La scienza tra conoscibile e inconoscibile

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La scienza tra conoscibile e inconoscibile
La scienza tra conoscibile e
inconoscibile
di Robert Pollack*
La metodologia della scienza
Può la fede allargare la ragione? Questa domanda si pone al confine tra il conoscibile e l’inconoscibile e sia la mia fede che la mia scienza ne sono sfidate.
Il concetto di inconoscibile non è facilmente accettato da chi ha una mentalità scientifica, poiché la scienza opera in un luogo totalmente diverso, sul confine tra conosciuto e
non conosciuto. Occuparsi dell’inconoscibile è un progetto immerso nel paradosso, che
richiede di parlare dell’ineffabile e di misurare l’incommensurabile.
Quando mi sono trovato di fronte al concetto di inconoscibile distinto da ciò che è non
conosciuto, lo shock è stato tale da cambiare il mio lavoro e il mio modo di vedere il mondo.
La materia prima della mia professione, l’ignoto, veniva in questo modo a essere limitata, e
questo mi sembrava che sovvertisse profondamente l’intera questione.
La scienza avanza verificando ipotesi, ovvero idee soggette a confutazione mediante
l’esame del mondo naturale. Un’ipotesi in grado di reggere alla verifica sperimentale amplia
la sfera di ciò che è conosciuto, ma ipotesi scientifiche sull’inconoscibile sono per definizione senza significato, e ciò pone un problema alla verifica.
In altri termini, per nessuno vale la pena di sprecare un istante nel tentativo di dimostrare scientificamente la validità di un credo religioso. Per questo motivo, per prima cosa è
necessario adottare una terminologia operativa per l’inconoscibile, senza ricorrere agli strumenti scientifici di verifica delle ipotesi.
Se chiedete a uno scienziato cosa vi sia al cuore del suo lavoro, apprenderete che non
è la verifica sperimentale delle ipotesi - sebbene per questo venga spesa la maggior parte
del tempo e del denaro utilizzati per la scienza. È l’idea, il meccanismo, l’intuizione a giustificare tutto il resto del lavoro scientifico. Il momento dell’intuizione che rivela una nuova
idea, mentre un istante prima vi era solo nebbia, è il momento in cui l’ignoto comincia ad
arretrare di fronte alla creatività dello scienziato. Qui, dunque, si spalanca la prima porta
aperta sull’inconoscibile: da dove viene l’intuizione scientifica? Senza dubbio da qualche
luogo attualmente sconosciuto. Prendiamo in considerazione la possibilità che l’intuizione
scientifica, come la rivelazione religiosa, provenga da un luogo intrinsecamente inconoscibile. Gli scienziati concordano sul fatto che vi siano molte cose che ancora non conosciamo,
*Robert Pollack è
Docente di Biologia,
Direttore del centro
di studi di Scienza e
Religione.
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e che il confine tra noto e ignoto - che la scienza fa continuamente arretrare - sia come la
linea costiera di una piccola isola immersa nel vasto mare del non conosciuto. Supponiamo
- formulando un’ulteriore ipotesi - che il mare dell’ignoto non sia il limite di ogni cosa e che
l’ignoto stesso sia limitato, e sfumi in un’inconoscibilità intrinsecamente inaccessibile e
incommensurabile.
La scienza continuerebbe comunque a espandere il territorio a disposizione di ciò che
è compreso. Con la crescita, a ogni scoperta, dell’estensione e della complessità della linea
di separazione, al non conosciuto non rimarrebbe altro limite che l’inconoscibile. L’impresa
scientifica avrebbe garantito un illimitato futuro di successi, nessuno dei quali avvicinerebbe di un passo l’inconoscibile.
L’intuizione scientifica
Queste ipotesi - che l’inconoscibile esista e che sia destinato a rimanere tale - possono essere verificate con metodi scientifici? Certamente no, dato che postulano concetti
che resistono alla verifica sperimentale. Ciò nonostante, esse sono una corretta rappresentazione di quell’esperienza umana universale che è al di fuori della scienza. Oggi, poi, sono
anche coerenti con l’esperienza effettiva degli scienziati, anche se non con l’ideologia istituzionale della scienza organizzata.
L’inconoscibile non è una categoria che lasci facilmente dimostrare la propria esistenza. Se si trattasse solamente di un capriccio della mente, di una fantasia di cui non
valesse la pena preoccuparsi, dell’idea di qualcosa che non può esistere, allora sarebbe sufficiente rispondere: nessun inconoscibile, nessun problema.
