì mai motivo di scandalo come
lo fu per la critica. Nella fucina hollywoodiana gli arrangiatori e orchestratori,
selezionati per le loro doti di flessibilità, lavoravano abitualmente con una molteplicità di idiomi e stili e con musicisti di diversa estrazione e natura, molti dei
quali senza alcuna formazione classica. Nell’officina artigianale del cinema uno
hummer è anche colui che ha il dono di dar vita a una hummable melody, una melodia orecchiabile e memorizzabile – un istinto melodico talvolta precluso al più
fine degli orchestratori o al compositore più colto.
Assieme all’arrangiatore Edward Powell, su proposta del direttore d’orchestra Alfred Newman, Chaplin venne affiancato dal ventitreenne David Raksin.
Conosciuto dal grande pubblico soprattutto per le musiche di Laura (Otto Preminger, 1944), Raksin ha spesso raccontato degli anni con Chaplin. Non fu certamente un rapporto facile: a pochi giorni dall’inizio della collaborazione Raksin
fu licenziato, con grande stupore di Al Newman, che giudicava eccellenti i brogliacci fin qui realizzati. Chaplin non amava essere contraddetto. Attorniato da
collaboratori adulanti egli, ricorda Raksin, non sembrava accorgersi che i modi di
produzione accentratori coi quali teneva l’assoluto controllo della macchina del
film somigliavano paradossalmente al mondo descritto e deplorato in Tempi moderni. Dopo un chiarimento, seguito probabilmente all’intervento di mediazione
di Newman, Raksin ottenne da Chaplin la libertà di discutere insieme le scelte
musicali, «per il bene della colonna sonora».
Il processo compositivo di Tempi moderni fu assolutamente eccezionale per
la prassi cui Chaplin era abituato, che consisteva nel dettare melodie a un arrangiatore che, lavorandovi in solitudine, tornava con il lavoro concluso, cosa che avvenne per esempio con Meredith Wilson per Il grande dittatore. Chaplin e Raksin
invece lavorarono insieme per mesi in una sala di proiezione dotata di pianoforte,
selezionando i motivi in collaborazione. Chaplin, ricorda Raksin, arrivava a metà
mattina con qualche motivo in testa. Fischiettava le melodie o le canticchiava,
talvolta le accennava con un dito sul pianoforte. Di qui cominciava un estenuante
lavoro di riscrittura finché non era più possibile stabilire a chi apparteneva l’idea
originaria. Per l’armonizzazione, così come per le variazioni di temi e motivi, per
la strumentazione e per l’orchestrazione, il principio era molto simile: Raksin non
si limitava a proporre una soluzione, ma discuteva di ogni dettaglio con Chaplin,
il quale interveniva citando modelli noti a entrambi – «un pizzico di Gershwin in
più potrebbe starci bene qui!» – e aveva con sé un registratore che utilizzava per
far riascoltare a Raksin melodie annotate nei giorni precedenti.
Anche dal punto di vista tecnico, la genesi di Tempi moderni è atipica. Dalla
metà degli anni Trenta i sincroni con la scena venivano calcolati mediante strette corrispondenze matematiche tra il tempo di scorrimento della pellicola e le
durate musicali. Né Chaplin né Raksin applicarono queste tecniche sul film. La
sequenza in cui Charlot è risucchiato dagli ingranaggi della fabbrica, ad esempio,
contiene 14 cambi di tempo, 9 cambi di metro e ben 27 punti di sincrono nell’arco
di appena 68 secondi. Nessun compositore esperto del tempo avrebbe prodotto questa sequenza senza l’ausilio di calcoli predeterminati, come invece fecero
Una famosa scena dal film Tempi moderni (1936) di Charlie Chaplin. Foto © Roy Export SAS
Charlie Chaplin nei panni del suo celebre personaggio The Tramp (il Vagabondo o, come venne chiamato
in Italia e in molti altri paesi, Charlot), che debuttò al cinema nel febbraio del 1914 nei film Kid Auto Races
at Venice (Charlot ingombrante) e Mabel’s Strange Predicament (Charlot all’hotel). Foto © Roy Export SAS.
Raksin e Chaplin, riscrivendo la musica e proiettando la pellicola innumerevoli
volte sinché ogni frammento non era finalmente al suo posto.
