La mia storia. - Auto

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La mia storia. - Auto
La mia storia.
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PARTE 3
237
Indice.
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Schede bibliografiche.
Pag. 239
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238
Schede bibliografiche.
Leggendo il libro che tra poco sarà presentato ed i testi successivi centrati sullo stesso tema,
il lettore potrà porsi una serie di domande sulla propria situazione.
Sarà il primo passo per fare dapprima luce e poi ordine nella confusione e nel tumulto della sua vita
sentimentale. E se questo è il suo problema più tormentoso, potrà pian piano sviluppare strumenti
mentali che gli consentiranno in futuro di vivere rapporti diversi, nei quali trovare infine
non solo serenità ma anche realizzazione di se stesso.
La prima domanda che dobbiamo porci, studiando gli spunti che nascono da un libro è:
che cosa possiamo applicare a noi stessi?
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Che soggetto è il nostro partner attuale (oppure altri partner precedenti)?
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UN INDIVIDUO
indipendente, egocentrico, sentimentalmente chiuso, distaccato,
VERO

ipercritico nei nostri confronti, per nulla disposto ad impegnarsi
FALSO 
in un rapporto duraturo con noi?
Sì? Allora: che cosa ci impedisce di vedere che non è un partner paritetico con noi,
ma un bambino che non camminerà a fianco nostro tenendo il nostro passo,
e nei momenti difficili non solo non sarà capace di sostenerci ma piangerà
e chiederà che lo prendiamo in braccio?
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sensibile, arrendevole, vulnerabile, insicuro, dipendente
VERO

dalla nostra presenza, bisognoso del nostro aiuto e consiglio,
FALSO 
costantemente assillante con richieste di rassicurazione
sul nostro amore verso di lui?
Sì? Allora: che cosa ci impedisce di vedere che non è un partner paritetico con noi,
ma un bambino che non camminerà a fianco nostro tenendo il nostro passo,
e nei momenti difficili non solo non sarà capace di sostenerci ma piangerà
e chiederà che lo prendiamo in braccio?
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possessivo, dominatore; in realtà solo orientato a prendere
VERO

e non a dare impegnandosi alla pari nel rapporto;
FALSO 
abile ad incantarci con parole, ma in realtà ambiguo e disonesto
perché non scioglie legami precedenti.
Sì? Allora: perché non riusciamo a passare oltre le accattivanti
apparenze esteriori e non siamo in grado di vedere la realtà sottostante,
la quale tuttavia è dall’inizio davanti a noi, sotto i nostri occhi, e che alla fine
ci schiaccerà spezzando via le nostre illusioni fantastiche?
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brillante, spiritoso, provocatore, affascinante, misterioso, seducente
VERO

in un assedio sottile ma continuo di sguardi, cenni, sfumature, allusioni,
FALSO 
che creano una magica atmosfera di profonda intimità a due
ma anche contemporaneamente un vuoto che ci isola dalla realtà circostante?
Sì? Allora: che cosa ci impedisce di accorgerci che la dolce musica
di un piffero magico ci ha portati lontano dalla concretezza
del mondo comune (più banale, forse, ma reale, vero, vivo di carne
e cose e sentimenti e presenza di altri uomini amici e alleati)
e che ormai siamo soli in preda al potere di colui che ci ha condotti
nelle viscere della montagna?
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239
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E chiediamoci anche:
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• Perché non riesco a sentirmi coinvolto, sconvolto e pervaso da una eccitazione
VERO

che mi tiene in una costante fibrillazione (e considero questo fatto
FALSO 
come pessimo segno e non come positivo indice di un rapporto sano,
pacato e solido) e sono legato ad un individuo tranquillo, concreto, affidabile,
onesto, rispettoso e normale?
• Perché tendo a considerarlo un partner immaturo,
VERO

noioso, da lasciar perdere?
FALSO 
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Oppure anche:
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• Perché vivo come se fossi un robot senza sentimenti e tendo a comportarmi
VERO

in maniera piuttosto cinica, calcolatrice; e dedico tutte le mie energie al lavoro,
FALSO 
alla carriera, al successo, alle alle ambizioni della professione?
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O infine:
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• Perché, nonostante che il 2000 sia ormai alle nostre spalle,
VERO

continuo a sentire validi schemi stereotipati in base ai quali l’uomo
FALSO 
dovrebbe essere forte, duro, vincente e occuparsi solo del lavoro mentre la donna
dovrebbe essere estremamente femminile, dolce curare la casa, fare figli ed educarli
a non avere né indipendenza, né attività, né pensieri propri?
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QUALCHE IPOTESI SULLE CAUSE DEI NOSTRI PROBLEMI.
Riflettendo sui nostri problemi di rapporto sentimentale, abbiamo potuto formulare qualche ipotesi
sulle cause di questi problemi, presumibilmente legate a rapporti molto profondi e significativi creatisi
all’epoca della nostra infanzia?
Da quale area di antichi legami derivano questi problemi attuali?
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• Un legame eccessivo con la figura di un genitore?
VERO

Questo eccesso può avere snaturato alcune fasi, alcune impostazioni
FALSO 
della vita del figlio/figlia inducendolo a considerare come sommo bene
desiderabile il pensiero di compiacere il genitore, obbedirlo, vivere
in un rapporto fusionale con lui, anche se è un rapporto abnorme perché privo
di una vitalità sana in quanto è centrato sull’altro e non su di sé,
e sul rivivere il passato anziché progettare e realizzare il proprio futuro.
Un soggetto cresciuto in una atmosfera emotiva di questo tipo
può avere sensibili difficoltà a vivere oggi con un partner coetaneo
a causa della tendenza a confrontarlo costantemente con il partner originario
del passato, il personaggio interiorizzato del genitore.
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• Oppure l’area che è stata resa problematica è stata quella della indipendenza,
VERO

dell’autonomia? I genitori ci hanno consentito (fin dalle piccole ma fondamentali
FALSO 
manifestazioni nella prima infanzia) di sviluppare forme di vita e di attività libere,
autonome, indipendenti? Ci hanno trasmesso un senso di serenità nel consentirci
di vivere la nostra vita, e nel farci sperimentare il senso della assoluta normalità
nella nostra autonomia?
240
Sì? Allora probabilmente noi sentiremo un senso di fiducia e di reciprocità nel rapporto
con il partner, in un clima di tranquillità, di gioia, di vitalità libera e costruttiva.
No? Allora forse avremo nel nostro vivere un senso di paura ad essere autonomi;
vivremo come trattenuti, bloccati da qualcosa che parte da dentro di noi;
avremo paure ed ansie nei confronti del nostro partner, saremo portati
a chiedere permessi ed autorizzazioni, rischieremo di finire per spegnerci
non osando avere interessi nostri che ci consentano piacere e di esprimere
la nostra natura. Forse questo passato ci influenzerà tanto da farci diventare
incapaci di affrontare le normali difficoltà della vita pratica,
renderci bisognosi di appoggiarci come bambini agli altri
perché ci risolvano i problemi e provvedano a noi.
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• I nostri genitori ci hanno manipolati in qualche maniera?
VERO

Ci hanno dissuasi con il terrorismo dell’ansia dall’osare normali attività
FALSO 
in cui i nostri coetanei si tuffavano prima eccitati, poi divertiti infine orgogliosi di sé
ed irrobustiti per averle affrontate e superate?
Sì? Allora facciamo attenzione: siamo intimoriti, esitanti ed ansiosi
dinanzi al nuovo? Per caso con la nostra ansia induciamo il nostro partner
a frenarsi, a non osare, fare, vivere?
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• Oppure i genitori ci hanno frenati inducendoci sensi di colpa quasi noi fossimo figli
VERO

irriconoscenti, mentre noi desideravamo semplicemente vivere la nostra vita.
FALSO 
Erano invece i nostri genitori ad adoperare la nostra presenza nella loro vita
per ricavare un senso di propria importanza totale (compensatoria di loro profondi
sensi di inadeguatezza) grazie al fatto di dedicarsi totalmente a noi.
Un senso di deviazione così estremo da essere vicino al sacrificio di sé, non necessario
in effetti (sebbene allora noi non potessimo riconoscerlo) ma sicuramente
strangolante sul nostro animo di bambini:
Sì? Allora controlliamo il nostro rapporto con il partner:
rinunciamo a noi stessi ed ai nostri desideri ed interessi, ci sacrifichiamo
in circostanze che non sono eccezionali bensì banalmente ordinarie,
e che quindi richiedono impegno morale di sacrificio per salvare la vita dell’altro?
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E infine:
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• I nostri genitori ci hanno trattati in maniera tale da insegnarci
VERO

- con il loro comportamento - a non affrontare direttamente i problemi
FALSO 
e la realtà in generale, ma ad usare vie traverse, sottili manipolazioni
dalle forme e qualità più diverse?
Sì? Lo scopriremo se ci renderemo conto di essere:
• costantemente seduttivi per farci affrontare dagli altri
i problemi facendo un po’ di moine.
• Ansiosi e incapaci di trattenere il pianto dinanzi al più piccolo
ostacolo (il ricatto della sofferenza).
• Ipercritici, autoritari, dittatoriali, impositivi, oppure distaccati, freddi e taglienti:
manipoliamo l’altro attraverso la paura e la sottomissione che gli incutiamo.
• Sleali e non onesti nei rapporti con gli altr che manipoliamo
con l’inganno di una sottomissione falsa e untuosa o di una incapacità
che contrasta con la nostra totale autosufficienza quando siamo soli.
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PROMEMORIA FINALE.
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• Ci siamo posti le domande importanti?
• Ci abbiamo fatto sopra riflessioni serie ed oneste?
• Abbiamo tratto conclusioni importanti per la nostra vita futura?
• Allora non dovremmo avere troppe difficoltà, in conclusione, a ricordarci che:
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1. La nostra vita non può essere un anonimo ed insignificante remake del film originario
interpretato dai nostri genitori.
2. Un compagno nella nostra vita dovrebbe essere qualcosa di più e di diverso
da una soluzione ad un problema.
3. Penare e faticare per un po’ di tempo da soli a liberarci dalle tracce irreali dei personaggi
del nostro passato che sono rimaste al fondo dei nostri modi di sentire è un buon mezzo
per non dovere soffrire e faticare nel nostro vivere concreto di molti giorni insieme
ad un compagno reale e normalmente positivo.
E i nostri timori oscuri?
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Il lettore di sesso maschile può chiedersi:
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1. Riesco ad ammettere di avere:
Sì 
No 
• sentimenti teneri,
• desiderio di intimità e di dolcezza,
• momenti di debolezza e di incertezza,
• necessità di appoggiarmi ad un altro in quei momenti.
2. Riesco contemporaneamente a non avere per questo:
Sì 
No 
• paura di essere assorbito ed inghiottito dal potere della donna
alla quale mi abbandono,
• paura della mia umanità che potrebbe sembrarmi debolezza.
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La lettrice potrebbe chiedersi:
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1. Riesco ad esprimere la mia:
Sì 
No 
• individualità,
• indipendenza,
• creatività,
• costruttività operativa nelle attività concrete
pur sentendomi sempre pienamente femminile
2. Riesco contemporaneamente a non avere per questo:
Sì 
No 
• paura di essere fraintesa o disconosciuta in quanto donna,
• paura di essere rifiutata o abbandonata in quanto attiva o autonoma.
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Entrambi, sia l’uomo sia la donna, possono chiedersi:
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1. Ho paura del mio partner se e quando è arrabbiato?
Sì 
No 
2. Nelle manifestazioni di protesta del mio partner sono in grado
di distinguere in lui:
• aggressività (come atteggiamento di attacco determinato
ed intenzionato a distruggere l’altro),
• rabbia (come sentimento violento ed eccessivo di aggressione verso l’altro),
• protesta oppositiva (come atteggiamento di rivendicazione contro l’altro
quando questi cancella i nostri legittimi diritti).
Sì

No 
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3. Sotterraneamente ho forse paura:
Sì 
No 
• della mia aggressività profonda sepolta nel mio inconscio (quasi potesse
distruggere il mio oggetto d’amore che si concretizza nel partner),
• della mia rabbia (sono abituato ad esternare emozioni violente, magari eccessive?),
• della mia protesta (me ne riconosco il diritto oppure no?).
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COME VIVO LA MIA SESSUALITA’.
Ecco poche domande semplici, giusto per orientarmi su questo terreno.
Vi sono modi di vivere i rapporti psicologici con l’altro sesso,
che influenzano la mia sessualità?
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Il lettore di sesso maschile può chiedersi:
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1. Devo spesso sostenere rigidamente una parte:
Sì 
No 
• quella di uomo virile e maschio?
Sì 
No 
• quella di donna calda ed accogliente?
Sì 
No 
2. Il bisogno della conquista e poi del possesso è superiore al piacere
della relazione nutriente con un altro essere umano?
Sì

No 
3. Sono in grado di vivere contemporaneamente istintività sessuale
e sentimentalità affettiva?
Sì

No 
4. Nella quotidianità della mia relazione affettivo - sessuale sono disturbato
da paure che il partner mi abbandoni o da altre insicurezze od angosce?
Sì

No 
5. Sono bloccato da un approccio del mio partner:
• che sia ritroso,
• oppure propositivo in modo aperto?
Sì
Sì
Sì



No 
No 
No 
6. La mia sessualità è forse, sotto sotto, vissuta non tanto per ricavarne gioia
ed abbandono istintivo, ma per dare al partner l’impressione di:
• una potenza d’acciaio?
• una corrispondenza senza riserve che mi faccia apprezzare ed accettare?
Sì

No 
Sì
Sì


No 
No 
7. Il mio partner si lamenta che la nostra vita sessuale è:
 scarsa?
 Egoisticamente disinteressata ai suoi desideri e bisogni?
 Insoddisfacente dal lato fisico ed emozionale?
 Faticosamente richiesta e vissuta senza entusiasmo?
Sì

