aspetti socio-psicopatologici del segreto

Transcript

aspetti socio-psicopatologici del segreto
ASPETTI SOCIO-PSICOPATOLOGICI DEL SEGRETO
Sommario: 1. Premessa - 2. Segreto Professionale - 3. Il segreto nei casi di pertinenza socio-sanitaria - 4.
Ruolo patogeno del Segreto - 5. Mito e segreto - 6. Il Segreto in Psichiatria - 7. Conclusioni Bibliografia.
1. PREMESSA
Il termine segreto proviene da secretus, participio passato del verbo latino secernere, che significa
separare, dividere; il prefisso se indica più specificamente il concetto di scartare, distinguere, mettere da
parte. Il primo significato, sul quale Arnaud Lévy insiste finendo col privilegiarlo, è quello legato al
linguaggio agricolo, che tende a designare l’antica operazione di setacciare il grano mediante lo
strumento del setaccio (in latino, cribum) che ha appunto il compito di separare la parte buona da quella
cattiva. In senso figurato secernere assume anche il significato di giudicare, discernere, distinguere il vero
dal falso, il buono dal cattivo. Con il prefisso ex, il verbo cernere assume meglio il significato di vagliare,
purgare (evacuare in termine medico). Senza che sia menzionato da Lévy, il verbo greco da cui proviene
cernere è κρίνω, che ha lo stesso senso, oltre che di giudicare, distinguere, secernere, la cui radice
indoeuropea è (s)q(e)rei, da cui il termine greco di confronto σκωρ (dal sanscrito, ava-s-kara), che significa
escremento, lordura; quindi excrementum da quod excernitur, con il senso sia di vagliatura che di escrezione.
Il vocabolo “Segreto” si riferisce, così, sia all’escrezione, cioè all’elaborazione e al rigetto di
sostanze inutili o tossiche, sia al suo opposto, la secrezione, che indica la produzione di sostanze nobili,
fisiologicamente utili (Zapparoli).
Ciò che si definisce “segreto” è relativo a fatti e circostanze di cui si è a conoscenza e che non
possono o non devono essere rivelati.
Sulla base della valutazione etimologica e semantica del termine “segreto”, Arnaud Lévy afferma
che il segreto conferisce potere sull’altro. Il contenuto di questo potere è “un bene prezioso, il più
proprio, il più personale, il più intimo”; tuttavia è anche “la cosa cattiva da nascondere, fonte di
vergogna e di minaccia per l’integrità narcisistica”. Il segreto è mezzo di piacere, così come la sua
ritenzione può essere fonte di sofferenza; inoltre, il segreto è mezzo di protezione contro l’aggressione
temuta da parte dell’altro.
Smirnoff ritiene che in ogni individuo ci sia uno spazio “segreto”, che definisce come il
territorio proprio del soggetto in cui sono conservati gli elementi che hanno assicurato l’identificazione
primaria dell’individuo. Il segreto serve a proteggere questo spazio, costituendo la difesa contro
l’intrusione intollerabile.
Margolis ritiene che il segreto e la segretezza devono essere considerati sia come fattori che
determinano l’identità, sia come eventi che si realizzano solo a identità raggiunta. L’autore sostiene
questa tesi riferendosi all’affermazione di Allport secondo la quale il bambino non può sviluppare il
senso profondo di identità e continuità fino a quando non viene a percepire e a riconoscere sé stesso
come separato, lontano e differente dagli altri. Egli deve, cioè, avere sviluppato la conoscenza della
distanza che lo separa dalle altre persone e cose. Ciò che è dentro i suoi confini corporei è lui, ciò che è
fuori dai suoi confini non è lui (Fisher e Cleveland).
Margolis nota, ancora, che il bambino piccolo si trova a constatare che gli adulti sono più
informati riguardo a lui di quanto non lo sia egli stesso. In questo modo il bambino fa, in un certo
senso, ancora parte dell’identità degli adulti, che esercitano quindi più controllo su di lui di quanto egli
ne eserciti su sé stesso. Solo quando il bambino comincia a capire che esistono cose riguardo a sé stesso
che lui solo sa e che gli altri non sanno, cioè che possiede dei segreti, egli può sentirsi separato,
indipendente e singolo. A questo punto il bambino giunge a rendersi conto che può o meno
comunicare i suoi segreti ai genitori: nel primo caso si confonde con la loro identità; nel secondo caso,
mantenendo per sé i suoi segreti, resta già separato, lontano, indipendente da loro. Questa percezione di
potere a sua discrezione (nascondere o divulgare informazioni riguardanti sé stesso), oltre ad accrescere
il senso di identità, costituisce il prerequisito che rende possibile la scelta.
1
Per Margolis sono anche presenti dei segreti inconsci, cioè esistono alcune cose riguardo a sé
che l’individuo tiene segrete non solo agli altri ma anche a sé stesso. A suo parere sono considerati
segreti inconsci:
a) quei fatti, o quelle sensazioni che l’individuo può tener segreti a sé stesso, la cui rivelazione è
temuta. Se non ne è a conoscenza, non li dovrà rivelare;
b) alcuni aspetti dell’esistenza che l’individuo tiene segreti in quanto l’autorità rappresentata dai
genitori li disapprova o non li vuole conoscere. Alla base di questo secondo caso stanno i meccanismi
comunemente descritti come incorporazione degli oggetti parentali (Fairbairn), identificazione con
l’aggressore (A. Freud), formazione del Super-io (Fenichel, Freud). La modalità utilizzata per tener
nascosto a sé stesso un segreto - rimozione e repressione - dà solitamente come risultato e conseguenza
certi sintomi nevrotici: dai rituali dell’ossessivo alla scelta simbolica dei sintomi nell’isterico.
Szasz ritiene che la possibilità di esercitare scelte personali e il controllo su di sé sia una specifica
funzione dell’Io. Questa funzione rende il bambino consapevole delle capacità, del diritto e del bisogno
di tenere per sé i segreti.
Essa fonda, inoltre, la consapevolezza dell’individualità del singolo che, entro certi limiti, è
autodeterminato.
Tausk, al riguardo, afferma: “Conosciamo bene lo stadio infantile in cui domina la convinzione
che gli altri conoscano i pensieri del bambino. I genitori sanno tutto, anche le cose più nascoste, e le
sanno fino a che il bambino non riesce ad imporre la sua prima bugia (...). La lotta per il diritto ad avere
segreti di fronte ai genitori è uno dei fattori più forti nella formazione dell’Io, nella delimitazione ed
affermazione della propria volontà. (Per stabilire) lo stadio evolutivo che coincide col periodo in cui il
bambino non ha ancora scoperto questo diritto, non ne sa ancora niente e non mette ancora in dubbio
che l’onniscienza dei genitori e degli educatori si basi su un dato di fatto (occorre attendere che il
piccolo mantenga per sé delle sue cose). (Questo stadio) … sarebbe dunque il periodo anteriore alla
prima bugia riuscita”.
Freud, riguardo al segreto, ha differenziato il comportamento del delinquente da quello
dell’isterico e del nevrotico. Il delinquente conosce il segreto e vuole tenerlo nascosto, mentre l’isterico
e il nevrotico non conoscono il segreto e lo tengono nascosto a loro stessi. Inoltre, il paziente nevrotico
aiuta il terapeuta nell’indagine, perché se ne aspetta un vantaggio, mentre il delinquente, invece, non
collabora, perché ciò agirebbe contro il suo Io, e oppone una resistenza totalmente cosciente.
2. SEGRETO PROFESSIONALE
Se la parola segreto è unita all’aggettivo professionale assume un significato particolare, perché
attribuisce ad una determinata professione una responsabilità, ulteriormente rafforzata dalla norma
giuridica. Tutto ciò implica diversi atteggiamenti personali e professionali che obbligano all’applicazione
di specifici codici di comportamento.
Su un piano prettamente giuridico per segreto si intende “uno stato di fatto, cioè un rapporto
tutelato dal diritto, in forza del quale una notizia relativa a determinati fatti o cose deve essere
conosciuta solo da una persona o da una ristretta cerchia di persone, autorizzate alla conoscenza”. La
sola mancata conoscenza di un fatto non vale di per sé a rendere segreta quella notizia. Per la dottrina
maggioritaria il segreto deve essere inteso in senso oggettivo (l’art. 622 c.p. punisce la rivelazione o
l’utilizzazione indebita di notizie segrete, nel caso in cui ciò crei nocumento alla persona interessata:
fondamento della tutela penale sarebbe proprio la considerazione del nocumento, attuale o potenziale,
che può derivare ai singoli dalla rivelazione).
Per quanto riguarda l’oggetto del segreto c’è, da un lato, la necessità di punire la violazione,
dall’altro quella di aderire all’ordinamento giuridico attraverso un delicato equilibrio tra esigenze
contrapposte, che si fanno sentire nel momento in cui bisogna tutelare il segreto nel processo.
L’art. 200 c.p.p. individua l’oggetto del segreto “a quanto appreso in ragione della propria
professione, ufficio o ministero”. Questa previsione sembra coincidere con quanto disposto dall’art.
622 c.p., che si riferisce “a chi ha notizia di un segreto per ragione del proprio stato o ufficio o della
propria professione o arte”.
2
Occorre il necessario nesso di causalità tra la qualifica o l’attività del soggetto e la conoscenza
del segreto. Significa che il segreto, anche se limitato a quanto comunicato in via confidenziale, si
estende ad ogni ulteriore conoscenza comunque appresa a causa o nell’esercizio della professione,
restando estraneo unicamente quanto conosciuto in occasione dello svolgimento della prestazione
professionale, mancando ogni attinenza con quest’ultima.
L’art. 200 c.p.p. prevede ancora, per i soggetti menzionati, la facoltà (e non l’obbligo) di
astenersi dal deporre. La scelta tra il rispetto del segreto professionale e il dovere di contribuire
all’amministrazione della giustizia, è rimessa alla coscienza ed al prudente apprezzamento del
professionista. Questa possibilità di scelta è in linea con la norma penale incriminante: il reato si
configura esclusivamente se la rivelazione avviene senza giusta causa e se dal fatto può derivare
nocumento. In assenza di tali elementi il professionista potrà-dovrà rinunciare alla facoltà di astenersi
dal deporre, senza che ciò possa comportare alcuna responsabilità penale. Anche da questo aspetto
emerge lo stretto rapporto tra l’art. 200 c.p.p. e l’art. 622 c.p.
Il segreto professionale è uno dei diversi tipi di segreto che possono essere eccepiti durante un
procedimento penale. La disciplina del segreto è frutto di un bilanciamento di interesse operato dal
legislatore. Si è dato prevalenza all’interesse alla difesa nel processo (art. 24 Cost.) rispetto all’interesse
della giustizia all’accertamento della verità.
