Atti del convegno pdf

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Atti del convegno pdf
 GVV – Gruppi di Volontariato Vincenziano C.M. ‐ Padri della Missione FDC ‐Figlie della Carità SdC – Suore di Carità Società San Vincenzo de’ Paoli Atti del Convegno “Da s. Vincenzo a Santa Luisa De Marillac alla Famiglia vincenziana: 350 anni di carità e missione” 24 aprile 2010 Università Cattolica del Sacro Cuore Milano – Aula Magna Pagina 2
INDICE Saluti di Cluadia Gorno ................................................................................................................... 4
Messaggio Regione Lombardia ‐ Direzione generale Famiglia e solidarietà sociale ..................... 5
Quando i poveri salvano la chiesa: S. Vincenzo de Paoli – Padre Luigi Mezzadri CM .................... 7
Un capolavoro dello Spirito: Luisa de Marillac – sr Liliana Aragno FdC........................................ 15
Un degno figlio di san Vincenzo: beato Federico Ozanam – Roberto Forti SSV........................... 27
Giovanna Antida Thouret, il coraggio della carità: sr. Vandamaria Clerici SdC ............................ 34
Relazione dell’attività delle Conferenze vincenziane lombarde – Angela Toja............................ 41
Relazione dell’attività dei Gruppi di Volontariato Vincenziano Lombardia – Miriam Magnoni... 45
Evoluzione delle opere vincenziani tradizionali: sr. Carla Farina FdC........................................... 52
Servizi di aiuto a chi è in grave emarginazione: Roberta Premoli (GVV) ...................................... 56
Risposte alle fragilità umane: Alessandro Giachi SSV................................................................... 57
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Saluti di Cluadia Gorno Presidente Nazionale Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo de’ Paoli Grazie a tutti per essere qui così numerosi in questo momento importante per tutta la Famiglia Vincenziana. E’ la mia prima uscita pubblica come Presidente Nazionale della San Vincenzo, e sono felice di essere qui con tutti Voi, come in famiglia, e vedo in sala molti volti conosciuti. Immagino l’impegno e la difficoltà da parte di tutti i settori della Famiglia Vincenziana profusi per l’organizzazione di questo evento così importante per tutti noi, e ringrazio di cuore tutti coloro che si sono adoperati per la buona riuscita di questa giornata. Festeggiare insieme, tutta la Famiglia Vincenziana l’anno giubilare per il 350° di San Vincenzo e di Santa Luisa di Marillac è sicuramente un grande segno, e sono certa che i nostri Fondatori ci aiuteranno e credo ne saranno contenti. La mia speranza è che tutta la Famiglia Vincenziana da questo Anno Giubilare possa trovare la voglia e la forza di rinnovarsi per essere al passo dei tempi, senza mai venir meno al carisma dei nostri fondatori che sicuramente sono stati molto profetici. Da parte mia posso assicurare la massima disponibilità affinché i rapporti possano essere sempre più stretti e fruttuosi, seppur nel rispetto delle diversità e delle autonomie. Il mio augurio è che dopo questo Convegno ognuno vada a casa più motivato e con il desiderio di prestare ancora più attenzione ai nostri fratelli meno fortunati, magari prendendo lo spunto da quello che ascolteremo. Buon convegno a tutti. Pagina 4
Messaggio Regione Lombardia Direzione generale Famiglia e solidarietà sociale Pagina 5
Il mondo del volontariato ed in generale del terzo settore lombardo si sta imponendo come uno degli attori principali della stagione di riforma del welfare che da oltre un decennio abbiamo voluto aprire in Lombardia. Il Terzo Settore nella nostra regione si è confermato in questi anni come un fenomeno vivace e articolato, in continua espansione ed evoluzione. E’ aumentato costantemente, infatti, il numero delle associazioni di volontariato, delle cooperative sociali, delle organizzazioni di volontariato, delle associazioni famigliari, delle fondazioni, dei soggetti sociali senza scopo di lucro, ecc. e quello dei lombardi in esse impegnati, prevalentemente nel settore socio‐assistenziale. In particolare in Regione Lombardia al 31.12.2009 risultano iscritte al Registro Generale Regione del Volontariato 4.566 Organizzazioni, con una crescita del 16,39% rispetto al 2005. Se alle Organizzazioni di volontariato aggiungiamo anche altri soggetti sono presenti in Regione Lombardia circa 40.000 soggetti terzo settore, che rappresentano il 15% di tutti quelli censiti a livello nazionale. Questi datti testimoniano che in Italia c’è un immenso giacimento di generosità! Ma il dato forse più importante è che questa attività di milioni di persone, dà servizi a 7 milioni di nostri concittadini, spesso le fasce più deboli della nostra popolazione! Nonostante le difficoltà economiche, la destrutturazione dei tempi di vita il mondo del volontariato ha retto bene e la scelta di dedicare tempo agli altri non è venuta meno. In Lombardia, così, il terzo settore è diventato nel tempo a pieno titolo un attore strategico per la realizzazione di politiche di effettivo benessere sociale, nell'ambito del welfare plurale, civile e societario che informa tutta l’azione della Regione Lombardia. In particolare con l’approvazione della legge regionale n. 3/2008 “Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario”, nell’ottica di una vera sussidiarietà verticale ed orizzontale, il ruolo del terzo settore è stato ulteriormente valorizzato e rafforzato sia nel momento della programmazione, sia nelle gestione diretta dei servizi, sia ancora nella possibilità di sperimentare modelli di intervento innovativi. La legge, insomma, scommette sulla maturità del volontariato e sulla sua capacità di essere attore protagonista non solo nei servizi, ma più in generale nelle politiche sociali. Uno di questi attori fondamentale del sistema lombardo, è sicuramente la Federazione Regionale Lombarda della Società di San Vincenzo de' Paoli, facente parte della Federazione Nazionale Italiana con sede a Roma (la quale a sua volta fa parte della Confederazione Internazionale con sede a Parigi) presente in Regione Lombardia con ben 17 sedi operative e, che da sola conta più di 4.000 volontari. L'obiettivo associativo è la promozione della dignità umana, attraverso aiuti economici ma soprattutto stimolando ed educando le persone a trovare in se stesse le risorse per affrontare i problemi. La Famiglia Vincenziana si distingue per la sua opera preziosa svolta sul territorio a favore delle famiglie povere, minori, ragazze madri, ammalati, anziani, carcerati ed ex carcerati, senza dimora, immigrati in collaborazione con i Servizi Sociali, la Caritas, il Banco Alimentare ed altre Organizzazioni di Volontariato. Di particolare rilievo sono inoltre i progetti di solidarietà in cui la Federazione regionale è impegnata con le sue Opere Speciali, Dormitori, Case di Accoglienza, Progetti Microcredito e molti altri. Pagina 6
L’attività svolta dalla San Vincenzo rappresenta sicuramente una significativa e qualificata espressione dello spirito di generosità e di operosità che anima il popolo lombardo, e che deve, al contempo, trovare sempre meglio la giusta collocazione all’interno del rinnovato welfare. Quando i poveri salvano la chiesa: S. Vincenzo de Paoli. Padre Luigi Mezzadri CM Ci sono due modi di considerare la presenza della Chiesa nella società, che comportano due scelte. La prima scelta suggerisce agli uomini di Chiesa di allearsi al potere politico e così influire sulla società. È la scelta dell’epoca costantiniana: la Chiesa da perseguitata dall’Impero romano si alleò con l’Impero pensando in tal modo di avere la garanzia di influire sulla società. L’incoronazione imperiale di Carlo Magno, la conversine di Enrico IV (“Parigi val bene una messa”), l’alleanza Trono‐Altare nell’800, il concordato del 1929 furono in questa direzione. Non è lontana da questa prospettiva la pretesa di quegli ecclesiastici che in ogni tempo cercano di vellicare gli uomini di potere per favorire le opere cattoliche o la moralità pubblica. Tale posizione ha i suoi vantaggi, ma anche i suoi rischi. Offrono visibiltà ma, in cambio di risultati tangibili (costruzione di chiese e seminari, appoggio alle scuole e opere cattoliche, difesa di taluni principi, a scapito della perdita della libertà. Pagina 7
La seconda scelta parte dalla premessa della libertà della Chiesa. Per poter essere libera di annunciare e denunciare la Chiesa dev’essere libera dai vantaggi del potere. Madame de Montespan, Françoise Athénaïs de Rochechouart de Mortemart di Montespan (1640–1707), si recò il mercoledì santo 10 aprile1675 a confessarsi presso il lazzarista padre André Lécuyer. La nostra congregazione allora aveva la cappellania di Versailles e le due parrocchie della città. Era quindi molto esposta. Era «un caso di coscienza» molto delicato per un prete ascoltare la confessione dell’ amante del re Luigi XIV, cui aveva già dato parecchi figli. Il confessore la congedò con queste parole: «Siete forse quella signora de Montespan che scandalizza tutta la Francia? Andatevene, signora, cessate di scandalizzare la gente e poi venite a gettarvi ai piedi dei ministri di Gesù Cristo». E non l’assolse. Mme de Montespan ricorse al re. Luigi XIV si rivolse a Bossuet. L'aquila di Meaux ribadì che il missionario aveva fatto il suo dovere. Bossuet scrisse al re: «Riflettete, Sire, che non potete veramente convertirvi, se non v'impegnate ad eliminare dal vostro cuore non solo il peccato, ma le sue radici». Per un po’ i due amanti si allontanarono. Però poco tempo dopo la relazione riprese più forte di prima, anche se poi altre bellezze entrarono in concorrenza, finché la sontuosa Montespan non cadde in disgrazia. Questo non ebbe conseguenze per noi, perché il partito di Mme de Maintenon aveva interesse a demolire quello della Montespan. Ma fu un caso. La coerenza si paga sempre. S. Ambrogio di fronte a Teodosio che aveva commesso l’atroce strage di Tessalonica non ebbe vantaggi. Gregorio VII pagò con la morte in esilio l’umiliazione inflitta a Canossa ad Enrico IV. Il Papato a causa del non possumus per la pretesa di Enrico VIII di veder riconosciuto il proprio divorzio perse l’Inghilterra. Il padre Lécuyer era discepolo di s. Vincenzo. Il santo si tenne sempre lontano dalle manovre di corte e dalle congiure di palazzo. Fu stimato per quello che era non per le amicizie che aveva. Questo perché fu salvato: salvato dai poveri. Tentato dalla propria ambizione (Vincenzo non era naturalmente umile), dopo una decina d’anni perduti nella ricerca di una sistemazione vantaggiosa per se e la famiglia, a un certo punto fu catturato da due amori: Gesù e i poveri. Gesù Cristo Vincenzo scrisse a un confratello geloso dei successi pastorali di un altro: «Un prete dovrebbe morire di vergogna se ricercasse la reputazione in ciò che fa per il servizio di Dio, e se pensasse di poter morire nel proprio letto, mentre vede Gesù Cristo ricambiato per le sue fatiche con l’obbrobrio e col patibolo della croce. Ricordati che noi viviamo in Gesù Cristo mediante la morte di Gesù Cristo; e che dobbiamo morire in Gesù Cristo, mediante la vita di Gesù Cristo; e che la nostra vita dev’essere nascosta in Gesù Cristo e piena di Gesù Cristo; e che, per morire come Gesù Cristo, bisogna vivere come Gesù Cristo. Pertanto, su tale fondamento, abbracciamo il disprezzo, la vergogna, l’ignominia e disapproviamo gli onori che gli altri ci rendono, la buona reputazione e gli applausi; e non facciamo niente che non sia rivolto a questo fine» (I, 294‐295). Il Cristo non fu da lui considerato un pretesto da sfruttare ai fini di potere. Ricordo la mattina del 28 febbraio 1991. Avevo avuto il privilegio di concelebrare nella cappella privata con Giovanni Paolo II. Prima della Messa dissero al papa: “Hanno annunziato la pace in Iraq”. Il papa, con la sua voce profonda e scrollando la testa, disse: “Che pace, che pace…” È un fatto che non amò mai le guerre e le paci dei due Bush. Non so se dopo il suo smarcamento gli fecero pagare dazio scatenando la caccia contro gli abusi sessuali dei preti americani. Comunque doveva farlo. S. Vincenzo andò da Richelieu a chiedere la pace, dopo che l’entrata nella guerra dei Trent’anni della Francia aveva scatenato distruzioni, sacrilegi e morte. Quando poi iniziò la guerra della Fronda Vincenzo chiese le dimissioni di Mazzarino. Il cardinale primo ministro scrisse sul suo carnet che Vincenzo era ormai schierato con i suoi nemici. E segnò la fine politica del Santo della carità. Ma Vincenzo doveva farlo. Fu estromesso dal Consiglio di coscienza e le sue opere non ebbero più i favori del Potere. Leggevo nei giorni scorsi il giudizio di mons. Tardini allo scoppio della guerra d’Etiopia: «Il clero dev’essere calmo, disciplinato, obbedire ai richiami della Patria. È chiaro. Ma invece questa volta è esaltato, tumultuoso, guerrafondaio. Almeno si salvassero i vescovi. Niente affatto: più verbosi, più eccitati, più squilibrati di tutti. Offrono oro, argento: anelli, catene, croci, orologi, sterline. E parlano di civiltà, di religione, di missione dell’Italia in Africa. E intanto l’Italia si prepara a mitragliare, a cannoneggiare migliaia e migliaia di Etiopi, rei di difendere casa loro». Vincenzo e Giovanni Paolo II da chi avevano imparato che uccidere è male, che la guerra è male, se non da Gesù Cristo? Gesù fu considerato da Vincenzo «nostro padre, nostra madre e il nostro tutto» (V,534); «la vita della nostra vita e l’unica pretesa del nostro cuore» (VI,563) e soprattutto «la regola della Missione» (XII,130). Credere in Gesù Cristo non vuol dire fare come quel predicatore che a Parigi (siamo negli anni di Ozanam) predicava alla Madeleine e in una parrocchia della Parigi proletaria. Nella prima Chiesa, frequentata dalla Parigi da bere, insegnava i doveri dei poveri e nella Chiesa di periferia aveva il coraggio di annunciare a uomini e donne sfatti dal lavoro i doveri dei ricchi. Con sommo plauso da tutti. Il Gesù insegnato da Vincenzo era il Gesù intimistico o il Gesù che relativizza il Potere, che dice di dare a Cesare quello che è di Cesare, ma dare a Dio quel che è di Dio? Il Gesù che dice: Guai a voi ricchi o un Gesù che si fa costruire le chiese dai potenti di questo mondo? Pagina 8
Ma domandiamoci: è questo che dobbiamo fare? Certo ce la potranno far pagare. Anche solo con denunce. I proprietari di giornali chi sono? Da che parte stanno? Non parlo di destra e sinistra, ma di Potere. Chi preservò Vincenzo dal bruciare incenso e lodi al Potere? Furono i poveri. In fondo nel 1848 quando si ebbe la prima guerra del Risorgimento Pio IX era incerto. Ozanam gli scrisse: “Passiamo ai barbari”, che per lui erano gli operai sfruttati, i bambini costretti a lavorare in miniera oltre le 12 ore con un salario da fame. Invece si scelse la difesa del Potere Temporale. Sempre il Potere. E lo Stato della Chiesa (non parliamo di Vaticano), invece d’impegnarsi nella questione sociale face nascere la Questione del Risorgimento. Sempre il Potere. Ozanam, vero figlio di s. Vincenzo, intuì che doveva essere fatta una diversa strategia. Ma lui come s. Vincenzo era stato conquistato dai poveri. I poveri Veniamo allora ai poveri. Furono loro che salvarono s. Vincenzo. Come hanno salvato s. Francesco o hanno fatto uscire Madre Teresa dal ben protetto collegio della ricca borghesia indiana e costretto Ozanam a impegnarsi non solo dal punto di vista culturale nelle conferenze di Storia e di Notre Dame, ma nell’inizio delle Conferenze di s. Vincenzo che furono alle origini del movimento sociale cristiano. Per capire come furono toccati Vincenzo e Ozanam dobbiamo ritornare sul Monte delle Batitudini. Gesù vede le folle, e sale sulla montagna. Non è una montagna qualsiasi. Matteo vuol farci capire che si tratta di una Montagna speciale, perché “speciale” è ciò che Gesù vuol fare. Le folle invece non hanno nulla di “speciale”. Sono le moltitudini senza pastore, uomini e donne di tutti i tempi, con una duplice fame: di Pane e Parola. Pagina 9
Guardiamo la Montagna. È il Monte di Dio. E da lì, come dal Sinai, Gesù vuol consegnarci la sua Legge. Nel silenzio della montagna, Gesù comincia il suo discorso. La maggior parte degli autori traducono le sue parole, pronunciate in aramaico, con “beati”. Beatitudine sembra dire appagamento. Accontentatevi. Siete fortunati. C’è il rischio di capire male le sue parole. Perché Gesù non vuol dire che poveri, timidi, persone indifese o che piangono devono ritenersi appagati, devono considerarsi fortunati nelle loro disgrazie! Per capire bene il significato di queste beatitudini ho aperto la Bibbia tradotta in francese da André Chouraqui. Egli, al fine di mantenere il senso aramaico, traduce “Beati”, così: “En marche…”. I poveri, gli afflitti, i miti, e tutte le altre categorie ricordate da Gesù sono coloro che si devono mettere in cammino, che possono “venire”, che possono avvicinarsi a lui. Sono essi gli unici che sono attrezzati per scalare il Monte di Dio. Essi sono come il paralitico. Lo ricordate? Gesù è in una casa piena di gente. Portano un paralitico. Ma nessuno si scosta. Allora salgono sul tetto e lo calano giù. Piovono calcinacci, ma alla fine fanno spazio all’intruso. Gesù dà al paralitico la salute dell’anima («ti sono rimessi i tuoi peccati» Mc 2, 5), e del corpo («ti ordino alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua» (Mc 2,11). Il paralitico è stato guarito. E il risultato della guarigione è camminare. Deve mettersi in marcia. Guarito deve guarire, salvato deve salvare. Poveri, miti, pacifici, puri di cuore devono pertanto mettersi in cammino. Per andare dove? Il Vangelo dice che la mèta del viaggio è il regno di Dio, ove si può vedere Dio, ereditare la terra, avere misericordia, ottenere giustizia e diventare figli di Dio. Vincenzo non fece come quei predicatori che proclamano con voce tonante agli altri quello che devono fare o non fare. Vincenzo si rese conto che prima doveva cambiare, che doveva ricuperare il senso del proprio sacerdozio e poi “seguire” i poveri. Vincenzo ebbe uno strano senso della sua leadership. Sentì rivolto a sé la parola del Vangelo: «Egli mi ha inviato ad evangelizzare i poveri» (Lc 4, 18). Capì che la vocazione di Cristo era la sua e di ogni cristiano: «Noi siamo in questa vocazione proprio conformi a Nostro Signore Gesù Cristo, che, si vede, aveva fatto suo scopo principale, venendo al mondo, assistere i poveri e prendersene cura». E se si chiede a Nostro Signore: “Cosa sei venuto a fare sulla terra? » – «Assistere i poveri» – «E cos’altro? » – «Assistere i poveri», etc. (XI, 108). Ma come? Michelet aveva accusato s. Vincenzo di aver voluto riempire di pane le bocche dei poveri perché non gridassero “Rivoluzione”. Altri accusò il santo di aver fatto assistenza. E la carità venne incolpata di essersi fatta scudo del potere. Di aver viziato i poveri o di aver in qualche modo aiutato la cattiva coscienza dei ricchi, promettendo il paradiso se avessero dato le briciole del loro superfluo ai poveri. Nulla di questo è vero. Prendiamo il capitolo delle guerre del tempo. Vincenzo cercò di andare alle cause. Chiese a Richelieu la pace. Invitò Mazzarino alle dimissioni. I due cardinali pensavano in termini politici alla grandeur della Francia e al proprio successo personale. Il santo invece pensava che la società doveva occuparsi del benessere dei suoi cittadini, non della gloire dei suoi regnanti e generali. Visti inutili i suoi interventi, dato che lo Stato non faceva nulla, organizzò un servizio di aiuti, comprendenti un programma di sensibilizzazione attraverso stampa, una raccolta di aiuti (la famosa botte di sale di s. Lazzaro), un servizio di informazione sul posto (prima di mandare aiuti, chiedeva informazioni dettagliate ai missionari presenti sul posto), invio diretto di aiuti (senza intermediari). Ma questi aiuti comprendevano prodotti di prima necessità (abiti e farina), ma anche aratri e sementi, per abituare i poveri ad uscire dalla propria condizione (Belice e Friuli). Costituì una rete di ospedali al nord nelle zone della guerra e fondò le carità, in modo che chi poteva fosse messo nella condizione di aiutare i più poveri. Si pensi poi al problema dei trovatelli. “Non assistere è uccidere”. Per i matti di s. Lazzaro prefigurò una Società che si organizzasse in favore degli ultimi. Ma tutto questo senza cadere in un deteriore sociologismo. Non si pose mai il problema se si potesse annunciare la Parola di Dio a persone dallo stomaco vuoto. Per lui non aveva senso. La moltiplicazione dei pani non serve a preparare le folle all’ascolto della parola, ma semmai è fra gli ascoltatori della Parola che si troveranno persone capaci di moltiplicare i pani. Pagina 10
