Corso di narrativa Scrivere racconti a cura della Scuola di scrittura

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Corso di narrativa Scrivere racconti a cura della Scuola di scrittura
Corso di narrativa Scrivere racconti
a cura della Scuola di scrittura creativa Omero
Quinta lezione
I vostri racconti sono ora in una fase delicata in cui si può
perdere la forza iniziale di scrittura irretendola nell’impegno
di “far funzionare” la struttura generale della storia.
Bisogna battersi per conservare vivo uno stato di scrittura
di “prima intensità”, come lo chiamava Ezra Pound. Per
“the first intensity” si intende lo sfuggire a qualunque
disturbo esterno possa distrarre dal suono intimo della
propria voce. La capacità di conoscere e riconoscere la
scrittura di prima intensità è la prima e più importante
aspirazione per uno scrittore di racconti. Quindi massima
concentrazione per conservare, nel difficile gioco di
equilibri drammaturgici della vostra storia, l’energia
narrativa che ha ispirato la nascita del vostro racconto.
Questa lezione è dedicata alle descrizioni degli ambienti
(naturali e/o architettonici).
“Non c’è senso comune della parola, niente è semplice e
chiaro, la descrizione una bugia dietro l’altra; ma la verità si
può ancora dire.” Charles Bernstein
Le descrizioni di ambienti (naturali e/o architettonici)
Se qualcuno ci ponesse la fatidica domanda: in un libro
sono più veloci e piacevoli da leggere i dialoghi o le
descrizioni? O meglio, in quali parti ci coglie più facilmente
l’ansia di non farcela a continuare nella lettura di un libro?
Nelle conversazioni o discussioni tra personaggi o
nell’esposizione di particolari dell’arredo di un ambiente?
Credo che nel lettore tanta letteratura ottocentesca abbia
lasciato il segno. Una letteratura che spesso usava le
descrizioni degli ambienti o dei personaggi delle sue storie
per informare i lettori sulle ultime tendenze della moda, per
far conoscere luoghi esotici, sistemi di vita di classi sociali
poco conosciute o emergenti, novità scientifiche, ecc.
Ecco che per quanto queste descrizioni fossero scritte con
grande maestria non erano quasi mai del tutto funzionali al
motore della storia, ma svolgevano per il lettore
dell’ottocento un ruolo editoriale di aggiornamento e di vero
e proprio notiziario. Finendo spesso col sembrare, alla
sensibilità del lettore di oggi, un po’ prolisse ed eccedenti di
particolari.
Nella narrativa del novecento invece le descrizioni sono
quasi stilizzate e rese nelle loro linee essenziali. E sono
molto più aderenti alle personalità dei personaggi sia a
livello conflittuale che di consonanza con gli ambienti stessi
descritti.
Due maestri del racconto: Maupassant e Carver
Ecco due esempi contrapposti di descrizioni di ambienti
appartenenti a due epoche letterarie diverse.
E’ quasi superfluo sottolineare che la scelta di questi due
piccoli esempi pescati nell’oceano dei racconti scritti
nell’ottocento e nel novecento è per certi versi strumentale.
Tutti e due i modelli rientrano in quella specie di
classificazione ottocento/novecento contemplata nelle
premesse sulla descrizione.
Guy de Maupassant
In famiglia (En famille) 1885,
racconto, ed. Garzanti, 1994, pag. 41, traduzione di Mario
Picchi.
Il tram di Neully aveva superato porta Maillot e ora correva
lungo il vialone che porta alla Senna. La piccola macchina,
con il vagone attaccato dietro, fischiava per evitare gli
ostacoli, sputava vapore, ansimava, simile a una persona
che corra trafelata, e gli stantuffi facevano un rumore come
gambe di ferro in moto. La pesante calura di fine d’una
giornata estiva gravava sulla strada, dalla quale, senza che
alitasse il più tenue venticello, si sollevava un polverone
bianco, gessoso, opaco, soffocante e caldo, che si
appiccicava alla pelle umida, riempiva gli occhi, penetrava
nei polmoni. La gente si affacciava sugli usci, cercando un
po’ d’aria. I vetri della carrozza erano abbassati e le
tendine sventolavano, agitate dalla corsa veloce. C’era
poca gente dentro, perché nelle giornate calde tutti
preferiscono l’imperiale o le piattaforme. Erano grosse
signore buffamente vestite, le borghesi della periferia che
al posto della distinzione che non possiedono sfoggiano
un’intempestiva dignità; e uomini stanchi dell’ufficio, col
viso ingiallito, la schiena curva e una spalla più alta
dell’altra per via del lavoro che fanno curvi sul tavolino. I
loro visi scontenti e tristi rivelavano anche le
preoccupazioni domestiche, il continuo bisogno di denaro,
le antiche speranze definitivamente deluse: poiché tutti
appartenevano a quell’esercito di poveri diavoli spelacchiati
che vegetano miseramente in una casetta di gesso, dove
un’aiuola fa da giardino, in mezzo ai terreni di scarico che
circondano Parigi.
