l`osservatore romano

Transcript

l`osservatore romano
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004
Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00
L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVII n. 57 (47.491)
Città del Vaticano
venerdì 10 marzo 2017
.
Per sostenere l’offensiva contro l’Is
Gli scafisti volevano imbarcarli a forza
Marines
in prima linea a Raqqa
Migranti
uccisi sulla spiaggia
DAMASCO, 9. Un gruppo di marines
statunitensi è arrivato nel nord della
Siria per sostenere le forze locali che
si apprestano a lanciare l’offensiva
verso la città di Raqqa. I militari
giunti in Siria — riportano Cnn e
«Washington Post» — erano già dispiegati nella regione e il loro trasferimento non aveva bisogno del consenso del presidente Donald Trump
o del segretario alla difesa James
Mattis. Ma sia la Casa Bianca che il
Pentagono erano stati precedentemente informati.
L’amministrazione statunitense sta
ora valutando di dispiegare fino a
mille soldati in Kuwait come forza
di riserva nella lotta al cosiddetto
stato islamico (Is) in Siria e in Iraq.
Sulla scrivania dello studio ovale resta anche la proposta di concedere
maggiore flessibilità nelle decisioni
ai comandanti impiegati sul terreno.
Questo per rispondere più rapidamente a situazioni impreviste o ad
attacchi sul campo.
E almeno 14 civili, tra i quali sei
minori e quattro donne, sarebbero
rimasti uccisi in raid aerei nel nord
della Siria, nei pressi di Raqqa. Lo
denunciano oggi gli attivisti dell’O sservatorio siriano per i diritti umani
che parlano di operazioni nella zona
Combattimenti nei pressi di Raqqa (Ap)
Denuncia dell’O nu
Duecentomila vittime dei pesticidi
y(7HA3J1*QSSKKM( +/!"!@!#!z!
GINEVRA, 9. I pesticidi usati in
agricoltura provocano oltre duecentomila morti all’anno nel mondo
per avvelenamento acuto, quasi tutti nei paesi in via di sviluppo, e
non sono necessari per garantire
l’aumento della produzione agricola
per una popolazione in crescita.
Lo sostiene un rapporto congiunto degli uffici dell’Onu per il diritto al cibo, presentato al consiglio
per i diritti umani delle Nazioni
Unite a Ginevra. Tuttavia, prosegue
il rapporto, «si ritiene comunemente che l’agricoltura intensiva industriale, che si basa pesantemente sui
pesticidi, sia necessaria per aumentare i raccolti per sfamare una popolazione mondiale in crescita».
Una convinzione sbagliata, secondo
l’Onu: «Nei 50 anni passati, la popolazione globale è più che raddoppiata, mentre la terra arabile disponibile è aumentata solo del 10
per cento».
Secondo fonti dell’Onu, i pesticidi causano danni ormai dimostrati
scientificamente: inquinano l’ambiente, uccidono o fanno ammalare
le persone, destabilizzano l’ecosistema alterando il rapporto fra prede e
predatori, limitano la biodiversità.
Nello specifico, alcuni pesticidi
possono persistere nell’ambiente
per decenni, arrivando all’effetto
controproducente di ridurre il valore nutrizionale degli alimenti, oltre
che uccidere animali che non sono
propriamente dei parassiti.
A essere a rischio sono soprattutto gli agricoltori e le comunità che
vivono nei pressi delle piantagioni,
all’interno delle quali i soggetti più
vulnerabili sono le donne incinte e i
bambini.
É stato dimostrato dagli esperti
che «l’esposizione cronica ai pesticidi provochi cancro, il morbo di
Alzheimer, quello di Parkinson, disturbi ormonali, disturbi dello sviluppo e sterilità».
Ma le aziende del settore agricolo e dei pesticidi hanno adottato
«una negazione sistematica della
grandezza del danno portato da
queste sostanze chimiche, e tecniche di marketing aggressive e non
etiche rimangono incontrastate».
Per le Nazioni Unite, «un trattato generale che regoli i pesticidi altamente pericolosi non esiste». Eppure, «senza, o con un uso minimo
di sostanze chimiche tossiche, è
possibile produrre cibo nutriente e
più sano, senza inquinare o esaurire
le risorse ambientali».
5
BRUXELLES, 9. Che i trafficanti di
esseri umani non si facciano scrupoli è purtroppo noto. Lo testimoniano le migliaia di persone morte
in mare. Eppure lascia comunque
sgomenti quanto accaduto lo scorso fine settimana su una spiaggia
libica. Qui ventidue persone sono
state uccise da scafisti sulla costa di
Sabrata perché non volevano imbarcarsi per il mare agitato a causa
del cattive condizioni del tempo.
La conferma di questa ennesima
barbarie è arrivata dalla Mezzaluna
rossa. Tutte le vittime provenivano
dall’Africa sub-sahariana. Anche
l’Organizzazione internazionale per
le migrazioni (Oim) conferma il ritrovamento dei corpi e ritiene più
che plausibili le testimonianze raccolte, concordi nel raccontare di
trafficanti che non volevano perdere tempo e che non si sono fatti
scrupolo di eliminare chi rallentava
i loro piani.
Intanto in Italia negli ultimi cinque giorni sono stati intercettati e
fermati nove scafisti implicati in diversi traffici verso le coste della Sicilia. Alcuni sono stati fermati a
Intrappolati
in Libia
FRANCESCA MANNO CCHI
A PAGINA
2
Tragico rogo in una casa d’accoglienza per minori
L’importanza
di un titolo
A PAGINA
Un barcone dei trafficanti di immigrati mentre lascia le coste libiche (Ap)
Morte ventidue ragazze in Guatemala
Gioia e letizia da Cicerone a Bergoglio
MARCELLO SEMERARO
di Matab Al Burashid condotte da
jet «presumibilmente della coalizione internazionale» anti-Is a guida
statunitense. Sul suo sito web l’O sservatorio precisa che la maggior
parte delle 14 vittime sono tutte della stessa famiglia e che vi sono diversi feriti, alcuni dei quali versano
in gravi condizioni. La notizia del
bombardamento viene riportata anche dal sito di notizie vicino all’opposizione Shaam, che accusa la coalizione internazionale di aver preso
di mira mezzi con a bordo sfollati.
Intanto, la Russia e gli insorti siriani hanno raggiunto un accordo
per una tregua a est di Damasco,
mentre un’intesa per un cessate il
fuoco sarà raggiunta a breve
nell’area di Homs. Lo riferisce la televisione Al Jazeera, basata in Qatar,
paese che a sua volta sostiene alcuni
gruppi armati siriani delle opposizioni. Secondo i resoconti di stampa
la Russia, alleata del governo di Damasco, ha raggiunto la tregua con
rappresentanti di Jaysh Al Islam, milizia filo-saudita, e altre fazioni armate nella Ghuta orientale, a est di
Damasco. Un accordo simile è in
corso di definizione per una tregua a
Waar, sobborgo ribelle di Homs,
nella Siria centrale.
Sul fronte diplomatico, l’inviato
speciale dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura, intende convocare
per il 23 marzo a Ginevra rappresentanti di Damasco e delle opposizioni
siriane per un quinto round di colloqui. Lo ha confermato ieri lo stesso
diplomatico parlando con i giornalisti dopo un briefing al Consiglio di
sicurezza sui risultati delle ultime
consultazioni.
Nel frattempo, nel nord dell’Iraq,
due attentatori suicidi si sono fatti
esplodere ieri in un villaggio vicino
a Tikrit durante un matrimonio, uccidendo almeno 23 persone. Lo riferisce Al Jazeera, citando fonti del
governo locale. L’attacco non è stato
ancora rivendicato. Tikrit era stata
liberata dalle forze di sicurezza irachene ad aprile 2015 dopo essere finita sotto il controllo dei miliziani
del cosiddetto stato islamico. La città lo scorso novembre era stata oggetto di diversi attacchi proprio dei
jihadisti in quella che era stata considerata come un’azione diversiva
per allentare la vasta e rapida offensiva in corso da parte dell’esercito
regolare di Baghdad contro la loro
roccaforte, Mosul.
Parenti in attesa di informazioni dopo la strage di ragazze (Ap)
CITTÀ DEL GUATEMALA, 9. Ventidue ragazze — tutte fra i 14 e i 17
anni — sono morte nell’incendio
divampato nella notte nella sezione femminile di una casa di accoglienza per minori a San José Pínula, località a circa 25 chilometri
dalla capitale del Guatemala.
Altri quaranta giovani sono ricoverati in ospedale. Secondo i
pompieri, l’incendio è divampato
in uno dei dormitori della struttura — che accoglie minori orfani,
vittime di abusi o provenienti da
famiglie disagiate — e non si
esclude che le fiamme siano state
appiccate da alcuni ragazzi in segno di protesta. Nel pomeriggio
di ieri, infatti, era scoppiata una
violenta rivolta all’interno del
centro, durante la quale, malgrado l’intervento di unità antisommossa, circa sessanta ragazzini
erano riusciti a fuggire.
La stampa locale sottolinea che
la struttura è da tempo oggetto
di pesanti critiche. Come riporta
il giornale «Prensa Libre», da
settimane l’ufficio guatemalteco
per i diritti umani stava monito-
rando la situazione, dopo le ripetute lamentele dei ragazzi per
presunti abusi sessuali, maltrattamenti, cibo scadente e difficili
condizioni di vita in una struttura
sovraffollata, destinata a 400 giovani, ma che ne accoglieva almeno 540. Harold Flores, incaricato
per l’infanzia presso la Procura
generale, intervistato dalla radio
«Emisoras Unidas», ha spiegato
che dal 2016 si erano moltiplicate
le denunce per violenza sessuale
da parte di adolescenti fuggite
dalla struttura.
La commissione parlamentare
per la famiglia ha chiesto al governo la chiusura definitiva del
centro di accoglienza, che rappresenta un simbolo «dello stato
abietto in cui si trovano i bambini nel nostro paese, vittime di
maltrattamenti inflitti dalle stesse
istituzioni che dovrebbero invece
proteggerli».
Il governo del presidente,
Jimmy Morales, ha rilasciato una
dichiarazione dicendosi «scioccato dalla tragedia» e ha proclamato tre giorni di lutto nazionale.
Ragusa, altri ad Augusta. In tutti i
casi, i migranti raccontano di scafisti che partono in momenti diversi
e da spiagge diverse, segno della
presenza di più organizzazioni criminali sulle coste libiche.