Per questo il metodo vincenziano parte dalla visita ai poveri. Posto che essi sono nostri “signori e padroni” è necessario andare alla casa dei padroni a rendere visita. Far capire che anch’essi hanno qualcosa d’importante da dare. Padre Damiano de Veuster nell’isola di Molokai non si chiuse nella casa parrocchiale, ma accettò l’invito a mangiare nel piatto degli indigeni. Fece capire che anch’essi potevano dare qualcosa. Anch’essi potevano dare qualcosa al missionario. Ricordo un gruppo di pellegrini della Micronesia della GMG 2000 a Roma. Furono accolti dalle famiglia che cedettero loro le camere da letto. Per essi fu un gesto incredibile, in quanto una simile rinuncia si fa solo a persone molto importanti. Ed essi si sentirono persone importanti. Come importanti si sono sentite e si sentono quelle persone che vengono accompagnate dai nostri volontari e volontarie nel disbrigo delle pratiche burocratiche. Oggi non hanno bisogno dei nostri solidi, ma del nostro tempo e di essere ascoltati. Se seguiamo la via del Potere, allora cerchiamo i primi posti e quelli più in vista. Ma se seguiamo Gesù Cristo, ci mettiamo agli ultimi posti. Ricordate Cristo con Zaccheo: lui, il Santo, è in basso. Zaccheo il pubblicano e ricco è in alto. Gesù è costretto a guardare in alto verso il suo “Signore e Padrone”. E a lui chiedere di entrare in casa sua. E di farsi servire da lui. Per questo il santo ci invita a tenerci in basso (XI, 394). Diceva pertanto alle suore: “Per essere vere Figlie della Carità, bisogna fare quel che il Figlio di Dio ha fatto sulla terra. E cosa ha fatto principalmente? Dopo aver sottomesso la sua volontà e la sua obbedienza alla santa Vergine e a san Giuseppe ha continuamente lavorato per il prossimo, visitando e guarendo i malati, istruendo gli ignoranti per la loro salvezza. Come siete felici, figlie mie, di essere chiamate ad una condizione così gradita a Dio! Ma anche voi dovete stare attenti a non abusarne e a lavorare per perfezionarvi in questa santa condizione. Voi avete l’onore di essere delle prime chiamate a questo santo esercizio, voi povere campagnole e figlie di artigiani.” (IX, 15)… Naturalmente questo può nascere solo se ci si pone n stato di servizio, che è stato di carità e che c’induce ad elaborare una cultura della carità. La Chiesa “salvante o salvata”? Sapete che siamo in una burrasca. La Chiesa è contestata. Mi domando: chi ci salverà? Cristo e i poveri. Recentemente c’era una ripetizione fin noiosa di interventi ad ogni livello. La Chiesa ha detto, il giornale dei vescovi ha detto, l’Osservatore romano ha detto. In realtà era qualche autorevole esponente della gerarchia che pensava per tutti, decideva per tutti, parlava per tutti. Ma i laici? Sembrava di essere ritornati al preconcilio quando l’apostolato era considerato una semplice delega della gerarchia. Non è una posizione di potere la pretesa di avere un “esercito all’altar”, come recitava una canzone dei nostri anni di Azione Cattolica? Questa crisi ci permette di capire come i pensieri della Chiesa non devono essere di cercare la sintonia con il Potere (negli anni ’60 si diceva che le banche era allo DC e l’Università al PC). Non ci dice niente che le zone più prospere siano quelle più scristianizzate? Che ne è del Vento di Pio X o della Milano del card. Ferrari? Ci salveranno i poveri. Ci aiuteranno a guardare non a chi sta bene, ma ai precari, ai lavoratori che a 50 anni rimangono senza lavoro e non possono essere più utilizzati. La crisi attuale è un segno di Dio, non come una punizione, ma come un invito a mettere in forse la nostra fiducia nei “camminanti davanti”, che sono coloro che guidano l’opinione pubblica, i maestri del pensiero, la gente che fa tendenza. Possiamo metterci anche i “vocianti davanti”, taluni che a ogni pié sospinto si mettono in cattedra e indicano in modo sgradevole quelle che si deve fare, quello che è cristiano fare. Quanti Catoni nella Chiesa! è mai possibile si possa ricorrere a scomuniche, a danno di vittime? Il cristianesimo non è una morale, non è una dottrina, ma un Incontro. Con il Cristo. San Vincenzo usa un’immagine molto bella. Dice che Cristo è la nostra regola. Avete presente quei metri di legno per misurare la stoffa? Ebbene Cristo è per noi proprio quel metro, nel senso che dobbiamo misurarci su lui e con lui. Dobbiamo dunque accorgerci quando lui passa, accorgerci dei segni che pone nella nostra vita. * * * Pagina 11
Il gennaio del 1649 fu un mese particolarmente freddo. La poca legna che rimaneva veniva usata per scaldare il pasto. Le case anche dei ricchi erano fredde. Immaginiamo il tanfo che emanavano ambienti umidi, in una città senza sole, in cui la gente si lavava poco. Fuori sul selciato si sentiva lo scalpiccio dei soldati della Fronda, ostili a Mazzarino, ma poco affidabili e indisciplinati. In un palazzo di Parigi era riunito un gruppo di signore. La prudenza aveva suggerito loro di vestire di scuro per non dare nell’occhio. Quelle che erano arrivate in carrozza, avevano scelto la vettura più consunta, senza stemmi alle fiancate. Il vetturino nascondeva sotto il mantello una pistola e un pugnale. Fra le dame c’era tensione. Una volta tanto avevano dimenticato titoli e pettegolezzi. La crisi aveva tagliato le entrate e impedito le feste. Nessuna aveva pensato a rinnovare il guardaroba. Le sarte erano senza lavoro. La farina scarseggiava e aveva prezzi proibitivi. Il pane era cattivo. Pagina 12
Si diceva che la farina fosse mescolata ad altri prodotti. D’altra parte in tempo di crisi, chi controlla? Seduto a un capo della tavola di noce del palazzo in cui si teneva la riunione c’era il padre Vincenzo. Nonostante i suoi sessant’anni (allora se a quarant’anni si era già vecchi, che cosa poteva essere considerato uno che aveva vent’anni in più…) era vigile, attento. Le mani non rivelavano nessun tremore. Solo lo sguardo rivelava una pena profonda. Era in discussione l’opera dei trovatelli. Continuarla o abbandonarla? Fra di loro avevano discusso molto. In tempo di crisi le donne sono le prime capire di limitare le spese. Prima avevano lasciato che i mariti uscissero qualche sera per giocare a carte, o non avevano obiettato se essi avevano comprato una spada nuova o un cappello piumato. Ma in tempo di crisi le donne pensano ai figli e alle figlie, alle doti, alla salute, agli studi. La crisi è donna. E le donne la sanno meglio governare. Le signore avevano discusso del problema. In tempo di guerra civile, tutti si rinuncia a qualcosa, al superfluo, per concentrarsi sul necessario. Esse i loro sacrifici li avevano fatti. Ora li facesse anche il padre Vincenzo. Si doveva chiudere l’opera dei trovatelli. Ormai erano centinaia i bambini strappati alla miseria e al degrado. La miseria, che è sempre cattiva consigliera, suggeriva a molta gente di abbandonare i bambini appena nati. Di solito avveniva alle porte delle chiese e dei monasteri. Queste creature erano allora raccolte in una specie di ospedale, in cui ai bambini si offrivano le cure per sopravvivere. Le risorse erano poche, e l’autorità pubblica se ne liberava volentieri. Molti bambini venivano allora affidati a mendicanti, che li storpiavano per costringerli a elemosinare per loro. Anche la miseria conosce le risorse dell’industria. Il padre Vincenzo chiese di parlare. Nulla di teatrale, niente toni striduli, niente pugni sul tavolo, cose permesse in tempo di crisi. Le sue parole non erano fendenti di sciabola, ma incisioni col bisturi. Ferivano e facevano sanguinare, ma non offendevano. Le ferite del medico sono per guarire, non per fare del male. C’era cibo solo per sei settimane. Le dame non stettero ad ascoltare passivamente. Erano realiste. La crisi impoveriva tutti. Qualcuna confessò di non aver denaro. Poi se si continuava l’opera così, quante persone sarebbero state indotte ad abbandonare i loro bambini. Non c’era il rischio di passare per persone che incentivavano al male? Tanto ci avrebbero pensato le Dame. Il santo obiettò: «Quanti ninnoli avete a casa, che non servono a nulla!». Fece presente verso quale baratro andavano questi bambini: «Si vendevano a dei mendicanti a 8 soldi l'una, ed essi gli slogavano braccia e gambe per suscitare compassione nella gente e ricevere l'elemosina, e li lasciavano morire di fame». Aggiunse poi un argomento pesante come un macigno: «Negare il pane è uccidere. Si può uccidere un povero bambino in due modi, o con la morte violenta o rifiutandogli il nutrimento». E concluse: «Care signore, la compassione e la carità vi hanno fatto adottare queste creaturine come figli; siete state le loro madri secondo la grazia dopo che le loro madri naturali li abbandonarono. Vedete ora se volete abbandonarle anche voi. Cessate di essere le loro madri per diventare ora i loro giudici: la loro vita e la loro morte sono nelle vostre mani. Io raccoglierò i voti e i suffragi: è tempo di pronunziare la loro sentenza e sapere se non volete più avere compassione di loro. Vivranno se continuate ad averne una cura caritatevole, al contrario morranno e periranno infallibilmente se li abbandonate: l'esperienza non vi permette di dubitarne» (XIII, 779. 797. 801). C’erano persone che avevano castelli, servitori, mariti potenti. Una di queste signore era imparentata con tre case regnanti. Che male avevano fatto se erano nate in famiglie per bene? Non è forse nella Bibbia il riconoscimento che le ricchezze sono la benedizione di Dio? Perché questi rimproveri? Di fatto s. Vincenzo non voleva rimproverarle. Non era uno di quei predicatori che dal pulpito usano parole pesanti e sgradevoli, colpevolizzando gli altri, ma poi si cullano nel loro perbenismo. Non scomunicava, ma com‐pativa. * * * S. Vincenzo non era un rivoluzionario sociale. Voleva far funzionare la Chiesa e la Società in un modo diverso. Voleva una Chiesa schierata con i poveri, che s’impegnasse per creare una cultura della carità. Voleva una società costruita sulla solidarietà. Notate: solidarietà non significa livellamento. Ammetteva ricchi e poveri, però li voleva solidari, voleva l’uso sociale dei beni. Non pensava a uno Stato sociale, cosa ancora impensabile, ma a uno Stato che deponesse le armi e si prendesse cura dei poveri, “peso e dolore” suo, ma anche del re, della regina e dei grandi del Regno. Voleva fedeli laici impegnati in prima persona nelle opere di misericordia. Organizzò la sua famiglia per le opere della misericordia. Nei mesi scorsi è stato premiato in Vaticano, con il premio card. Xavier Nguyén Van Thuàn, il padre vincenziano Pedro Pablo Opeka, che in Madagascar ha creato migliaia di posti di lavoro e costruito case per i poveri. Il suo messaggi è stato: “La povertà può essere vinta”. Il carisma vincenziano non è di resa, ma di resistenza, di lotta. Paradossalmente oggi il ramo più forte del vincenzianesimo è quello laicale, dei vari volontariati. Quando si parla di Volontariato si dimentica che esso s’ispira a quello che fece il nostro santo nel 1600. Coinvolse persone altolocate e persone semplici. Fece capire che “non soccorrere è uccidere”. Sono le antiche dame di san Vincenzo, la società di San Vincenzo di Federico Ozanam, il più fedele interprete di s. Vincenzo e altri. * * * Per capire l’oggi del vincenzianesimo, parlo di attualità, ma anche di vitalità, vorrei indicare, sulle orme del p. Giuseppe Menichelli, che vorrei particolarmente ricordare, perché è stato maestro, è stato un faro, ha dato sostanza culturale alla carità. Con lui vorrei far rivivere nella memoria altre figure del mondo vincenziano. Fra tutte un posto privilegiato spetta a madre Suzanne Guillemin (1906‐1968). Di essa ho parlato nella miscellanea in onore di mons. Giovanni Nervo1. In tanti anni di riflessione il p. Menichelli ha sempre insistito sul dovere di conoscere i poveri, di accorgerci della loro esistenza e della loro presenza. Il povero, per il mondo, è qualcosa “da eliminare”, perché complica i problemi della società. Per il cristiano il povero è qualcuno da amare, da amare in Dio e per Iddio, da amare come se stesso e come Dio stesso. L’amore cristiano non nasce da un atteggiamento paternalistico, ma dal riconoscimento dei grandi valori che sono nel povero. Valori umani di generosità, di altruismo, di pazienza, di sopportazione. Il povero sostiene un peso che forse nessuno di noi sarebbe capace di sostenere. Il povero espia anche per noi, anche per le nostre colpe. Per quale ragione Dio ci ha messo in una condizione migliore della sua? Per nostro merito forse? Convincersi che fanno parte di una società vera, a pieno diritto, e ne sono membra vive. La legge di Dio non tollera che figli, a Lui ugualmente cari, siano considerati da meno, né tollera arbitrii lesivi dei diritti fondamentali della natura umana. Uno dei nostri fini è quello di riportare i nostri assistiti a godere di tutti i benefici comuni alla media dei cittadini, ad essere come gli altri, come tutti, riscattandoli dalla loro condizione. 1
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Una testimone della carità al concilio Vaticano II: la madre Suzanne Guillemin fdc (1906-1968) , in La Chiesa della carità. .
Miscellanea in onore di mons. Giovanni Nervo. A cura di Giancarlo Perego, Bologna 2009, …
Occorre far capire che la società ha bisogno di loro come di noi e forse più di noi. Una delle sensazioni più deprimenti per il bisognoso è quella di essere “inutile” alla società, anzi di essere un “peso”. Sta a noi far comprendere la sua missione nella convivenza della comunità civile: la società lo attende per renderlo membro attivo ed operante, come tutti gli altri, per il bene comune. Ma è soprattutto la società religiosa, la Chiesa, Madre comune e provvida, che toglie al povero ogni senso di “inferiorità”. Dobbiamo far sentire a lui che la Chiesa, pur facendo tutto il possibile per toglierlo da uno stato di indigenza, lo considera, dinanzi a Dio, in una posizione privilegiata, memore della prima Beatitudine Evangelica: « Beati i poveri in spirito, perché di loro è il Regno dei Cieli ». * * * Pagina 14
Il segno dei tempi è quello di Giona, la Morte e Risurrezione di Cristo. È un segno sempre attuale. È morte al peccato e vita nuova in Cristo Gesù. Il segno dei tempi è quello della fede che deve bruciare nelle nostre lampade assieme alla preghiera. Occorre ritornare a risvegliare le lampade e a illuminarle. Il segno dei tempi è la carità. Ma la carità di Cristo diventa “urgenza”, perché ci “brucia dentro” e quindi ci spinge, ci incalza. Il segno dei tempi sono i 842 milioni di analfabeti, che, non sapendo leggere, sono come ciechi. Compito nostro è dare loro la vista. Il segno dei tempi sono i 500 milioni di uomini e donne che hanno come speranza di vita quella di raggiungere al massimo i 40 anni. Compito nostro è dare loro pane e vestiti, case e calore. Il segno dei tempi sono i 158 milioni di bambini malnutriti. Possiamo dire “sono forse custode di mio fratello”? È la risposta di Caino. Vogliamo trasformare il nostro mondo in una Caina gigantesca? I segni dei tempi sono i 766 milioni di persone che non godono dei servizi sociali sanitari, con la possibilità che la cosa possa aggravarsi, dal momento che una linea di tendenza vorrebbe ridurre la spesa sanitaria. I segni dei tempi sono la vitalità del volontariato, che si propone come una delle vere energie innovative nell’oggi dell’uomo. I segni dei tempi siete voi, con l’entusiasmo e la forza creatrice che vi anima. È inutile vagare in cerca di qualcuno o di qualcosa. Come il cieco di Gerico dobbiamo dire «Signore, che io riabbia la vista». È la fede che salva. Ma com’è questa nostra fede? Quale è la vista che dobbiamo avere? Chi dobbiamo vedere? I segni dei tempi si illumineranno quando noi vedremo Cristo e vedremo il povero. Allora, solo allora potremo «seguirlo lodando Dio». Un capolavoro dello Spirito: Luisa de Marillac Suor Liliana Aragno – Figlia della Carità «La vita di mademoiselle Le Gras è uno specchio nel quale non abbiamo da fare altro che guardarci».2 «Sorelle che bel quadro Dio mette davanti ai vostri occhi[…]! Sì,abbiamo un bel quadro e voi dovete guardarlo come un prototipo che deve animarvi a fare lo stesso, ad acquistare tale umiltà, tale carità, tale tolleranza, tale fermezza in tutte le circostanze, e ricordarvi che in ogni cosa ella mirava a conformare le sue azioni a quelle di Nostro Signore. Faceva come dice San Paolo: “non sono più io che vivo, ma è Gesù che vive in me”. Così ella cercava di rendersi somigliante al Maestro, imitando le sue virtù»3. Sono queste le parole con cui San Vincenzo de’ Paoli e le prime Figlie della Carità ricordavano Luisa de Marillac a pochi mesi dalla sua scomparsa, avvenuta il 15 marzo 1660. Ne emerge una donna dall’intensa vita interiore e da un’umanità ricca e sensibile che aveva saputo adattarsi a persone e ambienti tra i più variegati. Il tutto, occorre però sottolineare, era stato il frutto di un lungo cammino. Un’infanzia infelice Luisa era nata il 12 agosto 1591. Dagli atti ufficiali risulta essere figlia naturale di Luigi de Marillac, signore di Ferrières e poi di Farinvilliers, capitano della guarnigione della casa reale. Il nome di sua madre è sconosciuto, non figura da nessuna parte. Trattandosi di figlia illegittima, il nome di Luisa non è mai registrato all’interno delle genealogie dei de Marillac. Il mistero che circonda la sua nascita costituisce per Luisa una fonte di grande sofferenza: “Dio mi ha fatto tante grazie come quella di farmi conoscere che la sua santa volontà era che andassi a Lui attraverso la Croce, che la sua bontà ha voluto che io avessi fin dalla mia stessa nascita, né mi lasciasse quasi mai in ogni età senza occasioni di sofferenza”4. Occorrerà parecchio tempo prima che Luisa de Marillac abbandoni la visione negativa che aveva di sé, frutto del senso di abbandono che portava dalla nascita: l’origine incerta, l’assenza di calore materno e di un clima familiare sereno incisero sul suo carattere marcandolo sensibilmente. All’età di tre anni Luisa viene portata all’educandato delle Domenicane del monastero reale di Poissy, probabilmente per la presenza nel convento di una zia di Luisa, la Madre Luisa de Marillac, che deve aver orientato tale scelta. Luisa fa tesoro della sua permanenza presso l’educandato, fondato dal santo re Luigi IX. Qui apprende a leggere e a scrivere, viene iniziata alla conoscenza del latino, della musica e della pittura. Si tratta di un’educazione raffinata, piuttosto rara per una ragazza del XVII secolo, solitamente accessibile solo alle ragazze dell’alta nobiltà. Tuttavia la giovane soffre per non poter far visita al padre il quale, nel frattempo, si era risposato. Nel luglio 1604 Luisa rimane orfana; qualche tempo dopo lascia il convento di Poissy, in direzione di Parigi, dove viene presa a pensione presso una giovane ragazza. Qui conosce un altro ceto sociale e fa l’esperienza della povertà: insieme ad altre ragazze, presenti nella 2
San Vincenzo de’ Paoli, “Conferenze spirituali alle Figlie della Carità”, Roma, CLV, conferenza del 3 luglio 1660 San Vincenzo de’ Paoli, “Conferenze spiritualie della Carità”, Roma, CLV, conferenza del 24 luglio 1660 4
Santa Luisa, “Scritti spirituali”
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pensione, prende lavoro dai commercianti per contribuire alla gestione della casa, senza sottrarsi alle mansioni più umili. Questa esperienza completa la sua formazione offrendole senso pratico, capacità di organizzazione del lavoro e acutezza nell’amministrazione, aspetti questi che si riveleranno in un secondo tempo provvidenziali. Luisa ha saputo approfittare al meglio di tutto ciò che le è stato insegnato nonostante i cambiamenti, attraverso cui è passata, siano stati per lei dolorosi. Sposa suo malgrado A Parigi, nel luglio 1606, presso il nuovo monastero fondato da Maria di Lussemburgo, si erano stabilite le Clarisse Cappuccine. Luisa si recherà spesso in questo monastero dove avrà modo di apprezzare lo stile di vita delle religiose e dove matura il desiderio di consacrarsi a Dio. Nel XVII secolo, però, una donna non può decidere del proprio destino, per cui la giovane ricorre a uno zio per chiedergli l’autorizzazione di entrare in convento. Michele de Marillac indirizza la nipote al Padre Provinciale dei Cappuccini, che aveva la direzione spirituale delle monache, ma l’incontro si conclude con un rifiuto a causa della fragile salute di Luisa la quale, secondo il Provinciale, non avrebbe potuto sopportare la vita austera del monastero. Per Luisa, che aveva già promesso a Dio di consacrarvisi, si trattò di una grande delusione, ma una frase pronunciata da padre Onorato si inscrive profondamente nel suo cuore: “Dio avrà qualche altro disegno su di lei”. Si impone quindi la necessità di pensare al matrimonio che viene celebrato nella Chiesa di San Gervais, a Parigi, il 5 febbraio 1613. Sposo di Luisa è Antonio Le Gras, uno dei segretari della regina Maria de Medici. Non essendo un nobile, la sposa non potrà essere chiamata madame, ma mademoiselle. Antonio, originario di Montferrand, in Alvernia, è un uomo onesto, eccellente cristiano e un buono sposo che Luisa avrà modo di amare e ammirare. Di comune accordo essi gestiscono la loro casa che desiderano bella e ospitale; accolgono gli amici, molti dei quali colleghi di lavoro del marito; la sera concludono la giornata pregando insieme prima di coricarsi. La relazione tra Luisa e Antonio è stata forte e calorosa; nel 1622, però, Antonio si ammala e il suo temperamento si modifica; Luisa non ne comprende subito le ragioni e ne soffre. È questo il momento in cui ritorna alla sua mente la promessa fatta a Dio in giovinezza, quella cioè di diventare cappuccina. Si sente in colpa per non averla soddisfatta e attribuisce a questa infedeltà la causa della malattia del marito. La loro relazione di colpo si modifica: Antonio diviene infermo e Luisa si ripiega su se stessa fino al punto di voler abbandonare il marito e il figlio per placare quella che considerava una punizione divina. L’esperienza mistica del 4 giugno 1623, giorno di Pentecoste, nota con il nome di Lumière, libera Luisa dall’angoscia. Ella scrive: «Avevo un grande abbattimento di spirito per il dubbio che avevo se dovessi lasciare mio marito, come desideravo fortemente per riparare il mio primo voto e per avere più libertà di servire Dio e il prossimo. Dubitavo inoltre che l’attaccamento che avevo al mio direttore mi impedisse di prenderne un altro, quando egli si allontanava per molto tempo, e temevo di essere obbligata a prenderlo. Avevo ancora una grande pena, causata dal dubbio sull’immortalità dell’anima. Tutto questo mi tenne in una pena incredibile dall’Ascensione alla Pentecoste. Il giorno di Pentecoste, ascoltando la messa o facendo orazione in chiesa, all’improvviso il mio spirito fu illuminato dai suoi dubbi. E fui avvertita che dovevo stare con mio marito e che sarebbe venuto il giorno in cui avrei potuto fare i voti di povertà, castità e obbedienza, e mi sarei trovata in una piccola comunità in cui alcune persone avrebbero fatto lo stesso. Capii allora che sarebbe stato in un luogo per servire il prossimo, ma non potei capire come ciò potesse realizzarsi per il fatto che ci doveva essere movimento per andare e venire. Fui ancora assicurata che dovevo stare tranquilla riguardo al mio direttore e che Dio me ne avrebbe dato uno, che Egli mi fece vedere, mi sembra, e ne provai ripugnanza ad accettarlo; però acconsentii, e mi sembrava che questo fosse per il fatto che non dovevo ancora eseguire questo cambiamento. La terza pena mi fu tolta con l’assicurazione provata nel mio spirito, che era Dio che mi insegnava quello che ho detto sopra e che perciò, essendoci un Dio, non dovevo dubitare di tutto il resto»5. Luisa, liberata dalla sua angoscia, ritorna ad essere la sposa fedele e attenta, affianca il marito nella malattia e lo accompagna negli ultimi istanti della vita. Ella è sola accanto a lui il 21 dicembre 1625, quando muore; rimarrà in lei il ricordo del forte attaccamento a Dio del marito e della sua enorme pazienza nella sopportazione dei mali sopraggiuntigli. Il 5 febbraio di ogni anno Luisa farà celebrare una messa in ricordo del suo anniversario di matrimonio. San Vincenzo talvolta previene le sue intenzioni: nel 1630, per esempio, in occasione della partenza di Luisa per visitare le Carità di Saint Cloud, celebra la messa degli sposi. I dodici anni, vissuti in coppia, sono stati caratterizzati da alti e bassi e costituirono una vera e propria scuola di vita. Luisa si è coinvolta fino in fondo: con Antonio ha scoperto la bellezza dell’amore umano, le intense gioie della vita familiare, ha compreso che amare significa essere e vivere per l’altro e che l’amore è incompatibile con la volontà di potenza e il desiderio di possesso. Mamma del piccolo Michele Il 13 ottobre 1613 era nato Michele. La preoccupazione per la cura del figlio accompagnerà tutta la vita di Luisa. Michele conoscerà presto il dolore causato dalla perdita del padre all’età di dodici anni ; la madre, rimasta vedova, è costretta a trovare un nuovo alloggio meno dispendioso e si trasferisce in via Saint Victor, non lontano dal Collegio dei Bons Enfants, dove vive il Signor Vincenzo, suo nuovo direttore spirituale. Michele frequenta il Seminario di Saint Nicolas du Chardonnet, ma ben presto mostra insoddisfazione verso questo stato di vita e non prova più gusto per nulla. La madre si confida con il Signor Vincenzo il quale la aiuta a non ingigantire le piccole difficoltà e ad accettare gli avvenimenti con più serenità. Nel corso di un’accesa discussione Michele annuncia alla madre che intende rinunciare al celibato; è un duro colpo per lei, che interpreta la decisione come un’azione della giustizia di Dio su di lei. Il Signor Vincenzo interviene ancora una volta esortando fermamente Luisa a non nutrire più un tale genere di pensieri. L’apprensione per il figlio non è destinata a venir meno, in quanto Michele decide di allontanarsi da Parigi, in compagnia di una giovane che egli sogna di sposare, desiderando anche associarsi al padre di lei, commerciante di vino. Quando madre e figlio si rivedono, nonostante la gioia iniziale, il loro incontro si risolve in un nuovo scontro, in seguito al quale il figlio si allontana nuovamente. Non è difficile indovinare quanto grande sia stata la sofferenza di Luisa, la quale per il figlio aveva sempre nutrito una grande tenerezza, sottolineata anche da Vincenzo de’ Paoli, ma non aveva saputo trovare le modalità adeguate per dire a Michele tutto il suo amore. Santa Luisa, “Scritti spirituali” Pagina 17