No 

Impedita da ostacoli vari quali:
 malesseri, stanchezza o altri pretesti accampati?
 Periodiche liti che scoppiano prima del momento
di un possibile rapporto che ne viene reso impossibile?
 Costanti critiche a specifici aspetti della bellezza fisico dell’uno e dell’altro?
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243
IL PARTNER AFFASCINANTE MA INAFFIDABILE.
Lo riconoscete, in qualche aspetto di una delle sue molte varianti?
Il tipo conquistatore.
• Dice che telefonerà il giorno dopo essere uscito con voi, in una atmosfera così stupendamente
magica. Non telefonerà. E non si farà più sentire per un periodo di 8-10-15 giorni.
• Se noi abbiamo un problema che richiederebbe l’aiuto dell’altro, alla fine ci rendiamo conto che con eleganza o brutalmente - il partner ci ha detto che non può/non intende aiutarci,
e ci siamo ritrovati soli nella difficoltà.
• All’inizio (nella fase in cui costruisce l’immagine di sé che vuole che noi abbiamo di lui):
 è pazientissimo, non si arrabbia mai,
 è stupendamente sensibile e comprensivo,
 assiduamente corteggiante e protettivo, cerca un contatto
(anche fisco, o specialmente fisico) continuo, totale: una vera e propria fusione.
• È affascinante, dinamico e un po’ misterioso.
• È persona di successo nel contatto umano, possiede un suo particolare stile,
uno specifico carisma, e anticonvenzionalità.
• Sa essere meravigliosamente galante e corteggiante, seduttore.
• Sa d’istinto come compiacere il partner, farlo sentire speciale anzi unico,
splendido, intelligente, intuitivo, brillante.
• Sa essere ascoltatore attento, anzi esclusivo.
• All’inizio (nella fase di seduzione) ha il dono affascinante di fare sentire l’altro considerato,
apprezzato: creando una atmosfera di unicità e di magia fa sentire vero ciò che ognuno,
al fondo della sua mente, ha sempre desiderato di vedere riconosciuto - una volta o l’altra da una persona che lo amasse veramente.
• Tuttavia, dopo un certo tempo, le sue esigenze risultano assai più forti
dei bisogni del compagno.
• A questa fase della relazione il suo senso di responsabilità nel rapporto sparisce
e il bisogno di tornare ad essere libero gli riafferra totalmente la mente.
Il tipo sensibile.
• Molto (troppo!) sensibile, vulnerabile.
• Insicuro. Chiede rassicurazioni.
• Iperemotivo.
• Non corteggiante ma - in realtà - appiccicoso.
• Non agisce ma cerebralizza spesso, parlando all’infinito di fattori e problemi
e sfumature emotive e psicologiche.
L’eterno adolescente.
• Disarmante, ed al primo impatto affascinante, per il suo modo sicuro, sfrontato,
allegro di essere fanciullesco.
• Pieno di interessi esteriori, spesso in continua rotazione.
• Capace di far sentire la gente a proprio agio, specie in compagnia,
allegramente disimpegnata e con voglia di divertirsi.
• Incapace di assumersi delle responsabilità.
• Terrorizzato dall’essere preso in trappola da un legame che tenda ad evolvere
verso una realizzazione normalmente stabile, solida e concreta.
Il separato sofferente.
• Attrae per il profumo di dolore che emana dal suo essere:
 a causa di un legame che si è spezzato nel suo passato (anche 2-3-4 anni fa),
 a causa di un fall-out di maltrattamenti e di ingiustizie subite nel passato rapporto
nonché di pesi e di responsabilità che continuano a gravare sulle sue spalle (anche se molti,
sia uomini sia donne, escono da un fallimento di legame dovendo portare da soli
il peso di figli, compiti scolastici, debiti e spese),
 a causa di una incapacità di riprendere a vivere scrollandosi dall’anima la tristezza
del fallimento (oppure è una sottile strategia di aggancio parassitario per succhiare
l’energia vitale all’altro?).
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E infine ricordiamo che:
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Desiderio e amore non sono la stessa cosa.
Desiderio è eccitazione, bisogno, fame di qualcosa
che vorremmo ma non abbiamo.
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Amore
è rispondere ai bisogni dell’altro, o avere dall’altro la risposta ai nostri bisogni.
Amore
è nutrimento saziante (naturalmente è doppiamente gratificante
quando il nostro amore è accettato, gratificante al massimo quando è ricambiato).
Amore
significa che entrambe le persone entrano in relazione, si scambiano delle cose,
si mettono in gioco completamente, anche se ciò comporta porre a nudo
i propri bisogni e le proprie debolezze.
Se noi stessi non siamo disposti a cominciare a guardarci dentro e prendere atto
di come siamo realmente, il partner avrà potere su di noi perché ci farà provare l’illusione
di credere di essere come l’altro afferma che siamo, e come noi vorremmo continuare
a sperare di essere senza fare la fatica di diventarlo con sforzi di lento miglioramento.
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Perché non riesco a scordarlo? Perché continua a ferirmi?
1. C’è forse anche un contributo mio?
• Mi attrae ciò che è nuovo, imprevedibile, avventuroso?
• Mi eccita il brivido deliziosamente terrorizzante del rischio?
• Mi annoia ciò che è sicuro, fisso, prevedibile?
• Nella mia infanzia ho sperimentato tensione ed incertezza nei miei bisogni
di appagamento e di amore?
2. Che tracce mi ha lasciato il mio passato infantile?
• Ho avuto un padre ed una madre affettuosi, che mi hanno fatto sentire un caldo contatto
che mi accettava e mi dava attivamente ciò che mi serviva?
3. Il fascino del partner deriva da:
mascolinità/femminilità
anticonvenzionalità
stile personale
carisma
+
+
+
+
mistero
mistero
mistero
mistero

In realtà il misterioso:
• non fornisce informazioni precise su di sé,
• lascia attorno a sé vuoti, zone d’ombra, aree di assenza,
• promette in realtà molto meno di quanto sembri all’apparenza.

Il mistero dovrebbe quindi trovarci:
• cauti,
• attenti,
• prudenti,
nel lasciarci andare ad un rapporto che non dà alcuna garanzia chiara.
245
Perché invece ci attrae?
Nell’infanzia siamo stati:
a. a stretto contatto con figure di genitori
• sfuggenti,
• imprendibili,
• allusivi e pieni di promesse (regolarmente poi non mantenute),
• imprevedibili,
• lesinanti il loro amore verso di noi.
b. costretti a sviluppare fin da bambini percettività e sensibilità molto affinate, essendo stati obbligati
a studiare il modo e il tempo in cui l’uno o l’altro genitore avrebbero potuto darci un po’
dell’amore che ci serviva e che non ci veniva dato.
4. Conquistare un partner affascinante e sfuggente è gratificante in quanto
ambito successo, trofeo di vittoria, conferma pubblica delle nostre capacità
di conquistare l’amore di qualcuno?
5. La nostra fame d’affetto ci rende ciechi a percepire che questo nostro partner:
• non si innamora di noi ma dell’estasi del momento,
• non cerca noi ma (attraverso la nostra risposta adorante) cerca la conferma del suo fascino,
del suo potere, che lui vede nelle nostre reazioni come se si guardasse in uno specchio,
• è per noi così irresistibilmente attraente anche semplicemente perché siamo rimasti
così a lungo affamati di amore nel nostro isolamento infelice. Il fascino ammaliatore di questa
figura conquistatrice e misteriosa è soggiogante, nel nostro vuoto precedente privo
di termini di confronto,
• ha in realtà moltissimi elementi sfavorevoli che sono appartenuti prima
a personaggi negativi del nostro passato:
 ha la fama di essere un dongiovanni (e nostro padre lo era e da bambini ci ha spezzato
il cuore e ci ha fatti morire di vergogna con il suo comportamento), - è inafferrabile
ed impenetrabile (come il nostro primo partner sentimentale, che ci ha tenuti inchiodati
in una sterile e folle relazione durata anni e anni, bloccando lo sviluppo
della nostra affettività di coppia),
 è insicuro, indeciso, vulnerabile, oppure all’opposto è freddo, critico, distante
(e nostra madre è stata il primo personaggio di questo tipo così sottilmente negativo
nella nostra vita), - è sposato e non si sente/non può lasciare il coniuge e/o figli
(ovviamente anche il genitore che ci ha legati a sé in quanto così
“profondamente significativo per noi” non ha lasciato il suo coniuge, l’altro genitore
e non è vissuto soltanto più con noi...).
IL PARTNER AFFIDABILE E’:
• onesto,
• affidabile,
• serio nell’affrontare seriamente le cose serie (sentimenti, impegni d’amore, ecc.)
anche se sa godersi la vita,
• tenace nell’impegnarsi e nel lottare per le cose che ritiene importanti,
• gentile e attento con misura e tatto, ma premuroso e presente (e se l’altro ha difficoltà,
si mette concretamente a disposizione),
• vive “normalmente”: ha un lavoro fisso e regolare, una casa ordinata e usuale,
frequenta amici altrettanto comuni,
• fa sentire l’altro tranquillo e rilassato, non crea stati di tensione, di ansia, di sovreccitazione,
• non è forse brillante e fantasmagorico al primo impatto, ma esce fuori a gioco lungo
per i suoi risultati concreti e duraturi,
• accetta osservazioni, critiche e richieste, con ascolto attento; non si profonde subito
in scuse per sensi di colpa, ma dà atto di avere ascoltato e riflettuto, e muta in parte
il suo atteggiamento precedente.
246
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SCHEDA TECNICA - A CURA DI QUATTRO
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AUTORI:
Cowan, Connell - Kinder, Melwyn
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TITOLO:
Donne intelligenti, scelte stupide.
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EDITORE:
Frassinelli, Milano, 1986.
Titolo originale:
“Smart women, foolish choices”, Bautam, Toronto, 1985.
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PAGINE:

232
INQUADRAMENTO GENERALE:  vedi
INDICE:

vedi
COMMENTO:

vedi
TEST DA COMPILARE:

sì
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INQUADRAMENTO GENERALE.
Questo libro può essere letto come un buon inizio nello studio sui meccanismi delle relazioni
sentimentali problematiche. Come altri testi successivi propone un criterio al quale fare riferimento,
confrontando la propria situazione con un parametro di riferimento.
Questo parametro è sostanzialmente un modello di persona che cerca (in qualunque periodo
della propria vita, e non soltanto nella gioventù) di sviluppare la propria individualità e trovare
la propria identità e le forme nelle quali esprimerla, assumendosi la responsabilità delle sue idee
e delle sue scelte, con uno stile di vita il più possibile autonomo.
Essere sicuri di sé, coscienti del proprio valore in misura speciale e capaci di autoaffermazioni rilevanti,
possono essere aspetti interessanti, ma non sono sostanziali.
Fondamentale è invece il fatto che la ricerca e la costruzione dell’identità individuale
non siano messe in pericolo dalle relazioni sentimentali (il sangue del vivere la propria umanità).
Questo perché nel campo delle relazioni sentimentali le ferite nascoste nell’inconscio ed inferte
da rifiuti infantili e da antichi abbandoni, possono costringere il soggetto a piegarsi a rapporti
che spezzano la sua anima libera in un legame dove la paura la rende schiava.
Tutti i libri che saranno presentati in questa sezione del sito (a partire dal testo di Cowan-Kinder)
hanno un unico scopo, in rapporto al problema descritto.
Essi mirano a fornire ai soggetti che siano caduti vittime di questi rapporti malati e fonte di sofferenza,
una serie di strumenti intellettivi di comprensione ed emozionali di reazione nell’ambito
della relazione così da liberarsi dalla prigionia dell’attuale rapporto, e successivamente evitare
di riscivolare in futuri rapporti sentimentali di analoga impostazione conflittuale e patologica.
29, Vuoti di cuore. 2004
247
INDICE.
Ecco ora l’indice del volume, perché il lettore possa farsi un’idea generale degli argomenti trattati.
SCELTE STUPIDE.
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1. In attesa del Principe Azzurro.
• Alla ricerca dell’uomo perfetto.
• Donne e fantasie romantiche.
• Fattori di influenza sulle donne.
2. La cocca di papà.
• Imparare a essere carini.
• Imparare le vie traverse.
• Il padre potente.
• Il padre mancante.
• Il padre insensibile.
• Il desiderio recondito di essere salvate.
3. Come reagiscono gli uomini alla “cocca di papà”.
• Mancanza di iniziativa.
• Giochi maliziosi.
• Bisogni nascosti di dipendenza.
• La fame d’amore.
4. Come reagiscono gli uomini al potere femminile.
• La madre onnipotente.
• La nuova impotenza.
• La reazione passivo aggressiva.
• La paura delle donne arrabbiate.
5. Come gli uomini affascinanti possono rendere infelici le donne.
• Chi è l’uomo “a posto”?
• A volte essere “a posto” significa essere deboli.
• Quando l’essere “a posto” appare come debolezza ma non lo è
• “A posto” non significa essere romantica.
• Amore e desiderio.
• Perché certi uomini sembrano affascinanti.
• I “mascalzoni” possono essere divertenti... almeno per un po’.
• Chi è il mascalzone?
• Il magnetismo del mascalzone.
• La ricerca del mascalzone.
6. Gli uomini che fanno venir voglia di urlare.
• L’ostrica.
• Il maschio pseudo-liberato.
• Il perenne adolescente.
• Il ferito che cammina.
DONNE INTELLIGENTI.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
7. Molte donne speciali, pochi uomini in gamba.
• Il matrimonio come trampolino sociale.
• Perché gli uomini sposati sembrano migliori.
• Le profezie hanno il potere di avverarsi.
248
8. Uscire da un dolore inconsolabile.
• Credere nel magico.
• Perdere la stima in se stessi.
• Pronte ad amare ancora.
9. Liberarsi dall’ossessione dell’amore.
• Quattro tipi di dipendenza sentimentale.
• Quando l’amore diventa un’ossessione rimane poco tempo.
• Cercare altre fonti di eccitazione.
• Rompere con i vecchi schemi può essere eccitante.
10. Lasciar perdere le aspettative.
• Un programma segreto.
• Aspettative e intimità.
• Scopriamo le illusioni nascoste.
• Le aspettative che funzionano.
11. Alla scoperta di tesori nascosti.
• La maschera della timidezza.
• Reinvestire in rapporti duraturi.
12. Uno sguardo nuovo alla femminilità.
• La forza magica della tenerezza.
• Il coraggio di esprimersi.
13. Quello che le donne intelligenti sanno.
• L’avventura del corteggiamento.
• Per trovare l’uomo giusto ci vuole iniziativa.
• Agli uomini piacciono le donne a cui piacciono gli uomini.
• Gli uomini reagiscono alla sensibilità.
• Tensione romantica e amore in un rapporto vitale: un paradosso.
• Gli uomini sono disposti a legarsi.
• Una donna intelligente è responsabile delle proprie esperienze.
14. Alcune regole per trovare l’uomo giusto.
COMMENTO.
Il libro è certamente uno dei primi testi sull’argomento (essendo stato pubblicato nel 1985)
e ciò conta (sebbene anche “Donne che amano troppo” di Robin Norword sia del 1985
e “Gli uomini che odiano le donne e le donne che li amano” di Susan Forward e Joan Torres
sia del 1986). L’impostazione potrebbe essere più chiaramente sistematica.
Gli spunti sembrano presentati in maniera non precisamente articolata secondo uno schema
rigorosamente logico. I vari casi sono descritti in misura efficace nel cogliere l’aspetto problematico
più conflittuale del soggetto.
Mancano tuttavia anche brevi accenni a situazioni infantili che possano servire come spiegazione
causale. Il lettore può quindi avere difficoltà ad utilizzare sistematicamente sia la parte descrittiva
per fare una diagnosi precisa sul suo attuale comportamento anormale, sia eventuali accenni
al passato per sospettare qualche radice causale originata nella propria infanzia.
Il lettore tenga tuttavia presente come è detto, che questo libro è uno degli studi precursori
nel campo. Nel sito saranno citati ed analizzati altri testi (tutti successivi, talora anche
di parecchi anni) quindi facilitati dalla letteratura precedente.
Può essere quindi utile, per il lettore del sito, tenere presente questo aspetto di studio iniziale
che il libro ha, adoperandolo come prima chiave per entrare in contatto con i propri eventuali
problemi nei rapporti sentimentali. Importante è poi compilare diligentemente i test presentati
al fondo del volume per farsi un’idea numericamente quantificata del proprio livello
di problematica. La valutazione fatta sulla situazione attuale può essere ripetuta in futuro
per controllo. Il libro presenta 3 test, di valore psicologico diverso.
249
a. Il primo è un test descrittivo quindi basato su una definizione (valutazione soggettiva
che il lettore dà di una sua relazione sentimentale, all’inizio e dopo un certo tempo (momento
attuale, o dopo la sua fine). Comporta due sezioni diverse. La prima è puramente descrittiva
in modo soggettivo. Può essere usata per avere 2 istantanee del partner:
“come lo vedevo all’inizio della relazione” e
“come lo vedo ora, a relazione avanzata o già finita”.
La seconda sezione (che comprende 18 punti) consente un’analisi longitudinale, storica,
della relazione. Infatti gli ultimi 3 punti permettono di studiare:
• L’inizio del problema.
• Il trascinarsi di un rapporto in crisi.
• La rottura della relazione.
Questa sezione del test può essere usata:
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
 per analizzare il meccanismo di crisi di un proprio rapporto, nelle vicinanze della sua rottura,
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
 per effettuare uno studio storico dei propri rapporti passati rivisitati in una prospettiva interiore,
modificata non solo dall’esperienza vissuta, ma anche da un lavoro trasformativo
di auto-aiuto psicologico.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Da questo punto di vista il test può essere molto utile al lettore poiché gli consente un confronto
immediato tra 2 modalità di allacciare un rapporto sentimentale.
Da un lato emerge la maniera istintiva, influenzata dalle predisposizioni e bisogni inconsci,
con una miscelazione che ha portato il soggetto ad entrare in una relazione fonte di dolore.
La seconda valutazione (fondata sul lavoro di scavo psicologico sul modo di relazionarsi con gli altri)
può essere molto diversa. Il confronto può fornire al soggetto una visione per così dire dall’esterno,
di come stabiliva prima rapporti umani significativi, ma patologici.
E può permettergli di comprendere che cosa è mutato in lui, ed avere una maggior sicurezza
di essere in grado di prendersi cura di sé costruttivamente.
b. Gli altri 2 test consentono di studiare due aspetti psicologici profondi, che sono fondamentali
nel rendere una relazione malata o sana:
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
1. Dipendenza dalla relazione amorosa.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
2. Bisogni e loro soddisfacimento.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
1. Dipendenza dalla relazione amorosa.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Suggeriamo ai lettori di non sottovalutare questo aspetto considerandolo semplicemente
un termine che indicherebbe una definizione alla moda.
Seguendo le schede-libri via via proposte dal sito, i lettori potranno rendersi conto
che Robin Norwood (in “Donne che amano troppo”) paragona la dipendenza sentimentale
alla dipendenza dall’alcool nei bevitori abituali.
Lee Jampolsky (in “Guarire dalla dipendenza”) la avvicina addirittura alla dipendenza da cocaina.
Non vi sono molti motivi per scherzare su realtà simili, come del resto ben sanno coloro
che tormentati dalla dipendenza verso un partner sperimentano angosce mortali di abbandono
nel rapporto quotidianamente infelice con il proprio compagno.
Un punteggio significativo al test della dipendenza dovrebbe essere un incitamento pressante
e costante a proseguire nello studio di altri libri, in modo da ricavarne ogni beneficio psicologico
personale che possa esserne estratto.
La valutazione del grado di dipendenza dalla relazione amorosa, è sufficientemente chiaro
nella sua divisione a fasce (che tuttavia è un po’ schematica) da:
250
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
0 (indipendenza assoluta),
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
passando attraverso
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
1-3 (tensione nel legame accenno a dipendenza),
4-7 (dipendenza in atto, anche se non vi sono sofferenze palesi),
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
fino a superare il
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
7 (con un max. assoluto di 20 nella dipendenza grave con forte sofferenza nella relazione).
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
2. Bisogni e loro soddisfacimento.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Le sfumature di valutazione della scala dei bisogni sono molto ricche, fornendo più tipi
di indicazioni:
a. L’intensità di ognuno dei bisogni.
b. La frequenza con cui viene soddisfatto.
c. Buona gamma di punteggio valutante (da 1 a 5) sia per l’importanza/intensità,
sia per il soddisfacimento.
d. Specificazione dettagliata dei tipi di bisogni (più di 50 tipi, sfumature di bisogni,
suddivisi in 6 grandi categorie:
• sfida/eccitamento,
• autonomia,
• sicurezza,
• comunicazione,
• sessualità,
• affettività sentimentale.
e. Ampia gamma di valutazioni finali entro la quale si può spaziare scegliendo in maniera mirata
la propria posizione in una scala ben dettagliata:
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
1 - 25 punti,
26 - 50 punti,
51 - 75 punti,
76 - 100 punti,
oltre 100 punti.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
f. Possibilità di valutare se la relazione è conflittuale oppure soddisfa i bisogni del soggetto.
Poiché il problema dei bisogni psicologici umani è fondamentale per vivere serenamente
e con soddisfazione, verrà - nella sezione successiva - presentato un breve inserto teorico
sulla scala dei bisogni illustrata da Maslow.
TEST DA COMPILARE.
I test relativi sono stati presentati al termine della sezione Adesione con riserva (Vedere in questa).
251
I MOLTI BISOGNI DELL’UOMO.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
L’uomo è una creatura esigente, si potrebbe dire. Infatti ha molti bisogni, veramente molti,
e della natura più diversa. Ma del resto è logico, perché è un essere che vive in una realtà
a molte dimensioni; l’esistenza che egli vive si muove contemporaneamente su molte dimensioni.
Quali sono questi bisogni?
Anzitutto l’uomo ha un corpo. E l’esistenza del corpo impone le sue richieste, le quali devono essere
adempiute, imprescindibilmente, come bisogni di fondo, bisogni basilari, da soddisfare subito.
Ma oltre al corpo l’uomo ha un cervello, al quale è collegata la vasta sfera delle funzioni mentali,
che si esprimono col pensiero, con le emozioni, le aspirazioni, i sentimenti, ed altre manifestazioni
ancora, persino più difficili da definire con semplicità e chiarezza, ma non per questo meno realmente
esistenti. E quindi anche tutte queste forme dell’essere vivo comportano per l’uomo altri bisogni
da soddisfare al fine di avere benessere interiore e nel contatto col mondo esterno.
Per di più l’uomo non è concepibile come entità che sia sola. Vive in costante rapporto con gli esseri
umani, è un nodo singolo nella rete della società, addirittura dell’umanità in generale.
Ed il far parte di questa enorme rete lo rende collegato ad un’infinità di persone.
Sono le persone alle quali ogni uomo rivolge delle richieste per averne soddisfazione
di certi suoi bisogni, e sono persone alle quali ognuno deve dare risposte di soddisfacimento
di altri bisogni emotivi e materiali. Molti psicologi hanno proposto degli schemi per raggruppare
sinteticamente i diversi tipi dei bisogni dell’uomo.
Molto noto è il modello suggerito da Maslow già nel 1954 nel suo libro “Motivazione e personalità”.
Maslow suddivide i bisogni umani secondo una scala, all’interno della quale essi sono disposti
con un ordine logico (fisiologico e psicologico) in base ad una progressione gerarchica crescente
di motivazioni. Questa progressione va dai bisogni più elementarmente imprescindibili
fino a quelli più complessi.
BISOGNO DI:
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
1. Sopravvivenza:

