Laboratorio di Logica di Francesco Piro
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Laboratorio di Logica di Francesco Piro
Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico L’ARGOMENTAZIONE INVITO AL PENSIERO E ALLA LETTURA CRITICA Prof. Francesco Piro Presentazione Questo corso fornisce i primi elementi della teoria del ragionamento e i primissimi elementi della logica. Lo scopo è fornire gli strumenti per comprendere meglio i ragionamenti che facciamo ogni giorno, imparando a capire come sono fatti. Si tratta soltanto una mossa preliminare per stabilire se tali ragionamenti sono convincenti, ma è tuttavia una mossa indispensabile. Per tale motivo, questi esercizi di analisi del ragionamento sono indicati come un “invito” al pensiero e alla lettura critica. Il termine “critico” viene dal verbo greco krinein, che significa discernere, distinguere, separare. Pensare “criticamente” significa dunque in primo luogo saper trovare che cosa in un discorso costituisce un punto di partenza e che cosa un punto di arrivo. L’analisi dei ragionamenti (che, quando viene svolta con rigore, usando uno specifico apparato di simboli e di operazioni, si chiama logica) fa parte della filosofia. Ma saper analizzare un discorso politico, un documento programmatico, un articolo scientifico, è una competenza indispensabile per chiunque eserciti un lavoro intellettuale. La lettura di un testo colto, di un testo che intende sostenere una posizione filosofica, politica, morale, scientifica, è infatti impossibile senza un rapporto attivo con tale testo, cioè senza la fatica di individuare le tappe attraverso le quali il testo arriva alle sue conclusioni e senza ricapitolare tali passaggi (e magari trascriversene uno schema). Ogni studente, o almeno ogni studente dei corsi più avanzati, deve imparare quest’arte se vuole leggere con profitto i testi con i quali si misura. Nella lettura dei testi, occorre spesso andare anche al di là della pura e semplice analisi del ragionamento e analizzare come l’autore ha organizzato il testo, come egli si è misurato con le possibili obiezioni, quali strategie ha messo in atto per difendere i suoi argomenti, quali delle premesse del suo ragionamento ha scelto di esplicitare e quali ha invece voluto lasciare implicite. Nell’ultimo modulo verrà data qualche indicazione su questo livello più elevato (di natura pragmatica) di analisi dei testi. È evidente però che questo secondo livello non può prescindere dal primo, cioè dall’analisi del ragionamento in quanto tale. 1 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico MAPPA DEL CORSO Prima parte: tipi di enunciato, tipi di ragionamento 1.Le basi del ragionamento: gli enunciati e le inferenze Esercizi di analisi e parafrasi degli enunciati 2. Tipi di ragionamento: deduzione, induzione, abduzione Esercizi di analisi e costruzione di ragionamenti Seconda parte: gli strumenti del ragionamento 3. I connettivi logici: anatomia dell’inferenza deduttiva Esercizi con il calcolo proposizionale 4.La logica categoriale: la predicazione e i sillogismi Esercizi con sillogismi e insiemi 5. Predicati monadici e poliadici: le relazioni Esercizi con le relazioni e con il calcolo dei predicati 6. Qualche cenno sulle modalità Esercizi di valutazione della credibilità di enunciati Terza parte: avviamento al pensiero critico e alla lettura critica 7. Ragionamenti giusti ed erronei: le fallacie e le loro basi psicologiche Esercizi con le fallacie 8. La dinamica del discorso: ragionamenti, obiezioni, risposte Esercizi di analisi testuale Qualche indicazioni bibliografica e sitografica 2 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico Prima parte: tipi di enunciato, tipi di ragionamento 1.Le basi del ragionamento: gli enunciati e le inferenze 1.1 Che cosa è un enunciato? Un enunciato ( un asserto, una proposizione) è una sequenza di parole che esprime un pensiero compiuto in modo tale da renderlo accessibile ad altri. Qualche dettaglio in più: tutti i pensieri hanno un contenuto, ovvero – per dirla con i filosofi – sono degli stati intenzionali ovvero che prendono di mira qualche oggetto (reale o irreale che sia). Non è detto però che tutti i pensieri assumano forma proposizionale. Talvolta, mi può capitare di dire: “Sto pensando a Gaspare”, il che non chiarisce al mio ascoltatore che cosa io pensi di Gaspare. Se invece dico “Penso che Gaspare sia stupido”, sto formulando un pensiero preciso a proposito di Gaspare, cioé sto asserendo qualcosa su Gaspare: un mio ascoltatore può capire quel che penso e può dichiararsi d’accordo o in disaccordo con esso. Un enunciato o un asserto è dunque una sequenza di parole che può, se lo si vuole, avere come premessa espressioni del tipo “penso che…”, “ritengo che…” , “sono convinto che…” o, (più impersonalmente) “è vero che…”,”è falso che…”, “è possibile (o impossibile) che…” e così via. Ovviamente, non è sempre necessario premettere agli enunciati queste espressioni, anzi normalmente le si sottintende. 1.2 Gli enunciati sono l’unità di base del discorso La lingua italiana ci offre la possibilità di fare enunciati poveri di informazione, come “Oggi piove” oppure “Tazio è simpatico”. Essa ci offre però anche la possibilità di fare anche enunciati ricchi di contenuti, p.es.: 1.2/a Ieri il bruno e simpatico Tazio si dirigeva con una vecchia motocicletta verso la lontana casa di campagna del padre. Questo enunciato ricco può facilmente essere scomposto in molti enunciati più elementari, p.es.: 1.2/b Tazio è bruno. Tazio è simpatico. Ieri Tazio andava in motocicletta. Tale motocicletta era vecchia. Egli si dirigeva verso una casa. La casa verso cui si dirigeva è di suo padre. Tale casa è lontana. Tale casa è in campagna. Possiamo poi ricongiungere questi diversi enunciati servendoci di semplici congiunzioni: 3 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 1.2/c Tazio è bruno & Tazio è simpatico & Tazio ieri andava in motocicletta & tale motocicletta era vecchia & Tazio si dirigeva verso una casa & la casa verso cui si dirigeva è di suo padre & tale casa è lontana & tale casa è in campagna. L’enunciato 1.2/c, per brutto che sia, è logicamente equivalente all’enunciato 1.2/a, ovvero: contiene esattamente tanta informazione quanto l’enunciato 1.2a. Esso è anche logicamente equivalente ad ogni altro enunciato che dica la stessa cosa con qualche leggera modificazione grammaticale (per esempio: 1.2/d “Tazio, che è bruno e simpatico, si dirigeva con una motocicletta vecchia verso la casa di suo padre, che è lontana e in campagna”). Quando facciamo la scelta di congiungere gli enunciati elementari elencati in 1.2/b e formulare enunciati ricchi di informazione come 1.2/a o 1.2/c o 1.2/d, lo facciamo perché siamo convinti che tutta quell’informazione componga un quadro coerente e unitario. Ma la conseguenza di ciò è che il nostro ascoltatore avrà diritto a contestare l’intero enunciato che gli presentiamo, se considera sbagliata anche una sola informazione contenuta in esso. Chi pensi che Tazio è antipatico, ha diritto a considerare 1.2/a o 1.2/c o 1.2/d come un enunciato falso o non condivisibile, anche se accetta tutti gli altri contenuti dell’enunciato. Se io dico “L’attuale re di Francia è calvo”, l’intero enunciato è falso per la semplice ragione che esso contiene l’informazione (erronea) che oggi la Francia abbia un re. Pertanto, l’enunciato costituisce l’unità di base del discorso, nel senso che solo gli enunciati possono essere veri o falsi, validi o invalidi, condivisibili o non condivisibili. 1.3 Gli enunciati complessi sono (logicamente) un solo enunciato Ciò che abbiamo detto usando un connettivo estremamente semplice come la congiunzione, è ancora più vero nel caso in cui tra i singoli contenuti del nostro enunciato sussista non un rapporto di coordinazione ma di subordinazione, espresso attraverso connettivi come “perché, in quanto, nella misura in cui, quando, poiché, nonostante che…”. Coordinazione: “Il gatto è salito sul tavolo e miagola disperatamente” (in questo caso possiamo formare due enunciati senza perdere nessuna informazione: “Il gatto è salito sul tavolo. Il gatto miagola disperatamente”). Subordinazione: “Il gatto è salito sul tavolo perché un cane lo ha spaventato” in questo caso non possiamo formare due enunciati distinti senza perdere informazione: “Il gatto è salito sul tavolo. Un cane lo ha spaventato” 4 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico dice di meno dell’enunciato complesso che mette in relazione tali due fatti. Perciò, l’enunciato complesso retto dal connettivo è logicamente inscindibile. Qualche dettaglio in più: Dico “logicamente” perché la lingua italiana ci dà (per fortuna) anche la possibilità di scindere enunciati logicamente inscindibili. Posso dire per esempio: “Il gatto è salito sul tavolo. Ciò si deve al fatto che un cane lo ha spaventato” o, ancora più semplicemente, “Un cane ha spaventato il gatto. Perciò, il gatto è salito sul tavolo”. Tuttavia, si noti che queste espressioni di rinvio (dunque, infatti, perciò, la ragione è…) servono proprio a ripetere in forma abbreviata l’enunciato che abbiamo separato dal precedente. Logicamente, l’enunciato “Un cane ha spaventato il gatto. Perciò il gatto è salito sul tavolo” è equivalente a: “Un cane ha spaventato il gatto e, poiché un cane ha spaventato il gatto, il gatto è salito sul tavolo”. Esercizi di semplificazione di discorsi Per comprendere un discorso o una sua parte, conviene a volte – almeno mentalmente – fare una parafrasi di esso, cioè riformulare ciò che si sta ascoltando o leggendo in un modo logicamente equivalente ma con una costruzione più chiara e trasparente. I meccanismi di semplificazione più utili sono i seguenti: - Esplicitare l’informazione contenuta in avverbi e aggettivi (nonché gerundi e participi) sostituendo tali parti dell’enunciato con enunciati elementari legati a quello principale attraverso i connettivi. Esempi: “Sempronio si comporta dolcemente con la fidanzata” = “Sempronio ha una fidanzata e Sempronio è dolce con la fidanzata”. “Attento soltanto al suo lavoro, Tazio badava poco alle donne” = Poiché Tazio era attento soltanto al suo lavoro, Tazio badava poco alle donne”. “Andando a casa, egli pensava a Marta” = “Egli andava a casa e pensava a Marta” oppure “Mentre andava a casa, egli pensava a Marta”. - dove ci sono espressioni di rinvio (perciò, dunque, così…), esplicitare l’enunciato a cui fanno riferimento. P.es.: “Giacomo è arrivato tardi. Così, non ha potuto mangiare” = “Giacomo è arrivato tardi e, poiché è arrivato tardi, non ha potuto mangiare”. Molti ragionamenti diventano più chiari attraverso parafrasi di questo genere. Esempio: “Alfio si comporta dolcemente con i figli, ma la dolcezza con i figli non paga” diventa “Alfio ha dei figli e Alfio è dolce con i suoi figli. Chi è dolce con i suoi figli, non viene ripagato” (la conclusione “Alfio non sarà ripagato” è, a questo punto, quasi meccanica). Provate ora a fare una parafrasi semplificatrice di questo periodo: “Gli psicologi, da sempre assertori di spiegazioni legate alle dinamiche intra-individuali, affermano che l’aggressività degli adolescenti dipende dalle modifiche ormonali che intercorrono nella prima fase dell’adolescenza, condividendo così l’approccio dei biologi.” 5 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 1.4 Le condizioni di sensatezza di un enunciato Per essere accessibile ad altri – cioè dotato di un senso riconoscibile - un enunciato deve essere: a.Ben formato a un livello grammaticale, cioè tale che si capisca quale ruolo svolge ogni parola nella sequenza (Controesempi: “Il saltato gatto sul tavolo è” - “Notte scesa qui era”). b. Completo, cioè costituente una sequenza in cui non manchi alcuna parte (Controesempi: “Giacomo ha”. - “Tazio è bruno e” “Poiché il gatto è sul tavolo, allora”). c. Non contraddittorio ovvero non assurdo, cioè che non colleghi tra loro concetti incompatibili, così da risultare incomprensibile (Contro-esempi: “Quel cerchio è un quadrato” “Idee verdi incolori dormono furiosamente”, “Mia nonna è una sinfonia”). [Qualche dettaglio in più: Vi sono ovviamente molti casi nei quali noi siamo in grado di attribuire un senso anche a enunciati formati male (per esempio quelli di un bambino) o incompleti (quelli di una persona che non vuole dire tutto quello che pensa). Infine anche enunciati letteralmente assurdi possono avere un senso, quando vengono usati a scopi espressivi. Le metafore di cui si fa uso nel linguaggio poetico, ad esempio, sono contaminazioni (volute) tra campi semantici incompatibili tra loro, in virtù delle quali diamo una particolare coloritura e allusività a una tesi che esprimiamo. L’enunciato “Giacomo è una volpe” è letteralmente falso, ma ognuno capisce che esso vuole dire che il comportamento di Giacomo ha quelle caratteristiche di astuzia e di spietatezza che sono tipiche delle volpi. Analogamente l’enunciato “mia nonna è una sinfonia” potrebbe essere legittimo in una poesia, per esprimere determinati sentimenti. Questi usi figurati del linguaggio sono oggetto della Poetica e della Retorica]. 1.4 bis. Esercizio di riepilogo Stabilire se gli enunciati che seguono violano le condizioni a, b o c (la soluzione viene data tra qualche pagina): 1.Improvvisamente picchiò l’alunno il maestro. 2. L’orbace si dipana nel periodo. 3. Il serpe la mangusta voracemente mangiava. 4. Ho spazzolato i miei pensieri con dinamica. 5. Sulla donna pesantemente si accasciò la sedia. 6. Quando ti acchiappo….7. Il viene di sempre domenica alla testa dolore. 8. Tazio si è bevuto l’anima di Edgarda. 9. Improvvisamente l’estate scorsa. 10. Al di là nulla però vi era. 6 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 1.5 Enunciati dotati di senso ed enunciati tetici Gli enunciati dotati di senso possono avere moltissime differenti funzioni. Vi sono, per esempio, gli enunciati interrogativi che non servono a esprimere un nostro pensiero, ma piuttosto a richiedere ad altri di esprimere il proprio. “A che ora parte il treno?” “Che cosa fai domani?” Gli enunciati possono inoltre essere imperativi ovvero esprimere un comando o una indicazione che diamo ad altri individui su come agire: “Chiudi la porta!” “Cortesemente, accompagnami a prendere il giornale!” Vi sono inoltre enunciati che hanno funzioni cerimoniali ovvero svolgono una funzione in un dato evento (di solito attraverso formule convenzionali): “Vi dichiaro marito e moglie” “La seduta è aperta” O infine enunciati che esprimono semplicemente uno stato d’animo, come le esclamazioni o le interiezioni: “Dio mio, che noia!” Qualche dettaglio in più: Il complesso delle funzioni che possono essere svolte dagli enunciati è studiato dalla disciplina che si chiama Pragmatica. La parola “pragma” indica in greco l’agire, il fare. La Pragmatica del linguaggio (o, più generalmente, Pragmatica della Comunicazione) spiega quali attività noi compiamo con il proferire enunciati (convincere, pregare, dare un ordine, svolgere una cerimonia, etc.). Infine vi sono degli enunciati che dichiarano qualcosa ovvero forniscono delle tesi a proposito di oggetti o di eventi reali o presunti. La teoria dell’argomentazione si occupa prevalentemente degli enunciati di questo tipo, che sono quelli per i quali siamo più tipicamente invitati a fornire delle giustificazioni o delle ragioni. 7 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 1.6 Vero/falso e altri tipi di validità degli enunciati Abbiamo detto che gli enunciati tetici sono quelli che formano la base del ragionamento e che essi possono essere giudicati come validi o non validi da altri interlocutori. Va però notato che esistono diversi tipi di enunciati tetici: (i)In primo luogo vi sono quegli enunciati che si riferiscono a una realtà indipendente da noi. Quando tali enunciati manifestano correttamente tale realtà, vengono chiamati veri, quando la deformano o la nascondono, vengono chiamati falsi. Tutti gli enunciati delle scienze, ma anche tutti gli enunciati sui fatti che osserviamo, sono di questo tipo (con Aristotele, li potremmo chiamare apofantici, cioè rivelativi). Esempi: “2 + 2 = 4”; “Il piombo ha un peso specifico maggiore del ferro”; “Il sale è solubile in acqua”; “L’attuale Presidente della Repubblica Italiana si chiama Napolitano” (o, se si preferiscono gli asserti falsi, : “Gli asini volano”; “Mangiare cioccolata fa dimagrire”; “L’attuale Presidente della Repubblica si chiama Berlusconi”). Vi sono poi altri enunciati tetici, che non sembrano suscettibili di essere veri o falsi, vale a dire: (ii) Gli enunciati prescrittivi che si riferiscono alle norme da seguire nell’agire: “È bene fare una passeggiata dopo cena”; “È tuo dovere aiutare i tuoi genitori”, “Occorre pensare prima di parlare”. Secondo alcuni filosofi, tali enunciati vanno considerati come un semplice travestimento in forma tetica di enunciati non tetici, cioè di imperativi (“Fai una passeggiata dopo cena!”, “Aiuta i tuoi genitori!”, “Pensa prima di parlare!”). Tuttavia, nelle discussioni, questi enunciati vengono presentati come indipendenti dalle circostanze e gli interlocutori vengono sollecitati a esprimere una generale adesione o dissenso rispetto ad essi (cosa che essi spesso fanno usando impropriamente i termini “vero” e “falso”). (iii) Vi sono infine gli enunciati valutativi che esprimono i nostri sentimenti su cose ed eventi (“il film di ieri sera era meraviglioso”, “L’Olanda è bellissima”, “La carne di cavallo fa schifo…”). Anche questi enunciati non sono letteralmente veri o falsi e sembrerebbe che essi non siano enunciati tetici, ma piuttosto dei travestimenti di esclamazioni (“Ah! L’Olanda!”). Anche essi tuttavia sono espressi in una forma analoga a quelle degli enunciati apofantici e sollecitano la condivisione dell’interlocutore (o la sua ripulsa), che egli esprimerà spesso dicendo, per esempio, che l’enunciato “L’Inno alla gioia di Beethoven è esaltante” è vero (o falso). 8 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 1.7 La forza di un enunciato Per ragionare criticamente, è importante sapere che gli enunciati tetici si distinguono in apofantici, prescrittivi e valutativi e che soltanto i primi sono letteralmente veri o falsi. Almeno se per “vero” si intende “conforme alla realtà”, gli enunciati prescrittivi e valutativi non sono conformi alla realtà ma ai sentimenti del gruppo a cui si appartiene o ai valori a cui si aderisce. Chi li ritenga validi non dovrebbe dire (ad esempio) “è vero che la vita umana va difesa fin dal concepimento”, ma “è conforme ai miei valori difendere la vita umana fin dal concepimento”. Analogo discorso si può fare per gli enunciati valutativi. Se a dire “L’Olanda è bellissima” è una persona di cui condivido i gusti, ci crederò di più che se lo dice uno sconosciuto. Perciò è opportuno segnalare per chi vale quell’enunciato prescrittivo o valutativo: “Secondo i miei gusti, l’Olanda è bellissima…” “Per chi aderisce alla morale cristiana, vale il precetto di sopportare le persone moleste” Mentre sarebbe un po’ strano dire: “Per chi condivide i valori a cui mi ispiro, due più due fa quattro” La tendenza a confondere gli enunciati prescrittivi e valutativi con asserti apofantici nasce dalla propensione a confondere il gruppo di persone di cui condividiamo i valori o i gusti con l’umanità tutt’intera. Tuttavia, ciò non impedisce di notare anche l’ affinità tra gli enunciati tetici: tutti gli enunciati tetici possono essere giustificati, sebbene in modi diversi, cioè possono essere discussi. Beninteso, nel caso degli enunciati prescrittivi e valutativi, la discussione è sensata solo se gli interlocutori già condividono certi valori o gusti: è inutile cercare di fare amare l’Inno alla gioia a chi detesti la musica. Ma, se apprezza ascoltare musica, la discussione è possibile. [Qualche dettaglio in più: occorre evitare di confondere gli enunciati che formulano prescrizioni con quelli che vertono su prescrizioni: questi ultimi possono certamente essere veri o falsi. Le norme infatti sono anche un fatto reale della vita e dunque vi possono essere enunciati che le descrivono senza prendere posizione. L’asserto “è bene fare una passeggiata la sera” è prescrittivo, ma l’asserto “i medici consigliano di fare una passeggiata la sera” è apofantico, in quanto informazione sulle opinioni dei medici. Beninteso, a volte le persone – per vigliaccheria, per non apparire troppo imperiosi, magari per ironia – usano questa forma indiretta per esprimere enunciati prescrittivi. 9 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 1.7 bis Esercizio di riepilogo Stabilire se il seguente enunciato è (A) dotato di senso ma non tetico; (B) tetico ma non suscettibile di verità o falsità (ovvero: prescrittivo o valutativo); (C) tetico e suscettibile di essere vero o falso (apofantico). La soluzione si trova più avanti nella dispensa: 1.Bonaparte era una persona umanamente spregevole. 