Il segreto professionale non è stato previsto dal legislatore come un divieto di rendere
testimonianza su talune informazioni acquisite “per ragione del proprio ufficio”, ma come una facoltà
di astensione, lasciando così al testimone la possibilità di scegliere. Con questa disciplina il legislatore ha
risolto il conflitto tra l’obbligo generale di testimoniare ex art. 198 c.p.p. ed il dovere di non rivelare il
segreto professionale, entrambi penalmente sanzionati.
La ratio perseguita è quella di tutelare la libertà e la sicurezza dei rapporti professionali. Sulla
base della considerazione della necessità o quasi necessità per tutti i cittadini, di avvalersi dell’opera di
professionisti, è stato affermato che “l’interesse a garantire le condizioni indispensabili per assicurare la
libertà e la sicurezza dei singoli rapporti professionali costituisce un interesse pubblico”. Il segreto
professionale trova la sua ratio nella necessità, quindi, di garantire la fiducia e la riservatezza del
professionista cui l’individuo si rivolge.
3. IL SEGRETO NEI CASI DI PERTINENZA SOCIO-SANITARIA
In considerazione del dovere dei professionisti a salvaguardare il segreto professionale, sia
perché disciplinata da disposizioni deontologiche sia per norme di diritto penale, si deve rilevare che
anche gli operatori socio-sanitari sono obbligati a mantenere il “segreto professionale”.
Appare, però, difficile stabilire quando occorre rispondere al principio della segretezza,
considerata in termini assoluti, o quando, invece, non sia più opportuno informare autorità o soggetti
potenzialmente vulnerabili di notizie apprese durante l’attività di servizio.
Una situazione paradigmatica è quella in cui l’operatore apprende che un soggetto è pericoloso
o che ha intenzioni omicide: in questo caso, il principio della segretezza deve essere considerato meno
vincolante.
Si è soliti affermare, infatti, che il privilegio protettivo della segretezza finisce quando ha inizio il
pericolo per il versante pubblico.
Una situazione per certi versi analoga si verifica quando l’operatore viene a conoscenza di
intenzioni suicide ed omicide di un paziente, oppure della possibilità che l’uomo agendo il suicidio
possa mettere a repentaglio anche l’incolumità di altri (si pensi alla saturazione d’ambienti con gas).
La norma deontologica, relativamente al segreto professionale, appare nel complesso più
rigorosa e restrittiva rispetto a quella penale.
L’operatore socio-sanitario che lavora come libero professionista, in ambito istituzionale o
privato è tenuto all’obbligo di:
a) denunciare, in sede penale, i reati perseguibili d’ufficio (quelli la cui perseguibilità non è
condizionata alla presentazione di querela, istanza o richiesta da parte della parte offesa - art. 361 c.p.),
di cui ha notizia nell’ambito del suo lavoro;
3
b) segnalare alla Procura della repubblica, in sede civile ( art. 9 della L. n. 184 del 1983) presso il
Tribunale per i Minorenni, le eventuali situazioni di abbandono di minori, di cui viene a conoscenza.
In tutti i casi citati la denuncia o segnalazione alla Autorità giudiziaria competente non comporta
violazione del segreto professionale ed il soggetto non può incorrere in alcun reato.
Per il medico è sempre raccomandabile la massima prudenza nell’osservanza del segreto
professionale, pur se in ambito penalistico egli deve sentirsi sciolto dal vincolo del segreto nel caso in
cui il giudice richieda che testimoni circa un paziente che intenda attuare nocumento o produrre uno
stato di pericolo per altri.
Nel caso si sia chiamati a deporre da un’Autorità Giudiziaria, nel corso di un processo penale o
di una procedura civile, l’obbligatorietà a testimoniare è legata all’obbligatorietà della denuncia o della
segnalazione, e vi è tenuto anche il libero professionista.
Oltre alle giuste cause imperative (referti, denunce, notifiche e certificazioni obbligatorie), l’art. 9
c. d. m. annovera fra le cosiddette giuste cause permissive di rivelazione del segreto professionale (lì
dove il ‘permesso’ venga comunque supportato dal binomio ‘informazione-consenso’ o
dall’autorizzazione del Garante):
1) la richiesta o l’autorizzazione da parte della persona assistita o del suo legale rappresentante,
previa specifica informazione sulle conseguenze o sull’opportunità o meno della rivelazione stessa;
2) l’urgenza di salvaguardare la vita o la salute di terzi, anche nel caso in cui l’interessato stesso
non sia in grado di prestare il proprio consenso per impossibilità fisica, per incapacità di agire o per
incapacità di intendere e di volere;
3) l’urgenza di salvaguardare la vita o la salute di terzi, anche in caso di diniego dell’interessato,
ma previa autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali (qui il riferimento non è ad
una specifica autorizzazione bensì alla citata Autorizzazione generale n. 2/1999).
L’ultimo punto annovera le cosiddette “giuste cause sociali”, chiamate in dottrina a giustificare
la rivelazione di un segreto professionale in frangenti estremi e con il fine di rendere servizio alla società
ma sempre sotto il controllo dell’Autorità Garante.
In proposito Introna e coll. notano che la “giusta causa potrebbe essere adoperata con senso
critico e parsimonia dal medico saggio e prudente ma di essa abuserebbe il medico superficiale,
sprovveduto o privo di scrupoli”.
Le difficoltà al professionista arrivano dal dover gestire le situazioni meno nette e più sfumate.
In ambito penale per i reati perseguibili a querela di parte, il ruolo degli operatori di “professioni
d’aiuto” è quello di sostenere la parte offesa, qualora lo richieda, e/o si trovi in condizione di inferiorità
o di incapacità culturale e pratica, così da tutelarla quando incapace di avere coscienza dei propri diritti e
di autotutelarsi. Il lavoro del professionista è indirizzato a potenziare l’autonomia e l’autostima del
soggetto, affinché giunga egli stesso alla denuncia, o ad altra soluzione che lo protegga.
Il caso tipico di reato perseguibile a querela di parte è quello del maltrattamento fra adulti
consumato in ambito familiare. Da un punto di vista giuridico questo reato è un concetto che non trova
riscontro in una definizione specifica e, per essere riconosciuto tale, richiede continuità ed intento
vessatorio.
Se, invece, la vittima è un minore, un anziano o un incapace le cose cambiano: in tali evenienze
diventa indispensabile la segnalazione alla Procura della Repubblica, tenuto conto che oggi è anche
possibile chiedere al Giudice (sia a quello penale che a quello civile o al Tribunale per i Minorenni) di
allontanare da casa l’adulto maltrattante, impedendogli di reiterare il comportamento lesivo.
È inoltre opportuna la segnalazione alla Procura della Repubblica Civile nel caso in cui si
ravvisino presunti raggiri a carico di anziani soli o in istituto.
Altra situazione controversa è quella relativa alla valutazione del pregiudizio e della sua gravità,
considerato in relazione ad un danno, ad una lesione di interessi o ad un grave rischio per la persona,
minore o incapace. La linea di demarcazione fra stato di abbandono e pregiudizio è estremamente labile
e, nel dubbio, è comunque opportuna la segnalazione, perché si tratta di persone non in grado di
richiedere misure tutelanti. Inoltre, quando si tratta di minori, conviene sempre segnalare perché sia la
Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni ad assumere l’iniziativa in un senso o
4
nell’altro. Ciò perché la tutela dei minori è affare di tutti, anche degli operatori di quei servizi che hanno
come compito la cura dell’adulto malato.
L’operatore socio-sanitario, dipendente dall’Ente Pubblico o operante nel privato ma in un
servizio appaltato dall’Ente Pubblico, non può appellarsi al segreto professionale in tutti i casi in cui
opera in nome e per conto di un Ente il cui mandato professionale è, fra gli altri, la tutela dei soggetti
deboli.
Quando il programma di trattamento coinvolge terzi, spesso non è possibile osservare il segreto
professionale: accade inevitabilmente, infatti, che le informazioni siano condivise. Può succedere, ad
esempio, che un paziente fornisca all’operatore, a condizione che gli sia garantita la segretezza, alcune
notizie riservate, e contemporaneamente ne comunichi altre ad altri professionisti, sempre alla stessa
condizione. I diversi operatori possono essere messi in situazione di disagio sia tra di loro sia nei
rapporti con il paziente.
Non è sempre facile stabilire quali comunicazioni, fornite ad altri, possono risultare dannose, o
perché riducono l’autostima del paziente o perché compromettono i suoi rapporti con altri, oppure
vantaggiose, nel senso, ad esempio, di evitare situazioni di pericolo sul luogo di lavoro o, più
genericamente, di fornirgli vantaggi sul piano economico e sociale.
4. RUOLO PATOGENO DEL SEGRETO
Partendo dalla considerazione che il bisogno è uno stato di tensione generato dalla mancanza di
un qualcosa necessario per soddisfare esigenze fisiologiche, psicologiche o sociali (i bisogni umani sono
stati divisi in scale gerarchiche, da quelli di base a quelli più complessi da Ma slow), occorre notare che
traumi precoci e un patrimonio genetico deficitario ostacolano il costituirsi di un Sé organizzato, dotato
di coesione ed unità, compromettendo il funzionamento dell’Io.
Persone che hanno in sé queste difficoltà non riescono ad attuare un corretto esame di realtà, ad
auto-regolarsi, a mantenere un’interazione adeguata tra pensiero, pulsioni, affetti, azioni.
È frequente che alla base di tali traumi vi sia una relazione inadeguata con la figura adulta che si
occupa di accudire il bambino, ovvero vi sia l’incapacità di tale figura di svolgere adeguatamente la
funzione che Winnicott definisce di “holding”.
Un adeguato ambiente familiare, relazionale ed affettivo può garantire il rispetto del diritto
all’identità del bambino in ogni sua componente e nelle sue diverse fasi evolutive.
Pur ritenendo che esista un diritto al segreto, ad avere pensieri segreti, bisogna porsi il quesito si
quale sia il suo significato, inteso come “condizione per poter pensare” (Aulagnier). Winnicott, in un
saggio su “Comunicare e non comunicare”, esplicita il senso del segreto come area del sé e distingue tra
il non comunicare come semplice stadio di riposo e il non comunicare attivo o reattivo.
Si può affermare che ogni famiglia e ogni individuo ha psicologicamente organizzato una parte
di sé attorno ad un segreto.
