l`osservatore romano
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVII n. 57 (47.491) Città del Vaticano venerdì 10 marzo 2017 . Per sostenere l’offensiva contro l’Is Gli scafisti volevano imbarcarli a forza Marines in prima linea a Raqqa Migranti uccisi sulla spiaggia DAMASCO, 9. Un gruppo di marines statunitensi è arrivato nel nord della Siria per sostenere le forze locali che si apprestano a lanciare l’offensiva verso la città di Raqqa. I militari giunti in Siria — riportano Cnn e «Washington Post» — erano già dispiegati nella regione e il loro trasferimento non aveva bisogno del consenso del presidente Donald Trump o del segretario alla difesa James Mattis. Ma sia la Casa Bianca che il Pentagono erano stati precedentemente informati. L’amministrazione statunitense sta ora valutando di dispiegare fino a mille soldati in Kuwait come forza di riserva nella lotta al cosiddetto stato islamico (Is) in Siria e in Iraq. Sulla scrivania dello studio ovale resta anche la proposta di concedere maggiore flessibilità nelle decisioni ai comandanti impiegati sul terreno. Questo per rispondere più rapidamente a situazioni impreviste o ad attacchi sul campo. E almeno 14 civili, tra i quali sei minori e quattro donne, sarebbero rimasti uccisi in raid aerei nel nord della Siria, nei pressi di Raqqa. Lo denunciano oggi gli attivisti dell’O sservatorio siriano per i diritti umani che parlano di operazioni nella zona Combattimenti nei pressi di Raqqa (Ap) Denuncia dell’O nu Duecentomila vittime dei pesticidi y(7HA3J1*QSSKKM( +/!"!@!#!z! GINEVRA, 9. I pesticidi usati in agricoltura provocano oltre duecentomila morti all’anno nel mondo per avvelenamento acuto, quasi tutti nei paesi in via di sviluppo, e non sono necessari per garantire l’aumento della produzione agricola per una popolazione in crescita. Lo sostiene un rapporto congiunto degli uffici dell’Onu per il diritto al cibo, presentato al consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra. Tuttavia, prosegue il rapporto, «si ritiene comunemente che l’agricoltura intensiva industriale, che si basa pesantemente sui pesticidi, sia necessaria per aumentare i raccolti per sfamare una popolazione mondiale in crescita». Una convinzione sbagliata, secondo l’Onu: «Nei 50 anni passati, la popolazione globale è più che raddoppiata, mentre la terra arabile disponibile è aumentata solo del 10 per cento». Secondo fonti dell’Onu, i pesticidi causano danni ormai dimostrati scientificamente: inquinano l’ambiente, uccidono o fanno ammalare le persone, destabilizzano l’ecosistema alterando il rapporto fra prede e predatori, limitano la biodiversità. Nello specifico, alcuni pesticidi possono persistere nell’ambiente per decenni, arrivando all’effetto controproducente di ridurre il valore nutrizionale degli alimenti, oltre che uccidere animali che non sono propriamente dei parassiti. A essere a rischio sono soprattutto gli agricoltori e le comunità che vivono nei pressi delle piantagioni, all’interno delle quali i soggetti più vulnerabili sono le donne incinte e i bambini. É stato dimostrato dagli esperti che «l’esposizione cronica ai pesticidi provochi cancro, il morbo di Alzheimer, quello di Parkinson, disturbi ormonali, disturbi dello sviluppo e sterilità». Ma le aziende del settore agricolo e dei pesticidi hanno adottato «una negazione sistematica della grandezza del danno portato da queste sostanze chimiche, e tecniche di marketing aggressive e non etiche rimangono incontrastate». Per le Nazioni Unite, «un trattato generale che regoli i pesticidi altamente pericolosi non esiste». Eppure, «senza, o con un uso minimo di sostanze chimiche tossiche, è possibile produrre cibo nutriente e più sano, senza inquinare o esaurire le risorse ambientali». 5 BRUXELLES, 9. Che i trafficanti di esseri umani non si facciano scrupoli è purtroppo noto. Lo testimoniano le migliaia di persone morte in mare. Eppure lascia comunque sgomenti quanto accaduto lo scorso fine settimana su una spiaggia libica. Qui ventidue persone sono state uccise da scafisti sulla costa di Sabrata perché non volevano imbarcarsi per il mare agitato a causa del cattive condizioni del tempo. La conferma di questa ennesima barbarie è arrivata dalla Mezzaluna rossa. Tutte le vittime provenivano dall’Africa sub-sahariana. Anche l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) conferma il ritrovamento dei corpi e ritiene più che plausibili le testimonianze raccolte, concordi nel raccontare di trafficanti che non volevano perdere tempo e che non si sono fatti scrupolo di eliminare chi rallentava i loro piani. Intanto in Italia negli ultimi cinque giorni sono stati intercettati e fermati nove scafisti implicati in diversi traffici verso le coste della Sicilia. Alcuni sono stati fermati a Intrappolati in Libia FRANCESCA MANNO CCHI A PAGINA 2 Tragico rogo in una casa d’accoglienza per minori L’importanza di un titolo A PAGINA Un barcone dei trafficanti di immigrati mentre lascia le coste libiche (Ap) Morte ventidue ragazze in Guatemala Gioia e letizia da Cicerone a Bergoglio MARCELLO SEMERARO di Matab Al Burashid condotte da jet «presumibilmente della coalizione internazionale» anti-Is a guida statunitense. Sul suo sito web l’O sservatorio precisa che la maggior parte delle 14 vittime sono tutte della stessa famiglia e che vi sono diversi feriti, alcuni dei quali versano in gravi condizioni. La notizia del bombardamento viene riportata anche dal sito di notizie vicino all’opposizione Shaam, che accusa la coalizione internazionale di aver preso di mira mezzi con a bordo sfollati. Intanto, la Russia e gli insorti siriani hanno raggiunto un accordo per una tregua a est di Damasco, mentre un’intesa per un cessate il fuoco sarà raggiunta a breve nell’area di Homs. Lo riferisce la televisione Al Jazeera, basata in Qatar, paese che a sua volta sostiene alcuni gruppi armati siriani delle opposizioni. Secondo i resoconti di stampa la Russia, alleata del governo di Damasco, ha raggiunto la tregua con rappresentanti di Jaysh Al Islam, milizia filo-saudita, e altre fazioni armate nella Ghuta orientale, a est di Damasco. Un accordo simile è in corso di definizione per una tregua a Waar, sobborgo ribelle di Homs, nella Siria centrale. Sul fronte diplomatico, l’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura, intende convocare per il 23 marzo a Ginevra rappresentanti di Damasco e delle opposizioni siriane per un quinto round di colloqui. Lo ha confermato ieri lo stesso diplomatico parlando con i giornalisti dopo un briefing al Consiglio di sicurezza sui risultati delle ultime consultazioni. Nel frattempo, nel nord dell’Iraq, due attentatori suicidi si sono fatti esplodere ieri in un villaggio vicino a Tikrit durante un matrimonio, uccidendo almeno 23 persone. Lo riferisce Al Jazeera, citando fonti del governo locale. L’attacco non è stato ancora rivendicato. Tikrit era stata liberata dalle forze di sicurezza irachene ad aprile 2015 dopo essere finita sotto il controllo dei miliziani del cosiddetto stato islamico. La città lo scorso novembre era stata oggetto di diversi attacchi proprio dei jihadisti in quella che era stata considerata come un’azione diversiva per allentare la vasta e rapida offensiva in corso da parte dell’esercito regolare di Baghdad contro la loro roccaforte, Mosul. Parenti in attesa di informazioni dopo la strage di ragazze (Ap) CITTÀ DEL GUATEMALA, 9. Ventidue ragazze — tutte fra i 14 e i 17 anni — sono morte nell’incendio divampato nella notte nella sezione femminile di una casa di accoglienza per minori a San José Pínula, località a circa 25 chilometri dalla capitale del Guatemala. Altri quaranta giovani sono ricoverati in ospedale. Secondo i pompieri, l’incendio è divampato in uno dei dormitori della struttura — che accoglie minori orfani, vittime di abusi o provenienti da famiglie disagiate — e non si esclude che le fiamme siano state appiccate da alcuni ragazzi in segno di protesta. Nel pomeriggio di ieri, infatti, era scoppiata una violenta rivolta all’interno del centro, durante la quale, malgrado l’intervento di unità antisommossa, circa sessanta ragazzini erano riusciti a fuggire. La stampa locale sottolinea che la struttura è da tempo oggetto di pesanti critiche. Come riporta il giornale «Prensa Libre», da settimane l’ufficio guatemalteco per i diritti umani stava monito- rando la situazione, dopo le ripetute lamentele dei ragazzi per presunti abusi sessuali, maltrattamenti, cibo scadente e difficili condizioni di vita in una struttura sovraffollata, destinata a 400 giovani, ma che ne accoglieva almeno 540. Harold Flores, incaricato per l’infanzia presso la Procura generale, intervistato dalla radio «Emisoras Unidas», ha spiegato che dal 2016 si erano moltiplicate le denunce per violenza sessuale da parte di adolescenti fuggite dalla struttura. La commissione parlamentare per la famiglia ha chiesto al governo la chiusura definitiva del centro di accoglienza, che rappresenta un simbolo «dello stato abietto in cui si trovano i bambini nel nostro paese, vittime di maltrattamenti inflitti dalle stesse istituzioni che dovrebbero invece proteggerli». Il governo del presidente, Jimmy Morales, ha rilasciato una dichiarazione dicendosi «scioccato dalla tragedia» e ha proclamato tre giorni di lutto nazionale. Ragusa, altri ad Augusta. In tutti i casi, i migranti raccontano di scafisti che partono in momenti diversi e da spiagge diverse, segno della presenza di più organizzazioni criminali sulle coste libiche. Oltre ai fermi ci sono anche processi. In questi giorni la Corte di Assise di Messina ha condannato a 15 anni e a 18 anni due scafisti responsabili della morte di quattordici migranti sul barcone che mesi fa ne trasportò altri 450. Intanto, sul tema migrazioni è intervenuto, con un’intervista all’agenzia Ansa, il preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Arturo Sosa. Il quale, riferendosi sia all’Europa che agli Stati Uniti, ha criticato «una politica dei muri che risulta, da una parte inumana e, dall’altra, inutile». A proposito del muro e del bando per i cittadini di paesi musulmani voluti negli Stati Uniti dal presidente Donald Trump, padre Sosa li ha definiti «un attentato contro i valori cristiani e umani, oltre che contro i fondamenti della società statunitense». Il religioso ha invece elogiato l’Italia, porta del continente sul Mediterraneo, che ha evitato che il numero delle vittime fosse ancora più alto, ma ha chiesto «regole chiare e responsabilità da parte di tutti gli stati Ue». E proprio alla rivista dei gesuiti, «La Civiltà cattolica», ha parlato del fenomeno migratorio il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, affermando che alcuni paesi tendono a chiudersi, erigendo barriere o muri, «senza rendersi conto che non c’è né barriera né muro che possa frenare un fenomeno storico di questa portata». Mattarella ha definito la reazione dei muri «una fuga dalla responsabilità di affrontare il problema e dal dovere di governarlo». NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Albania Sua Eccellenza Monsignor Charles John Brown, Arcivescovo titolare di Aquileia, finora Nunzio Apostolico in Irlanda. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Vescovo della Diocesi di Plasencia (Spagna) il Reverendo José Luis Retana Gozalo, finora Delegato diocesano per le Istituzioni dell’Insegnamento della Diocesi di Ávila e Parroco. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 venerdì 10 marzo 2017 Migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana a Tripoli (Reuters) Merkel sottolinea la mancanza di solidarietà Vertice europeo su migrazioni ed economia BRUXELLES, 9. «Non c’è una sufficiente solidarietà europea nell’affrontare la crisi dei migranti». A ribadirlo è il cancelliere tedesco, Angela Merkel, nell’imminenza del vertice Ue. Occorrono più collaborazione e una maggiore suddivisione della responsabilità nell’affrontare i flussi di profughi, ha detto Merkel, parlando al parlamento tedesco prima di raggiungere il consiglio europeo a Bruxelles. Secondo Merkel, rimane «una priorità assoluta la lotta agli scafisti e la difesa delle frontiere esterne della Ue». A questo proposito, il cancelliere si è sbilanciata a criticare la Grecia, affermando che la situazione dei profughi sulle isole greche «è ancora molto insoddisfacente» e che Atene stenta a mettere in atto fino in fondo l’intesa tra l’Unione europea e la Turchia. Un accordo da difendere nel suo complesso perché «dalla sua entrata in vigore, un anno fa, il numero dei morti nell’Egeo si è fortemente ridotto». Merkel ha parlato anche di uno dei temi forti di questo suo ultimo scorcio di mandato, prima delle elezioni a settembre, ossia il piano strategico di accordi con i paesi nordafricani. Il piano prevede, tramite la collaborazione dei paesi di origine e di transito, interventi «per indurre i migranti a non partire per l’Europa, evitando viaggi in cui si rischia la vita». Indubbiamente il tema dei profughi è all’ordine del giorno del vertice oggi a Bruxelles e il mantenimento dell’accordo con la Turchia è uno dei punti cruciali. Secondo indiscrezioni di stampa, nella bozza del testo finale che i capi di stato e di governo dovrebbero firmare in primo piano si parla di immigrazione, difesa, economia. Al momento, sembra non esserci nessun cenno alle ricollocazioni dei rifugiati, ma si pone l’accento sui rimpatri e si ribadisce la volontà di completare la riforma dell’asilo europeo «entro questa presidenza», ovvero la presidenza di turno di Malta che si conclude a fine giugno. Nel paragrafo dedicato alla dimensione esterna della migrazioni è anche scritto che il Consiglio europeo «sostiene le azioni intraprese da singoli stati membri per sostenere le autorità libiche così come i loro vicini nordafricani e del sud». A proposito di sicurezza e difesa vengono confermati il piano di lavoro condotto dall’alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, e i risultati del consiglio esteri di lunedì, dando appuntamento al summit di giugno per «fornire ulteriore guida strategica». Inoltre si chiede «ai co-legislatori» di parlamento e consiglio di «accelerare il lavoro sul sistema di controllo delle frontiere esterne e sul sistema di visti Etias», sul quale già lunedì scorso è stato raggiunto l’accordo tra i 28. Sul piano economico, nella bozza si legge, tra l’altro, l’incoraggiamento per le riforme «che stanno dando frutti» e il pieno sostegno al libero mercato, anche se con l’adozione di «strumenti compatibili con l’organizzazione mondiale del commercio (Wto) contro pratiche sleali e distorsioni del mercato». Previsto un fondo di riserva Prima finanziaria dell’era Brexit LONDRA, 9. Il Regno Unito vota la prima finanziaria dell’era Brexit. Ieri alla camera dei comuni, Philip Hammond, cancelliere dello scacchiere, ha presentato la legge di bilancio nella prospettiva del divorzio dall’Ue, stabilito dal referendum del 23 giugno 2016. Le previsioni indicano una crescita del prodotto interno lordo (pil) nell’immediato e, poi, un trend in discesa. Quest’anno nel Regno Unito si stima infatti una crescita del 2 per cento, ma il segno positivo viene ridimensionato a un +1,7 già nel 2019, a dispetto delle stime precedenti che parlavano di un 2,1. Solo nel 2021, se tutto andrà bene, si potrà sfiorare di nuovo il 2 per cento. E intanto l’inflazione cresce: al 2,4 Varata in Italia la legge sul reddito d’inclusione ROMA, 9. In Italia, via libera definitivo del senato (con 138 sì, 71 no e 21 astenuti) al disegno di legge delega per il contrasto alla povertà, che introduce il «reddito di inclusione». Un piano da 1,6 miliardi per assicurare 500 euro al mese a 400.000 famiglie che risultano al di sotto della soglia di povertà. È la prima misura nazionale per nuclei familiari e non per categorie (anziani, disoccupati, disabili, ecc). per cento nel 2017, con l’auspicio di un ritorno al 2 dall’anno seguente. Come anticipato dalla stampa, la manovra prevede l’accantonamento di un fondo di riserva per le emergenze: 26 miliardi di sterline calcolati giocando sul tetto del deficit. Ma la finanziaria prevede anche un incremento immediato di tasse. Per esempio, è previsto un rialzo per i contributi sul lavoro autonomo, oltre che su alcolici e tabacco, a copertura di una spesa sociale aggiuntiva di due miliardi in tre anni. C’è poi un limitato aumento di stanziamenti per la devolution, che viene allargata a Londra, e per il rilancio delle cosiddette grammar schools, diventate il simbolo di un’istruzione elitaria. E arrivano anche i primi aiuti a settori del business in preda all’incertezza. Nella manovra si lascia spazio a eventuali ulteriori interventi fiscali e tagli, a tutela del rivendicato equilibrio dei conti pubblici. E questo in particolare suscita le critiche del leader dell’opposizione laburista, Jeremy Corbyn, che lamenta una nuova austerity e «un’economia che tira, finché tira, tagliando pur sempre fuori milioni di persone». Sul piano prettamente politico, dopo illazioni di stampa, il premier Theresa May ha smentito qualsiasi ipotesi di elezioni anticipate. In questi giorni la camera dei lord ha votato un emendamento che impone al governo di passare per il vaglio parlamentare alla fine dei negoziati, ma May spera che il voto finale alla sua legge per la Brexit, che si terrà il 13 marzo alla camera dei comuni, rinneghi questo emendamento. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Storie di profughi Intrappolati in Libia da Tripoli FRANCESCA MANNO CCHI Thimothe ha sessant’anni, ha lo sguardo paziente e fiducioso. Quando apre la porta di casa sua, alla periferia di Tripoli, Libia, apre il suo cuore e consegna le sue speranze di un futuro migliore. La famiglia di Thimothe è composta da lui, sua moglie e i suoi tre figli, due ragazze di 15 e 12 anni e l’ultimo figlio, di dieci. Thimothe e la sua famiglia sono scappati dalla Repubblica Democratica del Congo più di cinque anni fa, quando alcuni membri della loro famiglia sono stati uccisi. Avrebbero voluto raggiungere l’Europa. Thimothe avrebbe voluto garantire ai suoi ragazzi la possibilità di studiare e costruire un futuro migliore di quello che avrebbero potuto avere nel paese di origine. Ma il viaggio delle loro speranze si è fermato in Libia. Nel 2011 Thimothe era riuscito a garantire la fuga dei suoi due figli maggiori, per evitare che fossero arruolati come bambini soldato. Oggi sono in Francia, uno dei due ha sposato una ragazza francese e ha un bimbo piccolo. Thimothe non ha ancora conosciuto quel nipote. «Se penso al Congo — dice racconta, seduto a terra, circondato da tutti i documenti messi da parte negli ultimi anni — penso alle mie ragazze che andavano a scuola, erano stimate, apprezzate da tutti gli insegnanti e avevano grandi sogni. Oggi nessuno dei miei figli può frequentare la scuola. La Libia non è un posto sicuro per noi e non li lascio neppure uscire di casa». La famiglia di Thimothe ha viaggiato trentasei mesi attraverso la Repubblica Democratica del Congo, la Repubblica del Congo, il Camerun e il Niger prima di arrivare in Libia alla fine del 2013. Il viaggio è stato duro, difficilissimo e pieno di insidie. Ma l’arrivo in Libia è stato anche peggiore. «Al nostro arrivo abbiamo subito di tutto, violenze, molestie, discriminazioni. I soldati libici ci hanno arrestato e ci hanno portato nel centro di detenzione di Zawya. Mia moglie Gaetano Vallini dalla Chiesa: siamo cristiani e per noi è stato molto importante sapere di poter contare su di loro. Ma piano piano la situazione è diventata così pericolosa che non possiamo spostarci da casa nostra in periferia per arrivare in chiesa. Una volta ho provato ad andare e degli uomini mi hanno fermato in strada, volevano che mi prostituissi, mi insultavano. Così mio padre ha deciso che per me e mia sorella era meglio non uscire mai da sole». Christelle avrebbe voluto studiare informatica, era il suo grande sogno. Ricorda con malinconia i giorni di scuola in Congo, ricorda i suoi quaderni, i complimenti delle insegnanti per la sua caparbietà e la sua co- A causa dell’instabilità politica Tobruk chiede elezioni entro un anno TRIPOLI, 9. Il capo del parlamento di Tobruk ha chiesto di tenere elezioni in Libia prima di un anno. Il presidente della camera dei rappresentanti libica (Hor), Aqila Saleh, ha pubblicato una propria richiesta rivolta all’alta commissione elettorale nazionale di «prendere tutte le misure necessarie per organizzare elezioni presidenziali e legislative prima del mese di febbraio 2018». La breve lettera di Saleh datata ieri motiva la richiesta con «le difficili circostanze in cui si trova il paese» e «lo stato di instabilità politica». Dopo la fine del regime di Gheddafi, la Libia è divisa tra due autorità rivali con sede a Tripoli e a Tobruk. Un portavoce del parlamento di Tobruk (scaturito dalle prime elezioni nel paese nel 2012), Fathi Al Mrimi, ha confermato questa decisione sul voto. L’annuncio è arrivato solo poche ore dopo che la camera dei rappresentanti di Tobruk ha screditato l’accordo politico nazionale, firmato a Skhirat, in Marocco, nel dicembre del 2015 e «ha sospeso la partecipazione a qualsiasi incontro di dialogo» con Tripoli, nota il sito Libya Observer, spiegando che la chiusura di Tobruk è stata presentata come una “risposta” all’attacco con cui venerdì milizie filo-islamiste di Bengasi hanno scacciato le forze del generale Khalifa Haftar dalla maggior parte della Mezzaluna petrolifera dove peraltro proseguono i combattimenti. Sempre secondo il portale di notizie Libya Observer, la guardia degli impianti petroliferi (Pfg), che risponde al consiglio presidenziale libico del premier designato, Fayez Al Sarraj, ha preso il controllo dei terminal petroliferi di Ras Lanuf e Sidra. La guardia degli impianti petroliferi avrebbe sottratto alle brigate di difesa di Bengasi il controllo dei terminal. In Francia i giudici danno ragione ai genitori della bimba di sedici mesi in coma Marwa non deve morire Manifestazione a Marsiglia a sostegno della piccola Marwa (Afp) Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore segretario di redazione e la mia figlia maggiore sono state spogliate dai soldati. Non riesco a dire altro e mia moglie non ha ancora superato quel trauma a distanza di anni». Mentre Thimothe parla sua moglie gli siede accanto, al ricordo della detenzione muove nervosamente la mani, ha lo sguardo fisso a terra. Sembra spaesata. «Quando abbiamo deciso di raggiungere la Libia — dice ancora — non ho mai pensato di mettere in pericolo la vita della mia famiglia su un barcone per attraversare il Mediterraneo, io avrei voluto trovare un lavoro, un posto a scuola per i miei figli, una casa decente e fare tutto il necessario per ottenere i documenti e arrivare legalmente in Tunisia. Ma la Libia è fuori controllo e il nostro destino è incastrato alle sorti di questo stato». Dal 2014 il caos politico e militare non sembra trovare una soluzione. In Libia ci sono attualmente tre governi e centinaia di milizie armate contrapposte. Gli scontri armati sono all’ordine del giorno. Come i rapimenti. Il denaro contante è un miraggio e le code alle banca per ottenere un po’ di soldi sono lo specchio della rabbia e contemporaneamente della rassegnazione del paese. Thimothe lavora come aiutante in un’officina meccanica. Il suo datore di lavoro lo ospita in un piccolo appartamento. La casa è fredda, la stufa è accesa nell’unica camera da letto, dove tutti e cinque dormono assieme. Il frigorifero è vuoto. Thimothe ha una forte dignità, ma è povero e non ha vergogna di dirlo. «Vorrei fare molto di più, ma non posso e non chiederò mai ai miei figli di lavorare per portare soldi in famiglia. Conosco troppe storie disperate di bambini e bambine sfruttate. Non importa essere poveri, importa che i miei figli mantengano la purezza dell’infanzia che il destino sta cercando di rubare loro». Christelle è la figlia maggiore di Thimothe. Ha grandi occhi scuri e un sorriso gentile. «Per noi che abbiamo la pelle scura — dice — la vita in Libia è molto difficile. All’inizio, tre anni fa, a Tripoli eravamo aiutati stanza negli studi. Poi il viaggio, la violenza, il buio. «Nella prigione i soldati non ci davano acqua e cibo a sufficienza, hanno separato me, mia madre e mia sorella da papà e da nostro fratello. L’umiliazione che abbiamo subito non riuscirò mai a dimenticarla. Mi sono sentita sola e disperata. Ero piccola, guardavo mia madre piangere, mia sorella piangere e pregavo Dio che ci facesse uscire vivi». Le parole della giovane Christelle sono spesso interrotte dalla commozione, accanto a lei su un materasso a terra sono seduti sua sorella e suo fratello. Condividono ricordi troppo pesanti per dei bambini. «Siamo stati fortunati a uscire di prigione — afferma — ma non riusciamo a lasciare il paese ed è come essere detenuti di nuovo. Perché non possiamo uscire di casa. Non possiamo studiare. Non abbiamo parenti e non abbiamo amici. Il solo nostro conforto è essere in tre, poter condividere ricordi ed emozioni, ma ci sentiamo molto soli e vorremmo che il mondo non dimenticasse tutte le vite sospese in Libia», «I bambini di Timothe — dice Ghassan Khalil, rappresentante speciale di Unicef in Libia — sono privati del loro diritto all’istruzione. Quando ho parlato con Christelle, lei mi ha descritto il suo amore per la scuola e quanto le manchi studiare. A ogni bambino deve essere garantito il diritto allo studio e tutti noi dobbiamo impegnarci e trovare una soluzione per le migliaia di bambini intrappolati in Libia». Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale PARIGI, 9. La piccola Marwa non deve morire. In Francia, il consiglio di stato ha infatti respinto ieri la richiesta delle autorità sanitarie locali di interrompere i trattamenti di Marwa Bouchenafa, la bambina di sedici mesi colpita da un virus fulminante, incosciente, paralizzata e mantenuta in vita artificialmente in un letto d’ospedale a Marsiglia. Un complesso e doloroso dilemma che ha commosso e diviso la Francia e su cui erano chiamati a esprimersi, in modo definitivo, i massimi vertici giurisdizionali di Parigi. Il verdetto del consiglio di stato è risultato positivo per i genitori, uniti nel chiedere di proseguire i trattamenti, contrariamente al pa- Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 rere dei medici, che invece erano ricorsi in tribunale per imporre di staccare la spina. Per Marwa — sostiene infatti l’équipe sanitaria — «non c’è più nulla da fare e ogni ulteriore tentativo sarebbe irragionevole ostinazione». Ma i giudici dell’alta corte hanno sentenziato che i trattamenti devono continuare. Secondo il consiglio di stato, le cure prestate a Marwa non si possono, infatti, considerare, al momento, un «accanimento irragionevole». La sentenza si fonda su due elementi: in primo luogo un miglioramento dello stato di coscienza della bimba e in secondo luogo il parere dei genitori, che si sono sempre opposti all’ipotesi di farla morire. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 10 marzo 2017 pagina 3 Dopo l’attacco terroristico all’ospedale militare Si aggrava il bilancio delle vittime a Kabul L’Onu condanna i lanci di missili balistici di Pyongyang NEW YORK, 9. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato ieri — all’unanimità — una dichiarazione che «condanna con forza» gli ultimi lanci di missili balistici da parte del regime comunista di Pyongyang, che rappresentano una «grave violazione degli obblighi internazionali della Corea del Nord secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite». I membri del Consiglio di sicurezza hanno espresso «seria preoccupazione per il comportamento sempre più destabilizzante» della Corea del Nord, ribadendo la necessità di mantenere la pace e la stabilità nella penisola coreana e nella regione. I Quindici hanno anche convenuto che continueranno a monitorare la situazione «adottando ulteriori misure significative». I membri del Consiglio di sicurezza hanno poi invitato tutti gli stati a «raddoppiare gli sforzi per attuare pienamente le misure imposte su Pyongyang». «Nel 2016 la Corea del Nord ha condotto due test nucleari e 24 lanci di missili balistici, nel 2017 ci sono stati diversi lanci di missili balistici. Questo non è normale ed è qualcosa su cui il mondo deve porre attenzione»: lo ha sottolineato l’ambasciatore statunitense all’Onu, Nikki Haley, al termine della riunione a porte chiuse del Consiglio di sicurezza. «Non è qualcosa che possiamo prendere alla leggera — ha aggiunto il rappresentante di Washington — Ogni paese è in pericolo per le azioni della Corea del Nord». Gli Stati Uniti stanno rivedendo la loro politica sulla Corea del Nord dopo le ultime provocazioni del regime di Pyongyang e assicurano che «tutte le opzioni sono sul tavolo» per rispondere al regime. «Non escludiamo niente», ha avvertito ancora l’ambasciatore Nikki Haley, che si è detta scettica a proposito delle possibilità di dialogo con il governo di Kim Jong-un, a causa del suo comportamento «irragionevole» dopo gli ultimi test missilistici. Il segretario di stato americano, Rex Tillerson, sullo sfondo della crisi innescata dagli ultimi lanci missilistici nordcoreani dopo le visite a Tokyo e a Seoul, il 18 marzo sarà a Pechino, allarmata dalla decisione di Washington di installare sistemi di difesa antimissilistici che a suo avviso minacciano la sicurezza della Cina. KABUL, 9. È salito a 49 morti e 76 feriti il bilancio ufficiale delle vittime dell’attacco di ieri all’ospedale militare di Kabul. Lo ha confermato stamani il portavoce del ministero della salute afghano, Qamaruddin Sediqi. «Tra le vittime ci sono medici, infermieri, pazienti e dipendenti della struttura — ha precisato il portavoce — e fra i feriti 10 persone versano in gravi condizioni». L’attacco contro il principale ospedale militare di Kabul — in una delle zone più sorvegliate della capitale afghana, vicino a uffici governativi e ambasciate — è stato rivendicato dal cosiddetto stato islamico (Is). Ieri pomeriggio, dopo sette ore di battaglia, il portavoce del ministero dell’interno annunciava l’uccisione dei quattro terroristi responsabili della strage. L’ospedale militare era già finito nel mirino nel maggio del 2011, ma quella volta erano stati i talebani a mettere la firma sull’attacco. Unanimi le condanne che hanno accomunato il presidente Ashraf Ghani, il coordinatore del governo, Abdullah Abdullah, il comandante condizioni sono apparse più serie, sono state trasferite nell’ospedale civile di Shiberghan, capoluogo della provincia di Jawzjan, meglio attrezzato per le emergenze. Infine, il Pakistan ha nuovamente chiuso ieri sera la sua frontiera con l’Afghanistan dopo una “apertura umanitaria” di due giorni che ha permesso il transito, nei due sensi, di 55.000 persone, in maggioranza afghani, che erano rimaste bloccate da settimane. Un responsabile della sicurezza pakistana ha confermato ai media che «la frontiera è di nuovo chiusa a tempo indeterminato». Nelle 48 ore di apertura della frontiera è stato autorizzato solo il transito di persone a piedi, e non quello degli automezzi che continuano a rimanere bloccati in attesa di una soluzione del contenzioso pakistano-afghano. Islamabad ha deciso la chiusura dei due passaggi di confine di Chaman e Torkham il 16 febbraio scorso a seguito di attentati terroristici realizzati in Pakistan da militanti venuti e poi nuovamente rifugiatisi in Afghanistan. Posto di blocco a Kabul vicino all’ospedale attaccato dall’Is (Ap) Terzo mandato quadriennale L’iter della legge contro l’Obamacare Amano riconfermato direttore dell’Aiea Partenza in salita VIENNA, 9. Yukiya Amano guiderà l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) per altri quattro anni, secondo quanto hanno deciso ieri a Vienna gli stati membri dell’organizzazione. Confermato per il terzo mandato, il sessantanovenne diplomatico giapponese avrà in particolare il compito di controllare il rispetto da parte dell’Iran dell’accordo sul programma nucleare entrato in vigore lo scorso anno. Anche se Amano non è stato coinvolto direttamente nelle trattative, lui e il suo team hanno lavorato con il gruppo cinque più uno (i paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina; più la Germania) e con l’Iran per arrivare a un accordo con Teheran ridimensionando il suo programma nucleare e imponendo una serie di severi controlli da parte dell’Aiea. Il direttore generale dell’Aiea Yukiya Amano (Reuters) Deficit per la bilancia commerciale cinese PECHINO, 9. Bilancia commerciale cinese in deficit, a febbraio, per la prima volta da tre anni. Nel mese scorso, le importazioni hanno registrato un deciso balzo, mentre le esportazioni hanno rallentato più del previsto la loro crescita, a causa di una debole domanda estera. Secondo i dati diffusi dall’amministrazione generale delle dogane di Pechino, in termini di valore, l’import ha mostrato un progresso del 44,7 per cento su base annua, molto più ampio delle stime che indicavano un più 23,1 per cento e dopo la crescita di gennaio che ha registrato una crescita del 25,2 per cento. Le esportazioni sono invece cresciute soltanto del 14,6 per cento. Di conseguenza, la bilancia commerciale cinese a febbraio ha visto un saldo negativo di 60,4 miliardi di yuan rispetto all’atteso surplus di 172,5 miliardi. Gli economisti sotto- della missione Nato, John Campbell, la Missione Onu in Afghanistan, la Croce rossa e il Pakistan, che hanno sottolineato la crudeltà e lo spregio del diritto umanitario di chi ha colpito un ospedale, massacrando civili e personale medico. E, intanto, oltre 80 studentesse e tre insegnanti di una scuola della provincia di Faryab (Afghanistan settentrionale) sono state ricoverate in ospedale ieri, quando nel mondo si celebrava la giornata internazionale della donna, a causa di preoccupanti sintomi di avvelenamento causato da una imprecisata sostanza gassosa. Lo riferisce l’agenzia di stampa New Afghan Press (Nap). L’incidente è avvenuto nella scuola femminile Sayed Barkatullah del distretto di Qurghan, e il responsabile amministrativo della città, Eng Akbar, ha dichiarato al riguardo che «non è chiaro quale sia la sostanza usata né chi è dietro a questa operazione». Da parte sua il direttore del dipartimento della pubblica istruzione di Faryab, Ghulam Sakhi, ha aggiunto che sette studentesse, le cui lineano, tuttavia, come questo risultato vada preso con cautela, dal momento che si riferisce al mese in cui cade il capodanno cinese, periodo che vede un’interruzione delle attività nelle fabbriche e nei porti e la crescita commerciale su base annua è altamente volatile. In prospettiva, la domanda estera dovrebbe rimanere abbastanza forte nel corso dei prossimi trimestri e dovrebbe continuare a supportare le esportazioni ed è dubbio il fatto che possa essere sostenuto l’attuale tasso di crescita delle importazioni. Quest’anno la Cina punta a raggiungere l’obiettivo di una crescita del 6,5 per cento contro un’espansione del 6,7 per cento registrata nel 2016. Le riserve cinesi in valuta estera hanno invece segnato a febbraio il primo rialzo, anche se leggero, da giugno 2016, secondo i dati della Banca centrale. WASHINGTON, 9. Parte in salita negli Stati Uniti l’iter della legge presentata dalla leadership repubblicana alla camera dei rappresentanti per rimpiazzare l’Obamacare, la riforma sanitaria voluta dall’ex presidente, Barack Obama. Il nuovo provvedimento è osteggiato non solo dai democratici in congresso, inermi perché in minoranza, ma anche dall’ala più consevatrice del Gop (Grand old party), che la considera un riforma «troppo leggera». Anche alcuni moderati hanno manifestato scetticismo. Il presidente, Donald Trump, che ha definito «meraviglioso» il piano di rimpiazzo dell’Obamacare, incontrerà oggi la leadership del conservatori, mentre lo speaker della camera, Paul Ryan, assicura di avere i numeri per fare passare la legge che, ha dichiarato, «è quello che i repubblicani auspicavano». Il piano dovrà passare il vaglio delle commissioni della camera Ways and Means (che ha la giurisdizione sulle tasse) ed energia e commercio, che supervisiona le questioni legate alla sanità, prima di essere votato dall’assemblea dei deputati e poi dal senato dove la maggioranza dei repubblicani è più ristretta. Il nuovo provvedimento — ricordano gli analisti — elimina l’obbligo di essere tutti assicurati e sostituisce i sussidi pubblici legati al reddito con un sistema di crediti fiscali fissi compresi da 2000 e 4000 dollari per consentire l’acquisto di assicurazioni private. «Mantiene i sussidi dell’Obamacare, ma li denomina crediti rimborsabili, ha attaccato il senatore repubblicano Rand Paul, che capeggia la cordata dei Tea Party che reclama la totale cancellazione della riforma sanitaria di Obama. Tra i moderati Gop, serpeggiano preoccupazioni sui tagli a Medicaid, il programma di copertura assicurativa per i poveri, che gli stati potrebbero decidere di accantonare in assenza di aiuti federali. Tra questi, i senatori Rob Portaman e Lisa Murkowski che sottolineano il ri- schio che i cambiamenti previsti per Medicaid «comportino un minor accesso ai servizi di cure salvavita». Intanto, l’ex governatore repubblicano dello Utah, Jon Huntsman, ha accettato l’offerta di Trump di diventare ambasciatore statunitense in Russia. Se la nomina sarà confermata dal senato, Huntsman sarà il diplomatico di più alto profilo dell’amministrazione Trump proprio mentre imperversa il “Russia-gate”, per i legami sospetti tra l’entourage del presidente e Mosca, sui quali sono scattate una serie di indagini. Cia e Fbi seguono la pista interna dopo le rivelazioni di WikiLeaks WASHINGTON, 9. La fuga di informazioni che ha scatenato il cosiddetto “Ciagate” non sarebbe stata causata da hacker di una potenza straniera, ma molto probabilmente da un dipendente o un contractor interno. Lo affermano fonti inve- stata possibile l’ennesima fuga di informazioni, una delle più massicce della storia, con oltre 8000 documenti top secret dati in pasto al mondo intero. Ma la grande preoccupazione, dopo le rivelazioni di WikiLeaks, è per i codici se- Aumenta il numero delle donne detenute in Messico CITTÀ DEL MESSICO, 9. In un paese come il Messico — segnato da ripetute violenze dei vari gruppi criminali che si contendono il traffico di sostanze stupefacenti — la discriminazione contro le donne si vede anzitutto nelle prigioni, dove la popolazione femminile si è più che duplicata nello scorso decennio. Questa la denuncia in occasione, ieri, della giornata internazionale per i diritti delle donne. Secondo cifre rese note da Saskia Niño de Rivera, dirigente dell’organizzazione non governativa Inserta, che si occupa, appunto, delle condizioni di vita nelle carceri, nell’arco di dieci anni — dal 2007 al 2017 — in Messico il numero di donne dietro le sbarre è aumentato del 136 per cento. «Principalmente — ha indicato in una nota ripresa dalle agenzie di stampa internazionale — perché i giudici tendono a infliggere pene meno pesanti agli uomini». A questo si deve aggiungere che l’80 per cento delle prigioni del paese sono miste, a volte perfino con donne e uomini che dormono negli stessi spazi, il che — secondo l’accusa della dirigente di Inserta — favorisce «la prostituzione e gli abusi e la mancanza di un’attenzione specifica per i problemi femminili, come la maternità e la cura dei figli». In un recente rapporto della commissione nazionale per i diritti umani del 2014, si segnala, inoltre, che le donne sono le prime vittime dei cosiddetti “governi paralleli”, che, di fatto, gestiscono i centri di reclusione, spesso collegati con organizzazioni criminali. «E la corruzione e l’impunità che esistono nel sistema carcerario non aiutano a migliorare la situazione», ha concluso. Il quartier generale della Cia in Virginia (Afp) stigative al «The New York Times», spiegando come l’Fbi è pronta a interrogare chiunque abbia avuto accesso ai documenti rubati. Si tratta di centinaia di persone, probabilmente oltre mille. Il sospetto è che ad agire sia stato un contrattista che ha operato da un server esterno alla Cia. Ma nessuna pista viene al momento esclusa. Sul caso è stata aperta un’indagine federale e l’agenzia di intelligence sta lavorando alacremente insieme all’Fbi per capire come sia greti che potrebbero essere stati trafugati dai sistemi informatici dell’agenzia di Langley. Codici in grado di svelare ancor di più come vengono compiute e con quali strumenti le operazioni di spionaggio dell’intelligence statunitense. La Cia ha rifiutato di commentare l’autenticità dei documenti d’intelligence diffusi da WikiLeaks. Rivelazioni, ha affermato un portavoce della Cia, che mirano a danneggiare la capacità di proteggere l’America contro i terroristi. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 venerdì 10 marzo 2017 Joseph Fiennes in una scena del film «Lutero» (Eric Till, 2003) Critica a Lutero in nome della mistica di SERGIO MASSIRONI cinquecento anni dalla Riforma protestante, quella di Marco Vannini è una voce fuori dal coro. Ed ecco Contro Lutero e il falso evangelo, (Firenze, Lorenzo de’ Medici Press, 2017, pagine 112, euro 12) il libro con cui si propone di rovinare la festa, non senza stimoli per la riflessione di tutti. «Mentre il mondo laico saluta in Lutero il fondatore di quell’individualismo di cui vive, le Chiese celebrano in lui un cristianesimo del mero sentire, senza spirito e senza verità». L’autore ha ben chiaro ciò che evangelo non è. Come il titolo lascia intuire, la sua non è ricerca, ma polemica. Vannini ha trovato: «L’evangelo è l’annuncio del Bene, della luce, presente in noi stessi. Non è il rimando a una esteriorità teologica». Duemila anni vengono tagliati col bisturi di un’unica idea: «Dalla filosofia, dalla più alta saggezza, abbiamo appreso che la nostra vera natura è spirito». All’evangelo non occorre alcu- Una voce fuori dal coro A Il Vangelo divinizza perché sorprende Incarnazione e risurrezione scolpiscono la nuova percezione che ciascuno ha di se stesso degli altri e del destino na rivelazione; Gesù stesso incarna una sapienza universale, che nel pensiero greco ha la massima espressione. «Chi può dire, come Cristo, “Io e Dio siamo una cosa sola”, “Io sono la luce”, “Io sono la verità”, solo costui può a buon diritto parlare di evangelo». Invece, il desiderio della salvezza nega che chi vorrà salvare la propria vita la perderà. Il Nuovo Testamento è fatto a pezzi, perché ne emerga il Gesù voluto, predicatore del distacco da sé oscurato dai teologi, Paolo in primis. «L’uomo distaccato abbandona il pensiero di Dio-altro, di Dio-ente, (“Prego Dio che mi liberi da Dio”), e sta nell’Uno, tanto da non pensare e nemmeno esprimersi facendo riferimento a Dio e al divino come a un qualcosa di a sé stante, diverso e separato dall’uomo e dall’umano, dalla natura e dalle cose del mondo». Vannini annuncia la buona notizia: «Senza Dio, senza questo supremo appiglio e legame, si è finalmente liberi». Di conseguenza, Lutero diventa un nemico, come gli autori dei due Testamenti e in generale tutto ciò che è ebraico. Il volume sprigiona un antigiudaismo non più usuale dopo le tragedie novecentesche: «Nell’esperienza della morte dell’anima, del piccolo ego, Gesù rigetta Mosè e la sua Legge, prende le distanze dagli ebrei, bugiardi e figli del demonio, padre della menzogna (i quali, peraltro, lo ricambiano pienamente, odiandolo e cercando di farlo morire) e proclama la sua eternità (...) Il dio platonico è l’opposto di quello biblico». Per l’autore il problema consiste «nel fatto che la buona novella nei vangeli è ancora intrisa della mitologia giudaica, fondata sull’alterità di Dio, ed è perciò mescolata con quella cattiva», sebbene il lieto annuncio traspaia particolarmente in Giovanni, «intriso di filosofia greca e libero dal dualismo biblico». Vannini dichiara guerra alle Scritture, e così alla Riforma, radicalizzando l’opposizione letteraspirito, per deplorare come i testi sacri siano accomunati nell’identica menzogna: il rafforzamento dell’ego tramite l’appropriazione di un valore assoluto. Si scambia per divino ciò che è psichico: il sentimento al posto dello spirito. «Ciò è evidente al massimo grado in Lutero, in cui la fede è la credenza, la certezza psicologica che Gesù Cristo ha preso e prende su di sé il peccato dell’uomo e lo giustifica, lo salva. Di questa invenzione è chiaro l’utile: siamo liberi di fare quel che si vuole, dato che Cristo “ricopre” i nostri peccati, alla sola condizione che si “creda” in lui. Credendo di essere giustificati sola fide se ne va ogni virtù, ogni valore bollato come presunzione, vanità, ma soprattutto se ne va la verità». Così, «queste assurdità vanno difese negando la ragione, avvilendola come incapace e presuntuosa e, con un rovesciamento ipocrita, esaltando al suo posto la presunta fede. V’è in ciò una violenza implicita e ineliminabile». Per Vannini, Lutero è «un campione di violenza, uno dei più grandi bugiardi della storia delle religioni che, pure, di bugie è intessuta». Occorre riconoscere all’autore la capacità di accendere i riflettori su elementi sempre più rimossi della personalità di Lutero. L’urto con la veemenza e le contraddizioni intellettuali e morali del riformatore trattiene il lettore di oggi dal farne ingenuamente un santo, imponendo una lettura del passato che dalle scomuniche non scivoli nell’idealizzazione. Pur con discutibili intenti, Vannini ci riconsegna una storia in cui volgarità, miseria e calunnie hanno lacerato la Chiesa e scatenato repressione e barbarie. Su un punto la memoria si fa severa: «Questo continuo sciacquarsi la bocca con la “parola di Dio”, che è poi quella a piacere di ciascuno, è il tratto veramente insopportabile di Lutero e dei suoi seguaci». Il volume documenta un uso strumentale, delirante, del testo sacro: un parlare vanamente in nome di Dio che sarebbe nel codice genetico di ogni rivelazione. Paradossalmente, l’autore assorbe i tratti del suo avversario: «La Scrittura serve a Lutero a dimostrare quel che vuol dimostrare (...) Lutero aveva predicato il libero esame, ma in realtà l’esame valido era uno solo: il suo». Vannini rischia di fare lo stesso. Ci importa, però, la gravità della tentazione. È possibile smentire l’equazione rivelazione-violenza? Esiste un rapporto non idolatrico con testi che documentino il sorprenderci, il “prenderci da sopra” di Dio? Sono domande che la teologia deve trattenere. Il volume esalta la corrente mistica che, come un fiume carsico, attraversa la storia del cristianesimo. Contro Lutero, «il mistico pensa che la Parola di Dio non si oda ascoltando la Bibbia, leggendo la Scrittura, ma facendo il vuoto interiore, il silenzio». Tuttavia, quante delle figure evocate sottoscriverebbero l’idea che un Dio che parla è ingenua superstizione? «Dio non parla, non proferisce parole: se è Parola, è Parola non pronunciata, vera non quando la si ascolta, ma quando la si proferisce. Può farlo solo chi diventa ed è quella Parola». Diventare Dio: la deificazione dell’essere umano non è univocamente riducibile al panteistico «Tutto è Uno». Il linguaggio del- l’amore e dell’unione estatica viene da Vannini schiacciato sul piano teoretico, l’unico degno di definirsi spirituale giacché la verità pertiene all’intelletto, fuori dal quale solo psichismo e sentimento. Cade così ogni differenza ontologica. Per quanto sia effettiva la tensione tra Scolastica e neoplatonismo, tra istituzione e mistica, separare certi autori dall’ortodossia è operazione anacronistica, ideologica, concepibile solo a posteriori. Tre provocazioni risultano tuttavia salutari. Anzitutto, leggiamo, «col protestantesimo la menzogna ha preso la veste laica della coscienza e a stabilire i valori non sono più i preti ma gli psicologi, che svolgono la stessa funzione alienante dei teologi, in quanto offrono alimento all’ego e alla sua affermatività». Tra spiritualità e psicologia, effettivamente, permangono separatezza o confusione, spesso ai danni della prima. Il problema è che «i contenuti psicologici sono sempre tutti veri, insieme al loro contrario, e così si può speculare sulla sofferenza di tanti»: che cosa ha da dire il cristianesimo su questo? Quale interiorità le Chiese coltivano nei fedeli? Con quali strumenti? Ed ecco la seconda provocazione: «Con la moderna secolarizzazione e il progressivo regresso delle Chiese cristiane verso la matrice ebraica, oggi prevale la “buona” novella di carattere sociale: emancipazione dei poveri, liberazione degli oppressi, instaurazione di una società giusta e felice. Il regno dei cieli si è così trasferito sulla terra e, in parallelo, il lieto annuncio della vita beata in paradiso è diventato quello di una comunità giusta e felice sulla terra». Davvero è così? Ci può essere ecumenismo senza percezione del “non ancora”, quindi della relatività di tutte le configurazioni storiche del pensiero e della convivenza? La matrice ebraica, contrariamente alle convinzioni di Vannini, è intessuta di attesa, di vuoto, grazie alla differenza e alla non manipolabilità di Dio. Quale escatologia, allora? Infine, in un mondo deturpato da muri e disuguaglianze, come rispondere a un autore che afferma: «È nel distacco che si fa esperienza della vacuità di quel mero susseguirsi di sensazioni, volizioni, pensieri, che solo per una sorta di praticità linguistica riportiamo a un soggetto, a un io»? Per Vannini, pensare «Sono io che agisco» è possibile solo a menti offuscate. Il cristianesimo fonda invece così la responsabilità, che induce anche a decise inversioni di rotta. Alle Chiese il compito di documentare come la deriva individualistica sia, non da oggi, agli antipodi dell’ortodossia. Vannini con l’io rigetta il corpo, il determinato, il contingente: «Io non sono questo individuo tangibile e che cade sotto i sensi, ma un essere ben lontano dal corpo, senza colore e senza forma, che nessuna mano può toccare e che solo il pensiero può cogliere». Noi Trento Longaretti, «Strano cielo sui viandanti» (2009) pensiamo diversamente. È vero: il vangelo supera Lutero stesso e non solo copre i peccati, ma trasforma chi dimentica se stesso in Colui che incontra. Divinizza, ma perché sorprende. Incarnazione e risurrezione scolpiscono la nuova percezione che ciascuno ha di sé, degli altri, del destino. Per i settant’anni di Lucky Luke Borges e il senso del drago Una delle tavole di Maurizio Quarello trasformate in immagini pop-up «Ignoriamo il senso del drago — scriveva Jorge Luis Borges nel Manuale di zoologia fantastica scritto con Margarita Guerrero nel 1957 — come ignoriamo il senso dell’universo; ma c’è qualcosa, nella sua immagine, che s’accorda con l’immaginazione degli uomini; e così esso sorge in epoche e latitudini diverse; è per così dire un mostro necessario». La Biblioteca nazionale centrale di Roma — in collaborazione con CoopCulture e la Galleria Tricromia, con il patrocinio dell’Ambasciata della Repubbblica Argentina, Casa Argentina e l’Istituto Italo-Latino Americano — rende omaggio al Manuale e al suo autore con una mostra, aperta fino al 31 marzo. In «Borges, bestie, carte. Una mostra di zoologia fantastica», allestita a cura di Luca Arnaudo, le tavole a matita dell’illustratore Maurizio Quarello sono state trasformate in pop-up da Luigia Giovannangelo. In occasione dell’iniziativa sono state pensate attività didattiche e di animazione culturale: il 17 marzo Maurizio Bettini, direttore del Centro antropologia e mondo antico dell’università di Siena, parlerà di fantasia e mostri, dal nostro più remoto passato ai giorni nostri, cercando di rispondere alla domanda più semplice e più affascinante che le creature fantastiche pongono agli studiosi di mitologia: per quale motivo la fantasia simbolica e narrativa di tante culture ha inventato esseri ibridi, smisurati, inauditi? Anche il drago ha un senso, anche se non sappiamo ancora quale sia. Copertina della nuova edizione del fumetto Le avventure del cowboy solitario più famoso del Far West riprendono vita sotto la matita di Guillaume Bouzard. Per i suoi settant’anni, l’uomo che spara più veloce della sua ombra torna in libreria col nuovo album omaggio Jolly Jumper ne répond plus (“Jolly Jumper non risponde più”, Parigi, Dargaud, 2017, pagine 48, euro 13,99). Questa volta Lucky Luke è molto preoccupato: il suo fedele ronzino Jolly Jumper ha deciso improvvisamente di non rivolgergli più la parola. Il cowboy si confida con il magistrato che lo ha convocato per un motivo urgente — i guai causati dai fratelli Dalton in prigione — il quale gli consiglia di «rinnovare il suo guardaroba» e di aprire una nuova via di dialogo. Pur riproducendo fedelmente tutti gli ingredienti del fumetto immaginato dal disegnatore belga Morris nel 1946, l’album assume accenti caricaturali, spesso grotteschi, per uno stile volutamente burlesco: «Volevo — ha spiegato Bouzard in un’intervista a BFMTv — che Lucky Luke apparisse davvero. Rivolgo un piccolo omaggio ai Monty Python in questo fumetto. Volevo far vedere un Lucky Luke diverso, attraverso un umorismo sfrenato. Credo che sia stato lo scopo di questa prima tavola: far vedere che potevo permettermi di tutto». L’album si inserisce nell’iniziativa commemorativa «Lucky Luke visto da...» e fa seguito alla versione di Thierry Bonhomme, L’uomo che uccise Lucky Luke, uscita nel 2016. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 10 marzo 2017 pagina 5 Edmond Manning, «Gesù chiama Zaccheo sull’albero» (2006) Gioia e letizia da Cicerone a Bergoglio L’importanza di un titolo di MARCELLO SEMERARO li incipit dei documenti magisteriali hanno sempre un certo valore simbolico. Non solo, però, in quei testi. Si pensi, ad esempio, per entrare nell’ambito della letteratura italiana, al celebre inizio dantesco «Nel mezzo del cammin di nostra vita», oppure al manzoniano «Quel ramo del lago di Como» che a molti studenti rimangono nella memoria per sempre. Il loro significato non è solo identificativo, G Benozzo Gozzoli «Il trionfo di san Tommaso d’Aquino» ma pure per molti aspetti sintetico, com’è — per fare un altro esempio, questa volta preso dall’arte musicale — l’attacco della Quinta di Beethoven: il tema del destino, come si dice comunemente, che poi si dipana nei quattro movimenti che compongono la sinfonia. Qualcosa del genere avviene anche per gran parte dei testi ecclesiastici, specialmente pontifici, conciliari e, spesso, anche di organismi della Santa Sede. Nel caso di Papa Francesco, già per Evangelii gaudium si sarà potuto notare l’ispirazione alla Evangelii nuntiandi di Paolo VI. In Amoris laetitia il titolo si muove sulla medesima onda: «La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa» (n. 1). Il veva Karl Rahner introducendo un suo libretto dal titolo Amare Gesù: «Le singole parole significano in primo luogo un invito a lasciare che quello cui esse alludono emerga dall’esperienza della propria vita e di qui ci venga incontro. Ognuno di noi può infatti affermare di capire parole come amore, fedeltà, pazienza ecc. non appena le ode. Però deve anche ammettere che capisce realmente tali parole solo colui che, udendole, raccoglie contemporaneamente le esperienze della propria vita con calma, con pazienza, con l’orecchio continuamente teso verso la propria esistenza, così come si raccoglie una chiara acqua sotterranea lasciandola lentamente sgocciolare in una bacinella. Soltanto chi legge in questo secondo modo (appena accennato) capisce realmente e legge con profitto». È forse per questa ragione che all’inizio dell’esortazione apostolica Amoris laetitia Francesco raccomanda: «Non consiglio una lettura generale affrettata. Potrà essere meglio valorizzata, sia dalle famiglie sia dagli operatori di pastorale familiare, se la approfondiranno pazientemente una parte dopo l’altra, o se vi cercheranno quello di cui avranno bisogno in ogni circostanza concreta. È probabile, ad esempio, che i coniugi si riconoscano di più nei capitoli quarto e quinto, che gli operatori pastorali abbiano particolare interesse per il capitolo sesto, e che tutti si vedano molto interpellati dal capitolo ottavo. Spero Rispetto a «gaudium» che ognuno, attraverso la lettura, si senta chiamato che come direbbe Cicerone a prendersi cura con amoè segnato da serenità e quiete re della vita delle famiglie, perché esse “non soe pur non distanziandosene no un problema, sono «laetitia» ha un di più di effervescenza principalmente un’opportunità”» (n. 7). Ciò premesso, persoQueste sottolineature lessicali aprono nalmente ritengo che per Francesco la la via a diverse riflessioni. Anzitutto che scelta della gioia quale via per entrare non è certo irrilevante il fatto che per la nella realtà grande dell’«amore nella faseconda volta in un documento magi- miglia» (come spiega il sottotitolo di steriale Francesco abbia scelto un “at- Amoris laetitia) sia teologicamente e spitacco” sul tema della gioia. Al riguardo ritualmente fondata. Teologicamente, si possono ricordare tre simili preceden- perché quello che caratterizza la religioti: il discorso di Giovanni XXIII per ne cristiana — potremmo tranquillamenl’apertura del concilio Vaticano II Gau- te dire giudeo-cristiana — è appunto la det mater ecclesia, “la madre Chiesa si gioia: «Vi annuncio una grande gioia» rallegra”; in secondo luogo la costitu- annuncia ai pastori l’angelo del Signore zione pastorale dello stesso concilio sul- (Luca, 2, 10). Il cristiano, per altro verla Chiesa nel mondo contemporaneo so, è colui che all’invito di Gesù risponGaudium et spes («le gioie e le speranze, de con la gioia, come Zaccheo (cfr. Lule tristezze e le angosce degli uomini ca, 19, 5-6). La scelta mi pare pure spirid’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore»); infine, l’esortazione apostolica Gaudete in Domino di Paolo VI (9 maggio 1975), della quale vale la pena riprendere almeno queste prime battute: «Facendo sorgere l’uomo entro un universo che è opera di potenza, di sapienza, di amore, Dio, prima ancora di manifestarsi personalmente mediante la rivelazione, dispone l’intelligenza e il cuore della sua creatura all’incontro con la gioia, nello stesso tempo che con la verità. Bisogna dunque essere attenti all’invocazione che sale dal cuore dell’uomo, dall’età dell’infanzia meravigliosa fino a quella della serena vecchiezza, come un presentimento del mistero divino». In tutte queste ricorrenze la gioia della Chiesa è caratterizzata dalla misericordia — «al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore», diceva Giovanni XXIII — ma anche gioia di condivisione per l’incontro con Cristo e pure dell’incontro in quell’humanum che ancora Paolo VI evocò il 4 ottobre 1965 parlando all’assemblea generale delle Nazioni Unite. La ripresa negli incipit da parte di Francesco può essere considerata come un rilancio di questi atteggiamenti della Chiesa. L’approccio alla realtà della famiglia mediante il rimando non a un concetto, oppure a un dato sociologico o istituzionale bensì a un sentimento fondamentale come la gioia, è da ritenersi esemplare. Per sottolineare il valore non solo teologico di questo approccio alla realtà della famiglia mediante il tema «Epistulae ad familiares» di della gioia, mi piace citare quanto scrititolo latino, però, fa ricorso alla parola laetitia. Nelle principali lingue occidentali essa è tradotta con gioia, joie, joy (italiano, francese, inglese), Freude (tedesco), alegría (spagnolo), alegria (portoghese). Queste ultime, in particolare, rendono meglio il senso della parola latina. Infatti, rispetto al termine gaudium (che, come direbbe Cicerone, è segnato dalla serenità e dalla quiete), e pur non distanziandosene, la parola laetitia ha un di più di effervescenza. Isidoro di Siviglia sottolinea nella presenza del dittongo ae il carattere di espansività e esultanza, di creatività e di fecondità proprio della laetitia. Anche per san Tommaso laetitia indica una gioia che quasi esplode dall’interno verso l’esterno e provoca come una dilatazione del cuore: laetitia dicit effectum gaudii in dilatatione cordis; unde dicitur laetitia quasi latitia: exultatio autem effectum ipsius in signis exterioribus, inquantum gaudium interius ad exteriora prorumpens, quodammodo exilit (“letizia significa l’effetto della gioia nella dilatazione del cuore; per questo si dice letizia (laetitia) come se fosse un allargamento (latitia): l’esultanza è poi il suo effetto nei segni esteriori, in quanto la gioia interiore, prorompendo all’esterno, in qualche modo salta fuori”, Super libros Sententiarum, lib. 3 d. 26 q. 1 a. 3 co.). tualmente fondata alla luce della formazione ignaziana del Papa. Gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio, infatti, altro non sono che una pedagogia per giungere alla verdadera alegría: una “gioia” che è il riflesso psicologico della comunione con Dio, della grata percezione di quanto egli opera nell’uomo e del fatto di sentirsi amato da Dio. L’espressione “Padre che mi vuole bene” è ricorrente nel linguaggio di Francesco. Un esempio potrà essere l’omelia di Santa Marta del 14 marzo 2016 a commento del salmo 22: «“Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce, rinfranca l’anima mia”. È l’esperienza del Signore che mi vuole bene e che è sempre accanto a me. Qualcuno, però, potrebbe obiettare: “Ma Padre, questo sembra una telenovela, perché ci sono tante cose brutte nella vita!”. Invece, da parte sua, il poeta del salmo continua: “Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome: anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male perché tu sei con me”». E all’Angelus del 26 febbraio scorso ha detto: «Al di sopra di tutto c’è un Padre amoroso che non si dimentica mai dei suoi figli: affidarsi a lui non risolve magicamente i problemi, ma permette di affrontarli con l’animo giusto, coraggiosamente, sono coraggioso perché mi affido al mio Padre che ha cura di tutto e che mi vuole tanto bene». In secondo luogo, la titolazione di Amoris laetitia mette in luce che il suo oggetto non è primariamente la famiglia, o il matrimonio. C’è già, ed è abbondante, un magistero pontificio sul matrimonio e sulla famiglia! Al riguardano, i numeri 67-70 richiamano gli ultimi interventi di questo tipo, a cominciare dal Vaticano II con Gaudium et spes (numeri 47-52), poi con l’Humanae vitae di Paolo VI, quindi con la Familia- ris consortio di Giovanni Paolo II e infine Benedetto XVI con la Caritas in veritate. D’altra parte la stessa Amoris laetitia dedica al sacramento del matrimonio i numeri 71-75, che costituiscono un passaggio certamente sintetico, ma denso e preciso. L’esortazione Amoris laetitia, però, ha un altro scopo. Lo troviamo dichiarato, in sintonia con i padri sinodali, al numero 200: «Si tratta di far sperimentare che il Vangelo della famiglia è gioia che “riempie il cuore e la vita intera” perché in Cristo siamo “liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento”». Domanda ultima dell’esortazione, dunque, è: come sarà possibile portare gioia nella famiglia? Francesco, con la sua esortazione apostolica quasi imita Gesù che dice ai discepoli: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Giovanni, 15, 11). Dov’è questa gioia? In tutte le realtà cui, anche se in modo appena abbozzato e perfino sfigurato, è possibile dare, o è dato, il nome di famiglia. Citando i vescovi del Cile, Francesco scrive: «“Non esistono le famiglie perfette che ci propone la pubblicità ingannevole e consumistica. In esse non passano gli anni, non esistono le malattie, il dolore, la morte [...]. La pubblicità consumistica mostra un’illusione che non ha nulla a che vedere con la realtà che devono affrontare giorno per giorno i padri e le madri di famiglia”. È più sano accettare con realismo i limiti, le sfide e le imperfezioni, e dare ascolto all’appello a crescere uniti, a far maturare l’amore e a coltivare la solidità dell’unione, accada quel che accada» (n. 135; cfr. n. 57). Al n. 76, citando prima la relatio synodi e poi Familiaris consortio, aveva scritto: «“Il Vangelo della famiglia nutre pure quei semi che ancora attendono di maturare, e deve curare quegli alberi che si sono inariditi e necessitano di non essere trascurati”, in modo che, partendo dal dono di Cristo nel sacramento, “siano pazientemente condotti oltre, giungendo ad una conoscenza più ricca e ad una integrazione più piena di questo Mistero nella loro vita”». Aggiungo, da ultimo, che insieme col dono della gioia, Amoris laetitia vuole incoraggiare all’espansività; ossia incoraggiare la famiglia a una gioia capace di essere generativa. Basta citare il n. Bisogna essere attenti all’invocazione che sale dal cuore dell’uomo dall’infanzia alla vecchiezza diceva Paolo VI Cicerone (manoscritto, 1547) 80, dove si legge che «fin dall’inizio l’amore rifiuta ogni impulso di chiudersi in se stesso e si apre a una fecondità che lo prolunga oltre la sua propria esistenza»; oppure il n. 94, dove Francesco cita sant’Ignazio di Loyola: «L’amore si deve porre più nelle opere che nelle parole» e lo commenta così: «In questo modo può mostrare tutta la sua fecondità, e ci permette di sperimentare la felicità di dare, la nobiltà e la grandezza di donarsi in modo sovrabbondante, senza misurare, senza esigere ricompense, per il solo gusto di dare e di servire». Al n. 165, poi, si legge: «L’amore dà sempre vita». Sono le parole che danno inizio al capitolo quinto, dedicato all’amore che diventa fecondo. Sembra di risentire san Tommaso: la letizia è la gioia quando si espande. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 venerdì 10 marzo 2017 Informazione pubblicitaria Si apre a Vicenza la rassegna internazionale Koinè Un punto di riferimento Un appuntamento strategico a livello europeo per il comparto religioso: è Koinè, l’evento organizzato da Italian Exhibition Group (nuova società nata dall’integrazione tra Rimini Fiera e Vicenza Fiera) che si apre l’11 marzo nel quartiere fieristico Fiera di Vicenza e che si svilupperà fino al 14 offrendo una particolare sinergia tra esposizione e spazi di riflessione, dibattito e formazione professionale. Nata nel 1989 per volontà della Fiera, della diocesi di Vicenza e della Conferenza episcopale italiana (Cei), la rassegna offre a cadenza biennale una vetrina espositiva e un’occasione di riflessione e dibattito dedicata alla liturgia e all’architettura degli edifici di culto di alto profilo, come dimostra la leadership che Koinè è riuscita a mantenere per qualità e numero di prodotti esposti, mostre, convegni e visitatori professionali nelle sue 17 edizioni. Nell’ultima, quella del 2015, ha registrato 13.000 ingressi, il 65 per cento dei quali provenienti dall’estero. Sempre capace di cogliere le questioni attuali e di svilupparle con il contributo scientifico più aggiornato, Koinè quest’anno affronterà in due giornate nazionali di confronto, nella parte dedicata alla ricerca, la valorizzazione delle chiese attraverso l’arte, la liturgia e la catechesi, e la manutenzione programmata delle chiese e dei complessi parrocchiali, illustrando modelli applicativi per le diocesi. I due seminari specialistici saranno dedicati all’illuminazione delle chiese, fra tutela, valorizzazione e innovazione tecnologica e all’acustica delle chiese, tra esigenze liturgiche e tecnologia. I programmi di questi eventi sono stati supportati dagli uffici e servizi della segreteria generale della Cei per i beni culturali. Allestite, inoltre, le mostre «Vasi sacri e oggetti per uso liturgico» — che avrà una prosecuzione ideale al Museo diocesano di Vicenza — e «Santini d’autore. Interpretazioni contemporanee per le immagini devozionali». Oltre 300 gli espositori presenti — tra aziende, artisti, artigiani, espressione del made in Italy e dell’eccellenza manifatturiera internazioSubito dopo l’inaugurazione di nale — cui s’aggiungoKoiné, alla presenza del Vescovo no i key player della di Vicenza, monsignor Beniamino distribuzione, i rapPizziol, e del vicepresidente presentanti del clero esecutivo di Ieg, Matteo europeo e gli addetti Marzotto, si svolgerà un incontro ai lavori nel settore con i rappresentanti delle diocesi della costruzione, terremotate del Centro Italia, nel dell’adeguamento e della manutenzione corso del quale gli espositori degli edifici di culto. offriranno doni in vista della «Koinè è il Salone ricostruzione delle chiese: più importante a livelparamenti liturgici, arredi per le lo europeo per il comaule di culto, immagini sacre, parto religioso», ha impiantistica. sottolineato presentando l’edizione di quest’anno Matteo Marzotto, vicepresidente esecutivo di Italian Exhibition Group. «Crediamo molto nel potenziale della manifestazione — ha aggiunto — nella quale continuiamo a investire anche grazie alla costruttiva collaborazione di autorevoli partner del mondo ecclesiastico». Koinè «è stata una felice intuizione dell’allora vescovo di Vicenza, monsignor Pietro Nonis, che fin dall’inizio — ha ricordato monsignor Francesco Gasparini, responsabile per i beni culturali della diocesi — collaborò con la Fiera e la Conferenza episcopale italiana». Attraverso Koinè, ha aggiunto, «è passato negli anni molto del rinnovamento della liturgia e dell’arte legata alla liturgia». Per quanto riguarda la parte espositiva, sono diversi i settori che la compongono nell’ambito delle aree «Chiesa&liturgia» e «Fede&devozione». La prima sezione è dedicata a prodotti e servizi per i luoghi di culto e le comunità religiose, cui si affiancano le più innovative soluzioni per la progettazione, il restauro e la manutenzione. La seconda sezione presenta l’offerta più completa e le novità della produzione internazionale di articoli e oggetti devozionali rivolta a distributori specializzati, santuari e altri operatori del settore. Solidarietà con i terremotati Le giornate di studio Come valorizzare lo straordinario patrimonio rappresentato dalle chiese e come, contemporaneamente, manutenere questa ricchezza attraverso una programmazione organizzata che contempli chiese e complessi parrocchiali? Sono le due sfide contemporanee attorno alle quali si concentreranno quest’anno le giornate di studio di Koinè Ricerca nell’ambito della manifestazione fieristica che si apre a Vicenza e che proseguirà fino al 14 marzo. Affiancata all’esposizione merceologica, la sezione dedicata alla ricerca scientifica fin dalla prima edizione di Koinè, nel 1989, ha offerto al mondo produttivo del settore un contributo di idee e proposte innovative, coinvolgendo architetti, designer e liturgisti. «La Conferenza episcopale italiana (Cei), attraverso i convegni organizzati nel corso degli anni qui a Vicenza — evidenzia monsignor Giancarlo Santi, presidente del comitato scientifico di Koinè — ha perseguito l’obiettivo di fornire stimoli per l’innovazione in accordo con la grande scommessa del Concilio Vaticano II del dialogo con la cultura contemporanea». Si comincia nella giornata d’apertura, con il convegno delle ore 9.45 «Conoscere, conservare, valorizzare il patrimonio religioso culturale» e nel pomeriggio, alle ore 14.30, con il seminario specialistico «L’illuminazione delle chiese tra tutela, valorizzazione e innovazione tecnologica». Contemporaneamente all’esigenza di adeguare le infrastrutture tecnologiche nelle chiese, si avverte la necessità della formazione di una cultura che interpreti correttamente i principi corrispondenti alle funzioni e ai significati che tali spazi rappresentano. I relatori vantano una ricca esperienza nel mondo dell’illuminazione, oltre ad avere sviluppato sul tema un vasto corpus di ricerche. Lunedì 13 marzo, alle 9.45 inizierà la giornata di studio dedicata alla valorizzazione delle chiese attraverso l’arte, la liturgia e la catechesi. Oltre a casi interessanti di animazioni ed eventi nelle chiese, saranno presentati dei modelli di lettura delle opere d’arte nei luoghi di culto. In contemporanea, si terrà il seminario specialistico su «L’acustica nelle chiese. Tra esigenze liturgiche e tecnologia». Il seminario affronta il tema dell’acustica delle chiese attraverso la presentazione delle linee guida della Cei. Martedì 14 marzo, alle 10, la giornata di studio verterà su «La manutenzione programmata delle chiese e dei complessi parrocchiali: modelli applicativi per le diocesi». «Il patrimonio degli edifici Tutela e valorizzazione Il patrimonio dei beni culturali ecclesiastici della Chiesa cattolica italiana, con le oltre 65.000 chiese censite, le tremila biblioteche, i 28.000 archivi parrocchiali e diocesani e i quattro milioni di oggetti consultabili in un archivio informatizzato, si trova al centro di un variegato sistema di scambi spirituali, culturali e non ultimo economici, considerando il rilievo che sta assumendo il turismo nelle città d’arte in Italia e in Europa. «Le molteplici sfaccettature del patrimonio immobiliare fanno comprendere la complessità che sottende ad attività correlate alla tutela, alla manutenzione, alla conservazione e, infine, alla valorizzazione. Tali attività dovranno sempre più essere interrelate e inserite in un unico grande scenario che ne contempli tutti gli aspetti», sottolinea don Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Conferenza episcopale italiana (Cei). La responsabilità della manutenzione e della gestione dei beni della Chiesa nei suoi diversi aspetti compete ai parroci, che da soli si trovano ad affrontare diversi problemi. Nelle attività legate alla manutenzione entrano in gioco anche le figure professionali (tecnici, ingegneri, architetti), figure che necessitano di un’attività formativa specifica. Inoltre, prosegue don Pennasso, «la complessità del tema manutenzione è facilmente intuibile se si considera solo l’ampia e variegata classificazione tipologica degli edifici di culto, le stratificazioni e gli interventi che essi hanno subito nel tempo, cui si sommano altri aspetti esterni come il rischio sismico di un territorio. Tutto questo deve fare i conti con l’aspetto economico che gli interventi comportano». Va da sé che «diventa inevitabile individuare una metodologia d’approccio condivisa che miri a razionalizzare le risorse». Condividere un percorso, informare più che uniformare è dunque il messaggio che la Cei vuole dare alle diocesi che affluiranno alla giornata di studio del 14 marzo a Vicenza sulla manutenzione programmata delle chiese e dei complessi parrocchiali. Il primo passo di tale manutenzione, anticipa don Pennasso, è «conoscere il patrimonio immobiliare della propria realtà». di culto serve alla chiesa per l’evangelizzazione, luoghi dove la gente può incontrarsi e dove si favorisce la coesione sociale» afferma don Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Conferenza episcopale italiana. «Un aspetto che è stato reso drammaticamente evidente con il terremoto del centro Italia e la distruzione di un numero ingente di edifici». In quest’occasione la Cei, con la collaborazione dell’arcidiocesi di Milano e del Politecnico, presenta due progetti significativi, seppur nati con obiettivi diversi, relativi al tema del seminario. Vasi sacri in mostra Vasi sacri e oggetti per uso liturgico, in particolare il calice, in dialogo con il sentire contemporaneo, a partire dalla riforma liturgica promossa dal concilio Vaticano II. È l’orizzonte che offre l’importante mostra che si apre negli spazi fieristici (padiglione 7) in concomitanza con Koinè, visitabile fino al 14 marzo. L’esposizione fa il punto sulla situazione in Europa, presentando una serie di proposte significative selezionate dal comitato scientifico di Koinè Ricerca, presieduto da monsignor Giancarlo Santi. «Con la riforma liturgica conciliare, per la celebrazione della Messa l’altare è stato posto al centro ideale dell’assemblea e in questo modo, a partire dalla liturgia eucaristica, il calice è posto sull’altare e rimane costantemente sotto gli occhi di tutti. Non è un caso, perciò — spiega monsignor Santi — che nei cinque decenni successivi al Concilio Vaticano II proprio al calice, spontaneamente, sia stata rivolta tanta attenzione da parte dei sacerdoti e dei fedeli». Analogamente a quanto è successo per i calici, l’intero mondo dei vasi sacri e degli oggetti usati per la liturgia ha conosciuto un ampio rinnovamento che presenta tratti comuni. In sintonia con questa mostra e in ideale prosecuzione di Koinè, nel cuore della città di Vicenza il Museo diocesano ospita dall’11 marzo fino al 28 maggio la mostra «Calici e pissidi nel tempo del Vaticano II (1955-1975). Ricerche e realizzazioni in area veneta». L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 10 marzo 2017 pagina 7 Per impedire la reintroduzione della pena di morte nelle Filippine I vescovi chiedono di mobilitarsi Migliaia di firme a sostegno del progetto di legge voluto dall’arcidiocesi di San Salvador In marcia per dire no alle miniere SAN SALVAD OR, 9. L’arcidiocesi di San Salvador si mobilita contro l’estrazione indiscriminata di metalli nel Paese, convocando per oggi una protesta davanti all’Assemblea nazionale per esigere l’approvazione di una legge al riguardo. Al termine della manifestazione (che partirà dal Parque Bolívar) — informa un comunicato citato dall’agenzia Efe — «verranno consegnati al Congresso vari elenchi con migliaia di firme raccolte a sostegno dell’iniziativa di legge per proibire l’estrazione di metalli in El Salvador». Alla protesta partecipano diverse organizzazioni e associazioni favorevoli alla proposta della Chiesa. Recentemente l’arcivescovo di San Salvador, José Luis Escobar Alas, il rettore dell’Università centroamericana, Andreu Oliva, il direttore dell’Istituto dei diritti umani dell’ateneo, José María Tojeira, e altri rappresentanti cattolici hanno presentato il progetto al Parlamento spiegando la necessità che venga approvato al più presto a causa delle gravi conseguenze per l’ambiente provocate dall’industria del settore. A fine febbraio gli abitanti del municipio di Cinquera, a settanta chilometri a nord-est della capitale, hanno respinto la realizzazione di miniere nel loro terri- torio attraverso una consultazione popolare. Il 98 per cento dei residenti ha votato contro lo sfruttamento minerario nel territorio municipale. In precedenza si erano espressi allo stesso modo gli abitanti di San José las Flores, San Isidro Labrador, Nueva Trinidad e Arcatao. Secondo l’arcidiocesi e le organizzazioni ambientaliste si tratta di un «chiaro segnale» alle commissioni parlamentari incaricate affinché approvino una legge che vieti lo sfruttamento indiscriminato dell’ambiente. Iniziative della Chiesa venezuelana Aiutare i più poveri CIUDAD BOLÍVAR, 9. Non si può rimanere indifferenti guardando la gente che rovista tra la spazzatura alla ricerca disperata di cibo. Sempre più persone sono costrette a farlo perché non hanno nulla da portare a casa per mangiare, nulla da mettere nella loro tavola. È quanto denuncia l’arcivescovo di Ciudad Bolívar, Ulises Antonio Gutiérrez Reyes, in merito alle scene di miseria quotidiana che avvengono in Venezuela. «E non mi riferisco solo ai senzatetto o ai mendicanti — ha precisato il presule — ma a donne, uomini e bambini qua- lunque costretti a cercare cibo tra i rifiuti». L’arcivescovo ha ricordato che a Ciudad Bolívar, capoluogo del distretto di Bolívar, centinaia di famiglie vivono in condizioni drammatiche: «I salari sono diminuiti e i prezzi dei prodotti alimentari aumentati; è sempre più difficile riuscire a sfamare una famiglia. Questa realtà è deprimente, dolorosa, inquietante. Ci sono individui vicino ai supermercati e alle abitazioni alla ricerca disperata di cibo, all’interno dei sacchetti della spazzatura». Monsignor Gutiérrez Reyes ha Un provvedimento che minaccia le terre dei contadini Contro lo sfruttamento ambientale RANCHI, 9. I cristiani dello Jharkhand, stato dell’India centro-orientale, ricco di foreste e di risorse minerarie, si oppongono alla modifica di due leggi sulla proprietà terriera che rischiano di privare i tribali dell’uso delle terre. A difesa della comunità, il cardinale arcivescovo di Ranchi, Telesphore Placidus Toppo, ha guidato nei giorni scorsi una delegazione cristiana in visita a Draupadi Murmu, governatrice dello stato