Oltre ai fermi ci sono anche processi. In questi giorni la Corte di
Assise di Messina ha condannato a
15 anni e a 18 anni due scafisti responsabili della morte di quattordici migranti sul barcone che mesi fa
ne trasportò altri 450.
Intanto, sul tema migrazioni è
intervenuto,
con
un’intervista
all’agenzia Ansa, il preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Arturo Sosa. Il quale, riferendosi sia all’Europa che agli Stati
Uniti, ha criticato «una politica dei
muri che risulta, da una parte inumana e, dall’altra, inutile». A proposito del muro e del bando per i
cittadini di paesi musulmani voluti
negli Stati Uniti dal presidente
Donald Trump, padre Sosa li ha
definiti «un attentato contro i valori cristiani e umani, oltre che contro i fondamenti della società statunitense». Il religioso ha invece elogiato l’Italia, porta del continente
sul Mediterraneo, che ha evitato
che il numero delle vittime fosse
ancora più alto, ma ha chiesto «regole chiare e responsabilità da parte di tutti gli stati Ue».
E proprio alla rivista dei gesuiti,
«La Civiltà cattolica», ha parlato
del fenomeno migratorio il presidente della Repubblica italiana,
Sergio Mattarella, affermando che
alcuni paesi tendono a chiudersi,
erigendo barriere o muri, «senza
rendersi conto che non c’è né barriera né muro che possa frenare un
fenomeno storico di questa portata». Mattarella ha definito la reazione dei muri «una fuga dalla responsabilità di affrontare il problema e dal dovere di governarlo».
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha nominato
Nunzio Apostolico in Albania
Sua
Eccellenza
Monsignor
Charles John Brown, Arcivescovo titolare di Aquileia, finora
Nunzio Apostolico in Irlanda.
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo della Diocesi di Plasencia (Spagna) il Reverendo
José Luis Retana Gozalo, finora
Delegato diocesano per le Istituzioni dell’Insegnamento della
Diocesi di Ávila e Parroco.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
venerdì 10 marzo 2017
Migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana
a Tripoli (Reuters)
Merkel sottolinea la mancanza di solidarietà
Vertice europeo
su migrazioni ed economia
BRUXELLES, 9. «Non c’è una sufficiente solidarietà europea nell’affrontare la crisi dei migranti». A ribadirlo è il cancelliere tedesco, Angela Merkel, nell’imminenza del
vertice Ue. Occorrono più collaborazione e una maggiore suddivisione della responsabilità nell’affrontare i flussi di profughi, ha detto
Merkel, parlando al parlamento tedesco prima di raggiungere il consiglio europeo a Bruxelles.
Secondo Merkel, rimane «una
priorità assoluta la lotta agli scafisti
e la difesa delle frontiere esterne
della Ue». A questo proposito, il
cancelliere si è sbilanciata a criticare
la Grecia, affermando che la situazione dei profughi sulle isole greche
«è ancora molto insoddisfacente» e
che Atene stenta a mettere in atto
fino in fondo l’intesa tra l’Unione
europea e la Turchia. Un accordo
da difendere nel suo complesso perché «dalla sua entrata in vigore, un
anno fa, il numero dei morti
nell’Egeo si è fortemente ridotto».
Merkel ha parlato anche di uno
dei temi forti di questo suo ultimo
scorcio di mandato, prima delle elezioni a settembre, ossia il piano
strategico di accordi con i paesi
nordafricani. Il piano prevede, tramite la collaborazione dei paesi di
origine e di transito, interventi «per
indurre i migranti a non partire per
l’Europa, evitando viaggi in cui si
rischia la vita».
Indubbiamente il tema dei profughi è all’ordine del giorno del vertice oggi a Bruxelles e il mantenimento dell’accordo con la Turchia è
uno dei punti cruciali. Secondo indiscrezioni di stampa, nella bozza
del testo finale che i capi di stato e
di governo dovrebbero firmare in
primo piano si parla di immigrazione, difesa, economia. Al momento,
sembra non esserci nessun cenno alle ricollocazioni dei rifugiati, ma si
pone l’accento sui rimpatri e si ribadisce la volontà di completare la
riforma dell’asilo europeo «entro
questa presidenza», ovvero la presidenza di turno di Malta che si conclude a fine giugno.
Nel paragrafo dedicato alla dimensione esterna della migrazioni è
anche scritto che il Consiglio europeo «sostiene le azioni intraprese
da singoli stati membri per sostenere le autorità libiche così come i loro vicini nordafricani e del sud».
A proposito di sicurezza e difesa
vengono confermati il piano di lavoro condotto dall’alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune dell’Ue, Federica
Mogherini, e i risultati del consiglio
esteri di lunedì, dando appuntamento al summit di giugno per
«fornire ulteriore guida strategica».
Inoltre si chiede «ai co-legislatori»
di parlamento e consiglio di «accelerare il lavoro sul sistema di controllo delle frontiere esterne e sul sistema di visti Etias», sul quale già
lunedì scorso è stato raggiunto l’accordo tra i 28.
Sul piano economico, nella bozza si legge, tra l’altro, l’incoraggiamento per le riforme «che stanno
dando frutti» e il pieno sostegno al
libero mercato, anche se con l’adozione di «strumenti compatibili con
l’organizzazione mondiale del commercio (Wto) contro pratiche sleali
e distorsioni del mercato».
Previsto un fondo di riserva
Prima finanziaria
dell’era Brexit
LONDRA, 9. Il Regno Unito vota la
prima finanziaria dell’era Brexit. Ieri alla camera dei comuni, Philip
Hammond, cancelliere dello scacchiere, ha presentato la legge di bilancio nella prospettiva del divorzio
dall’Ue, stabilito dal referendum
del 23 giugno 2016. Le previsioni
indicano una crescita del prodotto
interno lordo (pil) nell’immediato
e, poi, un trend in discesa.
Quest’anno nel Regno Unito si
stima infatti una crescita del 2 per
cento, ma il segno positivo viene ridimensionato a un +1,7 già nel 2019,
a dispetto delle stime precedenti
che parlavano di un 2,1. Solo nel
2021, se tutto andrà bene, si potrà
sfiorare di nuovo il 2 per cento. E
intanto l’inflazione cresce: al 2,4
Varata in Italia
la legge sul reddito
d’inclusione
ROMA, 9. In Italia, via libera definitivo del senato (con 138 sì, 71
no e 21 astenuti) al disegno di
legge delega per il contrasto alla
povertà, che introduce il «reddito di inclusione». Un piano da
1,6 miliardi per assicurare 500
euro al mese a 400.000 famiglie
che risultano al di sotto della soglia di povertà. È la prima misura nazionale per nuclei familiari
e non per categorie (anziani, disoccupati, disabili, ecc).
per cento nel 2017, con l’auspicio di
un ritorno al 2 dall’anno seguente.
Come anticipato dalla stampa, la
manovra prevede l’accantonamento
di un fondo di riserva per le emergenze: 26 miliardi di sterline calcolati giocando sul tetto del deficit.
Ma la finanziaria prevede anche
un incremento immediato di tasse.
Per esempio, è previsto un rialzo
per i contributi sul lavoro autonomo, oltre che su alcolici e tabacco,
a copertura di una spesa sociale aggiuntiva di due miliardi in tre anni.
C’è poi un limitato aumento di
stanziamenti per la devolution, che
viene allargata a Londra, e per il rilancio delle cosiddette grammar
schools, diventate il simbolo di
un’istruzione elitaria. E arrivano anche i primi aiuti a settori del business in preda all’incertezza.
Nella manovra si lascia spazio a
eventuali ulteriori interventi fiscali e
tagli, a tutela del rivendicato equilibrio dei conti pubblici. E questo in
particolare suscita le critiche del
leader dell’opposizione laburista,
Jeremy Corbyn, che lamenta una
nuova austerity e «un’economia che
tira, finché tira, tagliando pur sempre fuori milioni di persone».
Sul piano prettamente politico,
dopo illazioni di stampa, il premier
Theresa May ha smentito qualsiasi
ipotesi di elezioni anticipate. In
questi giorni la camera dei lord ha
votato un emendamento che impone al governo di passare per il vaglio parlamentare alla fine dei negoziati, ma May spera che il voto
finale alla sua legge per la Brexit,
che si terrà il 13 marzo alla camera
dei comuni, rinneghi questo emendamento.
L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
[email protected]
www.osservatoreromano.va
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Storie di profughi
Intrappolati in Libia
da Tripoli
FRANCESCA MANNO CCHI
Thimothe ha sessant’anni, ha lo
sguardo paziente e fiducioso. Quando apre la porta di casa sua, alla periferia di Tripoli, Libia, apre il suo
cuore e consegna le sue speranze di
un futuro migliore.
La famiglia di Thimothe è composta da lui, sua moglie e i suoi tre
figli, due ragazze di 15 e 12 anni e
l’ultimo figlio, di dieci. Thimothe e
la sua famiglia sono scappati dalla
Repubblica Democratica del Congo
più di cinque anni fa, quando alcuni
membri della loro famiglia sono stati uccisi. Avrebbero voluto raggiungere l’Europa. Thimothe avrebbe
voluto garantire ai suoi ragazzi la
possibilità di studiare e costruire un
futuro migliore di quello che avrebbero potuto avere nel paese di origine.
Ma il viaggio delle loro speranze
si è fermato in Libia.
Nel 2011 Thimothe era riuscito a
garantire la fuga dei suoi due figli
maggiori, per evitare che fossero arruolati come bambini soldato. Oggi
sono in Francia, uno dei due ha
sposato una ragazza francese e ha
un bimbo piccolo.
Thimothe non ha ancora conosciuto quel nipote. «Se penso al
Congo — dice racconta, seduto a
terra, circondato da tutti i documenti messi da parte negli ultimi anni —
penso alle mie ragazze che andavano a scuola, erano stimate, apprezzate da tutti gli insegnanti e avevano grandi sogni. Oggi nessuno dei
miei figli può frequentare la scuola.
La Libia non è un posto sicuro per
noi e non li lascio neppure uscire di
casa».
La famiglia di Thimothe ha viaggiato trentasei mesi attraverso la Repubblica Democratica del Congo, la
Repubblica del Congo, il Camerun
e il Niger prima di arrivare in Libia
alla fine del 2013. Il viaggio è stato
duro, difficilissimo e pieno di insidie. Ma l’arrivo in Libia è stato anche peggiore.