2. Straziami, ma di baci saziami. 3. Il gatto ha artigli affilati. 4. Secondo il codice della strada, non si svolta senza mettere la freccia. 5. Quando si va a tavola? 6. Dichiaro che il prezzo di partenza per quest’oggetto è 500 euro. 7. Napoleone non ha mai vinto una battaglia in vita sua. 8. È del tutto ineducato portare alla bocca il piatto e succhiare il brodo. 9. Secondo me, verrai licenziato presto. 10. Da queste parti è considerato sconveniente fare grevi allusioni sessuali in un discorso rivolto al pubblico. 11. Mischiando zolfo e salnitro, otterrai polvere da sparo. 12. L’Idiota di Dostoievskij è un’opera straordinariamente coinvolgente. Soluzioni dell’esercizio 1.4 bis: 1: a (chi picchia e chi è picchiato? La costruzione è non-grammaticale perché non rende chiaro questo punto). 2. c. 3. a (chi mangia e chi è mangiato?). 4. c. 5. Come prima ipotesi interpretativa, a (semplice scambio di posti tra “donna” e “sedia”), altrimenti c. 6. Tipicamente b. 7. Irrimediabilmente a. 8. Tipicamente c (inintelligibile a livello letterale, intelligibile forse come metafora). 9. b. 10. a. 10 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 1.8 Il discorso Il discorso è una sequenza coerente di enunciati. Un discorso può: - descrivere un oggetto o più oggetti - raccontare un fatto o una successione di fatti - spiegare un fatto avvenuto o un insieme di fatti collegati - giustificare o motivare una scelta - formulare ipotesi e previsioni. Vi è però una distinzione tra queste possibili forme di discorso. La descrizione e la narrazione sono discorsi coerenti, ma non internamente connessi. Vale a dire: le varie parti del discorso sono collegate tra loro attraverso congiunzioni e attraverso connettivi spaziali o temporali (“a sinistra….a destra…”, “in alto….in basso…”, “prima….poi….”, “all’inizio….in seguito….” “…nell’inverno del 1873….nell’estate successiva….”). L’informazione è coerente perché verte su un tema ben distinguibile da tutti gli altri (un oggetto, un fatto, una vicenda…) ma non è internamente collegata. Ogni enunciato ci dà un’informazione nuova, diversa dalle precedenti. Per contro, la spiegazione, la motivazione di una scelta, la formulazione di un’ipotesi, sono tipi di ragionamento. Il ragionamento non ha solo lo scopo di trasmettere determinate informazioni (come fanno la descrizione e la narrazione), ma di elaborare l’informazione disponibile, cioè di collegarla e trarne delle indicazioni ulteriori. Nel ragionamento, dunque, determinati enunciati servono a generarne degli altri e questi ultimi dipendono dai primi quanto alla loro validità. 11 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 1.9 La base del ragionamento: l’inferenza Chiamiamo inferenza quel legame tra diversi enunciati che fa sì che uno di essi dipenda da altri. Ovvero: se questi ultimi sono validi, dobbiamo ammettere come valido anche il primo. Per dir così, gli enunciati di partenza “pagano il biglietto” per quello inferito. I logici sono soliti chiamare premesse gli enunciati per mezzo dei quali si inferisce, conclusione l’enunciato a cui si arriva. Infatti, nella tradizione del ragionamento filosofico, l’enunciato inferito viene messo dopo quelli che permettono di inferirlo. Questo si verifica talvolta anche nella conversazione comune, come mostra questa tabella: INDICATORI DI PREMESSA Se…. Dato che… Siccome… Poiché…. Sulla base del fatto che… INDICATORI DI CONCLUSIONE allora….. quindi…… dunque….. pertanto…… deriva che…. [da Coliva – Lalumera, Pensare. Leggi ed errori del ragionamento, Carocci, 2006, p. 28]. Si badi però che, nel discorso ordinario, si fa altrettanto spesso l’inverso e cioè viene asserito prima un determinato giudizio e poi se ne forniscono le ragioni: Apprezzo Tazio perché è un bravo ragazzo Trovo intelligente Tazio. Infatti, si sta laureando velocemente In questo caso l’indicatore di conclusione manca, mentre l’indicatore di premessa è costituito da “perché” o “infatti” che introducono o quantomeno adombrano le ragioni del giudizio espresso. 12 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 1.10 L’analisi dei ragionamenti Un ragionamento è dunque un processo di pensiero che si svolge per mezzo di inferenze. Quando il ragionamento è organizzato in un modo funzionale a sollecitare il consenso da parte di altri, lo si chiama anche argomentazione (e le ragioni prendono anche il nome ulteriore di argomenti). Noi compiamo continuamente dei ragionamenti, ma non sempre i nostri ragionamenti sono chiari e trasparenti, ai nostri simili. Per questo ragione, noi dobbiamo spesso spiegarci meglio, ovvero rendere esplicito il processo di pensiero che abbiamo seguito. L’analisi logica di un determinato discorso è lo svolgimento metodico di questa stessa attività. Lo scopo dell’analisi logica di un ragionamento è di rendere trasparente il processo di inferenza avvenuto. Talvolta, ciò non può avvenire senza esplicitare alcune premesse implicite del ragionamento, cioè determinate premesse che il soggetto aveva in testa ma che non ha trasposto in parole. ESEMPIO: “Tazio non è in casa: ho bussato e non è venuto ad aprire”. Ricostruzione logica del ragionamento: Premessa implicita: Se può farlo, Tazio viene sempre ad aprire la porta quando qualcuno bussa. Premesse esplicite: qualcuno (io) ha bussato, la porta non è stata aperta. Conclusione: Tazio non è in casa. Ora, qualunque ragionamento riguardi i casi concreti della vita ha moltissime (forse infinite) premesse implicite. Per esempio, il ragionamento precedente dà per scontato che il campanello della porta funzioni, che Tazio non sia divenuto sordo, né sia stato legato e imbavagliato da rapinatori etc. La premessa più rilevante era però che Tazio apre sempre la porta, se può farlo. Se Tazio talvolta aprisse la porta e talvolta preferisse lasciare suonare il campanello, senza disturbarsi ad aprire, ogni inferenza sarebbe impossibile. Dunque, un ragionamento è tanto più convincente quanto più le sue premesse sono capaci di escludere determinati casi dall’elenco delle possibilità. La premessa “Tazio viene sempre ad aprire la porta” esclude il caso “Tazio è in casa e non viene ad aprire la porta”. Le premesse universali dei sillogismi di Aristotele (“Ogni uomo è mortale”) escludono che si possa dare il caso di un uomo-non-mortale. Le inferenze deduttive richiedono premesse molto forti. Per contro, premesse meno forti (per esempio “Di solito ma non sempre, Tazio viene ad aprire la porta”) indeboliscono il ragionamento anche se, come vedremo, non lo rendono del tutto impossibile]. 13 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 1.11 Analisi e sintesi: individuare le premesse salienti e ordinarle Nel corso delle discussioni, accade spesso che l’ascoltatore metta in dubbio le premesse implicite assunte senza giustificazioni. Se il proponente non ha diritto ad assumere tali premesse, rischia di fare una cattiva figura: Esempio: A.: “Piero passerà le vacanze in Grecia: me lo ha detto Paolo che sa tutto quel che fa Piero” B.: “E chi ti assicura che Paolo ti dica la verità?” Per formulare un ragionamento in modo tale da garantirsi contro le cattive figure, bisogna (i) individuare le premesse salienti, e (ii) metterle in ordine a seconda della loro forza (= capacità di escludere alternative) in modo da avvicinarsi progressivamente alla conclusione desiderata. Rifacendoci idealmente a Cartesio (Réné Descartes, 1596-1649) potremmo chiamare il primo compito analisi, il secondo sintesi. Ecco come si potrebbero ricostruire logicamente (ricostruzione logica = analisi + sintesi) i ragionamenti precedenti: Esempio 1: (1) Se può, Tazio apre sempre la porta quando sente bussare (premessa implicita). (2) Ho bussato alla porta. (3) Tazio non è venuto ad aprire. (4) È improbabile che egli abbia avuto un impedimento ad aprirmi o che il campanello non abbia funzionato (altra premessa implicita). (5) Tazio non era in casa. Esempio 2: . (1) Piero è sempre sincero con Paolo (premessa implicita). (2) Paolo è sempre sincero con me (premessa implicita). (3) Paolo ha detto a me che Piero passerà le vacanze in Grecia (premessa). (4) Dunque, Piero ha l’intenzione di passare le vacanze in Grecia. (5) Tranne eventi imprevisti, Pietro passerà le vacanze in Grecia. 14 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico I.12 Apprendere a pensare criticamente L’analisi logica degli argomenti serve a stabilire se essi contengano premesse implicite inaccettabili. Come si è visto, i ragionamenti contengono delle premesse più generali che, se accettate, impegnano il nostro giudizio anche in futuro. Identificare queste premesse è la forma basilare di esercizio del pensiero critico ed è importante farlo soprattutto se l’enunciato in questione è prescrittivo (andate indietro se non vi ricordate più che cosa vuol dire). ESEMPIO 1: IDENTIFICARE UNA FALLACIA “Alcuni moldavi hanno commesso gravi delitti. Dunque, bisogna espellere dal Paese tutti i moldavi” – RICOSTRUZIONE LOGICA: “(1) Alcuni moldavi hanno commesso gravi delitti. (2) Se alcuni membri di una comunità hanno certe caratteristiche (negative), ce le hanno anche tutti gli altri membri della comunità. P. es. se alcuni sono pericolosi, tutti vanno trattati come pericolosi. Domanda critica: Accettereste la premessa implicita se applicata ad altre comunità? Per esempio ai campani, partendo dagli efferati delitti della camorra? Esito: se la premessa implicita non è accettata, il ragionamento è indifendibile. ESEMPIO 2: CAPIRE I TRUCCHI DEGLI ORATORI “Avete costruito una statua per Dione, che ha vinto una guerra. Che cosa dovreste fare per Dionigi che vi ha dato leggi per vivere in pace?” (citato da Aristotele in Retorica) Ricostruzione del percorso argomentativo: 1. Avete dato un premio a Dione per ciò che aveva fatto per voi. 2. Ciò che Dione aveva fatto per voi era: vincere una guerra. 3. Dionigi vi ha dato le leggi per vivere in pace. 4. Le leggi per vivere in pace sono più utili di una vittoria in guerra (premessa implicita). 5. Occorre dare premi proporzionati ai benefici (premessa implicita). 6. Dunque, Dionigi merita un premio maggiore di quello di Dione. Questo ragionamento - breve e conciso ma con molti sottintesi - è quello che Aristotele chiama entimèma, cioè un ragionamento fatto in un’occasione pubblica e che perciò sacrifica il rigore logico all’espressività. È perciò tipico che l’oratore dia per scontato il consenso sulle premesse implicite o, per dir così, solleciti tale consenso partendo dal caso particolare dei meriti di Dionigi. Ciò ovviamente non è sbagliato, ma è utile saper individuare quel che non viene detto esplicitamente dall’oratore. 15 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 1.12/bis Esercizi Trasformate i seguenti discorsi piuttosto oscuri in ragionamenti individuandone le premesse implicite (che esse siano condivisibili o no). Esempio Il signor Gianni sembra una brava persona. Ma non lo si vede mai a messa. Dunque, le apparenze ingannano. [Ricostruzione: (1) Il signor Gianni sembra una brava persona. (2) Il signor Gianni non viene mai visto a messa. (3) Il signor Gianni non va a messa (inferenza implicita a partire da 2). (4) Chi non va a messa non può essere una brava persona (premessa implicita). (5) Anche se lo sembra, il signor Gianni non è una brava persona (conclusione espressa ricorrendo al proverbio: “le apparenze ingannano”)]. Adesso andate avanti voi 1) La dottrina esoterica afferma che esiste la magia. Pertanto, soltanto un imbecille può accettare la dottrina esoterica. 2) È un vestito un po’ caro ma che mi ringiovanisce molto. Mio marito ha più di un motivo per non regalarmelo. 3) Tazio ha incontrato Calpurnia e non ha mostrato alcun interesse per lei. Allora non è vero che tutti i maschi sono stupidi. SOLUZIONE DELL’ESERCIZIO DEL FOGLIO 1.6 (ci avete provato da soli?) 1.B. 2.A. 3. C. 4. È un enunciato ambiguo perché è strutturato come un enunciato normativo, ma – in quanto informazione vera sul codice della strada – è senz’altro anche C. 5. A. 6. A (è una formula cerimoniale per aprire le aste). 7. C (è un enunciato apofantico anche se assolutamente falso). 8. Anche quest’asserto è ambiguo, ma sembra più ovvio vederlo come B (cioé come condanna del comportamento descritto) che come una neutra informazione sui canoni del comportamento a tavola (il che sarebbe C). 9. Anche se espresso in forma dubitativa (in quanto asserto congetturale), si tratta di un enunciato suscettibile di essere verificato o falsificato e dunque è C. 10. Caso molto simile alla 8: sebbene qui l’enunciante simuli ironicamente un discorso impersonale sui costumi del suo paese (il che sarebbe C), è evidente che il significato primario dell’enunciato è la condanna del comportamento descritto, dunque B. 11. Anche se espresso in forma di prescrizione, l’enunciato ci dà essenzialmente un’informazione sulla composizione chimica della polvere da sparo, dunque C. 12. B (anche se chiunque abbia letto il romanzo è d’accordo). 16 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 2. I tipi di inferenza. Deduzione, induzione, abduzione 2.1 La deduzione Quando la conclusione di un processo argomentativo è completamente giustificata dalle sue premesse (che, per dir così, pagano tutto il biglietto per essa), il processo argomentativo si chiama deduzione. La deduzione si riconosce per la sua necessità: date le premesse, non vi è altra conclusione possibile. In altri termini, la conclusione non aggiunge altra informazione rispetto alle premesse ma esplicita soltanto quella già contenuta (potremmo dire: “latente”) in esse. Se la conclusione è falsa, almeno una delle premesse deve essere falsa. Esempio: Un gentiluomo si comporta sempre gentilmente. Tazio è un gentiluomo….[Se la conclusione “Tazio si comporta sempre gentilmente” fosse falsa dovremmo negare almeno una delle premesse!] Altro esempio: Quando la primavera è piovosa, la brughiera si riempie di margherite. Questa primavera è piovosa [conclusione “la brughiera si riempirà di margherite”. Se la conclusione fosse falsa, dovremmo negare almeno una delle premesse] Altro esempio: l’auto andava a una velocità superiore a 100 km. all’ora. A quella velocità, per una frenata completa, sono necessari almeno 100 metri di strada [conclusione: per fermarsi, quell’auto ha avuto - o avrebbe avuto bisogno, se si sta discutendo di un incidente - di almeno 100 metri di strada…]. Altro esempio: Un gentiluomo si comporta sempre gentilmente. Tazio non si comporta sempre gentilmente [Conclusione: Tazio non è un gentiluomo. Per capire lo schema di quest’inferenza, leggi la pagina successiva a proposito del modus tollens]. Qualche dettaglio in più: Tradizionalmente, si dice che la deduzione “va dal generale al particolare”, intendendo con ciò dire che essa, per funzionare, deve contenere almeno una premessa universale (“tutti gli uomini sono mortali”, “nessun gatto mangia verdura”). Come vedremo, questa descrizione è vera solo per un tipo particolare di deduzioni, i sillogismi di Aristotele. È vero invece che almeno una delle premesse deve avere la validità incondizionata di una legge, cioè non lasciare spazio per casi opposti. “Se Tazio vede Edvige, le farà una scenata” può servire per una deduzione se si postula che questo enunciato sia valido in ogni caso, senza eccezioni (il che è improbabile, ovviamente). 17 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 2.2Modus ponens e modus tollens Le basi dell’inferenza deduttiva saranno da noi chiarite più avanti, parlando del calcolo proposizionale. Ma occorre qui introdurre almeno due forme tipiche di inferenza deduttiva: : Il modus ponens (1) (Sempre e in ogni caso) se l’enunciato A è vero, l’enunciato B è vero. (2) L’enunciato A è vero. (3) Dunque, l’enunciato B è vero. Qualche dettaglio in più: il primo esempio che abbiamo fatto nella pagina scorsa – un tipico sillogismo, secondo il modo di esprimersi della tradizione filosofica aristotelica – può facilmente essere ricondotto al modus ponens se si ha l’accortezza di parafrasare la premessa maggiore “Un gentiluomo si comporta sempre gentilmente” in “Se qualcuno è un gentiluomo, egli si comporta sempre gentilmente” (Se x è A, allora x è B). Dunque: “Tazio è un gentiluomo” (Tazio è A) conduce a “Tazio si comporta sempre gentilmente” (Tazio è B). Nel capitolo 4, per chi si sospingerà fin lì, si trovano ulteriori indicazioni sul sillogismo e sulle leggi logiche che governano i sillogismi. Il modus tollens (1) Se l’enunciato A è vero, l’enunciato B è vero. (2) L’enunciato B non è vero. (3) Dunque, l’enunciato A non è vero. Questo schema è alla base della confutazione: “hai detto che è vero A. Ma se fosse vero A, sarebbe vero anche B, mentre B è falso. Dunque, hai torto”. Qualche dettaglio in più: Per capire bene il funzionamento del modus tollens, occorre anche segnalare che, in logica, due negazioni affermano. Da ciò consegue che, se l’antecedente è negativo, il modus tollens rende necessaria la conclusione opposta, cioè quella positiva. Per esempio: “Se Mamozio non è un cafone, mangerà correttamente a tavola. Mamozio non mangia correttamente a tavola. Dunque Mamozio è un cafone.” 18 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 2.2 bis Esercizi sulla deduzione Esercizio 1. Da una premessa e dalla conclusione ricava l’altra premessa (Se le deduzioni sono necessarie, è evidente che, data la conclusione e data una delle premesse, si può ricavare la premessa mancante!) A. (1) Tutti gli ateniesi mangiano cipolle; (2)………; (3) Tazio non è ateniese. B. (1) Questo quadro è di Picasso; (2)……..; (3) Questo quadro vale molto denaro. C. (1) Qualche italiano non ha i baffi; (2)…....; (3) Dunque vi sono dei suonatori di mandolino che non hanno i baffi. D. (1) Nessuna donnola è docile; (2)……..; (3) Quest’animale non è una donnola. E. (1) Tutti i gatti dormono molto; (2)…..; (3) dunque Meo dormirà molto. F. (1) Se si tratta di un gatto, deve leccarsi; (2)……..; (3) Dunque, Cip non è un gatto. G. (1) Nessun finlandese ama gli spaghetti; (2)…......; (3) Ostwald non è finlandese. (Soluzioni: A. (2) Tazio non mangia cipolle; B. (2) Tutti i quadri di Picasso valgono molto denaro. C (2). Tutti gli italiani suonano il mandolino [un ragionamento può essere perfettamente logico e partire da assunti sbagliati!]; E le altre quattro? Fatele voi e discutetene con il docente del corso… Esercizio 2: Modus ponens (MP), Modus tollens (MT) o fallacia (F)? 1.Se Tazio non viene entro le ore 20.00, non potrà incontrare Edvige. Tazio non è ancora venuto e sono le 21.00. Dunque non ha potuto incontrare Edvige. 2. Se Tazio mangia le patatine, ingrasserà. Tazio non mangia le patatine. Dunque Tazio non ingrasserà. 3. Tutti i cani sono socievoli. Questo animale non è socievole. Questo animale non è un cane. 4. Se Tazio non viene entro le ore 20.00, non potrà incontrare Edvige. Ma ho saputo che Tazio ha incontrato Edvige. Dunque Tazio deve essere venuto entro le ore 20.00. 5. Chi fa degli sport, non ingrassa. Tazio non fa dello sport. Dunque Tazio ingrasserà. [Soluzioni: 1. È un modus ponens (il fatto che i due enunciati sono negativi non conta) ed è corretto. 2. Questa invece è una tipica “fallacia della negazione dell’antecedente”: se A, allora B; non-A; dunque non-B”. Non è vera: Tazio può ben ingrassare in altri modi che con le patatine!. 3. È un modus tollens ed è corretto] E le ultime due? Le ultime due vanno svolte da voi. 19 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 2.4 L’induzione Alla deduzione si contrappongono altre forme di inferenza le quali hanno una conclusione che non sgorga necessariamente dalle premesse. La più nota (discussa fin dai tempi di Aristotele) è l’induzione. Questo processo di ragionamento mira a ricavare un enunciato generale dall’esame di una serie di casi particolari. Lo schema è: (1) Esamino determinati esemplari della categoria x (x1, x2, x3…) (2) Trovo che per in tutti i casi osservati è vero l’enunciato A. (3) Ne derivo che per tutti gli x è vero l’enunciato A. Esempio: tutti i corvi che ho visto sono neri…dunque tutti i corvi sono neri. Altro esempio: Tutti i metalli osservati sono pesanti, ovvero hanno una certa massa atomica, dunque occorre una certa massa atomica per acquisire le caratteristiche proprie dei metalli. Altro esempio: L’azoto tende a espandersi, l’ossigeno tende a espandersi, l’idrogeno tende a espandersi. Dunque, tutti i gas tendono ad espandersi. L’induzione è visibilmente un processo rischioso. Vi sono molti casi di generalizzazione che falliscono miseramente. Più avanti ne parleremo alla voce generalizzazioni azzardate. Da diversi secoli, i filosofi fanno grandi sforzi per definire delle procedure che assicurino la validità dell’induzione – qualcuno di voi ricorderà almeno il grande filosofo inglese Francis Bacon (1561-1626) o un altro filosofo inglese John Stuart Mill (1806 – 1873). Tuttavia, il ragionamento induttivo resta sempre fallibile, per quanto possa assumere via via maggiore plausibilità, a seconda della quantità dei casi esaminati e del rigore metodologico dell’indagine. 