Raksin rifiutò sempre categoricamente di assumersi la paternità delle musiche composte insieme al regista: Chaplin, nella testimonianza del compositore,
aveva le idee straordinariamente chiare, possedeva un enorme talento “naturale”
per la musica ed era in grado di intervenire con competenza sui più piccoli dettagli. Nella celebre scena conclusiva, per esempio, Chaplin desiderava una melodia
pucciniana, una cifra che traspare a un ascolto attento della versione finale e che si
intreccia con lo stile di Raksin, egualmente riconoscibile. Qui la delicatezza della
melodia, tesa all’espressione di sentimenti contrastanti, di un pathos malinconico,
ma anche pieno di speranza, perfettamente sospeso tra i due tempi del dramma,
il passato e il futuro, è l’incarnazione profonda del messaggio del film. Questa
melodia si appella direttamente alle risorse emotive dello spettatore con una forza
ancora attuale e che forse non sarebbe mai arrivata a tanto se non fosse scaturita
dal contatto, finanche dalla frizione, di intelligenze musicali così diverse, e così
diversamente incarnazione del loro tempo.
La ricostruzione della partitura di Modern Times, commissionata a Tim
Brock dalla Chaplin Association e dalla Los Angeles Chamber Orchestra, è stata ultimata nel 2000. I manoscritti originali sono conservati a Ginevra, sede del
Charlie Chaplin Archive. Il lavoro di ricostruzione filologica ha richiesto più di
14 mesi per districarsi in una complessità che può a prima vista apparire sorprendente, ma che è nella natura della musica per film. Rispetto ai processi e ai
principi della composizione “classica”, infatti, la musica per il cinema, a partire
dai suoi esordi, si configura come un processo fluido: dai brogliacci iniziali alla
prima stesura della partitura, la composizione prende vita solo durante la sessione di incisione ed è frequente che anche in questa fase sia sottoposta a revisioni
radicali. La ricostruzione deve perciò districarsi tra i molteplici strati, tecnici e
processuali, che hanno dato vita alla colonna sonora nella sua forma definitiva. Va
poi menzionata la grande quantità di materiale composto ma scartato all’ultimo
momento: nel caso di Tempi moderni approssimativamente 1/3 dei manoscritti
consegnati dagli orchestratori non sono finiti nel film, rigettati da Chaplin dopo
un primo ascolto. Nella partitura direttoriale di Alfred Newman sono spesso presenti annotazioni siglate «CC» (presumibilmente Charlie Chaplin), vergate con
una spessa penna rossa, con note del tipo «più luminoso e più gioioso qui», oppure, «meno flauti, più ottoni»: una traccia dell’attenzione con cui Charlie Chaplin seguì, partecipandovi attivamente, l’intero processo di incisione. Nel caso di
Tempi moderni il lavoro di ricostruzione è reso ancor più arduo dal fatto che sulla
partitura direttoriale non sono annotate le modifiche operate durante la sessione
di incisione: in questo caso solo le parti dei musicisti conservano traccia dei cambiamenti che Newman e Chaplin dettarono direttamente dal podio durante le sei
(!) settimane di registrazione della colonna musicale.
Per quanto la colonna sonora, e i master originali delle sessioni, siano giunti
sino a noi in un eccellente stato di conservazione, le tecnologie di incisione dell’epoca hanno alcune insormontabili limitazioni tecniche, per gamma di frequenze
riproducibili sulla pellicola 35mm, per le condizioni degli apparati di riproduzione e di ascolto nelle sale cinematografiche del tempo. Come ha osservato Brock,
lo spettatore dell’epoca era in grado di ascoltare solo la superficie di questa grande
partitura. Nella celebre scena della catena di montaggio vengono per esempio
impiegate incudini con tre diverse intonazioni; ancora, la partitura prescrive che
le trombe utilizzino sino a nove tipi di sordine diverse. Si tratta di raffinatezze
dell’orchestrazione che andavano in parte perdute durante l’incisione. L’esecuzione dal vivo consente dunque di immergersi nella vitalità coloristica della musica e
di restituirle la piena potenza espressiva.
Al direttore e ai musicisti spettano grandi difficoltà nell’esecuzione dal vivo,
determinate dalla necessità di rispettare i punti di sincrono per l’intera durata.