«Al nostro arrivo abbiamo subito
di tutto, violenze, molestie, discriminazioni. I soldati libici ci hanno arrestato e ci hanno portato nel centro
di detenzione di Zawya. Mia moglie
Gaetano Vallini
dalla Chiesa: siamo cristiani e per
noi è stato molto importante sapere
di poter contare su di loro. Ma piano piano la situazione è diventata
così pericolosa che non possiamo
spostarci da casa nostra in periferia
per arrivare in chiesa. Una volta ho
provato ad andare e degli uomini mi
hanno fermato in strada, volevano
che mi prostituissi, mi insultavano.
Così mio padre ha deciso che per
me e mia sorella era meglio non
uscire mai da sole».
Christelle avrebbe voluto studiare
informatica, era il suo grande sogno.
Ricorda con malinconia i giorni di
scuola in Congo, ricorda i suoi quaderni, i complimenti delle insegnanti
per la sua caparbietà e la sua co-
A causa dell’instabilità politica
Tobruk chiede elezioni
entro un anno
TRIPOLI, 9. Il capo del parlamento
di Tobruk ha chiesto di tenere elezioni in Libia prima di un anno. Il
presidente della camera dei rappresentanti libica (Hor), Aqila Saleh,
ha pubblicato una propria richiesta
rivolta all’alta commissione elettorale nazionale di «prendere tutte le
misure necessarie per organizzare
elezioni presidenziali e legislative
prima del mese di febbraio 2018».
La breve lettera di Saleh datata
ieri motiva la richiesta con «le difficili circostanze in cui si trova il
paese» e «lo stato di instabilità politica». Dopo la fine del regime di
Gheddafi, la Libia è divisa tra due
autorità rivali con sede a Tripoli e
a Tobruk. Un portavoce del parlamento di Tobruk (scaturito dalle
prime elezioni nel paese nel 2012),
Fathi Al Mrimi, ha confermato
questa decisione sul voto.
L’annuncio è arrivato solo poche
ore dopo che la camera dei rappresentanti di Tobruk ha screditato
l’accordo politico nazionale, firmato a Skhirat, in Marocco, nel dicembre del 2015 e «ha sospeso la
partecipazione a qualsiasi incontro
di dialogo» con Tripoli, nota il sito
Libya Observer, spiegando che la
chiusura di Tobruk è stata presentata come una “risposta” all’attacco
con cui venerdì milizie filo-islamiste di Bengasi hanno scacciato le
forze del generale Khalifa Haftar
dalla maggior parte della Mezzaluna petrolifera dove peraltro proseguono i combattimenti.
Sempre secondo il portale di notizie Libya Observer, la guardia
degli impianti petroliferi (Pfg), che
risponde al consiglio presidenziale
libico del premier designato, Fayez
Al Sarraj, ha preso il controllo dei
terminal petroliferi di Ras Lanuf e
Sidra. La guardia degli impianti
petroliferi avrebbe sottratto alle
brigate di difesa di Bengasi il controllo dei terminal.
In Francia i giudici danno ragione ai genitori della bimba di sedici mesi in coma
Marwa non deve morire
Manifestazione a Marsiglia a sostegno della piccola Marwa (Afp)
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
segretario di redazione
e la mia figlia maggiore sono state
spogliate dai soldati. Non riesco a
dire altro e mia moglie non ha ancora superato quel trauma a distanza
di anni».
Mentre Thimothe parla sua moglie gli siede accanto, al ricordo della detenzione muove nervosamente
la mani, ha lo sguardo fisso a terra.
Sembra spaesata.
«Quando abbiamo deciso di raggiungere la Libia — dice ancora —
non ho mai pensato di mettere in
pericolo la vita della mia famiglia su
un barcone per attraversare il Mediterraneo, io avrei voluto trovare un
lavoro, un posto a scuola per i miei
figli, una casa decente e fare tutto il
necessario per ottenere i documenti
e arrivare legalmente in Tunisia. Ma
la Libia è fuori controllo e il nostro
destino è incastrato alle sorti di questo stato».
Dal 2014 il caos politico e militare
non sembra trovare una soluzione.
In Libia ci sono attualmente tre governi e centinaia di milizie armate
contrapposte. Gli scontri armati sono all’ordine del giorno. Come i rapimenti. Il denaro contante è un miraggio e le code alle banca per ottenere un po’ di soldi sono lo specchio della rabbia e contemporaneamente della rassegnazione del paese.
Thimothe lavora come aiutante in
un’officina meccanica. Il suo datore
di lavoro lo ospita in un piccolo appartamento. La casa è fredda, la stufa è accesa nell’unica camera da letto, dove tutti e cinque dormono assieme.
Il frigorifero è vuoto. Thimothe
ha una forte dignità, ma è povero e
non ha vergogna di dirlo. «Vorrei
fare molto di più, ma non posso e
non chiederò mai ai miei figli di lavorare per portare soldi in famiglia.
Conosco troppe storie disperate di
bambini e bambine sfruttate. Non
importa essere poveri, importa che i
miei figli mantengano la purezza
dell’infanzia che il destino sta cercando di rubare loro».
Christelle è la figlia maggiore di
Thimothe. Ha grandi occhi scuri e
un sorriso gentile. «Per noi che abbiamo la pelle scura — dice — la vita
in Libia è molto difficile. All’inizio,
tre anni fa, a Tripoli eravamo aiutati
stanza negli studi. Poi il viaggio, la
violenza, il buio.
«Nella prigione i soldati non ci
davano acqua e cibo a sufficienza,
hanno separato me, mia madre e
mia sorella da papà e da nostro fratello. L’umiliazione che abbiamo subito non riuscirò mai a dimenticarla.
Mi sono sentita sola e disperata. Ero
piccola, guardavo mia madre piangere, mia sorella piangere e pregavo
Dio che ci facesse uscire vivi».
Le parole della giovane Christelle
sono spesso interrotte dalla commozione, accanto a lei su un materasso
a terra sono seduti sua sorella e suo
fratello. Condividono ricordi troppo
pesanti per dei bambini. «Siamo
stati fortunati a uscire di prigione —
afferma — ma non riusciamo a lasciare il paese ed è come essere detenuti di nuovo. Perché non possiamo
uscire di casa. Non possiamo studiare. Non abbiamo parenti e non abbiamo amici. Il solo nostro conforto
è essere in tre, poter condividere ricordi ed emozioni, ma ci sentiamo
molto soli e vorremmo che il mondo
non dimenticasse tutte le vite sospese in Libia»,
«I bambini di Timothe — dice
Ghassan Khalil, rappresentante speciale di Unicef in Libia — sono privati del loro diritto all’istruzione.
Quando ho parlato con Christelle,
lei mi ha descritto il suo amore per
la scuola e quanto le manchi studiare. A ogni bambino deve essere garantito il diritto allo studio e tutti
noi dobbiamo impegnarci e trovare
una soluzione per le migliaia di
bambini intrappolati in Libia».
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
[email protected] www.photo.va
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
[email protected]
Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
PARIGI, 9. La piccola Marwa non deve morire.
In Francia, il consiglio di stato ha infatti respinto ieri la richiesta delle autorità sanitarie
locali di interrompere i trattamenti di Marwa
Bouchenafa, la bambina di sedici mesi colpita
da un virus fulminante, incosciente, paralizzata
e mantenuta in vita artificialmente in un letto
d’ospedale a Marsiglia. Un complesso e doloroso dilemma che ha commosso e diviso la
Francia e su cui erano chiamati a esprimersi, in
modo definitivo, i massimi vertici giurisdizionali di Parigi.
Il verdetto del consiglio di stato è risultato
positivo per i genitori, uniti nel chiedere di
proseguire i trattamenti, contrariamente al pa-
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
rere dei medici, che invece erano ricorsi in tribunale per imporre di staccare la spina. Per
Marwa — sostiene infatti l’équipe sanitaria —
«non c’è più nulla da fare e ogni ulteriore tentativo sarebbe irragionevole ostinazione». Ma i
giudici dell’alta corte hanno sentenziato che i
trattamenti devono continuare.
Secondo il consiglio di stato, le cure prestate
a Marwa non si possono, infatti, considerare,
al momento, un «accanimento irragionevole».
La sentenza si fonda su due elementi: in primo
luogo un miglioramento dello stato di coscienza della bimba e in secondo luogo il parere dei
genitori, che si sono sempre opposti all’ipotesi
di farla morire.
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
Ivan Ranza, direttore generale
Sede legale
Via Monte Rosa 91, 20149 Milano
telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214
[email protected]
Intesa San Paolo
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 10 marzo 2017
pagina 3
Dopo l’attacco terroristico all’ospedale militare
Si aggrava il bilancio
delle vittime a Kabul
L’Onu condanna
i lanci di missili
balistici
di Pyongyang
NEW YORK, 9. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha
approvato ieri — all’unanimità —
una dichiarazione che «condanna
con forza» gli ultimi lanci di missili balistici da parte del regime
comunista di Pyongyang, che rappresentano una «grave violazione
degli obblighi internazionali della
Corea del Nord secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite».
I membri del Consiglio di sicurezza hanno espresso «seria preoccupazione per il comportamento
sempre più destabilizzante» della
Corea del Nord, ribadendo la necessità di mantenere la pace e la
stabilità nella penisola coreana e
nella regione. I Quindici hanno
anche convenuto che continueranno a monitorare la situazione
«adottando ulteriori misure significative». I membri del Consiglio
di sicurezza hanno poi invitato
tutti gli stati a «raddoppiare gli
sforzi per attuare pienamente le
misure imposte su Pyongyang».
«Nel 2016 la Corea del Nord ha
condotto due test nucleari e 24
lanci di missili balistici, nel 2017 ci
sono stati diversi lanci di missili
balistici. Questo non è normale ed
è qualcosa su cui il mondo deve
porre attenzione»: lo ha sottolineato l’ambasciatore statunitense
all’Onu, Nikki Haley, al termine
della riunione a porte chiuse del
Consiglio di sicurezza. «Non è
qualcosa che possiamo prendere
alla leggera — ha aggiunto il rappresentante di Washington —
Ogni paese è in pericolo per le
azioni della Corea del Nord».
Gli Stati Uniti stanno rivedendo la loro politica sulla Corea del
Nord dopo le ultime provocazioni
del regime di Pyongyang e assicurano che «tutte le opzioni sono
sul tavolo» per rispondere al regime. «Non escludiamo niente», ha
avvertito ancora l’ambasciatore
Nikki Haley, che si è detta scettica
a proposito delle possibilità di
dialogo con il governo di Kim
Jong-un, a causa del suo comportamento «irragionevole» dopo gli
ultimi test missilistici.