Affrontando il tema dei segreti familiari si fa per lo più riferimento ad un aspetto sovvertito del
funzionamento familiare, qualcosa che interrompe o perverte nel loro orientamento le catene
associative familiari, come una sorta di oggetto feticcio della vita familiare che malgrado tutto viene
trasmesso da una generazione all’altra e il cui effetto patogeno è soprattutto il fatto di rinnovare un
funzionamento segreto.
Bisogna perciò piuttosto soffermarsi sulla funzione che il segreto svolge nell’economia
intrapsichica e interpersonale del soggetto e della famiglia.
A volte abusi e violenze si collegano in forma più o meno esplicita ad un segreto familiare, a un
non-detto depositato nella memoria di uno solo, ma tuttavia capace di sequestrare intorno a sé una
parte della vita fantasmatica familiare.
Ovvero si possono manifestare come miti familiari o come dei nuclei di storie familiari, di
ricordi, di eventi o immagini idealizzate caratterizzati da un miscuglio di elementi utilizzati sia come
aspetti identificatori che come comunicazione di modalità relazionali che si devono apprendere e
codificare nel tempo. Questi nuclei sembrano essere aree che coagulano e organizzano attorno a sé una
5
buona parte della vita emotiva e fantasmatica della famiglia, depauperando altri aspetti della vita di
relazione.
De Mijolla ritiene che la funzione di questi elementi sia “anti-memoria”, ovvero sia quella di
ripetere il ricordo dell’evento in modo compulsivo impedendo in realtà l’elaborazione. L’aspetto
positivo è quello che talvolta sono di transitorio aiuto in certe fasi dell’esistenza.
Si parla di abuso sessuale infantile quando un adulto sfrutta o utilizza a fini sessuali un bambino
che, per ragioni evolutive, non è in grado di capire cosa gli sta succedendo e che può, psicologicamente
o socialmente, subire l’ascendente dell’abusante.
L’abuso sessuale infantile può manifestarsi in diverse forme: esibizionismo, toccamenti nelle
zone genitali, masturbazione tra adulti e bambini, incoraggiamento o costrizione di bambini alla vista di
atti sessuali, rapporto orale, penetrazione (vaginale o anale), utilizzazione di bambini nella pornografia,
esibizione di film o immagini pornografiche a bambini, induzione allo sfruttamento della prostituzione
minorile.
Gli abusi possono essere limitati ad un solo episodio o ripetersi anche per molto tempo (a volte
anche anni) fino all’età adulta.
Gli abusi sessuali possono avere effetti estremamente dannosi su un bambino, interrompendo
armonici percorsi di sviluppo, con conseguenze che possono protrarsi fino all’età adulta.
Per molti bambini, però, gli effetti dannosi sono limitati nel tempo e dipendono, oltre che dal
tipo di abuso subito, anche dalle caratteristiche del bambino e dall’aiuto ricevuto da parte di familiari,
amici, insegnanti, etc.
Gli autori di abusi sessuali possono appartenere a qualsiasi background socio-economico,
professionale, etnico o religioso. Non appartengono a particolari classi di età: dati relativi alla realtà
italiana negli ultimi anni hanno evidenziato come un bambino possa essere abusato anche da
adolescenti o da altri bambini. Sembra che solo in un ridotto numero di casi ad abusare sia una donna.
La violenza dell’abusante si basa sulla strategia seduttiva che sfrutta i sentimenti di obbedienza,
fiducia e confusione del bambino, e lo irretisce attraverso offerte di affetto, regali o concessioni
particolari.
La maggior parte degli abusi sessuali nell’infanzia sono attuati da persone conosciute dal
bambino. Spesso queste persone fanno parte dell’ambiente di vita del bambino e possono essere
familiari, amici, vicini di casa, più in generale soggetti che si occupano della sua cura e della sua
formazione. Ciò rende il fenomeno dell’abuso sessuale nell’infanzia particolarmente complesso e
difficile da riconoscere: i bambini stessi possono nutrire sentimenti contrastanti, derivanti dal fatto di
essere abusati da qualcuno che dovrebbe proteggerli. Possono anche non rendersi conto che ciò che sta
loro accadendo costituisce un abuso.
Nel trattare il comportamento pedofilo, Aguglia e Riolo sottolineano che al prevalere di
modalità persuasive e concilianti nel periodo che precede la violenza subentrano modalità di rapporto in
cui la violenza psicologica assume un ruolo centrale, in quanto il pedofilo teme che il gioco della
penombra in cui si svolge l’abuso subisca l’effetto luce e sia visibile acquistando aspetti di realtà il gioco
che ha costruito, cosa che causa ansia al pedofilo, perché egli teme che allorché la realtà irrompa sulla
scena svaniscano i suoi costrutti immaginari.
È di comune riscontro che nella storia personale dei pedofili vi siano gravi disfunzioni della
coppia genitoriale, segreti di famiglia più o meno censurati, relazioni precoci disturbate. I pedofili
frequentemente hanno subito traumi o abusi sessuali infantili, diventando a loro volta abusatori.
Schinaia afferma che il pedofilo “è convinto dogmaticamente della giustezza e della liceità delle
sue inclinazioni, dei suoi desideri, dei suoi atteggiamenti, e si oppone attraverso la sistematica
trasgressione delle norme a una società ingiusta ed eticamente pervasiva, che gli impedisce di godere
pienamente del bambino e impedisce al bambino di godere dell’amore dell’adulto”.
Per il pedofilo, a parere di Barrie, non esiste sviluppo oltre l’adolescenza, tanto che l’oggetto
d’amore viene perduto nel momento in cui acquisisce i caratteri somatici dell’adulto. Secondo Mancuso,
il mondo idealizzato di Peter Pan, in cui non si cresce mai, sembra essere la metafora del mondo ideale
della pedofilia. Peter Pan è convinto di essersi creato da solo e che il suo ruolo di genitore è salvifico
per i ragazzi smarriti dell’umanità.
6
In realtà i pedofili sono stati bambini isolati che si sono sentiti esclusi dagli altri bambini e che
hanno invidiato la vitalità dei loro coetanei. Da adulti possono tentare di possedere e di catturare come
delle prede quei bambini, cercando di impossessarsi di quella vitalità, di quell’energia che hanno
ammirato e che a loro sono mancate.
Riguardo l’entità e la durata del trauma che segue all’abuso, svolgono un ruolo importante l’età
del bambino, i parametri dell’abuso (frequenza, durata, tipo di abuso), gli aspetti psicobiologici della
personalità (eccitabilità, sensibilità al piacere e al dolore), la qualità dell’ambiente esterno (la possibilità,
per esempio, di parlarne o meno) e la modalità dell’aggressione. Il vero trauma è quello di cui non si
può fare esperienza psichica e simbolica ed è per questo che va distinto dalle situazioni traumatiche che
possono essere vissute in epoche successive all’infanzia e che possono essere presenti nella coscienza e
nella narrazione autobiografica del paziente.
È interessante notare che gli abusatori scelgono, tra i bambini, i più derelitti, i più sottomessi,
non soltanto per la facilità con cui possono circuirli, ma come caratteristica di attrazione.
L’essenza del trauma è il fatto che l’Io viene messo “fuori combattimento”: di fronte a un
accumulo di eccitamento di origine sia interna che esterna, l’Io sperimenta una condizione di
impotenza, costituendosi come la vittima centrale dell’episodio traumatico. In una fase precoce della
vita, un trauma potrà dare luogo, a seconda del contesto ambientale in cui si attua, a una distorsione o
addirittura a un arresto dello sviluppo, “esattamente come le mura di sostegno di una casa sono più
danneggiabili durante le operazioni di costruzione, che dopo completate” (A. Freud).
L’aspetto importante non è la natura del trauma in sé e per sé, ma piuttosto l’incapacità del
soggetto o del gruppo che lo circonda di elaborarlo, potendosi così generare dall’angoscia che lo
sottende due strade, una verso la compulsione ripetitiva che rende inutile il passare del tempo e
l’evolversi delle generazioni e l’altra che apre la storia alla soluzione e alle riparazioni creative, motivate
dall’angoscia che aveva caratterizzato l’elaborazione del trauma.
Lopez afferma che in più del 50 per cento dei casi il bambino vittima diventa a sua volta
abusatore, ma altre statistiche riferiscono dati intorno all’80 per cento. In ogni caso la maggior parte
delle ricerche affermano che l’abusante è stato a sua volta, durante l’infanzia, vittima di abusi.
Presentandosi nella realtà sessuale del ragazzo, l’abusatore distrugge tutto il processo
fantasmatico che, ai confini tra inconscio e preconscio, avrebbe dovuto permettere all’oggetto interno
di costituirsi lungo il corso dello sviluppo (Balier), e sottrae lo spazio psichico al cui interno possono
essere giocati i desideri edipici.
La nostra mente può difendersi dal dolore mentale tramite il pensiero, la rimozione, la
proiezione o la negazione. Vi sono, però, anche altri meccanismi più primitivi quali la scissione, il
diniego o l’identificazione proiettiva massiccia ed evacuativa, che possono intervenire. Forse, però, la
trasmissione transgenerazionale utilizza anche altri meccanismi, in parte ancora sconosciuti.
Sandler afferma che nelle relazioni umane “ogni parte cerca di imporre all’altra, di esternare in
ogni momento quella che può essere chiamata una relazione di ruolo intrapsichica. In questo contesto
… le relazioni oggettuali sono fondamentalmente relazioni di ruolo importanti». Così ognuno tenterà di
attualizzare (“nel senso di rendere reale un azione o fatto”) la relazione di ruolo inerente al suo attuale
desiderio o alla fantasia inconscia dominante. E questo meccanismo determina tra l’altro un “forte
attaccamento all’altro” anche se non sempre il legame che si viene a creare è di affetto.
Soffrire in un altro, soffrire al posto di un altro, diventa, da questo punto di vista, possibile
soprattutto se l’altro è un membro di un’altra generazione.
Pazienti con storie di abuso infantile sono privi di quello spazio di riflessione che Winnicott
chiama “spazio potenziale” e Ogden “spazio analitico”, ciò induce alla concretezza e alla propensione
all’atto impulsivo.
Il bambino vittima di un abuso può vivere una profonda confusione, sentirsi colpevole, avere
paura, può cercare di nascondere i propri sentimenti e il proprio disagio, custodire “un segreto”.
Gli abusi che avvengono all’interno dalla famiglia prendono il nome di “incesto”, termine che
indica qualunque tipo di relazione sessuale tra un bambino ed un adulto che condividono un legame di
parentela, o che vivono insieme.