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Dopo diverse traversie Michele finalmente sposa, nel gennaio 1650, Gabriella Le Clerc e ottiene anche, attraverso uno zio di lei, un buon impiego. Nella relazione con il figlio, Luisa ha scoperto che solo l’amore può raggiungere l’altro nel profondo del suo essere al di là di quello che l’umano può lasciare intravvedere, ha capito l’intensità dell’amore di Dio per lei, imparando ad accettarsi nei suoi limiti e nelle sue qualità. Dama della Carità Verso il 1625 si situa l’incontro tra Vincenzo de’ Paoli e Luisa de Marillac, la quale farà molto cammino sotto la guida ferma e forte del santo. Questi la esortava a vivere serenamente e a stare allegra, cercando di diminuire la sua serietà. San Vincenzo aiuta Luisa a capire che la realizzazione della sua vocazione non si attua vivendo da claustrale dentro le mura domestiche, ma incontrando i poveri. Egli scopre le ricchezze della personalità di Luisa e la sua buona capacità di saper interagire nelle più svariate situazioni e con persone diverse. Le chiede di visitare le Confraternite della Carità che, a partire dal 1617, egli andava fondando con la collaborazione delle dame. Memorabile è rimasto lo scritto attraverso cui Vincenzo la invia nel 1629: «Andate dunque, madamigella, andate in nome di Nostro Signore. Prego la sua divina bontà che vi accompagni, che vi sia di consolazione lungo il cammino, di ombra contro l’ardore del sole, di riparo nella pioggia e nel freddo, di morbido letto quando voi sarete stanca, di forza nel vostro lavoro e che infine vi riconduca in perfetta salute e piena di opere buone».6 Da parte loro, le dame riconoscono la competenza di Luisa e ne richiedono la presenza nei luoghi in cui operano, sia per rivitalizzare una Confraternita sia per fondarne una nuova o per risolvere le difficoltà che intervengono nelle diverse fondazioni. Il passaggio di Luisa suscita sempre grande entusiasmo, grazie alla capacità della stessa di far comprendere alle dame l’importanza del loro impegno. Luisa si contraddistingue per un ascolto attento: tiene conto di tutto ciò che le dame esprimono e cerca di cogliere fino in fondo il loro pensiero. Questo ascolto permette alle dame di comunicare le loro difficoltà e di porre domande. La semplicità di madamigella fa sì che si sentano riconosciute nel loro operato e non si perdano di coraggio. Le dame della Carità rimangono stupite del profondo rispetto che Luisa ha verso tutti; non si trova in lei alcun giudizio severo sulle attitudini o i comportamenti delle sue collaboratrici. Gentilezza e amore per i poveri accompagnano sempre le eventuali osservazioni che deve fare, per cui le sue parole sono sempre bene accolte. Luisa sa riconoscere e valorizzare le potenzialità di ciascun membro delle Confraternite. Una grande competenza contraddistingue il suo operato, mentre le decisioni prese o i consigli dati si rivelano puntuali e accorti: Luisa è cosciente che occorre sapere e aggiornarsi per poter insegnare agli altri e non manca di informarsi presso specialisti. L’entusiasmo per l’opera intrapresa e il suo temperamento attivo la portano a spendersi senza misura al punto che San Vincenzo interviene attraverso alcune lettere sollecitandola a non esagerare: «Temo che facciate troppo…State attenta, vi supplico, Madamigella, Nostro Signore vuole che lo serviamo con giudizio; il contrario si chiama zelo indiscreto»7. Il rischio opposto, invece, è quello dello scoraggiamento di fronte alle difficoltà o agli insuccessi. Sebbene in molti villaggi l’accoglienza sia calorosa, in alcuni luoghi la presenza di Luisa non è molto gradita. È il caso di Villepreux dove il parroco non accetta che una donna venga nella sua San Vincenzo de’ Paoli, Lettere, maggio 1629 San Vincenzo de’ Paoli, Lettere, maggio 1630
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parrocchia a parlare ai parrocchiani. Vincenzo consiglia di incontrare il parroco e aiuta ad accettare il rifiuto: «E’ difficile,Madamigella, fare il bene senza contrarietà… Un bel diamante vale più di una montagna di pietre e un atto di accondiscendenza e di sottomissione vale più che una quantità di buone azioni che si praticano apertamente»8. L’insuccesso, guardato con lucidità e senza sensi di colpa, acquista una valenza benefica in quanto permette di vincere la routine e provoca un salutare risveglio. Luisa de Marillac, animatrice delle Confraternite, ha voluto e ha saputo aiutare le donne impegnate in questa opera a comprendere la loro nuova vocazione all’interno della Chiesa e del mondo e a compierla. Insieme hanno vissuto l’avventura di una fede impegnata nel servizio dei poveri. Fondatrice della Compagnia delle Figlie della Carità Il movimento della carità suscitato da Vincenzo de’ Paoli passa rapidamente dalle campagne alla città di Parigi dove sorgono numerose Confraternite. Non mancano, però, i problemi. Le dame, pur piene d’ardore, sono poco avvezze agli ambienti umili e si servono delle loro serve per svolgere i servizi ai poveri, quali servire la minestra o riassettare gli ambienti. Questo interpella Vincenzo e Luisa che temono venga meno lo spirito originario delle Confraternite. È a questo punto che si verifica l’incontro provvidenziale con Margherita Naseau. La giovane abitante di Suresnes abbandona l’insegnamento, che impartiva alle ragazze delle campagne e per il quale si era formata come autodidatta, per consacrarsi al servizio dei malati di Parigi. Sentito parlare del Signor Vincenzo, lo incontra e si rende disponibile: colpito dalla generosità di questa giovane il santo accoglie la sua collaborazione e la affianca a Luisa: due donne molto diverse, ma animate da uno stesso amore, quello per Cristo. Esse si incontrano più volte e si confrontano sul servizio dei poveri al quale desiderano consacrarsi. L’esempio di Margherita è contagioso e altre giovani lo seguono; il numero delle persone impegnate nelle Confraternite aumenta, mentre Luisa si interroga sulle modalità più appropriate per formarle e si confronta con il suo direttore spirituale. C’è in lei il pensiero della comunità intravista durante la Lumiére, ma per ora San Vincenzo la scoraggia, invitandola ad attendere i segni della volontà di Dio. Nel febbraio 1633 Margherita Naseau muore a causa della peste contratta dal contatto con un’ammalata. In questa occasione Luisa ripropone il suo progetto che lentamente trova spazio nel cuore del Signor Vincenzo. Insieme riflettono, pregano, chiedono a Dio di manifestare la sua volontà. Dopo alcuni mesi Luisa propone alle giovani questa avventura: alcune si coinvolgono con entusiasmo, altre rifiutano. Il 29 novembre 1633 Luisa de Marillac riunisce a casa sua alcune giovani per fare vita comune: nasce così la Compagnia delle Figlie della Carità. La ricerca e la riflessione di Luisa non sono state esenti da sofferenza: dal momento in cui ha sentito la necessità della Compagnia ella si è imbattuta in un primitivo rifiuto del suo direttore spirituale, ma non si è arresa, avendo di mira innanzitutto la ricerca della volontà di Dio, attraverso la grazia dello Spirito Santo, secondo quanto aveva scritto nel suo Regolamento di vita nel mondo. Luisa ci insegna a camminare al passo con Dio, cercando, attraverso il discernimento degli avvenimenti, i segni della sua presenza e del suo amore. San Vincenzo de’ Paoli, Lettere, aprile 1630 Pagina 19
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Responsabile dell’opera dei trovatelli Nel 1600 numerosi neonati erano abbandonati e lasciati davanti alle porte delle chiese e dei palazzi. Le dame della Carità si interrogano sul problema e interpellano San Vincenzo il quale propone la costituzione di un gruppo di ricerca per la risoluzione del problema. La discussione si prolunga perché l’opera da intraprendere si rivela difficile, anche a causa della mentalità dell’epoca che vedeva quei piccoli come “bambini del peccato”. Dopo tre anni di riflessione si propone un tentativo. A Luisa è chiesto di accogliere presso la Casa madre delle Figlie della Carità alcuni di questi bambini e di diventare la direttrice dell’opera. Profondamente commossa per l’incarico affidatole, Luisa si impegna per organizzare un servizio dignitoso ed efficace e pensa a tutto quanto è necessario: cibo, vestiario, insegnamento, apprendistato per imparare un mestiere. Vengono istituiti centri di raccolta ed è organizzato un servizio balia per i più piccoli. Le dame si impegnano a cercare un’abitazione capiente e chiedono alla regina Anna d’Austria il castello di Bicêtre. Le spese sono ingenti e gli approvvigionamenti si fanno man mano più difficili a causa del sopraggiungere della Fronda. Per questo gli appelli di Luisa si fanno più pressanti negli anni 1648‐1649. La sua tenacia, che non manca di appellarsi alle autorità e a chiedere l’intervento del Signor Vincenzo, riesce a trionfare e a far sì che l’opera dei trovatelli non venga abbandonata. Quest’opera mostra l’importanza del lavoro insieme e della condivisione delle responsabilità. Vincenzo, Luisa e le dame della Carità hanno rispettato le leggi, ma le hanno superate, vincendo anche i pregiudizi del tempo attraverso l’accento posto sul rispetto del bambino. Essi hanno mostrato alla società, allo Stato, alla Chiesa che altre forme di azione erano possibili. Educatrice delle Figlie della Carità Luisa ha indirizzato circa 380 lettere alle suore partite verso luoghi distanti da Parigi, per accompagnarle nel loro servizio. Il suo linguaggio non è astratto, le sue osservazioni e i suoi consigli sono strettamente connessi alla vita concreta delle suore. Luisa è sempre al corrente di quanto accade nelle comunità, nei villaggi, negli ospedali dove le Figlie delle Carità operano. Le suore stesse provvedono a informarla attraverso la corrispondenza e gli incontri che hanno con la fondatrice in occasione del ritiro annuale o dei loro trasferimenti. Altre volte sono le dame, responsabili delle Confraternite nelle parrocchie, nei villaggi, o quelle che visitano gli ammalati negli ospedali, a fornire informazioni; anche i parroci e i sacerdoti che accompagnano le comunità, dove non ci sono i confratelli Lazzaristi, informano Luisa e Vincenzo. Le lettere che scrive Luisa prendono spunto da una fatto concreto relativo alla vita comunitaria o al servizio dei poveri o ancora alla vita spirituale . Lo schema è pressoché sempre lo stesso: ƒ sguardo sul fatto ƒ riflessione per comprendere ciò che accade e le relative conseguenze ƒ suggerimenti e proposte concrete. Lo stile delle lettere, però, varia notevolmente da una suora all’altra. Luisa tiene conto della personalità di ognuna, delle sue esperienze, della vita spirituale. Ciascuna si sente così riconosciuta per ciò che è e per ciò che vive. Anche quando si tratta di fare un’osservazione, questa è sempre accompagnata dalla messa in luce di un aspetto positivo della vita della suora. Interessante anche notare la collocazione, all’interno della lettera, di tale sottolineatura, che varia sempre in rapporto al temperamento personale. Luisa non tralascia di dire ciò che le sembra utile per il bene delle sorelle o della Compagnia, anche quando questo è difficile o richiede una certa severità. Il tutto, però, è sempre accompagnato da un atto di umiltà sia chiedendo che si preghi per lei, perché si riconosce capace di rendersi colpevole della stessa colpa, sia imputando ai suoi cattivi esempi gli errori delle suore. Tutte le lettere di Luisa orientano lo sguardo delle suore verso Gesù Cristo, vivente in mezzo agli uomini. A una suora, che s’impazientisce di fronte alla lentezza della messa in opera del servizio in una nuova fondazione, propone di meditare sui trent’anni di Gesù a Nazaret. A un’altra, che è un po’ sfiduciata per le reazioni violente dei soldati feriti, propone di guardare al comportamento di Gesù verso le moltitudini di malati che incontrava. Alle comunità che vivevano dei conflitti, Luisa consiglia di rivolgere lo sguardo alla Santa Trinità. Luisa riconosce che l’accompagnamento delle suore e l’educazione sono come un chicco di grano che deve morire affinché possa dare origine alla spiga. Ella insegna alle suore la pazienza umile e consegna loro questo consiglio: «Andate dunque coraggiosamente, avanzando di momento in momento, nella via nella quale Dio vi ha messe per andare a Lui»9. Aperta all’avvenire Luisa, che era una donna molto intuitiva, comprende che la Compagnia delle Figlie della Carità costituiva un’assoluta novità, per cui non sarebbe potuta sussistere se non fosse stata diretta dai Preti della Missione, i Sacerdoti che San Vincenzo aveva riunito per l’evangelizzazione dei poveri e la formazione nei Seminari. Ella è consapevole che alcuni Vescovi sono contrari all’idea di una consacrazione al di fuori delle mura di un convento. Il monastero, però, non è compatibile con il servizio dei poveri; per questo motivo cerca di convincere il Signor Vincenzo a diventare il responsabile ecclesiastico delle Figlie della Carità. Il confronto su tale argomento sarà lungo e faticoso. Vincenzo non vuole opporsi alle posizioni del Concilio di Trento il quale aveva sottolineato con forza l’autorità dei Vescovi; inoltre la direzione delle suore non rientrava tra i fini da lui previsti per la Congregazione della Missione. Tra il 1639 e il 1640 Luisa de Marillac desidera che la Compagnia delle Figlie della Carità sia riconosciuta e approvata dall’autorità ecclesiastica, ma solo nel 1646 Vincenzo de’ Paoli si decide a presentare la richiesta all’Arcivescovo di Parigi. Luisa, che in quel momento si trova a Nantes, non ha riletto lo scritto inviato. Nel novembre 1646 il Vescovo concede la sua approvazione, ponendo la Compagnia sotto la sua giurisdizione. Quando Luisa legge il documento reagisce con veemenza, sollecitando San Vincenzo a non accettare, ma, secondo il suo stile, questi ritiene saggio attendere. Ella non si rassegna e torna alla carica con una lettera: «Signore, mi sembra che Dio abbia messo la mia anima in una grande pace e semplicità durante l’orazione… Penso di aver capito che sia più vantaggioso per la sua Gloria che la Compagnia venga a mancare interamente piuttosto che essere sotto un’altra guida, perché mi sembra che questo sia contro la volontà di Dio»10. A questa lettera, però non riceve alcuna risposta. Luisa, convinta della volontà di Dio sulla Compagnia, passa all’azione e ottiene che la Regina Anna d’Austria invii una supplica al Papa per obbligare il Superiore della Congregazione della Missione ad accettare di essere anche Superiore delle Figlie della Carità, ma anche da Roma non ottiene risposta. 9
Santa Luisa, “Lettere”, Alle suore dell’ospedale di Angers, 8 febbraio 1653 Santa Luisa, “Lettere”, Al Signor Vincenzo, novembre 1647
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Nel frattempo Vincenzo de’ Paoli, prendendo atto della diffusione delle Figlie della Carità in tutte le diocesi, fa suo il pensiero di Madamigella. Viene pertanto redatta una nuova richiesta di approvazione, inviata al cardinale di Retz, vescovo di Parigi, in esilio a Roma. La nuova approvazione, concessa a Roma il 18 gennaio 1655, pone le Figlie della Carità sotto l’autorità del Superiore della Congregazione della Missione. La fede di Vincenzo e di Luisa, basata sulla convinzione di una medesima missione, li ha condotti all’accettazione in profondità delle loro diversità e ha loro procurato un reciproco arricchimento. Verso il traguardo Dopo il 1650 la vita di Luisa de Marillac subisce una svolta. Alcune preoccupazioni che l’avevano tormentata vengono meno. Dal matrimonio del figlio con Gabriella Le Clerc era nata una nipotina, dal nome Luisa Renata. Le case delle Figlie della Carità si erano consolidate e le suore avevano acquisito maggior consapevolezza della loro vocazione mentre il campo di lavoro si estendeva. Iniziano, infatti, in quel periodo anche gli invii in missione al di fuori della Francia: nel 1652 due suore giungevano in Polonia su richiesta della regina. Negli ultimi mesi del 1659 le condizioni di salute di Luisa si deteriorano. Le sofferenze si aggravano all’inizio di febbraio dell’anno successivo. A metà di quello stesso mese muore Antonio Portail, confratello vincenziano e primo Direttore Generale delle Figlie della Carità. Per Luisa è un grave distacco, ma non l’unico. Durante gli ultimi giorni della sua vita chiede di poter vedere San Vincenzo, ma questi, impedito anche dal continuo male alle gambe, si limita a mandarle a dire che l’avrebbe raggiunta presto in cielo. Il 15 marzo Luisa, circondata da alcune persone care, chiude gli occhi lasciando alle Figlie della Carità il suo Testamento spirituale: «Care sorelle, continuo a domandare a Dio per voi la sua benedizione, e lo prego che vi faccia la grazia di perseverare nella vostra vocazione per servirlo nel modo che vi domanda. Abbiate molta cura del servizio dei poveri, e soprattutto di vivere bene insieme con una grande unione e cordialità, amandovi le une le altre , per imitare la vita di Nostro Signore. Pregate molto la Santa Vergine che sia la vostra unica madre».11 Luisa viene sepolta nella chiesa parrocchiale di Saint Laurent. La sua tomba aveva una semplice croce con la scritta “Spes Unica”: era la sintesi della sua vita la quale aveva lasciato un seme che porterà molti frutti nella Chiesa al servizio di molti fratelli. Nel luglio 1660 San Vincenzo tiene due conferenze alle Figlie della Carità sulle virtù di Madamigella Le Gras, sottolineando come ella avesse avuto molta premura nel conformare la proprie azioni a quelle di Cristo; in questo modo era diventata un esempio cui le suore dovevano guardare. Profilo umano e spirituale Luisa era una donna emotiva, impetuosa e incline all’ansia, ma anche intuitiva, vivace e capace talvolta di umorismo. Sapeva di dover lavorare sul proprio temperamento e questo le permise di diventare una donna forte, consapevole che, per arrivarvi, occorreva accettare i tempi di Dio. Le sue doti naturali, l’educazione ricevuta e, non ultima, l’azione interiore della Grazia l’avevano resa una persona signorile; una signorilità, però, senza ricercatezza, gradevole di aspetto, fine e distinta. Tutto era accompagnato da un vivo senso della lealtà, dell’onore e della franchezza. Le Santa Luisa, “Scritti Spirituali”