Il segretario di stato americano,
Rex Tillerson, sullo sfondo della
crisi innescata dagli ultimi lanci
missilistici nordcoreani dopo le visite a Tokyo e a Seoul, il 18 marzo
sarà a Pechino, allarmata dalla decisione di Washington di installare
sistemi di difesa antimissilistici
che a suo avviso minacciano la sicurezza della Cina.
KABUL, 9. È salito a 49 morti e 76
feriti il bilancio ufficiale delle vittime dell’attacco di ieri all’ospedale
militare di Kabul. Lo ha confermato
stamani il portavoce del ministero
della salute afghano, Qamaruddin
Sediqi. «Tra le vittime ci sono medici, infermieri, pazienti e dipendenti
della struttura — ha precisato il portavoce — e fra i feriti 10 persone versano in gravi condizioni».
L’attacco contro il principale
ospedale militare di Kabul — in una
delle zone più sorvegliate della capitale afghana, vicino a uffici governativi e ambasciate — è stato rivendicato dal cosiddetto stato islamico (Is).
Ieri pomeriggio, dopo sette ore di
battaglia, il portavoce del ministero
dell’interno annunciava l’uccisione
dei quattro terroristi responsabili
della strage. L’ospedale militare era
già finito nel mirino nel maggio del
2011, ma quella volta erano stati i talebani a mettere la firma sull’attacco.
Unanimi le condanne che hanno
accomunato il presidente Ashraf
Ghani, il coordinatore del governo,
Abdullah Abdullah, il comandante
condizioni sono apparse più serie,
sono state trasferite nell’ospedale civile di Shiberghan, capoluogo della
provincia di Jawzjan, meglio attrezzato per le emergenze.
Infine, il Pakistan ha nuovamente
chiuso ieri sera la sua frontiera con
l’Afghanistan dopo una “apertura
umanitaria” di due giorni che ha
permesso il transito, nei due sensi,
di 55.000 persone, in maggioranza
afghani, che erano rimaste bloccate
da settimane. Un responsabile della
sicurezza pakistana ha confermato ai
media che «la frontiera è di nuovo
chiusa a tempo indeterminato».
Nelle 48 ore di apertura della
frontiera è stato autorizzato solo il
transito di persone a piedi, e non
quello degli automezzi che continuano a rimanere bloccati in attesa di
una soluzione del contenzioso pakistano-afghano. Islamabad ha deciso
la chiusura dei due passaggi di confine di Chaman e Torkham il 16 febbraio scorso a seguito di attentati
terroristici realizzati in Pakistan da
militanti venuti e poi nuovamente rifugiatisi in Afghanistan.
Posto di blocco a Kabul vicino all’ospedale attaccato dall’Is (Ap)
Terzo mandato quadriennale
L’iter della legge contro l’Obamacare
Amano riconfermato
direttore dell’Aiea
Partenza in salita
VIENNA, 9. Yukiya Amano guiderà
l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) per altri quattro
anni, secondo quanto hanno deciso
ieri a Vienna gli stati membri
dell’organizzazione.
Confermato per il terzo mandato,
il
sessantanovenne
diplomatico
giapponese avrà in particolare il
compito di controllare il rispetto da
parte dell’Iran dell’accordo sul programma nucleare entrato in vigore
lo scorso anno.
Anche se Amano non è stato
coinvolto direttamente nelle trattative, lui e il suo team hanno lavorato
con il gruppo cinque più uno (i
paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu: Stati
Uniti, Gran Bretagna, Francia,
Russia e Cina; più la Germania) e
con l’Iran per arrivare a un accordo
con Teheran ridimensionando il suo
programma nucleare e imponendo
una serie di severi controlli da parte
dell’Aiea.
Il direttore generale dell’Aiea Yukiya Amano (Reuters)
Deficit per la bilancia
commerciale cinese
PECHINO, 9. Bilancia commerciale
cinese in deficit, a febbraio, per la
prima volta da tre anni. Nel mese
scorso, le importazioni hanno registrato un deciso balzo, mentre le
esportazioni hanno rallentato più
del previsto la loro crescita, a causa
di una debole domanda estera.
Secondo i dati diffusi dall’amministrazione generale delle dogane di
Pechino, in termini di valore, l’import ha mostrato un progresso del
44,7 per cento su base annua, molto
più ampio delle stime che indicavano un più 23,1 per cento e dopo la
crescita di gennaio che ha registrato
una crescita del 25,2 per cento.
Le esportazioni sono invece cresciute soltanto del 14,6 per cento.
Di conseguenza, la bilancia commerciale cinese a febbraio ha visto
un saldo negativo di 60,4 miliardi
di yuan rispetto all’atteso surplus di
172,5 miliardi. Gli economisti sotto-
della missione Nato, John Campbell, la Missione Onu in Afghanistan, la Croce rossa e il Pakistan,
che hanno sottolineato la crudeltà e
lo spregio del diritto umanitario di
chi ha colpito un ospedale, massacrando civili e personale medico.
E, intanto, oltre 80 studentesse e
tre insegnanti di una scuola della
provincia di Faryab (Afghanistan
settentrionale) sono state ricoverate
in ospedale ieri, quando nel mondo
si celebrava la giornata internazionale della donna, a causa di preoccupanti sintomi di avvelenamento causato da una imprecisata sostanza
gassosa. Lo riferisce l’agenzia di
stampa New Afghan Press (Nap).
L’incidente è avvenuto nella scuola femminile Sayed Barkatullah del
distretto di Qurghan, e il responsabile amministrativo della città, Eng
Akbar, ha dichiarato al riguardo che
«non è chiaro quale sia la sostanza
usata né chi è dietro a questa operazione». Da parte sua il direttore del
dipartimento della pubblica istruzione di Faryab, Ghulam Sakhi, ha aggiunto che sette studentesse, le cui
lineano, tuttavia, come questo risultato vada preso con cautela, dal
momento che si riferisce al mese in
cui cade il capodanno cinese, periodo che vede un’interruzione delle
attività nelle fabbriche e nei porti e
la crescita commerciale su base annua è altamente volatile.
In prospettiva, la domanda estera
dovrebbe rimanere abbastanza forte
nel corso dei prossimi trimestri e
dovrebbe continuare a supportare
le esportazioni ed è dubbio il fatto
che possa essere sostenuto l’attuale
tasso di crescita delle importazioni.
Quest’anno la Cina punta a raggiungere l’obiettivo di una crescita
del 6,5 per cento contro un’espansione del 6,7 per cento registrata
nel 2016. Le riserve cinesi in valuta
estera hanno invece segnato a febbraio il primo rialzo, anche se leggero, da giugno 2016, secondo i dati della Banca centrale.
WASHINGTON, 9. Parte in salita negli Stati Uniti l’iter della legge presentata dalla leadership repubblicana alla camera dei rappresentanti
per rimpiazzare l’Obamacare, la riforma sanitaria voluta dall’ex presidente, Barack Obama.
Il nuovo provvedimento è osteggiato non solo dai democratici in
congresso, inermi perché in minoranza, ma anche dall’ala più consevatrice del Gop (Grand old party),
che la considera un riforma «troppo
leggera». Anche alcuni moderati
hanno manifestato scetticismo.
Il presidente, Donald Trump, che
ha definito «meraviglioso» il piano
di rimpiazzo dell’Obamacare, incontrerà oggi la leadership del conservatori, mentre lo speaker della camera, Paul Ryan, assicura di avere i
numeri per fare passare la legge che,
ha dichiarato, «è quello che i repubblicani auspicavano».
Il piano dovrà passare il vaglio
delle commissioni della camera
Ways and Means (che ha la giurisdizione sulle tasse) ed energia e commercio, che supervisiona le questioni legate alla sanità, prima di essere
votato dall’assemblea dei deputati e
poi dal senato dove la maggioranza
dei repubblicani è più ristretta.
Il nuovo provvedimento — ricordano gli analisti — elimina l’obbligo
di essere tutti assicurati e sostituisce
i sussidi pubblici legati al reddito
con un sistema di crediti fiscali fissi
compresi da 2000 e 4000 dollari per
consentire l’acquisto di assicurazioni
private.
«Mantiene
i
sussidi
dell’Obamacare, ma li denomina
crediti rimborsabili, ha attaccato il
senatore repubblicano Rand Paul,
che capeggia la cordata dei Tea
Party che reclama la totale cancellazione della riforma sanitaria di Obama. Tra i moderati Gop, serpeggiano preoccupazioni sui tagli a Medicaid, il programma di copertura assicurativa per i poveri, che gli stati
potrebbero decidere di accantonare
in assenza di aiuti federali. Tra questi, i senatori Rob Portaman e Lisa
Murkowski che sottolineano il ri-
schio che i cambiamenti previsti per
Medicaid «comportino un minor
accesso ai servizi di cure salvavita».
Intanto, l’ex governatore repubblicano dello Utah, Jon Huntsman,
ha accettato l’offerta di Trump di
diventare ambasciatore statunitense
in Russia. Se la nomina sarà confermata dal senato, Huntsman sarà il
diplomatico di più alto profilo
dell’amministrazione Trump proprio
mentre imperversa il “Russia-gate”,
per i legami sospetti tra l’entourage
del presidente e Mosca, sui quali sono scattate una serie di indagini.
Cia e Fbi seguono la pista interna
dopo le rivelazioni di WikiLeaks
WASHINGTON, 9. La fuga di informazioni che ha scatenato il cosiddetto “Ciagate” non sarebbe stata
causata da hacker di una potenza
straniera, ma molto probabilmente
da un dipendente o un contractor
interno. Lo affermano fonti inve-
stata possibile l’ennesima fuga di
informazioni, una delle più massicce della storia, con oltre 8000 documenti top secret dati in pasto al
mondo intero. Ma la grande
preoccupazione, dopo le rivelazioni di WikiLeaks, è per i codici se-
Aumenta il numero delle donne
detenute in Messico
CITTÀ DEL MESSICO, 9. In un paese
come il Messico — segnato da ripetute violenze dei vari gruppi criminali che si contendono il traffico di
sostanze stupefacenti — la discriminazione contro le donne si vede anzitutto nelle prigioni, dove la popolazione femminile si è più che duplicata nello scorso decennio. Questa la
denuncia in occasione, ieri, della
giornata internazionale per i diritti
delle donne.
Secondo cifre rese note da Saskia
Niño de Rivera, dirigente dell’organizzazione non governativa Inserta,
che si occupa, appunto, delle condizioni di vita nelle carceri, nell’arco
di dieci anni — dal 2007 al 2017 — in
Messico il numero di donne dietro
le sbarre è aumentato del 136 per
cento. «Principalmente — ha indicato in una nota ripresa dalle agenzie
di stampa internazionale — perché i
giudici tendono a infliggere pene
meno pesanti agli uomini».