7
Da un punto di vista sociale, quando si parla di incesto ci si riferisce al rapporto eterosessuale
fra persone consanguinee. L’incesto diventa reato quando ne deriva pubblico scandalo. Inoltrandosi
tuttavia nello studio antropologico, sociologico e giuridico di questo comportamento ci si rende conto
che tale definizione è restrittiva. Lo dimostra Héritier quando teorizza oltre ad un incesto di primo tipo,
che corrisponde a quanto detto sopra, anche un incesto di secondo tipo.
Mentre l’incesto di primo tipo si riferisce ai rapporti sessuali tra genitori e figli o tra fratelli e
sorelle, ma anche tra due sorelle, o due fratelli, quello di secondo tipo non avviene nel contatto fisico tra
le due persone consanguinee ma tramite una terza persona con la quale queste due persone hanno una
relazione sessuale: come succede quando due sorelle o una madre e una figlia hanno rapporti con lo
stesso uomo, oppure quando due fratelli o un padre e un figlio hanno rapporti con la stessa donna.
Questo tipo di incesto, che si potrebbe definire per procura, è considerato ancora più grave del primo
poiché è fondato sull’identità di genere in seno alla consanguineità: madre/figlia, padre/figlio,
sorella/sorella, fratello/fratello, zia/nipote femmina etc.
In pratica, anche la relazione sessuale tra un bambino ed il patrigno, la matrigna o sostituti
parentali permanenti si può considerare incesto, come pure gli atti compiuti in ogni tipo di relazione,
etero od omosessuale, non soltanto se si arriva all’accoppiamento, ma anche quando si verificano
pratiche oro-genitali, anali e masturbatorie, e determinati comportamenti parentali caratterizzati da
un’intimità fisica eccessiva o dall’imposizione al bambino di atti voyeuristici ed esibizionistici.
Il soggetto che ha subito il trauma dell’incesto insieme all’innocenza perde la capacità di fantasia
e la fiducia nel mondo.
Questo fenomeno manifesta l’incapacità dei pazienti traumatizzati di pensare a sé stessi e alle
relazioni in modo articolato e riflessivo, una caratteristica che li accomuna ai pazienti borderline.
È l’accumulazione di elementi identici che, ancora oggi in alcuni popoli, viene considerata come
portatrice di effetti nefasti dai quali bisogna difendersi.
Se il tabù dell’incesto è importante sul piano sociale, lo è ancora di più sul piano psichico. Non
sorprende che la trasgressione del tabù dell’incesto, di primo e di secondo tipo, provochi delle gravi
conseguenze psicopatologiche.
Parlando di incesto è inevitabile considerare il complesso di Edipo nei suoi vari significati, da
quello più usuale in cui il bambino prova sentimenti di amore ed odio nei confronti dei genitori o
sostituti, fino a giungere a un altro aspetto dell’Edipo, il desiderio dei genitori nei confronti del figlio, il
cosiddetto Edipo II che Fanti ritiene «la riattivazione di Edipo utero-infantile, condizione in cui la
madre e/o il padre desidera possedere fino all’incesto e distruggere fino alla morte il bambino o la
bambina». È questo un desiderio difficilmente ammissibile, che si rivela quando emerge nell’agire.
Sono state descritte alcune tappe caratteristiche nello sviluppo dell’incesto, da quando ha inizio
al momento in cui viene scoperto:
1. Fase dell’adescamento: il genitore abusante crea le condizioni necessarie alla messa in atto
dell’abuso, instaurando con la vittima un rapporto privilegiato, e preparando situazioni di isolamento
dal resto della famiglia.
2. Fase dell’interazione sessuale: la vittima viene coinvolta sempre più in attività sessuali, da
forme poco intrusive fino al rapporto sessuale completo.
3. Fase del segreto: il bambino viene costretto a mantenere il segreto, attraverso minacce di
violenza, di perdere l’affetto dei genitori, di non essere creduto, sollecitando sentimenti di colpa e di
vergogna.
4. Fase della rivelazione: quando l’incesto viene alla luce, le reazioni dei familiari possono essere
ambigue e contraddittorie; di frequente capita che proprio loro si oppongano alla verità, negandola,
minimizzando l’accaduto o accusando la vittima di voler disgregare la famiglia.
Se noi consideriamo il tema dell’incesto, che secondo Racamier sta alla base dell’antedipo,
dobbiamo tenere presente la possibilità di incesti-segreti delle generazioni precedenti.
L’onnipotenza è il prodotto finale dell’antedipo. L’antedipo è un fantasma e non corrisponde
all’edipo. L’edipo e l’antedipo vanno piuttosto intesi come due linee che s’incrociano, non come due
tappe che si succedono l’una all’altra.
8
Racamier chiama queste due linee fantasma–non fantasma: il fantasma si produce nell’inconscio,
si avvicina al corporeo, incarna un oggetto, può dirigere il pensiero e comandare le azioni (edipo); il
non-fantasma invece non ha movimento, come in una sceneggiatura, non ha trasformazione né
elaborazione, rimpiazza l’oggetto più che rappresentarlo e pietrifica il vissuto (antedipo).
Il nucleo principale dell’antedipo è caratterizzato da incesti tenuti segreti e da lutti negati.
È possibile che, se tali incesti si sono verificati nelle generazioni più vicine, la fissazione abbia
determinato l’insorgenza di un meccanismo di diniego che potremmo definire familiare o genealogico.
La madre proietterà sul “figurante predestinato” i suoi desideri incestuosi e il feto diventerà così il figlio
feticcio, il depositario del segreto.
Nei casi limite l’incesto agito è l’ultima arma contro la separazione, e il figlio può giacere con la
madre per evitare di desiderarla: quest’atto ha lo scopo preciso di proteggere dal fantasma. L’incesto,
com’è stato detto, è caratterizzato dal segreto e sarà conservato a qualunque prezzo, sovente con una
psicosi di famiglia.
Racamier parla di autogenerazione e di auto-disgenerazione. Questo fantasma confonde anche
le generazioni, dove il padre può essere il figlio e il figlio diventare il padre oppure la madre: tutto ciò
diventa la fonte del delirio.
Il diniego ha lo scopo di evitare la rottura del legame oggettuale. La megalomania è il sostegno
per impedire la caduta di questa difesa.
L’incesto si verifica all’interno di una dinamica affettiva molto particolare e complessa. Infatti,
mentre in qualsiasi altra forma di violenza sessuale la vittima, di qualsiasi età essa sia, ha la possibilità di
riconoscere nell’abusante la figura del colpevole, l’incesto priva chi lo subisce della libertà di difendersi e
di odiare.
Tipicamente, il minore che ha subito un abuso sessuale cerca di mantenere a distanza i ricordi
traumatici.
In alcuni casi, addirittura, è possibile che, almeno in determinati periodi della vita, la persona
abusata abbia amnesie, più o meno parziali, per gli eventi accaduti o ricordi estremamente confusi.
Molte sono le sofferenze e le limitazioni che derivano dall’abuso sessuale, quelle di più
frequente rilievo sono:
- Vissuti di tradimento ed impotenza, quando l’abuso viene commesso all’interno dell’ambiente
familiare, specie da un genitore o da chi avrebbe dovuto svolgere questa funzione. La persona abusata
tipicamente vive come una profonda ferita il fatto di non essere stata amata nel modo corretto da una
persone di cui aveva bisogno. Frequentemente, può pensare che, se si sono subite cose così gravi dai
propri familiari, certamente delle persone non ci si può fidare. Questo può portare ad una profonda
sfiducia nei confronti della gente o ad attuare comportamenti aggressivi e manipolatori, soprattutto nei
confronti delle persone dello stesso sesso dell’abusante.
- Calo dell’autostima, perché è tipica la bassa autostima e la sensazione di non essere veramente
degni amore nei soggetti abusati.
- Disturbi e patologie nella sfera della sessualità, in quanto la vittima dell’abuso oltre ai problemi
sessuali più tipici (difficoltà o impossibilità a raggiungere l’orgasmo, dolore durante i rapporti, difficoltà
a lasciarsi andare, assenza di sensazioni piacevoli o presenza di sensazioni piacevoli assieme a quelle
spiacevoli, sensi di colpa e di inadeguatezza eccessivi, sensazione di essere indegni o “sporchi”, assenza
di desiderio, disturbi dell’eccitazione, frigidità ed impotenza), può essere portato ad evitare la vita
sessuale in generale, oppure scegliere di agire una omosessualità di ripiego, soprattutto se l’iniziazione
alla sessualità è avvenuta all’interno della famiglia. Paradossalmente, l’abuso sessuale può anche portare
a promiscuità sessuale, ciò in ragione del fatto che le persone abusate tendono ad essere abusate
nuovamente per la difficoltà che hanno a tenere distinti l’affetto dal sesso. Altre volte perché hanno
un’opinione estremamente bassa di sé e, quindi, si lasciano andare ad un uso promiscuo e non
ponderato del proprio corpo.
- Sindromi dissociative e disturbi di personalità, problemi psicosomatici, disturbi del
comportamento alimentare, insonnia sono disturbi talvolta correlati all’abuso. Problemi di ansia e
depressione sono molto frequenti e possono insorgere fin dall’infanzia, diventando parte dell’individuo,
tanto da ritenere di non potere essere fatto diversamente.
9
- Disturbi della condotta, con abuso di alcool, di farmaci e di sostanze stupefacenti, condotte
devianti, difficoltà relazionali, ritiro sociale, e conflittualità sono frequentemente associati all’abuso.
- È inoltre da considerare la possibilità che l’abusato riproduca il comportamento d’abuso e le
violenze subite sui propri figli (il cosiddetto “ciclo dell’abuso”).
Gli effetti negativi dell’abuso non si limitano all’esposizione del minore all’evento traumatico,
ma si sommano con la convivenza del soggetto in un contesto familiare patologico, che lo costringe ad
attivare diverse difese psicologiche, per proteggersi o per adattarsi a questa esperienza.
Nel caso che gli abusi siano attuati da uno o da entrambi i genitori, nella loro storia sono spesso
presenti esperienze intergenerazionali di violenza fisica, abuso sessuale, trascuratezza fisica ed emotiva.
Solo talvolta è riscontrabile una vera e propria patologia nei genitori e, nel caso, sono i disturbi di
personalità borderline e narcisistico, la sociopatia e la pedofilia quelli più frequentemente rilevati.
È osservazione frequente che un bambino abusato finisca per ripetere la storia di violenza che
l’ha visto protagonista allorché, in presenza di fattori sociali, familiari e personali facilitanti, divenga
anch’egli un adulto abusante.
Spesso capita di leggere sui giornali storie di incesti e abusi sessuali sui bambini. Molto meno si
sente parlare delle conseguenze che queste situazioni ingenerano nelle vittime divenute adulte.