Non vi è un metodo per escogitare a priori una buona idea; l’intuizione non può essere fatta oggetto di un’analisi scientifica a priori. Ogni volta che si ha un’intuizione, ogni volta
che si esclama «Ah!», ciò che un momento prima era impensabile diviene ovvio. Dov’era l’idea prima di essere pensata? Solo in seguito, una volta che essa è stata pensata, la scienza può cominciare a determinare cosa è conosciuto e cosa è ignoto, servendosi dell’idea
come guida. Ma prima che l’intuizione venisse, non c’era neppure il pensiero, l’idea, che vi
fosse una domanda da porre…
Poiché l’intuizione scientifica non può essere imbrigliata nel meccanismo della verifica sperimentale, ogni avvenimento potrebbe essere altrettanto ragionevolmente il dono di
una fonte inconoscibile. Le buone idee affiorano alla mente dello scienziato come doni dell’inconoscibile. A differenza dei dati, esse non sono i trofei della lotta contro l’ignoto.
L’essenza di ciò che è confutabile è la riproducibilità; l’intuizione è per definizione
qualcosa di irriproducibile. Basti ricordare quanto rare siano tali idee nel corso delle centinaia di anni in cui abbiamo cercato di comprendere il mondo e noi stessi mediante la scienza. Tuttavia, senza gli istanti di intuizione che emergono dal nulla, la scienza rimarrebbe
impantanata in un’insensata ripetizione di atti che sembrano seri, ma in realtà non servono
a niente, se non a confermare ciò che già si sa.
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L’esperienza religiosa
L’intuizione scientifica non è l’unico esempio di dono da parte dell’inconoscibile. Altri
eventi - che si verificano anch’essi raramente, inspiegabilmente, imprevedibilmente - possono dare significato alla nostra vita, proprio come le intuizioni scientifiche possono spiegare il
mondo esterno a noi. Per significato, in questo contesto, intendo una nuova comprensione
tratta dal contenuto interiore, emozionale dell’esperienza, e non la comprensione intellettuale che può seguire, come accade quando la sperimentazione dimostra l’utilità di un’intuizione scientifica. Il significato, lo scopo, la teleologia, il fine delle cose: non si tratta di concetti naturalmente associati alla scienza, tali esperienze sono generalmente definite religiose.
L’evento centrale in campo scientifico - l’improvvisa intuizione mediante la quale
vediamo con chiarezza un pezzo di ciò che era ignoto - è tuttavia talmente simile a queste
esperienze religiose da indurmi a vedere solo una differenza semantica fra “l’intuizione
scientifica” e ciò che viene chiamato, in termini religiosi, “rivelazione”. Questa differenza
resta piccola, sia che si affermi che intuizione e rivelazione provengono entrambe da un
nulla privo di interesse, sia che si affermi che esse provengono dall’inconoscibile che circonda tutto ciò che può essere conosciuto, o che provengono da Dio.
Le differenze fra scienza e religione, che si sono cristallizzate e reificate in un muro
che le separa, non risiedono nella diversità semantica tra intuizione e rivelazione. Che vi
siamo preparati o no, le esperienze profetiche e le intuizioni scientifiche avverranno con la
stessa rarità, irrazionalità e imprevedibilità. Le vere differenze derivano dagli usi diversi che
si fanno delle intuizioni scientifiche e della rivelazione.
In entrambe, l’intuizione assume la forma della visione di un meccanismo invisibile e
nascosto. In campo scientifico, tali intuizioni sono trasformate in guide per comprendere
come funziona la natura, riducendo così la nostra ignoranza sul mondo che ci circonda. La
rivelazione, come guida alla formazione dell’impegno religioso, è un prerequisito indispensabile per i rituali e le pratiche di una religione, che allevia il fardello del vivere eliminando
la nostra ignoranza sullo scopo e il senso della nostra esistenza mortale. In tutte le religioni
organizzate che conosco, la rivelazione viene descritta come un sentirsi sopraffatti da un
sentimento assoluto, che nasce nell’intimo senza una ragione o una causa.
Scienza e religione: due mondi incompatibili?
Sia la scienza che la religione convengono sul fatto che la sfera del non conosciuto
sia vasta, ma la maggior parte delle religioni è più disposta ad ammettere un fondo di inconoscibilità di quanto non lo sia la maggior parte delle scienze. Al contrario, molti scienziati
credono - loro direbbero che sanno - che ciò che non è conosciuto oggi, sarà di sicuro conosciuto domani, o il giorno seguente, e che tale processo continuerà finché tutto sarà compreso.
Il concetto che nulla esiste tranne ciò che è conoscibile è totalmente indimostrabile.
Continuare a perseverare in questa convinzione, senza la possibilità di verificarla mediante
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sperimentazione, e malgrado la controprova fornita dalla stessa intuizione scientifica, rischia
di far sì che la scienza imprigioni se stessa in dogmi.