A questo si deve aggiungere che
l’80 per cento delle prigioni del paese sono miste, a volte perfino con
donne e uomini che dormono negli
stessi spazi, il che — secondo l’accusa della dirigente di Inserta — favorisce «la prostituzione e gli abusi e la
mancanza di un’attenzione specifica
per i problemi femminili, come la
maternità e la cura dei figli».
In un recente rapporto della commissione nazionale per i diritti umani del 2014, si segnala, inoltre, che le
donne sono le prime vittime dei cosiddetti “governi paralleli”, che, di
fatto, gestiscono i centri di reclusione, spesso collegati con organizzazioni criminali. «E la corruzione e
l’impunità che esistono nel sistema
carcerario non aiutano a migliorare
la situazione», ha concluso.
Il quartier generale della Cia in Virginia (Afp)
stigative al «The New York Times», spiegando come l’Fbi è
pronta a interrogare chiunque abbia avuto accesso ai documenti rubati. Si tratta di centinaia di persone, probabilmente oltre mille. Il
sospetto è che ad agire sia stato un
contrattista che ha operato da un
server esterno alla Cia. Ma nessuna pista viene al momento esclusa.
Sul caso è stata aperta un’indagine federale e l’agenzia di intelligence sta lavorando alacremente
insieme all’Fbi per capire come sia
greti che potrebbero essere stati
trafugati dai sistemi informatici
dell’agenzia di Langley. Codici in
grado di svelare ancor di più come
vengono compiute e con quali
strumenti le operazioni di spionaggio dell’intelligence statunitense.
La Cia ha rifiutato di commentare
l’autenticità dei documenti d’intelligence diffusi da WikiLeaks. Rivelazioni, ha affermato un portavoce
della Cia, che mirano a danneggiare la capacità di proteggere l’America contro i terroristi.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
venerdì 10 marzo 2017
Joseph Fiennes in una scena
del film «Lutero» (Eric Till, 2003)
Critica a Lutero in nome della mistica
di SERGIO MASSIRONI
cinquecento anni dalla Riforma protestante, quella di
Marco Vannini è una voce
fuori dal coro. Ed ecco Contro Lutero e il falso evangelo,
(Firenze, Lorenzo de’ Medici Press, 2017,
pagine 112, euro 12) il libro con cui si
propone di rovinare la festa, non senza
stimoli per la riflessione di tutti. «Mentre
il mondo laico saluta in Lutero il fondatore di quell’individualismo di cui vive,
le Chiese celebrano in lui un cristianesimo del mero sentire, senza spirito e senza verità». L’autore ha ben chiaro ciò che
evangelo non è. Come il titolo lascia intuire, la sua non è ricerca, ma polemica.
Vannini ha trovato: «L’evangelo è l’annuncio del Bene, della luce, presente in
noi stessi. Non è il rimando a una esteriorità teologica». Duemila anni vengono
tagliati col bisturi di un’unica idea: «Dalla filosofia, dalla più alta saggezza, abbiamo appreso che la nostra vera natura
è spirito». All’evangelo non occorre alcu-
Una voce
fuori dal coro
A
Il Vangelo divinizza perché sorprende
Incarnazione e risurrezione
scolpiscono la nuova percezione
che ciascuno ha di se stesso
degli altri e del destino
na rivelazione; Gesù stesso incarna una
sapienza universale, che nel pensiero greco ha la massima espressione. «Chi può
dire, come Cristo, “Io e Dio siamo una
cosa sola”, “Io sono la luce”, “Io sono la
verità”, solo costui può a buon diritto
parlare di evangelo». Invece, il desiderio
della salvezza nega che chi vorrà salvare
la propria vita la perderà. Il Nuovo Testamento è fatto a pezzi, perché ne emerga il Gesù voluto, predicatore del distacco da sé oscurato dai teologi, Paolo in
primis. «L’uomo distaccato abbandona il
pensiero di Dio-altro, di Dio-ente, (“Prego Dio che mi liberi da Dio”), e sta
nell’Uno, tanto da non pensare e nemmeno esprimersi facendo riferimento a
Dio e al divino come a un qualcosa di a
sé stante, diverso e separato dall’uomo e
dall’umano, dalla natura e dalle cose del
mondo». Vannini annuncia la buona notizia: «Senza Dio, senza questo supremo
appiglio e legame, si è finalmente liberi».
Di conseguenza, Lutero diventa un nemico, come gli autori dei due Testamenti
e in generale tutto ciò che è ebraico. Il
volume sprigiona un antigiudaismo non
più usuale dopo le tragedie novecentesche: «Nell’esperienza della morte dell’anima, del piccolo ego, Gesù rigetta
Mosè e la sua Legge, prende le distanze
dagli ebrei, bugiardi e figli del demonio,
padre della menzogna (i quali, peraltro,
lo ricambiano pienamente, odiandolo e
cercando di farlo morire) e proclama la
sua eternità (...) Il dio platonico è l’opposto di quello biblico».
Per l’autore il problema consiste «nel
fatto che la buona novella nei vangeli è
ancora intrisa della mitologia giudaica, fondata sull’alterità di Dio, ed è perciò
mescolata con quella cattiva», sebbene il lieto annuncio traspaia particolarmente
in Giovanni, «intriso di filosofia greca e libero dal dualismo biblico». Vannini dichiara guerra alle Scritture, e
così alla Riforma, radicalizzando l’opposizione letteraspirito, per deplorare come i testi sacri
siano accomunati nell’identica menzogna:
il rafforzamento dell’ego tramite l’appropriazione di un valore assoluto. Si scambia per divino ciò che è psichico: il sentimento al posto dello spirito. «Ciò è evidente al massimo grado in Lutero, in cui
la fede è la credenza, la certezza psicologica che Gesù Cristo ha preso e prende
su di sé il peccato dell’uomo e lo giustifica, lo salva. Di questa invenzione è chiaro l’utile: siamo liberi di fare quel che si
vuole, dato che Cristo “ricopre” i nostri
peccati, alla sola condizione che si “creda” in lui. Credendo di essere giustificati
sola fide se ne va ogni virtù, ogni valore
bollato come presunzione, vanità, ma soprattutto se ne va la verità». Così, «queste assurdità vanno difese negando la ragione, avvilendola come incapace e presuntuosa e, con un rovesciamento ipocrita, esaltando al suo posto la presunta fede. V’è in ciò una violenza implicita e
ineliminabile». Per Vannini, Lutero è
«un campione di violenza, uno dei più
grandi bugiardi della storia delle religioni che, pure, di bugie è intessuta».
Occorre riconoscere all’autore la capacità di accendere i riflettori su elementi
sempre più rimossi della personalità di
Lutero. L’urto con la veemenza e le contraddizioni intellettuali e morali del riformatore trattiene il lettore di oggi dal farne ingenuamente un santo, imponendo
una lettura del passato che dalle scomuniche non scivoli nell’idealizzazione. Pur
con discutibili intenti, Vannini ci riconsegna una storia in cui volgarità, miseria e
calunnie hanno lacerato la Chiesa e scatenato repressione e barbarie. Su un punto la memoria si fa severa: «Questo continuo sciacquarsi la bocca con la “parola
di Dio”, che è poi quella a piacere di ciascuno, è il tratto veramente insopportabile di Lutero e dei suoi seguaci». Il volume documenta un uso strumentale, delirante, del testo sacro: un parlare vanamente in nome di Dio che sarebbe nel
codice genetico di ogni rivelazione. Paradossalmente, l’autore assorbe i tratti del
suo avversario: «La Scrittura serve a Lutero a dimostrare quel che vuol dimostrare (...) Lutero aveva predicato il libero
esame, ma in realtà l’esame valido era
uno solo: il suo».
Vannini rischia di fare lo stesso. Ci importa, però, la gravità della tentazione. È
possibile smentire l’equazione rivelazione-violenza? Esiste un rapporto non idolatrico con testi che documentino il sorprenderci, il “prenderci da sopra” di
Dio? Sono domande che la teologia deve
trattenere.
Il volume esalta la corrente mistica
che, come un fiume carsico, attraversa la
storia del cristianesimo. Contro Lutero,
«il mistico pensa che la Parola di Dio
non si oda ascoltando la Bibbia, leggendo la Scrittura, ma facendo il vuoto interiore, il silenzio». Tuttavia, quante delle
figure evocate sottoscriverebbero l’idea
che un Dio che parla è ingenua superstizione? «Dio non parla, non proferisce
parole: se è Parola, è Parola non pronunciata, vera non quando la si ascolta, ma
quando la si proferisce. Può farlo solo
chi diventa ed è quella Parola». Diventare Dio: la deificazione dell’essere umano
non è univocamente riducibile al panteistico «Tutto è Uno». Il linguaggio del-
l’amore e dell’unione estatica viene da
Vannini schiacciato sul piano teoretico,
l’unico degno di definirsi spirituale giacché la verità pertiene all’intelletto, fuori
dal quale solo psichismo e sentimento.
Cade così ogni differenza ontologica. Per
quanto sia effettiva la tensione tra Scolastica e neoplatonismo, tra istituzione e
mistica, separare certi autori dall’ortodossia è operazione anacronistica, ideologica, concepibile solo a posteriori. Tre provocazioni risultano tuttavia
salutari. Anzitutto, leggiamo, «col protestantesimo la
menzogna ha preso la veste
laica della coscienza e a stabilire i valori non sono più
i preti ma gli psicologi, che
svolgono la stessa funzione
alienante dei teologi, in
quanto offrono alimento
all’ego e alla sua affermatività». Tra spiritualità e psicologia, effettivamente, permangono separatezza o
confusione, spesso ai danni
della prima. Il problema è
che «i contenuti psicologici
sono sempre tutti veri, insieme al loro contrario, e
così si può speculare sulla
sofferenza di tanti»: che cosa ha da dire il cristianesimo su questo? Quale interiorità le Chiese coltivano nei fedeli?
Con quali strumenti? Ed ecco la seconda
provocazione: «Con la moderna secolarizzazione e il progressivo regresso delle
Chiese cristiane verso la matrice ebraica,
oggi prevale la “buona” novella di carattere sociale: emancipazione dei poveri, liberazione degli oppressi, instaurazione di
una società giusta e felice. Il regno dei
cieli si è così trasferito sulla terra e, in
parallelo, il lieto annuncio della vita beata in paradiso è diventato quello di una
comunità giusta e felice sulla terra».