cibo, aria, acqua, temperatura, eliminazione,
riposo, libertà dal dolore.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
2. Stimoli:

sesso, attività, esplorazione,
manipolazione, novità.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
3. Sicurezza:

sicurezza, protezione, salvezza
(istinto di conservazione), libertà.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
4. Amore:

amore, appartenenza,
intimità.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
5. Stima:

stima degli altri,
stima di se stessi.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
6. Auto-realizzazione:  è riferito al processo di utilizzare
al massimo grado le proprie capacità e potenzialità.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
252
Schema grafico dei bisogni di Maslow, (Modificato da: R. A., Kalish: “The Psycology of Human Behavior”).
È evidente che i bisogni del primo livello gerarchico sono bisogni indispensabili alla sopravvivenza
biologica, sono bisogni fisici del corpo, imprescindibili, basilari.
Se essi non sono soddisfatti, nessun altro bisogno potrà essere preso in esame per essere soddisfatto.
Così i bisogni del secondo livello (che sono ancora bisogni di ordine fisico, ma meno obbligatori)
potranno essere soddisfatti solo quando siano stati espletati tutti quelli del primo livello.
È ovvio che il bisogno sessuale può essere ascoltato e soddisfatto solo da un uomo
che possa respirare liberamente aria, e che non abbia un bisogno di bere o mangiare cibo
tale da farlo sentire in pericolo di vita.
Maslow introduce, a questo proposito, il concetto di potenza relativa.
Il bisogno che ha maggior potenza viene soddisfatto prima di un altro. Questo concetto è valido
non solo ai primi due livelli, di ordine fisico/biologico, ma anche a livelli gerarchicamente superiore.
Così il terzo livello è costituito da bisogni di ordine psicologico, ma che sono basilari,
fondamentali, per l’esistenza psichica di un Io individuale.
Un uomo può sentirsi mentalmente esistere come individuo solo se sono soddisfatti il suo istinto
di sopravvivenza (bisogno di salvezza), il bisogno di sicurezza, di protezione, di libertà.
Tuttavia ciò richiede che questo stesso uomo abbia potuto avere sul primo livello di bisogni
una quantità sufficiente di riposo, e che (per quanto concerne i bisogni di secondo livello)
abbia potuto avere una normale quantità di attività fisica e mentale, e che viva
in un ambiente caratterizzato da un certo grado di novità, e non da una totale alienante
monotona uguaglianza di stimoli.
Giustamente Maslow rileva che un bisogno primario, dotato di maggiore potenza
(per cui viene soddisfatto prima), una volta che è stato placato può lasciar emergere
un altro bisogno di potenza minore, ma che chiede anch’esso di essere soddisfatto.
Così, per esempio, una persona che sia rimasta senza mangiare né bere, quando sarà soccorsa,
sicuramente per prima cosa mangerà e berrà.
Ma subito dopo sentirà l’impulso di soddisfare il bisogno di attività, raccontando ai soccorritori
l’incidente che le è successo. Chiunque ritenga che la vita degli uomini - per essere definita
propriamente umana - debba soddisfare non soltanto bisogni materiali, è sicuramente d’accordo
con Maslow quando pone l’intimità con altre persone e l’appartenenza ad un gruppo individuale
ad un livello molto elevato.
E quando stabilisce l’amore verso l’altro come il sentimento tipico di questo livello interpersonale.
Ed ancora più in alto pone il livello dei valori sovra personali, il livello in cui il nostro
od altrui comportamento (improntato alla applicazione di codici sociali e morali) ci consente
di sentire un adeguato livello di stima in noi stessi, e di stima degli altri o da parte degli altri.
Ma attenzione, sostiene Maslow: non soltanto i bisogni dei livelli più basilari devono essere realizzati.
Certamente devono essere realizzati. Certamente essi devono essere soddisfatti per garantire
la sopravvivenza fisica dell’uomo. Ma anche i bisogni più elevati devono essere soddisfatti
perché possa sopravvivere la mente dell’uomo, il suo animo.
253
Ecco quindi che Maslow pone giustamente in cima alla sua scala gerarchica il bisogno
di auto-realizzazione. Ognuno di noi deve soddisfare questo estremo bisogno per poter essere
un individuo. Solo chi è se stesso, conquista e possiede in pieno la sua esistenza,
perché possiede la sua individualità.
E qui Maslow getta un ponte tra corpo e mente, tra biologia e psicologia, affermando:
“Vivere al livello dei bisogni più alti significa possedere una maggiore efficacia biologica,
una maggiore longevità, una minore predisposizione alla malattia, un sonno ed un appetito migliori,
ecc. I ricercatori nel campo della psicosomatica continuano a provare che ansia, paura,
mancanza di amore, ecc, favoriscono l’instaurarsi di effetti fisici e psicologici dannosi.
La gratificazione dei bisogni più alti nella scala gerarchica è importante sia per la sopravvivenza,
sia per la crescita dell’individuo”. (*)
(*) Maslow, Abraham: “Motivation and personality”.
L’UNICO TESTIMONE
L’unico testimone tace.
Non può raccontare
ciò che ha visto e sentito,
nessuno gli crederebbe,
verrebbe preso per pazzo,
emarginato, deriso, forse rinchiuso.
L’unico testimone tace
mentre la sua verità
gli appesantisce il cuore ad ogni respiro
assassinandogli il poco sorriso che ancora gli resta
a un angolo della bocca.
E il silenzio tutto intorno odora di morte:
il vecchio bambino di un tempo
rinchiuso da sempre in una prigione sospesa nel vuoto
tace
invocando salvezza.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Poesia di 29.
254
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
SCHEDA TECNICA - A CURA DI 19
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
AUTORI:
Cowan, Connell - Kinder, Melwyn
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
TITOLO:
Le donne che gli uomini amano,
le donne che gli uomini lasciano.
Perchè un uomo è affascinato da una donna, che cosa lo spinge a restare.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
EDITORE:
Frassinelli, Milano, 1988.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
PAGINE:

269
INQUADRAMENTO GENERALE:  vedi
INDICE:

vedi
COMMENTO:

vedi
TEST DA COMPILARE:

sì
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
INQUADRAMENTO GENERALE.
L’intento degli Autori è quello di offrire alle lettrici un libro scritto da uomini che “spieghi gli uomini”:
la loro psicologia, il loro modo di vedere la vita in generale, e qui soprattutto, in un rapporto
di coppia; considerazioni sul loro modo di vedere le donne, quelle che respingono
e quelle che desiderano. Riflessioni teoriche ed esempi concreti di vita, e quindi di profili psicologici
al maschile ed al femminile, sono disseminati lungo il percorso del testo.
Questo è organizzato in tre sezioni: la prima parte, intitolata “Le donne che gli uomini lasciano”,
invita le donne a riflettere su sé stesse, a ripensarsi all’interno del loro rapporto ed in relazione
al compagno con cui stanno condividendo o hanno condiviso un tratto della loro vita.
Esplorando i meccanismi di conoscenza reciproca e la strada che porta dai primi approcci
ad un rapporto più profondo, gli Autori si addentrano nella psicologia dei due sessi,
invitando alla scoperta delle differenze; il loro intento è di far comprendere che, se da una parte
è necessario a volte operare dei cambiamenti, è altrettanto importante prendere atto
di quelle differenze che caratterizzano l’uomo e la donna, necessarie a complementarsi
poiché esse disegnano l’indispensabile individualità di entrambi i membri della coppia.
Amarsi è bellissimo ma non è cosa semplice; è quasi un lavoro, bello ed altrettanto faticoso.
Affinché la fatica sia ridotta al minimo e la coppia tragga la massima felicità possibile,
è necessario che entrambi i componenti abbiano chiari alcuni punti fondamentali:
• È necessario conoscere sé stessi, essere individui con sufficiente dose di maturità ed equilibrio,
ovvero sapersi stimare, volersi bene, saper tollerare i propri limiti;
• Sarà così possibile tollerare i limiti del proprio partner, senza che questo significhi “farsi mettere
i piedi in testa”, dal momento che diversità e limiti devono alimentare la dinamicità della coppia,
che sarà così capace di rinnovarsi continuamente scongiurando il rischio di “scoppiare”;
• Un buon approccio con sé stessi aiuta ad essere in buona intimità con sé stessi;
questo è il presupposto per un’altrettanto buona intimità di coppia: ovvero donarsi e rivelarsi
senza paura di perdere la propria identità, senza paura di cadere in pezzi o di sentirsi derubati
di una parte di sé. Donarsi e rivelarsi senza paura di essere abbandonati o respinti;
• Tollerare i propri limiti e quelli dei partner significa anche saper accettare che qualche volta si può
aver bisogno d’aiuto, che in qualche momento della vita dobbiamo aiutare. Sono periodi in cui
ci si sorregge vicendevolmente con l’obiettivo di riconquistare quanto prima l’autonomia;
• La gelosia riesce quindi ad esprimersi “entro i limiti della norma”, ovvero senza essere patologica
e devastante ma rilevando semplicemente quanto sia prezioso per noi il nostro compagno.
255
Le coppie felici e fortunate sono formate da due persone che possiedono tutte queste capacità,
strumenti forniti nei modi e nei tempi giusti da una famiglia d’origine adeguata.
Quando così non accade e la coppia presenta dei problemi, o quando tali problemi investono
l’individuo a tal punto da impedirgli di non saper cominciare o portare avanti un discorso di coppia,
è necessario rivedere la propria vita, la propria infanzia, alla riscoperta (non certo facile né immune
da sofferenza) di tutto quello che non ha funzionato per comprendere e fare in modo
che non nuoccia più ma anzi si trasformi in prezioso strumento di crescita.
Già quando la vita, dal suo inizio, scorre su binari giusti, si evidenzia come il percorso maschile
e quello femminile non siano identici: è solo che è un po’ più facile trovare dei “punti di raccordo”
e dei tratti in comune, oltre che stimolante vivere la diversità.
Quando i problemi di vita e di comprensione superano i limiti tutto è più difficile e frustrante,
e certamente non porterà a soluzione se prima non si sarà riparato il proprio binario.
Naturalmente avere dei punti in comune è indispensabile per ricercare quell’affinità,
quella complicità che alimenta le coppie sane. La seconda parte del testo, dal titolo
“Le donne che gli uomini amano”, vuole analizzare in che modo gli uomini sono attratti
dalle donne e come si innamorano di esse.
Ancora una volta si passano in rassegna le differenze tra i due sessi riguardo al perché
ed al come ci si innamora, ai tempi di adattamento nelle varie fasi della storia,
al modo in cui entrambi i componenti esprimono i loro sentimenti e l’attaccamento reciproco.
Parla il passato, la diversità biologica, parlano i condizionamenti sociali, i tempi che cambiano
con gli inevitabili problemi di adattamento che ne conseguono.
L’ultimo capitolo della seconda parte offre alcune “regole per rimanere innamorati”:
sono regole che ricordano il buonsenso, la necessità di “lavorare” ogni giorno su sé stessi
e sulla coppia di cui si fa parte.
Segue un’appendice, in cui gli Autori propongono dei “Test sui diversi modi d’amare”;
sono test rivolti alle donne per aiutarle a comprendere che idea hanno esse dell’amore
e come si pongono all’interno di una relazione sentimentale. Ma se ne discuterà in un capitolo a sé.
29, Tentazioni. 2000
256
INDICE.
LE DONNE CHE GLI UOMINI LASCIANO.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
1. Perché l’amore sembra così sfuggente.
2. Donne che inconsciamente temono l’intimità.
3. Quando le aspettative innocenti diventano pericolose.
4. Donne che segretamente provano disprezzo per gli uomini.
5. Come si ritorce il bisogno di dominio.
6. Donne che donano troppo liberamente.
LE DONNE CHE GLI UOMINI AMANO.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
7. Il cammino verso l’impegno.
8. Rinunciare al principe e trovare l’uomo.
9. Aver fiducia nell’amore maschile per la donna forte.
10. Suscitare la passione e il desiderio.
11. Approfondire l’amore attraverso l’amicizia.
12. Le regole per rimanere innamorati.
APPENDICE. TEST SUI DIVERSI MODI DI AMARE.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
COMMENTO.
Gli Autori offrono alle donne un libro sulla psicologia degli uomini.
Sostengono che i testi sull’argomento sono pochi e desiderano offrire la loro testimonianza
come uomini ma soprattutto come psicoterapeuti che quotidianamente affrontano problemi
nell’ambito della coppia. Esaminando l’indice del testo si nota come la prima parte sia caratterizzata
da una forte percentuale di riflessione teorica, sebbene una certa dose di concretezza
sia rappresentata dalle storie di vita che disseminano l’intera opera; nella seconda parte si respira
maggiormente un’aria di operatività, disegnando un po’ quelle che sono le linee guida per creare
e mantenere una coppia sana. Si torna all’individuo, alla donna in particolare, nella sezione dedicata
ai test, dove ovviamente l’operatività è massima e rivolta alla comprensione individuale del proprio sé
e del proprio modo di vivere una coppia. É opportuno che le lettrici “usino” questo testo
nel modo giusto, il che significa non perdere mai di vista, nel corso della lettura, alcuno punti
fondamentali che verranno chiariti. Il rischio, che sembra essere molto forte, è quello di sentirsi
giudicate come esseri femminili, forse anche svilite un po’.
Di primo acchito pare si avverta una posizione fortemente maschilista (concetto che può andare
al di là del fatto che il libro sia stato scritto da due uomini), per cui le donne sono quelle
“che non capiscono” e gli uomini quelli “che devono essere capiti”.
Gli Autori sottolineano come si viva in un’epoca di cambiamenti, per cui i ruoli non sono più
così nettamente definiti: aumentano le situazioni in cui le donne “indossano i pantaloni”,
fanno capolino le situazioni in cui gli uomini svelano il loro “lato femminile”.
I vecchi equilibri cessano di esistere, è necessario trovarne di nuovi. É con questi presupposti
che le lettrici possono usare questo testo: cerchino in esso tutti quegli spunti utili a sondare il proprio
sé, a mettere in chiaro i propri pensieri, la propria storia personale e presente, il proprio equilibrio;
poi dopo aver fatto luce su sé stesse, ripensino al proprio rapporto di coppia per comprendere
se davvero è una storia che ha ancora delle possibilità.
Per chi è sola, il lavoro su di sé è indispensabile per dare una svolta alla propria vita, e quindi anche
a quella sentimentale. É senz’altro vero che nel testo non si vogliono trinciare giudizi sulle donne;
è senz’altro vero che lo scopo del testo è “far capire gli uomini”; tuttavia si ha l’impressione che,
nel proseguire questo intento, gli uomini vengano messi in discussione molto poco.
Sembra che, nonostante le migliori intenzioni, certi pregiudizi siano duri a morire,
perché altrimenti i cambiamenti dovrebbero essere ancora più profondi, ancora più laceranti.
257
Sembra che si insista poco ed assai diplomaticamente, rifugiandosi in un linguaggio esageratamente
tecnico, sul fatto che la fatica delle donne nelle relazioni con l’altro sesso e l’ambivalenza di non poche
di esse riguardo al ruolo che il maschio debba oggi ricoprire nella coppia e nella società,
sia la manifestazione dell’imponente desiderio delle donne d’oggi di abbandonare quella posizione
di subordine che dalla notte dei tempi vivono. É senz’altro vero il fatto che, nonostante millenni
siano trascorsi, ci portiamo tutti dietro il retaggio del tempo che fu, ed anche nella vita moderna
fa capolino l’uomo-cacciatore e la donna-angelo del focolare. Tuttavia, la storia della vita insegna che,
se è bene che alcune cose rimangano stabili punti di riferimento, altre è bene che cambino.
Da una parte quindi, è certo un bene che la “femminilità” e la “mascolinità” vengano difese:
le donne possono essere femminili anche quando ricoprono posizioni professionali sino a non molto
tempo fa tipicamente maschili; possono imparare a non aver paura di richiedere la “forza del maschio”
in situazioni in cui esse non possono intervenire.
E’ altrettanto necessario però, che gli uomini cambino. Un notevole contributo affinché questo accada
può essere dato dai genitori ed in particolare dalle mamme, che devono smettere di allevare
il figlio maschio come se fosse “più prezioso”. Il problema è che le donne sono state per così tanto
tempo in “seconda fila” che devono prima di tutto convincersi di poter conquistare anch’esse i primi
posti. Ed anche in questo libro pare che si respiri un po’ l’aria della seconda fila, per cui la donna
deve capire che l’uomo è un po’ chiuso, deve capire che egli si ammazza di lavoro per antichi retaggi
e pressioni sociali, e quindi nel tempo libero se desidera scaricarsi “giocando” è giusto assecondarlo.
Viene da chiedersi se, per esempio, l’uomo avverta il fatto che anche la donna, dopo aver lavorato
almeno otto ore fuori casa ed altre (almeno!) quattro o cinque dentro casa senta il sacrosanto bisogno
di rilassarsi con cose più o meno amene, e viene da chiedersi dove diavolo riesca a trovare il tempo.
Si può sperare di decretare come legittimo il diritto di chiedere all’uomo un’ora del suo tempo
dedicato al gioco affinché lo dedichi alla casa, così anche la propria compagna potrà rilassarsi un po’?
Il più delle volte citato bisogno di dipendenza delle donne, l’ambivalenza riguardo al desiderio
di avere un uomo che sia nello stesso tempo autonomo anche nella quotidianità e rispettoso
delle esigenze di autonomia della compagna senza sentirsi svilito, ma anche forte e soccorrevole,
sono l’espressione della transizione al femminile: la donna desidera esplorare nuovi lidi oltre la casa,
ma a livello emotivo ci vorrà più tempo perché si senta davvero in diritto di uscire dal focolare
domestico, occupato esclusivamente per milioni di anni.
Non sono pochi gli uomini che ancora oggi hanno piacere che la propria compagna “stia a casa”!
In realtà, il discorso potrebbe essere più semplice: siamo esseri umani, chi maschio e chi femmina.
Fisicamente abbiamo ognuno delle peculiarità che condizionano la nostra vita quotidiana e sociale;
abbiamo delle differenze anche a livello emotivo.
Ma abbiamo anche molte cose in comune, a partire dal bisogno di stima, amore, comprensione
e sostegno. Dobbiamo certo imparare che vi sono delle differenza nel vivere ed esprimere
questi bisogni, ma non c’è ragione di sopportare ancora oggi stipendi più bassi per le donne,
difficoltà nel gestire il sacrosanto diritto di esprimersi professionalmente oltre che come mogli e madri,
il doppio lavoro fuori e dentro casa, quest’ultimo assai scarsamente condiviso.
É possibile sperare in una ri distribuzione di incarichi, in una nuova espressione della mascolinità
e della femminilità senza sentirsi ridicoli o penalizzati.
Il 12° capitolo vuole offrire alle lettrici alcune regole per alimentare l’amore in una relazione.
É importante comprendere che quando un uomo ed una donna decidono di formare una coppia,
non si è al punto d’arrivo ma al punto di partenza.
É un giardino che va coltivato con attenzione ed un po’ di fatica, a prezzo di una serenità duratura.
Forse però, può essere utile ricordare alle lettrici un punto importante, che potrebbe discostarsi un po’
dai convincimenti espressi in questa sorta di linee-guida (per dirla con gli Autori) per il funzionamento
di un unione: la regola n° 2 titola “l’amore può assopirsi, ma non muore mai”: a volte, però, accade.
Si potrà forse obbiettare che non era vero amore: in senso assoluto forse può essere così,
ma all’atto pratico poteva essere amore vissuto ed espresso nell’unico modo che era
in quel momento possibile per entrambi i componenti della coppia.
Poi si cambia magari perché si cresce, ed allora cambia la prospettiva.
Di certo è imperativo che una coppia prenda il serio impegno di lavorare affinché il rapporto
sia duraturo, in grado di adattarsi ai cambiamenti, ma è altrettanto serio ed onesto arrendersi
se i cambiamenti sono superiori alle possibilità di riuscita, dopo aver tentato davvero il tutto per tutto.
É giusto comprendere che l’amore è fondamentale, ma non basta: l’amore è un mattone dopo l’altro,
ma il cemento che li unisce in una solida costruzione è fatto di stima, rispetto, tolleranza amicizia,
affinità, complicità. Pensare che l’amore risolva tutto è una prospettiva un po’ favolistica
ed adolescenziale. Forse, quando parlano di sentimento maturo, gli Autori intendono questo,
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ed allora è solo una questione di terminologia. É assolutamente condivisibile ciò che è espresso
nella regola n° 9, per la quale è necessario assumersi le proprie responsabilità anziché biasimare
continuamente il partner quando qualcosa non va.
É tuttavia necessario prendere atto anche delle mancanze del proprio compagno e riflettere
su entrambi; è chiaro comunque che è prioritario lavorare su se stessi.
Perché non si ha né il potere, né il diritto di cambiare il prossimo.
Anche il perdono quindi, su cui gli autori riflettono nella regola n° 11, assume la sua peculiarità.
Si può ancora aggiungere che, imparando a valutare serenamente, si può arrivare a volte a scegliere
di non perdonare; se ciò avviene dopo aver soppesato tutto, la fine di una storia può trasformarsi
in un inizio di vita diversa, più adulta ed equilibrata, sicuramente ricca di nuove occasioni.
TEST DA COMPILARE.
Questa appendice al libro è stata concepita dagli Autori con il fine di offrire alle lettrici un concreto
strumento di auto-valutazione nell’ambito delle relazioni affettive.
Dal capitolo 2 al capitolo 11 un esercizio per ogni capitolo, caratterizzato da una serie di domande
cui rispondere “vero” o “falso”, assegnare un punteggio ad ogni risposta e quindi calcolare il totale
cui corrisponderà l’interpretazione della prova. Sono test chiari e semplici, composti da domande
non troppo prolisse e tuttavia esaustive, che abbracciano ogni aspetto dei problemi di relazione
con gli uomini. In questi test, così come essi sono concepiti ed in relazione allo stile
delle domande formulate, si percepisce forse in maniera più netta il rispetto per il mondo femminile
e per il desiderio di autonomia delle donne.
Le lettrici possono decidere di rispondere direttamente sul testo contrassegnando la risposta;
per qualcuna può essere utile riscrivere le domande su un quaderno, come per evidenziare
ulteriormente i nodi da sciogliere e rafforzare i risultati ottenuti.
Può anche essere utile ripetere i test a distanza di tempo, confrontando le nuove risposte
e cogliendo le differenze rispetto al passato. Sebbene la maggior parte dei test sia rivolta al presente,
si colgono le escursioni nel passato riguardo sé stesse e la famiglia d’origine.
È assolutamente inevitabile il ritorno al passato, che denota ciò che siamo nell’oggi.
D’altronde, il lavoro di comprensione delle dinamiche sentimentali è inserito nel più ampio lavoro
proposto dal nostro sito, dove ci auguriamo che chiunque voglia avvicinarsi, si senta accolto
e preso per mano in questo cammino certo difficile e periglioso, ma con lo scopo di conquistare
il sentirsi in diritto (com’è giusto per tutti) di avere una vita con la giusta dose di serenità e di gioia.
Una vita non certo immune da problemi, ma finalmente vissuta senza troppa paura.
Dunque buon lavoro a tutti!
Capitolo 1. Perché l’amore sembra così sfuggente.
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Quali di queste domande e/o di queste affermazioni ricorrono più spesso nei nostri pensieri?
(Stampare e barrare con una X).
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L’amore è troppo complicato.
L’amore svanisce facilmente.
Perché le coppie si dividono?
Qual è la vera differenza tra le coppie che funzionano e quelle che “scoppiano”?
Gli uomini sono eterni bambini.
Le donne in realtà vogliono sempre appoggiarsi all’uomo.
Le donne cercano nella coppia un legame forte, solido, esclusivo.
Gli uomini, nella coppia, vogliono mantenere la loro libertà.
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Qui non è importante il punteggio, ma è importante riflettere sulle affermazioni scelte per iniziare