Tentare un’analogia con l’opera lirica sarebbe solo in minima parte pertinente:
nell’opera è infatti prevalentemente l’azione scenica a modulare i suoi tempi sulla
musica; nella performance sotto lo schermo, invece, direttore e orchestra debbono aderire ai tempi inflessibili dettati dal film, con un virtuosismo che non lascia
spazio a errori. Un’esecuzione dal vivo va concepita anche in questa prospettiva:
quando si spengono le luci e il film mostra i titoli di testa possiamo vivere la stessa
emozione che anima musicisti, direttore, compositore quando la partitura prende
vita, per la prima volta, durante una sessione di registrazione.
Ma, nella felice intuizione di Brock, c’è un momento nel quale il dialogo
tra l’orchestra e lo schermo si inverte: è la meravigliosa esecuzione della canzone
nonsense Je cherche après Titine, composta nel 1917 da Léo Daniderff, e nota al
pubblico di tutto il mondo proprio attraverso l’interpretazione di Chaplin. Alla
compresenza della mimica e della danza, si aggiunge qui la magia della voce, in
una sorta di fusione totale delle arti di Charlot. Possiamo tentare, anche qui, di
immedesimarci nell’emozione del pubblico del tempo, che dopo un ventennio di
pantomima muta, può udire per la prima volta al cinema la voce di Charlot, nel
film con il quale Chaplin si accomiata per sempre dal suo più celebre personaggio.
Di fronte a questa straordinaria interpretazione, ha senso che l’orchestra arretri e
ascolti in silenzio, come si farebbe con la cadenza di un grande solista.
Ilario Meandri
Ilario Meandri è ricercatore presso l’Università di Torino, dove insegna Musica per il cinema ed Etnomusicologia. Come etnomusicologo ha condotto ricerche sul campo in Italia, Kosovo, Macedonia e Grecia. Ha
inoltre condotto estensive ricerche in Italia e Stati Uniti, sulla storia del sonoro cinematografico, sul lavoro
di rumoristi e sonorizzatori e sul mondo dei compositori cinematografici nella Hollywood contemporanea,
temi sui quali ha pubblicato diversi saggi e monografie.
Testo approssimativo della canzone nonsense
cantata nel film da Charlie Chaplin
sul motivo di Je cherche après Titine di Léo Daniderff
Se bella giu satore
je notre so cafore
je notre si cavore
je la tu la ti la twah.
La spinash o la bouchon
cigaretto portobello
si rakish spaghaletto
ti la tu la ti la twah.
Señora pilasina
voulez-vous le taximeter?
le zionta su la seat a
tu la tu la tu la wa.
Sa montia si n’amora
la sontia so gravora
la zontcha con sora
je la possa ti la twah.
Je notre so lamina
je notre so cosina
je le se tro savita
je la tossa vila twah.
Se motra so la sonta
ci vossa l’otra volta
li zoscha si catonta
tra la la la la la la.
Le deu le ceu pawnbroka
li deu c’est peu how much a
li ze comtess e croota
ponka wa la ponka wa.
Riconosciuto ormai come uno dei massimi esperti al mondo nel campo della musica per film, Timothy Brock ha diretto importanti orchestre quali
Royal Philarmonic Orchestra, Los Angeles Chamber Orchestra, Chicago Symphony, Bbc Symphony, Orchestra della Radio Austriaca, Orchestra di
Santa Cecilia, tutte le principali orchestre di Francia, Rotterdam Philharmonic, Tonhalle di Zurigo,
Orchestra della Suisse Romande, Orchestra della
Toscana, del Teatro Massimo di Palermo e del Comunale di Bologna; quest’anno tornerà al Barbican
Centre con la Bbc Symphony Orchestra, a Bruxelles
con la Brussel Philharmonic ed è ospite ogni anno
alla Konzerthaus di Vienna.