Davvero è così? Ci può essere ecumenismo senza percezione del “non ancora”,
quindi della relatività di tutte le configurazioni storiche del pensiero e della convivenza? La matrice ebraica, contrariamente alle convinzioni di Vannini, è intessuta di attesa, di vuoto, grazie alla differenza e alla non manipolabilità di Dio.
Quale escatologia, allora? Infine, in un
mondo deturpato da muri e disuguaglianze, come rispondere a un autore che
afferma: «È nel distacco che si fa esperienza della vacuità di quel mero susseguirsi di sensazioni, volizioni, pensieri,
che solo per una sorta di praticità linguistica riportiamo a un soggetto, a un io»?
Per Vannini, pensare «Sono io che agisco» è possibile solo a menti offuscate. Il
cristianesimo fonda invece così la responsabilità, che induce anche a decise inversioni di rotta. Alle Chiese il compito di
documentare come la deriva individualistica sia, non da oggi, agli antipodi
dell’ortodossia. Vannini con l’io rigetta il
corpo, il determinato, il contingente: «Io
non sono questo individuo tangibile e
che cade sotto i sensi, ma un essere ben
lontano dal corpo, senza colore e senza
forma, che nessuna mano può toccare e
che solo il pensiero può cogliere». Noi
Trento Longaretti, «Strano cielo sui viandanti» (2009)
pensiamo diversamente. È vero: il vangelo supera Lutero stesso e non solo copre
i peccati, ma trasforma chi dimentica se
stesso in Colui che incontra. Divinizza,
ma perché sorprende. Incarnazione e risurrezione scolpiscono la nuova percezione che ciascuno ha di sé, degli altri, del
destino.
Per i settant’anni di Lucky Luke
Borges e il senso del drago
Una delle tavole di Maurizio Quarello trasformate in immagini pop-up
«Ignoriamo il senso del drago — scriveva Jorge Luis Borges
nel Manuale di zoologia fantastica scritto con Margarita
Guerrero nel 1957 — come ignoriamo il senso dell’universo;
ma c’è qualcosa, nella sua immagine, che s’accorda con l’immaginazione degli uomini; e così esso sorge in epoche e latitudini diverse; è per così dire un mostro necessario». La Biblioteca nazionale centrale di Roma — in collaborazione con
CoopCulture e la Galleria Tricromia, con il patrocinio
dell’Ambasciata della Repubbblica Argentina, Casa Argentina e l’Istituto Italo-Latino Americano — rende omaggio al
Manuale e al suo autore con una mostra, aperta fino al 31
marzo. In «Borges, bestie, carte. Una mostra di zoologia
fantastica», allestita a cura di Luca Arnaudo, le tavole a matita dell’illustratore Maurizio Quarello sono state trasformate
in pop-up da Luigia Giovannangelo. In occasione dell’iniziativa sono state pensate attività didattiche e di animazione
culturale: il 17 marzo Maurizio Bettini, direttore del Centro
antropologia e mondo antico dell’università di Siena, parlerà
di fantasia e mostri, dal nostro più remoto passato ai giorni
nostri, cercando di rispondere alla domanda più semplice e
più affascinante che le creature fantastiche pongono agli studiosi di mitologia: per quale motivo la fantasia simbolica e
narrativa di tante culture ha inventato esseri ibridi, smisurati,
inauditi? Anche il drago ha un senso, anche se non sappiamo ancora quale sia.
Copertina della nuova edizione del fumetto
Le avventure del cowboy solitario più
famoso del Far West riprendono vita
sotto la matita di Guillaume Bouzard.
Per i suoi settant’anni, l’uomo che spara
più veloce della sua ombra torna in
libreria col nuovo album omaggio Jolly
Jumper ne répond plus (“Jolly Jumper
non risponde più”, Parigi, Dargaud,
2017, pagine 48, euro 13,99). Questa volta
Lucky Luke è molto
preoccupato: il suo fedele
ronzino Jolly Jumper ha
deciso improvvisamente di
non rivolgergli più la parola.
Il cowboy si confida con il
magistrato che lo ha
convocato per un motivo
urgente — i guai causati dai
fratelli Dalton in prigione —
il quale gli consiglia di
«rinnovare il suo
guardaroba» e di aprire una
nuova via di dialogo. Pur
riproducendo fedelmente tutti
gli ingredienti del fumetto
immaginato dal disegnatore
belga Morris nel 1946,
l’album assume accenti
caricaturali, spesso grotteschi,
per uno stile volutamente
burlesco: «Volevo — ha
spiegato Bouzard in
un’intervista a BFMTv — che
Lucky Luke apparisse
davvero. Rivolgo un piccolo
omaggio ai Monty Python in
questo fumetto. Volevo far
vedere un Lucky Luke diverso, attraverso
un umorismo sfrenato. Credo che sia
stato lo scopo di questa prima tavola: far
vedere che potevo permettermi di tutto».
L’album si inserisce nell’iniziativa
commemorativa «Lucky Luke visto da...»
e fa seguito alla versione di Thierry
Bonhomme, L’uomo che uccise Lucky
Luke, uscita nel 2016.
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 10 marzo 2017
pagina 5
Edmond Manning, «Gesù chiama
Zaccheo sull’albero» (2006)
Gioia e letizia da Cicerone a Bergoglio
L’importanza
di un titolo
di MARCELLO SEMERARO
li incipit dei documenti
magisteriali hanno sempre
un certo valore simbolico.
Non solo, però, in quei testi. Si pensi, ad esempio,
per entrare nell’ambito della letteratura
italiana, al celebre inizio dantesco «Nel
mezzo del cammin di nostra vita», oppure al manzoniano «Quel ramo del lago di Como» che a molti studenti rimangono nella memoria per sempre. Il
loro significato non è solo identificativo,
G
Benozzo Gozzoli
«Il trionfo di san Tommaso d’Aquino»
ma pure per molti aspetti sintetico,
com’è — per fare un altro esempio, questa volta preso dall’arte musicale — l’attacco della Quinta di Beethoven: il tema del destino, come si dice comunemente, che poi si dipana nei quattro
movimenti che compongono la sinfonia.
Qualcosa del genere avviene anche per
gran parte dei testi ecclesiastici, specialmente pontifici, conciliari e, spesso, anche di organismi della Santa Sede.
Nel caso di Papa Francesco, già per
Evangelii gaudium si sarà potuto notare
l’ispirazione alla Evangelii nuntiandi di
Paolo VI. In Amoris laetitia il titolo si
muove sulla medesima onda: «La gioia
dell’amore che si vive nelle famiglie è
anche il giubilo della Chiesa» (n. 1). Il
veva Karl Rahner introducendo un suo
libretto dal titolo Amare Gesù: «Le singole parole significano in primo luogo
un invito a lasciare che quello cui esse
alludono emerga dall’esperienza della
propria vita e di qui ci venga incontro.
Ognuno di noi può infatti affermare di
capire parole come amore, fedeltà, pazienza ecc. non appena le ode. Però deve anche ammettere che capisce realmente tali parole solo colui che, udendole, raccoglie contemporaneamente le
esperienze della propria vita con calma,
con pazienza, con l’orecchio continuamente teso verso la propria esistenza,
così come si raccoglie una chiara acqua
sotterranea lasciandola lentamente sgocciolare in una bacinella. Soltanto chi
legge in questo secondo modo (appena
accennato) capisce realmente e legge
con profitto».
È forse per questa ragione che all’inizio dell’esortazione apostolica Amoris
laetitia Francesco raccomanda: «Non
consiglio una lettura generale affrettata.
Potrà essere meglio valorizzata, sia dalle
famiglie sia dagli operatori di pastorale
familiare, se la approfondiranno pazientemente una parte dopo l’altra, o se vi
cercheranno quello di cui avranno bisogno in ogni circostanza concreta. È probabile, ad esempio, che i coniugi si riconoscano di più nei capitoli quarto e
quinto, che gli operatori pastorali abbiano particolare interesse per il capitolo
sesto, e che tutti si vedano molto interpellati dal
capitolo ottavo. Spero
Rispetto a «gaudium»
che ognuno, attraverso la
lettura, si senta chiamato
che come direbbe Cicerone
a prendersi cura con amoè segnato da serenità e quiete
re della vita delle famiglie, perché esse “non soe pur non distanziandosene
no un problema, sono
«laetitia» ha un di più di effervescenza
principalmente un’opportunità”» (n. 7).
Ciò premesso, persoQueste sottolineature lessicali aprono nalmente ritengo che per Francesco la
la via a diverse riflessioni. Anzitutto che scelta della gioia quale via per entrare
non è certo irrilevante il fatto che per la nella realtà grande dell’«amore nella faseconda volta in un documento magi- miglia» (come spiega il sottotitolo di
steriale Francesco abbia scelto un “at- Amoris laetitia) sia teologicamente e spitacco” sul tema della gioia. Al riguardo ritualmente fondata. Teologicamente,
si possono ricordare tre simili preceden- perché quello che caratterizza la religioti: il discorso di Giovanni XXIII per ne cristiana — potremmo tranquillamenl’apertura del concilio Vaticano II Gau- te dire giudeo-cristiana — è appunto la
det mater ecclesia, “la madre Chiesa si gioia: «Vi annuncio una grande gioia»
rallegra”; in secondo luogo la costitu- annuncia ai pastori l’angelo del Signore
zione pastorale dello stesso concilio sul- (Luca, 2, 10). Il cristiano, per altro verla Chiesa nel mondo contemporaneo so, è colui che all’invito di Gesù risponGaudium et spes («le gioie e le speranze, de con la gioia, come Zaccheo (cfr. Lule tristezze e le angosce degli uomini ca, 19, 5-6). La scelta mi pare pure spirid’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti
coloro che soffrono, sono pure le gioie e
le speranze, le tristezze e le angosce dei
discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco
nel loro cuore»); infine, l’esortazione
apostolica Gaudete in Domino di Paolo
VI (9 maggio 1975), della quale vale la
pena riprendere almeno queste prime
battute: «Facendo sorgere l’uomo entro
un universo che è opera di potenza, di
sapienza, di amore, Dio, prima ancora
di manifestarsi personalmente mediante
la rivelazione, dispone l’intelligenza e il
cuore della sua creatura all’incontro con
la gioia, nello stesso tempo che con la
verità. Bisogna dunque essere attenti
all’invocazione che sale dal cuore
dell’uomo, dall’età dell’infanzia meravigliosa fino a quella della serena vecchiezza, come un presentimento del mistero divino».