Terapeuti che si occupano delle famiglie, specialmente di quelle più gravi o con un membro
psicotico, ritengono che i segreti familiari abbiano rilevanza patologica e patogena.
Il compito del terapeuta, secondo Freud, è di scoprire un materiale psichico nascosto servendosi
di una serie di artifici investigativi, quali la regola delle associazioni libere e l’attenzione alle resistenze.
Freud sottolinea inoltre che un segreto accuratamente custodito si tradisce solo attraverso allusioni
sottili o ambigue, così come il paziente rivela il suo personale segreto sotto forma di figurazione
indiretta.
5. MITO E SEGRETO
Il mito non racconta solamente qualcosa, ma piuttosto si esprime attraverso ciò che racconta. Il
materiale narrativo che forma il mito è lo strumento attraverso il quale il mito comunica. Si arriva così
ad una concezione differente del mito che Lévi-Strauss descrive come un oggetto semiotico, come un
linguaggio nel quale “un certo materiale significante (il racconto) ha come funzione quella di trasmettere
un certo significato”. A causa di ciò, il mito collega differenti livelli di realtà e la sua grande importanza
nasce dalla sua capacità di funzionare da “intercodice” in quanto costituisce rapporti tra i differenti
livelli di realtà. Mentre il mito sembra descrivere la realtà, insegna e prescrive piuttosto come la realtà
deve essere letta.
Certo nelle dimensioni non patologiche la dimensione prescrittiva può essere messa anche in
discussione dalla storia personale del soggetto che può quindi risignificare a posteriori certi aspetti del
mito piuttosto che certi altri. Così leggende familiari possono illuminarsi retrospettivamente in una certa
dimensione, lasciando in ombra e non attivate le valenze delle altre, a seconda delle variabilità della
storia e della personalità individuale.
Dall’esame dei miti e delle leggende o dalle storie familiari di molti pazienti si evince l’incapacità
di operare un lutto quando gli eventi traumatici che hanno caratterizzato la storia familiare sono
rappresentati dal mito. La distinzione tra colpa depressiva e quella persecutoria assume una rilevanza
centrale dato che quest’ultima, la colpa persecutoria, rende complicato e inelaborabile il lutto.
L’impossibilità o l’incapacità di uno dei membri della generazione precedente di manifestare una
depressione può essere l’elemento centrale che rende incapaci anche tutti gli altri di allontanarsi dal
coinvolgimento. Il coinvolgimento induce nella generazione successiva, come difesa contro una
depressione che non si può neppure riconoscere, una patologia data dall’ammalarsi nell’altro, in una
migrazione della sofferenza psichica, in un’inconscia induzione nell’altro che assume forme diverse e
molto concrete.
Potremmo dire che sviluppare una malattia depressiva è una sorta di capacità e solo un Io
sufficientemente capace di tollerarla può ammalarsene, pena il panico, la confusione e l’angoscia
psicotica.
10
La permanenza del senso di colpa persecutoria rende paradossalmente l’oggetto, quantunque
ormai non più attivo, sempre vivo e capace di minacciare il resto del sé.
La persistenza di tali aspetti nel corso del tempo si può manifestare in vario modo nella famiglia.
I deficit della simbolizzazione inconscia che si manifestano come un materiale indigesto, non elaborato
dal genitore o dalla coppia parentale (Bonaminio, Giannotti, Carratelli) sono alcune delle manifestazioni
che si possono rivelare in forma psicopatologica sia in ambito controtransferale in terapia sia in agiti di
membri della famiglia (quelli che Granjon chiama “le voci del silenzio”).
Nei miti, nelle leggende e nelle tragedie il crimine non è mai un evento isolato di un individuo
singolo. Esso è al contrario al centro di un groviglio collettivo di multiple azioni ove ognuno svolge una
parte precisa.
Il mito o il segreto o l’identificazione con un antenato, entrano a far parte del processo
identificatorio. Può esistere cioè qualcosa di organizzato nella nostra mente che non appartiene solo al
corso della nostra vita.
A volte questo elemento o insieme di elementi sono, per riprendere la definizione di Laplanche,
fisiologicamente impiantati ed è possibile per noi farli nostri, integrarli in una complessa operazione di
riappropriazione.
A volte invece rimandano ad un violento processo di intromissione (Laplanche) o intrusione
(Winnicott) o colonizzazione (Meltzer) nella mente che viene così parassitata dall’interno. Spesso quello
che si determina è il crearsi di un doppio registro interno e interattivo, come ben si comprende se si
considerano gli effetti di un segreto familiare, capace di generare una precoce scissione tra aspetti
accettati e accettabili, che vivono allo scoperto nella vita familiare e aspetti nascosti, scissi o negati che
invece corrispondono al segreto.
La creazione di personalità con una identità duale o multipla può essere riferita a tali esperienze.
Il problema si fa rilevante quando la necessità di acquisire uno stato di autonomia e separatezza
comporta un processo di disidentificazione o di trasformazione creativa delle precedenti identificazioni.
Questo processo comporta una selezione, una trasformazione, forse un abbandono delle precedenti
eredità fantasmatiche che abbiamo ricevuto dagli altri, specialmente dai nostri genitori.
6. IL SEGRETO IN PSICHIATRIA
La nevrosi è, per Freud, l’espressione sintomatica di un conflitto fra un desiderio inconscio
fomentato e mantenuto dalla sessualità infantile rimossa e le difese messe in atto dall’Io. Al momento
dell’entrata nel periodo di latenza il desiderio d’incesto derivato dall’Edipo verrà massicciamente
rimosso, continuando comunque ad essere presente e a manifestarsi in modo diverso a secondo delle
fissazioni che si sono create nei vari stadi dello sviluppo psicobiologico di un individuo.
Un pensiero o un’idea ossessiva può essere un sintomo che ha la funzione di soddisfare
simbolicamente il desiderio rimosso, abbassando la tensione che si è creata; intanto lo stesso sintomo
diventa la punizione per aver tentato, anche solo simbolicamente, di soddisfare il desiderio proibito.
Allorché si verifica una trasgressione del tabù dell’incesto, poiché si realizza un desiderio insieme
attraente e pericoloso, compare un senso di colpa particolarmente forte che attiva la necessità di espiare.
L’espiazione è attuata grazie alla sofferenza che il sintomo produce.
Nella nevrosi ossessiva, che si origina da un rimosso iniziatico-anale, l’elemento fondante è il
segreto. Peluffo osserva che il segreto a volte può essere conscio e riferirsi nel suo contenuto manifesto
ad un fatto più o meno recente «che per spostamento e condensazione dà una forma a una catena di
“segreti”, che portano tutti lo stesso affetto: aver fatto qualche cosa che non si doveva fare, aver detto
qualche cosa che non si doveva dire, aver visto (o udito) qualche cosa che non si doveva né vedere, né
udire». Si verifica allora che dal segreto si origina l’autoaccusa.
Il soggetto per introiezione si assume la colpa di un evento traumatizzante subito passivamente,
evento catastrofico che ha scatenato un’ondata di aggressività distruttiva verso la situazione traumatica
ed i suoi personaggi, che rifluiscono nello psichismo del soggetto con due conseguenze:
a) uno stato perenne di colpa e autoaccusa;
11
b) una ricerca perenne di ricostruire l’evento traumatizzante, nel tentativo di diventare attivo
rispetto ad una situazione subita passivamente, e di modificarla.
Quando la patologia tende a privare il paziente della possibilità di scambiare elementi personali
con altri e tende a svuotarlo su un piano emotivo, allora può succedere che egli crei “falsi segreti” per
compensare la mancanza di uno spazio personale interno. Talora questi falsi segreti trattengono
frammenti di identità del soggetto impedendogli di regredire in una catastrofe psicotica.
Gli operatori che si occupano di individui con rilevanti deficit emotivi e relazionali e che
tendono a fuggire dalla relazione terapeutica possono farsi carico di costoro stando ad osservarli in una
prima fase, intervento indispensabile per raccogliere indicazioni atte ad orientare il trattamento, e
stabilendo con loro un legame di fiducia che permetterà poi l’approccio di altri membri dell’èquipe.
Il malato con gravi turbe psichiche, sia che siano legate ad esperienze traumatiche subite, sia che
derivino dalla sua profonda sensazione di vulnerabilità, deve esercitare un controllo sugli altri, specie
sulle persone significative, difendendosi da cambiamenti che, pur se apparentemente vantaggiosi,
rischiano di compromettere la sua sicurezza perché implicanti richieste più impegnative o maggior
coinvolgimento emotivo.
Talora individui psichicamente molto disturbati hanno bisogno che il terapeuta appaia loro poco
pericoloso ed intrusivo, che mantenga segrete le proprie conoscenze, che non faccia interpretazioni e
temporeggi nel prescrivere sedativi. Quando hanno ottenuto dal terapeuta il rispetto di questi requisiti,
rassicurati, questi malati possono aprire spiragli nella barriera difensiva che hanno eretta, perché il
cambiamento proposto e temuto potrebbe essere motivo di destrutturazione psichica.
È di frequente riscontro il fatto che il malato di mente tenda a manifestare alterazioni percettive
e vissuti deliranti prevalentemente in alcuni contesti, tenendoli segreti in altri, specie all’esterno del
gruppo di persone con cui ha confidenza. Si configura cioè una follia che si differenzia in pubblica o
privata, nel senso che rimane segreta quando il soggetto incontra persone con cui non ha confidenza e
si rivela con quelle di cui ha più fiducia. Talvolta questi pazienti fanno “dono” ai terapeuti della loro
follia quando vogliono “metterli alla prova” o ritengono siano in grado di accogliere la loro
“particolarità”.
Il terapeuta è spesso chiamato ad accettare l’inglobamento nel delirio, che lo rende
“persecutore”, egli dovrà, allora, saper utilizzare il linguaggio psicotico, mantenendolo in quell’ambito di
“gioco” che rappresenta una iniziale possibilità di elaborazione del delirio stesso.
Allorché si affronta l’aspetto patologico, si rileva che l’atto stesso del creare o perpetuare un
segreto può tradursi in un “sequestro” di aspetti o parti della vita emotiva individuale o familiare, anche
di generazioni diverse di quella del paziente.
Ciò che rende il segreto patologico e patogeno è proprio il “sequestro” di parti emotive più che
l’oggetto del segreto.
Quando si sottrae spazio in un’area dove potenzialmente può instaurarsi una reciprocità
elaborativa tra l’Io e l’altro e tra l’Io e se stesso, si produce un arresto del percorso temporale
soggettivo, perché si perpetua la ripetizione ossessiva delle conseguenze dell’evento traumatico.