Nel dicembre del 2011 ha debuttato alla Salle
Pleyel di Parigi; nel corso della stagione 11/12 si è
esibito per ben due volte con la New York Philharmonic dove è tornato nuovamente nel 2016 con ben
cinque concerti in Usa e Cina. Ha debuttato anche
a Kuala Lumpur, Lisbona, oltre a tornare come sempre a Madrid, Parigi, Lione, Londra, Glasgow, Vienna, Roma, Firenze, Milano, Torino…
Timothy Brock, nato a Olympia nello stato di
Washington nel 1963, è attivo come direttore e
compositore, specializzato nel repertorio della prima metà del XX secolo e in rappresentazioni di film
muti con accompagnamento musicale. Tra le sue
composizioni si segnalano tre sinfonie, due opere
e diversi concerti per strumento solista e orchestra,
nonché oltre 20 colonne sonore originali per film
muti. Durante la sua carriera ha presentato oltre
30 prime esecuzioni per il Nord America, di autori
quali Šostakovič, Eisler, Schulhoff e altri.
Timothy Brock ha scritto musiche per film di
Buster Keaton (Come vinsi la guerra, Una settimana e Io… e il ciclone), Ernst Lubitsch (Il ventaglio di
Lady Windermere), Robert Wiene (Il gabinetto del
dottor Caligari), Friedrich Wilhelm Murnau (Faust,
Aurora), Marcel L’Herbier (Il fu Mattia Pascal, un
capolavoro della cinematografia europea degli anni
Venti), per I tre furfanti, l’ultimo western muto di
John Ford, e molti altri ancora; ha inoltre restaurato celebri colonne sonore quali Nuova Babilonia
di Šostakovič e Cabiria di Ildebrando Pizzetti e
Manlio Mazza.
Recentemente ha ricevuto commissioni per nuove partiture dalla Los Angeles Chamber Orchestra,
dalla Konzerthaus di Vienna (Frau im Mond, 2017),
dall’Orchestra di Lione, dalla 20th Century Fox, dal
Teatro de la Zarzuela di Madrid.
Nel 1999 la Fondazione Chaplin ha chiesto a
Brock di restaurare la partitura originale per Tempi
moderni: da quel momento è iniziata una proficua
collaborazione tra la famiglia Chaplin e la Cineteca Nazionale di Bologna che ha portato al restauro
delle musiche originali di tutti i grandi capolavori di
Charlie Chaplin, che Brock ha eseguito praticamente in tutto il mondo.
L’Orchestra del Teatro Regio è l’erede del complesso fondato alla fine dell’Ottocento da Arturo
Toscanini, sotto la cui direzione vennero eseguiti
numerosissimi concerti e molte storiche produzioni operistiche, quali la prima italiana del Crepuscolo
degli dèi di Wagner e le prime assolute di Manon Lescaut e La bohème di Puccini.
Nel corso della sua lunga storia ha dimostrato una
spiccata duttilità nell’affrontare il grande repertorio
così come molti titoli del Novecento, anche in prima assoluta, come Gargantua di Corghi e Leggenda
di Solbiati. L’Orchestra si è esibita con i solisti più
celebri e alla guida del complesso si sono alternati
direttori di fama internazionale come Roberto Abbado, Ahronovič, Bartoletti, Bychkov, Campanella,
Gelmetti, Gergiev, Hogwood, Luisi, Luisotti, Oren,
Pidò, Sado, Steinberg, Tate e infine Gianandrea
Noseda, che dal 2007 ricopre il ruolo di Direttore
musicale del Teatro Regio. Ha inoltre accompagnato
grandi compagnie di balletto come quelle del Bol’šoj
di Mosca e del Mariinskij di San Pietroburgo.
Numerosi gli inviti in festival e teatri stranieri; negli ultimi anni è stata ospite, sempre con la direzione
del maestro Noseda, in Germania, Spagna, Austria,
Francia e Svizzera. Nell’estate del 2010 ha tenuto
una trionfale tournée in Giappone e in Cina con La
traviata e La bohème, un successo ampiamente bissato nel 2013 con il “Regio Japan Tour”. Nel 2014,
dopo le tournée a San Pietroburgo ed Edimburgo,
si è tenuto a dicembre il primo tour negli Stati Uniti
e Canada con l’esecuzione del Guglielmo Tell di Rossini. Tre gli importanti appuntamenti internazionali
nel 2016: i complessi artistici del Teatro sono stati
ospiti d’onore al 44° Hong Kong Festival con Simon
Boccanegra, due concerti e la Messa da Requiem di
Verdi; a Parigi e a Essen con Lucia di Lammermoor
in forma di concerto, protagonista Diana Damrau;
allo storico Savonlinna Opera Festival con La
bohème e Norma.