Alcuni scienziati ribatteranno che la riproducibilità degli esperimenti scientifici assicura che la scienza, nel suo operato, possa sempre essere ricondotta a una coerenza interna,
mentre le religioni, libere di richiamarsi alla rivelazione individuale e a eventi miracolosi e irriproducibili, cadono necessariamente in contraddizione le une con le altre, e in tal modo
annullano ogni motivo per cui una persona razionale possa prendere sul serio una di esse.
Rovesciando questa posizione, molte persone di fede potrebbero sostenere che la
scienza è un’opera frammentaria incapace di tracciare un quadro coerente del mondo naturale, limitata com’è da modelli contraddittori e incoerenti, e dagli angusti confini di una
mente mortale.
Sebbene molti scienziati e molte persone di fede ritengano incompatibili le rispettive
posizioni, alcuni, e io sono tra loro, scelgono invece di sostenere contemporaneamente
entrambe le posizioni.
Nel mio libro del 1999 The Missing Moment1 sono giunto alla conclusione che gli attuali studi scientifici sul cervello e sulla mente chiedoIl concetto che nulla no di riconoscere che la scienza ha una componente irrazionale, e che è
esiste tranne ciò che probabile che gli scienziati sperimentino tale irrazionalità allo stesso modo
è conoscibile è delle ondate di timore reverenziale, gioia, paura o stupore che possono
totalmente sopraffare una persona religiosa.
La barriera eretta dagli scienziati, che respingono, negano o ignoraindimostrabile. no questi stati d’animo irrazionali, è artificiale e superflua, ed è basata sul
Continuare a rifiuto del fatto che il loro stesso lavoro possa dipendere da momenti di
perseverare in intuizione incontrollabili e imprevedibili. Sull’altro versante, la stessa barquesta convinzione riera artificiale è mantenuta con pari inutilità ogni volta che le scoperte
scientifiche vengono negate, ignorate o respinte da persone preoccupate di
rischia di far sì che
proteggere quegli stessi stati d’animo irrazionali, che considerano aspetti
la scienza imprigioni così preziosi del loro credo religioso.
se stessa in dogmi.
Al fine di demolire questo muro da entrambi i versanti, tutti e due
gli schieramenti dovranno ammettere ciò che già sanno: la realtà dell’esperienza interiore irrazionale. Entrambi dovranno riconoscerla quale fonte
di intuizioni improvvise e imprevedibili, su cui si basano sia la scienza sia la religione organizzata. Non si giungerà facilmente a tali ammissioni. Persone come me non sono affatto
abituate a mettere in primo piano i sentimenti religiosi, ma hanno piuttosto l’abitudine di
respingere i propri sentimenti, confinandoli in antri nascosti dell’inconscio da cui possono
affiorare, ma da cui non possono interferire con il sogno di una lucida razionalità.
Non solo i momenti di intuizione e di rivelazione, ma anche altri sentimenti - stati
emotivi che ci colgono di sorpresa, improvvisi e inattesi dalle previsioni della nostra coscienza razionale - appaiono come una categoria di fenomeni diversa rispetto a quelli facilmente
studiabili in condizioni di riproducibilità; è estremamente difficile effettuare degli esperimenti controllati sui sentimenti.
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Il libero arbitrio
Per quanto sia difficile e ci ponga a disagio compiere delle scelte in situazioni come
quelle sopra descritte, ci ritroviamo tuttavia liberi di compiere queste scelte. L’ebraismo
attribuisce grande importanza agli utilizzi del libero arbitrio nella realtà. L’intera struttura
della concezione ebraica relativa al nostro posto nel mondo, alle nostre responsabilità verso
Dio e gli uni verso gli altri, è fondata sull’eccezionale capacità umana di fare scelte irrazionali oppure di prendere decisioni ponderate. Le decisioni possono essere prese da numerose specie animali, e il vantaggio selettivo di un cervello predisposto alla logica è evidente:
solo un essere umano può però compiere una scelta contraria ai propri calcoli piuttosto che
in ragione di essi.
Nella tradizione ebraica il Dio che è esistito prima del tempo e dell’inizio dell’universo, creò sia il tempo sia l’universo al fine di avere, nel tempo, delle creature - il termine
significa “cose create” - dotate di libero arbitrio e quindi in grado di scegliere di render grazie per l’esistenza del mondo e di loro stesse. Affinché il ringraziamento
fosse corretto e significativo - il giusto modo di ringraziare è benedire Dio
Persone come me
- queste creature avevano bisogno di un libero arbitrio assoluto per poter
non sono affatto
scegliere se ringraziare o meno.