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vicissitudini dell’infanzia e della prima giovinezza le avevano dato un temperamento robusto e coraggioso, perspicace e pratico nelle cose materiali e spirituali. Dotata di capacità amministrative e organizzative, Luisa si presentava come una donna completa e ricca di umanità. Aveva il gusto e la cura della vita interiore e si distingueva per la costante ricerca della familiarità con il Signore. Dedicava tempo alla riflessione e alla preghiera e cercava momenti per riflettere sulla sua vita e sulle motivazioni per cui faceva le cose. La sua spiritualità ci è nota attraverso i suoi scritti: lettere, pensieri, avvisi, meditazioni, istruzioni, interventi nelle conferenze. La sua formazione era solida e radicata nella teologia, grazie anche agli studi che aveva potuto compiere presso il monastero di Poissy. Centrale nella sua spiritualità è il mistero di Dio uno e trino il quale è solo Amore. Luisa esprime tutta la sua gioia che scaturisce dalla contemplazione dell’amore divino: «Il mio cuore è ancora tutto pieno di gioia per la comprensione che il nostro buon Dio mi ha dato di quelle parole: “Dio è il mio Dio!” »12 Quando raccomanda alle suore l’unità, l’amore, la coesione che deve esistere tra loro indica come ragione e scopo quello di onorare l’unità della natura divina nella diversità delle Persone della SS. Trinità. A poco a poco, seguendo un grande maestro di vita spirituale francese, la spiritualità di Luisa si struttura attorno all’asse centrale del cristianesimo: l’Incarnazione, la quale viene a manifestare al mondo il mistero di Dio. La seconda Persona della Trinità diventa uomo e assume carne umana in Gesù Cristo. Luisa riconosce che Gesù viene a testimoniare all’uomo l’abbondanza dell’amore divino e che è desideroso di rendere partecipe l’umanità di tutta la ricchezza della Divinità. Dio, nella sua magnificenza, concede all’uomo la libertà e la possibilità, quindi, di prendere lui stesso una decisione; questi, però, preferisce realizzarsi da solo, rifiutando il dono di Dio. Ma Dio, nella sua bontà, mai abbandona l’uomo e gli permette di ritrovare l’intimità delle origini. Luisa ama contemplare la Trinità che tiene consiglio, che cerca di ricreare l’uomo e di dimostrargli tutto il suo amore, decidendo in perfetto accordo l’incarnazione del Verbo. Stupisce davanti a questo amore divino, di cui scoprirà progressivamente le molteplici espressioni. Approfondire il mistero dell’Incarnazione significa anche scoprire e approfondire i valori umani fondamentali poiché Gesù è il primogenito di tutte le creature, nel quale risiede tutta la pienezza di Dio. Pertanto il mistero di Cristo illumina la realtà dell’uomo e gli rivela la sublimità della sua vocazione. Con tutta la sua vita Luisa dimostra che ha osato credere nell’uomo, nella sua grandezza e dignità, nelle sue capacità. Sulle orme di Cristo, che è andato incontro a quelli che la società ha respinto, le Figlie della Carità vengono mandate là dove l’uomo è più sventurato, vicino ai bambini abbandonati, ai carcerati trattati come bestie, ai piccoli mendicanti che vagabondano per le strade alla ricerca di un po’ di cibo, ai malati abbandonati nei loro tuguri, alla gente rovinata dalla guerra e che muore di fame. Tutti, qualunque sia l’età o il ceto sociale, sono membra della natura umana che lo stesso Gesù Cristo ha assunto. La fede non consiste solo nell’affermare la grandezza di ogni uomo, ma invita anche a penetrare al di là di ogni volto per scoprirvi l’immagine del Cristo. Luisa acquista la certezza che venerare i poveri è venerare la santa umanità di Cristo. Scrive durante gli esercizi spirituali: «La mia preghiera è stata più di contemplazione che di ragionamento, ed è stata stimolata da un forte richiamo verso la santa umanità di Nostro Signore, con il desiderio di venerarlo e imitarlo quanto più potevo nella persona dei poveri e del mio prossimo indistintamente, avendo appreso da alcune mie letture che Egli ci aveva insegnato la carità per rimediare all’incapacità di rendere Santa Luisa, “Lettere”, Al Signor Vincenzo, 24 agosto 1647/50 Pagina 23
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alcun servizio alla sua persona ; e questo è entrato nel profondo del mio cuore in modo davvero particolare ».13 Meditando sull’Incarnazione, Luisa constata con ammirazione che il Figlio di Dio non si è limitato ad assumere un corpo umano e a vivere in mezzo agli uomini,ma «desiderando un’unione inseparabile della natura divina con quella umana, vi ha provveduto, dopo l’Incarnazione, con la mirabile invenzione del Santissimo Sacramento dell’Altare, nel quale è presente in permanenza la pienezza della divinità nella seconda Persona della Santissima Trinità».14 A Luisa sembra che Dio voglia rivelare e ribadire all’uomo tutta la profondità del suo amore. Per timore che questi non lo comprenda ne moltiplica i segni: Incarnazione, Passione e Morte sulla croce, Eucarestia. Il disegno di Dio è, infatti, quello di riunire tutti gli uomini nel suo amore: già l’Incarnazione esprimeva questo profondo desiderio di unione, ma l’Eucarestia lo realizza in modo ancora più grande. Per le suore e per le fanciulle, di cui le Figlie della Carità curano l’educazione, Luisa de Marillac ha preparato una preghiera che esprime tutto il suo amore verso questo sacramento dell’amore: «[…] Vi desidero con tutto il mio cuore, o pane degli angeli! Non guardate la mia indegnità che mi allontana da voi, ma il vostro amore che tante volte mi ha invitata ad avvicinarmi: concedetevi tutto a me, se è la vostra volontà, o mio Dio, e che il vostro prezioso corpo, la vostra santa anima e la vostra gloriosa divinità che io adoro in questo Santissimo Sacramento, prendano intero possesso di me stessa. O dolce Gesù! O buon Gesù! Mio tutto e mio Dio, abbiate pietà di tutte le anime redente dal vostro prezioso sangue, e toccatele fortemente con un segno del vostro amore per far sì che vi siano riconoscenti per l’amore che vi ha fatto donare a noi in questo santissimo sacramento…»15. Se il Cristo si offre come nutrimento, è per condividere la sua vita con gli uomini. Ricevere il corpo di Cristo è per Luisa partecipare direttamente alla vita di Dio, quindi un motivo per rendere tutti partecipi di questa vita. A imitazione del Cristo, il cristiano è chiamato a fare dono di tutto il proprio essere; ricevere la comunione trasmette la forza straordinaria di vivere in Gesù Cristo avendolo dentro di noi. Una filiale devozione alla Madre di Dio corona la pietà di Luisa la quale invocava spesso la protezione della Vergine. Scriveva in una preghiera: «Io sono vostra, Santa Vergine, per appartenere più perfettamente a Dio. Essendo vostra, insegnatemi a imitare la vostra santa vita, per compiere quello che Dio richiede da me. 13
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Io chiedo in tutta umiltà la vostra protezione; voi conoscete la mia debolezza, voi vedete il mio cuore; vi prego, fate con le vostre preghiere quello che io trascuro per la mia incapacità e negligenza, e poiché è dal vostro caro Figlio, mio redentore, che voi avete tratto le eroiche virtù che avete esercitato sulla terra, unite lo spirito delle mie azioni alla sua santa presenza per la gloria del suo santo amore»16. Nel corso del Seicento cresce la devozione all’Immacolata Concezione verso cui Luisa ha mostrato sempre grande affetto; a Maria Immacolata consacra la Compagnia delle Figlie della Carità. Mistica dello Spirito Santo Nella devozione allo Spirito Santo la spiritualità di Luisa assume una caratteristica tutta particolare ed originale. L’esperienza mistica del 1623 era stata fondamentale perché in quel giorno era stata liberata dalla notte oscura in cui si trovava. Questa illuminazione improvvisa aveva così segnato una svolta decisiva nel suo cammino verso la santità. Lo Spirito Santo l’aveva toccata e ricreata, dando inizio così all’opera di trasformazione. A partire da quel momento, infatti, la sua vita sarà gradualmente trasformata dall’azione dello Spirito che la conformerà sempre più a Gesù Cristo. Luisa manterrà sempre una grande gratitudine allo Spirito Santo ricordando ogni anno la Pentecoste del 1623 e preparandovisi con un ritiro che iniziava il giorno dell’Ascensione. Durante questi giorni pregava in unione della Vergine Maria e degli Apostoli in attesa dello Spirito Santo, affinché anche in lei i sette doni trovassero pronta accoglienza. Per Luisa la vita di Gesù Cristo, che ha annientato se stesso e ha assunto la condizione di servo, costituisce la via che conduce alla pienezza dello Spirito: è necessario distaccarsi da ogni impedimento affinché lo Spirito Santo possa prendere dimora e infondere la sua forza nelle anime. In queste condizioni lo Spirito Santo agisce pienamente e trasforma la vita rendendola immagine di Cristo. Per lei, la realizzazione della vita cristiana dipende dalla disponibilità con cui ci si pone di fronte all’azione dei doni dello Spirito Santo. Santa Luisa invitava anche le Figlie della Carità a ricevere fruttuosamente lo Spirito Santo per essere consumate da questo amore che fa amare soprattutto la volontà di Dio. Conclusione L’itinerario di Luisa de Marillac è un lungo cammino di maturazione umana e spirituale che passa attraverso l’esperienza della solitudine, dell’emarginazione, dell’insuccesso, ma anche attraverso quella delle profonde gioie dell’amicizia e del dono di sé agli altri. Seguendo i passi del Cristo che si è fatto carne, essa non è andata alla ricerca di azioni appariscenti, ma laddove percepiva una necessità, cercava, con umiltà e semplicità, di venire incontro, in collaborazione con altre persone, ai bisogni materiali e spirituali dei più poveri. Nel corso della sua vita Luisa ha scoperto la potenza dell’amore dello Spirito Santo e ha supplicato Dio affinché eliminasse in lei gli impedimenti all’amore ricevuto con l’infusione dello Spirito. Ella ricorda che è attraverso la quotidiana umiltà nel servizio dei poveri che si dimostra tutta la profondità dell’amore di Dio. Fra azione e contemplazione non può esserci contrasto Santa Luisa, “Scritti spirituali” Pagina 25
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poiché sono inseparabili e una richiama l’altra. È nella contemplazione che l’azione ha origine e, a sua volta, l’azione costituisce l’alimento della contemplazione: amore affettivo ed effettivo sono i due aspetti di uno stesso amore. Inserendosi nel vasto disegno dell’amore di Dio verso l’umanità, Luisa de Marillac ha testimoniato il profondo legame che esisteva tra la sua vita e il vangelo. È stata così capace di dimostrare che solo un amore autentico e profondo verso Dio può suscitare dei santi pienamente coinvolti nella storia umana attraverso un servizio rivolto soprattutto ai più poveri. _____________________________________ Bibliografia Santa Luisa de Marillac, Scritti spirituali Santa Luisa de Marillac, Nella Chiesa al servizio dei poveri, CLV, Roma, 1978 Elisabeth Charpy, Un cammino di Santità, CLV, Roma, 1991 Elisabeth Charpy, Spiritualità di Luisa de Marillac, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1997 Luigi Nuovo, Luisa de Marillac, Città Nuova, Roma, 2010 Elisabeth Charpy, La personalità di Luisa de Marillac, Conf. Sessione vincenziana per l’America Latina, Agosto 2007. San Vincenzo de’ Paoli, Perfezione evangelica, CLV, Roma, 1964 San Vincenzo de’ Paoli, Conferenze spirituali alle Figlie della Carità, CLV, Roma, 1980 Pagina 26
Un degno figlio di san Vincenzo: beato Federico Ozanam Roberto Forti Vice Presidente Federazione Regionale Lombarda Società di San Vincenzo De Paoli Pagina 27
Quando la Società di San Vincenzo De Paoli volle far conoscere meglio ai suoi membri la figura di Federico Ozanam pubblicò una serie di fascicoli che avevano come titolo comune “Ozanam racconta Ozanam”, ritenendo che il modo migliore per conoscerlo non era tanto leggere ciò che ne avevano detto i dotti quanto riascoltare le sue stesse parole. Condividendo la scelta, anticipo che come metodo cercherò di corroborare ogni affermazione su Federico con il supporto di parole tratte dalle migliaia di lettere, articoli, pubblicazioni che ha scritto. Federico Ozanam è nato a Milano il 23 aprile 1813, quindi tra 3 anni ricorrerà il suo bicentenario. Avremo così un’ottima occasione per ricordarlo “a tutto tondo”; oggi vorrei presentarvelo soprattutto nella sua veste di figlio spirituale di san Vincenzo. Questo mi salva dal tentare un’impresa impossibile: dare un’idea esaustiva della grandezza di Ozanam con una semplice chiacchierata di una mezz’oretta. Mi auguro che i pochi “flash” che vi proporrò riescano comunque nel loro intento di stimolarvi ad approfondire la conoscenza di un uomo che può esserci a pieno titolo modello non solo di fede e di carità ma in generale di vita. Per un francese il nome di san Vincenzo è notissimo: andate in qualunque chiesa di Francia, guardatevi bene intorno ed è estremamente probabile che una sua immagine ‐ statua o quadro ‐ la troviate. Ed è un nome che è sinonimo di carità. Nulla di strano quindi che i nostri fondatori, riunitisi per dare una testimonianza di carità, abbiano pensato di scegliere san Vincenzo come patrono della neonata associazione. Risulterebbe che la proposta non sia neppure stata fatta da Ozanam; che poi venisse da Jean‐Léon Le Prevost, come scrive Madeleine Des Rivières (che fissa persino la data: 4 febbraio 1834), o che sia stata un suggerimento di Bailly, come sostiene invece p. José Maria Roman, non ha qui molta rilevanza. Quel che importa è che Federico l’ha fatta subito sua, e sua in senso completo, traendone con coerenza le conseguenze; in una lettera a Lallier scrive: “Noi leggiamo ora, al posto dell’Imitazione, la Vita di San Vincenzo de’ Paoli, per meglio compenetrarci nei suoi esempi e le sue tradizioni. Un santo patrono non è infatti un’insegna banale per una Società come un Saint‐
Denys o un Saint‐Nicolas per un’osteria. Non si tratta nemmeno di un semplice nome onorevole sotto il quale ci si possa dare un buon contegno nel mondo religioso: si tratta di un modello che bisogna sforzarsi di realizzare, come lui stesso ha realizzato il modello divino di Gesù Cristo. E’ una vita che bisogna continuare, un cuore nel quale poter riscaldare il proprio, un’intelligenza nella quale si deve cercare una luce; è un modello sulla terra e un protettore in cielo; un duplice culto gli è dovuto, d’imitazione e d’invocazione. E’ d’altronde a queste sole condizioni che ci si appropria dei pensieri e le virtù del Santo, che la Società può sfuggire alle imperfezioni personali dei suoi membri, che può rendersi utile nella Chiesa e darsi una ragione d’esistenza”. Due anime alimentate dalla stessa fede, ispirate dagli stessi principi, danno facilmente risposte molto simili a domande uguali; in più, da studioso quale era, Ozanam ha certamente Pagina 28
approfondito il pensiero e l’insegnamento di san Vincenzo. Rileggendo in parallelo alcune delle pagine che ci hanno lasciato si trovano molte conferme di questa sintonia di cui vi citerò ora qualche esempio. Ho cercato di limitarli ma già così ci dilungheremo un po’; spero che me lo perdonerete, perché questo è un punto focale della tesi che cerchiamo di dimostrare oggi, la discendenza spirituale diretta di Federico Ozanam da san Vincenzo, e perché racchiudono un loro insegnamento di altissimo livello su cui non può essere considerato tempo sprecato riflettere. Possiamo tutto, ma dobbiamo porci nelle mani di Dio San Vincenzo: “Bisogna che la nostra anima magnifichi, amplifichi Dio, così che Dio amplifichi la nostra anima e ci doni grandezza di comprensione per ben conoscere la dimensione della sua bontà e della sua potenza. Se noi non possiamo nulla da soli, possiamo tutto con Dio. Sì, tutto, perché abbiamo in noi il germe dell’onnipotenza di Gesù Cristo; non ci sono alibi per quello che riteniamo impossibile, avremo sempre più forza di quanto occorra, principalmente nel momento del bisogno”. Ozanam: “Noi cattolici siamo puniti per aver riposto maggior fiducia nel genio dei nostri grandi uomini che nella potenza del nostro Dio. Non è certo un fragile bastone quello che ci occorre per attraversare la terra; sono due ali, quelle due ali che portano gli angeli: la fede e la carità. Al posto del genio che ci manca occorre che sia la grazia a guidarci, occorre essere coraggiosi, perseveranti, dobbiamo amare fino alla morte, combattere fino alla fine”. Vivere ad imitazione di Cristo San Vincenzo: “Dobbiamo servire i poveri corporalmente e spiritualmente. Una delle ragioni principali è onorare la santa vita umana di Nostro Signore imitando le sue azioni in questo campo”. Ozanam: “Spesso nella settimana vado alla messa delle undici, e non potete immaginare in quale compagnia: è tutto ciò che ripugna alla nostra delicatezza, ma si tratta di quei poveri che Cristo amava”. La realtà del corpo mistico San Vincenzo: “Tutti gli uomini formano un corpo mistico; siamo tutti membra gli uni degli altri; tutte le membra hanno tanta simpatia e tanto collegamento tra loro che il male dell’una è il male dell’altra. A maggior ragione i cristiani, essendo membra di uno stesso corpo e membra gli uni degli altri, devono compatirsi reciprocamente”. Ozanam: “Presente in ogni luogo e in ogni tempo, la Chiesa riunisce in una alleanza misteriosa sia le generazioni che sono ancora nella lotta della vita presente sia quelle che attraversano le espiazioni della vita futura o che già riposano nel trionfo”. I poveri e la Chiesa San Vincenzo: “Siamo i preti dei poveri, Dio ci ha scelti per loro. E’ là il nostro capitale, tutto il resto non è che accessorio”. Ozanam (al fratello sacerdote): “Occupati sempre dei servitori come dei padroni, degli operai come dei ricchi: è ormai l’unica via di salvezza per la Chiesa”. I poveri sono i nostri padroni San Vincenzo: “Voi dovete pensare spesso che il vostro compito più importante e che Dio vi domanda in modo particolare è di avere una grande cura dei poveri che sono i nostri signori. O sì, Pagina 29
sorelle mie, sono i nostri padroni! Ecco perché dovete trattarli con dolcezza e cordialità, pensando che è per quello che Dio ha voluto la vostra Compagnia. Dovete aver cura che, per quel che dipende da voi, non manchi loro nulla, sia per la salute dei loro corpi che per la salvezza della loro anima. Che felicità, figlie mie, servire la persona di Nostro Signore nelle sue povere membra. Egli vi ha detto che riterrà questo servizio come se fosse fatto a lui stesso”. Ozanam: “Sembra che per amare si debba vedere e noi non vediamo Dio se non con gli occhi della fede; e la nostra fede è così debole! Ma gli uomini, ma i poveri li vediamo con gli occhi della carne, sono qua e noi possiamo mettere il dito e la mano nelle loro piaghe e i segni della corona di spine sono visibili sulla loro fronte. Dovremmo cadere ai loro piedi e dire loro con l’apostolo: “Tu sei il mio Signore e il mio Dio. Voi siete i nostri padroni e noi saremo i vostri servitori; voi siete per noi l’immagine sacra di quel Dio che non vediamo, e non sapendolo amare in altro modo l’ameremo nella vostra persona”. Amicizia e carità San Vincenzo: “La cordialità è l’effetto della carità che si ha nel cuore, di modo che due persone che hanno nel cuore la carità l’una verso l’altra, che il santo amore vi ha messo, lo testimoniano nell’incontro dell’una con l’altra. Se avete amore per i poveri, glielo dimostrerete col piacere di vederli. Si può dire che se la carità è un albero, le foglie e i frutti saranno la cordialità, e se essa è un fuoco, la fiamma sarà la cordialità”. Ozanam: “Il principio di una vera amicizia è la carità, e la carità non può esistere nel cuore delle persone senza espandersi al di fuori; è un fuoco che si spegne se non è alimentato, e l’alimento della carità sono le opere buone”. Sono solo pochi esempi, ma ci fanno capire come questi due uomini per tanti versi così diversi tra loro per aspetto, formazione, legami familiari, ambiente, siano in realtà uguali per due caratteristiche irrinunciabili dell’“identità” vincenziana: la spiritualità e il modo di intendere il servizio ai poveri. A san Vincenzo piacevano le cose fatte bene. Sentite con che meticolosità ha prescritto alle sue prime collaboratrici un’azione che a noi potrebbe sembrare piuttosto semplice: “Chi è di turno di giorno prepara il pasto di mezzogiorno, lo porta al malato, saluta allegramente e amorosamente, prepara il tavolino sul letto, ci distende sopra un centrino dove depone il pane, una ciotola o bicchiere e un cucchiaio, fa lavare le mani al malato e recita il Benedicite, versa la minestra in una scodellina, mette la carne nel piatto. Tutto questo con amore, come se fosse per il proprio bambino o, ancora meglio, per Dio, il quale considera come fatto a lui stesso quello che facciamo ai poveri”. Confrontatela adesso con la meticolosità con cui Federico prescrive a se stesso come raggiungere l’obiettivo di scrivere un libro che dimostri la divinità della religione cattolica. In una sua lettera a due amici si legge: “Bisogna mettersi in cammino perché l’ora è venuta e, se voglio fare un libro a 35 anni, devo cominciare a 18 i lavori preliminari, già di per sé così numerosi. Infatti, sapere una dozzina di lingue per consultare le fonti e i documenti, conoscere discretamente la geologia e l’astronomia per poter discutere i sistemi cronologici dei popoli e dei dotti, studiare infine la storia universale in tutta la sua estensione, la storia delle credenze religiose in tutta la sua profondità, ecco che cosa devo fare per giungere ad attuare il mio progetto”. Se vi sembra che l’obiettivo fosse un po’ troppo ambizioso, vi ricordo che se l’è posto un uomo che a 19 anni fu in grado di scrivere a Falconnet una lunga lettera alternando sei lingue: greco, latino, italiano, francese, inglese e tedesco; per divertire l’amico la chiuse poi in ebraico e siccome era, appunto, ebraico, non si dimenticò di scrivere, molto correttamente, da destra a sinistra. Quanto alla cura che Federico dedicò alla propria formazione culturale, vi elenco velocemente alcuni dati che ci permetteranno di dedurne, direttamente e indirettamente, l’ampiezza e la profondità: baccalaureato a 16 anni, laurea in Diritto a 23, laurea in Lettere e assegnazione della cattedra di Diritto Commerciale all’Università di Lione a 26, nomina a professore nella cattedra di Letteratura straniera alla Sorbona a 27, membro dell’Accademia Tiberina a 28, dell’Accademia degli Arcadi a 31, Cavaliere della Legion d’Onore a 33, membro dell’Accademia di Baviera a 34, dell’Accademia di Lione a 35, dell’Accademia della Crusca a 40, l’anno della sua morte. E proprio perché ormai la morte era vicina, il 22 giugno dello stesso anno rinunciò alla nomina all’Accademia delle Iscrizioni dicendo: “Il momento è troppo solenne e non mi permette di pensare a queste vanità”. Mi piace citare questi traguardi di Federico e questi riconoscimenti che gli sono stati tributati per ricordare insieme a voi di che qualità era, anche da un punto di vista intellettuale, l’uomo i cui insegnamenti, aderendo alla Società di San Vincenzo De Paoli, noi ci siamo impegnati a seguire e mettere in pratica. San Vincenzo riusciva a rinfocolare il senso religioso di interi villaggi con una sola predica. Federico un giorno, uscendo dall’aula di una delle sue lezioni alla Sorbona, si vide consegnare da un bidello un biglietto che diceva “Signore, io esco ora dalla vostra lezione. E’ impossibile che voi non crediate a ciò che esprimete così bene e con tanto cuore. Se quanto sto per dirvi può essere per voi una soddisfazione, che dico, una felicità, gustatela in tutta la sua pienezza. Prima di udire la vostra lezione io non avevo la fede; ciò che non aveva saputo fare un gran numero di prediche, voi l’avete fatto in una volta sola: mi avete reso cristiano. Ricevete, Signore, l’espressione della mia riconoscenza”. Sia san Vincenzo che Federico hanno così confermato una verità che già san Gregorio Magno aveva espresso con le parole “E’ assai raccomandabile la santità della vita, che accredita veramente chi parla molto più dell’elevatezza del discorso”, e che papa Montini ha ripreso quando ha detto che “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri è perché questi sono testimoni”. Pagina 30