a comprendere come “la pensiamo” sull’amore e sul rapporto di coppia:
• Irriducibili pessimiste?
• Eterne adolescenti che sognano l’uomo forte?
• Finalmente decise a comprendere i misteriosi meccanismi dell’amore?
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259
Imparare l’amore, modificarne il percorso di maturazione, come dicono gli Autori, è possibile.
L’operazione incomincia con una revisione del pensiero attuale che è testimone delle esperienze fatte.
Stampa e barra con una X le affermazioni che senti più conformi al tuo pensiero attuale.
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I miei problemi sentimentali dipendono in realtà da me,
perché sono io a scegliere il partner e quindi il mio rapporto.
I problemi della mia infanzia hanno influenzato la mia personalità
in crescita e quindi anche le scelte in amore.
Le esperienze dell’adolescenza hanno condizionato le mie scelte in amore.
La mia sete d’amore non mi permette di valutare attentamente
i primi incontri e di cogliere importanti segni.
Dopo un solo incontro penso di aver trovato il partner per la vita.
In ogni nuovo rapporto si ripresentano puntualmente gli stessi problemi.
Non posso cambiare, dei due non sono io che devo cambiare.
Vivrò sempre in solitudine.
Il rapporto di coppia è troppo impegnativo e complicato per me.
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Anche qui non è importante il punteggio ma la riflessione. Ora il “fuoco” è spostato su noi stesse,
sull’intreccio tra il nostro presente ed il nostro passato.
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Capitolo 2. Donne che inconsciamente temono l’intimità.
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(Stampare e rispondere V = vero oppure F = falso).
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Riesco a relazionarmi con un uomo solo quando si trova in uno stato di bisogno.
Innalzo spesso barriere difensive con un uomo, perché temo di non piacergli.
Nutro dei dubbi sia sull’uomo che mostra la sua emotività, sia su quello sicuro di sé.
Vivo l’ambivalenza del bisogno di un compagno fidato e della poca stima che ho per gli uomini.
Temo il primo appuntamento, e ne temo il momento del congedo.
Non so quando e quanto svelare di me ai primi appuntamenti.
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Maggioranza di V: sono presenti barriere, testimoni della difficoltà a tollerare l’intimità della relazione.
Ammetterlo è il primo, necessario passo del cammino di conoscenza di sé; forse questo problema
affonda le radici in un passato più lontano: hai appena deciso di affrontarlo!
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Capitolo 3. Quando le aspettative innocenti diventano pericolose.
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(Stampare e rispondere V = vero oppure F = falso).
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Desidero un uomo romantico, deciso e colto.
Voglio l’autonomia economica, ma pretendo anche che il mio uomo
sia in grado di sostenermi economicamente.
Voglio un uomo che sappia stare con gli amici.
Posso tollerare di non avere tutto in comune con il mio uomo,
ma i capisaldi dell’esistenza devono essere condivisi.
Il mio uomo deve saper gestire le faccende di casa.
É nella natura degli uomini prendere in giro le donne.
Accetto spazi individuali di libertà.
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Se hai risposto V alle affermazioni 3, 4, 5, 7, hai un buon senso della tua identità;
rispondere V alle affermazioni 1, 2, 6, testimonia un certo grado di aspettative un po’ fiabesche
di dipendenza da un sostituto paterno, “condito” da quel tocco di pessimismo e di innata pazienza
che, secondo te, le donne devono avere per “sopportare i capricci” dell’altra metà del cielo.
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Capitolo 4. Donne che segretamente provano disprezzo per gli uomini.
Capitolo 5. Come si ritorce il bisogno di dominio.
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(Stampare e rispondere V = vero oppure F = falso).
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Non stimo gli uomini e sono arrabbiata con loro.
Gli uomini sono eterni bambini; dopo il lavoro conta solo il divertimento.
Nel mio rapporto di coppia il dare-avere è ben equilibrato.
Temo il rapporto di coppia: ho più bisogno di un padre che di un compagno.
Temo di ricadere nella necessità di compiacere per paura di perdere l’amore.
Vorrei vivere un sesso gioioso.
Dal mio uomo voglio molte, moltissime coccole.
Voglio rispetto dal mio compagno.
Temo l’infedeltà maschile.
Controllo ogni aspetto della vita e del quotidiano del mio uomo. Sono gelosa e possessiva.
Accetto le critiche da un uomo senza problemi.
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La maggioranza di V, attribuite in modo particolare alle affermazioni 1,2,4,5,7,9,10,
esprime l’ambivalenza emotiva che hai rispetto al rapporto di coppia: difficoltà nel pensare
all’uomo come ad un essere maturo ed autonomo, alternata ad un bisogno quasi filiale
della sua presenza nella tua vita. Vivere quest’ambivalenza può essere fonte di frustrazione
e di rabbia: è il tentativo “infantile” di liberarsi da essa; ma il cammino di crescita che hai deciso
di intraprendere ti consentirà di appropriarti di strumenti più efficaci.
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Capitolo 6. Donne che donano troppo liberamente.
Capitolo 7. Il cammino verso l’impegno.
Capitolo 8. Rinunciare al principe e trovare l’uomo.
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Test sull’esame di realtà: quanto mi concedo ad un uomo? Quanto desidero, in realtà,
essere l’ombra del Principe Azzurro? (Stampare e rispondere V = vero oppure F = falso).
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Mi adopero moltissimo perché la relazione sia perfetta.
Il compito di una donna è esclusivamente quello di prendersi cura del proprio uomo.
Ho un costante bisogno di essere rassicurata dal mio uomo sul sentimento
che lui prova per me. Lo sottopongo a continue verifiche.
Non ho davvero avuto un buon padre.
Mi innamoro subito ed intensamente.
É prudente dar sempre ragione al proprio uomo.
La mia vita è plasmata sui ritmi ed i bisogni del mio uomo.
Il mio uomo è semplicemente perfetto; non ha difetti, ma una forte personalità;
gli altri non capiscono.
Gli amici del mio uomo sono i miei amici.
Se un uomo mi ferisce, sono spietata.
I miei migliori amici sono uomini; sono la sorella con cui confidarsi.
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Maggioranza di V: è fondamentale per te compiacere il tuo compagno,
espressione vivente dell’universo maschile.
Maggioranza di F: il tuo uomo non è l’ossigeno senza il quale rischi la vita,
ma è il vostro compagno di strada.
Ricorda:
stai facendo un esame di realtà: le F devono corrispondere a come sei, non a come vorresti essere!
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Capitolo 9. Aver fiducia nell’amore maschile per la donna forte.
Capitolo 10. Suscitare la passione e il desiderio.
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(Stampare e rispondere V = vero oppure F = falso).
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Devo dominare la relazione.
Conosco gli uomini e so come “ammaestrarli”.
Mi abbandono volentieri alle cure del mio uomo.
Nella fase di conquista recito spesso il ruolo della “svampita”.
Non voglio pensare alla carriera, voglio essere l’“angelo del focolare” a tempo pieno.
Lascio che il mio uomo controlli la mia vita.
Penso di avere un ottimo senso dell’umorismo.
Sono capace di grandi momenti di tristezza.
Non sono una persona insicura.
Vivo il sesso con gioiosa normalità.
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Se hai risposto V per le affermazioni 3,4,5,6,8, vuoi un compagno che sia anche un po’ un padre.
É il momento di rivedere la tua storia, per sentirti in diritto di camminare con le tue gambe!
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Capitolo 11. Approfondire l’amore attraverso l’amicizia.
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(Stampare e rispondere V = vero oppure F = falso).
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Fatico ad essere amica di un uomo.
Penso che in un rapporto di coppia debba esserci anche dell’amicizia.
Non credo che l’uomo possa volere solo amicizia da una donna.
Non ho nessuna difficoltà a prendere l’iniziativa quando desidero conoscere
un uomo che mi interessa.
Bisogna essere dure con gli uomini.
L’amicizia fra uomini e donne è rara ma positiva.
Breve questionario orientativo.
• Credo nell’amicizia uomo/donna.
• Non credo che questo rapporto sia possibile.
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262
MAPPA PER UNA ODISSEA PERSONALE.
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Il lettore dovrà ora partire per un lungo viaggio. Il fatto che il suo peregrinare sia attraverso
le terre della sua anima, non renderà il suo andare tanto più breve di quello del mitico Odisseo.
Come Ulisse, egli dovrà partire dalla propria Itaca personale e - dopo un lungo e spesso difficile
cammino - ritornare là donde è partito. Potrà tornare a sé e prendere infine possesso di se stesso
e delle proprie ricchezze solo se sarà andato lontano, a combattere una guerra
(contro nemici esterni o soprattutto interiori?) a cui lo obbliga il dovere del suo stato.
Nel ritornare alla sua origine dovrà vagare nel mondo esplorandone aspetti nascosti.
Il lettore scoprirà che uno dei territori che è più penoso percorrere ed oltrepassare è quello del senso
di incapacità e di colpa dinanzi ad un ostacolo particolare.
È quello che ci si erge dinanzi quando cerchiamo di opporci a qualcuno che ci ha schiacciati e dominati
approfittando scorrettamente della sua posizione di superiorità e della nostra debolezza.
Ciò accade sia che si tratti della difficoltà nel contrastare le violenze quotidiane di un partner
prepotente nella nostra vita di oggi, sia che si riferisca alla paralisi che ci svuota la mente all’idea
di valutare nel passato il comportamento dei genitori verso di noi, esprimendo nei loro confronti
un preciso giudizio critico. Ma, per quanto sia faticoso e doloroso percorrere questo sentiero,
egli dovrà farlo. Oppure non riuscirà a raggiungere la meta del pensare e vivere in maniera autonoma
e libera da blocchi e paure. Per aiutarlo a sentire il diritto di giudicare il proprio partner oppure i propri
genitori in ciò che hanno sbagliato nei suoi confronti e nel male che gli hanno fatto,
il sito mette a disposizione del lettore una ricca serie di spunti filosofici sul problema del male.
Essi riportano il pensiero di filosofi che hanno (in un arco di tempo di quasi duemila anni)
sviluppato profonde riflessioni sull’essenza del male e sul comportamento dell’uomo malvagio.
Questo materiale, molto esteso, sarà presentato in una serie di capitoli, di sezioni staccate.
Prima di ogni sezione al lettore sarà presentato un piccolo questionario, una semplice nota,
dove gli sarà posta una domanda, alla quale sarà utile per lui fornire una risposta.
Essa gli permetterà infatti di valutare alcuni aspetti estremamente importanti per la definizione
del livello delle sue energie emotive interiori.
Questa valutazione si articola in 3 punti:
1. In base alle sue sole forze emotive, quanto si sente in colpa all’idea di criticare
gli errori del partner o dei genitori.
2. Quale e quanto supporto riceve dall’aiuto esterno rappresentato da una idea differente circa
la posizione che è possibile prendere di fronte alle azioni compiute realmente da un malvagio.
3. Quale maturazione il tempo ed il ripetersi di tali aiuti esterni gli hanno permesso di raggiungere
in termini di senso di dignità personale, di percezione dei propri diritti umani e di capacità
di esercitarli. E, quindi, della possibilità di sciogliere l’antico senso di colpa paralizzante.
L’ALTRUISTA
Bisognoso d’attenzione
non risparmia se stesso
Nel darsi agli altri,
soltanto per ricevere
in misura maggiore
di quel che dona.
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Poesia di 29.
263
IL PROBLEMA DEL MALE
NELLA PROSPETTIVA DELL’AUTO-AIUTO PSICOLOGICO.
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L’esistenza del male è una realtà con la quale ci si deve scontrare inevitabilmente in psicoterapia.
Se un essere umano soffre è per lo più perché qualcuno gli ha fatto del male, ora o in passato.
Quando si spinge a fondo nella nebbia infantile l’indagine per individuare le radici della sofferenza
di tutta una vita, non vi è paziente che non ponga allo psicoterapeuta una domanda che rivolge
prima ancora a se stesso:
“Ma perché i miei genitori non mi hanno amato come io avevo bisogno di essere amato?
Perché mi hanno trascurato e spesso trattato male? Io ero soltanto un bambino piccolo,
non potevo fare nulla di grave. Perché mi hanno fatto del male? Mi odiavano forse?
Non riesco a crederlo, il solo pensarlo mi uccide...”
Lo psicoterapeuta affianca il paziente nella faticosa ricerca dentro di sé della strada per arrivare
a questa risposta così drammaticamente vitale. Non sa certo dirgli perché i suoi genitori
non l’hanno amato. Se è capace e la sorte lo aiuta, riesce a condurre il paziente ad individuare
il proprio modo con cui dare personalmente un senso e fronteggiare il male che dai genitori
gli è venuto. Ma la domanda resta:
“Perché è esploso questo lampo violento, distruttivo di male?
Perché è esistito e che natura ha questo nero qualcosa che in tutti suscita orrore
e che nessuno vorrebbe che esistesse, ma tuttavia esiste?”
Per cercare in parte di rispondere a questa domanda sono state stese le intrecciate e sfumate
argomentazioni di questa sezione.
Ma incominciamo dall’origine storica. In quali circostanze è stata scritta questa sezione?
Anni fa accadde un fatto storico che colpì profondamente QUATTRO, per ragioni che allora non
comprese bene. Stava studiando il problema della natura profonda delle ragioni per le quali genitori
disturbati trattano male i loro figli. Lo scopo ultimo era cercare una spiegazione del perché in una
coppia l’individuo più prepotentemente patologico tratta male il suo partner facendone una vittima,
che però rimane sotto il dominio del persecutore con il quale, in apparenza, in definitiva sembra
consenziente. Il fatto storico (con le sue implicazioni giuridiche ed etiche) della fase finale
(agosto 1996) del processo ad Erich Priebke suscitò in QUATTRO tali reazioni emotive da costringerlo
a stendere, per una chiarificazione personale, questa sequenza di piccoli pezzi, sotto l’ispirazione
di una serie di articoli che sui quotidiani italiani uscivano ogni giorno a commento
delle udienze del processo. I singoli pezzi sono stati lasciati volutamente come sono stati pensati,
forse alla fine un po’ slegati tra loro anche se tutti ispirati ad uno stesso pensiero.
La domanda infatti era:
È stata trovata “un’anima psicologica” nella dichiarazione dei diritti dell’uomo e del bambino
e persino nei principi del diritto internazionale.
Si può allargare il campo di questa ricerca? Un editorialista, un commentatore politico valuta
fatti storici di oggi esprimendo nel suo pensiero una ideologica che mira a sollevarsi sopra la cronaca
per cogliere dai fatti di costume spunti che illuminino una umanità generale.
È possibile applicare questi concetti al microcosmo quotidiano dell’atmosfera casalinga
di una qualsiasi famiglia?
Nei vari pezzi (scritti ognuno separatamente dagli altri) QUATTRO ha cercato di individuare
questa analogia, collegante un episodio di male sociale a possibili situazioni di ingiustizie e malvagità
familiare. Il filo rosso che in profondità è risultato collegare tutte le cose è stata ancora una volta
la semplicità del concetto di unicità di ogni manifestazione vitale. La psicoterapia può ricavare spunti
da ogni fatto della vita quotidiana e la vita, in ogni suo atto e momento, può essere illuminata
ed elevata dalla limpidezza di questo impegno psicologico. Un processo circolare di stimolazione
alla crescita verso un’umanità capace di comportamenti più elevati, generosi e nobili.
È ben chiaro a QUATTRO che tutti i pezzi sono impregnati di una forte partecipazione emotiva
264
in difesa delle vittime infantili. Ma, andando con il pensiero alle perorazioni in difesa dell’infanzia
uscite dalla penna di un’autrice come Alice Miller, QUATTRO ha deciso di non attenuare
in nulla il tono originario. A precisazione potenzialmente utile per chi non fosse al corrente
del fatto storico, si riferisce soltanto che il processo ad Erich Priebke nel 1996 a Roma si svolse
per l’imputazione circa la strage delle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944): 330 civili furono uccisi
(dietro l’ordine diretto dell’allora Capitano delle SS Erich Priebke) in rappresaglia per il precedente
attentato di via Rastella, a Roma, in cui avevano perso la vita 33 soldati tedeschi
(altri 5 civili vennero uccisi perché non si potevano lasciare vivi testimoni oculari della strage).
VITTIME SOTTO ACCUSA.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Non accade in molti luoghi che il carnefice si presenti come vittima. Né che colui il quale ha subito torti
e violenze passi poi per persona di animo cattivo se dentro il suo cuore alberga un ricordo rancoroso
del passato. Nelle famiglie, nelle comuni famiglie che vivono dovunque in una qualsiasi città,
tuttavia spesso si verifica questa inversione perversa delle parti. Nonostante l’affermato progresso
dell’umanità, tra le mura di una casa qualsiasi, dove vive una famiglia qualunque, vi sono forti
probabilità che sia permesso ciò che altrove sarebbe esecrato, cioè schiacciare il soggetto più debole.
Ci sono gravi rischi che sia considerato (o comunque affermato) come un sacro dovere
di educazione limitare senza vergogna, senza freni, la libertà di un altro essere umano.
Sembra il trionfo del male, la beffa dell’impudicizia che irride anche alla verità dopo averla schiacciata.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
• Non distinguere più il male dal bene, e reprimere la libertà di un altro essere umano,
forma particolare del valore sacro di ogni individualità.