Gli effetti più rilevanti riguardano l’identità del soggetto, dato che egli vive uno sdoppiamento,
all’interno del quale una sua parte è in relazione con il segreto e con la realtà sequestrata che esso
rappresenta.
Parallelamente, anche all’interno della famiglia si crea uno stato di scissione difficilmente
superabile, perché altrimenti il soggetto potrebbe integrare un aspetto alienante e sequestrato che non
appartiene alla sua storia e che egli non ha mai conosciuto personalmente.
I sintomi più gravi o talune manifestazioni psicosomatiche sono espressione del punto di
incontro-scontro tra questi due registri, potendo rappresentare la soluzione paradossale per il toccarsi e
vicendevole conoscersi di queste due strade parallele.
A volte si assiste, all’interno di incontri terapeutici, allo svelarsi di aspetti che rimandano in modi
più o meno diretto al segreto, magari attraverso i sogni di uno o di più membri della famiglia.
Spesso la richiesta di mantenere il segreto è connessa ad alcuni argomenti che, pur variando da
paziente a paziente, possono essere considerati ricorrenti e significativi.
12
Un primo contenuto riguarda la sessualità: spesso il paziente parla di sesso come di un segreto
tra lui e l’interlocutore (anche se altri malati, invece, come è noto, non hanno nessuna inibizione).
Il terapeuta non può limitarsi ad una osservazione passiva ma deve porsi come intermediario tra
la realtà fantastica, a volte angosciante, di cui il paziente si sente parte, e la dimensione rassicurante della
presa in carico terapeutica.
7. CONCLUSIONI
Il segreto è spesso un modo per acquisire potere sull’altro, come tale ha una funzione sociale
che viene riconosciuta ed accettata.
Se, però, il segreto coinvolge soggetti ancora dipendenti da altri, per età od altri fattori sociofamiliari, allora impedisce all’individuo di evolvere sul piano emotivo e relazionale. Ciò avviene perché
l’ambiente in cui il segreto ha motivo di mantenersi impedisce la possibilità di elaborazione del segreto e
della causa per cui è richiesta la segretezza.
Quando il segreto cela abusi e violenze, spesso configura reati di cui l’abusato non è
consapevole e di cui si colpevolizza.
La colpa non può essere alleviata se il segreto è un “mito” familiare, ovvero condiviso da
almeno un altro componente della famiglia. Svelare il segreto sarebbe catastrofico, perché renderebbe il
soggetto privo di ogni storia e di ogni legame, in balia della sua insicurezza ed isolato, reo di essere
fonte di sofferenza per tutta la famiglia.
Spesso incesto ed abusi producono una sofferenza psichica che può essere transitoria, se la
famiglia ascolta e comprende ciò che è accaduto al minore e lo mette in condizione di mobilizzare le sue
capacità evolutive, o permanente se la stessa famiglia non ha capacità o possibilità di sostegno e
comprensione. In ogni caso l’abuso creerà nella vittima dubbi sulla propria identità ed insicurezza.
L’abusato, oltre a potere trasformarsi, in condizioni sfavorevoli, abusante, può produrre tutta
una serie di patologie che vanno dai disturbi di personalità, alle nevrosi, alla depressione, alla
dissociazione ed alla psicosi.
È frequente il riscontro di segreti in molti pazienti con disturbi psichiatrici rilevanti, talvolta
concernenti aspetti di malattia, altre funzioni libere da malattia. Alcuni pazienti esprimono parti creative
di sé svelando “falsi segreti”, partecipano all’operatore la loro fiducia facendogli “dono” di loro segreti,
spesso riguardanti aspetti di malattia.
Anche operatori e professionisti hanno spesso a che fare con il segreto, sia per aspetti normativi
e deontologici che per motivi derivanti dall’organizzazione dei servizi socio-sanitari.
Dr. Giuseppe Giunta
Psichiatra
BIBLIOGRAFIA
AA. VV., Maltrattamento infantile in famiglia e servizi sociali, Unicopli, Milano, 1988.
Abraham N., Torok M., L’écorce et le noyau. Aubier-Flammarion, Paris, 1978.
Aguglia E., Riolo A., La pedofilia nell'ottica psichiatrica, Il Pensiero Scientifico, Roma, 1999.
Allport G. W., Psicologia della personalità, LAS, Roma, 1977.
American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, Child sexual abuse. Facts for families, in
www.aacap.org, 1998.
Antolisei F., Reati contro la persona, in Manuale di diritto penale, parte speciale, Vol. 1, Giuffrè, Milano,
1999.
Arieti S. (a cura di), Manuale di psichiatria, 3 Voll., Boringhieri, Torino 1969-70.
Aulagnier P., Les deux principes du fonctionnement identificatoire (permanence et changement). In: J.J.
Baranes et al. (a cura di), Psychanalyse, adolescence et psychose. Payot, Paris, 1986.
Balsamo M., L’Altro che è in noi. Una riflessione sul transgenerazionale, Interazioni, 1/1994. Franco
Angeli, Roma, 1994.
13
Barni M., Diritti, doveri, responsabilità del medico, Giuffrè, Milano, 1999.
Barry M. e Johnson A. M., The Incest Barrier, Psychoanal. Q., Vol. 27, 1958.
Barton W. E. e Sanborn C. T., Law and the Mental Health Professions. Frictions at the Interface,
International Universities Press, New York 1978.
Benedict H, Impara a difenderti, Bompiani, Milano, 1997.
Bernardi F., Le indagini del difensore, Milano, 1996.
Bertalanffy L. von, The Mind-Body Problem: a New View, Psychosom. Med., Vol. 24, 1964.
Bion W. R., Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Saggi e riconsiderazioni, Armando, Roma,
1988.
Biscardi G., Investigazioni difensive tra attualità e prospettive future, in Dir. pen. e proc., 1998.
Bleuler E., Affektivität, Suggestibilität, Paranoia, Halle, 1906.
Bockoven S., Moral Treatment in American psychiatry, J. Nerv. Ment. Dis., Vol. 124, 1956.
Boeri R., Bonfantini M., Ferraresi M. (a cura di), La forma dell’inventiva, Unicopli, Milano, 1986.
Bolino G., Bonaccorso L., Argomenti di medicina legale in pediatria, Mediserve, Firenze-Napoli,
1998.
Bonaminio V., Carratelli T., Giannotti A., Equilibrio e rottura dell’equilibrio nella relazione fra fantasie
inconsce dei genitori e sviluppo normale e patologico del bambino. In: AAVV Fantasie dei genitori e psicopatologia dei
figli. Borla, Roma, 1989.
Bruno A., Roggero P., Segreto professionale: riconoscimento giuridico, riflessi sulla professione e questioni
aperte, www.assnas.it.
Brunswick R. M., Supplemento alla “Storia di una nevrosi infantile” di Freud, in Reich, Brunswick e
altri, 1948.
Burnham D. L, Gladstone A. I., Gibson R. W., Schizophrenia and the Need-Fear Dilemma,
International Universities Press, New York, 1969.
Buzzi F., L’esercizio della medicina e la tutela della privacy ai sensi della legge n. 675/1996 e dei successivi
provvedimenti del Garante, Professione, n. 9, 1998.
Caffo E. (a cura di), Abusi e violenze all’infanzia, Unicopli, Milano, 1982.
Caffo E. (a cura di), L’abuso sessuale all’infanzia: considerazioni cliniche e proposte preventive, in Il bambino
incompiuto, n 2, 1985.
Caffo E., Camerini G. B., Florit G., Criteri di valutazione nell’abuso all’infanzia, McGraw Hill,
Milano, 2002.
Caffo E., Consulenza telefonica e relazione d’aiuto. La qualità dell’ascolto e dell’intervento con i bambini e gli
adolescenti. McGraw-Hill, Milano, 2003.
Caffo E., L’emergenza nell’infanzia e nell’adolescenza. Interventi psicoterapeutici e di comunità. McGrawHill, Milano, 2003.
Carnelutti, La prova civile. Parte generale. Il concetto giuridico della prova, Milano, 1992.
Carpenter W. T., L’approccio medico alla diagnosi e al trattamento delle schizofrenie. In: Feinsilver D. B.
(a cura di), Un modello comprensivo dei disturbi schizofrenici, Cortina, Milano, 1990.
Castoriadis Aulagnier P., Le droit au secret: condition pour pouvoir penser, Nouv. Rev. Psychanal., Vol.
14, 1976.
Ceccarelli F., Il tabù dell’incesto, Einaudi, Torino, 1978.
Cerati G. (a cura di), La fantasia al lavoro, Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
Cordero F., Il procedimento probatorio, in Tre studi sulle prove penali, Milano, 1963.
Correale A., Rinaldi L. (a cura di), Quale psicoanalisi per le psicosi?, Cortina, Milano, 1997.
Crespi A., La tutela penale del segreto, in Commentario breve al codice penale, a cura di G. Zuccalà, F.
Stella, Padova, 2002.
Cristiani A., Nuovo vademecum del difensore, Torino, 1994.
De Caro A., Percorsi legislativi e poteri delle parti nel processo penale: dal codice Rocco alla riforma delle
investigazioni difensive, Cass. pen., 2001.
De Mijolla A., Les visiteurs du moi. Sac Edition « Le belles lettres», Paris, 1986.
Dettore, D., Fuligni C., L’abuso sessuale sui minori. Valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili,
McGraw-Hill, Milano, 1999.
14
Eiguer A., L’identification à l’object transgénérationnel, Journal de la psychanalyse de l’enfant, 10,
1991.
Eiguer A., Les représentations transgénérationnelles et leurs effets sur le transfert dans la thérapie familiale,
Gruppo, 2, 1986
Eissler K. R., Notes on the psychoanalytic Concept of Cure, Psychoanal Study Child, Vol. 18, 1963.
Eissler K. R., Remarks on Some Variations in Psychoanalytical Technique, Int. J. Psych. Anal., Vol. 39,
1958.
Eissler K. R., Remarks on Some Variations in Psychoanalytical Tecnique, Int. J. Psycho-Anal., 39, 1958.
Engel G. A., The Clinical Application of the Biopsychosocial Model, Am. J. Psychiat 137, 1980.
Erikson E. H., Identity and the Life Cycle, International Universities Press, New York, 1959.
Faimberg H., A l’écoute du telescopage des generations: pertinence psychanalyque du concept, in: Kaes R. et
al. (a cura di), Transmission de la vie psychique entre generations, Dunod, Paris, 1993.