Da qui derivano l’ineluttabilità del caso, gli imprevisti, e ciò che
abituate a mettere
riguarda il male dal punto di vista religioso: tutto deve essere permesso,
in primo piano i
come risultato di una scelta sbagliata individuale oppure come vero e prosentimenti religiosi,
prio evento fortuito, poiché permettere che qualcosa sia evitabile predema hanno piuttosto
terminando le scelte umane significherebbe distruggere lo scopo della
creazione. Secondo questa visione religiosa, l’assoluta necessità del libel’abitudine di
ro arbitrio degli uomini sposta in primo piano la scelta umana e confina
respingere i propri
sullo sfondo i meccanismi di selezione naturale, che producono un sogsentimenti,
getto in grado di compiere una scelta inattesa.
confinandoli in antri
Questa serie di supposizioni indimostrabili - così bizzarre poiché
distanti da qualsiasi cosa analoga conosciuta attraverso la scienza, eppunascosti.
re così familiari nel loro attribuire grande valore alla fase critica dell’intuizione in campo scientifico - conferisce significato e scopo a un universo vivente, frutto dell’indifferente, incostante, perennemente difettoso processo di selezione naturale.
Questa linea di pensiero è espressa magistralmente da Adin Steinsaltz nel saggio
Fate, Destiny and Free Will (Fato, destino e libero arbitrio) all’interno del volume The Strife
of the Spirit2 (Il conflitto dello spirito). Non avevo ancora letto il suo saggio quando lui e io
parlammo per la prima volta di questi argomenti. Avevo appena terminato un precedente
saggio di Richard Dawkins, ed ero alquanto stupito dalla sua capacità di ridurre il pensiero
religioso a un tipo particolarmente riuscito di parassita speculativo. Come risposta il rabbino Steinsaltz mi citò il suo saggio, osservando di sfuggita: «Dio dice: “Trovatemi una creatura pensante, non mi importa in che modo”».
Dal punto di vista specificamente ebraico, dunque, è l’inspiegabile realtà del libero
arbitrio donatoci da Dio che ci permette di agire correttamente o meno. Tale scelta - acces-
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sibile non solo agli ebrei, ma a tutti gli individui come diritto innato - rende tutti noi gli effettivi artefici del nostro destino. Dolore, sofferenza, iniqua distribuzione della buona e della
cattiva sorte: sono tutte cose proprie del mondo naturale, manifestazioni visibili della casuale variabilità genetica che consente l’esistenza della selezione naturale unita all’inquietante
capacità di produrre una forma di vita che sopravvivrà a qualsiasi circostanza.
Per riformulare in termini concreti e attuali la risposta alla domanda che ci siamo
posti all’inizio, sostengo che gli scienziati di fede hanno l’obbligo di allargare la ragione collaborando insieme per garantire che la loro scienza sia
Nella tradizione tesa a sanare le ingiustizie, e a creare e salvaguardare quelle libertà che
ebraica il Dio che è sono requisiti indispensabili per poter scegliere, con libero arbitrio, di tratesistito prima del tarsi gli uni gli altri con amore. Martin Luther King ha insegnato questa
tempo, creò sia il verità in un discorso tenuto quarant’anni fa, il 4 aprile 1967, durante un
incontro con il clero e i laici impegnati nella Riverside Church di New York:
tempo sia l’universo «Dobbiamo cominciare subito [...] dobbiamo cominciare subito a passare da
al fine di avere delle una società orientata alle cose a una società orientata alle persone. Finché
creature dotate di considereremo le macchine e i computer, le fonti di reddito e i diritti di prolibero arbitrio. prietà più importanti delle persone, i tre giganti del razzismo, del materialismo estremo e del militarismo non potranno mai essere sconfitti. Una vera
rivoluzione dei valori ci indurrebbe ben presto a mettere in discussione l’equità e la giustizia di molte nostre scelte politiche del presente e del passato. Da un lato
siamo chiamati a operare come il buon samaritano sul ciglio della strada della vita, ma questo è soltanto il principio: un giorno dovremo arrivare a capire che bisogna trasformare l’intera via per Gerico, in modo che gli uomini e le donne non continuino a essere picchiati e
rapinati mentre sono in viaggio sulla strada della vita. La vera compassione non si limita a
gettare una moneta al mendicante, ma arriva a capire che, se produce mendicanti, un edificio ha bisogno di una ristrutturazione»3.
Note e indicazioni bibliografiche
1 R. Pollack, The Missing Moment: How the Unconscious Shapes Modern Science, Houghton Mifflin, Boston 1999.
2 A. Steinsaltz, The Strife of the Spirit, Paperback 1996.
3 Dall’antologia di scritti e discorsi di Martin Luther King curata da Fulvio Cesare Manara, Memoria di un volto: Martin
Luther King, Dipartimento per l’educazione alla nonviolenza delle Acli di Bergamo, Bergamo 2002.
Intervento alla Conferenza Can Faith Broaden Reason? organizzata dal Centro Culturale Crossroads, New York, Gennaio 2008.
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