E’ una caratteristica di san Vincenzo, che la San Vincenzo ha ereditato, di non dedicarsi all’una o all’altra opera di carità ma di far propria qualunque forma di aiuto: sosteneva i poveri, si prendeva cura dei malati, accoglieva i bambini senza famiglia, intercedeva per i galeotti. Anche Ozanam e Le Taillandier iniziarono privandosi della loro legna da ardere per donarla ai poveri ma si aprirono poi subito a tutte le forme di bisogno in cui si imbattevano; lo testimoniano tra l’altro una lettera a Curnier in cui dice: “La carità non deve mai guardare dietro di sé ma sempre avanti, perché il numero delle sue buone opere passate è sempre troppo piccolo e perché infinite sono le miserie presenti e future che essa deve alleviare”; o una lettera a sua madre in cui scrive: “La Società si compone di circa 200 membri che visitano 300 famiglie povere e distribuiscono ogni anno poco più di 4000 franchi in aiuti a domicilio ai quattro angoli di Parigi. Inoltre abbiamo una casa per apprendisti stampatori dove alloggiamo, manteniamo e istruiamo dieci ragazzi poveri, quasi tutti orfani (…). Essi imparano a stampare nei bei laboratori del Signor Bailly e qualcuno di noi dà loro lezioni di scrittura, di calcolo, di storia sacra, ecc.; un nostro amico ecclesiastico fa loro il catechismo. (…) Alcuni nostri colleghi sono stati incaricati dal presidente del tribunale civile di far visita ai fanciulli detenuti su richiesta dei loro genitori; si dà loro tutti i giorni delle lezioni. (…) Si è ottenuta l’abiura di una povera malata protestante, si è fatta fare la prima comunione a parecchi poveri moribondi, abbiamo fatto sposare in chiesa e davanti allo stato civile delle persone che vivevano insieme da tanto tempo”. La San Vincenzo ha raccolto e continua a raccogliere questo messaggio. Quando, nel 1883, la Società festeggiò il suo primo cinquantenario, padre Monsabré potè dire in Notre Dame: “Al principio del vostro ministero di carità, o signori, voi vi eravate proposto solo le visite ai poveri; ma, al contatto con la miseria, l’amore cristiano cede a certe attrattive che vanno oltre i primi disegni. Sfogliando i vostri annali di mezzo secolo che cosa mai non vedo io? Fondazioni di asili e di patronati, adozione ed educazione di orfanelli, protezione di abbandonati, istruzione degli spazzacamini, degli apprendisti, dei garzoni delle manifatture, degli usciti dal carcere, stabilimenti di vestiario e di biancheria, casse di risparmio, casse di collocamento e soccorso, cucine economiche, dispense di vitto, soccorsi medici, consulti legali, circoli e riunioni ricreative, distribuzioni e incoraggiamenti, biblioteche, scuole, catechismi e letture. Insomma, la famiglia, la casa, il lavoro, il matrimonio, gli affari, la malattia, la morte, i funerali dei poveri: a che cosa non si rivolge la vostra attenzione?”. La presentazione delle attività attuali che ci faranno oggi pomeriggio confermerà che la San Vincenzo mantiene ben viva la fedeltà alle proprie radici. Alcune necessità sono scomparse o cambiate, altre sono sorte; la diversa organizzazione sociale ha permesso di trasferire in capo all’Ente pubblico tanti compiti, ma se non organizziamo più, solo per fare qualche esempio, casse di risparmio, soccorsi medici e consulti legali stabili, biblioteche, continuiamo ad animare i loro equivalenti odierni, a prenderci a cuore le vittime degli usurai, i malati che subiscono la vergogna di certi tempi biblici della sanità pubblica, gli inquisiti che non ricevono giustizia perché non possono permettersi un avvocato diverso da quello di ufficio, i tanti che soffrono l’umiliazione della propria ignoranza perché non trovano qualcuno che li aiuti ad elevarsi. L’inventiva di san Vincenzo e di Federico sostiene anche noi, ci spinge a rinnovarci nella tradizione, ci rende attuali anche alla bella età di 350 anni! Faremo bene ad averlo sempre presente, non per orgoglio ma come sprone. Pagina 31
Alcune delle cose appena dette mi inducono a condividere con voi qualche riflessione su un altro punto importante della affinità tra san Vincenzo e Federico: l’impegno politico. So che molti vincenziani arricciano il naso quando sentono la parola “politico”; è una inevitabile conseguenza del modo di fare politica a cui ci hanno purtroppo abituato: politica come professione comoda e lautamente pagata; politica come mezzo per raggiungere obiettivi personali in vari modi non sempre leciti; politica insomma come qualcosa che le persone dabbene devono considerare con giustificato sospetto e da cui è prudente che si tengano a debita distanza. Invece san Vincenzo non disdegnava la politica non attiva, ma attivissima; però era la Politica con la P maiuscola, quella che un Papa qualche decennio fa ha definito “una delle più alte forme di carità”: la politica intesa come ricerca del massimo bene comune possibile. San Vincenzo prima prendeva coscienza delle diverse forme di bisogno e ne approfondiva le cause, poi si rivolgeva a chiunque avesse il potere di porre in atto dei rimedi, senza preoccuparsi se per questo doveva salire fino ai vertici dello Stato. Anzi, vi saliva egli stesso, accettando incarichi di servizio che lo portavano direttamente nelle “stanze dei bottoni” (penso in particolare alla sua nomina reale a Elemosiniere Capo delle Galee, col rango di Ufficiale della marina nel Levante, o a quella di membro del Consiglio di coscienza della regina Anna, insieme alle più alte personalità del regno). Sulla sua scia anche Federico Ozanam non è mai indietreggiato di fronte all’impegno politico; anzi, affermava (in una lettera a Falconnet): “penso che si deve ammonire con voce coraggiosa e severa il potere che sfrutta invece di sacrificarsi”; qualificava però il suo impegno precisando che “io credo all’autorità come mezzo, alla libertà come mezzo, alla carità come scopo”. Riconoscendo che la giovinezza sua e dei suoi compagni era al momento un limite, nel 1834 proponeva: “prima di fare il bene pubblico possiamo provare a fare il bene individuale e privato”. Ma attenzione: “prima di fare”, non “anziché fare”; infatti una quindicina di anni dopo accettò addirittura, sia pur con qualche riserva iniziale, di candidarsi all’Assemblea Nazionale e corse seriamente il rischio di essere eletto (non lo fu per una manciata di voti). Non che si facesse soverchie illusioni sulle reali possibilità di incidere: ancora nel 1845 aveva scritto: “E’ proprio della politica del governo ‐ e, a dire il vero, di tutti i governi ‐ di accordare tolleranza piuttosto che autorizzazioni e favori più che diritti”; ma lo faceva perché riteneva un imperativo morale che “quando uno ha studiato il povero in casa sua, alla scuola, all’ospedale, non in una sola città ma in parecchie, non nelle campagne ma in tutte le condizioni in cui Dio l’ha messo”, quando ha cominciato a “conoscere gli elementi di questo formidabile problema che si chiama miseria” proponga “serie misure le quali, in luogo di fare lo spavento della società, ne facciano la consolazione e la speranza”. (Le frasi citate sono tratte dal suo rapporto all’Assemblea Generale della San Vincenzo del dicembre 1848). Mi fermo perché l’argomento potrebbe giustificare un convegno a sé e vorrei invece trattare un ultimo punto che lega Federico Ozanam a san Vincenzo e noi a lui: il suo rapporto con la Chiesa, con la religione, con Dio. Pagina 32
Il mistico si innalza verso Dio, il filantropo si china sull’uomo: Federico si avvicinò a Dio accostando l’uomo, ed è questo che chiede anche a noi. Il 2° capoverso dell’art. 4, “Finalità”, degli statuti sia nazionale che regionale e centrale della Società di San Vincenzo De Paoli recita: “Accompagnare i propri membri in un cammino di fede attraverso l’esercizio della carità”. In altre parole, il vincenziano non considera l’aiuto al prossimo come un fine, ma come uno dei mezzi per progredire lungo quella strada che lo porterà all’abbraccio finale con Cristo, perché è servendo, amando, ascoltando ogni fratello che incontra che impara a servire, amare, ascoltare il Signore. E’ la rotta indicata da san Vincenzo, è la stella polare che ha guidato la vita di Federico. Il suo stile di bontà verso tutti si affinava ulteriormente verso chi era nel dubbio; diceva: “Molti soffrono di non poter credere. Tendiamo loro la mano”. A sua moglie Amelia che si mostrava preoccupata perché l’eccesso di lavoro metteva in pericolo la sua salute Federico rispose: “14 anni fa mi consacrai alla diffusione della Verità. La causa della fede, della cultura cristiana: ecco ciò che mi si è radicato nel cuore e farò del mio meglio per il trionfo di tale causa, per il trionfo di Cristo”; ma lo fece non combattendo mai l’uomo, solo l’errore e l’ignoranza, e questo gli guadagnò un grande rispetto. Quando uno studente, evidentemente irritato per come Federico riaffermava certe sue idee anche facendo lezione, sull’albo esposto nell’atrio scrisse un giorno vicino al suo nome “Corso di Teologia”, Federico replicò in aula dicendo: “Io non ho l’onore di essere un teologo; ho però la fortuna di essere un cristiano, ho la gloria di credere in Cristo e ho anche l’ambizione di mettere tutto me stesso al sevizio della Verità”; il lunghissimo applauso con cui furono accolte le sue parole è particolarmente significativo se pensate al clima di anticlericalismo che regnava in quel tempo alla Sorbona. Il “Moniteur réligieux” lo invitò a collaborare ma Federico era stremato; però promise ugualmente alcuni articoli perché, dichiarò, aveva “un solo desiderio, una grande speranza: che in mezzo alle rovine politiche si riaffermi il Cristianesimo”. Era solito dire: “Gesù mi fa visita ogni mattina, nella Santa Comunione; io gli restituisco la visita andando dai suoi poveri. Ogni povero è Lui”. Il 23 aprile 1853 Federico compie 40 anni. Apre la Bibbia al canto di Ezechia (Is. 38, 10‐20), ne trascrive i primi versi, poi aggiunge una meditazione altissima: “Signore, Tu vuoi me. E io ho detto ‘Vengo’. Tu mi hai dato 40 anni di vita; che i miei cari non si dolgano se non vuoi compiere oggi un miracolo per guarirmi. Tu mi darai il coraggio, la rassegnazione, la pace dell’anima. Tu mi farai trovare nella malattia una sorgente di meriti e di benedizioni e li farai ricadere su mia moglie e la mia bambina, sui miei cari. Quando mi incatenerai su un letto per i giorni che mi restano da vivere, non finirò di ringraziarti per i giorni che ho vissuto. Se queste pagine sono le ultime che scrivo, siano un inno alla tua bontà, Signore!”. La sua tomba, nella chiesa dei Carmelitani in rue Vaugirard a Parigi, reca la scritta “Qui riposa in pace Federico Ozanam, fondatore della Società di San Vincenzo De Paoli, trascinatore dei giovani nella milizia di Cristo”. Pagina 33
Il tempo a mia disposizione è scaduto; concludo con la formulazione di un auspicio: che in occasione del bicentenario della sua nascita possiamo ritrovarci in questa prestigiosa aula ma non per parlare del beato Federico Ozanam; per parlare di san Federico Ozanam. Giovanna Antida Thouret, il coraggio della carità Suor Wandamaria Clerici ‐ Suora della Carità Premessa Avere la felice opportunità di parlare della propria Madre Fondatrice, per me, è sempre motivo di grande gioia. Infatti, una tale occasione mi sollecita a cercare un percorso interpretativo da seguire e da proporre, per aprire la mente verso nuovi orizzonti o per ampliare quelli già noti, per risvegliare lo sguardo e l’interesse affinché si volgano su dei particolari prima poco osservati o poco valorizzati. Una figlia, quale io sono, non smette mai di ricercare il genuino nutrimento spirituale che leghi e liberi ad un tempo la propria fedeltà creativa al carisma delle origini. Soprattutto, un tale dono mi permette di fare conoscere Santa Giovanna Antida Thouret a chi, pur essendo della Famiglia vincenziana, non ne ha mai sentito parlare. La categoria del coraggio Ho scelto di utilizzare il titolo di una biografia di Padre Luigi Mezzadri Giovanna Antida Thouret. Il coraggio della carità, scritta nel 1999 per le celebrazioni del Bicentenario di Fondazione dell’Istituto. Nella sua opera Padre Mezzadri ha fatto la scelta di una precisa chiave interpretativa, così la virtù del coraggio, nelle sue molteplici sfaccettature, ha reso possibile il fluire della narrazione della vicenda umana e soprannaturale di una donna tenace che ha dato vita ad un capolavoro di carità. Il coraggio è una categoria preziosa per penetrare con la mente e con il cuore nella profondità e nella ricchezza di una esperienza dello Spirito che ha il colore ed il calore della fiamma della carità. Anche oggi, qui, sono ancora una volta affascinata dalla statura umana e spirituale della donna coraggiosa e forte che è stata Santa Giovanna Antida e vorrei che questo fascino fosse contagioso e contagiasse anche voi. Credo sia evidente che sono una figlia orgogliosa di tale Madre e che la mia lettura è di parte. Il mio obiettivo è quello di far nascere in voi un interesse per lei, quindi cerco di collocarla storicamente. Giovanna Antida è sempre andata oltre il suo tempo, oltre la sua storia, per abitare un tempo che è quello di Dio, un tempo di futuro e di speranza. È praticamente impossibile affrontare il tema, senza precisare chi è stata e che cosa ha fatto. Vorrei cercare di tratteggiare brevemente la sua personalità. Giovanna Antida nasce a Sancey‐le‐Long, in Francia, il 27 novembre 1765 e muore in Italia, a Napoli, il 24 agosto 1826. La sua vita dura 61 anni. Non sono pochi, ma non sono neppure molti. Pagina 34
È importante conoscere alcune vicissitudini che hanno segnato la burrascosa vita di Madre Thouret. È vissuta tra le Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli solo per circa sei anni (1787‐
1793), perché a causa dello scioglimento di tutte le congregazioni religiose, ha dovuto riprendere gli abiti civili. Ha attraversato la bufera della Rivoluzione Francese e tutte le conseguenze culturali, politiche e religiose che ne sono derivate. È entrata poi nel Ritiro Cristiano di Padre Receveur per quasi due anni (1795‐1797), lasciando anche questa esperienza che non risponde pienamente alla sua vocazione. La sua forza non si è indebolita, anzi si è temprata ancora di più, e dopo quattro mesi di clandestinità, all’età di 32 anni, Giovanna Antida da sola, senza denaro e senza documenti (come i sans papiers di oggi, clandestini illegali), attraversa il cuore dell’Europa travagliata dalla guerra (Wiesent, Ratisbona, Asburgo, Einsiedeln, Zurigo, Lucerna, Berna, Cressier) e giunge a Landeron, un villaggio della Svizzera, in cui esiste una chiesa cattolica di lingua francese. Nella seconda quindicina del luglio 1797, riceve dai grandi Vicari di Besançon (Monsignor De Chaffoy, Bacoffe e Beauchet), in esilio come lei, questo compito: «… Dio parla per mezzo dei Superiori, ed io mi trovo ad essere il vostro. Pertanto vi comando di rientrare in Francia entro quindici giorni, per aiutarci a ristabilire nella nostra diocesi la fede e i buoni costumi, seguendo l’esempio dei nostri Santi protettori, Ferréol e Ferjeux». I Santi Ferréol, vescovo, e Ferjeux, diacono, sono i primi evangelizzatori della Franca Contea e furono messi a morte nell’area del teatro antico che si trovava a Besançon ad una estremità della Rue des Martelots (Via Martyrum). L’11 aprile 1799, a Besançon, proprio in Rue des Martelots, quasi dopo due anni dal mandato ricevuto, Giovanna Antida, da sola, inaugura la prima scuola gratuita e la distribuzione del brodo per i poveri. Così inizia la Famiglia religiosa delle Suore della Carità. Da qui parte lo sviluppo delle diverse opere educative, sociali assistenziali, sanitarie. Scuole di carità, ospizi di carità, orfanotrofi, convitti, prigioni, ospedali, prima vengono aperti nella città di Beasançon, ma subito dopo si diffondono nelle altre regioni della Francia e in Svizzera. Gli appelli sono pressanti e le Suore non sono mai sufficienti per rispondere al grido dei poveri. Potremmo dire che la storia della donna Giovanna Antida si sviluppa a puntate e che la sua vita di cristiana conosce delle tappe evolutive, così come la sua esistenza, da religiosa e da Fondatrice, è segnata da un itinerario vocazionale caratterizzato dalla appassionata ricerca della Volontà di Dio e del bene dei poveri. L’anno 1810 rappresenta uno spartiacque importante che divide la sua vita in due periodi: quello francese e quello italiano. Pagina 35
Nel periodo francese, prima del 1810, Giovanna Antida è una donna che interpreta la storia della sua vita. Quest’anno la mia Congregazione celebra il Bicentenario: ‐ del mandato ricevuto a Landeron (luglio 1797); ‐ del Decreto firmato dall’Imperatore Napoleone Bonaparte, il 28 agosto 1810, con il quale sono approvati giuridicamente gli Statuti delle Suore della Carità; ‐ della missione delle Suore della Carità in Italia, in quanto il 5 ottobre 1810, Giovanna Antida parte in diligenza alla volta del Regno di Napoli, accompagnata da altre sei religiose e da due giovani nipoti. Giovanna Antida non rifiuta la proposta di Napoleone, nonostante altre Superiore generali prima di lei lo abbiano fatto (Figlie della Carità, Suore di Nevers). Non si lascia intimorire dalla distanza, dal paese straniero e dalla lingua sconosciuta, dai pericoli che dovrà affrontare e dall’ignoto che la attende. Da questa scelta coraggiosa di superare le frontiere prende avvio il processo di internazionalizzazione della Congregazione che oggi è presente in 27 paesi, al servizio spirituale e temporale dei poveri. L’intervento dello Spirito trasfigura progressivamente e prodigiosamente l’esistenza di Giovanna Antida, dando vitalità al suo carisma, rendendo incandescente la sua spiritualità, trasformando in modo innovativo il servizio reso a Gesù Cristo nei poveri: questo, ancora oggi, stupisce ed entusiasma. Giovanna Antida ha dovuto lavorare molto su se stessa per accettare di lasciarsi plasmare da Dio ed arrivare al coraggio della carità. Sì, perché il coraggio della carità è ad un tempo un dono ed una conquista, è il compimento di un progetto di vita che ponendo al centro la volontà di Dio ed il servizio dei poveri ha implicato molte forme di tenacia, molte tappe, una sorta di scala del coraggio da salire. Giovanna Antida nella Lettera Circolare del 1812 scrive: «Vi prego … di continuare a salire le scale misteriose che furono viste destinate a voi: ah! Nessuno se la lasci rapire per darla ad altre. Salite ciascuna sulla propria con coraggio e costanza fino all’ultimo sospiro della vita»17 Queste parole sono molto significative se riferite alla vocazione della Suora della Carità. Del resto, la forza d’animo non s’improvvisa, è sempre il frutto di un lungo tirocinio, di una assidua disciplina interiore; è indice di grande maturità, di consapevolezza, di responsabilità nell’affrontare la vita, con le prove, i pericoli, i rischi, le gioie e le sofferenze che una storia personale “vissuta” e non subita sempre contiene. Agire con coraggio implica una buona padronanza di sé, un sapiente uso dell’intelligenza, non c’è spazio per gli atteggiamenti impulsivi e sconsiderati. Il coraggio è dei protagonisti, di quanti sanno vivere come straordinaria la quotidianità. Dio ha scelto di fecondare la fede di una donna della Franca Contea con un seme della sua carità, ha trapassato tutto il suo essere con la Croce, ha temprato il suo carattere con il servizio, ha insegnato al suo cuore a consumarsi d’amore per l’unico Sposo, l’unico Maestro e Signore della sua vita. I solchi della storia umana non sempre sono accoglienti, conoscono tutte le stagioni: i piovosi autunni della prova, dello smarrimento, del dubbio e del discernimento; i gelidi inverni delle rivoluzioni, delle persecuzioni, delle guerre e della solitudine; le primavere della ricerca, dell’attesa, della speranza e della fiducia dei primi germogli ed in fine le calde estati dei buoni frutti e dei ricchi raccolti. Alla scuola della pazienza, che è la virtù dei forti, Giovanna Antida ha imparato che la carità è paziente, … tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (1 Cor 13) e con tale coraggio della carità ha potuto ardere, nonostante i nemici, le incomprensioni, i silenzi, le separazioni e l’isolamento. La sua carità è diventata incandescente. La categoria della resistenza Quando il coraggio è donna deve vestirsi di un più di resistenza, di audacia, di forza, di temerarietà. Il periodo italiano inizia con la partenza di Giovanna Antida per Napoli. Durante il viaggio, fa una tappa a Roma, e scrive una Lettera Circolare, chiedendo alle Suore di pregare, perché: «…si tratta di un paese straniero, di una lingua straniera, di un clima straniero, di usanze straniere, di figlie straniere da accogliere e da formare»18 Queste poche righe descrivono bene il cambiamento del contesto e quanto Giovanna Antida sia consapevole delle difficoltà e delle incognite della sua nuova missione. La citazione è connotata 17
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(cfr. Lett. Circ. del 28 dicembre 1812, in Lettere e Documenti, p. 66; Manoscritto Suor Rosalia Thouret, in Lettere e Documenti, p. 578;).