Faimberg H., Le téléscopage des générations, à propos de la génélogie de certaines identifications,
Psychanalyse à l’université, XII, 46, 1987.
Fairbairn W. R. D., Studi psicoanalitici sulla personalità, Boringhieri, Torino, 1970.
Fanti, Codoni, Lysek, Dizionario di psicoanalisi e micropsicoanalisi, Borla, Roma 1984.
Federn P., Psicosi e psicologia dell’Io, Boringhieri, Torino, 1976.
Feinsilver D. B., La prospettiva telescopica del trattamento di Pao. In: Feinsilver D. B. (a cura di), Un
modello comprensivo dei disturbi schizofrenici, Cortina, Milano, 1990.
Feinstein S. C., Giovacchini P. L. e Miller A. A. (a cura di), Psichiatria dell’adolescenza. Studi sullo
sviluppo e sulla sua patologia, Vol. 1, Armando, Roma, 1975.
Fenichel O., Trattato di psicoanalisi delle nevrosi e delle psicosi, Astrolabio, Roma, 1951.
Fergusson D., Muller R., Gli abusi sessuali sui minori, Centro Scientifico Editore, Torino, 2004.
Finkelhor D., Browne A., The traumatic impact of child sexual abuse: a conceptualization, American
Journal of Orthopsychiatry, n. 3, 1993.
Fisher S., Cleveland S. E., Body Image and Personality, Van Nostrand, Princeton, 1958.
Forza, A., Michielin, P., Sergio, G. (a cura di), Difendere, valutare e giudicare il minore. Il processo penale
minorile per avvocati, psicologi e magistrati, Giuffrè, Milano, 2001.
Fraiberg S., Tales of the Discovery of the Secret Treasure, Psychoanal. Study Child, Vol. 9, 1954.
Frances A. J., Widiger T., The Classification of Personality Disorders: an Overview of Problems and
Solutions. In: Frances A. J., Hales R. E. (Eds), Psychiatry Update: American Psychiatric Association Annual
Review, Vol 5., American Psychiatric Press, Washington, 1986.
Fredas G., Il difensore e gli eventuali testimoni nelle indagini preliminari, Cass. pen., 1989.
Frederick K., Projective Identification, Analyzability, and Hate, Psychoanal. Forum, Vol. 5, 1975.
Freeman T., Cameron J. L., McGhie A., Schizofrenici cronici, Boringhieri, Torino, 1972.
Freud A., L’Io e i meccanismi di difesa, “Opere”, Vol. 1, Boringhieri, Torino, 1978.
Freud S., Compendio di psicoanalisi, Vol. 11, 1938.
Freud S., Dalla storia di una nevrosi infantile - Caso clinico dell’uomo dei lupi, Vol. 7, 1914.
Freud S., Diagnostica del fatto e psicoanalisi, Vol. 5, 1906.
Freud S., Feticismo, Vol. 10, 1927.
Freud S., Introduzione alla psicoanalisi, Vol. 8, 1915-17.
Freud S., L’interpretazione dei sogni, Vol. 3., 1899
Freud S., Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (demantia paranoides) descritto
autobiograficamente. Caso clinico del presidente Schreber. In: “Opere”, Vol 6, Boringhieri, Torino, 1975.
Freud S., Totem e tabù: alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici, Vol. 7, 1912-13.
Freud S., Tre saggi sulla teoria sessuale, Vol. 4, 1905.
Frigo G., L’indagine difensiva da fonti dichiarative, in Processo penale: il nuovo ruolo del difensore, a cura di
L. Filippi, Padova, 2001.
Fromm-Reichmann F., Notes on the Treatment of Schizophrenia by Psychoanalytic Psychotherapy,
Psychiatry, 2, 1948.
Fromm-Reichmann F., Psicoanalisi e psicoterapia, Feltrinelli, Milano, 1964.
15
Garcia Badaracco J., Identification and its Vicissitudes in the Psychoses. The importance of the Concept of the
of the “Maddening Object”, Intern. J. Psycho-Anal., 67, 1986.
Gigliotti A., Incesti segreti e lutti negati: ripercussioni sulla sfera sessuale, www.psicoanalisi.it, 2001.
Giorgio D., Per una letteratura del segreto, Critica letteraria, XXVIII, Loffredo, Napoli 2000.
Giovacchini P. L. (a cura di), Tactics and Techniques in psychoanalytic Treatment, Vol. 2, Aronson,
New York, 1975.
Giovacchini P. L., Considerazioni strutturali e terapeutiche. In: Feinsilver D. B. (a cura di), Un modello
comprensivo dei disturbi schizofrenici, Cortina, Milano, 1990.
Giovacchini P. L., Schizophrenia: Struttural and Therapeutic Considerations, in Feinsilver, 1986.
Giovacchini P. L., Treatment of Primitive Mental States, Aronson, New York, 1979.
Girard C., Eléments pour une bibliographie psychanalytique sur le secret, Nouv. Rev. psychanal., Vol. 14,
1976.
Giunta G., Apprendimento e gioco, Riv. della Scuola Sup. dell’Economia e delle Finanze,
Roma, 10, 2005.
Goodwin J., Le vittime dell’incesto e le loro famiglie, Centro scientifico Torinese, Torino, 1982.
GovernoInforma/Dossier/infanzia, Come prevenire l’abuso sessuale ed i suoi effetti. Una breve guida per i
genitori, www.governo.it.
Granjon E., Alliance et aliénation, ou les avatars de la transmission psychique intergénérationnelle, Dialogue,
108, 1990.
Greenacre P. (a cura di), Affective Disorders. Psychoanalytic Contributions to Their Study, lnternational
Universities Press, New York, 1953.
Greenacre P., Studi psicoanalitici sullo sviluppo emozionale, Martinelli, Firenze, 1979.
Greenson R., Tecnica e pratica psicoanalitica, Feltrinelli, Milano, 1974.
Greenspan S. I., Approccio evolutivo alla psicopatologia: prospettive emerse dal lavoro clinico. In: Feinsilver
D. B. (a cura di), Un modello comprensivo dei disturbi schizofrenici, Cortina, Milano, 1990.
Grob G. N., Samuel B. Woodward and the Practice of Psychiatry in Early Nineteen Century America, Bull.
Hist. Med., Vol. 36, 1962.
Grotstein J. S., Il disturbo schizofrenico di personalità. In Feinsilver D. B. (a cura di), Un modello
comprensivo dei disturbi schizofrenici, Cortina, Milano, 1990.
Gulotta G., La vittima, Giuffrè, Milano, 1976.
Gulotta G., Trattato della menzogna e dell’inganno, Giuffrè, Milano, 1996.
Gulotta G., Vagaggini M. (a cura di), Dalla parte delle vittime, Giuffrè, Milano, 1980.
Hartmann H., Psicologia dell’Io e problema dell’adattamento, Boringhieri, Torino, 1966.
Hartmann H., Implicazioni tecniche della psicologia dell’Io, in Hartmann, 1964.
Hartmann H., Kris E., L’impostazione genetica in psicoanalisi, in Hartmann, Kris, Loewenstein,
1964.
Hartmann H., Loewenstein R. M., Scritti di psicologia psicoanalitica, Boringhieri, Torino, 1978.
Hartmann H., Psicologia dell’Io e problema dell’adattamento, Boringhieri, Torino, 1966.
Hartmann H., Saggi sulla psicologia dell’Io, Boringhieri, Torino, 1976.
Héritier F., Les deux soeurs et leur mère, anthropologie de l’inceste, Editions Odile Jacob, Paris, 1997.
Hillman J., Disturbi cronici e cultura. In: Le trame perdute, Cortina, Milano, 1985.
Introna F., Colafigli A., Tantalo M., Il codice di deontologia medica 1995 commentato con leggi e
documenti, Giuffrè, Milano, 1996.
Introna F., Il segreto professionale, Difesa Soc., 1959.
Jacobson E., La depressione, Martinelli, Firenze, 1977.
Jaspers K, Psicopatologia generale, Il Pensiero Scientifico, Roma, 1964.
Jones E., La fantasia del capovolgimento delle generazioni, in: Teoria del simbolismo, scritti sulla sessualità
femminile e altri saggi, Astrolabio, Roma, 1963.
Jung C. G., Ricordi, sogni, riflessioni, Rizzoli, Milano, 1978.
Kaes R. et al., Transmission de la vie psichique entre générations, Dunod, Paris, 1993.
Katan M., The Importance of Non psychotic Part of the Personality in Schizophrenia, Int. J. Psycho-Anal.,
Vol. 35, 1954.
16
Kempe R., Kempe H., Le violenze sul bambino, Armando, Roma, 1980.
Khan M. M. R., L’espace du secret, Nouv. Rev. Psychanal., Vol. 9, 1974.
Khan M. M. R., Lo spazio privato del Sé, Boringhieri, Torino, 1979.
Klein M., Invidia e gratitudine, Martinelli, Firenze, 1969.
Kohut H., La guarigione del Sé, Boringhieri, Torino, 1980.
Kohut H., Narcisismo e analisi del Sé, Boringhieri, Torino, 1976.
Kris E., Gli scritti di psicoanalisi, Boringhieri, Torino, 1977.
Kris E., Psicoanalisi e studio dell’immaginazione creativa, in Kris, 1975.
Kris E., Ricupero di ricordi dell’infanzia in psicoanalisi, in Kris 1975.
Kuhn T., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1969.
Landi S., Abuso intrafamiliare su minori, www.cepic-psicologia.it.
Langs R., The Therapeutic lnteraction, Aronson, New York, 1976.
Laplanche J., Nuovi fondamenti di psicoanalisi, Borla, Roma, 1991.
Lespérance C., Incesto e nevrosi ossessiva, www.psicoanalisi.it, 2001.
Levi-Strauss C., La pensée sauvage, Plon, Paris, 1962
Lévy A., Evalualion étymologique et sémantique du mot “secret”, Nauv. Rev. Psychanal., Vol. 14, 1976.
Liberman R. P., La riabilitazione psichiatrica, Cortina, Milano, 1997.
Lichtenberg J. D., La psicoanalisi e l’osservazione del bambino, Astrolabio, Roma, 1988.
Lichtenberg J. D., Psicoanalisi e sistemi motivazionali, Cortina, Milano, 1995.
Loewenstein R. M., Remarks in Some Variations in Psycoanalytic Technique, Int. J. Psycho-Anal., Vol.
39, 1958.
Loewenstein R. M., Variations in Classical Tecnique: Concluding Remarks, Int. J. Psycho-Anal., 39,
1958.
Magrin, M.E. (a cura di), Guida al lavoro peritale, Giuffrè, Milano, 2000.