indiano, composto in maggioranza da contadini tribali. È stata espressa preoccupazione per le nuove norme che solo all’apparenza favorirebbero i contadini. «Gli emendamenti — ha spiegato il porporato — non portano beneficio al nostro popolo. Le norme condurranno a un esproprio delle terre». La diatriba, spiega Asia News, ruota attorno agli emendamenti a due leggi approvati dal Governo statale, guidato dal partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party. Il 23 novembre 2016 i parlamentari hanno dato il consenso alla modifica del Chotanagpur Tenancy Act e del Santhal Paragana Tenancy Act. Le modifiche annullano un precedente divieto ad acquisire le terre dei tribali imposto sia allo stato che agli individui. Tale bando tutelava e proteggeva le proprietà dei tribali, in maggioranza persone senza istruzione le cui terre sono l’unica fonte di reddito a garantire la loro sopravvivenza. Negli ultimi decenni, lo Jharkhand è stato ampiamente sfruttato dalle industrie nazionali e straniere, spesso a discapito dell’ambiente naturale. La deforestazione e le attività estrattive costituiscono una grossa minaccia per le numerose popolazioni tribali presenti sul MANILA, 9. La Camera «ha dato allo stato il permesso di uccidere»: lo ha dichiarato l’arcivescovo di Lingayen-Dagupan, monsignor Socrates B. Villegas, presidente della Conferenza episcopale filippina, dopo che la Camera dei rappresentanti ha approvato, alla terza lettura, il ripristino della pena capitale nella nazione per reati legati alla droga, in linea con la campagna del Governo contro i narcotrafficanti che ha già ucciso migliaia di persone. Sono esclusi i crimini che erano punibili in precedenza, come il furto, lo stupro o il tradimento. Martedì, durante la sessione plenaria della Camera, duecentodiciassette membri hanno espresso parere favorevole al progetto di legge che reintroduce la pena di morte, cinquantaquattro hanno votato no, mentre uno si è astenuto. Il provvedimento è stato promosso dall’al- territorio che, in molte occasioni, sono state costrette ad abbandonare i loro stili di vita tradizionali e a cercare altri mezzi di sostentamento. Sulla carta, gli emendamenti consentirebbero ai tribali l’utilizzo delle terre per scopi non agricoli, senza perderne il possesso. I cristiani però lamentano che con questo espediente si dà il via libera allo sfruttamento indiscriminato del territorio. Infatti, nel caso in cui i tribali si trovassero in condizioni di difficoltà economiche, sarebbero portati a vendere i terreni al miglior offerente. Secondo la Chiesa, nessuno, e tantomeno la legge in questione, garantisce che le proprietà dei tribali non saranno utilizzate per massimizzare i profitti di attività industriali o turistiche. Le popolazioni che da secoli abitano queste regioni — si legge in un comunicato della delegazione cristiana — rimarrebbero senza terre. «La vita delle nostre popolazioni — ha sottolineato il cardinale Toppo — è collegata in modo inestricabile alla foresta, alla terra e alle risorse naturali che le hanno sostenute per intere generazioni. Adesso è in pericolo la loro stessa esistenza. Il popolo tribale, già povero, rischia di perdere le sue piccole proprietà a discapito di progetti industriali e commerciali». sottolineato che il numero dei poveri cresce a ritmo sostenuto, confermando l’impegno dell’arcidiocesi di assistere tutti coloro che hanno bisogno di cibo e medicine. In occasione del mercoledì delle ceneri, è partita la tradizionale campagna «Compartir». L’iniziativa invita i fedeli venezuelani a condividere, appunto, la solidarietà attraverso diverse raccolte di fondi da destinare poi a progetti della Caritas nazionale, in aiuto dei più bisognosi. A Caracas ci sono parrocchie che distribuiscono quotidianamente seicento pasti. leanza che sostiene il presidente della Repubblica e capo del Governo, Rodrigo Duterte, e fortemente voluto da quest’ultimo. Adesso il progetto di legge passerà al Senato, assemblea composta da ventiquattro membri, in cui il partito del capo dello stato detiene la maggioranza. L’approvazione definitiva appare dunque scontata. La Chiesa cattolica nelle Filippine è «in lutto», hanno sottolineato i presuli, precisando di non sentirsi sconfitti. «Né potremo essere messi a tacere. Nel mezzo della quaresima — si legge in una dichiarazione dell’episcopato — ci prepariamo a celebrare il trionfo della vita sulla morte, e, mentre noi siamo addolorati perché la Camera ha votato per la morte, la nostra fede ci rassicura che la vita trionferà». I pastori richiamano i fedeli a una generale mobilitazione per manifestare «lo spirito di opposizione» alla pena di morte. E chiedono agli avvocati, ai giudici e ai giuristi cattolici del paese «di consentire alla dolcezza del Vangelo di illuminare il loro operato e l’applicazione della legge, portando vita nel loro servizio alla società». I legislatori — ha sottolineato Rodolfo Diamante, segretario esecutivo della Commissione episcopale per la pastorale carceraria — «hanno servito i loro interessi personali e non il bene comune, sacrificando la coscienza e i principi». La pena capitale era prevista nell’ordinamento della Repubblica delle Filippine, indipendente dal 1946, e restò in vigore anche durante il periodo della dittatura di Ferdinando Marcos. Fu sospesa nel 1987 sotto la presidenza di Corazón Aquino e poi reintrodotta durante il governo Ramos per «crimini efferati». Durante la presidenza di Joseph Estrada, nel 1999, avvenne l’esecuzione di Leo Echegaray, a cui seguì una nuova moratoria. Nel 2006, il governo di Gloria Macapagal-Arroyo firmò l’abolizione della pena di morte. Dal 2006 — riferisce l’agenzia Fides — le Filippine hanno sostenuto la causa abolizionista, promuovendo diverse iniziative in ambito internazionale e riuscendo anche a ottenere la commutazione delle condanne alla pena capitale inflitte a cittadini filippini all’estero. Cristiani in Pakistan Sul monte degli Ulivi A fianco dei tribali Incendio doloso nella cappella dell’Ascensione PESHAWAR, 9. I leader cristiani del Pakistan chiedono l’istituzione di una zona amministrativa a sé stante, criticando la decisione del Governo di Islamabad di unire le aree tribali con la vicina provincia di Khyber-Pakhtunkhwa. «In tal modo sarebbe difficile — ha spiegato Jimmy Mathew, vescovo luterano di Mardan — controllare le aree tribali. Esse hanno bisogno di una regolamentazione separata. La popolazione locale è stata ignorata fin dal 1947, quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza dal dominio coloniale britannico. Ci vorrà del tempo prima che essa comprenda in pieno il significato di nazione». Il 2 marzo il Governo pakistano ha annunciato di voler includere le Federally Administered Tribal Areas (Fata), ossia sette distretti abitati in maggioranza da tribali di etnia pashtun, nella provincia attigua. Le cosiddette “agenzie” tribali si trovano nella parte settentrionale del Pakistan, al confine con l’Afghanistan, e sono considerate territori dei gruppi armati jihadisti. Le sette regioni semi-autonome sono regolate dal Frontier Crimes Regulation, di derivazione britannica, un sistema governativo che impedisce ai cittadini di ricorrere in tribunale e di chiedere il giudizio per crimini commessi sul territorio. Qui si applicano ancora le punizioni collettive decise dagli anziani delle tribù, non esiste un sistema scolastico, non vi operano organizzazioni umanitarie per lo sviluppo; i cittadini non hanno alcun accesso alle prestazioni sanitarie e i residenti votano le leggi alla Camera bassa del Parlamento, ma poi le normative non si applicano nelle loro zone. La decisione dell’esecutivo — riferisce AsiaNews — dà avvio all’unifica- zione con la provincia vicina, da completare entro i prossimi cinque anni. Da subito, invece, si potrebbero formare dei consigli elettivi provinciali che andrebbero a elezioni alla fine di quest’anno. Inoltre, le autorità di Islamabad hanno stanziato un pacchetto di aiuti del valore di centodieci miliardi di rupie (quasi novecentonovantuno milioni di euro). Negli anni scorsi, diverse operazioni militari contro le roccaforti dei gruppi estremisti hanno provocato esodi di massa della popolazione pakistana. Si calcola che almeno tre milioni di persone siano sfollati interni, costretti a scappare dalle proprie abitazioni a causa delle violenze per trovare rifugio nei campi profughi e nelle città. GERUSALEMME, 9. La cappella dell’Ascensione, sulla cima del monte degli Ulivi, a est di Gerusalemme, è stata danneggiata da un incendio doloso divampato ieri, mercoledì. Uno pneumatico d’auto è stato depositato sulla roccia venerata e dato alle fiamme. Secondo la polizia — riferisce un comunicato della Custodia di Terra Santa — alla base del gesto potrebbe esserci una disputa tra due famiglie legate al sito. Una persona è stata fermata per essere interrogata. La cappella è sotto la giurisdizione dell’autorità musulmana dei luoghi santi. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 venerdì 10 marzo 2017 Sesta e settima meditazione degli esercizi spirituali La voce della donna Mikhail Gubin «Crucifixion» Le donne fanno irruzione sulla scena della passione di Gesù secondo Matteo, facendo sentire con discrezione la loro presenza e la loro voce e chiedendo così «di fare in modo che oggi nella Chiesa le loro parole non vengano ignorate». E proprio per rafforzare questa convinzione, padre Giulio Michelini ha voluto dare spazio al contributo di una coppia di sposi, Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, nel corso degli esercizi spirituali per il Papa e la Curia romana, che hanno riproposto il profilo della moglie di Pilato e «il suo tentativo andato a vuoto di salvare Gesù». Hanno lo stesso filo conduttore la sesta e la settima meditazione che il predicatore ha proposto rispettivamente nel pomeriggio di mercoledì 8 e nella mattina di giovedì 9 marzo ad Ariccia. «La morte di Gesù è vera e non certo apparente» è il punto di partenza scelto dal predicatore per la sua settima riflessione, dedicata espressamente alla «morte del messia» (Matteo 27, 45-56). Oltretutto, ha precisato, «alcuni dettagli del racconto evangelico sono talmente scomodi che per gli esegeti rappresentano proprio indizi di storicità, sulla base del cosiddetto “criterio di imbarazzo”: primo fra tutti, il senso di abbandono che Gesù ha provato sulla croce». Ma «ad acuire il senso di abbandono — ha spiegato — è l’incomprensione di Gesù da parte di chi sta assistendo» alla crocifissione. Infatti, «nei tre Vangeli sinottici, coloro che stanno sotto la croce non capiscono cosa stia accadendo e come muoia il messia: credono che Gesù chiami Elia». E questo «fraintendimento» è «un’ultima tortura». Invece, com’è noto, sulla croce «Gesù sta chiamando il Padre, ma il Padre tace e non interviene: ecco l’altro elemento imbarazzante di tutto il racconto». Proprio «sul grido al Padre — ha fatto presente il predicatore — ha scritto alcune righe bellissime lo scrittore israeliano Amos Oz», il quale descrive la morte di Gesù «dal punto di vista di Giuda che sta assistendo alla crocifissione aspettandosi però che non muoia». Oz pensa che anzitutto Gesù chiami più volte la mamma. Del resto, è un fatto che le donne abbiano assistito al- la crocifissione. E proprio sotto la croce Maria è vista anche come madre della Chiesa. Resta da domandarsi, ha proseguito il predicatore, perché «tanti fraintendimenti nei Vangeli, nelle relazioni di Gesù con avversari e apostoli». Cristo «è continuamente frainteso, è un vero e proprio Iesus incomprehensus», che non è «riconosciuto, accolto, capito». Si potrebbe dire, secondo il religioso, «che i fraintendimenti sono meccanismi di difesa: le scienze del linguaggio ci fanno notare come nella comunicazione entrano in gioco il contenuto e la relazione tra i comunicati. Spesso si è d’accordo sull’oggetto ma se la relazione è compromessa, e ci sono ostacoli di tipo umano, allora il contenuto passa in secondo piano». Da parte sua, «Gesù non ha mancato di spiegare e rispiegare a discepoli e avversari le cose che non comprendevano. Ma dalla croce non può più spiegare nulla, anche se è la croce che spiega tutto: così Gesù non può chiarire che non sta chiamando Elia, può solo affidarsi allo Spirito perché sia lo Spirito a spiegare quello che non era riuscito a far comprendere». Una lezione che vale anche per ogni cristiano, ha fatto presente Michelini invitando a domandarsi: «Come reagisco quando gli altri non mi capiscono o quando mi sento incompreso?». E il suggerimento è quello di verificare «se posso migliorare la mia comunicazione» e, comunque, «accogliere l’incomprensione con umiltà». Ma anche di mettere da parte «orgoglio e puntiglio» cercando sempre di capire gli altri. Significativo poi, ha aggiunto, l’accostamento tra «la figura del centurione sotto la croce», che colpisce Gesù con la lancia, e quella «del centurione di Cafarnao», per il quale il Signore guarisce una persona cara: «Se Gesù porge ai soldati l’altra guancia, al centurione di Cafarnao, come a quello che sta sotto la croce, porge il suo fianco dal quale sgorgherà ora l’acqua e il sangue per perdonare i peccati». E così, a questo punto della meditazione, il predicatore ha introdotto «una questione un po’ tecnica di critica testuale, meramente filologica, ma di grande interesse teologico». Nel Vangelo di