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Raymond Carver Perché non ballate? (Why Don’t You
Dance?) 1974, racconto, ed. Garzanti, 1987, pag. 9,
traduzione di Livia Manera.
In cucina, si versò ancora da bere e guardò i mobili della
camera da letto nello spiazzo davanti casa. Il materasso
era nudo e le lenzuola a righe colorate erano sopra il
comò, accanto ai guanciali. Per il resto, tutto aveva più o
meno lo stesso aspetto che in camera da letto – comodino
e lampada dalla parte di lui, comodino e lampada dalla
parte di lei.
La parte di lei, la parte di lui.
A questo pensava mentre sorseggiava il whiskey.
Il comò era a circa un metro dai piedi del letto. Quella
mattina aveva trasferito il contenuto dei cassetti in scatole
di cartone e le scatole erano in salotto. Accanto al comò
c’era una stufetta elettrica. Ai piedi del letto una sedia di
bambù e un cuscino fantasia. I mobiletti da cucina di
alluminio lucido occupavano una parte del vialetto di
accesso. Una tovaglia di mussola gialla troppo grande, un
regalo, ricopriva il tavolo e ricadeva ai lati. Sopra al tavolo
c’era una felce in vaso, insieme con una scatola di posate
d’argento e un giradischi, regali anche quelli. Un grande
televisore era appoggiato sopra un tavolino basso, e poco
oltre c’erano una sedia, un divano, e una lampada a stelo.
La scrivania stava contro la porta del garage. Sul ripiano
erano posati alcuni utensili, insieme con un orologio a muro
e due stampe incorniciate. Nel vialetto c’era anche una
scatola con tazze, bicchieri e piatti, avvolti uno per uno in
carta di giornale. Quella mattina aveva svuotato gli armadi,
e a eccezione delle tre scatole in soggiorno, tutta la roba
era fuori. Aveva portato fuori una prolunga e tutto era
collegato. Le cose funzionavano, più o meno come quando
erano dentro casa.
Di tanto in tanto una macchina rallentava e qualcuno
dava un’occhiata. Ma non si fermava nessuno.
Gli venne da pensare che neppure lui si sarebbe
fermato.
La descrizione secondo Maupassant
“Si deve guardare molto, e pensare a quello che si è visto.
Vedere: è tutto qui, e vedere giusto. Per vedere giusto,
intendo coi propri occhi e non con quelli dei maestri.
L’originalità di un artista si vede dapprima nelle piccole
cose e non nelle grandi. Sono stati fatti capolavori, con
particolari insignificanti, su oggetti volgari. Bisogna trovare
alle cose un significato che non sia ancora stato scoperto,
e cercare d’esprimerlo in maniera personale.”
Guy de Maupassant
In effetti le descrizioni di Maupassant ricoprono anche quel
ruolo di reportage che la narrativa del tempo svolgeva
parlando dei primi tram a vapore comparsi a Parigi intorno
al 1880. Ma la cosa più significativa la troviamo
nell’atteggiamento della voce narrante di Maupassant. Il
suo è uno sguardo narrativo che dalla stessa distanza
(diciamo una specie di “campo medio” cinematografico)
osserva in un’unica visione d’insieme il tram a vapore e
l’umanità che lo affolla. Un’umanità dalla quale lo scrittore
non ha solo una distanza di campo visivo, ma soprattutto di
punto di vista personale. Lo scrittore vede e poi
rappresenta con parole sferzanti il nuovo modello sociale
che si presenta davanti ai suoi occhi di artista
manifestamente superiore. Gli appare una nuova
borghesia fatta di “grosse signore buffamente vestite, le
borghesi della periferia che al posto della distinzione che
non possiedono sfoggiano un’intempestiva dignità” e di
uomini dai “visi scontenti e tristi” che “rivelavano anche le
loro preoccupazioni domestiche”.