Mahler M. S., Fine F., Bergman A., La nascita psicologica del bambino,Boringhieri, Torino, 1978.
Mahler M. S., Le psicosi infantili, Boringhieri, Torino, 1972.
Mahler M. S., Pine F., Bergman A., La nascita psicologica del bambino, Boringhieri, Torino, 1978.
Malacrea M., Vassalli A. (a cura di), Segreti di famiglia, Cortina, Milano, 1990.
Margolis G. J., Secrecy and Identity, Int. J. Psycho-Ana1., Vol. 47, 1966.
Maslow A. H., Motivazione e personalità, Armando, Roma, 1982.
Mazzoni, G. (a cura di), La Testimonianza nei casi di abuso sessuale sui minori. La memoria, l’intervista e
la validità della deposizione, Giuffrè, Milano, 2000.
Meltzer D., Il processo psicoanalitico, Armando, Roma, 1981.
Meltzer D., Un approccio psicoanalitico alla psicosi, Quaderni di psicoterapia infantile, Borla, Roma,
2, 1979
Menninger K, The Vital Balance. The Life Process in Mental Health and Illness, Viking Press, New
York, 1966.
Menninger K., The Vital Balance, The Viking Press, New York, 1966.
Miller A., Il bambino inascoltato, Bollati Boringhieri, Torino, 1987.
Miller A., La persecuzione del bambino. Le radici della violenza, Bollati Boringhieri, Torino, 1987.
Milner M., Le mani del dio vivente, Armando, Roma, 1974.
Milner M., Psycho-Analysis and Art, in Sutherland, 1958.
Montecchi F., Gli abusi all’infanzia. Dalla ricerca all’intervento clinico, Nuova Italia scientifica, Roma,
1994.
Montecchi F., Prevenzione, rilevamento e trattamento dell’abuso all’infanzia, Borla, Roma, 1991.
Montecchi F., Problemi psichiatrici in pediatria, Borla, Roma, 1991.
Musacchio V., La nuova legge sulla violenza sessuale, Riv. Pen., 1996.
Musatti G., Elementi di psicologia della testimonianza, Cedam, Padova, 1931.
Nicolo A. M., La relation thérapeutique en thérapie familiale, in: Ackerman A., Andolfi M. (a cura di),
La création du système thérapeutique, Les Editions ESF, Paris, 1987.
Nicolò Corigliano A. M., Il transgenerazionale tra mito e segreto, Interazioni, n.1, 1996.
www.psychomedia.it.
17
Niederland W. G., I1 caso Schreber. Profilo psicoanalitico di una personalità paranoide, Astrolabio,
Roma, 1975.
Nunberg H., Practice and Theory of Psychoanalysis, New York University Press, New York, 1965.
Pandolfi A. M., Lo psicoanalista e la famiglia dei pazienti gravi, in: Correale A, Rinaldi L. (a cura di),
Quale psicoanalisi per le psicosi?, Cortina, Milano, 1997.
Pao P. N., Disturbi schizofrenici, Teoria e trattamento da un punto di vista psicodinamico, Cortina, Milano,
1984.
Peluffo N., Prefazione a La relazione incestuosa, di Liliana Bal Filoramo, Borla, Roma, 1996
Pezzoni F., Schinaia C., La relazione pedofila, in Pedofilia pedofilie. La psicoanalisi e il mondo del pedofilo,
Psychomedia, www.psychomedia.it.
Puccini C., Istituzioni di Medicina Legale, Ed. Ambrosiana. Milano, 1995.
Racamier P. C, Gli schizofrenici, Cortina, Milano, 1983.
Racker H., Il significato e l’impiego del controtransfert, in Racker, 1968.
Racker H., Studi sulla tecnica psicoanalitica, Armando, Roma, 1970.
Rado S., Dynamics of Classification of Disordered Behaviour, Am. J. Psychiat., 110, 1953.
Randazzo E., Deontologia e tecnica del penalista, Milano, 2000.
Reich A., On Counter-Transference, Rev. urug. Psicoanal., Vol. 4, 1961-62.
Reich W., Brunswick R. M., Abraham K. e Altri, Letture di psicoanalisi, a cura di Robert Fliess,
Boringhieri, Torino, 1972.
Roccia C., Foti C., L’abuso sessuale sui minori. Educazione sessuale prevenzione e trattamento, Unicopli,
Milano, 1994.
Rosenfeld H. A., Stati psicotici, Armando, Roma, 1973.
Rosolato G., Le non-dit, Nouv. Rev. Psychanal., Vol. 14, 1976.
Rossetti E., Tra ricordo e fantasia: il minore nella testimonianza, Età Evolutiva, n. 4, 1992.
Rycroft C., Imagination and Reality, Hogarth Press, Londra, 1968.
Rycroft C., Symbolism and its Relation to the Primary and Secondary Processes, in Rycroft, 1968.
Salvadori V., L’investigatore privato autorizzato e il segreto professionale, www.filodiritto.com.
Sandler J., Countertransference and Role-Responsiveness, int. Rev. Psycho-Anal., 3, 1976.
Sandler J., Projection, Identification, Projective Identification, Int. Univ. Press., Madison, 1987
Scardaccione G., Autori e vittime di violenza sessuale, Bulzoni, Roma, 1992.
Searles H. F., Scritti sulla schizofrenia, Boringhieri, Torino, 1974.
Sechehaye M. A., Diario di una schizofrenica, Giunti Barbera, Firenze, 1957.
Segal H., Alcuni aspetti dell’analisi di uno schizofrenico, in Segal, 1980.
Segal H., Casi clinici. Psiche e storia, trad. it. Il Pensiero Scientifico, Roma, 1980.
Semrad E., Teaching Psychotherapy of psychotic Patienls, Crune & Stratton, New York, 1969.
Serra C., Proposte di criminologia applicata 2000, Giuffrè, Milano, 2000.
Smirnoff V. N., La squelette dans le placard, Nouv. Rev. Psychanal., Vol. 14, 1976.
Stern D. N., Il mondo interpersonale del bambino, Bollati Boringhieri, Torino, 1987.
Sutherland J. D. (a cura di), Psycho-Analysis and Contemporary Thought, Hogarth Press, Londra,
1958.
Szasz T. S., Il mito della malattia mentale, Il Saggiatore, Milano, 1974.
Tausk V., Origine della “macchina influenzatrice” nella schizofrenia, in Reich, Brunswick e altri, 1948.
Telefono Azzurro, Bambini e adolescenti di fronte alle paure. Guida per genitori ed insegnanti, in
www.azzurro.it, 2003.
Telefono Azzurro, Come prevenire l’abuso sessuale e i suoi effetti. Guida per i genitori, Edizioni San
Paolo, Milano, 2001.
Telefono Azzurro, Eurispes, 1° Rapporto Nazionale sulla condizione dell’infanzia e della preadolescenza,
Roma, 2000.
Telefono Azzurro, Eurispes, 2° Rapporto Nazionale sulla condizione dell’infanzia e della preadolescenza,
Roma, 2001.
Telefono Azzurro, Eurispes, 3° Rapporto Nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza,
Roma, 2002.
18
Telefono Azzurro, Eurispes, 4° Rapporto Nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza,
Roma, 2003.
Telefono Azzurro, La depressione nei bambini e negli adolescenti. Guida per genitori ed insegnanti, in
www.azzurro.it, 2001.
Telefono Azzurro, Vittime silenziose: bambini e adolescenti di fronte alla guerra, al terrorismo e ad altri
eventi traumatici. Guida per genitori ed insegnanti, in www.azzurro.it, 2002.
Venditti P., Riccio M., Le vittime dei reati sessuali, Atti XIV Convegno di Criminologia e Psichiatria
Forense, 1996, Modena.
Wallenstein A, Panel on Transference, Int. J. Psycho-Anal., Vol. 55, 1974.
Weinberger J. e Muller J., The American Icarus Revisiled: Phallic Narcissism and Boredom, Int. J.
Psycho-Anal., Vol. 55, 1974.
Winnicott D. W., Dalla pediatria alla psicoanalisi, Martinelli, Firenze, 1975.
Winnicott D. W., Gioco e realtà, Armando, Roma, 1974.
Winnicott D. W., L’adolescenza: un faticoso superamento della depressione, in Feinstein, Giovacchini e
Miller, 1971.
Winnicott D. W., La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, Armando, Roma, 1982.
Winnicott D. W., Oggetti transizionali e fenomeni transizionali. Uno studio del primo possesso non-me. In:
Dalla pediatria alla psicoanalisi, Martinelli, Firenze, 1975.
Winnicott D. W., Presentazione a Milner, The Hogarth Press & the Institute of Psycho-analysis,
Londra, 1969.
Winnicott D. W., Recensione a Jung, Int. J. Psycho-Anal., Vol. 45, 1964.
Winnicott D. W., Comunicare e non comunicare, studio su alcuni opposti, in: Sviluppo affettivo e ambiente,
Armando, Roma, 1970.
Winnicott D. W., La pazzia della madre che appare nel materiale clinico come fattore ego-alieno, Richard e
Piggle, 1, 2, 1993.
Zangrilli Q., Ipocondria: paranoia nel soma, Scienza e Psicoanalisi, gennaio 2001.
Zapparoli G. C, L’alleanza terapeutica nella psicoterapia analitica degli stati psicotici, Riv. Psicoanal., Vol.
3, 1986.
Zapparoli G. C, La paura e la noia. Contributo alla psicoterapia analitica degli stati psicotici, Il Saggiatore,
Milano, 1979.
Zapparoli G. C, La perversione logica. I rapporti tra sessualità e pensiero nella tradizione psicoanalitica,
Angeli, Milano, 1970.
Zapparoli G. C, Psicoanalisi del delirio, Bompiani, Milano, 1967, (rist. 1982).
Zapparoli G. C, Psicoanalista, mestiere inventivo: la storia di Aldo, in Boeri, Bonfantini e Ferraresi,
1986.
Zapparoli G. C. e altri, La psichiatria oggi, Bollati Boringhieri, Torino, 1988.
Zapparoli G. C., Adler Segre E., Vivere e morire, Feltrinelli, Milano, 1997.
Zapparoli G. C., La psicosi e il segreto, Bollati Boringhieri, Torino, 1987.
Zapparoli G. C., Paranoia e tradimento, Bollati Boringhieri, Torino, 1992.
Zapparoli G. C., Torrigiani G. (a cura di), La realtà psicotica, Bollati Boringhieri, Torino, 1994.
Zubin J., Spring B., Vulnerability: a New View of Schizophrenia, J. Abn. Psychol., 86, 1977.
19