2.5. L’analogia Uno dei tipi più diffusi di ragionamento non deduttivo è poi il ragionamento per analogia: 20 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico - Un caso o un oggetto x somiglia a un caso o un oggetto y. - Osserviamo che per y è vero un certo enunciato A. - Ne inferiamo che anche per x è vero l’enunciato A. Che tipo di ragionamento è? Da Aristotele in poi, si giudica che il ragionamento per analogia si possa ricondurre all’induzione. Esso infatti generalizza quello che è stato osservato per y, trasferendolo ad x. Tra gli impieghi più frequenti del ragionamento analogico vi sono: (1) L’argomentazione basata sul richiamo a un precedente storico: “Questo attuale uomo politico sta organizzando un corpo paramilitare, come già fecero Mussolini e Hitler. Dunque, anch’egli si propone di distruggere la democrazia”; “Roosevelt affrontò la crisi economica del 1929 con grandi lavori pubblici. Anche per risolvere l’attuale crisi economica, ci vorrebbero grandi lavori pubblici”. (2) L’argomentazione basata su un caso proverbiale: “Sempronio ti sta adulando come la volpe faceva con il corvo: si vede che sta per tirarti una fregatura”. Ovviamente, il ragionamento analogico è incerto quanto lo è il ragionamento induttivo e può essere contestato sottolineando le differenze sussistenti tra il caso considerato e quello con cui viene messo in analogia (p. es. “Ai tempi di Roosevelt, il bilancio dello Stato non era già tanto in passivo quanto lo è negli Stati odierni”), così da accusare l’interlocutore di essere caduto nella fallacia dell’analogia impropria (vedi più avanti). 2.6 L’esempio Anche la prassi di provare le tesi che sosteniamo per mezzo di esempi rientra nella logica del ragionamento induttivo. Infatti, l’esempio è un caso particolare portato a sostegno di una tesi più generale. L’espressione “per esempio” (o “ad esempio”) vuole proprio sottolineare che il caso menzionato è soltanto uno dei molti casi che si potrebbero citare e che essi, se elencati, “proverebbero” [intendi: renderebbero induttivamente plausibile] la tesi. Esempi: “La televisione è sempre più scadente a livello culturale. Ad esempio, i classici del teatro sono dati sempre più di rado e ad orari impossibili” 21 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico “Il capitalismo è dappertutto in crisi. Anche negli USA, ad esempio, i poveri crescono continuamente” Chi non sia d’accordo può ricorrere a dei contro-esempi (per esempio, può fare riferimento a un’ottima trasmissione culturale trasmessa di recente in Tv o può sostenere che vi sono Paesi capitalistici in ripresa economica), accusando così il suo interlocutore della fallacia della generalizzazione azzardata (vedi più avanti). Oppure egli fornire delle spiegazioni alternative dell’esempio fatto dal suo interlocutore e dunque proporne una diversa generalizzazione (“Non è il capitalismo che genera l’attuale crisi economica, ma è la spesa pubblica improduttiva, presente anche negli USA”). Qualche dettaglio in più: La teoria dell’induzione di John Stuart Mill (1806-1873) comprende alcune procedure ancor oggi interessanti. La prima è la ricerca dell’accordo. Se si deve spiegare un dato fatto, si cerchino le circostanze che si presentano sempre insieme con il suo verificarsi. P.es. se ci sono stati 150 casi di intossicazione alimentare e sempre l’intossicato aveva mangiato un cibo della marca X, tale cibo è sospetto di essere la causa dell’intossicazione. La seconda è la ricerca delle differenze. Se si deve spiegare un dato fatto, si confrontino le circostanze in cui il fatto si presenta e quelle tra cui il fatto non si presenta, fino a individuare le differenze che possono spiegare il fatto stesso. Un’applicazione interessante di questo metodo fu quella che condusse alla scoperta della causa della febbre gialla. Gli inglesi di stanza ad Haiti costruirono una casetta nella quale vi era una parte in cui potevano accedere le zanzare ed un’altra in cui vi erano chiusure adatte a non farle accedere, chiudendo dei volontari sani in entrambe. I primi si ammalarono, i secondi no. La terza procedura è il metodo congiunto accordo/differenza: una volta ipotizzata una possibile causa del fatto, si cerca di indurre tale fatto per mezzo di altri fattori, diversi da quello ipotizzato. Nel caso di Haiti, nella parte della casa immune dalle zanzare, furono introdotti abiti usati di malati e altre possibili vie di infezione che si rivelarono innocui. Mill chiama poi “metodo dei residui” quello di eliminare tutti i fattori che possono influire sul fenomeno osservato ad eccezione di quello che consideriamo causale, per vedere se esso è sufficiente per la comparsa del fenomeno (p.es., nel caso di Haiti, la parte della casa nella quale le zanzare potevano entrare fu mantenuta del tutto igienica per ogni altro aspetto). Infine, dove non è possibile isolare il fattore causale dagli altri con cui coesiste (pensiamo per esempio a un fenomeno atmosferico o astronomico), occorre vedere se si dà una variazione concomitante tra il fattore che riteniamo essere causa e il fatto stesso: cioè se una maggiore presenza o intensità del primo ha conseguenze rispetto al secondo (p.es. se la diversa grandezza di una ghiandola nel corpo è correlata con diversità nell’aspetto fisico o nella grandezza). 22 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 2.7 L’abduzione Vi è infine un altro tipo di ragionamento non deduttivo che i logici di oggi (a partire dal filosofo americano Charles S. Peirce, 1839 – 1914) tendono a differenziare dall’induzione (con cui di solito veniva confusa). Si tratta dell’abduzione, cioè del ragionamento che conduce da uno o più casi particolari (osservati) a un caso particolare (non osservato) che dovrebbe spiegarli. In breve, i fatti osservati fanno da segni o da indizi di un altro fatto. A differenza che nell’induzione, qui non si sale a un livello più alto di generalizzazione, ma si inferisce un fatto da altri fatti. Schema: (1) C’è un fatto osservato x che non ha spiegazioni. (2) se fosse vero il fatto y, esso spiegherebbe x. (3) Si sono verificati altri fatti (w, z…) che si accordano bene con y. (4) Dunque è vero y. [Analogamente, quando cerchiamo un individuo a cui imputare una data azione: (1) so che tra gli individui x1, x2, x3, uno (e uno solo) è l’autore del fatto A. (2) osservo che per x1 (e solo per x1) è vero l’enunciato B. (3) vi sono motivi per collegare B ed A (p. es. B è un movente appropriato per fare A). (4) inferisco che x1 è quello che ha fatto A.] Esempio: per compiere il delitto, il colpevole ha attraversato sentieri umidi. Quella sera, hanno visto Tazio con le scarpe bagnate. Tazio è il colpevole. Altro esempio: Manca la corrente elettrica. Poco fa ho visto che una lampadina aveva una luce strana. Si sarà fulminata, creando un corto circuito. Altro esempio: Vi sono tracce di marmellata sul pavimento della dispensa. Tizio è molto goloso. Tizio deve aver rubato della marmellata. In tutti questi casi, vi è qualche altro fatto osservato (le scarpe bagnate, la luce strana della lampadina, la golosità di Tizio) che rende lecito collegare il fatto di partenza con l’ipotetica spiegazione. Nondimeno, è evidente che tra il fatto e la spiegazione proposta non vi è un collegamento necessario! 23 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 2.8 Induzione e abduzione sono veri e propri ragionamenti? Le inferenze induttive o abduttive sono sempre fallibili. Il fatto che i corvi da me osservati siano neri non prova che tutti i corvi siano neri, così come le scarpe bagnate di Tazio (in assenza di altre prove) non dimostrano che Tazio sia il colpevole. Dobbiamo dunque negare che i discorsi basati su inferenze di questo tipo siano veri e propri “ragionamenti” riservando questo ruolo alla sola deduzione? In realtà, induzione e abduzione sono, prima ancora che schemi di ragionamento, i modi in cui continuamente la nostra mente produce ipotesi e congetture, cioè rielabora l’informazione ricevuta, formulando quelle che potremmo chiamare illazioni ovvero aspettative su ciò che non è stato ancora osservato. Tali illazioni sono erronee in molti casi, ma senza dubbio sono un ineliminabile ingrediente della vita. Ne possiamo concludere che induzioni e abduzioni non danno luogo a veri e propri ragionamenti, se non quando si procede con cautela ed utilizzando delle procedure di controllo. Per esempio, un’induzione costituisce un ragionamento accettabile se e solo se essa incorpora determinati standard procedurali i quali presuppongono l’esame di una casistica ampia e varia: Esempio: - Abbiamo esaminato un campione di 10.000 esemplari per testare l’efficacia della medicina A, ottenendo risultati positivi. - [Premessa implicita: un campione di 10.000 esemplari, preso con determinati accorgimenti, è statisticamente significativo]. - Dunque, fino a prova contraria, la medicina A è efficace. Allo stesso modo, l’abduzione può essere vista come un ragionamento solo quando si sono considerate le spiegazioni alternative che si possono dare dei fatti, scartando via via quelle improbabili ovvero non coerenti con tutti i fatti noti. Questo metodo si chiama ricerca della migliore spiegazione possibile: [Esempio: “Ho bussato alla porta di Tazio e non ha aperto. Tazio deve essere uscito”. Questa non è l’unica spiegazione possibile! Il campanello potrebbe essere rotto, Tazio potrebbe essere malato o essere divenuto improvvisamente sordo. L’inferenza è però valida se si sa che alcune ipotesi alternative sono false (per esempio, si è sentito suonare il campanello di casa) e altre decisamente meno probabili di quella che Tazio sia uscito. A questo punto, possiamo concludere che, fino a prova contraria, Tazio deve essere uscito] 24 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 2.9 Esercizi (da verificare con il docente) Esercizio 1. Individuare di che tipo di ragionamento si tratta (deduzione, induzione, abduzione) (a) Ieri non ho digerito bene. Tra i piatti che ho mangiato, uno conteneva i fagioli che non avevo mai mangiato prima: dunque sarà colpa dei fagioli. (b) Non riesco a digerire i ceci. Non riesco a digerire i fagioli. Non ho mai assaggiato le lenticchie ma so che non le digerirò. (c) I fagioli sono legumi e io non digerisco nessun legume. Dunque, non riuscirei a digerire i fagioli. Es. 2. Immaginare dei contro-argomenti confutando queste inferenze 1. Antonio si è lasciato con Maria. Giacomo si è lasciato con Maria. Maria deve avere un caratteraccio [che tipo di ragionamento è? Perché può essere sbagliato?] 2. La crisi economica del 1929 portò al riarmo e alla guerra. La crisi economica attuale porterà anch’essa al riarmo e alla guerra [che tipo di ragionamento è? Perché può essere sbagliato?]. 3.Alfio non frequenta più la biblioteca. Avrà rinviato l’esame [che tipo di ragionamento è? Perché può essere sbagliato?] Esercizio 3. Quali dei metodi di induzione di Mill sono qui presenti? “Conger addestrò dapprima dei topi ad avvicinarsi a percorrere un dato itinerario per procurarsi cibo e quindi suscitò in essi un conflitto, sottoponendoli a scosse elettriche nel momento in cui raggiungevano il cibo. Cinque minuti dopo un’iniezione di controllo di acqua, i topi non si avvicinavano al termine del viale; cinque minuti dopo un’iniezione di alcool, i topi si precipitavano ad afferrare il cibo. La domanda era ora se l’alcool rafforzi l’impulso ad avvicinarsi (la fame), indebolisca l’impulso di fuga (la paura), o modifichi entrambi. Conger addestrò due diversi gruppi di topi, uno che poteva avvicinarsi al cibo senza scossa e un secondo sottoposto invece alle scosse elettriche. Una metà di entrambi i gruppi fu condotta a uno stato di moderata ubriachezza. Tra i topi affamati, non si verificò una variazione rilevante di comportamento. Tra i topi spaventati, esso induceva invece una variazione rilevante, indebolendo l’impulso alla fuga. Dunque, l’alcool diminuisce la sola forza della paura senza influire sulla fame (tratto con modifiche da Irving Copi, Introduzione alla logica, Bologna, Il Mulino 1964, p 428). Fine del secondo modulo 25 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico Seconda parte: gli strumenti del ragionamento 3. I connettivi logici e l’anatomia dell’inferenza deduttiva 3.1 Presentazione Abbiamo detto che l’inferenza deduttiva si basa tutta sulla forza delle premesse, che contengono già implicitamente la conclusione. Ma non è chiaro perché ci possa avvenire. Perché le premesse possono “pagare il biglietto” per la conclusione? Quale è il meccanismo che rende possibile l’inferenza deduttiva? Noi mostreremo qui che tutte le inferenze deduttive sono basate su semplicissime operazioni che sono rese lecite a partire dai connettivi che collegano tra loro gli enunciati. Questo fatto non era chiaro in passato perché la prima e più influente teoria della deduzione elaborata nel mondo occidentale è stata la dottrina aristotelica del sillogismo, che esamineremo più avanti, che sembra funzionare senza connettivi (invece, come vedremo, è la copula “è” a fare nei sillogismi la funzione di diversi connettivi). Solo con il tempo, si arrivò a concepire le inferenze deduttive come l’analogo di operazioni matematiche. Quest’approccio matematico alla logica, precorso da G. W. Leibniz (1646 – 1716) e George Boole (1815-64), fu realizzato da Gottlob Frege (1848-1925), Giuseppe Peano (1858-1932) e Bertrand Russell (1872-1970). A quest’ultimo e a Alfred N. Whitehead (1861-1947) si debbono i Principia mathematica, (scritti tra il 1910-1913), che fondano l’attuale logica simbolica. 3.2 Gli ingredienti del calcolo proposizionale Il calcolo proposizionale odierno ha tre ingredienti fondamentali: le variabili, le tavole di verità, i connettivi. 3.2.1 Le variabili Il calcolo proposizionale usa le lettere (convenzionalmente: p, q, r, s, t, u, v ….) come variabili. Esse rappresentano enunciati dotati di valore di verità. Possiamo simbolizzare in questo modo qualunque unità compiuta di informazione, che si tratti di enunciati elementari (“piove”, “lì c’è un gatto” etc.) o di enunciati più ricchi e complessi che, nell’economia del 26 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico ragionamento, vengono presi come unità minime. Un insieme di variabili costituisce una formula del CP (una formula ben formata quando le variabili e i connettivi stanno tutti al posto giusto). 3.2.2 Le tavole di verità I valori di verità sono due: vero (V) e falso (F). Ogni formula del calcolo deve esprimere un enunciato suscettibile di essere vero o falso. Quando una formula contiene più di una variabile, essa simbolizza un enunciato composto la cui verità o falsità dipende dalla verità o falsità degli enunciati più elementari (cioè delle variabili). La rappresentazione di tale rapporto tra verità o falsità dell’enunciato composto e verità o falsità dei componenti è data dalla tavola di verità. La tavole di verità sono diverse a seconda dei connettivi, come vedremo. 3.2.3 I connettivi I connettivi sono la base dell’inferenza. Essi hanno la funzione di generare delle formule collegando le variabili p, q, r etc., espressione degli enunciati elementari. Le operazioni fattibili con il calcolo proposizionale dipendono dalle leggi che regolano l’uso dei connettivi. 3.3 I connettivi del Calcolo Proposizionale 3.3.1 La negazione (¬) Il primo connettivo del calcolo proposizionale è la negazione logica (¬). La negazione è il connettivo che inverte il valore di verità di un enunciato. Ovvero: ¬ p significa “è falso che p”. Per contro “¬ ¬ p” significa “è falso che sia falso che p”. Dato il principio di bivalenza (un enunciato è o vero o falso), ne deriva che “¬ ¬ p” è equivalente a “p” o, per usare un termine più adeguato, “dimostra” p (d’ora in poi esprimeremo questo “dimostra” con il simbolo ├, che è equivalente ai termini italiani “dunque” o “pertanto”). Nel CP due negazioni affermano. Ciò non vale in altri schemi di calcolo logico (logiche devianti o “non-standard”), i quali sostengono che la negazione di una negazione non è strettamente equivalente all’affermazione, rinunciando così al principio della bivalenza (un enunciatoo è vero o è falso) ovvero al terzo escluso (o A o non-A). Le logiche non standard appaiono però meno elementari del CP e dunque conviene partire da quest’ultimo. 27 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico Possiamo introdurre ora la prima (semplice) tavola di verità, che si ottiene mettendo in colonna sotto le singole variabili le possibilità alternative (Vero indicato con V, Falso indicato con F): p ¬p ¬¬p V F V F V F Ovvero: p è vero ┤├ ¬ p è falso ┤├ ¬ ¬ p è vero. p è falso ┤├ ¬ p è vero ┤├ ¬ ¬ p è falso. 3.3.2 La congiunzione La congiunzione & (o Λ in altre simbolizzazioni del CP) indica che due o più enunciati sono tutti veri. Possiamo servircene per dissezionare gli enunciati del linguaggio quotidiano e trasformarli in sequenze di enunciati elementari: “Maria è bella e buona” (o anche “La bella Maria è buona” o “La buona Maria è bella”) = “Maria è bella e Maria è buona” = p & q La tavola della verità della congiunzione è la seguente: p q p&q V V V V F F F V F F F F Leggi: la congiunzione è vera se e solo se sono veri tutti i congiunti. Le operazioni fattibili con la congiunzione sono due: (a) l’introduzione della congiunzione, che è lecita solo se si sa già che sia p sia q sono veri, (b) l’eliminazione della congiunzione che invece si può fare ogni volta che si voglia e che consiste nel prendere una variabile tra quelle congiunte nella formula e farne una formula indipendente. 28 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico Introduzione della congiunzione (I&): (1) p (“Maria è buona”) (2) q (“Maria è bella”) (3) ├ p & q (“dunque, Maria è bella e buona”) [I&] (Se si è stabilito che due o più enunciati sono veri, è lecito congiungerli). Eliminazione della congiunzione (E&): (1) p & q (“ Maria è sia bella che buona”) (2) ├ p (“dunque, Maria è bella”). [E&] (È sempre lecito prendere isolatamente uno degli enunciati che fa parte di un enunciato congiunto vero) 3.3.3 La disgiunzione non esclusiva Altro connettivo del calcolo è la disgiunzione V (dal latino “vel”). Essa indica una disgiunzione non esclusiva, vale a dire: “almeno uno di questi enunciati è vero (e forse lo è più di uno)”. L’enunciato basato su tale connettivo ha la seguente tavola di verità: p q pVq V V V V F V F V V F F F Leggi: p V q è falso se e solo se sono falsi tutti i disgiunti. Le operazioni fattibili con la disgiunzione sono due: l’introduzione della disgiunzione, che si può fare con qualsiasi enunciatovero ogni volta che lo si voglia; al contrario, l’eliminazione della disgiunzione si può fare solo quando si è assunto o provato che uno dei due disgiunti è falso: 29 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico Introduzione della disgiunzione (IV) (1) p (“domani piove”) (2) ├ p V q (“dunque, domani o piove o fa bel tempo”) [IV] È sempre lecito costituire un enunciato disgiuntivo a partire da qualsiasi un enunciato vero. Eliminazione della disgiunzione (EV) (1) p V q (“domani o piove o fa bel tempo”) (2) ¬q (3) ├ p (“domani, non fa bel tempo”) (“domani piove”) [EV] Dato un enunciato disgiuntivo vero, se tutti i disgiunti tranne uno sono falsi, quell’uno è vero. I rapporti tra congiunzione e disgiunzione sono definiti dalle due leggi di De Morgan: ¬ (p & q) ┤├ ¬ p V ¬ q [┤├ significa “dimostra ed è dimostrato da”] ¬ (p V q) ┤├ ¬ p & ¬ q ovvero (per la legge della doppia negazione): p V q ┤├ ¬ (¬ p & ¬ q) p & q ┤├ ¬ (¬ p V ¬ q) 5.4.4 Il condizionale o implicazione Infine, per indicare il caso in cui la verità di un dato enunciato (“antecedente”) permette di inferire la verità di un altro enunciato (“conseguente”), cioè in cui se è vero p, allora è vero q, si dà il connettivo chiamato condizionale o implicazione materiale: p → q (p.es.: “se bevi troppo vino, ti senti male”) Si noti che il condizionale può riferirsi non solo a un rapporto che va “in avanti” nel tempo, per esempio quello tra causa ed effetto o tra i motivi di una scelta e una scelta (pensiamo a una promessa: “se mangi tutta la minestra, dopo ti darò il dolce), ma anche a un rapporto 30 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico inverso nel tempo: ad esempio quello che sussiste tra i motivi che ci portano a credere ad un fatto e il fatto stesso, che può essere avvenuto molto prima, p.es: “se le rovine di Babilonia sono così solide, i babilonesi dovevano avere ottimi ingegneri”. Il rapporto condizionale è dunque indifferente al tempo (sta a voi, quando traducete p → q in un enunciato normale trovare i tempi giusti del verbo). La tavola di verità dell’implicazione materiale è: p→q p q V V V V F F F V V F F V Leggi: p → q è falso se e solo se l’antecedente è vero e il conseguente falso. Questa tavola di verità comporta che un enunciato vero può essere posto come conseguenza di qualsiasi altro enunciato (vero o falso) e che ogni enunciato falso può essere posto come antecedente di qualsiasi altro enunciato. Il desiderio di evitare questi “paradossi dell’implicazione materiale” hanno portato diversi logici a costruire modelli alternativi di implicazione – per esempio la cosiddetta “implicazione stretta” – i quali però fanno entrare ingredienti ulteriori nel sistema (per esempio, operatori modali come “necessario” e “possibile” non presenti nel CP). Data la tavola di verità del condizionale si può facilmente stabilire che il condizionale p → q equivale a ¬ (p & ¬ q) e a ¬ p V q. In breve: “Se fai il maleducato, ti lascio” equivale a “Non succederà che tu faccia il maleducato e io non ti lasci” o, ancora più chiaramente, “O non fai il maleducato o ti lascio”. Le operazioni fattibili con il condizionale sono: (a) Il modus ponens (1) p → q (“se piove, egli prende l’ombrello”) (2) p (“sta piovendo”) 31 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico (3) ├ q (“egli prenderà l’ombrello”) (b) il modus tollens (1) p → q (“se piove, egli prende l’ombrello”) (2) ¬q (3) ├ ¬ p (“egli non ha preso l’ombrello”). (“allora non sta piovendo”). 