In tutte queste ricorrenze la gioia della Chiesa è caratterizzata dalla misericordia — «al tempo presente, la Sposa
di Cristo preferisce usare la medicina
della misericordia invece di imbracciare
le armi del rigore», diceva Giovanni
XXIII — ma anche gioia di condivisione
per l’incontro con Cristo e pure dell’incontro in quell’humanum che ancora
Paolo VI evocò il 4 ottobre 1965 parlando all’assemblea generale delle Nazioni
Unite. La ripresa negli incipit da parte
di Francesco può essere considerata come un rilancio di questi atteggiamenti
della Chiesa.
L’approccio alla realtà della famiglia
mediante il rimando non a un concetto,
oppure a un dato sociologico o istituzionale bensì a un sentimento fondamentale come la gioia, è da ritenersi
esemplare. Per sottolineare il valore non
solo teologico di questo approccio alla
realtà della famiglia mediante il tema
«Epistulae ad familiares» di
della gioia, mi piace citare quanto scrititolo latino, però, fa ricorso alla parola
laetitia. Nelle principali lingue occidentali essa è tradotta con gioia, joie, joy
(italiano, francese, inglese), Freude (tedesco), alegría (spagnolo), alegria (portoghese). Queste ultime, in particolare,
rendono meglio il senso della parola latina.
Infatti, rispetto al termine gaudium
(che, come direbbe Cicerone, è segnato
dalla serenità e dalla quiete), e pur non
distanziandosene, la parola laetitia ha
un di più di effervescenza. Isidoro di
Siviglia sottolinea nella presenza del
dittongo ae il carattere di espansività e
esultanza, di creatività e di fecondità
proprio della laetitia. Anche per san
Tommaso laetitia indica una gioia che
quasi esplode dall’interno verso l’esterno e provoca come una dilatazione del
cuore: laetitia dicit effectum gaudii in dilatatione cordis; unde dicitur laetitia quasi
latitia: exultatio autem effectum ipsius in
signis exterioribus, inquantum gaudium interius ad exteriora prorumpens, quodammodo exilit (“letizia significa l’effetto della gioia nella dilatazione del cuore; per
questo si dice letizia (laetitia) come se
fosse un allargamento (latitia): l’esultanza è poi il suo effetto nei segni esteriori,
in quanto la gioia interiore, prorompendo all’esterno, in qualche modo salta
fuori”, Super libros Sententiarum, lib. 3 d.
26 q. 1 a. 3 co.).
tualmente fondata alla luce della formazione ignaziana del Papa.
Gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio,
infatti, altro non sono che una pedagogia per giungere alla verdadera alegría:
una “gioia” che è il riflesso psicologico
della comunione con Dio, della grata
percezione di quanto egli opera nell’uomo e del fatto di sentirsi amato da Dio.
L’espressione “Padre che mi vuole bene” è ricorrente nel linguaggio di Francesco. Un esempio potrà essere l’omelia
di Santa Marta del 14 marzo 2016 a
commento del salmo 22: «“Il Signore è
il mio pastore, non manco di nulla. Su
pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque
tranquille mi conduce, rinfranca l’anima
mia”. È l’esperienza del Signore che mi
vuole bene e che è sempre accanto a
me. Qualcuno, però, potrebbe obiettare:
“Ma Padre, questo sembra una telenovela, perché ci sono tante cose brutte
nella vita!”. Invece, da parte sua, il poeta del salmo continua: “Mi guida per il
giusto cammino a motivo del suo nome:
anche se vado per una valle oscura, non
temo alcun male perché tu sei con
me”». E all’Angelus del 26 febbraio
scorso ha detto: «Al di sopra di tutto
c’è un Padre amoroso che non si dimentica mai dei suoi figli: affidarsi a lui non
risolve magicamente i problemi, ma permette di affrontarli con l’animo giusto,
coraggiosamente, sono coraggioso perché mi affido al mio Padre che ha cura
di tutto e che mi vuole tanto bene».
In secondo luogo, la titolazione di
Amoris laetitia mette in luce che il suo
oggetto non è primariamente la famiglia, o il matrimonio. C’è già, ed è abbondante, un magistero pontificio sul
matrimonio e sulla famiglia! Al riguardano, i numeri 67-70 richiamano gli ultimi interventi di questo tipo, a cominciare dal Vaticano II con Gaudium et
spes (numeri 47-52), poi con l’Humanae
vitae di Paolo VI, quindi con la Familia-
ris consortio di Giovanni Paolo II e infine Benedetto XVI con la Caritas in veritate. D’altra parte la stessa Amoris laetitia dedica al sacramento del matrimonio
i numeri 71-75, che costituiscono un passaggio certamente sintetico, ma denso e
preciso.
L’esortazione Amoris laetitia, però, ha
un altro scopo. Lo troviamo dichiarato,
in sintonia con i padri sinodali, al numero 200: «Si tratta di far sperimentare che il Vangelo della famiglia è gioia
che “riempie il cuore e la vita intera”
perché in Cristo siamo “liberati dal
peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento”». Domanda ultima dell’esortazione, dunque, è: come
sarà possibile portare gioia nella famiglia?
Francesco, con la sua esortazione
apostolica quasi imita Gesù che dice ai
discepoli: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra
gioia sia piena» (Giovanni, 15, 11). Dov’è
questa gioia? In tutte le realtà cui, anche se in modo appena abbozzato e
perfino sfigurato, è possibile dare, o è
dato, il nome di famiglia. Citando i vescovi del Cile, Francesco scrive: «“Non
esistono le famiglie perfette che ci propone la pubblicità ingannevole e consumistica. In esse non passano gli anni,
non esistono le malattie, il dolore, la
morte [...]. La pubblicità consumistica
mostra un’illusione che non ha nulla a
che vedere con la realtà che devono affrontare giorno per giorno i padri e le
madri di famiglia”. È più sano accettare
con realismo i limiti, le sfide e le imperfezioni, e dare ascolto all’appello a crescere uniti, a far maturare l’amore e a
coltivare la solidità dell’unione, accada
quel che accada» (n. 135; cfr. n. 57). Al
n. 76, citando prima la relatio synodi e
poi Familiaris consortio, aveva scritto:
«“Il Vangelo della famiglia nutre pure
quei semi che ancora attendono di maturare, e deve curare quegli alberi che si
sono inariditi e necessitano di non essere trascurati”, in modo che, partendo
dal dono di Cristo nel sacramento, “siano pazientemente condotti oltre, giungendo ad una conoscenza più ricca e ad
una integrazione più piena di questo
Mistero nella loro vita”».
Aggiungo, da ultimo, che insieme col
dono della gioia, Amoris laetitia vuole
incoraggiare all’espansività; ossia incoraggiare la famiglia a una gioia capace
di essere generativa. Basta citare il n.
Bisogna essere attenti
all’invocazione
che sale dal cuore dell’uomo
dall’infanzia alla vecchiezza
diceva Paolo VI
Cicerone (manoscritto, 1547)
80, dove si legge che «fin dall’inizio
l’amore rifiuta ogni impulso di chiudersi
in se stesso e si apre a una fecondità
che lo prolunga oltre la sua propria esistenza»; oppure il n. 94, dove Francesco
cita sant’Ignazio di Loyola: «L’amore si
deve porre più nelle opere che nelle parole» e lo commenta così: «In questo
modo può mostrare tutta la sua fecondità, e ci permette di sperimentare la felicità di dare, la nobiltà e la grandezza di
donarsi in modo sovrabbondante, senza
misurare, senza esigere ricompense, per
il solo gusto di dare e di servire». Al n.
165, poi, si legge: «L’amore dà sempre
vita». Sono le parole che danno inizio
al capitolo quinto, dedicato all’amore
che diventa fecondo. Sembra di risentire
san Tommaso: la letizia è la gioia quando si espande.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
venerdì 10 marzo 2017
Informazione pubblicitaria
Si apre a Vicenza la rassegna internazionale Koinè
Un punto
di riferimento
Un appuntamento strategico a livello europeo per il
comparto religioso: è Koinè, l’evento organizzato da Italian Exhibition Group (nuova società nata dall’integrazione tra Rimini Fiera e Vicenza Fiera) che si apre l’11
marzo nel quartiere fieristico Fiera di Vicenza e che si
svilupperà fino al 14 offrendo una particolare sinergia tra
esposizione e spazi di riflessione, dibattito e formazione
professionale.
Nata nel 1989 per volontà della Fiera, della diocesi di
Vicenza e della Conferenza episcopale italiana (Cei), la
rassegna offre a cadenza biennale una vetrina espositiva
e un’occasione di riflessione e dibattito dedicata alla liturgia e all’architettura degli edifici di culto di alto profilo, come dimostra la leadership che Koinè è riuscita a
mantenere per qualità e numero di prodotti esposti, mostre, convegni e visitatori professionali nelle sue 17 edizioni. Nell’ultima, quella del 2015, ha registrato 13.000
ingressi, il 65 per cento dei quali provenienti dall’estero.
Sempre capace di cogliere le questioni attuali e di
svilupparle con il contributo scientifico più aggiornato,
Koinè quest’anno affronterà in due giornate nazionali di
confronto, nella parte dedicata alla ricerca, la valorizzazione delle chiese attraverso l’arte, la liturgia e la
catechesi, e la manutenzione programmata delle chiese e
dei
complessi
parrocchiali,
illustrando
modelli
applicativi per le diocesi. I due seminari specialistici saranno dedicati all’illuminazione delle chiese, fra tutela,
valorizzazione e innovazione tecnologica e all’acustica
delle chiese, tra esigenze liturgiche e tecnologia. I programmi di questi eventi sono stati supportati dagli uffici
e servizi della segreteria generale della Cei per i beni
culturali.
Allestite, inoltre, le mostre «Vasi sacri e oggetti per
uso liturgico» — che avrà una prosecuzione ideale al
Museo diocesano di Vicenza — e «Santini d’autore. Interpretazioni contemporanee per le immagini devozionali».