Matteo, infatti, «si afferma che il colpo di lancia viene dato prima della morte di Gesù e non dopo, come nel Vangelo di Giovanni. Gesù, in questo modo, grida per il dolore e il suo grido non è staccato dal contesto ma causato appunto dal colpo di lancia». Inoltre «il sangue di Gesù per Matteo è la salvezza dai peccati del mondo». Concludendo il religioso ha invitato a saper «cogliere la presenza di Dio» non solo «nei segni eclatanti» ma soprattutto «nell’ordinarietà del quotidiano e nello sguardo dell’altro». La sesta meditazione, nel pomeriggio di mercoledì 8 marzo, «è stata caratterizzata non soltanto per il suo contenuto» — il processo romano a Gesù, la moglie di Pilato e i sogni di Dio (Matteo 27, 11-26) — «ma anche per la modalità in cui è stata preparata», ha spiegato lo stesso Michelini. È stata infatti scritta con una coppia di sposi, i coniugi Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini. Con loro il francescano collabora «da diversi anni predicando esercizi spirituali alle famiglie e per altri incontri di formazione». Insieme hanno scritto alcuni libri «che presentano una doppia forma di lettura del testo biblico, esegetica e contestuale familiare». Il predicatore si è detto convinto che «la lettura e l’esegesi della Scrittura non sono prerogativa dei consacrati o degli addetti ai lavori, e che le coppie e le famiglie devono essere aiutate a praticarla: cosa che finora — ha osservato — non sembra essere stata fatta in modo convinto nella nostra Chiesa». Per la meditazione Michelini ha preso le mosse dal processo romano, puntando sulla scelta fatta da Ponzio Pilato, tra Gesù e Barabba. E ha ricordato l’interpretazione riportata da Benedetto XVI riguardante una variante testuale, registrata da Origene, sul nome di Barabba che sarebbe «lo stesso di Gesù». Così ha poi spiegato come questo elemento sia «importante per capire il complesso sistema con il quale l’evangelista Matteo vede l’efficacia del sangue di Gesù per il perdono dei peccati. Questo sistema teologico messo in atto da Matteo non ci deve far perdere di vista la dimensione umana di un fatto apparentemente scontato e che è di una gravità inaudita: due uomini sono l’uno di fronte all’altro; solo uno sopravvivrà». A questo proposito, il predicatore ha fatto riferimento al romanzo di William Styron, Sophie’s choice (1979): racconta di una giovane madre polacca deportata ad Auschwitz costretta da un ufficiale nazista a scegliere quale dei suoi due figli mandare a morte. Con questo spunto il religioso ha ricordato come «purtroppo il popolo ebraico è stato, per secoli, accusato di deicidio dai cristiani: finalmente questa assurda accusa è stata smontata a tutti i livelli». Però, ha insistito, «secondo la passione di Matteo, questa accusa non avrebbe mai dovuto aver presa perché, come nel caso di Sophie, costretta a mandare a morte la propria bambina, la responsabilità di questa terribile decisione viene da Padre Cantalamessa spiega i temi delle prediche quaresimali L’eternità? Niente di più attuale di NICOLA GORI Nelle società moderne e ultraconnesse, dove i media dettano l’agenda delle priorità, c’è sempre la tentazione di privilegiare l’urgente all’importante e di anteporre il “recente” all’“eterno”. Proprio da questa tentazione mette in guardia il cappuccino Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, che venerdì 10 marzo dà inizio al ciclo di prediche quaresimali nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo apostolico. In questa intervista all’Osservatore Romano il religioso spiega il tema di quest’anno — «Nessuno può dire: “Gesù è il Signore!” se non nello Spirito santo (1 Corinzi 12, 3)» — e anticipa alcune linee di riflessione delle prediche, che proseguiranno nei venerdì 17, 24 e 31 marzo e 7 aprile. Perché al centro della predicazione ci sarà lo Spirito Santo? Due motivi mi hanno spinto a dedicare le prediche dell’ultimo Avvento e di questa Quaresima alla persona e all’opera dello Spirito Santo. Il primo è mettere in luce quella che considero la vera novità del dopo-Concilio, e cioè una più chiara presa di coscienza del posto dello Spirito nella vita e nella teologia della Chiesa. Il secondo motivo, meno universale ma pure importante, è che nel 2017 ricorre il cinquantesimo anniversario dell’inizio del Rinnovamento nello Spirito nella Chiesa cattolica, che ha coinvolto decine di milioni di fedeli in tutto il mondo, giubileo che Papa Francesco desidera si celebri, con particolare solennità e apertura ecumenica, nella Pentecoste prossima. Quanto spazio per l’attualità ci sarà nelle meditazioni? Se si intende “attualità” nel senso di riferimenti a situazioni o eventi in atto, temo che ci sia ben poco di attuale nelle prediche che mi appresto a fare. Ma, a mio parere, “attuale” non è solo “ciò che è in atto” e non è sinonimo di “recente”. Le cose più ”attuali” sono quelle eterne, cioè quelle che toccano le persone nel nucleo più intimo della propria esistenza, in ogni epoca e in ogni cultura. È la stessa distinzione che c’è tra “l’urgente” e “l’importante”. Noi siamo tentati sempre di anteporre l’urgente all’importante e di anteporre il “recente” all’“eterno”. È una tendenza che il ritmo incalzante della comunicazione e il bisogno di novità dei media rendono oggi particolarmente acuta. Cosa c’è di più importante e attuale per il credente, e anzi per ogni uomo, per ogni donna, sapere se la vita ha un senso o no, se la morte è la fine di tutto o, al contrario, l’inizio della vera vita? Ora il mistero pasquale della morte e risurrezione di Cristo, che mi riprometto di rileggere alla luce della riscoperta dello Spirito Santo, è l’unica risposta a tali problemi. La differenza che c’è tra questa attualità e quella mediatica della cronaca è la stessa che c’è tra chi passa il tempo a guardare il disegno lasciato dall’onda sulla spiaggia — che l’onda successiva cancella — e chi alza lo sguardo a contemplare il mare nella sua immensità. Cosa significa per l’uomo di oggi la conoscenza della piena verità? La risposta può sembrare semplicistica, ma è l’unica che un cristiano può dare: la conoscenza della piena verità, o dell’unica verità che conta, è conoscere Cristo. Le prime due prediche avranno proprio questo tema: sapere chi è Cristo; non solo chi è stato, ma chi è oggi per me e per il mondo. «Datemi un punto di appoggio — avrebbe esclamato l’inventore della leva, Archimede — e io vi solleverò il mondo». Chi crede nella divinità di Cristo è uno che ha trovato questo punto di appoggio incrollabile nella vita. C’è ancora spazio per lo Spirito Santo nelle nostre società? Lo Spirito Santo non è un’idea o un’astrazione; è la realtà più palpitante che si possa pensare. Non per nulla la Scrittura parla di lui con i simboli del vento, del fuoco, dell’acqua, del profumo, della colomba. Goethe vedeva nel Veni creator che è l’inno per eccellenza dello Spirito Santo, una «invocazione al genio, che parla potentemente a tutti gli uomini dotati di spirito e di animo grande». Egli stesso ne fece una bella traduzione tedesca e voleva che fosse cantato ogni domenica in casa sua. Viviamo in una civiltà caratterizzata dal predominio assoluto della tecnica. Si ipotizza persino un computer capace di pensare, ma nessuno ha mai pensato a un computer capace di amare. Lo Spirito Santo — che è l’amore allo stato puro e la fonte di ogni amore — è l’unico che può infondere un’anima nella nostra umanità inaridita. chi ha messo in condizione la folla di scegliere, ovvero il prefetto romano». E per delineare la figura della moglie di Pilato il francescano ha dato spazio al contributo preparato dalla coppia di sposi. «Nel bel mezzo della passione di Gesù secondo Matteo irrompe una donna», fanno subito notare i coniugi, mettendo in evidenza come, «nel gioco di potere maschile, la complicità tra un sommo sacerdote e Pilato, irrompa appunto la voce tenue di una donna. Ma solo attraverso un messaggero, perché mentre gli uomini giocano la loro partita non le è permesso accostarsi». Tuttavia «la moglie di Pilato può legittimarsi di fronte a questi uomini perché, dice, “ha sofferto molto” a causa di quel “giusto”» (Matteo 27, 19). La donna fa «un atto di amore verso il marito» comunicandogli il suo sogno. E «ci auguriamo — è l’auspicio dei due commentatori — che sempre le donne siano capaci di questo linguaggio e non diventino pappagalli dei maschi quando questi giocano le loro partire sul potere». Insomma, da «dietro le quinte» la donna, impotente, fa sentire la sua voce e oppone il suo sogno ai giochi di potere pur di salvare quel giusto: «un tentativo andato, però, a vuoto». Pilato infatti «si lava le mani, mostrando che lui non c’entra»: anzi, pare aver addirittura ascoltato il suggerimento della moglie di «non aver a che fare con quel giusto» e magari, «la sera a casa, le avrà pure detto che più di così non poteva proprio fare per salvarlo». Ma, è la conclusione dei due coniugi, «così la coppia tradisce se stessa, l’alleanza coniugale è fraintesa, è ridotta al proprio tornaconto, alla volontà di aver ragione che uccide l’amore». Infine, nell’ultima parte della meditazione Michelini ha preso in esame «i cinque sogni del Vangelo dell’infanzia secondo Matteo, e il sogno della moglie di Pilato». Questi sogni «vanno visti nel loro insieme, perché rappresentano quello che potremmo chiamare il “sogno di Dio”: la salvezza del figlio, che tramite i sogni dell’inizio del Vangelo sfugge a chi lo vuole uccidere». Ma «se Giuseppe e i magi capiscono quello che devono fare, e nonostante la debolezza di quanto ricevuto lo mettono in pratica, Pilato invece non ascolta la voce della moglie, non ascolta i sogni, è solo interessato, come già Erode, a conservare il potere». Una questione che tocca da vicino i credenti, fino a spingerli a domandarsi «qual è il mio sogno oggi e se corrisponde, per quanto posso capire, al sogno di Dio per me». Documenti della Congregazione per la dottrina della fede Nella direzione giusta «Risposte dottrinali sicure a diverse questioni importanti per la vita e la missione della Chiesa». Così il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, sintetizza il significato della raccolta, relativa agli anni dal 1966 al 2013, dei documenti del dicastero da lui guidato. Il volume (Congregazione per la dottrina della fede, Documenti, 1966-2013, Città del Vaticano, «che esprime il desiderio della Congregazione di raggiungere con il proprio insegnamento una sempre più ampia cerchia di destinatari». La raccolta, infatti, si presenta come un «utile strumento per i teologi che devono dare risposte adeguate a questioni sempre nuove», ma è anche di supporto a pastori, ricercatori, studenti e semplici fedeli «che desiderano affrontare particolari aspetti della religione cattolica». È, in sostanza, «un servizio alla fede, sia per la salvaguardia da errori e ambiguità che oscurano o alterano punti essenziali del suo patrimonio, sia per promuoverne una comprensione più approfondita, nella fedeltà e nella continuità con la tradizione ecclesiale». Essa è, perciò, un servizio che «apre l’intelligenza dei credenti, liberandola dal rischio di deviazioni e di parzialità, per orientarla nella direzione giusta verso la comprensione piena della rivelazione divina». I documenti sono presentati in ordine cronologico e sono supportati da un utile indice analitico. I testi pubblicati giungono fino al 2013, primo anno del pontifiRaffaello, «San Pietro» e Bartolomeo della Porta, «San Paolo» cato di Francesco. Pro(Palazzi apostolici vaticani) prio nel 2013 il Papa firmò l’enciclica Lumen fiLibreria editrice vaticana, 2017, pagine dei che il cardinale prefetto cita a conXX+748, euro 45) è oggi disponibile clusione della sua prefazione al volunelle librerie nell’edizione in lingua me, spiegando che la pubblicazione italiana, che aggiorna con quattordici del volume «vuole contribuire a far nuovi documenti quella latina pubbli- brillare la luce della fede, quella luce cata nel 2006 (Documento inde a Con- “che illumina tutto il percorso della cilio Vaticano Secondo expleto edita, strada, perché viene a noi da Cristo 1966-2005). Una traduzione, spiega il risorto, stella mattutina che non tracardinale Müller nella prefazione, monta” (Lumen fidei, 1)». Nomina episcopale in Spagna La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Spagna. José Luis Retana Gozalo vescovo di Plasencia È nato a Pedro Bernardo, in diocesi di Ávila, il 12 marzo 1953. Compiuti gli studi filosofici e teologici nel seminario di Ávila a Salamanca, è stato ordinato sacerdote a Pedro Bernardo il 29 settembre 1979. Ha studiato per due anni presso la facoltà di teologia di Friburgo (Svizzera) e ha seguito i corsi di geografia e storia presso l’Università nazionale di educazione a distanza. Conseguita la licenza in teologia presso l’università di Salamanca, dove ha svolto anche i corsi di dottorato, ha ricoperto i seguenti incarichi: formatore e professore del collegio diocesano La Asunción di Ávila (19791993); rettore del seminario di Ávila a Salamanca (1993-1999); vicario episcopale e segretario particolare del vescovo (1998-2005); canonico della cattedrale di Ávila (dal 2002); rettore del seminario di Ávila a Salamanca (20032012). Attualmente è delegato episcopale per le istituzioni diocesane dell’insegnamento e parroco di San Pedro Bautista, dal 2012, e preside del capitolo cattedrale dal 2015.