3.3.5 Transitività del condizionale Si può dimostrare che il nesso condizionale è transitivo, ovvero che: [(p → q) & (q → r)] → (p → r) Leggi: se p implica q e q implica r, allora p implica r. Esempio “Se vai a dormire nella tenda, dormirai male. Se dormirai male, sarai nervoso il giorno dopo. Dunque, se vai a dormire nella tenda, sarai nervoso il giorno dopo.” Nota: Esistono anche sporadici casi in cui la transitività del condizionale fallisce, come ad esempio “Se Astolfo non tornerà a casa stasera entro le 20, sua moglie lo sgriderà. Se Astolfo ha un incidente mortale sull’autostrada, egli non tornerà a casa entro le 20” non conduce a “Se Astolfo ha un incidente mortale sull’autostrada, sua moglie lo sgriderà”. Questi casi di fallimento della transitività sono dovuti al fatto che, genere, un enunciato condizionale assume implicitamente una serie di ulteriori condizioni di sfondo, di cui si ritiene implausibile la variazione, e che invece possono essere l’antecedente di altri condizionali. L’alternativa di usare enunciati condizionali sufficientemente articolati da evitare questo problema (p.es.: “Se Astolfo non tornerà a casa entro le 20 e questo ritardo sarà dovuto alle cause A1, A2, A3 etc. ma non alle cause B1, B2, B3 etc.., allora…”) appare poco praticabile. 3.4 I connettivi del CP e il linguaggio comune I connettivi del CP sembrano seguire in alcuni casi una logica diversa da quella delle corrispondenti espressioni del linguaggio ordinario. Dobbiamo supporre allora che vi siano altri connettivi oltre quelli elencati? In realtà, i connettivi del CP permettono di ricostruire molti di quelli operanti nel linguaggio ordinario e le inferenze che facciamo a partire da essi. Anzi, essi ci aiutano anche a comprendere meglio alcune ambiguità del ragionamento ordinario. Esaminiamo i casi significativi. 32 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 3.4.1 La disgiunzione non esclusiva e gli altri tipi di disgiunzione La disgiunzione non esclusiva non è l’unica tra le disgiunzioni che usiamo nei nostri enunciati. Noi usiamo spesso la disgiunzione esclusiva (in latino aut…aut..), la quale considera i disgiunti come alternativamente veri o falsi, escludendo dunque sia VV sia FF: O ubbidisci o te ne vai di casa [e non hai altre scelte se non fare una – e una sola – tra queste due cose]. Oppure usiamo la cosiddetta disgiunzione n-and, che nega la possibilità di asserire congiuntamente due casi (cioè nega VV) ma non esclude FF: O studi o vedi la televisione [non puoi studiare e vedere la televisione nello stesso tempo, ma non ti si vieta di fare qualcos’altro]. È facile tuttavia mostrare che la disgiunzione non esclusiva è più semplice delle altre e permette di costruirle, mentre non è costruibile a partire da esse: (1)“O ubbidisci o te ne vai di casa” equivale a (p V q) & ¬ (p & q), che – per legge di De Morgan – diviene: (p V q) & (¬ p V ¬q). (2) “O studi o guardi la televisione” equivale a ¬ (p & q), che, per legge di De Morgan, diviene: ¬ p V ¬ q. In linea di massima, i parlanti non hanno difficoltà a capire quale sia il tipo di disgiunzione usato dai loro interlocutori e a trarne inferenze corrette. 3.4.2 Il condizionale e il bicondizionale È abbastanza tipica invece la confusione del condizionale con un altro legame, il bicondizionale, come mostrano due tipiche fallacie, ovvero : (A)La fallacia della negazione dell’antecedente (1) p → q (“se deve fare acquisti, egli va in città”) (2) ¬ p (“egli non deve fare acquisti”) (3) ¬ q (“dunque, non va in città”) (B) La fallacia dell’affermazione del conseguente (1) p → q (“se deve fare acquisti, egli va in città”) (2) q (“egli è andato in città”) 33 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico (3) p (“dunque, deve fare acquisti”). In entrambi i casi, laddove l’enunciato afferma che l’individuo considerato, per fare acquisti, va in città, lo si interpreta come se dicesse che questi non va in città che per fare acquisti. Sono idee molto diverse! Il primo enunciato non vieta affatto che gli possa andarci anche per vedere un amico! Queste due fallacie mostrano che spesso “se” viene letto come un “se e solo se”. Ma che cosa significa esattamente quest’ultima espressione? Possiamo ora farne un’analisi logica più esatta: se è solo se devo fare acquisti, vado in città significa se devo fare acquisti, vado in città; se non devo fare acquisti, non vado in città, dunque: (p → q) & (¬ p → ¬q ) Ora, per modus tollens (¬ p → ¬q ) equivale a (q → p) dunque: (p → q) & (q → p) Questa relazione si chiama bicondizionale o equivalenza materiale e ha per simbolo: p↔q La tavola della verità del bicondizionale è semplice: il bicondizionale è vero nei casi VV e FF, falso negli altri casi. Le operazioni fattibili con il bicondizionale sono le stesse di quelle del semplice condizionale, ma sono ancor più banali: MP: p ├ q (o viceversa: q ├ p) MT: ⌐ p ├ ⌐ q (o viceversa: ⌐ q ├ ⌐ p) Qualche dettaglio in più Perché confondiamo sufficienti condizionale e bicondizionale? Condizioni necessarie e Tra gli esperimenti psicologici più convincenti a proposito della nostra propensione a confondere il condizionale con il bicondizionale vi è l’esperimento di P. Wason del 1966. Si danno a un soggetto due carte coperte (rossa e blu) e due carte scoperte (quattro e sette) e gli si chiede quante carte deve voltare per stabilire se è vero il seguente enunciato: “se il dorso è rosso, la carta è pari”. In base alla logica, le uniche carte da voltare sarebbero la carta con il dorso rosso (per vedere se sotto vi è una carta pari: modus ponens) e la carta 34 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico con il numero sette (modus tollens). Ma la maggior parte degli intervistati controllava anche altre carte, in genere il quattro (ipotizzando erroneamente che un eventuale dorso blu avrebbe falsificato l’enunciato di partenza: fallacia dell’affermazione del conseguente) o voltava anche la carta con il dorso blu (ipotizzando erroneamente che la scoperta di un numero pari avrebbe falsificato l’enunciato di partenza: fallacia della negazione dell’antecedente) [Cfr. sul tema, Marcello Frixione, Come ragioniamo, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 25-29]. Una volta distinti questi due casi, la domanda è: perché ci risulta così facile confonderli? Perché una possibilità logicamente più semplice ci appare meno facile da capire di una più complessa? Si può specificare meglio il contenuto dell’errore, interpretandolo alla luce della distinzione tra condizioni necessarie e condizioni sufficienti. (1) p→ q significa che p è condizione sufficiente per q. (2) ¬ p → ¬ q significa che p è condizione necessaria per q (3) (p→ q) & (q → p) (equivalenza materiale), significa che p è condizione necessaria e sufficiente per q (“se e solo se p, allora q”). Ora, mentre appare psicologicamente facile distinguere le condizioni soltanto necessarie da quelle sufficienti (nessuno penserebbe che basti fare un esame per laurearsi, anche se ogni esame è una condizione necessaria per la laurea) siamo psicologicamente meno propensi a distinguere le condizioni soltanto sufficienti dalle condizioni sia necessarie che sufficienti. Quando sappiamo che p è sufficiente per q, tendiamo a trascurare la possibilità che q sia inferibile anche da enunciati diversi da p. In breve, noi tendiamo a considerare simmetrica la relazione di inferibilità. Si noti che questa nostra propensione è presumibilmente anche la ragione per cui siamo tendenti a fare abduzioni, le quali usano un determinato effetto come indizio (cioè come condizione di inferibilità) di una tra le cause possibili, privilegiandola tra le altre. Il bene e il male (la capacità di congetturare e la tendenza a sbagliare) nascono dalla stessa fonte. Il rimedio contro la confusione tra condizionale e bicondizionale è dunque chiedersi se l’antecedente dà luogo a una condizione soltanto sufficiente o invece necessaria e sufficiente. Nel secondo caso, occorrerà dire o scrivere non semplicemente “se”, ma “se e solo se” o espressioni equivalenti (“unicamente se…” “esclusivamente se…”), riservando “se” per la condizione soltanto sufficiente. 35 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 3.5 La logica del ragionamento ipotetico L’analisi dei connettivi ci ha dato 7 operazioni fondamentali che servono per formalizzare i nostri ragionamenti, cioè: Doppia Negazione (DN), Introduzione della Congiunzione (I&), Eliminazione della Congiunzione (E&), Introduzione della Disgiunzione (IV), Eliminazione della Disgiunzione (EV), Modus Ponens (MP), Modus Tollens (MT). Alcuni ragionamenti possono essere efficacemente rappresentati formalmente usando queste sette operazioni, che faremo intervenire subito dopo l’esposizione delle premesse (che, nel calcolo proposizionale, di solito si indicano con la lettera A, dall’inglese assumption). Per esempio:→ “Se Giacomo mangia la pizza con i crauti, sta male o si addormenta. Giacomo ha mangiato la pizza con i crauti. Ora o starà male o si addormenterà” (1) p → (q V r) [A ] (2) p [A] (3) ├ q V r [MP 1, 2: significa modus ponens da 1 e da 2] Il simbolo ├ indica, come ricorderete, “dunque”, cioé che il processo di inferenza è concluso. In realtà, però, queste sette operazioni già non ci bastano a ragionare se non introduciamo anche almeno le leggi di De Morgan che stabiliscono come si traducono i vari connettivi tra di loro. Per esempio, prendete questo ragionamento: “Se Giacomo mangia la pizza coi crauti, sta male o si addormenta. Giacomo al momento non sta male e non si sta addormentando. Dunque, non ha mangiato la pizza con i crauti”. (1) p → (q V r) [A ] (2) p [A] (3) ⌐ q & ⌐ r [A] (4) ⌐ (q V r) [questa è una delle leggi di De Morgan] (5) ├ ⌐ p [MP 1,4] 36 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico [Dal momento che le leggi di De Morgan ci indicano come si traducono tra loro i vari connettivi, potremmo indicarle come Df. V o Df. & o Df. →] Tuttavia, anche con questo allargamento, non abbiamo ancora tutti gli elementi per capire come funzionano i nostri ragionamenti. Prendiamo, ad esempio, il seguente ragionamento: “Se Tizio va a mangiare dalla nonna, mangerà troppo. Se mangerà troppo, o gli verrà mal di pancia o dovrà prendere un digestivo o infine potrà fare un po’ di footing. Ma Tizio non ama il footing e non ha a disposizione un digestivo. Dunque, se andrà a mangiare dalla nonna, gli verrà il mal di pancia”. Ora, questo ragionamento non contiene un enunciato che ci dica se Tizio è andato a mangiare dalla nonna oppure no. Tutto resta sul piano delle pure ipotesi. Tuttavia, il ragionamento fila lo stesso! Come faremo a formalizzarlo? 3.5.1 La prova condizionale La soluzione è semplice. Prenderemo in via ipotetica l’assunto che Tizio sia andato a mangiare dalla nonna. Lo si può fare in un modo molto semplice: si mette tale assunto in coda alla lista delle assunzioni [A] (se preferite, potrete anche indicare che si tratta di un’assunzione provvisoria segnando [A*]). Fatto ciò, ci troveremo però un obbligo in più: scaricare la premessa ipotetica alla fine del ragionamento, liberandocene. Questa operazione di “scaricamento” della premessa alla fine del ragionamento si chiama Prova Condizionale (PC) e si fa reintroducendo la premessa ipotetica nella veste di antecedente di un condizionale →. Pertanto, non concluderemo “Tizio avrà mal di pancia”, ma “se Tizio andrà a mangiare dalla nonna, avrà mal di pancia”. Possiamo rappresentare il calcolo in questo modo (1) p → q [A] (2) q → (r V q V s) [A] (3) ¬ q & ¬ s [A] (4) p [A*] (5) q [MP 1, 4] (6) r V q V s [MP 2, 5] 37 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico (7) (r V q V s) & (¬ q & ¬ s) [I& 3, 6] (8) r [EV 7] (9)├ p → r [PC 4, 5, 6, 7, 8] Lo schema della prova condizionale è dunque: p……r ├ p → r. Si noti che la PC può essere fatta con qualunque premessa. È una procedura consolidata mettere le premesse che prendiamo come assunzioni provvisorie in coda rispetto alle altre, per ricordarci di scaricarle attraverso la PC. Ma si ricordi che tutte le assunzioni sono in ultima analisi ipotetiche e quindi le potremmo prendere tutte insieme e trasformare la conclusione di tutto il ragionamento in una lunga PC (“se sono vere le premesse 1, 2, 3,4, allora è vera la conclusione 5”). Oppure potremmo fare l’operazione di invertire la gerarchia delle assunzioni e affermare non soltanto che, date 1, 2, e 3, la premessa 4 conduce alla conclusione 5, ma anche che, date 1, 2 e 4, allora la premessa 3 conduce alla conclusione 5. Infatti è facile dimostrare che: p → (q → r) ├ q → (p → r) (Esempio: “Se prendi un tassì, allora, se vai lontano, paghi molto” è equivalente a “se vai lontano, allora, se prendi un tassì, paghi molto”). Ovviamente, la scelta di quanto estendere l’uso della PC, dipende da quello che si vuole dimostrare. Nei casi più ovvi e semplici, la PC si usa soprattutto per scaricare le assunzioni provvisoriamente fatte per chiarire un’alternativa e, in questo caso,è vitale farla prima di passare all’ipotesi successiva. Vi sono altre due operazioni che nascono per le necessità del ragionamento ipotetico, vale a dire: 3.5.3 La riduzione all’assurdo (reductio ad absurdum: RAA). Mettiamo che dal calcolo risulti che una determinata assunzione ipotetica A conduce a due conclusioni in contraddizione tra loro ovvero (p → q) & (p → ⌐ q) In questo caso, l’osservanza del principio di non-contraddizione ci porta alla conclusione che, quell’ipotesi non può verificarsi (o almeno non può farlo nel quadro delle altre premesse già accettate). L’operazione di eliminare tale premessa ipotetica si chiama “riduzione all’assurdo” (RAA): 38 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico (p → q) & (p → ⌐ q) ├ ⌐ p Esempio: “Se Gastone viene al ricevimento, Andreina non viene. Se Andreina non viene, viene Asdrubale. Se Gastone viene, Asdrubale non viene. Dunque….” (1) p → ¬ q [A] (2) ¬ q → r [A] (3) p → ¬ r [A] (4) p [A*] (5) ¬ q [MP 1, 4] (6) r [MP 2, 5] (7) ¬ r [MP 3, 4] (8) p → (r & ¬ r) [PC 4, 5, 6, 7] (9)├ ¬ p [RAA, 8] Date queste premesse, Gastone non viene o (se preferite) Gastone non può venire se non a patto di violare qualcuna di queste condizioni. 3.5.4 Il Dilemma Costruttivo (DC) Immaginiamo ora un caso, in certa misura, opposto. Abbiamo un enunciato disgiuntivo p V q e, prendendo ipoteticamente prima l’uno e poi l’altro dei disgiunti, arriviamo sempre alla stessa conseguenza r. In questo caso, il Dilemma Costruttivo (DC) ci autorizza a inferire che tale conseguenza è vera, anche quando non si sa quale sia il disgiunto vero. Esempio: 4.6.4.1: “Alla festa di domani, o verrà Andreina o verrà Sofonisba. Se verrà Andreina, Astolfo si innervosirà e perciò rovinerà la festa. Se viene Sofonisba, Odoacre si innervosirà e perciò rovinerà la festa. Dunque, in ogni caso, la festa sarà rovinata” (1) p V q [A] (2) p → r [A] 39 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico (3) r → s [A] (4) q → t [A] (5) t → s [A] (6) p [A o A*, come vi trovate più comodi] (7) r [MP 2, 6] (8) s [MP 3, 7] (9) p → s [PC 6,7,8] (10) q [A o A/h] (11) t [MP 4, 10] (12) s [MP 5, 11] (13) q → s [PC 10, 11, 12] (14) (p V q) & (p → s) & (q → s) [I& 1, 9, 13] (15) ├ s [DC 14] Dunque DC ci dice che: p V q, p → s, q → s ├ s. Tavola di riepilogo Le inferenze deduttive tra gli enunciati (senza considerare ancora la predicazione e modalità) possono essere tutte riportate alle seguenti operazioni: Operazioni legate strettamente ai connettivi: (1)Doppia Negazione (DN): p ┤├ ⌐ ⌐ p (2)Introduzione della Congiunzione: (I&): p, q ├ p & q (3)Eliminazione della Congiunzione (E&): p & q ├ p (4) Sostituzione Congiunzione/Disgiunzione (Df. &) : p & q ┤├ ⌐ (⌐ p V ⌐ q) (5) Introduzione della Disgiunzione (IV): p ├ p V q (6)Esclusione della Disgiunzione (EV): p V q, ⌐ q ├ p (7)Sostituzione Disgiunzione/Congiunzione (Df. V): p V q ┤├ ⌐ (⌐ p & ⌐ q) (8)Definizione del condizionale [Df. →]: p → q ┤├ ⌐ (p & ⌐ q) ┤├ ⌐ p V q (9)Modus Ponens (MP): p → q, p ├ q 40 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico (10)Modus Tollens (MT): p → q, ⌐ q ├ ⌐ p (11)Definizione del bicondizionale [Df. ←→]: (p ←→ q) ┤├ (p → q & q → p) (12)Modus Ponens del bicondizionale (MP ←→): p ┤├ q (13)Modus Tollens del bicondizionale (MT ←→) ⌐ p ┤├ ⌐ q Operazioni ulteriori con i condizionali (ragionamento ipotetico): (14)Prova Condizionale (PC): p……q ├ p → q (15)Riduzione all’assurdo (RAA): (p → q) & (p → ⌐ q) ├ ⌐ p (16)Dilemma Costruttivo (DC): p V q, p → r, q → r ├ r Provate a formalizzare i ragionamenti che inventate o che potete estrarre (con qualche necessaria semplificazione) dai discorsi altrui e vedrete che non avete bisogno di altro. 3.5.5 Esercizio: usa il CP per controllare l’esattezza di queste inferenze Come procedere? Ricordandosi di enumerare i passaggi e di scrivere a fianco come li si è ottenuti, cioè se sono premesse o inferenze e, se inferenze, da quali premesse derivino e per quale via. Alcune soluzioni (ma non tutte) sono più avanti. a. Di sera o va al cinema o compra un DVD. Stasera non ha comprato un DVD. Dunque è andato a cinema. b. Se compra un DVD, gli serve il lettore di DVD. Se gli serve il lettore di DVD, me lo chiede. Non mi ha chiesto il lettore di DVD. Dunque, non ha comprato un DVD. c. Se va al cinema, passa a comprare i popcorn. È passato a comprare i popcorn. Dunque è andato a cinema. d. O compra i popcorn o compra le patatine. Ha comprato i popcorn. Dunque non ha comprato le patatine. e. Quando [= Se] torna dal cinema, o prende una birra o prende un gelato, ma non prende mai sia la birra che il gelato. Tornava dal cinema con una birra. Dunque, non ha preso il gelato. 41 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico f. Se non è passato per il giardino, non può essere entrato in casa. Ma è entrato in casa. Dunque è passato per il giardino. g. Se Calpurnia non sposa Tazio, Tazio soffrirà. Se Sempronio le si dichiara, Calpurnia sposerà Sempronio e non Tazio. Sempronio si è dichiarato a Calpurnia. Tazio soffrirà. h. O Metello ama Sofronia o io sono uno sciocco. Ma se Metello amasse Sofronia, dovrebbe riempirla di doni. Metello non riempie Sofronia di doni. Dunque, io sono uno sciocco. i. O Metello ama Sofronia o io sono uno sciocco. Ma se Metello ama Sofronia, desidererà sposarla prima o poi. Se desidererà sposarla, dovrà pur comunicarlo alla propria madre Sofonisba. Se lo dirà ad Sofonisba, ella ne soffrirà. Dunque, se non sono uno sciocco, Sofonisba soffrirà. 3.5.6 Esercizi con le condizioni Stabilire se il primo enunciato costituisca, rispetto al secondo: una condizione necessaria (CN); una condizione sufficiente ma non necessaria (CS); una condizione necessaria e sufficiente (CNS). andare alla stazione/prendere il treno mangiare molta cioccolata/ingrassare fare esplodere una bomba in un posto affollato/provocare una strage salire in auto dopo aver bevuto/commettere un’infrazione essere informato su molti aspetti di un problema/conoscere a fondo quel problema avere ripugnanza per Metello/non volere sposare Metello non essere sposata/essere nubile ottenere il passaporto/recarsi (legalmente) in un paese extraeuropeo conoscere a fondo un dato problema/essere esperto di quel problema esser privo di spigoli/avere forma circolare 42 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico essere un numero pari/essere un multiplo di due. [Alcune soluzioni dell’esercizio 3.5.5 a. .