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(cfr. Lett. Circ. 5.11.1810, in Lettere e Documenti, p. 60). negativamente dal termine «straniero» insistentemente ripetuto. La percezione di Giovanna Antida dovrà gradualmente modificarsi per comprendere che non sono tanto il paese, la lingua, il clima, gli usi, le figlie ad essere stranieri, ma è lei con le sue religiose a fare l’esperienza di “sentirsi straniere”. Questo capovolgimento richiede alla Fondatrice una conversione radicale, una in‐culturazione lenta e paziente alla città di Napoli e ai poveri del Regno di Napoli. Inoltre, l’Istituto di Madre Thouret presenta una nuova forma di Congregazione religiosa non ancora conosciuta nel Sud dell’Italia. Per questo la Fondatrice deve affrontare le perplessità e le resistenze dovute ad una istituzione femminile che si presenta con queste caratteristiche: 1. la temporaneità dei Voti religiosi (con il superamento della clausura con i Voti perpetui); 2. una specifica vocazione personale per le opere di carattere educativo‐assistenziale (contro i motivi familiari e sociali delle monacazioni forzate); 3. la figura della Superiora generale con la centralizzazione del governo, della formazione dei membri e della gestione economica; 4. una nuova organizzazione regolamentata dagli Statuti che saranno approvati dal Papa; 5. un’economia fondata sulle professioni retribuite esercitate dalle Suore (con la stipulazione di Convenzioni); 6. un nuovo stile nel servizio ai poveri; 7. un nuovo modo di essere donna e religiosa in una società prevalentemente maschilista. La Suora di voti semplici impegnata in un servizio caritativo all’esterno del monastero di clausura è ancora una figura sconosciuta in Italia, mentre nell’Europa del Nord e in Francia è già molto diffusa, grazie soprattutto all’azione di San Vincenzo de’ Paoli che insieme a Luisa de Marillac fonda le Figlie della Carità, nel 1633. Alle religiose di vita attiva è richiesta una grande perfezione, come precisa la Regola delle Suore della Carità del 1820: «… non avendo per clausura che l’obbedienza, per cella che una stanza comune, le strade di una città, le sale degli Spedali ecc.; per grata, che il timore di Dio; per velo, che la santa modestia,… vivendo in mezzo al mondo come se non vi fossero, conservarvi una purezza angelica, spandere per tutto il buon odore di Gesù Cristo» 19 La categoria della resistenza permette di interpretare la vita di Madre Thouret, la quale partecipa alla storia del suo tempo da protagonista, scrivendone alcune significative pagine. Giovanna Antida non accetta le imposizioni sociali legate ai ruoli e alla differenza di genere. Non si adegua ad una vita cristiana mediocre e ripetitiva. Non accetta una vita religiosa svuotata di senso, di radicalità e legata solo ai vecchi modelli. Non subisce passivamente gli eventi storico‐
politici, ma si oppone alle prevaricazioni del clero e dei funzionari statali. Non cessa mai di cercare la verità nella carità. Non smette di interrogarsi sulla sua vocazione e non accetta le soluzioni comode e scontate. La sua fede si traduce in una continua e fedele obbedienza alla volontà di Dio, nonostante le apparenti contraddizioni. In quanto donna ha vinto il costume del suo tempo che per contratto l’avrebbe obbligata ad un matrimonio di convenienza. Ha rifiutato il pregiudizio di una cultura riservata solo agli uomini: Giovanna Antida ha sempre avuto sete di sapere, in quanto aveva capito che la carità ha 19
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(cfr. Regola del 1820, p. 271; un testo simile si trova prima, con le dovute differenze, in San Vincenzo de’ Paoli, Conferenze spirituali alle Figlie della Carità, Conferenza del 24 agosto 1659, pp. 1481‐1484). bisogno di competenze; ha valorizzato tutte le caratteristiche di un genere femminile molto sottovalutato, se non addirittura disprezzato. In quanto cattolica non ha temuto il terrore della Rivoluzione Francese, le persecuzioni e il pericolo di morte, il gallicanesimo; forte di Dio Solo si è sempre abbandonata al misterioso e provvidenziale agire del suo Signore, sapendo che il seme deve marcire, deve morire per trasformarsi in vita nuova. In quanto religiosa è rimasta sempre fedele ai Voti, non importa se con il vestito delle Figlie della Carità, dell’esule, dei Solitari, della straniera e clandestina senza documenti, oppure con quello delle Suore della Carità; non importa se tra le mura di una comunità, di un ospedale, di un ospizio, di una prigione, di una scuola, di una chiesa o per le strade; non importa se in Francia, in Svizzera, in Italia o nel mondo. È stata disposta a tutto per compiere la volontà di Dio. Ha avuto il coraggio delle donne di frontiera, di coloro che sanno stare al margine, al limite, con lo sguardo contemporaneamente rivolto verso il centro e verso la periferia. Giovanna Antida è stata autenticamente coraggiosa nell’obbedire, ma, se necessario, anche nel disobbedire agli uomini e alle donne da lei incontrati: ha avuto una coscienza guidata dall’intelligenza dello Spirito che le ha permesso di fare discernimento, di cercare ai piedi del Crocifisso la forza per essere nella verità, di avere pazienza, di tacere e anche di perdere, pur di far trionfare la carità. Proprio sulla linea dell’obbedienza/disobbedienza, Giovanna Antida a Landeron ha accolto ed incarnato fino in fondo queste parole: « … fonderete a Besançon una casa per l’istruzione della gioventù e l’assistenza dei malati poveri. …Voi opererete benissimo. È sufficiente avere coraggio e memoria; sembra che ne possediate» 20 Certo i grandi Vicari di Besançon non potevano prevedere a Landeron quello che il genio di Giovanna Antida avrebbe saputo generare in forza del loro mandato. Al tempo si riteneva sconveniente affidare una Congregazione religiosa femminile alla guida di una donna. Ma Dio si serve delle mediazioni umane per compiere i suoi progetti, Dio può permettersi di pensare e di volere una donna di azione, con la qualità del comando, in grado di stendere una Regola, fedele alla Chiesa Cattolica e Romana, capace di cooperare con Lui per la salvezza del mondo. Dalla carità di Giovanna Antida sono nate le Suore della Carità, una fondazione nuova, con uno stile di vita religiosa apostolica permeato dalla passione per Dio e per i poveri. Per questo Giovanna Antida è stata autenticamente coraggiosa in quanto Fondatrice, Superiora Generale e soprattutto Madre. Ha saputo resistere alla tentazione di adeguarsi ai modelli del passato. Pur sentendosi vera figlia di San Vincenzo de’ Paoli, non si accontenta di fare solo quanto ha appreso tra le Figlie della Carità, non si limita ad avere buona memoria ripetendo il passato. Giovanna Antida si lascia scolpire docilmente dallo Spirito che non si ripete mai e interpreta creativamente il carisma della carità, lo colora di femminilità, di tenerezza, di cura e di sollecitudine. Servire Gesù Cristo nella persona dei poveri esige uno zelo ardente, una dedizione generosa, una carità accurata e tenera, richiede umiltà, rispetto, compassione. Il servizio spirituale e temporale dei poveri fatto per Gesù Cristo è il nucleo del carisma di Santa Giovanna Antida. La fiamma della carità illumina la spiritualità di una azione che è tesa a fare di (cfr. Manoscritto di Pure Verità, in Lettere e Documenti, p. 466). Pagina 38
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ogni povero, uomo o donna, giovane o vecchio, un figlio di Dio. Il senso del servizio è salvare le anime. Giovanna Antida insegna alle sue figlie ad essere attive nella contemplazione e contemplative nell’azione, mostra come riscaldare con l’amore tutti i servizi che si riferiscono alla carità, perché è persuasa che «questa bella virtù non abbia limiti» 21 e che i poveri, in qualsiasi paese si trovino, debbono essere ugualmente cari22 Oltre duecento anni di storia forse non sono molti, ma sull’esempio di questo capolavoro di carità, la luce della santità di Santa Giovanna Antida si è propagata risplendendo in molte sue figlie, tra le quali ricordiamo Santa Agostina Pietrantoni, la Beata Nemesia Valle e la Venerabile Serva di Dio Suor Enrichetta Alfieri, nota come la “Mamma e l’Angelo di San Vittore”. Con loro ci sono tutte le Suore della Carità di ieri, di oggi, di domani ed un gruppo di laici che condividono una spiritualità pronta a volare incontro alla povertà, disposta a varcare le distanze, ma soprattutto pronta ad attraversare gli oceani del pregiudizio, i mari delle differenze culturali e religiose, i deserti dell’ignoranza, del non senso, della coscienza debole, e ad abbattere i muri delle ingiustizie e delle vecchie e nuove povertà. Tutto questo nei più svariati servizi: educazione della gioventù, assistenza agli orfani, ai diversamente abili, agli anziani, agli ammalati, ai carcerati, al recupero dei tossicodipendenti, all’accoglienza e promozione delle donne maltrattate, perseguitate e sole … Il Dio dell’Amore ci ricorda che «predilige i poveri e ritiene fatto a se stesso quanto avremo compiuto per loro nel suo nome»23. Con Santa Giovanna Antida tutte le Suore della Carità ancora ripetono: «Il nostro prossimo è dovunque; Dio è dovunque; questo ci è sufficiente»24 «Amare Gesù Cristo, amare e servire i poveri, che sono sue membra, manifestare loro l’Amore del Padre è la grazia e la missione …»25 che abbiamo ricevuto da Dio. Gesù Cristo amato, contemplato e servito è la nostra vita, è la nostra gioia. Ancora oggi, Giovanna Antida dice alle sue figlie con grande affetto: «… Vi amo maggiormente della più tenera delle madri tutte, non solo per il tempo, ma anche per la vita futura ed eternamente felice …»26. Giovanna Antida mostra come si possa essere coraggiosamente donna, eroicamente cattolica, creativamente religiosa, fedelmente figlia della Chiesa, tenacemente Fondatrice e teneramente Madre per generare una Famiglia religiosa che «si dedica a tutte le forme di carità …»27. Giovanna Antida è una Suora della Carità che ha scelto di compromettersi sempre per Cristo e per i poveri. È una ribelle per amore, per questo la sua vita è evangelicamente alternativa. Alla scuola del Crocifisso impara a resistere, a tener duro, a patire e a morire, se necessario, perché bisogna avere il coraggio di dare la vita per un progetto più grande, per un progetto che sia oltre le proprie limitate possibilità di vedere e di comprendere il mondo della marginalità. Per Dio Solo e per i poveri! 21
(L.SS, 1806, in Lettere e Documenti p. 12) (cfr. Lett. Circ. 28.12.1812, in Lettere e Documenti, pp. 73‐74) 23
(cfr. Lett. Re Luigi XVIII, in Lettere e Documenti, p. 232) 24
(cfr. Lett. Circ. 2.12.1821, in Lettere e Documenti, p. 89). 25
(cfr. RdV 1.1.1) 26
(cfr. Lett. Circ. del 28 dicembre 1812, in Lettere e Documenti, p. 66). 27
(L.US, 8.03.1822, LD p. 361). Pagina 39
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La sua opera è attuale, è un’eredità per le sue Figlie che da oltre duecento anni si passano orgogliosamente e con fedeltà creativa il testimone dello stile thouretiano, tenendo viva la fiamma della Carità. Nel coraggio della Carità che appartiene alla storia di ieri, le Suore della Carità si sostengono nello spirito delle origini e trovano le ragioni per l’oggi e per garantire un futuro al servizio spirituale e temporale dei poveri «le membra preziose di Gesù Cristo sofferente»28. Per questo, all’incitamento della Madre che dice loro: «… abbiamo sentito la voce del nostro prossimo che si trova dovunque, abbiamo percepito la voce dei poveri, che sono le membra di Gesù Cristo e nostri fratelli: in qualsiasi paese si trovino, debbono esserci ugualmente cari»29, le Suore della Carità rispondono con gioia e con passione cercando di incarnare lo stile della tenerezza educativa di Santa Giovanna Antida Thouret. Allora, lasciamoci sedurre dalla carità di Dio che si incarna nei Santi e contagiamo il mondo con l’amore. (cfr. Discorso Preliminare, 1807, in Lettere e Documenti, p. 6). (cfr. Lett. Circ. del 28 dicembre 1812, in Lettere e Documenti, pp. 73‐74),
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Relazione dell’attività delle Conferenze vincenziane lombarde Angela Toja Presidente Federazione Regionale Lombarda Società di San Vincenzo De Paoli Sono lieta di presentare al Convegno una relazione che illustra la situazione e le attività delle Conferenze Lombarde della Società di San Vincenzo De Paoli. Provo un profondo sentimento di gratitudine per le persone che hanno lavorato per la realizzazione di questo Convegno. E desidero ringraziare tutti i partecipanti a questo incontro, che mi fa sentire fra Sorelle e Fratelli uniti nella “carità del Signore Risorto”, attenti a seguire il suo avvertimento: “tutto ciò che avete fatto ad uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Lo sentiamo come sintesi del programma che caratterizza l’Anno Giubilare Vincenziano: carità e missione. La relazione presenta all’assemblea quanto i Vincenziani e le Vincenziane, con encomiabile dedizione e spirito di carità, hanno realizzato in questa regione, in un momento storico che è caratterizzato da numerose forme di impoverimento dovute, in gran parte, alla recessione economica e al malessere generale che vive il nostro Paese e che sollecitano maggiore energia e rinnovato slancio in tutti i membri della nostra Società. Le notizie storiche fanno risalire l’inizio della S. Vincenzo in Lombardia al 1852, quando il conte Bianchi favorì, in Milano, la fondazione della prima Conferenza cittadina. Si deve all’arcivescovo di Milano Bartolomeo Romilli l’iniziativa di dare corso regolare alle Conferenze in diocesi, con la lettera con cui invitava tutti i parroci ad avvalersi dell’opera di questi “validi collaboratori”. Era il 1857 e sorgeva il Consiglio Particolare di Milano. Seguirono poi le Conferenze di Monza e Lodi e via via tutte le altre. Questi sono i numeri che qualificano la consistenza Vincenziana Lombarda: Consigli Centrali: 17 Conferenze: 410 Vincenziani: 4214, così suddivisi: Donne 3411 ‐ Uomini 803 Somma totale erogate Euro 3.016.338 a sostegno delle Famiglie in difficoltà Povertà principali : Difficoltà Economiche N. 14. 486 Minori 6.560 Disoccupati 4.063 I nostri interventi hanno riguardato principalmente le famiglie di immigrati con figli minori, gli anziani e coloro che perdono il lavoro; quantitativamente meno rilevanti ma per noi ugualmente importanti sono poi tutta una serie di altri interventi ‐ di cui citerò qualche esempio tra poco ‐ anche straordinari, come l’aiuto a fronte di improvvise calamità (terremoto in Abruzzo) o all’estero (aiuto alle missioni). Vi fornisco, in modo molto sintetico, pochissimi “flash” che, ben lungi dall’illustrare in modo completo le nostre attività, danno però un’idea della loro molteplicità: Minori A Nembro e a Induno è stata data vita a due realtà molto significative che saranno illustrate tra poco da due testimonianze. A Milano l’opera Macchi, alla quale di recente è stato aggiunto il nome di Grignani a ricordo della carissima Olga, dà un aiuto significativo a famiglie che accolgono bambini orfani o abbandonati e a madri nubili con figli. Pagina 41
La Conferenza S. Francesca Romana di Milano cura un “progetto neonati” che è anche un bell’esempio di “lavoro in rete” con centri di ascolto, assistenti sociali e altre Conferenze della città. Il Consiglio Centrale di Monza gestisce da molti anni il progetto “Clara Cornelia Castelli”, che assegna borse di studio a studenti bisognosi. Molte Conferenze hanno allestito dei doposcuola, nella linea della Campagna Nazionale della San Vincenzo “Fatemi studiare”. Anziani Quasi tutte le Conferenze dedicano una parte del loro tempo e delle loro risorse ad alleviarne i disagi, e sappiamo tutti che in futuro questo tipo di bisogno è destinato ad aumentare ancora. A Premana (Lecco) la S.Vincenzo è presente in modo significativo nella Associazione “Casa Per Anziani Madonna Della Neve”, che garantisce agli ospiti un clima vincenziano sotto ogni aspetto, non ultimo quello dell’assistenza religiosa. Persone con difficoltà di alloggio Il Consiglio Centrale di Brescia ha già celebrato il centenario del proprio dormitorio, che ospita sia maschi che femmine. A Monza il Comune, grazie ai risultati molto soddisfacenti ottenuti in tantissimi anni di gestione del proprio dormitorio, ha dato l’incarico alla San Vincenzo di estendere il servizio anche all’apertura diurna. A Varese, Milano, Brescia i Vincenziani hanno ottenuto in uso appartamenti da mettere a disposizione di chi ha temporanee difficoltà abitative. Mense Il Vescovo di Cremona ha messo a disposizione dei locali per fornire pasti ai senza dimora e agli indigenti e ne ha affidato la gestione ai Vincenziani. Ogni giorno vengono servite una sessantina di persone, per lo più straniere, che possono usufruire anche di un servizio doccia e un centro di ascolto. A Como i Vincenziani collaborano attivamente alla mensa allestita nella Casa della Missione. Case di accoglienza per donne maltrattate, mamme in difficoltà, ex carcerate Ne abbiamo organizzate a Brescia, a Busto, a Como, a Varese. In particolare per quanto riguarda la tematica “carceri” segnaliamo: l’ospitalità a donne uscite dal carcere offerta dalla Casa della Missione di Como, con mandato della Regione Lombardia, sulla base di un progetto firmato dal locale Consiglio Centrale e portato avanti in collaborazione con Comune, Carceri, Asl, Uepe, Come; Il progetto “Linguaggio e tecniche audiovisive” di Vigevano, elaborato dai Vincenziani con la direttrice artistica di “Borderline arte contemporanea”, Giovanna Fiorenza, nell’ambito di progetti d’eccellenza finalizzati alla formazione professionale di detenuti della casa circondariale di Vigevano. Il progetto è anche stato premiato dal nostro Consiglio Nazionale. Distribuzione di generi alimentari e di medicinali Abbiamo distribuito alimenti, forniti in gran parte del Banco Alimentare, per un totale di 932.000 kg. e poco meno di 3 milioni di euro di valore stimato. Le Conferenze lombarde che usufruiscono del Banco Alimentare sono 226. Pagina 42