L’Orchestra e il Coro del Teatro hanno una intensa attività discografica, nell’ambito della quale si
segnalano diverse produzioni video di particolare
interesse: Medea, Edgar, Thaïs, Adriana Lecouvreur,
Boris Godunov, Un ballo in maschera, I Vespri siciliani, Don Carlo e Faust. Tra le incisioni discografiche
più recenti, tutte di­rette da Gianandrea Noseda, figurano il cd Fiamma del Belcanto con Diana Damrau
(WarnerClassics/Erato), recensito dal «New York
Times» come uno dei 25 migliori dischi di musica classica del 2015, due cd verdiani con Rolando
Villazón e Anna Ne­trebko e uno mozartiano con
Ildebrando D’Arcan­gelo (Deutsche Grammophon);
Chandos ha pubbli­cato Quattro pezzi sacri di Verdi
e, nell’ambito della collana «Musica Italiana», due
album dedicati a composizioni sinfonico-corali di
Goffredo Petrassi.
Il Regio è inoltre l’unico teatro italiano presente
su The Opera Platform, la piattaforma digitale europea dedicata all’opera.
Teatro Regio
Walter Vergnano, Sovrintendente
Gastón Fournier-Facio, Direttore artistico
Gianandrea Noseda, Direttore musicale
Orchestra
Violini primi
Stefano Vagnarelli *
Marina Bertolo
Claudia Zanzotto
Claudia Curri
Elio Lercara
Carmen Lupoli
Enrico Luxardo
Alessio Murgia
Ivana Nicoletta
Luigi Presta
Laura Quaglia
Daniele Soncin
Giuseppe Tripodi
Violini secondi
Cecilia Bacci *
Tomoka Osakabe
Bartolomeo Angelillo
Silvana Balocco
Paola Bettella
Anna Rita Ercolini
Silvio Gasparella
Fation Hoxholli
Roberto Lirelli
Anselma Martellono
Paola Pradotto
Viole
Enrico Carraro *
Alessandro Cipolletta
Gustavo Fioravanti
Andrea Arcelli
Rita Bracci
Maria Elena Eusebietti
Clara Maria Garcia
Barrientos
Alma Mandolesi
Roberto Musso
Violoncelli
Relja Lukic *
Davide Eusebietti
Giulio Arpinati
Amedeo Fenoglio
Alfredo Giarbella
Marco Mosca
Paola Perardi
Contrabbassi
Davide Botto *
Atos Canestrelli
Fulvio Caccialupi
Andrea Cocco
Stefano Schiavolin
Flauti
(anche Ottavini)
Nicolò Manachino *
Roberto Baiocco
Oboe
João Barroso *
Corno inglese
Alessandro Cammilli
Clarinetti
Luigi Picatto *
Luciano Meola
Clarinetto basso
Edmondo Tedesco
Fagotto
Umberto Codecà *
Corni
Natalino Ricciardo *
Eros Tondella
Trombe
Sandro Angotti *
Paolo Paravagna
Marco Rigoletti
Tromboni
Gianluca Scipioni *
Enrico Avico
Timpani
Clarinetto contrabbasso Ranieri Paluselli *
Roberto Bocchio
Percussioni
Paolo Bertoldo
Sassofono contralto
Lavinio Carminati
e clarinetto
Enrico Femia
Francesco Morando
Massimiliano Francese
Sassofono soprano
e contralto
Roberto Genova
Arpa
Marta Pettoni *
Sassofono tenore
Patrick Brocco
Pianoforte
Giannandrea Agnoletto
* prime parti
Si ringrazia la Fondazione Pro Canale di Milano per aver messo i propri strumenti a disposizione dei professori
Stefano Vagnarelli (violino Francesco Ruggeri, Cremona 1686), Cecilia Bacci (violino Santo Serafino, Venezia
1725), Enrico Carraro (viola Giovanni Paolo Maggini, Brescia 1600 ca.), Relja Lukic (violoncello Giovanni
Francesco Celoniato, Torino 1732), Marina Bertolo (violino Carlo Ferdinando Landolfi, Milano 1751) e
Bartolomeo Angelillo (violino Bernardo Calcanius, Genova 1756).
Si ringrazia la Fondazione Zegna per il contributo dato al vincitore del Concorso per Prima viola.
© Fondazione Teatro Regio di Torino
Prezzo: € 1