(1) p v q [A] (2) ¬ q [A] (3) ├ p [Ev 1, 2] Il ragionamento è corretto. b. (1) p → q [A] (2) q → r [A] (3) ¬ r [A] (4) ¬ q [MT 2, 3] (5) ├ ¬ p [MT 1,4] Il ragionamento è corretto. c. (1) p → q [A] (2) q [A] (3) ……………………………………………….. Fallacia di affermazione del conseguente! d... Il ragionamento è corretto o scorretto a seconda di come viene interpretata la prima premessa. Se la si interpreta come “ p v q”, il ragionamento è del tutto scorretto. Diverso sarebbe il caso se la prima premessa fosse un aut-aut: (1) (p v q) & (¬ p v ¬ q) [A] (2) p [A] (3) ¬ ¬ p [DN 2] (4) ¬ p v ¬ q [E& 1] (4) ¬ q [Ev 3, 4] Interpretando (1) come si è detto, il ragionamento è corretto. Eseguite sulla base di questo modello gli esercizi successivi tenendo conto del fatto che, più il ragionamento è complesso, più occorrono passaggi intermedi che il ragionamento ordinario sottende. Per esempio, nel caso di g (Calpurnia e Tazio), occorrono i seguenti passaggi: (1) ¬ p → q [A] (2) r → (s & ¬ p) [A] (3) r [A] (4) s & ¬ p [MP 2, 3] (5) ¬ p [E& 4] (6) q [MP 1, 5] Il ragionamento è corretto Fine del terzo modulo 43 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 4. La logica predicativa: sillogismi e insiemi 4.1 Presentazione: il problema della struttura interna degli enunciati Finora abbiamo considerato gli enunciati come dei mattoncini indivisibili senza preoccuparci di analizzarne la composizione interna o il modo in cui si riferiscono agli oggetti che esistono fuori dal discorso. Questi problemi di natura semantica [= la semantica è la disciplina che studia come i segni linguistici si riferiscono alle cose del mondo, cioè il rapporto tra segni e significato] diventano ora importanti per portare avanti l’analisi logica del discorso e per comprendere le basi delle inferenze che facciamo. 4.2 La predicazione La prima grande teoria del ragionamento deduttivo – quella di Aristotele di Stagira (384 – 322 a. C.) – nasceva infatti da una semantica molto precisa. Per Aristotele, gli enunciati apofantici hanno il compito di congiungere un soggetto (o più soggetti) con un predicato (o più predicati). P. es. “Socrate è uomo” (o “Socrate e Fidia sono Ateniesi” o “Socrate è uomo e ateniese”).Il soggetto indica, all’interno del discorso, l’ente al quale l’enunciato si riferisce. Il predicato indica le caratteristiche che ne manifestano l’essere. Dal momento che il predicato è, in linea di massima, più generale del suo soggetto, questa concezione dell’enunciato è coerente con una dottrina della conoscenza secondo la quale conoscere un ente è identificare il suo posto nella grande tassonomia di generi che organizza la realtà. Per Aristotele, il compito dell’enunciazione è insomma dirci (per esempio) che Hyppos è un cavallo e che i cavalli sono mammiferi e che i mammiferi sono vertebrati, il che permette di inferire inoltre che Hyppos è un vertebrato etc. etc. Sulla base di questo schema, gli enunciati riferiti a specifici eventi temporali ed espressi con verbi diversi dal verbo essere vengono visti come affermazioni di predicati accidentali: Oggi pomeriggio, Socrate ha corso sul prato = Oggi pomeriggio, a Socrate è appartenuto il predicato di correre sul prato (ovvero Socrate è entrato per quel tempo nella classe dei correnti-su-prati). 44 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 4.3 I contributi di Aristotele alla logica Come vedremo più avanti, questa concezione dell’enunciato è insufficiente e limitata. Nondimeno, essa portò Aristotele a studiare con acutezza e accuratezza le inferenze che nascono dal fatto che i predicati di un enunciato possono a loro volta divenire soggetti in altri enunciati (Hyppos è cavallo, il cavallo è mammifero…). Egli chiamava tali ragionamenti con il nome di sillogismi (syn+leghein: porre insieme, collegare) dividendoli in sillogismi “apodittici” (perfettamente deduttivi e basati su premesse certe) e “sillogismi dialettici” (non perfettamente deduttivi o non basati su premesse certe). La sua analisi condusse a questi risultati: 4.3.1 Il principio di non-contraddizione Per avere un qualunque sillogismo, occorre innanzitutto che gli enunciati siano intelligibili, cioè - in primo luogo - non-contraddittori. Aristotele fissò il principio di non-contraddizione, da lui definito così: è impossibile che un dato S sia contemporaneamente P e non-P. Aristotele introduce inoltre implicitamente anche il principio del “terzo escluso”: o S è P o S è non-P. [Per capire il senso del principio di non-contraddizione, occorre notare che Aristotele non nega che il soggetto S possa avere in momenti diversi predicati opposti (essere giovane al tempo x e vecchio al tempo y), ma appunto egli ci obbliga a specificare i predicati in modo da evitare la contraddizione: è chiaramente possibile che qualcuno sia giovane-al-tempo-x e vecchio-al-tempo-y, ma non giovane e vecchio insieme. Allo stesso modo in cui, non ha senso dire che “la zebra è bianca e nera”, ma lo ha il dire che la zebra ha strisce bianche e strisce nere]. 4.3.2 Enunciati universali e particolari Dato lo schema S è P, vi sono quattro tipi possibili di enunciati: Universali Affermativi (ogni S è P), Universali Negativi (nessun S è P), Particolari Affermativi (qualche S è P), Particolari Negativi (qualche S non è P). I seguaci di Aristotele battezzarono come A, E, I, O, questi quattro tipi di proposizione possibile e definirono i loro rapporti come segue: 45 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico Universali affermative Es. Ogni uomo è felice A E Particolari affermative I Qualche uomo è felice O Universali Negative Nessun uomo è felice Particolari negative Qualche uomo non è felice A ed E sono contrarie tra loro: possono essere entrambe false, ma non entrambe vere. I è subalterna rispetto ad A, O lo è rispetto ad E: nello schema aristotelico, A permette di dedurre I, E permette di dedurre O (ma non il contrario). A ed O da un lato, E e I d’altro lato (le due diagonali) sono contraddittorie tra loro: se una è vera, l’altra è falsa, e viceversa. Infine, I ed O sono subcontrarie tra loro: possono essere entrambe vere, ma non entrambe false. 4.4 Le condizioni per l’inferenza Data questa classificazione degli enunciati, Aristotele stabilì una serie di leggi sul ragionamento deduttivo: (1) Per un processo deduttivo occorrono almeno due premesse, di cui almeno una deve essere universale e almeno una deve essere affermativa. Da premesse tutte particolari o tutte negative non si ricava nulla. (2) La presenza di premesse particolari e negative condiziona la conclusione: basta una premessa particolare perché la conclusione sia particolare, basta una premessa negativa perché la conclusione sia negativa. (3) Il processo deduttivo è reso possibile dalla presenza di un termine medio che compare in entrambe le premesse. La posizione del medio determina la figura del sillogismo. 46 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 4.5 Le figure del sillogismo 4.5.1 La prima figura Nella prima figura, il termine medio è predicato nella premessa minore (meno universale), soggetto in quella maggiore (più universale), mentre il soggetto della premessa minore è soggetto della conclusione. Viene intuitivo esprimerlo così: S è M, M è P, S è P. Ma nei manuali si preferisce premettere la premessa maggiore (= più universale). Lo schema tipico risulta dunque M è P, S è M, S è P. Questo schema risulta valido solo se la premessa maggiore è universale e quella minore è affermativa. I quattro modi della prima figura sono perciò: Barbara: Tutti i pesci sono dotati di branchie. Tutti i naselli sono pesci. Tutti i naselli sono dotati di branchie Celarent: Nessun pesce è dotato di polmoni. Tutti i naselli sono pesci. Nessun nasello è dotato di polmoni. Darii: Tutti i pesci sono dotati di branchie. Qualche abitante dell’acquario è un pesce. Qualche abitante dell’acquario è dotato di branchie. Ferio: Nessun pesce è dotato di polmoni. Qualche abitante dell’acquario è un pesce. Qualche animale dell’acquario non è dotato di polmoni. 4.5.2 La seconda figura Nella seconda figura, il termine medio svolge in entrambe le figure il ruolo di predicato. La legge che regola questa figura è: essa è valida soltanto quando dà luogo a conclusioni negative, mentre non vale mai in positivo! “Ogni gatto è mammifero, ogni cane è mammifero” non dà luogo ad alcuna conclusione logica (dal momento che certamente non si può pensare che i gatti siano cani…). Mentre “Ogni gatto è un mammifero, nessuna tartaruga è un mammifero” dà luogo a: “nessuna tartaruga è un gatto” o anche “nessun gatto è una tartaruga”. Vedremo oltre (4.6) perché le cose stanno così. 47 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 4.5.3 La terza figura Nella terza figura, il medio è soggetto in entrambe le premesse. La forma è M è P. M è S. S è P. Anche questa figura ha una specifica legge: esso può dare luogo soltanto a conclusioni particolari, anzi dà conclusioni particolari anche quando le premesse sono universali! Per esempio: “Tutti i cani abbaiano. Tutti i cani sono mammiferi” non porta a “tutti i mammiferi abbaiano” (evidentemente falso), ma a “qualche mammifero abbaia” (sillogismo in Darapti). Allo stesso modo, “Nessun cane miagola, tutti i cani sono carnivori” conduce a “qualche carnivoro non miagola” (sillogismo in Felapton). 4.5.4 Qualche cenno sulla quarta figura La quarta figura fu scoperta nel Medioevo e si discusse a lungo della sua validità. Essa assomiglia alla prima (come nella prima, il termine medio ha ruoli diversi nelle due premesse), ma ha la particolarità che il soggetto della conclusione non è mai stato soggetto in nessuna delle premesse. È una figura che ha regole complesse ed è decisamente poco intuitiva. Tuttavia, serve a costruire sillogismi validi a partire da premesse che violano le leggi della prima figura. P.es. “Nessun pesce è un roditore. Qualche roditore vive sugli alberi” non ha alcun esito con la prima figura ma ne ha uno con la quarta: “vi è qualcuno che vive sugli alberi e non è pesce. 4.6 Reinterpretazioni moderne della sillogistica Ma perché le leggi delle diverse figure sono proprio queste? Molti logici e matematici hanno cercato di chiarire le leggi aristoteliche ipotizzando che la predicazione andasse analizzata come inclusione in un insieme. Quest’interpretazione condusse a rappresentare la predicazione per mezzo di cerchi, come proposto dal matematico Leonhard Euler (uno schema analogo ma più articolato, basato su diagrammi, fu proposto dal logico John Venn). 48 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico L’enunciato universale affermativo indica cani l’inclusione totale: “Tutti i cani sono mammiferi” mammiferi L’enunciato universale negativo indica cani l’esclusione totale: “Nessun cane è un rettile” rettili lupi L’enunciato particolare affermativo indica lupi solitari l’intersezione: “Qualche lupo è solitario” L’enunciato particolare negativo indica pesci l’esclusione parziale “Qualche pesce non è animale marino” animali marini Partendo da questo schema, le leggi delle figure sillogistiche diventano chiare ed intuitive. Per esempio, è evidente perché la seconda figura può servire per negare, ma non per affermare: Ogni cane è mammifero. Nessun pesce è mammifero. Nessun cane è pesce. mammiferi pesci cani 49 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico Per contro “I cani sono mammiferi. I gatti sono mammiferi” non dà luogo ad alcuna inferenza, perché il fatto che l’insieme “cani” e quello “gatti” siano entrambi inclusi in quello dei “mammiferi” non ci dice nulla sulla loro relazione reciproca! È ora evidente anche perché la terza figura, in cui il medio è nel soggetto, operi sempre ed esclusivamente intersezioni o esclusioni parziali, p.es.: Ogni cane è carnivoro. Ogni cane è mammifero. Qualche carnivoro è mammifero (questo è un sillogismo in “Darapti”). carnivori mammiferi cani Poiché “cani” è incluso nei due cerchi “carnivori” e “mammiferi”, è chiaro che tra i due cerchi si dà un’intersezione ma non si può dimostrare altro.. L’analisi del rapporto di predicazione come relazione tra insiemi dà dunque uno strumento utile per capire quali inferenze siano corrette e quali no. Qualche dettaglio in più: ma perché, se tutti i sillogismi, si basano su semplici relazioni di inclusione o esclusione tra insiemi, alcuni di essi sono più intuitivi ed altri no? Questo è un problema interessante per la psicologia cognitiva. Negli ultimi decenni, infatti, gli psicologi sono tornati a studiare i sillogismi e la teoria delle “figure” di Aristotele per capire come mai alcune inferenze corrette ci appaiono facili (p.es. i sillogismi della prima figura), mentre altre sono molto difficili (tipicamente, i sillogismi della quarta figura). L’analisi di questo problema psicologico ha portato a concludere che i modelli mentali che noi ci formiamo spontaneamente non sono analoghi ai cerchi di Eulero, ma seguono schemi più complicati ma anche più costosi in termini di memoria operativa. Se è difficile per voi trovare una conseguenza logica delle premesse “Tutti i banchieri sono atleti. Nessun contabile è un banchiere” (la conseguenza logica è “alcuni atleti non sono contabili”, sillogismo della quarta figura) è perché, partendo dalle premesse, avete costruito nella vostra testa un modello di conclusione che prevedeva “contabile” o “banchiere” come soggetto, mentre non prevedeva “atleta”! In breve, le complicazioni della sillogistica di Aristotele, del tutto superate se si usano schemi più moderni di calcolo logico, sono ancor oggi istruttive per l’analisi dei nostri processi spontanei di ragionamento. Cfr. P. N. Johnson-Laird, Modelli mentali. Verso una scienza cognitiva del linguaggio, dell’inferenza e della coscienza (1983), Il Mulino, Bologna, 1988, capp. 4 e 5. 50 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 4.7 Esercizi con i sillogismi e le relazioni insiemistiche 1. È valido questo sillogismo: “Nessun dio è mortale, tutti gli uomini sono mortali, nessun uomo è un dio”? Se sì, perché? 2. È valido questo sillogismo: “Tutti cavalli sono quadrupedi, qualche cavallo è bianco, qualche quadrupede è bianco”? Se sì, perché? 3. Costruisci un diagramma che soddisfi la relazione insiemistica tra i termini: cavallo/equino/pennuto. Costruisci poi un sillogismo in Celarent (prima figura) e un sillogismo in Cesare (seconda figura) basato su tale diagramma. 4. Costruisci un diagramma che soddisfi la relazione insiemistica cani, scimmie, mammiferi, coccodrilli. Costruisci poi due sillogismi corretti sulla base di tale diagramma. 5. “Pochi Z sono M, tutti gli Z sono F; alcuni F sono R”. Se queste affermazioni sono vere, allora è vero che: a. Alcuni R sono M b.Alcuni M sono R. c.Tutti gli F sono M. d.Alcuni Z sono sia F, sia M. e.Alcuni R sono Z. (trovate la soluzione giusta ricorrendo a un diagramma) 6.“Nessun Orco è uno Gnomo. Alcuni Gnomi sono anche Folletti. Tutti i Folletti sono anche Elfi. Alcuni Elfi sono anche Orchi”. Costruisci il diagramma e stabilisci se ne consegue che: a. Alcuni Gnomi sono anche Elfi. b. Nessuno Gnomo è anche un Elfo. c. Nessun Orco è anche un Folletto. d. Nessun Folletto è un Orco. 7. C’è un sillogismo possibile a partire dalle premesse “Nessun Satiro è un Ciclope. Tutti i Ciclopi sono Monocoli”? Quale ne può essere la conclusione? Fine del quarto modulo 51 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 5. Predicati monadici e poliadici: le relazioni 5.1 I limiti dell’approccio aristotelico alla logica Abbiamo finora individuato due basi delle inferenze logiche: (i) i connettivi del calcolo proposizionale; (ii) il rapporto di predicazione all’interno dei singoli enunciati. Ma vi è una terza base. Si tratta delle relazioni tra gli individui menzionati dall’enunciato. Nell’interpretazione aristotelica dell’enunciato apofantico, tali relazioni non trovano alcun posto. L’enunciato “Davide è padre di Salomone” viene interpretato come “Davide è incluso nell’insieme dei padri”. Ma, in realtà, quest’enunciato stabilisce anche una relazione tra Davide e Salomone, dalla quale si possono trarre inferenze perfettamente logiche eppure irrimediabilmente asillogistiche come: - Davide è il padre di Salomone. Dunque Salomone è figlio di Davide. Questo ovviamente non è un caso isolato. Un caso esattamente simile è: - Parigi è a nord di Roma. Dunque, Roma è a sud di Parigi. . Nessuna di queste inferenze potrebbe essere spiegata dalla teoria aristotelica del sillogismo. La forma di tale inferenza è infatti riferita a più entità considerate simultaneamente: (1) Esistono un x (Davide, Parigi) ed un y (Salomone, Roma), tali che x è nella relazione R (padre di, a nord di) con y. (2) Se si dà la relazione R (padre di, a nord di) da x a y, si dà la relazione inversa R' (figlio di, a sud di) da y a x [premessa implicita]. (3) Dunque y è nella relazione R' con x. Dobbiamo concludere che gli enunciati non servono soltanto a includere in classi i singoli oggetti di discorso ma anche a stabilire relazioni tra diversi oggetti. L’asserto “Davide è padre di Salomone” ci parla anche di Salomone e non solo di Davide. Aristotele non riuscì a vedere quest’aspetto. I logici medievali e moderni (tra questi in particolare G. W. Leibniz) intuirono la gravità del problema, pur cercando soluzioni compatibili con la semantica aristotelica. Soltanto la logica simbolica moderna è riuscita a includere le inferenze tratte dalle relazioni in uno schema unitario di analisi delle operazioni logiche che include tanto i predicati monadici (quelli aristotelici) quanto i predicati poliadici (cioè le relazioni). 52 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 5.2 Le proprietà delle relazioni Se è così importante tener conto delle relazioni, è perché le relazioni hanno alcune proprietà che sono la base di alcune importanti inferenze che noi facciamo nella vita di ogni giorno. La prima e più ovvia proprietà delle relazioni è quella che abbiamo già focalizzato poco fa e cioé che a ogni relazione R tra un individuo x e un individuo y corrisponde una relazione inversa R’ tra y e x. Se Davide è padre di Salomone, Salomone è figlio (relazione inversa) di Davide. Se Noé è antenato di Davide, Davide è discendente di Noé. Se Andrea picchia Giacomo, Giacomo è picchiato da Andrea. Se Genoveffa ama Baldo, Baldo è amato da Genoveffa. E così via. Questa regola vale per tutte le relazioni. 5.3 Relazioni simmetriche Esistono però anche delle importanti proprietà che non troviamo in tutte le relazioni. Vi sono, per esempio, alcune relazioni che sono simmetriche. Ovvero: la relazione inversa che va da y a x è identica a quella che va da x a y. Sono relazioni simmetriche: simile, parente, cugino, ma anche tutte le relazioni spaziali di prossimità o distanza: Mario è parente di Nunzio. Dunque Nunzio è parente di Paolo. Il mio paese dista 10 km da Avellino. Dunque Avellino dista 10 km. dal mio paese. In termini formali: dati x e y, se è vera R(x,y) allora è vera anche R (y,x). Alcune relazioni per contro sono asimmetriche, cioè non ammettono mai l’identità tra R ed R’. “Stare nella fila prima di….” è una relazione asimmetrica: se Giorgio sta in fila prima di Alfio, Alfio non può stare in fila prima di Giorgio! In altri casi, la relazione è non-simmetrica, cioè ammette la reciprocità in alcuni casi ma non sempre (“amare” per esempio…). 53 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 5.4 Relazioni transitive Alcune relazioni sono transitive. Vale a dire che, se x è nella relazione R con y e y è nella stessa relazione R con z, allora anche x è in quella stessa relazione R con z. “Stare nella fila prima di”, che abbiamo già visto essere una relazione asimmetrica, è un buon esempio di relazione transitiva: se Giorgio viene prima di Alfio in una fila e Alfio viene prima di Sofonisba in quella stessa fila, allora Giorgio viene prima di Sofonisba. Anche “a nord di” è transitiva: se Parigi è a nord di Roma e Roma è a nord di Tunisi, Parigi è a nord di Tunisi. Infine, le relazioni comparative sono sempre transitive: Giulia è più ricca di Gianna. Gianna è più ricca di Tonia. Dunque, Giulia è più ricca di Tonia. Tazio è meno alto di Sempronio. Sempronio è meno alto di Sansone. Dunque, Tazio è meno alto di Sansone. In termini formali: dati un x, y, z, se sono vere R(x,y) e R(y,z), allora è vera anche R(x,z). 5.5 Tipologie di relazioni Esistono infine relazioni che sono sia simmetriche che transitive. Lo sono per esempio “concittadino” “commilitone” “coesistente con”. Lo sono poi molte relazioni di particolare importanza per la matematica: identico, eguale, isomorfo (= dotato della stessa precisa forma), omogeneo, egualmente alto, egualmente basso etc.. Queste ultime relazioni sono di solito considerate come anche riflessive (cioè capaci di applicarsi al soggetto stesso: A è identico a se stesso, eguale a se stesso etc.) e costituiscono la classe delle relazioni di equivalenza. Riassumendo, vi sono relazioni: - Simmetriche e transitive (di equivalenza) - Simmetriche ma non transitive. Per esempio: parente, cugino (se A è cugino di B e B è cugino di C, non è detto che A sia cugino di C), vicino di casa, somigliante. 