E chiamare questo educazione imposta per il bene della vittima,
onde raddrizzarne la natura altrimenti distorta, pur essendo quella di un bambino.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
• Essere ormai radicalmente deviati nella propria percezione del male, rappresentato
dal dominio sugli altri, dal totalitarismo di opinione, dalla autocrazia tronfia di sé.

E chiamare questo presentazione di valori sani della tradizione.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
• Essere compiaciuti delle proprie certezze (non motivate oltre che banali e ripetitive) ed aver
dimenticato (o ignorare?) il consiglio di San Tommaso d’Acquino: “Illuminati con i tuoi dubbi”.

E chiamare questo trasmettere ai figli il patrimonio delle verità apprese
lungo tutta la propria vita di genitori.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
• Essere moralmente relativisti e considerare con annoiata sufficienza come capricci
o sciocchezze infantili i legittimi desideri di altre individualità nascenti.

E giustificare questo nichilismo morale con la facile auto-assoluzione
che tutti i bambini hanno dovuto obbedire.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
• Mantenere colpevolmente la propria incapacità di dire no a qualsiasi forma di imposizione
e violenza dovunque essa si manifesti.

E giustificare questa miope pigrizia, che lascia vivere solo nell’abiezione
del presente, come realismo.
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265
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
• Non coltivare alcun interesse per il passato (proprio o altrui) ignorando non solo che il sopruso
passato è padre del dolore presente, ma anche che il dolore e la rabbia di oggi daranno vita
inevitabilmente al male di domani, con una progressione a reazione nucleare sempre più malvagia
e mortale, oltre che incontrollabile.