Molto significativo è il progetto “Last Minute‐Market” a Sesto San Giovanni, partito l’anno scorso a seguito di una ricerca fatta dal prof. Andrea Segrè, preside della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, per la raccolta di generi alimentari che altrimenti andrebbero sprecati. La San Vincenzo milanese funge da capofila degli enti no profit aderenti al progetto e titolare della convenzione con i supermercati, e collabora con le Caritas parrocchiali. A questo progetto partecipano 45 volontari alla settimana. Anche le erogazioni del Banco Farmaceutico sono un valido aiuto per tutte le nostre Conferenze. Pagamento bollette luce e gas Su 10.879 nuclei familiari assistiti la San Vincenzo contribuisce al pagamento delle bollette di luce e gas per circa 5.818, pari al 53%. Interventi nel 3° Mondo Sono stati distribuiti 217.571 euro, di cui 165.011 per 1.064 adozioni a distanza; la rimanenza è stata destinata a gemellaggi con Conferenze di vari Paesi e ad emergenze conseguenti a calamità naturali. Terremoto in Abruzzo Per quanto riguarda invece le calamità naturali a noi più vicine, in Lombardia sono stati raccolti 65.000 euro che andranno a confluire nel progetto nazionale per la costruzione di un Centro universitario nella città dell’Aquila intestato al figlio del Presidente della Conferenza locale e alla sua fidanzata, rimasti sotto le macerie della Casa dello Studente . 5 per Mille Nel 2008 ha fruttato complessivamente 113.425, grazie anche alla collaborazione di molti benefattori; ci sentiamo tutti impegnati a diffondere sempre di più questa iniziativa, che non costa nulla a chi dona e reca tanto beneficio a chi riceve. Questa possibilità aggiunta alla colletta individuale che nel 2009 ha fruttato E. 551.392 ci permette di sostenerci e di affrontare le molteplici difficoltà che incontriamo Giornate Nazionali In questi anni la San Vincenzo ha organizzato delle Campagne di sensibilizzazione su: LA SOLITUDINE con annesso concorso a premi per ragazzi delle scuole medie IL CARCERE con la nascita delle iniziative già citate L’ALFABETIZZAZIONE con l’avvio di 3 progetti da parte dei Consigli Centrali di Bergamo e di Brescia. Durante queste giornate sono stati distribuiti come gadget candele colorate, matite colorate e agendine, che hanno mantenuto vivo nel tempo nei donatori il ricordo della manifestazione. Rapporti con la Chiesa I rapporti con le parrocchie e con la Caritas sono molto variabili a seconda delle persone che li intrattengono; laddove i Vincenziani hanno vivo il senso di appartenenza alla Società e riaffermano in modo chiaro la loro identità, ottengono generalmente considerazione e collaborazione. Rapporti con gli Enti Pubblici Pagina 43
Ogni livello della struttura vincenziana mantiene costruttivi rapporti con l’equivalente livello della struttura pubblica: la Federazione Regionale con la Regione Lombardia, i Consigli Centrali con le rispettive Province, le Conferenze con i propri Comuni, assessori, assistenti sociali. A livello generale possiamo dire che la San Vincenzo è conosciuta, apprezzata per quello che fa, in diversi casi richiesta come interlocutore riconosciuto valido. Diversi Vincenziani partecipano ai cosiddetti “tavoli” di consultazione / concertazione (Piani di Zona, ASL, ecc.). La S.Vincenzo Lombarda fa parte del Comitato scientifico dell’Osservatorio Regionale sull’Esclusione Sociale ‐ ORES e partecipa a due suoi progetti. L'Osservatorio è un organismo di studio e monitoraggio delle caratteristiche del fenomeno dell'esclusione sociale, delle politiche di intervento e delle azioni intraprese per contrastarlo. L’essere stati chiamati a farne parte ci ha fatto piacere e molto motivati. La S.Vincenzo Lombarda è affiliata al MOVI, il Movimento per il Volontariato Italiano fondato da Luciano Gavazza; un Vincenziano la rappresenta nel suo Comitato Regionale. Siamo inoltre membri della Consulta delle Opere Socio Assistenziali, dove possiamo confrontarci con qualificati esponenti delle principali aggregazioni cattoliche per definire posizioni da prendere insieme nei confronti delle Istituzioni su questioni che toccano da vicino le persone nel bisogno. I vincenziani hanno imparato ad avvalersi dei servizi prestati dai Centri Servizio per il Volontariato della rispettiva provincia; in casi purtroppo ancora rari siamo presenti nei Centri non solo come utenti ma anche come componenti degli organi di governo. Per la prima volta mi è toccato il compito di presentare al Convegno l’immagine della S. Vincendo Lombarda. Avrei voluto saper esprimere, con il mio intervento, il sentimento di ammirazione che provo di fronte all’azione dei Confratelli e della Consorelle che, nelle loro sedi, si impegnano a servire il Risorto, nei Fratelli più bisognosi. Ringrazio per il dono dell’esempio che ho ricevuto; mi sarà di sprone per aumentare il mio impegno. Pagina 44
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Relazione dell’attività dei Gruppi di Volontariato Vincenziano(GVV) della Regione Lombardia Miriam Magnoni Presidente Regionale Lombardia Gruppi di Volontariato Vincenziano – AIC Italia La nostra identità Chi siamo Un'associazione di volontari laici cattolici, nata in Francia nel 1617 per opera di San Vincenzo de Paoli che fondò le “confraternite” costituite da donne impegnate nella carità, nel tempo poi chiamate “Dame della Carità”. Successivamente, in Italia l'associazione, con il nome di Gruppi di Volontariato Vincenziano – AIC Italia, è diffusa in tutte le regioni e ha la sua sede nazionale a Roma. Ci sono molti modi per conoscere ed approfondire l’identità dei GVV, per sapere se siamo fedeli all’idea del nostro Fondatore. Il modo più semplice è quello di esaminare il nostro nome: “Gruppi di Volontariato Vincenziano – AIC Italia”. Ogni parola di questo nostro nome racchiude infatti significati importanti per individuare la nostra specificità, la nostra identità più profonda.  GRUPPI La prima indicazione che possiamo trarre è che noi non operiamo singolarmente ma siamo organizzati in gruppi e formiamo una struttura piramidale con fisionomia e regole precise. In questo ci rifacciamo all’insegnamento di “organizzare la carità” che fu la grande intuizione di San Vincenzo de Paoli. Le Carità create da San Vincenzo esistono ancora, anche se non le chiamiamo più così; oggi le chiamiamo “Gruppi”.  VOLONTARIATO Oggi si sente spesso parlare di “volontariato”: ma che significa veramente? Il volontariato è una scelta molto più impegnativa, che si basa su due aspetti complementari: la libertà e la gratuità. Pagina 45
 VINCENZIANO Il volontariato che abbiamo scelto ha una sua caratteristica propria, che lo differenzia dalle varie forme di volontariato esistenti: è volontariato vincenziano. Questo aggettivo aggiunge qualcosa di specifico e pregnante. Noi abbiamo scelto di dare alla nostra opzione di volontariato un orientamento particolare, che è l’adesione al progetto di San Vincenzo, nostro fondatore, che rappresenta il nostro carattere specifico, la nostra carta d’identità. Conoscere questo progetto entusiasmante e ancora attualissimo è di vitale importanza per noi, che ci siamo impegnate a portarlo avanti nel tempo. Il 20 agosto 1617 ebbero avvio le prime carità e negli anni successivi si diffusero in altri luoghi della Francia. Fu Vincenzo stesso a scrivere il primo regolamento delle Carità, che comprende, in sostanza, tutti i regolamenti fatti in seguito. Negli anni seguenti Vincenzo curò la fondazione di Carità anche fuori dai confini francesi: nel 1634, in Italia; nel 1651 in Polonia. Pur essendo in zone distanti tra loro, le Carità, per volere di Vincenzo, mantenevano i contatti tra loro e rappresentavano un'unica opera, che era quindi internazionale già a quei tempi. Successivamente alla “prima Carità” si formarono in diverse città altre “Carità” che venivano riunite a livello della stessa nazione. Le associazioni nazionali continuavano a mantenere i contatti tra loro e la presidente nazionale francese le coordinava e trasmetteva informazioni da un paese all’altro, come aveva voluto San Vincenzo. Questa situazione continuò, evolvendosi, fino alla metà del XX secolo. Le nuove correnti di pensiero degli Anni Sessanta e Settanta apportarono profondi cambiamenti nella sensibilità sociale. A ciò si aggiungevano le grandi novità del Concilio Vaticano II, tra cui la rivalutazione del ruolo dei laici nella Chiesa. Fu proprio in quest’epoca che le associazioni che si richiamavano alle Carità, cominciarono a divenire consapevoli che bisognava aggiornare i metodi di assistenza ai Poveri, e iniziarono un’azione di riflessione per trovare il modo di adeguarsi ai tempi e di dar vita a un volontariato più responsabile e competente, fedele al progetto di San Vincenzo. Per far questo era necessario dar vita a un’unica associazione internazionale. AIC ITALIA Nel 1971, a Roma, l’Assemblea costituente, proclamò la nascita dell’associazione internazionale chiamata Associazione Internazionale delle Carità (AIC), per sottolineare la continuità con le Carità fondate da San Vincenzo. Col passare del tempo l’AIC si è sempre più diffusa e oggi riunisce 52 paesi del mondo e ha nuovi gruppi in formazione. I compiti dell’AIC nei confronti dei suoi membri, le associazioni nazionali e, attraverso loro, di ogni gruppo locale, sono i seguenti: 9 Coordinare le associazioni, assicura la loro formazione, 9 Rafforzare la solidarietà tra tutti i volontari AIC del mondo, 9 Rappresentare l’associazione internazionale e tutte le associazioni nazionali e locali presso i grandi Organismi internazionali e ecclesiali, 9 Elaborare una riflessione spirituale e sociale, quale fondamento dell’azione comune. ♦
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E’ soprattutto quest’ultimo aspetto che caratterizza, oggi come ai tempi di quella prima Assemblea, l’azione dell’AIC, che si propone di cogliere le idee innovatrici provenienti dalle esperienze dei propri volontari dei vari paesi e, allo stesso tempo, dalla Chiesa e dalla Società. Tutto questo bagaglio di idee e di proposte viene poi elaborato, approfondito e l’AIC trae stimoli per un nuovo cammino di aggiornamento e di sviluppo, coerente con il progetto di San Vincenzo. Così Vincenzo non sta dietro di noi, ma davanti a noi. E’ veramente un Santo dei nostri giorni. E’ sui suoi passi che oggi noi camminiamo. I Gruppi della Lombardia sono così distribuiti Risorse umane Le risorse umane sono costituite dai Volontari Associati n. 603 (65%) e dai volontari NON Associati n. 328 (35%) per un totale di n. 931 (100%) Fra i volontari Associati, quelli attivi nei servizi sono n. 506 (84%), i volontari che non svolgono attività, ma partecipano alla vita associativa (sostenitrici) sono n. 97 (16%) Fra i Volontari Associati Attivi vi sono: femmine 491 (97%) – maschi 15 (3%) Nel 2009 Il totale delle ore donate dai/le volontari/e associati/e e non associati/e è di 154.642 rilevante valore economico/sociale Le ore donate così distribuite:  Formazione h. 18.989 (12%),  Organizzazione e rapporti h. 15.048 (10%),  Visite domiciliari e centro di ascolto h. 21.952 (14%),  Fund raising e attività per reperire fondi h. 41.690 (27%),  Servizi diversi h. 56.963(37%). Le famiglie che sono state seguite nel 2009 sono in tutto 1.660: Italiane n. 842 (51%), straniere n. 818 (49%). Le persone sole che sono state seguite nel 2009 sono 688: italiane n. 445 (65%), straniere n. 243 (35%). Attività nei SERVIZI h. 56.963 (37%) Pagina 47
Servizi per la 3a età h. 8.291 (15%) Centro accoglienza diurno h. 350 (4%), Casa di accoglienza h. 1.262 (15%), servizi 3a età h. 2.410 (29%), Casa di riposo h. 4.269 (52%). Servizi per minori h. 5.744 (10%) Doposcuola h. 1.390 (24%), CEDAG (Centri Educativi e Di Aggregazione Giovanile) h. 4.354 (76%) Servizi per le persone in situazione di fragilità e disagio h. 31.201 (54%) Servizi infermieristici h. 366 (1%) Distribuzione alimenti h. 12.744 (41%) Guardaroba h. 18.091 (59%) Servizi per adulti h. 2.272 (4%) Corso di italiano per stranieri h. 1.292 (56%), Attività propedeutica al lavoro h. 534 (24%), Sostegno ai carcerati h. 316 (14%), presso il Consultorio h. 130 (6%) Pagina 48
Altre ore sono state dedicate a servizi diversi, che abbiamo raggruppato alla voce altro, in quanto esigue da specificare, sommate fra loro danno un totale h. 9.455 (17%) Da un’analisi di questi dati emerge: Š L’impegno costante dei/delle volontari/e nell’aiutare le persone che si trovano nelle diverse situazioni di bisogno; Š Il desiderio di rispondere alle situazioni di povertà che si presentano nel territorio dove operano e la competenza nell’attivare un lavoro di rete con le risorse presenti; Š La sollecitudine nel lavoro con gli anziani soli in situazio‐ne di disagio; Š L’impegno con i minori per prevenire, contenere forme di disagio scolastico, comportamentale e familiare; Š La capacità e l’inventiva per organizzare eventi, forme di finanziamento, adoperandosi per produrre oggetti, ecc. che poi vendono durante i mercatini, fiere, ecc., in parrocchia, presso la loro sede o in sedi appositamente destinate. Sfide quotidiane I/le volontari/e hanno evidenziato l’aumento di: Š Famiglie in situazione di vulnerabilità e disagio causate dalla perdita di lavoro (chiusure di aziende e società), della scarsità di alloggi popolari e del costo degli affitti. Si aggiungono le difficoltà, per diverse famiglie, nell’affrontare il pagamento del mutuo mensile; Š Solitudine, persone abbandonate sole e ammalate, anche se autosufficienti nell’ambito domestico, non sono in grado di provvedere alle cure mediche e al disbrigo di pratiche; ♦ Richieste di indumenti (molti gli stranieri) e di alimenti. In diversi Gruppi, sono le volontarie che devono provvedere all’acquisto di generi alimentari da distribuire; ♦ Uomini senza fissa dimora che si presentano ai Centri di Ascolto Vincenziani, quasi sempre per avere indumenti puliti; Š Stranieri che non conoscono la lingua italiana ed è difficile comunicare, spesso ci si rivolge ad altri assistiti che si prestano a svolgere il servizio di “traduttori”. Diversi Gruppi evidenziano: Š L’esiguo spazio della loro sede che non permette di attuare un approvvigionamento degli alimenti e la possibilità di realizzare e/o potenziare il guardaroba; Š Il numero insufficiente di volontari per rispondere ai bisogni del territorio, in continuo aumento. Š Difficoltà a effettuare visite domiciliari alle famiglie straniere, molti non desiderano che le volontarie vedano le condizioni in cui vivono perché si vergognano; Le suore affiancano i/le volontari/e nelle diverse attività e pertanto è doveroso riconoscere il tempo che vi dedicano. Le Suore sono 32, si sono impegnate per un totale di h. 27.550 (100%) Se aggiunte alle ore delle volontarie 154.642 si ottiene un totale di ore 182.192 suore h. 27.550; 15%
Suore Figlie della Carità (FdC) Suore Carmelitane Missionarie Suore di Maria Bambina Suore Stimmatine Per un totale 29
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volontarie h. 154.642; 85%
Area formazione h. 1.799 (7%) Area organizzazione e rapporti con Enti pubblici, ecc. h. 1.394 (5% ) Visite domiciliari e Centro di Ascolto h. 5.359 (19%) Le suore affiancano i/le volontari/e nei SERVIZI per un totale di h. 18.998 (69%) Servizi 3^ età h. 11.895 (63%), Servizi per le persone in situazione di fragilità e disagio h. 6.450 (34%), Servizi per stranieri e altro h. 653 (3%). Partecipazione ai tavoli di lavoro Una rappresentante GVV della Regione Lombardia siede nel comitato scientifico ORES Due rappresentanti dei GVV della Lombardia, alternandosi, partecipano agli incontri della Consulta Ecclesiale Regionale delle Opere Socio‐Assistenziali Pagina 49
Partecipazione alle reti territoriali Servizi socio assistenziali pubblici e privati Consigli pastorali parrocchiali e decanali Caritas parrocchiali e decanali Partecipazione al coordinamento Caritas ‐ Centri di ascolto per i senza fissa dimora Progetti in corso d’opera Fondazione Cariplo Š Bando regionale Coesione Sociale: “Aiutarsi per aiutare” – Gruppo di Sondrio, in parternariato con l’Oratorio S. Cuore, Centro di Ascolto e di Aiuto Caritas, Caritas Diocesana, Asd S. Cuore. Š Bando Rete di coesione sociale a sostegno dei minori che vivono in realtà familiari problematiche per i quattro CEDAG di Milano. Progetto biennale per il potenziamento della rete interna di coordinamento e realizzazione/potenziamento delle reti territoriali di appartenenza ai CEDAG Š Fondazione Comunità Nord Milano: “Vela a scuola, a scuola di vela” in parternariato con “Unione Genovese Vela Solidale”. Beneficiari 16 ragazzi della terza media dei CEDAG di Milano, a rischio di abbandono o fallimento scolastico. In accordo con gli insegnanti, i ragazzi, attraverso un percorso formativo di preparazione alla navigazione e navigazione in barca a vela, potranno arricchire il loro curriculum scolastico per l’esame di stato di licenza terza media. Š Fondazione Banca del Monte: Milano, creazione di uno “Sportello orientamento professionale e lavorativo per i giovani di Ponte Lambro” al fine di aumentare le possibilità di inserimento lavorativo. Comune di Milano: Š Legge 285: progetto “dal DIRE al FARE dal FARE al DIRE” presentato dal CEDAG Spazio Ponte in parternariato con altre realtà del territorio nell’ambito del piano di promozione e inclusione sociale dell’infanzia e adolescenza. Š Ex legge 40 Fondo regionale: progetto “Sportello di orientamento professionale e lavorativo per cittadini stranieri a Ponte Lambro”. Š Bando Comunale 2008/2010: progetti dei CEDAG IRDA (Giambellino, zona 6) e QR52 (Baggio, zona7). Provincia di Milano, Bando “Alziamo la testa” progetto di potenziamento e avvio di Centri di Ascolto a Milano, per la presenza di una figura professionale Regione Lombardia – Legge 23: Gruppo S. Salvatore Pavia, progetto “Studio, Integrazione, Socializzazione” per ragazzi italiani e stranieri a rischio di dispersione scolastica. Il progetto ha previsto anche l’intervento di uno psicologo per alcune situazioni problematiche e per la supervisione ai volontari. Servizio: Residenza anagrafica Questo servizio è stato attuato a Milano, presso il Centro di ascolto della sede cittadina. Le volontarie con le FdC cercano di sostenere le persone senza fissa dimora, in situazione di estremo disagio. Beneficiare queste persone con l’attribuzione della residenza anagrafica si cerca di garantire loro i diritti civili e, dove e possibile, un accompagnamento per un reinserimento sociale. Progetto culturale attuato E’ stata promossa e organizzata la mostra di “Arte Sacra e Futurismo: un incontro ad alta quota”, tenutasi a Mantova al Museo Diocesano dal 7 dicembre 2009 al 30 gennaio 2010. Leggiamo sulla Cronaca di Mantova30 “… Mons. Roberto Brunelli, direttore del museo, ha definito questo allestimento una prima nazionale e ricorda come la spiritualità sia il filo che collega la mostra con i Gruppi di Volontariato Vincenziano della Lombardia che la promuovono alla vigilia del 350esimo anniversario della morte di S. Vincenzo che cade nel 2010 …” Progetti per il 2010 Š Formazione per i Tutor Per accogliere ed accompagnare le nuove volontarie nella loro attività associativa, è previsto un corso di formazione hoc per il ruolo di tutor Š Formazione per tutte le volontarie della regione 8.12.2009 articolo di Giulia Giroldi
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Come avviene da oltre 40 anni, ogni anno viene attuata una formazione spirituale e tecnica. Tema per il 2010 “Educarsi al servizio e alla partecipazione responsabile”. Servizi: Mortara, “Alloggio per l’autonomia”casa di accoglienza temporanea per donne e bambini che necessitano di una protezione per situazioni di violenza e maltrattamento. Il presente progetto, offre anche un servizio di prevenzione del disagio e un aiuto al superamento del trauma per un reinserimento sociale a tutto il territorio della Lomellina, ambito carente di risposte istituzionali Progetti culturali Mostra di “Arte Sacra e Futurismo: un incontro ad alta quota”, Brescia: Museo di S. Giulia: 16 settembre / 17 ottobre 2010, in parternariato con la Società San Vincenzo de’ Paoli ONLUS, Consiglio Centrale di Brescia Destinatari dei ricavati: Casa delle donne sole in situazione di estremo disagio, progetti di Brescia e Mortara. Milano: Museo Ambrosianeum: 20 0ttobre /10 novembre 2010 Destinatari: Progetto Centro di ascolto e residenza anagrafica di Milano e progetto di Mortara.