54 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico - Transitive ma non simmetriche o addirittura asimmetriche (antecedente/successivo, antenato/discendente, causa/effetto) - Né simmetriche né transitive: per esempio, “padre di” “madre di”, “nonno di”. 5.6 Ambiguità semantiche con le relazioni Per chi voglia evitare di fare ragionamenti sbagliati, il problema con queste proprietà delle relazioni sta nel fatto che talora le proprietà di una relazione sono diverse a seconda di come si intende la relazione stessa. Per esempio: - Essere amico di è una relazione simmetrica se intendiamo con tale espressione frequentarsi con, uscire con. Ma è non simmetrica se intendiamo invece stimare, considerare con simpatia, voler aiutare... In questo secondo senso, Nunzio può essere amico di Carmine, senza che Carmine sia amico di Nunzio! - Simile è sempre simmetrica, ma è transitiva se è intesa in senso rigorosamente matematico (= isomorfo, di forma eguale), altrimenti non lo è affatto: io somiglio a mio cugino, mio cugino somiglia a suo padre ma io non somiglio al padre di mio cugino! Se avete incertezze sulle proprietà di una relazione, sostituite la parola che la indica con una definizione. 5.6 bis Esercizio di riepilogo Stabilisci quali di queste relazioni: (a) sono simmetriche ma non transitive, (b) transitive ma non simmetriche o asimmetriche, (c) simmetriche e transitive, (d) né simmetriche né transitive: nonna di – connazionale di – antecedente a – più piccolo di – cognato di – vicino di casa di - dotato dello stesso gruppo sanguigno di – situato più in alto nella graduatoria di – antenato di – compaesano di – affascinato da – fratello (o sorella) di – fratellastro (o sorellastra) di – meno ricco di – egualmente ricco di… 55 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico Appendice per i più motivati 5.7 Qualche nozione sul calcolo dei predicati Il precipitato degli sviluppi della logica tra Otto e Novecento è il Calcolo dei Predicati, che costituisce una brillante fusione tra calcolo proposizionale, logica categoriale e logica delle relazioni. Il calcolo dei predicati assume come base il calcolo proposizionale come lo abbiamo studiato nel modulo 3 e vi aggiunge pochi elementi, vale a dire: 5.7.1 Il simbolo di predicazione La predicazione viene considerata come un operatore logico primitivo che si aggiunge ai connettivi del CP. Esso viene simbolizzata con una lettera maiuscola (che esprime il predicato: variabile predicativa) seguita da una lettera minuscola (variabile individuale) che indica il soggetto della predicazione: Fa = vi è un tale a (Tizio, Caio, Sempronio…) che è F. 5.7.2 La quantificazione Gli enunciati universali e particolari della tradizione logica vengono espressi facendo ricorso a delle variabili individuali non specificate di solito simbolizzate con le incognite algebriche (x, y, z ..). A tali variabili, si applicano dei quantificatori. Di quantificatori ve ne sono due: (1) il quantificatore universale, espresso di solito con ∀, che indica “ogni” o “tutti..:”; (2) il quantificatore esistenziale, espresso di solito con ∃,che vuol dire “qualche..:” o, più esattamente, “almeno uno…”: ∀x (Fx): chiunque sia F…. ∃x (Fx): almeno un individuo tra quelli che sono F…. 5.7.3 L’interpretazione della copula In tutti i casi diversi dalla predicazione individuale, la copula viene letta alla luce dei connettivi del calcolo proposizionale a noi già noti. Nel caso degli enunciati universali (“Ogni uomo è mortale”), essa viene letta come un condizionale tra enunciati predicativi indeterminati: ∀x (Ux → Mx) [“per ogni x, se x è uomo, allora x è mortale”] Nel caso degli enunciati particolari (“qualche uomo è greco”) essa viene letta come congiunzione: ∃x (Ux & Gx) [esiste almeno un individuo che è uomo ed è greco]. Dunque, la copula “è” può ricevere tre diverse letture: come predicazione individuale (Socrate è uomo), come condizionale (Ogni uomo è mortale = se un qualunque x è uomo, 56 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico allora x è mortale), come congiunzione (Qualche uomo è buono = vi è qualche x che è uomo e buono). 5.7.4 La questione dell’importo esistenziale Questo nuovo impianto comporta anche una modificazione radicale nel rapporto tra l’universale e il particolare. Nel Calcolo dei Predicati, gli enunciati universali sono intesi come meramente ipotetici ovvero privi di importo esistenziale. Per capirci, nella tradizione aristotelica, da “tutti i draghi sputano fuoco” si può dedurre “qualche drago sputa fuoco” (subalternazione: vedi modulo 4). Nel Calcolo dei Predicati no, perché l’enunciato universale afferma “se vi fossero dei draghi, essi sputerebbero fuoco” e l’enunciato particolare afferma “esiste almeno un individuo che è un drago e sputa fuoco”. Dalla prima affermazione non si deduce certo la seconda! A differenza del sillogismo aristotelico, pertanto, il calcolo dei predicati non può procedere senza introdurre variabili individuali. Ma come fare allora quando il ragionamento ha soltanto premesse universali? La risposta è: le variabili individuali verranno introdotte a titolo di esempio, per poi essere eliminate alla fine. La prima operazione si chiama EU (eliminazione del quantificatore universale), la seconda si chiama IU (introduzione del quantificatore universale). Si veda ad esempio la formalizzazione di questo classico sillogismo in Barbara: “Tutti gli uomini sono mortali. Tutti i greci sono uomini. Dunque, tutti i greci sono mortali” (1) ∀x (Ux → Mx) [A: per ogni x, se x è uomo, x è mortale] (2) ∀x (Gx → Ux) (3) Ga [A: per ogni x, se x è greco, x è uomo] [EU: supponiamo che vi sia un Tizio che è greco] (4) Ua [MP da 2 e 3] (5) Ma [MP da 1 e 4] (6) ∀x (Gx → Mx) [IU: per ogni x, se x è greco, x è mortale] Si noti che soltanto le variabili individuali introdotte a titolo di esempio possono essere eliminate alla fine! Non può esservi IU senza un precedente EU che lo giustifichi. Se invece una variabile individuale (p. es. Ga) è introdotta come premessa o parte di una premessa, allora l’unica operazione fattibile è IE, ovvero l’introduzione del quantificatore esistenziale [qui: ∃x(Gx)], operazione che è sempre lecita quando è data una formula con variabili individuali. Per esempio: (1) ∀x (Ux → Mx) [A: per ogni x, se x è uomo, x è mortale] (2) Ia & Ua [A: Tizio è abitante dell’isola e uomo] 57 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico (3) Ma [MP da 1, Tizio è anche mortale] (4) Ia & Ma [I& da 2 e 3] (5) ∃x (Ix & Mx) [IE: vi è qualcuno che è abitante dell’isola e mortale]. Il che corrisponde al classico sillogismo in Darii: “Tutti gli uomini sono mortali. Qualche abitante dell’isola è uomo. Qualche abitante dell’isola è mortale”. Nel corso del calcolo, è perciò obbligatorio indicare se l’introduzione di una variabile individuale è un mero esempio (EU) o invece una premessa (A). In questo secondo caso, come già nel sillogismo aristotelico, la conclusione deve essere particolare. 5.7.5 Predicati monadici e predicati poliadici Il Calcolo dei Predicati è facilmente espandibile dai predicati monadici (a un solo posto) ai predicati a più posti (espressivi delle relazioni) che sono rappresentati con due o più variabili individuali (a, b, c,d..) e la solita maiuscola per indicare il predicato poliadico (A, B, C..). Per indicare quale è il soggetto della predicazione, una delle lettere minuscole andrà posta prima delle altre: Antonio sposa Bice = S a,b [oppure: S(a,b) o aSb, nei vari manuali] Bice sposa Antonio: S b,a [oppure: S (a, b) o bSa…] Ecco come possiamo, con questi simboli, rendere l’inferenza “Parigi è a nord di Roma, dunque Roma è a sud di Parigi”: (1) ∀x ∀y (Rx,y → R’y, x) [per ogni x e ogni y, se x è nella relazione “nord” con y, allora y è nella relazione inversa “sud” con x]. (2) R a,b [Parigi è a nord di Roma]. (3) R’b,a [MP 1, 2: Roma è a sud di Parigi]. Oppure l’inferenza “Enea è compatriota di Priamo. Priamo è compatriota di Agenore. Dunque, Enea è compatriota di Agenore”: (1)∀x ∀y∀z[(Cx,y&Cy,z)→ Cx,z] [se x è compatriota di y e y lo è di z, x è compatriota di z (in altre parole: la relazione “compatriota” è transitiva)]. (2) Ca,b [premessa: Enea è compatriota di Priamo]. (3) Cb,c [premessa: Priamo è compatriota di Agenore]. (4) Ca,b & Cb,c [Introduzione di congiunzione da 2 e 3]. (5) Ca,c [Modus Ponens da 1 e 4]. 58 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico Ovviamente, per fare il calcolo, bisogna innanzitutto individuare e trascrivere in forma logica le premesse implicite (come sappiamo fin dal modulo 1 che occorre fare), cioè, in questo caso, le proprietà specifiche delle relazioni che fondano l’inferenza. 5.7.6 Ambiguità semantiche e quantificazione Il calcolo dei predicati permette di rappresentare efficacemente gli enunciati che contengono relazioni. Per farlo, tuttavia, dobbiamo introdurre in modo corretto una molteplicità di quantificatori (∀x ∀y e così via…). In questo caso, occorre fare attenzione al fatto che molti enunciati relazionali del linguaggio ordinario presentano ambiguità. Un esempio classico è il proverbio: “Tutti i marinai amano una ragazza”. Se lo leggessimo così (R sta per “ragazza”, M per “marinaio” e A per “amare”): ∀x ∃y [Ry → (Mx → Ax,y)] Il significato sarebbe: esiste una ragazza che è amata da qualunque marinaio (poverina!). Ora, effettivamente l’enunciato è ambiguo anche nella sua formulazione in linguaggio comune, anche se noi siamo in genere abbastanza intelligenti da scegliere l’interpretazione giusta. Nel Calcolo dei Predicati dobbiamo evitare l’ambiguità e dunque, per rappresentare l’effettivo contenuto del proverbio, dobbiamo simbolizzarlo così: ∀x [Mx → ∃y (Ry & Ax,y)] cioé: per ogni marinaio, esiste qualcuno che è una ragazza ed è amata da quel marinaio. Permetterci di affrontare e risolvere queste ambiguità è una delle funzioni del Calcolo dei Predicati. Ecco qualche esempio: • ∀x ∀y (Ax,y): tutti amano tutti • ∃x ∀y (Ax,y): esiste qualcuno che ama tutti • ∀x ∃y (Ax,y): tutti amano qualcuno • ∃x ∃y (Ax,y): qualcuno ama qualcun altro • ∃x ∀y (¬ Ax,y): esiste qualcuno che non ama nessuno Continuate voi, se vi va. Formalizzare le espressioni del linguaggio comune può essere una sfida divertente… 59 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 5.7 bis Esercizi per i volenterosi Provare a svolgere questi sillogismi attraverso il Calcolo dei Predicati e controllarne la validità (ve ne è uno scorretto). Le soluzioni sono alla pagina successiva, ma guardatele dopo averci provato! a) Qualche cane è feroce. Nessun cane è un lupo. Dunque, vi è qualcuno che è feroce senza essere un lupo. b) Nessun barbaro rispetta le leggi. Ogni buon cittadino rispetta le leggi. Nessun barbaro è un buon cittadino. . c) Vi è qualcuno che studia i sillogismi e impara a ragionare. Nessun esquimese studia i sillogismi. Dunque, nessun esquimese impara a ragionare. d) Tizio è amico di Caio, Poiché chi ti è amico è sincero con te, Tizio è sincero con Caio. Adesso andate avanti da soli (e portate i risultati al docente) e) Tutti i perbenisti sono antipatici. Tutti i perbenisti sono cittadini esemplari. Tutti i cittadini esemplari sono antipatici. f) Chiunque studi i sillogismi ama la logica. Gli esquimesi non amano la logica. Gli esquimesi non studiano i sillogismi. g) Tutti i perbenisti sono antipatici. Tutti i perbenisti sono cittadini esemplari. Vi è qualche antipatico che è un cittadino esemplare. h) Chi va a Roma perde la poltrona. Asdrubale non ha perso la poltrona. Asdrubale non è andato a Roma. i) Chi ama qualcun altro, gli fa dei doni. Sempronio ama Sofronia e ne è riamato. Dunque Sempronio e Sofronia si fanno reciprocamente dei doni. 60 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico Soluzioni Innanzitutto, quale è il ragionamento erroneo? Evidentemente (d), il quarto. Non può essere un sillogismo valido della prima figura, dal momento che la premessa minore è negativa (vedi 4.5.1). Dalle stesse premesse si può trarre un sillogismo della quarta figura e il Calcolo dei Predicati ci aiuterà a farlo. Per il resto, non vi sono grandi difficoltà. Nell’indicazione abbreviata delle operazioni, useremo le sigle già proposte in 3.5 per il Calcolo Proposizionale, più EU e IU per l’esclusione e l’introduzione del quantificatore universale e IE per l’introduzione del quantificatore esistenziale. a) Il sillogismo è corretto e può essere così formalizzato: (1) ∀x (Cx → ¬ Lx) [A] (2) Ca & Fa [A] (3) ¬ La [MT 1] (4) Fa & ¬ La [I& 3, 4] (5) ∃x (Fx & ¬ Lx) [IE 4]. b) Il sillogismo è corretto e può essere così formalizzato: (1) ∀x (Bx → ¬ Rx) [A] (2) ∀x (Cx → Rx) [A] (3) Ca [EU: immaginiamo che Tizio sia un buon cittadino] (4) Ra [MP 2, 3]. (5) ¬ Ba [MT 1, 4]. (6) ∀x (Cx → ¬ Bx) [IU 3, 4, 5:]. (7) ∀x (Bx → ¬ Cx) [MT 6] c) Il sillogismo non è corretto e vediamo subito perché: (1) (∃x) (Sx & Rx) [A: vi è chi studia i sillogismi e impara a ragionare] (2)(∀x) (Ex → ¬Sx) [A: nessun esquimese studia etc.] (3) Ea [EU: poniamo che Tizio sia un esquimese] (4) ¬ Sa [MT 1, 3] Non si può dedurre nulla di più senza incorrere in fallacie. Proviamo un'altra strada (3bis) Sa [E& 1: esiste qualcuno, Tizio, che studia i sillogismi] (4bis) ¬ Ea [MT 1, 3bis] (5) Ra [MP 1, 4bis] (6) ∃x (Rx & ¬ Ex) [IE 5] Ovvero: “Vi è tra quanti imparano a ragionare qualcuno che non è esquimese”: un corretto sillogismo della quarta figura. d) Il sillogismo è corretto e questa ne è la formalizzazione: (1)∀x ∀y(F x,y → S x,y) [A: se x è amico di y, x è sincero con y] (2) F a,b [A: Caio è amico di Tizio] (3) S a, b [MP da 1 e 2] Fine del quinto modulo 61 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 6. Qualche cenno sulle modalità: i regni del possibile 6.1 Che cosa sono le modalità? Esiste infine un’ultima fonte di inferenze deduttive. Non si tratta dei connettivi tra gli enunciati, non si tratta dei rapporti di predicazione (monadica o poliadica) all’interno degli enunciati, ma delle espressioni di cui ci serviamo per qualificare gli enunciati, cioè per indicare il valore che diamo all’enunciato stesso. Appartengono a questa classe di strumenti discorsivi espressioni come “certamente”, “sicuramente” “necessariamente”, “probabilmente”, oppure “è dubbio che”, “è fuori discussione che” e così via. Queste espressioni si chiamano modalità. Ne esistono molti tipi. Ci sono le modalità aletiche che chiariscono il rapporto di un enunciato con la verità (dal greco aletheia: verità), quelle epistemiche che esprimono il rapporto di un enunciato con la certezza (da episteme: sapere certo), quelle doxiche che segnalano la credibilità ovvero il grado di plausibilità di un enunciato (da doxa: opinione), vi sono poi quelle deontiche (da deòn: obbligo, dovere) che indicano il valore obbligante o non obbligante di un enunciato prescrittivo (“è doveroso aiutare i parenti in difficoltà”). Su tutti questi tipi di modalità, esistono teorie affascinanti e intricate. 6.2 Il quadrato modale di Aristotele Come al solito, fu Aristotele il primo ad analizzare le modalità. Egli studiò in particolare i concetti di necessario (il cui opposto è il contingente o accidentale) e di possibile (il cui opposto è l’impossibile). Egli interpretò queste due modalità in senso aletico, interpretando il necessario come l’esser sempre vero di un dato enunciato e il possibile come l’essere solo talvolta vero di un dato enunciato. Sulla sua scia, l’aristotelismo medievale elaborò un quadrato modale che ricalcava quello sussistente tra enunciati universali e particolari: Necessario: N (x) = sempre vero che x Impossibile: N ¬ (x) = sempre falso che x Possibile: ¬ N ¬ (x) = non sempre falso che x (= talora vero che x) Contingente: ¬ N (x) = non sempre vero che x (= talora falso che x) 62 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico I sillogismi modali seguono perciò regole molto simili a quelle dei sillogismi categorici. Così come una conclusione universale può nascere solo da premesse tutte universali, allo stesso modo una conclusione necessaria richiede tutte premesse necessarie. Inoltre, almeno una premessa necessaria è indispensabile per ogni sillogismo modale (da mere possibilità non si ricava nulla), proprio come ogni sillogismo richiede una premessa universale. 6.3 Alla scoperta dei mondi possibili Nell’interpretazione aristotelica, un enunciato non può essere “possibile” se il fatto corrispondente non si verifica almeno una volta nella realtà. Questa concezione iniziò ad apparire erronea nel Medioevo, alla luce del dogma cristiano dell’onnipotenza di Dio. Se Dio ha il potere di creare un mondo del tutto diverso da quello che ha voluto creare, vi sono delle autentiche possibilità che non si realizzano mai! Così, i filosofi medievali, a partire dal francescano Duns Scoto (+ 1308), iniziarono a definire possibile tutto ciò che non urta con il principio di non-contraddizione. Ciò portò a vedere il possibile come una nozione più primitiva rispetto al necessario, invertendo il quadrato modale di Aristotele: Possibile: P (x) Impossibile: ¬ P (x) Necessario: ¬ P ¬ (x) Contingente: P ¬ (x) = non-contraddittorio che x = contraddittorio che x = impossibile che non-x = possibile che non-x Questa concezione del possibile comportava che fossero “possibili” non solo dei singoli stati di cose, ma degli autentici “mondi” in cui tutto va in un modo diverso che nel mondo reale (mondi in cui Adamo non ha peccato, per esempio). La tesi dei “mondi possibili non realizzati” è di solito associata al filosofo G. W. Leibniz (1646-1716), anche se le sue basi risalgono almeno a Scoto. In ogni caso, si tratta di un’idea che ha avuto una improvvisa risurrezione nella filosofia contemporanea. Essa infatti ci dà un modo semplice di spiegare perché possiamo considerare “veri” determinati enunciati controfattuali, cioè che analizzano le conseguenze di fatti puramente ipotetici: “se tu prendessi a martellate questo vetro, esso si romperebbe” 63 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico “Se un corpo in moto fosse sottratto a ogni influenza gravitazionale, esso si muoverebbe in linea perfettamente retta”. Vi sono filosofi che ritengono che questi enunciati siano veri perché rispecchiano quello che accade in un “mondo possibile” in cui si danno le condizioni ipotizzate – e ritengono perciò che questi “mondi possibili” siano in qualche modo reali (p.es. l’americano David Lewis). Altri filosofi li considerano solo finzioni coerenti, riducendo così la “possibilità” a una nozione puramente epistemica: quando un dato enunciato è compatibile con ciò che già sappiamo essere vero, allora ciò che esso afferma è “possibile”. 6.4 Le modalità deontiche Possiamo costruire molti altri quadrati modali analoghi a quello delle modalità aletiche. Per esempio, nella morale o nel diritto, possiamo costruire quadrati con le nozioni di dovere (obbligazione) e diritto (liceità). Su di essi si fonda la logica deontica (= del dovere): Doveroso: N (x) (moralmente necessario che x) Vietato: N ¬ (x) (moralmente necessario che non-x) Permesso: ¬ N ¬ (x) (moralmente non necessario non-x) Omissibile: ¬ N (x) (moralmente non necessario che x) o al contrario, si può anche partire dal modo più debole: Lecito (permesso): P (x) (moralmente possibile che x) Vietato: ¬ P (x) Doveroso: ¬ P ¬ (x) Omissibile: P ¬ (x) Queste tavole delle modalità sono utili perché permettono di capire quando diritti e doveri possono entrare in opposizione e quando invece non entrano in contraddizione tra loro. In breve, si tratta di mappe che servono a stabilire la coerenza di un dato universo di discorso a partire da alcuni dati di partenza, per esempio i doveri non negoziabili (nel caso della prima tavola) o i diritti inalienabili (nel caso della seconda tavola). Anche qui, come nel caso dei “mondi possibili”, si tratta soprattutto di grandi esercizi di ragionamento ipotetico. 64 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 6.5 L’approccio per gradi Infine, esistono dei tipi di modalità per le quali un approccio per gradi sembra più interessante di un approccio basato sull’opposizione tra un concetto forte e uno debole. Ciò vale per esempio per le modalità doxiche (dell’opinione) come “credibile”, “plausibile”, “attendibile”. In questi casi, sembra opportuno ipotizzare molti differenti gradi intermedi tra l’assolutamente incredibile e il fortemente credibile. Ciò è opportuno soprattutto per stabilire se e come possiamo costruire un ragionamento quando le premesse sono tutte plausibili, ma nessuna è certa al 100%. Sarebbe assurdo pensare che un ragionamento di questo tipo sia impraticabile, ma certamente dobbiamo anche tener conto di quanto Aristotele ci ricorda sempre: la conclusione di un ragionamento deduttivo deve essere debole almeno quanto la più debole delle sue premesse. Il modello più completo di approccio graduale è il calcolo delle probabilità. Poiché questa dispensa non è concepita per introdurre il lettore a questo complicato settore della scienza matematica, noi ne prenderemo soltanto alcune idee di base che possono essere applicate anche a uno schema più semplice di ragionamento. 