Seppure l’acutezza di osservazione e la sapienza narrativa
di Maupassant con pochi tratti ci restituisca la foto di
un’epoca con evidenti segnali di crisi e di passaggio di una
nuova classe sociale, il modo di porsi dello scrittore è da
battitore libero. Libero di aggredire la realtà rappresentata
senza la minima immedesimazione o volontà di confusione
mimetica. Siamo nel raggio d’azione di una terza persona
classica, distante psicologicamente ed emotivamente dalla
materia raccontata. Il narratore quasi si erge a giudice del
mondo che rappresenta e ne evidenzia dal di fuori tutti i
difetti e le brutture.
La descrizione secondo Carver
“In una poesia o in un racconto si possono descrivere delle
cose, degli oggetti comuni usando un linguaggio comune
ma preciso e dotare questi oggetti – una sedia, le tendine
di una finestra, una forchetta, un sasso, un orecchino – di
un potere immenso, addirittura sbalorditivo.” Raymond
Carver
Invece in Carver la scrittura non rappresenta novità
tecnologiche o di taglio sociale ma novità di intimo sentire.
Anche qui il racconto è in terza persona, ma siamo nel
campo d’azione del cosiddetto discorso libero indiretto. Un
atteggiamento dell’autore nei confronti dei suoi personaggi
che si traduce in una specie di ambiguità oggettivosoggettiva in cui è difficile distinguere con sicurezza in
quale punto l’autore parli per conto suo o per conto del
proprio personaggio. “La parte di lei, la parte di lui.
A questo pensava mentre sorseggiava il whiskey”.
L’invenzione qui non è il tram a vapore ma il fatto che la
descrizione di Carver espropri nel suo farsi gli oggetti,
l’arredo, gli elettrodomestici dal loro luogo “totem”. Totem
nel senso di qualcosa di umanamente fondamentale che
ha dato origine ai rapporti del gruppo e quindi anche ai
rapporti tra i personaggi delle storie: la casa. Milioni di
descrizioni, diventate quasi degli standard jazz con
variazioni a piacere dell’autore, si sono tramandate da
scrittore a scrittore con lo scopo di rappresentare sempre
nuovi rapporti umani con gli spazi creati per viverci.
I personaggi e la casa. Case popolose, case solitarie. Case
ricche, povere. Case benedette, case maledette. Ma
sempre case.
E Carver che fa? Dispone le cose che erano state scelte
per comporre e dare senso alla casa e quindi alla vita
umana in un luogo così anonimo e desolato come “uno
spiazzo davanti casa”.
Fuori di sé e da sé. Ma l’occhio interno del narratore è
ancora vigile sulle cose portate fuori di casa, soppesandole
con uno sguardo di nostalgia così acuta per qualcosa che
sta ormai fuori dalla sua portata umana. Puro sarcasmo.
“La parte di lei, la parte di lui”. Appunto.
“Le cose funzionavano più o meno come quando erano a
casa”.
Imparare a servirsi dei propri occhi
Questi due modelli di descrizioni possibili sono certo molto
contrastanti. Specie se letti osservando la profondità o la
distanza dei punti di vista rispetto alla voce narrante. Ma
sono il frutto di una stessa ricerca artistica e umana che nel
tempo ci ha portato a considerare anche quella
componente del racconto che è la descrizione come una
parte non scindibile dallo spirito di chi narra. Sia che il
racconto si sviluppi in prima o in terza persona.
“Persi le mie illusioni favolose: “Ah”, diceva mio nonno,
“non è tutto avere occhi, bisogna imparare a servirsene.
Sai quello che faceva Flaubert quando Maupassant era
piccolo? Lo metteva davanti a un albero e gli dava due ore
per descriverlo”.
Imparai dunque a vedere.” Jean Paul Sartre
ECCO GLI ESERCIZI
Esercizio 8
Per la prossima volta è giocoforza assegnare un esercizio
sulla descrizione. Ma per ricercare uno spessore autentico
alla Carver la descrizione dovrà riguardare un “oggettoricordo” che vi è appartenuto o che è appartenuto a una
persona amata o a un familiare. In 20 righe, non di più,
dovrete “riprodurre” le sensazioni e i sentimenti che questo
oggetto così forte e tuttora presente nella vostra memoria
vi provoca. Il pezzo va scritto in prima persona. Si può
raccontare al presente o al passato. Ovviamente potete
usare una voce narrante che non coincide con voi stessi,
ma addirittura vi fa cambiare sesso e/o età. Il tutto con la
massima intensità. Continuare la stesura del racconto.