Obiettivi: Š Promuovere le due associazioni e i relativi servizi; Š Porre le basi per ripetere in futuro altri progetti ed eventi da realizzare insieme alla Società di San Vincenzo de' Paoli di Brescia, Mantova ed eventuali altre città; ŠDivulgare la produzione artistica e concettuale dell'Arte Sacra Futurista colmando il vuoto rappresentato dall'assenza di mostre ed eventi sul tema e dando spunti di riflessione, grazie alla presenza di prestigiosi esperti provenienti dal mondo laico e cattolico, sul tema della spiritualità nell'arte e nella vita comune. Evoluzione delle opere vincenziani tradizionali: visita domiciliare ‐ centri di ascolto, minestre dei poveri‐mense di solidarietà, visite a malati e carcerati, servizi infermieristici e di housing sociale in alternativa al carcere … sr Carla Farina – Figlia della Carità Questa prima presentazione di servizi vincenziani così come le altre che seguiranno, è il risultato di una ricerca realizzata dai gruppi della Famiglia Vincenziana attraverso schede apposite, per rilevare le varie tipologie dei servizi nella fedeltà al carisma originario in risposte innovative e creative, spesso audaci, alla povertà di oggi. I vincenziani presenti sanno che l’incontro con le persone e/o la famiglia in difficoltà nel proprio ambiente di vita, le visite, il sostegno domiciliare, sono il fulcro originario della carità vincenziana proprio perché privilegiano l’intuizione carismatica dell’incontro con la persona per una comprensione più completa delle sue necessità. Andare a casa dei poveri, dei malati, continua ad essere per tutti i vincenziani la quotidianità del Servizio di Cristo nei Poveri. La lettura delle schede ci rivela che il sostegno familiare a domicilio è realizzato da tutti i Gruppi, sia pure in modalità diverse secondo il bisogno e il progetto, spesso in stretta collaborazione come tra le FdC e i GVV e altre modalità all’interno della Famiglia Vincenziana. All’appello della Caritas Diocesana negli anni 80/90 a mettere i Poveri al primo posto nella Chiesa con l’invito ad aprire nelle Parrocchie i Centri di Ascolto “come porte aperte” per accogliere le persone, ascoltarne le difficoltà e rispondere ai bisogni sempre più complessi attraverso una pastorale della carità coinvolgente le comunità cristiane, i vincenziani hanno risposto con impegno riorganizzando i Centri già esistenti, aprendo Centri di ascolto nelle loro strutture, presso le Parrocchie dove erano già presenti i gruppi, o entrando a far parte delle équipe dei Centri di Ascolto Caritas con presenze fortemente carismatiche e competenti. Pagina 52
I Centri di Ascolto vincenziani, così leggo nelle schede, si trovano quasi tutti in zone particolarmente a rischio delle città e delle periferie. I Centri si avvalgono di operatori specializzati, collaboratori o dipendenti, per progetti di aiuto che, senza tralasciare le risposte alle necessità urgenti e immediate come quelle di cibo, vestiti, pagamento utenze, aiutino le persone ad affrontare meglio i problemi alla base del disagio sociale, economico, relazionale. Le schede rivelano che oggi, per avvicinarci di più ai bisogni che cambiano, il Centro di Ascolto è certamente il nostro osservatorio principale per cui è sentita molto dai gruppi, a giudicare dalle ore dedicate alla formazione, la necessità di aggiornare continuamente anche le nostre competenze per migliorare il servizio Sono diventati punti di riferimento molto importanti per famiglie in difficoltà per diversi motivi, italiane o immigrate, madri sole con bambini, ex carcerati, con anziani a carico non autosufficienti o malati di mente, persone alla ricerca di un lavoro, spesso vere ancore di salvataggio per non cadere nella povertà estrema, come perdere la propria casa. Nella Diocesi di Milano, gli operatori vincenziani di parecchi Centri di Ascolto sono stati chiamati a far parte dell’èquipe per la distribuzione del Fondo Diocesano Famiglia‐Lavoro che, come sappiamo, richiede una conoscenza approfondita della situazione familiare per un accompagnamento progettuale che sostenga il nucleo fino al superamento della fase più pesante legata alla perdita del lavoro. Il lavoro in rete con tutte le risorse del territorio, è una costante che tutti i Centri di Ascolto e i gruppi sottolineano come essenziali a un buon progetto di aiuto, dove la strategia vincente risulta quella dell’accompagnamento, dell’affiancamento personale e familiare, del prendersi cura così come il carisma vincenziano ci rende capaci e ci sollecita. Il numero delle persone ascoltate, affiancate attraverso il Centro e il sostegno domiciliare, è notevole. Basti pensare che nel 2009, in sei centri di ascolto vincenziani, sono state affiancate 477 famiglie italiane e 551 famiglie straniere, ascoltate 1541 persone. Spesso la visita domiciliare risponde a un’urgenza, a un’emergenza, in attesa dell’intervento dei servizi pubblici di competenza (nota che emerge in molte schede sul servizio domiciliare). Del resto le risposte immediate a un bisogno evidente resta un tratto carismatico sempre molto presente nell’azione vincenziana. Ancora una nota sulla visita e il sostegno domiciliare realizzato dai vincenziani, chiamati non solo a servire i Poveri, ma anche a suscitare vocazioni al servizio. Oggi nelle Parrocchie siamo impegnati a coinvolgere altri nell’attenzione alle persone sole, ammalate, ospiti in Case di Riposo, in situazioni familiari problematiche. Questo è un impegno che appare poco nella ricerca e che andrebbe potenziato. Anche le risposte a un bisogno essenziale qual è quello del cibo, bisogno che emerge nella quotidianità dei nostri servizi di ascolto, ha visto e vede forme diverse di risposta col mutare delle caratteristiche e dell’espressione del bisogno (famiglie nuove per la crisi). Abbiamo da poco celebrato i 150 anni di presenza dei GVV a Milano, dove abbiamo ricordato l’impegno storico dei gruppi quale è stato quello della distribuzione delle minestre, negli anni del secondo dopoguerra, alle persone rimaste senza casa. Attualmente la soddisfazione del bisogno primario del cibo, molto accentuato in tempi di crisi, continua ad essere dispensata sempre più dentro un progetto di aiuto familiare elaborato dai nostri gruppi e Centri di Ascolto, progetto realizzato il più possibile in rete con i servizi sociali e verificato periodicamente per non creare dipendenza. Come emerge dalle schede, è significativo il coinvolgimento di molte parrocchie nella raccolta di viveri, soprattutto dentro una Pastorale di Carità che vuole promuovere attenzione ai Poveri della Parrocchia. Tutto questo è reso possibile anche dal Banco Alimentare, supermercati, negozi del quartiere, Progetti come la Last Minute di Sesto San Giovanni, Carta Equa della Caritas e molto anche dall’impegno economico dei gruppi vincenziani Un dato significativo è quello relativo alla distribuzione dei viveri realizzata da sei gruppi vincenziani cittadini: 2047 famiglie o persone nel 2009. Dati elevatissimi si ritrovano anche nei rendiconti di molti altri gruppi vincenziani, parrocchiali e non. “L’Amore è creativo all’infinito …” Pagina 53
Tra i progetti più innovativi, rilevati nelle schede, per assicurare il cibo necessario a persone e/o famiglie in difficoltà, ci piace segnalare “Last Minute”, market “operante nel Comune di Sesto San Giovanni. E’ un modello operativo, così leggo nella scheda, per recuperare in totale sicurezza i beni rimasti invenduti nel circolo produttivo e commerciale a beneficio di organizzazioni non lucrative. Grazie a queste iniziative sostenute dal Comune di Sesto San Giovanni, la San Vincenzo e le Caritas parrocchiali ritirano i prodotti dai supermercati, che vengono distribuiti in giornata per circa 40 persone al giorno. Anche le mense di bassa soglia per persone in grave emarginazione sociale sono servizi che stanno assumendo caratteristiche di sempre maggiore attenzione alla persona per favorirne il cammino di emancipazione. Ne è un modello innovativo quello gestito in collaborazione tra la Casa della Missione e la Società di San Vincenzo di Como. Alternandosi con un analogo servizio gestito dagli altri due rami della Famiglia Vincenziana di Como( FdC e GVV) nei giorni feriali, è aperto tutti i giorni festivi dell’anno con 80 pasti per utenti, sia italiani che stranieri. L’innovazione del servizio è data dal coordinamento delle mense della Provincia di Como (5 mense), coordinamento che ha dato avvio a diverse iniziative a carattere formativo, a promozione di lavoro in rete con un progetto molto interessante di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui problemi degli ospiti delle mense. Il progetto prevede pasti e Cineforum aperti agli ospiti delle mense ai volontari, alle autorità cittadine, coinvolgendo i mezzi di comunicazione. Così come la sistematica collaborazione con Porta Aperta, lo sportello della Caritas. Anche le mense benefiche di Cremona accolgono un notevole numero di persone dando anche la possibilità, come a Como, di igiene personale con cambio di biancheria, parrucchiere e altri aiuti. E’ sottolineata, da entrambi i servizi, la difficoltà di riuscire a fare un filtro efficace per discernere i reali bisogni dalle furbizie. Penso sia una difficoltà che incontrano molti di noi in servizi dove l’affluenza è notevole. Pagina 54
Un’impegnativa espressione del Carisma la troviamo anche nella presenza vincenziana nel carcere, che si esprime in diverse forme di vicinanza, di sostegno, di progettualità nei confronti delle persone ristrette nella libertà e alle loro famiglie. Alcuni servizi sono veramente innovativi. L’importanza della presenza quotidiana accanto ai detenuti verrà meglio espressa dalla testimonianza delle Suore della Carità che, alla Scuola della Beata Suor Enrichetta Alfieri , (vivono quotidianamente a San Vittore. La lettura delle schede sui servizi vincenziani nel carcere ci rivela molte componenti della nostra presenza che va dal:  sostegno ai carcerati e alle loro famiglie anche nel disbrigo di pratiche burocratiche, vicinanza particolare ai detenuti soli, sostegno scolastico per il raggiungimento di un diploma, impegno nel reinserimento sociale, abitativo e lavorativo, sempre più arduo (GVV Sondrio).  nuove strategie di intervento come quella realizzata dalla Società di San Vincenzo nella casa circondariale di Vigevano come maturazione stimolata dalla campagna “Ero carcerato” nel 2004. In collaborazione con diverse realtà vigevanesi, in questo caso, la “Borderline arte contemporanea”, sono stati selezionati progetti d’eccellenza, finalizzati alla formazione professionale dei detenuti, attraverso laboratori con indubbia capacità riabilitativa e pedagogica per facilitare il reinserimento del detenuto nella società civile. I laboratori, tecniche cinetelevisive e corsi di fotografia, sono già giunti alla 3° edizione, promossi dalla San Vincenzo e sponsorizzati da alcune fondazioni per coprirne i costi. Caratteristica fondamentale dei laboratori è quella di rappresentare un ponte tra la realtà carceraria e quella esterna con comunicati stampa, mostre e concorsi, uno dei quali, di fotografia, è stato vinto da una detenuta. La direzione della Casa Circondariale ha definito i laboratori un momento di fondamentale arricchimento professionale e di conseguente crescita umana, momento d’incontro tra la realtà carceraria e quella esterna, tematica tanto cara al legislatore della riforma carceraria, incontro che può concorrere ad un vero e proprio recupero del detenuto, ad un concreto reinserimento e riabilitazione E il dopo carcere? Altro momento importante e decisivo per la vita di chi ha vissuto l’esperienza del carcere. I nostri centri di ascolto,lo sappiamo,incontrano spesso queste persone alla ricerca di aiuto per ritrovare casa, lavoro, affetti, stima: volontari e operatori impegnati conoscono bene quanto è impegnativo l’accompagnamento in questo cammino. La casa famiglia vincenziana di Como inaugurata nel 2005 presso la Casa della Missione con la collaborazione gestionale della società di San Vincenzo,ha inteso facilitare il cammino di reinserimento a donne,italiane e straniere,anche con figli in tenera età. Anche in misura alternativa al carcere. L’accompagnamento,svolto da personale professionale con integrazione di volontari, facilita la ricerca di una soluzione lavorativa e,nel caso di fine pena,anche abitativa. Altre iniziative interessanti sono messe in atto dalla San Vincenzo con il comune di Como per rafforzare i servizi che riguardano le persone ristrette negli istituti di pena,specialmente nella fase di uscita. Pagina 55
Servizi di aiuto a chi è in grave emarginazione Roberta Premoli Vice presidente Gruppi di Volontariato Vincenziano Gruppi cittadino Milano Pagina 56
Applicare il messaggio di San Vincenzo è lo scopo della Famiglia Vincenziana e lo scopo si raggiunge attraverso l’evoluzione delle opere a dimostrazione di quanto sia moderno ed attuale il messaggio dei nostri fondatori. Ad esempio, a Milano, abbiamo evidenziato situazioni di grave emarginazione rappresentata dai SENZA DIMORA ed aperto lo sportello di RESIDENZA ANAGRAFICA per il percorso di recupero, che prevede essenzialmente la ricerca di un lavoro, la soluzione abitativa, il sostegno psicologico, la mensa, il guardaroba. Idealmente a questa emarginazione possiamo collegare i servizi tradizionali svolti dall’ASILO NOTTURNO DI MONZA e dall’ASSOCIAZIONE DORMITORIO di BRESCIA. I due dormitori operano in collaborazione con i Serv. Sociali locali: quello di Monza ospita solo uomini e svolge anche un servizio diurno; mentre quello di Brescia è affiancato anche da una Casa di Accoglienza femminile e da piccoli appartamenti, per nuclei familiari. La donna è spesso destinataria dei nostri servizi: la donna in quanto madre e quindi artefice della integrazione futura. LA CASA DI OSPITALITA’ di BUSTO, l’OPERA MACCHI GRIGNANI di MILANO, la CASA ELENA di MILANO, il PROGETTO NEONATI di MILANO, il CENTRO di ASCOLTO di CODOGNO assistono infatti donne in situazione di disagio con la progettazione di soluzioni di penose esperienze di violenze subite e di tristi e fallimentari percorso di vita familiare. Alcuni centri collaborano con l’Autorità Giudiziaria per la protezione della mamma e del bambino. Importante e significativa è anche la nostra collaborazione con il Centro di aiuto alla Vita, per la distribuzione di tutto quanto è necessario al neonato. Altro risvolto importante nella nostra società ove siamo di fronte al fenomeno della immigrazione diffusa è l’autopromozione sociale della donna immigrata ed essenziale è il LABORATORIO DI LINGUA ITALIANA: nel nostro centro di Cinisello è nato a questo scopo UNITED COLOURS of CINISELLO, cosi come a Codogno è presente il Centro di Ascolto per l’alfabetizzazione delle mamme straniere, dove le volontarie si occupano di accudire i bimbi, durante le lezioni. Segnaliamo a COMO la comunità socio educativa GLI OLIVI, che accoglie minorenni allontanate dalla famiglia per decreto del Tribunale per i minori. I nostri servizi, i centri, le case, sono luoghi sicuri, affettivamente accoglienti per la costruzione di percorsi di vita nuovi. Risposte alle fragilità umane Alessandro Giachi Presidente Pagina 57
Adesso invece andremo a trattare quelle che sono dette le “nuove povertà”, molte delle quali sono esistite da sempre. L’aspetto di novità è rappresentato dalle dimensioni che tali povertà sono venute assumendo in questi ultimi tempi, anche a seguito di grossi cambiamenti socio‐
economici. Tre sono, a mio avviso, i fenomeni socioeconomici che hanno determinato nel tempo “povertà” incrementali: il Decadimento dei valori; i flussi migratori; la crisi economica. La progressiva disgregazione dei valori culturali e sociali, propri della nostra società, porta in moltissimi casi ad una sorta di lassismo , se non addirittura perdita, di quelli che sono i legami parentali, vicinali, sociali venendo con ciò meno tutto quello che in termini di supporto alla persona queste tipologie di legami hanno tradizionalmente rappresentato. Tutto ciò contribuisce a creare una situazione sociale nella quale un momento di difficoltà individuale (accentuata magari anche dalla difficoltà economica) può impattare in modo distruttivamente negativo coloro che sono i soggetti più fragili: in primis, gli anziani e i minori, venendo loro meno quella rete di sicurezza rappresentata dai legami vicinali, dai legami parentali, che comunque creavano al loro intorno una sorta di rete di mutua assistenza, anche reciproca. Se pensiamo inoltre ai grandi macroflussi migratori che si sono determinati nel nostro paese, a partire dalle bonifiche dell’era fascista con le migrazioni delle popolazioni dal Veneto verso l’Agro Pontino e la Maremma, ai successivi flussi degli anni sessanta, del boom economico, dal meridione verso le grandi aree industriali del cosiddetto triangolo, per arrivare poi ai più recenti flussi migratori degli immigrati, regolari o meno che siano, si è assistito in questi periodi ad una continua modifica del tessuto sociale, pervenendo ad una realtà sociale multietnica, multiculturale, multireligiosa. Si è così reso inevitabile entrare in contatto con persone che hanno usi, costumi, abitudini, religioni e lingue completamente diverse dalle nostre, cosa che ha implicato cambiamenti di approccio da parte delle persone delle nostre Associazioni che con tali realtà entrano in contatto. Tali cambiamenti si riflettono in tutti gli aspetti delle attività di cui abbiamo parlato precedentemente: dall’approccio al momento dell’accoglienza del centro di ascolto, dovuto alle differenze linguistiche, culturali e comportamentali; dalle problematiche dell’alimentazione che hanno comportato di dover introdurre certi accorgimenti onde non incorrere in contrasti con le usanze alimentari delle persone che a noi si rivolgono (pensiamo ai mussulmani e all’impatto che certi alimenti potrebbero avere su di loro); ecc. ecc. Ad onor del vero, non sempre siamo stati e siamo pronti al cambiamento richiestoci. Anche i flussi migratori hanno progressivamente contribuito ad accentuare la tendenza al venir meno dei legami vicinali, dai legami parentali a cui si è già accennato (pensiamo a quante persone si sono trovate, e si trovano tuttora, a risiedere in luoghi dove la loro famiglia, nel senso più allargato del termine, non risiede, ad esempio). Oggi tutte queste persone, quando vengono colpite nella loro fragilità, si trovano in una situazione di estremo disagio: basti pensare agli anziani che, soprattutto nelle nostre grandi città, soffrono spesso più che per quello che è il loro stato fisico o la loro situazione economica, Pagina 58
per un male, per una povertà ancora maggiore quale è la solitudine, che porta a chiudersi e quindi ad immiserirsi ancor più, innescando così un circolo vizioso. Oppure pensiamo ai giovani, ai minori, i quali spesso reagiscono a questa società con episodi di disagio personale, di dispersione scolastica, di bullismo, di violenza. Se pensiamo solo al valore che ha l’istruzione nella formazione e nella crescita delle persone,ci possiamo rendere conto del danno che il persistere di tale situazione può arrecare alla crescita delle persone e alla società. E queste sono due delle nuove “povertà” che si sono poste all’attenzione delle nostre Associazioni e degli operatori della Famiglia vincenziana comportando, proprio per loro la intrinseca “novità”, tutta una serie di problematiche nel modo di affrontare queste “nuove esigenze”, alle quali comunque si è dato, e si sta dando un qualche tipo di risposta. Il problema degli anziani, oltre alla problematica di autosufficienza fisica ed economica, rappresentato dalla solitudine, spesso presente anche quando l’anziano è in coppia, finisce spesso con l’indurre la persona a chiudersi in se stesso. Ecco, quindi, la necessità di dare un supporto, una struttura e strumenti agli anziani onde consentire loro di socializzare e di risvegliare in se stessi stimoli che rendono reattivo e proattivo l’essere umano. Ci sono esempi di attività che cercano di affrontare queste problematiche; casa di riposo; centri diurni; ecc.; ecc. Tra le iniziative in essere citiamo la CASA PER ANZIANI MADONNA DELLA NEVE di LECCO, la quale può ospitare fino a 21 anziani (totalmente o parzialmente non autosufficienti) con l’obiettivo di offrire loro servizi necessari per la loro vita quotidiana e di consentire loro di poter vivere momenti di socializzazione, altrimenti estremamente improbabili. Per i minori da sempre la Famiglia vincenziana si sia attivata per dare un supporto alle loro esigenze, ma sicuramente in quest’ultimo periodo all’esigenza di dare un supporto di tipo scolastico (e quindi i “classici” doposcuola) si è aggiunta la problematica di dover sopperire anche a quelle che sono le carenze linguistiche e culturali di quei minori che, a seguito del flusso migratorio parentale, si sono trovati a doversi inserire in una realtà della quale non conoscono assolutamente niente (usi, costumi e soprattutto lingua). Da qui la necessità di organizzarsi per dare una risposta che soddisfi questo bisogno di approfondimento della lingua dei minori ma anche dei loro genitori, per evitare che tornando a casa i minori siano proiettati in un tessuto familiare incapace di parlare la lingua che i minori faticosamente utilizzano, o cercano di, durante l’esperienza scolastica. Ne nasce il bisogno di realizzare strutture che consentano quest’approfondimento non solo linguistico, ma soprattutto nasce il bisogno di realizzare iniziative che diano respiro alla voglia di vita di questi giovani, cercando di strapparli, come suol dirsi, alla strada. Quindi l’esigenza di ampliare lo spettro dei servizi offerti originariamente dai doposcuola, andando a coprire altri aspetti che siano interessanti, stimolanti e attrattivi per i giovani. A questo scenario la Famiglia vincenziana ha risposto ampliando la gamma delle proposte offerte a coloro che ne abbiano bisogno: dai doposcuola, con la catechesi, con l’impegno oltre che all’accompagnamento scolastico alla protezione dei giovani nella loro socialità; ai corsi per l’apprendimento della lingua italiana (rivolti sia ai giovani che ai genitori, in primis le madri che sembrano essere le più sensibili); ai centri di aggregazione a tutto tondo ove vengono affrontare le problematiche dei ragazzi (CEDAG, cortile di Ozanam, giardino di Pinocchio), ecc. Insomma tutta una serie di iniziative che la Famiglia vincenziana sta da tempo implementando, da sola e in collaborazione con altri, per creare strutture in grado di accogliere e di dare una risposta ai bisogni, ma soprattutto al bisogno di risposta e di attenzione dei giovani. Vedi RIFERIMENTI SCOLASTICI A queste si aggiungono altre “povertà” che sono sicuramente frutto della difficoltà economica in cui ci stiamo trovando, in particolare, in questi ultimi anni che ha aumentato in misura esponenziale il numero delle persone cosiddette “povere”, andando ad aggiungere anche tutti coloro che poveri non lo sono mai stati ma che si sono ritrovati poveri per la perdita del loro lavoro, ritrovandosi in condizioni tali da non poter più garantire un adeguato sostentamento a se stessi e alla loro famiglia. Ecco quindi il ricorrere sempre più frequentemente al nostro supporto anche per ogni spicciola esigenza del viver quotidiano da parte di persone che mai avremmo pensato sarebbero ricorse a noi: si può pensare all’incremento del numero di pacchi alimentari distribuiti, all’incremento del numero di bollette e/o di affitti “pagati”, alle richieste di aiuto nel reperimento di lavoro, alle richieste di aiuto nel reperimento delle soluzioni abitative. Ecco due delle nuove fragilità: il lavoro e l’abitazione. Per l’abitazione, seppur con mille difficoltà, qualcosa si è fatto e si sta cercando di fare. Cito l’esperienza della realtà di SAN MICHELE E SANTA RITA di MILANO, avente l’obiettivo di fornire a senzatetto e a famiglie in difficoltà una sistemazione provvisoria che possa rappresentare un punto di partenza nella realizzazione di un preciso progetto di vita. L’intento è quello di affiancare queste famiglie creando un clima di amicizia, ma anche di guida; guidare in certi casi significa insegnare loro anche le regole basilari del vivere in comunità e facilitarne l’inserimento in una realtà sociale avente, spesso, una cultura diversa dalla loro, cercando di perseguire l’obiettivo del raggiungimento della loro autonomia. Cito l’esperienza che, sempre a Milano, si sta facendo utilizzando uno degli immobili sequestrati alla malavita organizzata e dati in comodato d’uso dal Comune, ove è ospitato un nucleo familiare in difficoltà. Il lavoro è probabilmente l’aspetto nei confronti del quale siamo complessivamente meno preparati a dare autonomamente una soddisfacente risposta. Quello che dovremmo, però, fare sempre di più è dare una risposta a coloro i quali a noi si rivolgono, facendoci promotori nei confronti di altre realtà/associazioni che possano essere in grado di offrire soluzioni, arrivando a tessere una rete sempre più ampia di solidarietà che consenta di soddisfare anche bisogni per i quali noi non abbiamo le competenze adeguate (dove noi non arriviamo da soli, ci posiamo arrivare attraverso gli altri). Certamente, se ognuno di noi si ponesse da solo davanti a queste problematiche direbbe a se stesso: “Ma io cosa posso riuscire a fare davanti a questi enormi problemi?”. Ma se superassimo i confini del nostro io (non solo individuale, ma anche del nostro gruppo, della nostra Associazione) andando a ricercare, sollecitare il coinvolgimento di altri (individui o Associazioni) potremmo avere qualche possibilità in più per affrontare i problemi che ci vengono posti. Pagina 59
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