6.6 Valutare la credibilità: un gioco semplice ma istruttivo Ecco un esempio elementare di schema per “gradi” o per “soglie” costruito con modalità doxiche. Le diverse soglie sono associate a percentuali: Non credibilità = 0 Credibilità scarsa = da 1 fino a 39 su 100. Credibilità discreta ovvero “plausibilità” = da 40 a 79 %. Forte credibilità ovvero “attendibilità” = da 80 a 99%. Certezza, indubitabilità = 100/100 (ovvero 1). Regola 1: la somma dei valori di un enunciato e dell’enunciato contrario è sempre eguale a 100. Se l’enunciato vale 0, il suo contrario vale 100; se vale 20/100, il suo contrario vale 80 [principio di complementarietà]. Regola 2: Il valore di una conclusione che dipende da entrambe le premesse è eguale al prodotto della credibilità di esse. Al contrario, una conclusione che può derivare da premesse tra loro indipendenti, somma le percentuali di credibilità delle premesse. 65 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico Se, per arrivare a una data conclusione, debbono combinarsi due premesse, una credibile al 40% e l’altra all’80 %, la conclusione è 32% . La conclusione opposta ha il 68% perché essa somma la credibilità di premesse indipendenti. . Esempio: Qualora Mario ceni da noi oggi, è abbastanza plausibile (40%) che Maria tiri fuori l’argenteria. Se Mario non cena da noi, sicuramente Maria non la tirerà fuori (1). È attendibile all’80% che Mario ceni da noi oggi. Risultato: “Maria tira fuori l’argenteria” vale solo il 40% di 80% cioè vale il 32%. La contraria vale invece la somma di (20% x 1) + (60% x 80%) = 68% Illustrazione grafica del risultato: M Mario viene a cena Maria usa l’argenteria Maria non usa l’argenteria Mario non viene a cena Maria non usa l’argenteria Esercizio. Valuta la credibilità delle conclusioni: 1) È abbastanza plausibile (60%) che Caio venga qui. È attendibile (80%) che, se Caio viene, Cornelia verrà con lui, mentre è inverosimile (0) che venga senza di lui. Dunque, in termini di credibilità, “Cornelia non verrà” vale…. 2) È attendibile (80%) che in settembre l’aria si raffreddi. È certo (1) che, quando l’aria si raffredda, arrivano i primi raffreddori. Dunque, “Nel corso di settembre arriveranno i primi raffreddori”, vale…. 3) È plausibile (50%) che Caio sia veramente malato. Se è malato, è molto attendibile (90%) che sia restato a casa. Nel caso contrario, è possibile ma non molto plausibile (20%) che lo abbia fatto. Dunque, “Caio si trova a casa…” vale…. 4)È poco credibile (20%) che Sempronio sia veramente malato. È certo (1) che, se non è veramente malato, avrà dei grossi guai. “Sempronio avrà dei grossi guai” vale …. Fine del sesto modulo 66 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico Terza parte: avviamento al pensiero critico e alla lettura critica 7. Qualche cenno sulle fallacie 7.1 Che cosa sono le fallacie? Si chiamano fallacie quegli argomenti che, pur apparendo convincenti a prima vista, contengono degli errori di ragionamento, cioè non sono conformi alle regole per la deduzione, l’induzione etc. che abbiamo già indicato. Le fallacie state studiate già da Platone (Eutidemo) e da Aristotele (Confutazioni sofistiche), ma continua ancor oggi un ampio dibattito sulle fallacie e se ne identificano spesso di nuove1. Ne diamo qui soltanto un elenco minimo rispetto a quelli che si trovano studi di logica e di critical thinking. Perché facciamo ragionamenti erronei? In alcuni casi, la risposta è evidente: perché le conclusioni si accordano con i nostri interessi e con i nostri sentimenti e quindi non ci curiamo di controllarne la correttezza (questo tecnicamente si chiama wishful thinking). Non è però l’unico caso possibile. Vi sono altri casi in cui si può vedere l’ambiguità delle parole come la fonte dell’errore (si veda più avanti il caso del “sorite”). Vi sono poi ancora altri casi in cui non sono né gli interessi personali né l’ambiguità del linguaggio a spiegare l’errore, ma dobbiamo supporre che la nostra mente sia propensa a quest’errore, cioè tenda a trascurare determinate possibilità a vantaggio di altre. Questi casi sono particolarmente studiati oggi dagli psicologi cognitivi ed essi ci aiutano a capire che il pensiero logicamente organizzato nasce da processi di controllo che gli uomini hanno dovuto progressivamente costruire per evitare di fare illazioni eccessive e poco vantaggiose. Il che rende importante conoscere le fallacie allo scopo di schivare gli errori di ragionamento. Ma la regola fondamentale resta quella fondamentale per il pensiero critico in genere e cioè: considerare i propri discorsi come se li avesse fatti un altro e immaginare quali obiezioni potrebbero incontrare. Facendolo con costanza la possibilità di incorrere in fallacie diminuisce notevolmente. 1 Un’esposizione ampia e ben fatta delle fallacie si trova in A. Iacona, L’argomentazione, Torino, Einaudi 2005, pp. 107-41. Elenchi ancor più dettagliati si trovano, in lingua inglese, in diversi siti web dedicati al “critical thinking, come www.logicalfallacies.info, www.fallacyfiles.org. 67 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 7.2 Fallacie della deduzione: errori nell’uso dei condizionali Come abbiamo visto, due forme tipiche di deduzione (modus ponens e modus tollens) si basano sul legame condizionale “se A, allora B”, nel quale A indica una condizione (o una serie di condizioni) sufficiente per inferire un altro enunciato B. Ora, va sottolineato che non sempre A è l’unica possibile condizione per B, ovvero che non sempre se significa se e solo se. “Se è solo se” è un altro nesso condizionale (il bicondizionale: vedi il modulo 3) più forte ma anche più raro del primo. Esempio: (1) Se piove, prendo l’ombrello (significa: se piove, prendo l’ombrello ma posso prenderlo anche per non scivolare se la strada è ancora umida). (2)SE e Solo se piove, prendo l’ombrello (significa: non mi si vede in giro con l’ombrello se la giornata non è piovosa). La nostra propensione a confondere questi due tipi di enunciati sfocia tipicamente in queste due fallacie: (a)La negazione dell’antecedente: “Se A, allora B. A è falso. Dunque B è falso”. È una fallacia in tutti i casi in cui A non è l’unica condizione per B (per capirci, immaginate qualcuno che dica: “Mi chiedi se Marzio è morto? No, perché io non gli ho sparato”. Marzio non può morire in altri modi?). (b)L’affermazione del conseguente: “Se A, allora B. B è vero. Dunque A è vero”. Se B può essere prodotto da molte cause, anche questa è una grave fallacia (vi rientrano praticamente tutti i casi di abduzione incauta!). Anche qui si immagini qualcuno che dica: “Se Tazio sparasse a Marzio, Marzio morirebbe. Apprendo che Marzio è morto. Dunque Tazio gli ha sparato”). Il rimedio contro queste fallacie è domandarsi se ci si trova davanti a un “se” o di fronte a un “se e solo se” (ciò rinvia alla distinzione tra condizioni soltanto sufficienti e condizioni necessarie e sufficienti). 68 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 7.3 Fallacie della deduzione: premesse non pertinenti Un altro caso tipico di errore deduttivo è considerare un enunciato A come sufficiente a inferire una data conclusione B, quando non è vero. A questo errore possiamo ricondurre un gran numero di fallacie, come: 1.Il richiamo all’autorità: “Il celebre cantante Tazio ha condannato l’occupazione dell’Afganistan. Dunque, l’occupazione dell’Afganistan è sbagliata”. L’appoggio di un’autorità a una tesi non è mai dimostrativo della validità della tesi stessa. È vero che spesso nella vita ci fidiamo di determinate autorità (mediche, scientifiche, giuridiche, ecclesiastiche), ma tale fiducia nasce dal riconoscimento di una competenza (che, nell’esempio citato, non è certo provata!) e, comunque, anche il giudizio di un esperto non costituisce una verità indiscutibile. 2. L’argomento ad personam: “Tizio sostiene l’opinione xyx. Tizio è una brava persona. Dunque xyz deve essere vero”. La buona (o cattiva) qualità dello schieramento che sostiene o condanna una tesi non ne prova la validità. 3. L’argomento ad hominem: È molto simile al precedente e consiste nella pretesa di confutare un’opinione gettando sospetti sulla moralità di chi la sostiene o accusandolo di comportarsi in modo incoerente con quanto afferma: “Dici che l’alcool fa male? Ma se ti ho visto ubriaco l’altra sera!”. Retoricamente, è un argomento efficace, ma resta vero che l’alcool fa male. 4. Il consensus gentium: “Tutti i popoli credono in un Dio. Dunque Dio esiste” . Il popolo crede che Mamozio governi bene. Dunque Mamozio governa bene…”. Il consenso non stabilisce la verità di un asserto: tutti gli esseri umani, fino a pochi secoli fa, credevano che la Terra non si muovesse. 5. l’argomento ad ignorantiam: consiste nell’affermazione che A è vero perché nessuno ha potuto dimostrare il contrario (“nessuno ha dimostrato che i fantasmi non esistono. Dunque i fantasmi esistono”). Ovviamente, la premessa è insufficiente: con essa si può al massimo provare che non vi è certezza su quell’argomento. 69 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 7.4 La ignoratio elenchi Anche questo è un caso di premesse non pertinenti, ma più grave. Si verifica quando qualcuno porta argomenti che sarebbero sufficienti per provare o confutare una tesi diversa da quella che è in discussione, cioè quando chi parla ignora il tema in discussione (in greco: elenchos). Spesso è sospettabile di essere una fallacia intenzionale: non trovando buoni argomenti per confutare la tesi xyz, io confuto una tesi che un ascoltatore poco avvertito può identificare con xyz ma che in realtà ne è una parodia, facile da demolire. Esempi: “I cognitivisti dicono che la mente umana è un computer, ma ..” “gli atei dicono che facciamo bene a fare ogni peccato, ma…” “I credenti non fanno che vedere miracoli a ogni momento…”. In politica e nelle controversie filosofiche, questo voluto fraintendimento delle opinioni altrui è molto frequente, per nostra disgrazia. 7.5 Il ragionamento circolare o petitio principii Anche questa è una fallacia diffusissima in filosofia e nelle dispute politiche. Si ha quando le premesse da cui il discorso parte ne contengono già la conclusione, magari detta in modi un po’ celati. Più che un’argomentazione scorretta si tratta di un giro a vuoto, in cui si spaccia per ragione di una tesi quella che è semplicemente una parafrasi della tesi stessa. Ad esempio: “Dio esiste. Infatti, il mondo è stato creato e qualcuno deve averlo creato” [il concetto di creazione allude a un ente che precede il mondo, dunque a Dio]. “Giulia mi ama. Lo so perché me lo ha detto lei e lei non mentirebbe mai ad un uomo che ama” [La conclusione è giustificata mediante premesse che la contengono]. “In Italia vi è una forte conflittualità politica perché i partiti sono spesso in conflitto tra loro” [i due enunciati dicono esattamente la stessa cosa]. 70 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 7.6 Fallacie di composizione e di distribuzione Altri tipi di fallacie deduttive nascono dalle difficoltà che il nostro pensiero incontra con la relazione tra il tutto e le parti. Per esempio, noi tendiamo a supporre che il tutto e le parti siano omogenei tra loro e da ciò nascono: a.La fallacia di composizione. Questa fallacia trasferisce al tutto le proprietà delle singole parti. Per esempio: “i materiali che compongono questa nave non galleggiano. Dunque essa non può galleggiare”; “Vi sono molte persone intelligenti in quest’azienda. Dunque essa funzionerà in modo intelligente”. b. La fallacia di distribuzione. Questa fallacia trasferisce alle parti le proprietà specifiche del tutto. Per esempio: “La nave galleggia. Quindi anche l’ancora della nave galleggia” oppure “Napoli è sporca. Dunque tutti i napoletani sono sporchi”. 7.7 La fallacia del sorite Un’altra fallacia che verte sul rapporto tutto-parti è il sorite (dal greco soròs: cumulo). Noi usiamo spesso dei concetti vaghi per caratterizzare i gruppi di oggetti - p. es. “un mucchio”, “tanti”, “pochi”, “un sacco” – o le proprietà che gli individui hanno in quanto possessori di tali gruppi di oggetti (“ricco”, per esempio). Questa vaghezza consente ragionamenti paradossali come: “Tu hai un sacco di soldi. Se ne prendo un poco, hai sempre un sacco di soldi e anche se ne prendo un altro poco. Dunque ne posso prendere quanti voglio” “Se ti strappo un capello non diventi calvo, se te ne strappo due nemmeno, dunque te ne posso strappare quanti voglio senza che tu divenga calvo” (in direzione contraria) “Con due chicchi di riso non ottengo un mucchio di riso; nemmeno con tre ottengo un mucchio di riso e nemmeno con quattro. Dunque è impossibile arrivare a formare un mucchio di riso”. Tutti questi paradossi si devono al fatto che non vi è un criterio preciso che ci dica quando un insieme di chicchi diventa “un mucchio” o quando un uomo 71 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico da capelluto diviene calvo. Occorrerebbe ricorrere a concetti meno vaghi o almeno cercare di precisare l’uso che facciamo dei concetti vaghi. 7.8 Fallacie dell’induzione Le fallacie dell’induzione nascono da una incauta generalizzazione dei particolari osservati. Il primo, diffusissimo, è quello della: a. Generalizzazione azzardata, che consiste nel trarre conclusioni dall’osservazione di un numero troppo limitato di casi o da un campione inadeguato a rendere plausibile l’inferenza. Per esempio: - Sono stato a Napoli e mi hanno derubato. I napoletani sono tutti ladri. - Tutti quelli con cui ho parlato nel bus voteranno per Tazio. Dunque, Tazio sarà eletto. - Sono stato rifiutato da tre ragazze. Sono sfortunato con le donne” [“fortunato” o “sfortunato”, “portare bene” o “portare male”, sono costitutivamente casi di generalizzazione azzardata!] b.Analogia impropria. Tale fallacia consiste nel ricavare da somiglianze superficiali (o non significative per il caso in discussione) l’idea che due diversi oggetti debbano comportarsi in modo simile. P. es. - Tazio ha proprio la stessa faccia di Brad Pitt. Diventerà un grande attore. - Il dirigente di questa banca veste proprio come i manager americani. Deve essere molto efficiente” Esercizio di riepilogo Questo delizioso passo di Cecov (la “lettera a un vicino istruito” di un notabile russo di campagna) esemplifica molto bene una delle fallacie di cui abbiamo parlato. Quale? “Lei sostiene che l’uomo discende dalla specie scimmiesca, dalle bertucce, dagli orangutan, eccetera. Mi perdoni, vecchietto che sono, ma io non sono d’accordo con lei su questa faccenda importante e le posso dare un punto. Perché se l’uomo, che è il padrone del mondo, il più intelligente degli esseri viventi, derivasse dalla scimmia, stupida e ignorante, allora avrebbe la coda e una voce selvaggia. Se noi derivassimo dalle scimmie, gli Zingari ci porterebbero in mostra per le città e si pagherebbero soldi per vederci l’un l’altro ballare al comando di uno Zingaro, o dietro le sbarre di un giardino zoologico. Siamo forse tutti coperti di pelo? Non indossiamo forse dei vestiti di cui sono certo sprovviste le scimmie?” 72 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 7.9 Altre fallacie: errori sulla relazione causa-effetto Molte fallacie sono legate alla nostra tendenza ad attribuire un potere causale eccessivo ovvero non provato a determinati fatti, formulando così delle inferenze induttive o abduttive del tutto incaute: Non causa pro causa o post hoc, propter hoc. Con queste espressioni latine si indica il tipico errore di vedere un evento come causa di un altro semplicemente perché si è verificato poco prima dell’altro. Per esempio: “Ha mangiato funghi e si è sentito male. Dunque, è colpa dei funghi” (è possibile, ma occorrono altre prove per esserne certi). Oppure: “La crisi economica è aumentata (diminuita) dopo l’arrivo dell’attuale governo. Dunque, la colpa (il merito) è dell’attuale governo” (se non si individuano dei nessi causali più stringenti, è una illazione non fondata). Fallacia dello “scivolo” (slippery slope). Questa fallacia consiste nel sopravvalutare un dato fatto x spacciandolo come fatalmente destinato a generare determinate conseguenze y, w, z…che invece avrebbero bisogno di molte cause concomitanti per verificarsi. Può trattarsi di qualcosa di favorevole per noi (come nei sogni ad occhi aperti, quando ci illudiamo che un singolo evento positivo aprirà la strada a una lunga serie di successi). Tuttavia, l’uso più tipico della “fallacia dello scivolo” è come minaccia: si esagera la pericolosità di un dato evento per scoraggiarne la realizzazione. In questi casi si può sospettare un pizzico di malafede (o almeno un certo gusto per i facili effetti retorici) in coloro che proclamano che, una volta fatto questo o quel passo, si arriverà immancabilmente alla catastrofe: “Se oggi, invece di studiare, andrai al mare, non riuscirai più a studiare, diventerai un fannullone e tutta la tua vita fallirà”. “Se diamo un riconoscimento giuridico alle coppie di fatto, nessuno vorrà più sposarsi, così sarà sempre più raro che nascano bambini e la specie umana si estinguerà”. “Se mettiamo una tassa sul capitale, tutti gli investitori fuggiranno dal Paese e usciremo dal circuito economico dei paesi sviluppati”. 73 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 7.10 Errori di valutazione della probabilità Noi abbiamo infine la tendenza a credere che quel che ci aspettiamo che avvenga costituisce ciò che è più probabile che avvenga. Il caso più tipico è l’illusione del giocatore d’azzardo: “Sono venti giocate che questo numero non esce sulla ruota di Napoli. Quindi è molto probabile che esca”; “Il rosso non esce da dieci giri della roulette. Dunque uscirà questa volta”. Basta ragionare un po’ per rendersi conto che ogni estrazione del lotto o ogni giro della roulette è un fatto del tutto indipendente rispetto ai precedenti e dunque la probabilità che in questa giocata esca un certo numero o un certo colore non cresce rispetto ai casi precedenti. Tuttavia, le illusioni sulla probabilità non si limitano al caso disperato del giocatore d’azzardo. Tutti noi tendiamo a pensare che la realtà sia coerente con determinati schemi di situazioni tipiche (prototipi) che abbiamo in testa. [Qualche dettaglio in più. Celebri indagini di psicologia cognitiva hanno dimostrato questa tendenza con un esperimento. Si descriveva agli intervistati una persona con alcuni aspetti tipici (p.es. “Linda all’Università militava in un movimento ecologista….Tuttora Linda mangia solo cibo macrobiotico ed è vegetariana...”) chiedendo poi di scegliere quale fosse la professione più probabilmente svolta da tale persona. La maggior parte degli intervistati scartava la soluzione statisticamente più probabile (“Linda fa l’impiegata”) per cercarne una che discendesse dall’idea che si era fatta di Linda (“Linda fa l’impiegata ma gestisce anche un negozio di cibi biologici”). Il che prova una tendenza a interpretare la probabilità in base a schemi sentiti come tipici]. CONCLUSIONE Lo studio delle fallacie ci aiuta a capire quali possono essere gli errori tipici del ragionamento e ci dà anche una sorta di mappa dei “punti di difficoltà” che il nostro pensiero incontra e dei rischi tipici in cui cade: confondere il “se” e il “se e solo se”, confondere le ragioni con le persone ovvero spacciare cattive ragioni per buone, generalizzare facilmente, vedere in modo confuso la causalità o la relazione tutto/parti, confondere ciò che ci appare tipico con le probabilità oggettive. Conoscere questi rischi serve per non ingannare noi stessi, ma anche per non farci ingannare dagli argomenti altrui. 