E giustificare i propri errori educativi con la scusa della buona intenzione e la falsa
legittimazione del volere il bene dei figli, non riuscendo a legare in un unico pensiero
la coesistenza delle due realtà: l’abuso prepotente e coercitivo di autorità resta tale
accanto alle parole (od anche a gesti) provenienti dall’amore viscerale.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Queste sono le grandi linee concettuali di sviluppo “dell’educazione” che in troppe famiglie gli adulti
impartiscono (e se ne vantano) ai figli inermi in quanto bambini. Ora, qualcuno può dire una ragione
qualsiasi per la quale genitori che hanno commesso abusi simili dovrebbero essere graziati ad opera
di una dimenticanza della realtà storica di tali fatti da parte dei figli che con ciò condannerebbero
se stessi per assolvere adulti che non si sono pentiti e non hanno rimediato al male compiuto?
Questo pezzo è stato ispirato dall’articolo:
“Revisionismo all’italiana. Sotto accusa le vittime di Priebke”
di Barbara Spinelli, pubblicato sul quotidiano LA STAMPA, Torino 8 agosto 1996.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
PERCHÉ BISOGNA INDIGNARSI E NON DIMENTICARE.
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Restare indifferenti dinanzi alle violenze che i genitori hanno fatto ai loro figli bambini è un’ingiustizia
grave. Non si può lasciare cadere nel nulla simili crimini che feriscono l’umanità intera nella persona
di un singolo essere umano. I crimini contro l’umanità non si prescrivono. E su di essi bisogna prendere
posizione. Ma questo obbligatorio intervento non è un fatto che possa avvenire solo entro l’intimo
dello spettatore, non è una questione di coscienza interiore. Non basta condannare dentro di sé tali
errori, tali maltrattamenti e invece all’esterno lasciare che prendano piede posizioni o parole di scusa,
di assoluzione. Lasciare cadere nel nulla della disattenzione, della dimenticanza ciò che di male
i genitori hanno fatto ai loro figli bambini è commettere una connivente colpa, perché questo gesto:
• Abbassa il livello della cultura sociale generale: la società finora non ci ha certo educati a fondo
all’impegno rigoroso nel lavoro sulle memorie storiche della nostra infanzia.
E non è il caso di incoraggiare tale incuria culturale.
• Avvalla una ipocrita comune morale sociale: laddove il genitore persecutore ed il figlio vittima
sono posti sullo stesso piano, poca simpatia riscuote la protesta del figlio che viene accusato
di chiedere giustizia unilateralmente.
• Fornisce indebito sostegno ad una scadente ideologia relativistica che ha paura di misurarsi
con verità assolute e quindi chiude gli occhi dinanzi a mali assoluti.
Ognuno di noi può, nel suo piccolo, far rivivere la fiamma di indignazione che spingeva gli antichi
profeti a sferzare i cattivi potenti del loro tempo. Ognuno può farlo, se osa non preferire momentanei
sfoghi di umori sentimentali emessi dopo che i misfatti sono stati ancora una volta compiuti
e sceglie invece l’impegno di prevenirli con lucidità di mente e rigore di interventi.
Questo pezzo è stato ispirato dall’articolo:
“Sentenza contro la storia”
di Barbara Spinelli, pubblicato sul quotidiano LA STAMPA, Torino 2 agosto 1996.
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INUTILI ED ERRATI CONSIGLI BENE INTENZIONATI.
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Di fronte all’assillante e continuo tormentarsi alla ricerca di un riesame del suo passato che consenta
ad una persona sofferente di trovare infine una pace interiore, molti ben intenzionati, ma superficiali
amici di questa persona sofferente per traumi subiti nell’infanzia, tendono ad assumere
una tra le diverse posizioni tipiche di una gamma di non richiesti ed errati consigli, come:
• Quello che è stato è stato. La storia (anche dei singoli) ha fatto il suo corso e non torna indietro.
• Perché non lasciare cadere il ricordo di episodi avvenuti tanto tempo fa?
• Perché continuare a tormentarsi dando oggi rilievo a fatti che non possono più avere
l’importanza che hanno avuto nel passato?
• Il tempo fa dimenticare i dolori del passato. Perché non sperare che nella realtà quotidiana
le cose accadute nel passato pian piano giungano ad occupare uno spazio sempre più piccolo
fino a divenire insignificanti?
• Perché rovinarsi oggi la serenità continuando a tenere viva dentro il proprio cuore
questa memoria dell’offesa?
Questo pezzo è stato ispirato dall’articolo:
“Lobby ebraica, storici divisi”
di Alberto Papuzzi, pubblicato sul quotidiano LA STAMPA, Torino 10 agosto 1996.
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TRASMUTAZIONE DI ALMENO DUE VALORI.
(Il concetto di famiglia si può discutere.
All’impegno personale di testimonianza non ci si deve sottrarre).
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Si sente, da molte parti, dire spesso: “Il concetto di famiglia non si discute: all’interno della struttura
della famiglia non si può demolire implacabilmente l’autorità dei genitori sui figli, non si può negare
il rispetto a cui i genitori hanno diritto. Dalla naturale insofferenza dei figli alla disciplina,
dalla loro fisiologica ribellione, deriva inevitabilmente una carica di emozione.
Ora, questa emozione non può prevalere sui giudizi che i genitori formulano.
Tanto più che questi giudizi sono difficili da emanare, soprattutto in circostanze di contrasto con i figli,
nelle quali i genitori debbano giudicare quale linea educativa sia bene tenere a riguardo dei figli.
L’educazione che i genitori forniscono ai figli ha un che di sacrale.
E in questa sacralità c’è di per sé una sorta di garanzia di verità. È come una religione
che ha i suoi riti, i suoi sacerdoti, e non ammette nessun altro officiante.
Ogni famiglia è un luogo che comunque impone un certo distacco. E tutti questi aspetti insieme
riescono a dare contenuto di validità al processo di educazione familiare”.
Ciò è senz’altro vero in teoria. Ma la realtà umana è spesso molto diversa.
Perciò, chi avrebbe voluto gridare all’infamia ma non ha potuto parlare o essere ascoltato,
chi si è sentito bambino offeso nella sua dignità umana e ne ha sofferto poi per tutta la sua vita
nel profondo del suo essere, non può tacere sul suo dramma e sugli attori che vi hanno preso parte.
Se ha trovato la forza per guardare dentro le sue sofferenze, non tacerà.
Proprio per il fatto che è riuscito a chiamare in causa se stesso, costringendosi con fatica
spesso sovrumana ad andare oltre il proprio dolore, avrà la forza di mettere in discussione
il concetto di famiglia e chiamare in causa i suoi genitori.
Si può essere quasi sicuri che un uomo così temprato dalle sue sofferenze troverà anche
(senza odio né rancore, ma con semplice fermezza) il coraggio di parlare di coloro che gli hanno
causato queste sofferenze. Si può essere certi che oserà squarciare il velo che protegge
il luogo di culto da tempo non più sacro nel quale sono rimasti così a lungo indisturbati
gli idoli di pietra che furono i suoi genitori. Nietzsche parlava della trasmutazione di tutti i valori.
Più modestamente, chi cerca nella sua storia la verità del proprio esistere come uomo dovrà essere
alchimista sufficientemente capace per produrre la trasmutazione di almeno due valori:
• Rizzarsi in piedi e guardare in volto i suoi genitori, da pari a pari.
• Avere il coraggio di esprimere loro il suo pensiero e darne testimonianza al mondo.
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Forse non è una trasformazione totale, ma per sentirsi uomo può bastare.
Ogni individuo che voglia penetrare nella profondità della propria coscienza di essere umano deve,
lungo il corso del processo di conoscenza di se stesso, realizzare una sorta di trasformazione
interiore nel punto di vista da cui osserva la sua storia personale.
Ognuno parte sempre inevitabilmente da un insieme di fatti personali, da sofferenze sue proprie,
da sue esclusive ribellioni contro i suoi genitori.
Tuttavia la storia di una singola infanzia vilipesa e maltrattata non può, alla fine, che essere
riconosciuta come un esempio di storia dell’infanzia in sé, nella quale mille uomini si possono ritrovare.
E allora la propria ricerca personale diventa come un momento rituale di una sorta di religione umana.
A questo punto è inevitabile e necessario che ognuno di noi, nell’affrontare le proprie personali
sofferenze, diventi pian piano cosciente di dare il suo piccolo contributo al prezzo che l’umanità intera
paga per il proprio riscatto da consensi colpevoli all’ingiustizia.
Questo sentimento di trasformazione psicologica espiativi dà, ad ogni singola ricerca della propria
individualità, un carattere più che simbolico, quasi sacrale, di religione dell’umanità, appunto.
Questo pezzo è stato ispirato dall’articolo:
“Ma le Fosse Ardeatine non sono Auschwitz”
di Gian Enrico Rusconi, pubblicato sul quotidiano LA STAMPA, Torino 6 agosto 1996.
E dall’articolo:
“Ma l’assedio al Tribunale divide esperti e storici”
di Brunella Giovara, pubblicato sul quotidiano LA STAMPA, Torino 6 agosto 1996.
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TRA BENE E MALE:
UN MOMENTO DI PASSAGGIO, UNA LINEA DI CONFINE.
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Chi fa appello al concetto di autorità come valido di per se stesso, in realtà spacca la famiglia in due
parti e contrappone due fronti. Da un lato vi sono i genitori, che ricevono dall’alto la garanzia di essere
nel giusto a motivo dell’autorevolezza derivante dall’essere genitori, quindi con il diritto di ricevere
obbedienza. Dall’altro vi sono i figli, con il dovere dell’obbedienza e senza nessun diritto istituzionale
ad un esistenza che sia, pur entro certi limiti, paritetica, e comunque sempre rispettata.
Ma vi sono diversi gradi di autorevolezza nell’esercitare l’autorità. Sicuramente al grado più basso
stanno quei genitori che non pensano di dover essere al servizio dei figli nell’esecuzione del proprio
dovere personale di formarli con una educazione che li faccia liberi, sicuri e forti membri del consesso
umano. Genitori simili, da soli ed a motivo del loro comportamento, separano se stessi dalla gerarchia
di valori della famiglia, disgiungono le proprie figure dalla istituzione che dovrebbero rappresentare
e che - da sola - li legittima ad essere dai figli considerati più autorevoli e più significativi di tutti gli altri
esseri umani. Il loro potere educativo, e quindi la loro credibilità in termini di autorevolezza,
deriva soltanto dall’adesione precisa alle responsabilità del ruolo di educatori al servizio dei figli.
Tale potere, tale credibilità, tale autorevolezza si mantengono intatti solo fino a quando i genitori
dedicano la loro vita all’impegno di rispondere ai bisogni emozionali e vitali dei figli.
Nel momento stesso in cui i genitori scelgono di imporre il loro dominio su individui più deboli,
inermi, indifesi e quindi per definizione sottomessi e privi di un autentico ed efficace diritto
di contrapposizione paritetica, in quello stesso momento cessano di essere genitori maestri di vita
(cioè soggetti che generano all’umanità altri individui). Cessano di essere legittimati dalla posizione
e dal ruolo di formatori, di educatori, ruolo che sostanzialmente non stanno più svolgendo.
Da quel momento incomincia la loro responsabilità morale per il proprio comportamento dominante
o impositivo. In base a tale comportamento essi vengono giudicati. Non vi è altra possibilità affinché
si mantengano l’ordine della ragione e l’umanità degli affetti nella società. E, in un rovesciamento
tragico ma inevitabile delle parti, gli unici giudici legittimati a giudicare i genitori sono i figli.
Solo essi, infatti, possono sapere quali sono stati realmente gli atti compiuti dai genitori.
Né le intenzioni nascoste ma non realizzate, né i pensieri celati al di sotto delle azioni hanno rilevanza,
perché ogni giudice giudica soltanto le azioni compiute dall’imputato. In realtà i genitori possono
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contare su un giudizio equanime da parte dei figli e questo anche se il compito di giudice sarà sempre
non solo doloroso e mai ambito dai figli, ma spesso estremamente arduo da svolgere.
Infatti, perché la verità emerga alla fine, è necessario per lo più che il giudice vada a cercarne le prove
nei luoghi più oscuri e segreti del proprio cuore, che frughi con tenacia negli anfratti più nascosti
della sua stessa memoria, che colleghi segni e fatti che per tutti gli altri sono privi di valore indicativo,
fino a trasformarli in testimonianza schiacciante nel loro significato. Peccato che per svolgere questa
indagine preliminare (l’unica che potrà alla fine conquistargli i diritti di un essere umano paritario
con gli altri nella società in cui vive) debba lacerare il suo stesso cuore per cercare i frammenti
della verità in mezzo ai brandelli delle sue speranze ed illusioni di bambino.
Ecco perché i genitori devono essere processati e, se trovati colpevoli, devono essere condannati.
La loro colpa è stata cedere alla tentazione di annullare i diritti del bambino. In prospettiva futura tale
annullamento comporterà il seminare il lui germi di sofferenza la quale, nell’inevitabile esito in nevrosi,
causerà dolore e sofferenza non solo in lui, ma anche attorno a lui, con una maledizione auto
fertilizzante che si ripeterà all’infinito. Dinanzi a questa tentazione di annullare i diritti del bambino,
i genitori devono e possono rifiutarsi di seguire la propria natura e gli impulsi incontrollabili che ne
derivano. Devono e possono ribellarsi essi stessi alla educazione ricevuta nella propria infanzia
e che non merita obbedienza. Se un uomo colpevole riconosciuto (il Generale Keitel) prima di essere
impiccato dopo il processo subito a Norimberga nel 1946 è giunto a scoprire, sia pure all’ultimo
istante, una sua nuova visione dei rapporti umani, (disse: “La tragedia della mia vita consiste
nell’aver compreso troppo tardi che l’obbedienza ha dei limiti”)* allora ci può essere ancora
speranza per l’umanità futura.
Questo pezzo è stato ispirato dall’articolo:
“Premiata l’obbedienza. L’errore della corte militare”
di Ferdinando Camon, pubblicato sul quotidiano LA STAMPA, Torino 3 agosto 1996.
(*) La citazione è presa dall’articolo:
“Un processo lacunoso e ottuso”
di Alessandro Galante Garrone, pubblicato sul quotidiano LA STAMPA, Torino 3 agosto 1996.
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IL TEMPO DELLA GIUSTIZIA E DELLA VERITA’.
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Nessun figlio ha in realtà sete di vendetta nei confronti dei suoi genitori.
Non vuole certo vedere scorrere il loro sangue. Ma la ricerca della verità nella propria storia infantile
deve essere logica e giusta, non vendicativa ma nemmeno emozionalmente debole, nel senso
di un sentimentalismo che perdona ogni cosa passata, per il solo fatto che è trascorsa o seguendo
speciose giustificazioni di buone intenzioni. Il tempo della giustizia e della verità non consente
la clemenza. Una cosa diversa è la pietà, la quale deve tuttavia venire dopo la condanna,
e ben può comportare una tolleranza umana verso i genitori magari divenuti nel frattempo deboli
perché invecchiati. Ci si può quindi riconciliare con i genitori, non perdonarli.
Tuttavia dobbiamo trasmettere la memoria della realtà passata, dobbiamo anche mettere sull’avviso
i nostri figli e tutte le nuove generazioni. Ciò che è accaduto ad ognuno di noi nella sua infanzia,
può ripetersi in altri luoghi, può ancora accadere in altri tempi. C’è un filo rosso che collega ogni
maltrattamento inferto a chiunque non può difendersi. La tragedia di un bambino maltrattato
riguarda tutta l’umanità, giacché non sono prevedibili le ripercussioni future sull’intera umanità
delle sofferenze inferte a quel singolo bambino. Dovremmo aver imparato abbastanza
sulla dura storia personale infantile di Hitler, Stalin, Ceausescu, tanto da essere sicuri di questa verità.
Questo pezzo è stato ispirato dall’articolo:
“Niente vendette, ma una sentenza giusta”
siglato [r. cri.], pubblicato sul quotidiano LA STAMPA, Torino 20 luglio 1996.
E dall’articolo:
“Tullia Zevi: conta da che parte si sta, non la religione”
di Gabriele Beccaria, pubblicato sul quotidiano LA STAMPA, Torino 8 agosto 1996.
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GIUDIZIO? PERDONO?
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I genitori vanno compresi e poi perdonati, o vanno giudicati e, se è il caso, condannati?
Indubbiamente bisogna comprendere il comportamento dei genitori.
E per comprenderlo bisogna prima descriverlo, poi analizzarlo.
Ma comprendere i genitori non vuol dire assolverli.
Anzi significa cogliere interamente il senso e la responsabilità loro in quanto protagonisti indiscussi
ed incontrastati del dominio sul figlio bambino, sottomesso ed impotente.
Non si tratta quindi assolutamente di perdonare. Il perdono non è il giudizio.
Si può anche non applicare poi materialmente alcuna pena, ma soltanto dopo aver definito
con chiarezza rigorosa il delitto che è stato commesso e dopo averne sancita con giustizia
la condanna. Dopo, soltanto dopo, ci si può riconciliare con i genitori, con i personaggi
che sono stati genitori, vivi o morti che siano. Riconciliarsi, ma serbando memoria del passato storico,
sul quale si deve avere il coraggio di formulare il giusto giudizio anche se i genitori
sono ormai morti. “Parce sepulto” perdona a colui che è sepolto, non è un principio
a cui possa astenersi colui che ricerca la verità storica.
Sul suo passato per salvare la propria esistenza nel presente e per il futuro che gli rimane.
IL PRINCIPIO DELLA GIUSTIZIA.
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Secondo la logica del giudizio, chi ha commesso un reato è un reo. Ha commesso un crimine?
È quindi un criminale. Non può essere assolto, deve essere condannato.
Ciò che importa è che il reo sia riconosciuto comunque colpevole del reato che ha commesso.
Se poi si decide di far qualcosa nei confronti della sua persona fisica, se cioè si decida di dare corso
alla condanna eseguendola con il sottoporre il colpevole ad una pena, oppure si decida di non farlo,
è cosa del tutto secondaria. Non importa che il colpevole sconti la pena.
Il punto fondamentale di principio non è un problema di pena.
La cosa importante è la condanna che preserva la memoria della realtà storica, difende i simboli
di umanità che impegnavano i rapporti umani implicati in quei fatti, e soprattutto salva
il concetto di giustizia. Ciò che importa è che il reo sia riconosciuto colpevole del delitto
che ha commesso. Questo è il principio della giustizia.
Questi due pezzi sono stati ispirati da un’intervista al Rabbino Capo di Roma Dr. Elio Toaff, l’articolo è:
“Un offesa alla memoria”
di Fiamma Nirenstein, pubblicato sul quotidiano LA STAMPA, Torino 2 agosto 1996.
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IL TEMPO NON ANNULLA L’INFAMIA.
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I 20, 30, 40, 50 anni trascorsi da quando furono perpetrati gli atti di maltrattamento
ad un bambino indifeso non modificano né annullano le caratteristiche e la gravità
di tali atti di maltrattamento. Se violenza era stata allora, il tempo passato non la rende un gesto
rispettoso. Se infamia indegna fu a suo tempo, il trascorrere dei decenni non ne muta la natura
in un dolce atto d’amore. Se trascuranza incapace o indifferente dei genitori fu nell’infanzia
del soggetto, il tempo che ora ha reso vecchi i genitori non può trasformare tale loro assenza
in una presenza attenta e responsabile.
Questo pezzo è stato ispirato dall’articolo:
“Il tempo non cancella l’orrore”
di Alessandro Galante Garrone, pubblicato sul quotidiano LA STAMPA, Torino 5 agosto 1996.
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NULLA PUO’ ESSERE DIMENTICATO.
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Ogni ricerca della verità nel rapporto con i propri genitori lungo la convivenza dell’infanzia,
è in realtà un rito dotato di valore umano e morale di altissimo profilo.
E se la memoria mette in luce obiettive mancanze e persino colpe dei genitori, non vi possono essere
dubbi: il giudizio che si formula deve essere un giudizio di condanna, inequivocabile.
Ora, per il passato. Non ha rilevanza alcuna quanto tempo sia trascorso. La giustizia non si prescrive.
Questo pezzo è stato ispirato dall’articolo:
“Su Priebke l’anatema dei vescovi”
a firma [m. tos.], pubblicato sul quotidiano LA STAMPA, Torino 18 luglio 1996.
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UNA SEDUTA PSICOTERAPEUTICA CENTRATA
SUL PROBLEMA DEL MALE RICEVUTO DAI GENITORI.
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NOTA BENE.
Il testo che segue è la trascrizione dattilografica sbobinata da una registrazione
effettuata nell’inverno 1996 nel corso di una seduta in studio, tra QUATTRO ed un cliente.
La registrazione era stata fatta per decisione comune, al fine di fissare alcuni punti
concettuali importanti dal flusso di considerazioni che si sviluppano comunemente
nel corso di una seduta di discussione spontanea su un tema fondamentale
nella fase di lavoro considerata.
Per onestà intellettuale, QUATTRO riconosce che il suo ruolo nella seduta
(dato il carattere psicoterapeutico ovviamente volto a produrre mutamenti positivi
nella posizione interiore del soggetto) è stato essenzialmente di suggeritore.
Il contributo di produzione delle idee è quindi essenzialmente merito del cliente).
Ognuno parte sempre, inevitabilmente, da un insieme di fatti personali, da sofferenze sue proprie,
da sue esclusive ribellioni contro i suoi genitori. Ma poiché la storia della nostra infanzia vilipesa
e maltrattata non può che essere riconosciuta alla fine come un esempio della storia dell’infanzia in sé,
nella quale mille uomini si possono ritrovare, allora la propria ricerca personale diventa
come un momento rituale di una sorta di religione umana.
È inevitabile e necessario, quindi, che ognuno di noi nell’affrontare le proprie personali sofferenze
diventi pian piano cosciente di dare il suo piccolo o più grande contributo al prezzo che l’umanità
intera deve pagare per il proprio riscatto da trascorsi consensi colpevoli all’ingiustizia.
Questo sentimento di trasformazione psicologica espiativa dà ad ogni singola ricerca della propria
individualità un carattere più che simbolico, quasi sacrale, di religione umana appunto.
Chi fa appello alla validità del concetto di autorità di per se stessa, in realtà spacca la famiglia
in due parti e contrappone i due fronti.
Da un lato vi sono i genitori, con la garanzia dell’essere nel giusto a motivo dell’autorità,
in quanto genitori, e quindi, con il diritto all’obbedienza.
Dall’altro vi sono i figli, con il dovere dell’obbedienza, e senza nessun diritto ad un’esistenza
in certi limiti paritetica e comunque sempre rispettata. Ma vi sono diversi gradi di autorevolezza,
e quindi di legittimità morale, nell’esercitare l’autorità.
E sicuramente al grado più basso stanno i genitori che non pensano di dover essere al servizio
dei figli, in virtù dell’adempimento del proprio dovere personale quali adulti, di formarne
una educazione che li faccia liberi e sicuri e forti, sereni membri futuri del consesso umano.
Genitori così, da soli, con il loro comportamento, separano se stessi dalla gerarchia di valori
della famiglia; staccano le loro figure dall’istituzione che dovrebbero rappresentare e che, sola,
li legittima ad essere dai figli considerati più autorevoli e più significativi di tutti gli altri esseri umani.
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Il loro potere educativo, e quindi la loro credibilità in termini di autorevolezza deriva infatti soltanto
dall’aderenza precisa alle responsabilità del ruolo di genitori al servizio dei figli.
E si mantengono intatti, tale potere, tale credibilità, tale autorevolezza, solo fino a quando
i genitori dedicano la loro vita all’impegno di rispondere ai bisogni emozionali e vitali dei figli.
Nel momento stesso in cui i genitori scelgono di imporre il loro dominio su individui più deboli,
inermi, indifesi, e quindi per definizione sottomessi e privi di un autentico ed efficace diritto
di contrapposizione paritetica, in quello stesso momento cessano di essere genitori
(cioè soggetti che generano all’umanità altri esseri).
Cessano di essere legittimati dalla posizione e dal ruolo di formatori, di educatori, che sostanzialmente
non stanno più svolgendo. Da quel momento incomincia la loro responsabilità morale per il proprio
comportamento. Ed in base a tale comportamento essi vengono giudicati.
Non vi è altra possibilità, affinché si mantenga l’ordine della ragione e l’umanità degli affetti
nella società. E, in un rovesciamento tragico ma inevitabile delle parti, gli unici giudici legittimati
a giudicare i genitori sono i figli. Solo essi, infatti, possono sapere quali sono stati realmente gli atti
compiuti dai genitori. Né le intenzioni nascoste ma non realizzate, né i pensieri celati al di sotto
delle azioni, hanno rilevanza, perché ogni giudice giudica soltanto le azioni compiute dall’imputato.
Ma, in realtà, i genitori possono contare su un giudizio equanime da parte dei figli.
Anche se il compito di giudice sarà sempre non solo doloroso e mai ambito dai figli, ma spesso
sarà estremamente arduo da svolgere. Infatti perché la verità emerga alla fine, è necessario
per lo più che il giudice figlio:
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 vada a cercarne le prove nei luoghi più oscuri e segreti del proprio stesso cuore;
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 che frughi con tenacia negli anfratti più nascosti della sua stessa memoria;
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 che colleghi segni e fatti che per tutti gli altri sono privi di valore indicativo,
fino a trasformarli in testimonianze schiaccianti nel loro significato.
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I crimini contro l’umanità non si prescrivono. E su di essi bisogna prendere apertamente posizione.
Infatti non è una questione di coscienza intima, non è una faccenda che possa essere mantenuta
solo interiorizzata. Non si può condannare dentro di sé un errore, ma all’esterno lasciare avanzare
parole o prese di posizione che scusino, che assolvano. Lasciare cadere ciò che i genitori hanno fatto
ai loro figli bambini è commettere un’ingiustizia commettendo un male per errati
• motivi culturali
(la società non ci ha certo educati all’impegno rigoroso nel lavoro
sulle memorie storiche della nostra infanzia).
• motivi di comune morale sociale
(laddove il genitore persecutore ed il figlio vittima sono posti sullo stesso piano, poca simpatia
riscuote la protesta del figlio, il quale viene accusato di chiedere giustizia unilateralmente).
• motivi di scadente ideologia relativistica
che ha paura di misurarsi con verità assolute e quindi chiude gli occhi dinanzi a mali assoluti,
preferendo momentanei sfoghi di umori sentimentali (“Perdonami, lo sai che ti voglio bene”)
dopo che i fatti sono stati ancora una volta commessi, piuttosto che l’impegno a prevenirli
con lucidità di mente e rigore di interventi.
Riprendendo a questo punto il discorso più strettamente tecnico psicoterapico, si comprende
perché si sottolineava fin dall’inizio l’aspetto giudiziale. Il soggetto dice ai suoi genitori:
“Nei miei confronti avete commesso numerosi errori, anzi peccati.
Avete rubato, nel senso che mi avete derubato dei miei diritti.
Avete commesso atti impuri, nel senso che avete insozzato la purezza della mia visione
limpida ed ingenua della possibile onestà nei rapporti con gli altri esseri umani.
Avete ucciso la mia libertà interiore con le critiche, i divieti, le percosse di una rigidità assurda.
Avete giurato il falso quando avete dichiarato che mi amavate, mentre volevate solo dominarmi.
272
Per questi peccati non può esservi perdono, se perdono vuol dire: cancelliamo tutto
ciò che è stato fatto. Tutti questi danni che io ho ricevuto restano come vostre colpe,
perché restano come fatti storici, reali, oggettivi che io ho subito da voi.
E questo è l’elemento della giustizia: per ciò che mi avete fatto, voi genitori
siete condannabili”.
Proprio questa necessità che il giudice figlio ha per se stesso, di cercare la verità nella realtà
dei fatti accaduti, è la garanzia più sicura della sua equanimità nel giudicare i genitori.
Peccato solo che, per svolgere questa indagine preliminare, (l’unica che potrà infine conquistargli
il diritto di vivere come un essere umano paritario con gli altri nella società in cui vive),
egli debba lacerare il suo stesso cuore per cercare i frammenti della verità in mezzo ai brandelli
delle sue speranze ed illusioni di bambino.
Ecco perché i genitori devono essere processati e, se trovati colpevoli, devono essere condannati.
Dinanzi all’annullamento dei diritti dell’essere umano bambino, i genitori hanno il dovere di lottare
contro di sé nel presente, per potere garantire la futura serenità dei figlio.
Infatti questo annullamento dei diritti del bambino comporterebbe il seminare in lui germi
di sofferenza che, nella futura inevitabile nevrosi conseguente, causeranno dolore e male
non solo in lui ma attorno a lui, con una maledizione auto fertilizzante che si ripeterà all’infinito.
Dinanzi a questa prospettiva, i genitori devono e possono rifiutarsi di seguire la propria natura
(se essa reca danno al bambino) e gli impulsi quasi incontrollabili che ne derivano.
Devono e possono ribellarsi essi stessi all’educazione ricevuta nella loro propria infanzia,
e che non merita obbedienza.
Se il generale Keitel, prima di essere impiccato dopo il processo subito a Norimberga nel 1946
insieme ad altri criminali di guerra nazisti, è giunto a scoprire sia pure all’ultimo una sua nuova visione
dei rapporti umani, poiché ha detto:
“La tragedia della mia vita consiste nell’avere compreso troppo tardi che l’obbedienza ha dei limiti”,
allora ogni genitore può mettere in discussione il suo operato e la sua visione del mondo.
E ci sarà sempre ancora una nuova speranza per l’umanità futura.
273
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
SCHEDA TECNICA - A CURA DI 19
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AUTORE:
Norwood, Robin
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TITOLO:
Donne che amano troppo.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
EDITORE:
Feltrinelli, Milano, 1985.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
PAGINE:

264
INQUADRAMENTO GENERALE:  vedi
INDICE:

vedi
COMMENTO:

vedi
TEST DA COMPILARE:

no
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
INQUADRAMENTO GENERALE.
I versi che le lettrici troveranno in apertura, racchiudono lo spirito del libro, in tutta la sua completezza.
Segue la presentazione, quanto mai azzeccata, di Dacia Maraini: qui le lettrici hanno la possibilità
di individuare i punti-chiave attraverso i quali si sviluppa la trama del libro e quindi il percorso
di crescita proposto dall’Autrice:
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

Amare troppo è una distorsione dell’amore e si fonde pericolosamente
e patologicamente con la paura.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

È necessario capire da cosa nasce questa paura, ed è per questo che diventa fondamentale
compiere un cammino a ritroso nel tempo e riesplorare l’infanzia e la vita
all’interno della famiglia d’origine.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

Tutto questo per re imparare (o meglio, imparare per la prima volta!)
ad amare e rispettare sé stesse sino al punto di pretendere una serena quotidianità
ed una vita affettiva matura, equilibrata e finalmente con un compagno adeguato.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Il capitolo “Amare senza fine” (pag. 13) prende per mano le lettrici che desiderano iniziare il percorso
di consapevolezza, offrendo loro degli spunti di situazioni su cui riflettere: forse per chi legge,
“amare troppo” significa proprio vivere una di queste situazioni o altre simili.
L’Autrice sottolinea subito che molte donne vivono (o hanno vissuto) quest’esperienza,
e quindi chi legge può cominciare a non sentirsi sola e diversa dal resto del mondo femminile.
Lo scopo del libro è triplice:
• Capire cosa significa “amare troppo”.
• Capire quando e perché si ama troppo.
• Capire perché, quando si arriva razionalmente a comprendere la situazione, si è comunque
in difficoltà a rompere una relazione devastante. L’Autrice mette subito in chiaro la questione
di fondo: “amare troppo” è una ossessione, ed alla base di quest’ossessione non c’è l’amore
ma la paura: paura di non meritare amore, paura di restare sole ed abbandonate;
ci si aggrappa ossessivamente all’uomo scelto come compagno implorando più o meno
inconsapevolmente amore e protezione ma il gioco non funziona. Non funziona perché si cerca
quel vitale nutrimento emotivo che è mancato nell’infanzia assumendo il controllo totale
della situazione, e nello specifico della vita di coppia: ed è più facile controllare un uomo
che non è così maturo ed adeguato da saper affrontare la vita con le proprie forze. Quindi:
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• Bisogno senza fine di nutrirsi emotivamente di amore e protezione è un bisogno così antico
e primordiale che viene ricercato con ossessione quasi mostruosa.
• La fonte è un compagno immaturo e non autonomo, di cui è più facile assumere il controllo,
per zittire quella paura di disgregazione e di abbandono che permea la donna che ama troppo.
• Peccato però che la disfunzionalità di una coppia così sia una bomba ad orologeria
che prima o poi scoppierà, con conseguenze più o meno devastanti.
Nella parte finale del capitolo l’Autrice sottolinea una verità importante: è possibile smettere
di “amare troppo”, ma occorrono anni di lavoro. È, in fondo quella stessa enorme fatica che
la donna che ama troppo ben conosce; solo che sino ad ora è stata usata per sopravvivere: è arrivato
il momento di impiegarla per crescere! Dal secondo capitolo (o se vogliamo, il terzo, considerando
la Presentazione), il cammino parte e si snoda attraverso storie di donne che raccontano la loro
dipendenza dal troppo amore. Sono tante donne, a vari stadi della loro crescita: finalmente qualcuno
con cui condividere perché, specialmente chi ora ne è fuori, ci può capire ed aiutare.
L’aiuto deriva proprio dall’analisi di questa storie, oltre che dai suggerimenti pratici forniti dall’Autrice.
In tutte queste storie, le lettrici possono ritrovare i punti salienti del loro vissuto emotivo:
•
•
•
•
I sensi di colpa apparentemente insormontabili.
Una bassa stima di sé.
La paura (così grande perché così bambina!) di identificare la realtà e di affrontarla.
Una volta giunta (con grande fatica ed intenso lavoro) alla consapevolezza, l’altrettanto triste
e spaventevole rendersi conto di doversi attrezzare emotivamente ed imparare
ad “usare l’attrezzatura”, mettendo in conto un’inevitabile dose di errori n corso di pratica;
saranno però finalmente “errori di crescita”, e non coattive ripetizioni patologiche!
• La dolorosa scoperta dell’inadeguatezza della propria famiglia d’origine, fonte primigenia
del disagio d’esistere, in quanto ha mancato al dovere di curarsi dei bisogni emotivi
della propria figlia.
Alle pag. 23-24 le lettrici potranno confrontarsi con l’elenco stilato dall’Autrice, delle caratteristiche
che contraddistinguono la “donna che ama troppo”: forse potranno individuarne alcune
che sembrano scritte apposta per loro. Analizzando le storie di vita nel corso dei vari capitoli,
l’Autrice esamina approfonditamente le distorsioni emotive che caratterizzano la dipendenza affettiva,
qui espressa con il proprio partner:
• La bassa autostima è quanto mai evidente: per ogni mancanza (più o meno grave) del partner
la donna che ama troppo se ne assume la responsabilità, chiedendosi dove ha sbagliato
e come possa rimediare, per essere certa che il proprio uomo non l’abbandoni.
• È necessario, vitale, cercare di colmare quella carenza di amore, di rispetto e di sostegno
che è venuto a mancare sin dall’infanzia nella famiglia d’origine; è indispensabile, se si vuole vivere
una esistenza adulta e piena, piuttosto che sopravvivere. Ogni essere umano ha legittimamente
il diritto di sentirsi amato, considerato come persona e quindi riconosciuto nelle sue percezioni,
emozioni e sentimenti. Così, se da adulte si è ancora alla ricerca, si proverà e riproverà a prendersi
cura di un compagno bambino, nella speranza di acquietare la propria antica sofferenza.
L’Autrice sottolinea come si tenderà a ricercare un uomo che abbia molte delle caratteristiche
dei propri genitori; il copione si ripete, ma la donna che ama troppo ha la segreta speranza
di riuscire a cambiare il finale in “e vissero felici e contenti”: finalmente l’amore agognato
ed una bella iniezione di autostima! Oltretutto, questo bel finale è la garanzia di aver allontanato
definitivamente il terrore di essere abbandonate: “conviene”, quindi, sacrificarsi totalmente
per il proprio uomo! Il prezzo da pagare però è alto, e si comincia subito:
• Ci si dimentica totalmente di sé stesse e del proprio diritto alla serenità.
• La realtà vera, problematica ma risolvibile, si allontana sempre di più dalla mente
e viene rimpiazzata da un mondo di fantasie consolatrici.
• Sino a che un po’ di forza esiste, essa viene impiegata per cercare di cambiare il partner, senza
pensare che in realtà l’unica persona che ha urgente bisogno di cambiare è la donna stessa.
• Sembra paradossale, ma a livello inconscio la donna che ama troppo spera che il suo compagno
non cambi mai! Che resterebbe da fare? Sarebbe costretta a pensare a sé stessa, ma a livello
emotivo è decisamente meno spaventevole occuparsi di qualcun altro.
Non è possibile quindi innamorarsi di un uomo maturo ed adeguato “normale” insomma:
la donna che ama troppo riesce a giudicarli noiosi, banali.
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Degli ultimi capitoli si parlerà più dettagliatamente nel commento. Qui basti dire che essi propongono
alla lettrice alcuni attrezzi (con relativa spiegazione d’uso), quali scrittura e gruppo di sostegno,
per intraprendere il cammino, alla fine del quale vi è un inizio: l’inizio di una vita adulta,
equilibrata, in grado di affrontare le inevitabili difficoltà dell’esistenza e di saper individuare,
ma anche costruire lunghi momenti di serenità!
INDICE.
L’indice è posto alla fine del libro, ma un’occhiata prima di iniziare la lettura può aiutare le lettrici
a farsi un’idea del percorso proposto.
1.
2.
3.
4.
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6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
Amare senza fine.
Amare un uomo che non ricambia l’amore.
Sesso soddisfacente in un rapporto frustrante.
Se io soffro per te, tu di amerai?
Il bisogno di sentirsi necessaria.
Balliamo?
Gli uomini delle donne che amano troppo.
La bella e la bestia.
Quando una dipendenza ne sviluppa un’altra.
Morire d’amore.
La via della guarigione.
Guarigione e intimità: colmare il distacco.
Alcune indicazioni pratiche.
COMMENTO.
È soprattutto negli ultimi tre capitoli che l’Autrice fornisce alle sue lettrici dei consigli pratici su come
fare ad uscire dalla morsa dell’“amare troppo”: qui comincia la “fase operativa”, un cammino in cui,
una volta compreso quali strumenti vengono proposti e ritenuti validi, è necessario imparare ad usarli.
Prima però, le lettrici sono invitate a compiere un altro tipo di cammino fatto di riflessione e
di conoscenza, di scoperta dei meccanismi distorti. Tali meccanismi si esplicano attraverso l’uso
di due strumenti di difesa fondamentali: la negazione ed il controllo.
Si impara sin da bambini l’uso di questi strumenti, perché è imperativo il bisogno di proteggersi
da situazioni famigliari de strutturanti. Beninteso sono strumenti che entro certi limiti tutti possiamo
usare nella vita per proteggerci da momenti difficili (anche la persona più matura ed equilibrata
ne ha!). Diventano patologici quando l’uso è necessario da sempre, in dosi massicce per garantire
la sopravvivenza. Ed i meccanismi distorti si svelano storia dopo storia, analisi dopo analisi.
La concretezza del libro, concretezza che permette la benefica identificazione, la balsamica
consolazione di non sentirsi sperdute nel malessere, si svela e si snoda proprio attraverso queste storie,
raccontate senza paraventi ma con delicatezza e rispetto per la persona nella sofferenza.
Un rispetto che, si spera, le lettrici possano un po’ alla volta assorbire, pagina dopo pagina.
Tante storie, una matrice comune: la necessità di rivedere la propria storia all’interno della famiglia
d’origine. Cercare di colmare nella/e relazione/i attuale/i quella mancanza d’amore primigenio
è una necessità coattiva, e cioè continua e mai risolta.
Questa continuità è testimone di due verità apparentemente opposte ed inconciliabili,
in realtà tragicamente integrate nella storia dolorosa di ogni donna che ama troppo:
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 CONTINUARE l’opera di redenzione del partner per meritare la coppa dell’amore
come donna e come figlia in passato non amata; ma...
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 CONTINUARE l’opera di redenzione di un nuovo compagno non solo se quello precedente
ci ha lasciate e basta, bensì anche quando chi è uscito dalla nostra vita
lo ha fatto perché in qualche modo ha deciso di crescere e quindi
non può alimentare la distorsione amorosa.
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In entrambe le situazioni, la donna che ama troppo è messa alle strette: nel primo caso la missione
è fallita ed allora c’è l’urgenza di una nuova storia dove il lavoro sarà ancora più intenso per riscattare
anche l’ultima sconfitta; nel secondo caso, quando si potrebbe cantar vittoria, in realtà
è il momento in cui la donna, non dovendo più salvare nessuno, si trova giocoforza a fare i conti
con sé stessa: troppo spaventoso, è meglio ricominciare a recitare il copione con qualcun altro,
l’unico copione che si è imparato bene, sin dall’infanzia, grazie agli insegnamenti della famiglia.
È un libro per le donne: come osserva l’Autrice, da sempre alle donne è assegnato un ruolo salvifico,
improntato alla dedizione ed al sacrificio.
È un libro che vuol provare a far capire che in realtà non si ha la facoltà, né il diritto-dovere
di cambiare nessuno e che, paradossalmente, accettare questa verità libera non solo la donna
da tanto peso, ma rende anche il partner libero di cambiare se lo desidera (non è forse questa,
propone l’Autrice, la verità spirituale della fiaba “La bella e la bestia”, presa in esame in questo testo?).
Come accennato all’inizio gli ultimi capitoli del libro vogliono offrire degli strumenti concreti,
terapeutici per aiutare chi legge ad intraprendere il percorso della guarigione.
L’Autrice parla soprattutto della scrittura e del gruppo di sostegno.
Scrivere per analizzare il presente ed il passato, per trovare nessi a cui non si pensava, per individuare
le tappe del percorso. Il gruppo per condividere, per trarre utili spunti dalle storie altrui.
Pare qui di capire che il gruppo di sostegno sia lo strumento principe rispetto anche
ad una psicoterapia che diventa un corollario e non il principale veicolo risolutore.
A questo proposito è utile sottolineare che il libro si riferisce alla realtà statunitense ove i gruppi
di auto-aiuto hanno una tradizione più radicata.
Di certo il gruppo è uno strumento da non sottovalutare: tuttavia è possibile pensare che,
quanto più la propria storia richieda profonde escursioni nel passato, tanto più sia importante
un sostegno professionale in un ambiente protetto come può essere la stanza del terapeuta,
ove la persona possa sentirsi libera di confrontarsi con se stessa ed il proprio vissuto
senza altre interferenze.
E a volte una psicoterapia che può aiutare la persona, non appena raggiunga un utile punto
di svolta nel suo cammino terapeutico, a saper stare in un gruppo di sostegno, reggendo
il confronto con gli altri, la capacità d’ascolto, sperimentando un’empatia che troppo a lungo
era stata sepolta e che la terapia aveva nei giusti tempi fatto affiorare.
È spesso difficile rompere un legame “tossicodipendente”: un periodo di psicoterapia può aiutare
la donna che ama troppo a fare in modo che o lei, o il partner, facciano le valigie.
In ogni caso, tutto va valutato singolarmente. Per tutte però il cammino inizia con la consapevolezza
di essere arrivate ad un doloroso punto di non-ritorno.
Il terapeuta, il gruppo, la scrittura e le buone letture, e naturalmente il nostro sito, saranno finalmente
mani tese ed amiche, per compiere un cammino lungo, faticoso, doloroso, ma con l’impagabile
ricompensa della serenità vera, quella che si impadronisce della mente e del cuore.
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