74 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 7.10 bis Esercizi Identifica le fallacie presenti in questi brevi passi: (1) Bisogna studiare per realizzarsi? Se me lo dici tu, che hai fatto ben pochi anni di scuola, vuol dire che è falso. (2) Dove si andrà a finire concedendo ai ragazzi di uscire la sera? Vorranno fare sempre più tardi ogni sera e alla fine saranno incapaci di studiare. (3) Ho parlato con due colleghi e mi hanno detto che è un corso difficile. Dunque, è un corso difficile. (4) Appena è arrivato Marzio, molti hanno avuto sonno e la riunione si è sciolta. Si vede che Marzio suscita noia proprio in tutti. (5) I giapponesi, per la maggior parte, sono persone educate e tranquille. Certamente, anche la loro nazione si comporterà in modo educato e tranquillo con le nazioni vicine. (6) Certo, quel laboratorio medico ha sbagliato un certo numero di analisi di routine. Ma anche i giocatori migliori qualche volta sbagliano un goal facile e nessuno li mette sotto inchiesta per questo! (7) Dimostrerò facilmente che Caio è adatto a questo lavoro. Innanzitutto è di ottima famiglia e conosco bene suo padre. In secondo luogo, è di bella presenza e certamente molte ragazze dell’ufficio se ne innamoreranno. Infine, le sue idee politiche e le sue convinzioni religiose sono ineccepibili. (8) Punta su quel cavallo: è nero e sono ben sei corse che vincono cavalli di colore chiaro. (9) Se Sempronio vincesse un terno al lotto, regalerebbe sicuramente un gioiello a Calpurnia. Calpurnia ha ricevuto un gioiello da Sempronio. Quindi Sempronio deve aver vinto un terno al lotto. (10) Quando sua sorella Calpurnia viene a trovarci, Domitilla diviene nervosa. Calpurnia non è venuta a trovarci. Dunque, Domitilla non sarà nervosa. P.S. E per la fallacia del racconto di Cecov? Guardate 7.4….. Fine del settimo modulo 75 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 8. La dinamica del discorso. La lettura critica dei testi 8.1 La struttura logica dei testi I testi scritti sono il modo più efficace che l’uomo abbia inventato per raccogliere e trasmettere argomentazioni molto articolate, con le quali vengono proposte, difese o attaccate, importanti idee filosofiche, scientifiche, politiche o estetiche. Impariamo dunque a trattarli con attenzione e a individuarne la struttura interna. Un testo non letterario mira di solito a uno scopo, cioè ha una tesi, una dottrina, un’ipotesi scientifica, a cui approda. Per giustificare la tesi di fondo del testo, occorrono però tesi intermedie. Occorre cioé che dalle assunzioni di partenza (cioè da quegli assunti che non sono giustificati: fatti certi, opinioni comunemente accettate e così via) si passi a delle prime conclusioni che saranno poi a loro volta premesse per altri ragionamenti: Assunzioni di partenza (premesse non ulteriormente giustificate: fatti noti, assiomi di senso comune, osservazioni scientifiche, ipotesi assunte provvisoriamente per vere….) ↓ Prime conclusioni Le conclusioni divengono premesse Altre assunzioni ↓ Altre conclusioni Le conclusioni divengono premesse e via continuando……… 76 e il ragionamento continua fino ad arrivare alla soluzione del problema di partenza (e alla tesi conclusiva) Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 8.2 Un esempio da Platone Prendiamo ad esempio un’argomentazione complessa che ritroviamo in Platone. La domanda è: quali sono le caratteristiche dell’uomo che cerca la sapienza? Socrate (il protagonista del dialogo) risponde così: Consideriamo un uomo sano. Non ha alcun bisogno dell’arte medica né di aiuto, si trova infatti in condizioni di autosufficienza. Pertanto, nessuno, quando è in buona salute, cerca il medico, proprio perché è in salute. Per contro, un uomo malato cerca il medico, proprio in ragione della malattia che lo affligge. La malattia costituisce il male, l’aiuto del medico è il bene, mentre il malato non è né il bene né il male, ma ciò che dalla presenza in lui del male è costretto a ricercare il bene. Dunque, chi cerca il bene lo cerca perché in lui è presente il male. Fai ora attenzione a ciò che dico: alcune cose sono identiche a ciò che è presente in esse, altre invece no. Se uno spalma un colore su un oggetto, il colore è presente in quell’oggetto ma non ne manifesta l’identità. Se infatti non ammettessimo questa differenza, non ci sarebbe differenza se io tingessi i tuoi capelli – che sono biondi - di bianco con la biacca e se i tuoi capelli fossero invece diventati bianchi per la vecchiaia. Io dico che, nel primo caso, il bianco è presente in essi, ma non manifesta ciò che essi sono mentre, nel secondo caso, il bianco li manifesta quali sono, cioè come i capelli di un uomo anziano. Ora, prendiamo di nuovo in esame colui che ricerca il bene. Abbiamo detto che, se non fosse soggetto ai mali, non ricercherebbe il bene. Ma, se fosse soggetto ai mali perché i mali manifestano la sua identità, allora non vorrebbe né potrebbe ricercare il bene o appropriarsene una volta che lo avesse trovato. Un malato giunto all’ultimo stadio non ha più capacità di servirsi del medico. Dunque, solo colui che è soggetto ai mali, ma non si identifica con essi, può cercare il bene. Possiamo ora stabilire come è fatto colui che ricerca la sapienza. Non può essere qualcuno che sia già sapiente, perché costui non ha bisogno di cercare ciò che già possiede. Ma non ricercano la sapienza nemmeno coloro che sono totalmente ignoranti, perché costoro non sono in grado di trovarla né la desiderano. Restano quelli che, pur possedendo questo male, l’ignoranza, non sono da questo resi ottusi e incolti, ma ancora ritengono di non sapere ciò che non sanno [da Platone, Liside, 217]. Prima di passare alla pagina successiva, provate un attimo a identificare (1) la tesi conclusiva, poi (2) le tesi intermedie che la fondano e (3) il modo in cui esse sono conseguite. 77 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 8.3 Ricostruiamo l’argomentazione di Platone Riordiniamo ora il testo cercando le tesi intermedie. Il punto di arrivo è la tesi: colui che ricerca la sapienza (il filosofo) non è ancora sapiente - è ancora affetto da ignoranza -, ma non è tanto ignorante da essere ottuso o incolto. Come arriva Platone a stabilire questa tesi? (a) La prima conclusione è quella che afferma che: colui che ricerca il bene lo fa perché è affetto dal male. Platone ci arriva mediante un ragionamento induttivo basato sull’esempio: se qualcuno deve esser malato per cercare l’aiuto di un medico, allora (più in generale) chi cerca il bene lo fa per fuggire un male che lo minaccia. (b) La seconda tesi intermedia è (riassumendo): colui che è affetto da un male non è sempre dominato dal male stesso. Questa tesi è introdotta attraverso un ragionamento per analogia: come qualcuno può avere accidentalmente i capelli bianchi (perché gli sono stati tinti), mentre i capelli bianchi di altri individui esprimono ciò che essi sono (cioè: persone anziane), così alcuni mali sono accidentali per l’individuo che ne soffre mentre altri sono espressivi della sua identità e dunque insuperabili. (c) A questo punto vengono fuse le due conclusioni, stabilendo che colui che ricerca il bene è affetto dal male [tesi (a)], ma non ne è dominato [secondo la distinzione introdotta da (b)]. Questa conclusione d’insieme viene confermata ritornando all’esempio del malato: il malato terminale non ha più nulla da sperare dal medico, mentre il malato ancora curabile sì. (d) A questo punto, sulla base della premessa (implicita ma ovvia) che la sapienza è un bene, la conclusione raggiunta può essere estesa al caso del cercatore della sapienza con un procedimento di tipo deduttivo. Il cercatore della sapienza deve essere affetto da ignoranza (cioè dal male che si contrappone alla sapienza), perché altrimenti non sarebbe ancora alla ricerca della sapienza; ma non deve essere totalmente ignorante, perché altrimenti sarebbe ottuso e incolto e non cercherebbe la sapienza né la desidererebbe. In sintesi, il ricercatore di sapienza deve sapere di non sapere (come era tipico di Socrate) e ciò è quanto che lo distingue dall’ignorante vero e proprio. Il risultato è raggiunto. In questo caso, lo scheletro dell’argomentazione è ben visibile e Platone è tanto gentile da avvertirci quando introduce una nuova assunzione (“Fai attenzione a quello che io dico….”). Con altri filosofi, le cose sono meno semplici. 78 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 8.4 La dinamica di un testo: tesi, obiezioni, risposte In genere, i testi impegnati in una “battaglia delle idee” non si limitano a sviluppare conclusioni a partire da premesse. Essi confrontano tra loro posizioni diverse. Ciò avviene in modo palese nei dialoghi (dove si confrontano personaggi che hanno diverse idee). Ma avviene anche nei testi non dialogici, allorché l’autore muove delle obiezioni alle tesi che egli presenta via via nel corso dell’opera. Le obiezioni sono di solito introdotte da espressioni avversative (“Ma….”, “Tuttavia….”, “Per contro….”) oppure dando voce a un avversario ideale (“Mi si potrebbe obiettare…” “Qualcuno potrebbe dire…”) o infine cedendo la parola ad un avversario reale con cui vi è una disputa in corso (“Tazio, in un suo recente articolo, afferma che….”). Vi sono tre strategie diverse che un autore può impiegare per le obiezioni: a.La confutazione. L’autore può mostrare che l’obiezione è infondata o illogica e dunque non intacca minimamente la tesi contro cui è rivolta. b. La concessione. Si ammette una certa validità dell’obiezione, ma si osserva che essa non distrugge la tesi contro cui è rivolta e che, con certe specificazioni, entrambe possono essere vere. c. L’inglobamento dell’obiezione nello sviluppo del discorso. Si ammette che l’obiezione è fondata e che la tesi di partenza non è più valida, mettendosi alla ricerca di una nuova tesi che riesca a sopravvivere alle obiezioni. La dinamica del testo dipende molto dal modo in cui vengono prese le obiezioni. Un’opera apologetica ovvero di difesa di una convinzione religiosa o politica privilegia di solito la confutazione delle idee degli avversari, cioé svolge un’implacabile polemica contro di esse. Diverso è ovviamente il caso qualora l’opera si proponga come conciliatrice di opinioni diverse o cerchi di arrivare a una soluzione del tutto nuova distaccandosi da tutte le precedenti. Confutazione, concessione o inglobamento? Analizza questo passo di Hume [a parlare è Filone, uno scettico che non crede nella Provvidenza]: “Ma se anche fossimo sicurissimi che un’intelligenza simile a quella umana è presente in tutto l’universo (…) pure io non riesco a vedere come le operazioni di un mondo costituito, organizzato ed armonioso possano essere estese ad un mondo che si trovi invece nel suo stato embrionale e in via di pervenire alla sua forma organizzata e compiuta. L’osservazione ci insegna qualcosa sull’economia di un organismo animale, sul suo movimento e sulla sua nutrizione; ma bisogna andare cauti nel trasferire queste osservazioni alla crescita del feto nel grembo materno (…) quali nuovi ed ignoti princìpi possano agire nella natura in una circostanza così nuova come la formazione di un universo noi non possiamo sperare di scoprirlo…” (Dialoghi sulla religione naturale, 2. parte). [Vedi oltre per la soluzione] 79 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 8.5 Logica e stile La scrittura di un testo risponde non solo a esigenze di trasmissione delle idee e delle conoscenze in generale, ma anche alle esigenze particolari poste dal rapporto che l’autore ha con il suo uditorio. Per esempio, l’autore può scegliere di non esprimere direttamente alcune conclusioni (magari troppo scandalose), limitandosi all’allusione. Oppure, per sollecitare l’attenzione del lettore, può scegliere di formulare alcune tesi nella forma di interrogativo retorico, cioè di enunciati che, pur avendo forma interrogativa, fanno capire bene la tesi che l’autore caldeggia. O ancora l’autore può usare delle figure per esprimersi, come la metafora (vedi primo modulo: 1.2), o come l’eufemismo (che consiste nel dire “Tazio non è tanto intelligente” al posto di “Tazio è cretino”). Tutte queste scelte sono legate al contesto in cui l’autore scrive e e cioè sono ragioni di natura pragmatica (cioè relative all’effetto che il testo può provocare) o di natura più complessivamente stilistica. Pertanto, chi voglia fare la ricostruzione logica di un testo, è spesso costretto a parafrasarne delle parti. La parafrasi è la riscrittura di un enunciato o di un discorso in forme logicamente più semplici mantenendo lo stesso contenuto di informazioni. È un esercizio che raramente facciamo a tavolino (anche se è utile), ma che va fatto spesso con la mente. Esercizio a piacere. Di tutti gli interrogativi di questo passo, solo il primo non è un interrogativo retorico. Provate a parafrasare questo noto passo di Voltaire (Dizionario filosofico, voce: “Religione”): “Dopo la nostra santa religione, che senza dubbio è la sola buona, quale sarebbe la meno cattiva? Non sarebbe forse la più semplice? Non sarebbe quella che insegnasse molta morale e pochissimi dogmi? Che tendesse a rendere giusti gli uomini, senza renderli assurdi? Che non ordinasse di credere a cose impossibili, contraddittorie, ingiuriose per la Divinità e perniciose per il genere umano, e non minacciasse di pene eterne chiunque avesse senso comune? Non sarebbe quella che non sostenesse la sua credenza per mezzo di carnefici, e che non inondasse la terra di sangue per inintelligibili sofismi? (…) Non sarebbe quella che insegnasse soltanto l’adorazione di Dio, la giustizia, la tolleranza e l’umanità?” 8.6 I precetti per l’arte della lettura critica Idealmente, leggere criticamente un testo comporta tutte queste operazioni: (1) Semplificare il testo: cioè individuare il senso di singoli enunciati e, se necessario, sostituire gli enunciati oscuri con una parafrasi logicamente più chiara [in generale occorre distinguere tra contenuto e stile del testo, 80 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico ciò che il testo dice e il modo in cui lo dice: per l’analisi logica conta soprattutto il primo aspetto, ma una comprensione piena del testo implica anche il chiedersi perché l’autore abbia fatto determinate scelte stilistiche]. (2) Individuare lo scheletro dell’argomentazione: cioè individuare i punti di arrivo del discorso e i passaggi centrali (che contengono quelle che abbiamo chiamato le tesi intermedie). (3) Ordinare gli enunciati secondo l’ordine di inferenza, qualificandone il ruolo (assunto di partenza, ipotesi da provare, esempio, conclusione….) (4) Esplicitare, se è il caso, le premesse implicite rilevanti non menzionate dall’autore. (5) Individuare eventuali fallacie dell’argomentazione, cioè eventuali tentativi di inferire troppo da premesse deboli etc. (6) Individuare la strategia con cui vengono trattate le obiezioni. (7) Immaginare contro-argomentazioni, cioè possibili critiche al testo e alle sue tesi, per saggiarne la validità. 8.7 Come iniziare? Provare a fare tutte queste operazioni obbliga a spendere un po’ di tempo. Ma se ne ricava anche un’interessante sorpresa, che è quella di scoprire che, in buona parte, noi facciamo già queste operazioni quando leggiamo un testo (altrimenti non saremmo in grado di comprenderlo!). Solo che le facciamo frettolosamente e confusamente. Fare esercizi di lettura critica serve dunque a rendere più consapevoli, ordinate e dunque anche efficaci le operazioni che già facciamo leggendo dei testi (o ascoltando discorsi). Si parta allora dall’operazione (2) e ci si imponga di farla sempre di fronte a un testo (usando magari evidenziatori e sottolineature per le tesi intermedie) e poi, di fronte a passi di una certa importanza o difficoltà, se ne tenti un’analisi più dettagliata, quanto più vicino possibile alle regole che si sono qui indicate. 81 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico 8.8 Esercizio finale Fare un’analisi quanto più possibile completa di questo passo di Hume (Dialoghi sulla religione naturale, § 11) che ha come domanda di fondo se l’esperienza può dimostrare l’esistenza o l’inesistenza di Dio: “Credo che si debba ammettere che, se a una intelligenza molto limitata, che supponessimo del tutto ignara dell’universo, si dicesse che esso è opera di un Essere molto buono, saggio e potente, questa persona si formerebbe in anticipo, in base alle proprie congetture, un’immagine dell’universo diversa da quella che ricava dall’esperienza. Certo non immaginerebbe mai che dagli attributi del suo creatore, di cui è informata, possa derivare un’opera così piena di difetti, di infelicità e di disordine, come risulta in questa vita. Supponiamo che questa persona fosse condotta nel mondo sempre con la certezza che si tratta dell’opera di un Essere sublime e benevolo: potrebbe forse essere sorpresa e delusa, ma non ritratterebbe mai la sua convinzione precedente, se fondata su un’argomentazione solida. Questa intelligenza limitata deve essere conscia della propria cecità e ignoranza e quindi deve ammettere che si possono dare molte soluzioni di quei fenomeni che sfuggiranno sempre alla sua comprensione. Ma prendiamo invece il caso reale, che è quello dell’uomo: questa creatura non possiede un convincimento precedente riguardo all’esistenza di un’intelligenza superiore, benevola e potente, ma è costretta a farselo partendo dalle esperienze, il che cambia completamente la situazione. L’uomo non potrà mai trovare alcun motivo per giungere a una tale conclusione. Potrà essere totalmente persuaso dei ristretti limiti posti al suo intelletto, ma questo non lo aiuterà a dedurre la bontà di potenze superiori, dato che a tale inferenza deve arrivare partendo da ciò che sa, non da ciò che ignora. Più si esagera la debolezza e l’ignoranza umane e più si rende l’uomo sfiduciato e si aumenta il suo sospetto che questi argomenti trascendano la portata delle sue facoltà. Si è quindi costretti a farlo ragionare partendo unicamente dai fenomeni conosciuti, lasciando cadere ogni supposizione o congettura arbitraria. Se vi mostrassi una casa o un palazzo dove non vi fosse neanche un appartamento confacente o gradevole, dove finestre, porte, caminetti, corridoi, scale e l’intera struttura del fabbricato fossero causa di rumori, confusione, stanchezza, buio, di caldo o freddo esagerati, voi certamente ne dareste la colpa al progetto senza ulteriori indagini. L’architetto ricorrerebbe invano a tutta la sua abilità per dimostrarvi che, se questa porta o quella finestra venissero modificate, ne deriverebbero mali peggiori. A rigor di logica le sue giustificazioni possono anche essere valide: in effetti cambiare un dettaglio, mentre il resto dell’edificio rimane intatto può solo aumentare gli inconvenienti. Pure, in generale, voi direste che, se l’architetto avesse avuto la capacità e la buona intenzione, avrebbe potuto disegnare un progetto complessivo e armonizzare le varie parti in modo tale da evitare tutti o quasi i difetti del suo edificio. La sua, o anche la vostra, ignoranza di un tale progetto non potrà mai convincervi della sua impossibilità. Qualora insomma si trovino difetti e inconvenienti in una casa, senza scendere troppo in particolari, si condannerà sempre l’architetto. 82 Fuori commercio – Dispensa ad esclusivo uso didattico In breve, ripeto la domanda: il mondo, preso nella sua generalità e per come si manifesta in questa vita, è effettivamente diverso da ciò che un uomo o un altro essere limitato si attende, a priori, da una divinità molto potente, saggia e buona? Sarebbe uno strano preconcetto affermare il contrario. Da ciò concludo che, date certe supposizioni e congetture, per quanto il mondo possa essere compatibile con l’idea di una divinità, non potrà mai fornirci alcun elemento per dedurne l’esistenza. Non è quindi assolutamente in dubbio la compatibilità, quanto la deduzione. Le congetture possono forse esser sufficienti a provare questa compatibilità, ma non possono essere fondamenti per alcuna deduzione”. Soluzione dell’esercizio di 8.5. Hume segue la strategia della concessione, Egli prende come ipotesi assunta a titolo di prova la tesi che vi sia un’intelligenza che governa le cose. Dopodiché egli si chiede se l’enunciato “l’universo è stato generato in modo razionale” ne derivi. Qui Hume propone un ragionamento per analogia: gli organismi viventi hanno una struttura e un’organizzazione interna, ma da essa non si comprende come essi si siano formati. Analogamente, l’universo potrebbe avere adesso un’organizzazione razionale e però non averla avuta da sempre. Dunque, la tesi che l’universo sia adesso un ordine è compatibile con la negazione della provvidenza (perché anche l’ordine attuale potrebbe essersi generato in modi non-provvidenziali). Fine dell’ottavo modulo Consigli finali Per chi abbia possibilità di approfondire, ricordo i testi che mi sono stati particolarmente utili per questa breve guida (molti dei quali già segnalati durante il percorso): A. Coliva – E. Lalumera, Pensare. Leggi ed errori del ragionamento, Carocci, Roma2006 F. D’Agostini, I mondi comunque possibili. Logica per la filosofia e il ragionamento comune, Bollati Boringhieri, Torino 2012 M. Frixione, Come ragioniamo, Laterza, Roma-Bari, 2007 A. Iacona, L’argomentazione, Einaudi, Torino, 2005 F. Paoli – C.Crespellani Porcella – G. Sergioli, Ragionare nel quotidiano. Argomentare, valutare informazioni, prendere decisioni, Mimesis, Milano 2012 M. Santambrogio, Manuale di scrittura (non creativa), Laterza 2006 Per chi sia in grado di leggere l’inglese, si segnalano inoltre questi siti: www.insightassessments.com www.fallacyfiles.org 83