Oltre 300 gli espositori presenti — tra
aziende, artisti, artigiani, espressione del
made in Italy e
dell’eccellenza manifatturiera internazioSubito dopo l’inaugurazione di
nale — cui s’aggiungoKoiné, alla presenza del Vescovo
no i key player della
di Vicenza, monsignor Beniamino
distribuzione, i rapPizziol, e del vicepresidente
presentanti del clero
esecutivo di Ieg, Matteo
europeo e gli addetti
Marzotto, si svolgerà un incontro
ai lavori nel settore
con i rappresentanti delle diocesi
della
costruzione,
terremotate del Centro Italia, nel
dell’adeguamento
e
della
manutenzione
corso del quale gli espositori
degli edifici di culto.
offriranno doni in vista della
«Koinè è il Salone
ricostruzione delle chiese:
più importante a livelparamenti liturgici, arredi per le
lo europeo per il comaule di culto, immagini sacre,
parto religioso», ha
impiantistica.
sottolineato presentando l’edizione di quest’anno Matteo Marzotto, vicepresidente
esecutivo di Italian Exhibition Group. «Crediamo molto
nel potenziale della manifestazione — ha aggiunto — nella quale continuiamo a investire anche grazie alla costruttiva collaborazione di autorevoli partner del mondo
ecclesiastico».
Koinè «è stata una felice intuizione dell’allora vescovo
di Vicenza, monsignor Pietro Nonis, che fin dall’inizio —
ha ricordato monsignor Francesco Gasparini, responsabile per i beni culturali della diocesi — collaborò con la
Fiera e la Conferenza episcopale italiana». Attraverso
Koinè, ha aggiunto, «è passato negli anni molto del rinnovamento della liturgia e dell’arte legata alla liturgia».
Per quanto riguarda la parte espositiva, sono diversi i
settori che la compongono nell’ambito delle aree «Chiesa&liturgia» e «Fede&devozione».
La prima sezione è dedicata a prodotti e servizi per i
luoghi di culto e le comunità religiose, cui si affiancano
le più innovative soluzioni per la progettazione, il restauro e la manutenzione. La seconda sezione presenta
l’offerta più completa e le novità della produzione internazionale di articoli e oggetti devozionali rivolta a distributori specializzati, santuari e altri operatori del settore.
Solidarietà
con i terremotati
Le giornate di studio
Come valorizzare lo straordinario patrimonio rappresentato dalle chiese e come, contemporaneamente, manutenere questa ricchezza attraverso
una programmazione organizzata che contempli
chiese e complessi parrocchiali?
Sono le due sfide contemporanee attorno alle
quali si concentreranno quest’anno le giornate di
studio di Koinè Ricerca nell’ambito della manifestazione fieristica che si apre a Vicenza e che proseguirà fino al 14 marzo. Affiancata all’esposizione merceologica, la sezione dedicata alla ricerca
scientifica fin dalla prima edizione di Koinè, nel
1989, ha offerto al mondo produttivo del settore
un contributo di idee e proposte innovative, coinvolgendo architetti, designer e liturgisti. «La Conferenza episcopale italiana (Cei), attraverso i convegni organizzati nel corso degli anni qui a Vicenza — evidenzia monsignor Giancarlo Santi, presidente del comitato scientifico di Koinè — ha perseguito l’obiettivo di fornire stimoli per l’innovazione in accordo con la grande scommessa del
Concilio Vaticano II del dialogo con la cultura
contemporanea».
Si comincia nella giornata d’apertura, con il
convegno delle ore 9.45 «Conoscere, conservare,
valorizzare il patrimonio religioso culturale» e nel
pomeriggio, alle ore 14.30, con il seminario specialistico «L’illuminazione delle chiese tra tutela,
valorizzazione e innovazione tecnologica». Contemporaneamente all’esigenza di adeguare le infrastrutture tecnologiche nelle chiese, si avverte la
necessità della formazione di una cultura che interpreti correttamente i principi corrispondenti alle funzioni e ai significati che tali spazi rappresentano. I relatori vantano una ricca esperienza nel
mondo dell’illuminazione, oltre ad avere sviluppato sul tema un vasto corpus di ricerche.
Lunedì 13 marzo, alle 9.45 inizierà la giornata
di studio dedicata alla valorizzazione delle chiese
attraverso l’arte, la liturgia e la catechesi. Oltre a
casi interessanti di animazioni ed eventi nelle
chiese, saranno presentati dei modelli di lettura
delle opere d’arte nei luoghi di culto.
In contemporanea, si terrà il seminario specialistico su «L’acustica nelle chiese. Tra esigenze liturgiche e tecnologia». Il seminario affronta il tema dell’acustica delle chiese attraverso la presentazione delle linee guida della Cei.
Martedì 14 marzo, alle 10, la giornata di studio
verterà su «La manutenzione programmata delle
chiese e dei complessi parrocchiali: modelli applicativi per le diocesi». «Il patrimonio degli edifici
Tutela e valorizzazione
Il patrimonio dei beni culturali ecclesiastici della
Chiesa cattolica italiana, con le oltre 65.000 chiese
censite, le tremila biblioteche, i 28.000 archivi parrocchiali e diocesani e i quattro milioni di oggetti
consultabili in un archivio informatizzato, si trova
al centro di un variegato sistema di scambi spirituali, culturali e non ultimo economici, considerando il rilievo che sta assumendo il turismo nelle città d’arte in Italia e in Europa.
«Le molteplici sfaccettature del patrimonio immobiliare fanno comprendere la complessità che
sottende ad attività correlate alla tutela, alla manutenzione, alla conservazione e, infine, alla valorizzazione. Tali attività dovranno sempre più essere
interrelate e inserite in un unico grande scenario
che ne contempli tutti gli aspetti», sottolinea don
Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio nazionale
per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto
della Conferenza episcopale italiana (Cei).
La responsabilità della manutenzione e della gestione dei beni della Chiesa nei suoi diversi aspetti
compete ai parroci, che da soli si trovano ad affrontare diversi problemi. Nelle attività legate alla
manutenzione entrano in gioco anche le figure professionali (tecnici, ingegneri, architetti), figure che
necessitano di un’attività formativa specifica. Inoltre, prosegue don Pennasso, «la complessità del tema manutenzione è facilmente intuibile se si considera solo l’ampia e variegata classificazione tipologica degli edifici di culto, le stratificazioni e gli interventi che essi hanno subito nel tempo, cui si
sommano altri aspetti esterni come il rischio sismico di un territorio. Tutto questo deve fare i conti
con l’aspetto economico che gli interventi comportano». Va da sé che «diventa inevitabile individuare una metodologia d’approccio condivisa che miri
a razionalizzare le risorse».
Condividere un percorso, informare più che uniformare è dunque il messaggio che la Cei vuole dare alle diocesi che affluiranno alla giornata di studio del 14 marzo a Vicenza sulla manutenzione
programmata delle chiese e dei complessi parrocchiali. Il primo passo di tale manutenzione, anticipa don Pennasso, è «conoscere il patrimonio immobiliare della propria realtà».
di culto serve alla chiesa per l’evangelizzazione,
luoghi dove la gente può incontrarsi e dove si favorisce la coesione sociale» afferma don Valerio
Pennasso, direttore dell’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della
Conferenza episcopale italiana. «Un aspetto che è
stato reso drammaticamente evidente con il terremoto del centro Italia e la distruzione di un numero ingente di edifici». In quest’occasione la
Cei, con la collaborazione dell’arcidiocesi di Milano e del Politecnico, presenta due progetti significativi, seppur nati con obiettivi diversi, relativi al
tema del seminario.
Vasi sacri in mostra
Vasi sacri e oggetti per uso liturgico, in particolare il
calice, in dialogo con il sentire contemporaneo, a
partire dalla riforma liturgica promossa dal concilio
Vaticano II. È l’orizzonte che offre l’importante
mostra che si apre negli spazi fieristici (padiglione 7)
in concomitanza con Koinè, visitabile fino al 14
marzo. L’esposizione fa il punto sulla situazione in
Europa, presentando una serie di proposte
significative selezionate dal comitato scientifico di
Koinè Ricerca, presieduto da monsignor Giancarlo
Santi.
«Con la riforma liturgica conciliare, per la
celebrazione della Messa l’altare è stato posto al
centro ideale dell’assemblea e in questo modo, a
partire dalla liturgia eucaristica, il calice è posto
sull’altare e rimane costantemente sotto gli occhi di
tutti. Non è un caso, perciò — spiega monsignor
Santi — che nei cinque decenni successivi al Concilio
Vaticano II proprio al calice, spontaneamente, sia
stata rivolta tanta attenzione da parte dei sacerdoti e
dei fedeli».
Analogamente a quanto è successo per i calici,
l’intero mondo dei vasi sacri e degli oggetti usati per
la liturgia ha conosciuto un ampio rinnovamento
che presenta tratti comuni.
In sintonia con questa mostra e in ideale
prosecuzione di Koinè, nel cuore della città di
Vicenza il Museo diocesano ospita dall’11 marzo fino
al 28 maggio la mostra «Calici e pissidi nel tempo
del Vaticano II (1955-1975). Ricerche e realizzazioni
in area veneta».
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 10 marzo 2017
pagina 7
Per impedire la reintroduzione della pena di morte nelle Filippine
I vescovi
chiedono di mobilitarsi
Migliaia di firme a sostegno del progetto di legge voluto dall’arcidiocesi di San Salvador
In marcia
per dire no alle miniere
SAN SALVAD OR, 9. L’arcidiocesi
di San Salvador si mobilita contro l’estrazione indiscriminata di
metalli nel Paese, convocando
per oggi una protesta davanti
all’Assemblea nazionale per esigere l’approvazione di una legge
al riguardo. Al termine della
manifestazione (che partirà dal
Parque Bolívar) — informa un
comunicato citato dall’agenzia
Efe — «verranno consegnati al
Congresso vari elenchi con migliaia di firme raccolte a sostegno dell’iniziativa di legge per
proibire l’estrazione di metalli in
El Salvador». Alla protesta partecipano diverse organizzazioni
e associazioni favorevoli alla
proposta della Chiesa.
Recentemente l’arcivescovo di
San Salvador, José Luis Escobar
Alas, il rettore dell’Università
centroamericana, Andreu Oliva,
il direttore dell’Istituto dei diritti umani dell’ateneo, José María
Tojeira, e altri rappresentanti
cattolici hanno presentato il progetto al Parlamento spiegando
la necessità che venga approvato
al più presto a causa delle gravi
conseguenze per l’ambiente provocate dall’industria del settore.
A fine febbraio gli abitanti del
municipio di Cinquera, a settanta chilometri a nord-est della capitale, hanno respinto la realizzazione di miniere nel loro terri-
torio attraverso una consultazione popolare. Il 98 per cento dei
residenti ha votato contro lo
sfruttamento minerario nel territorio municipale. In precedenza
si erano espressi allo stesso modo gli abitanti di San José las
Flores, San Isidro Labrador,
Nueva Trinidad e Arcatao. Secondo l’arcidiocesi e le organizzazioni ambientaliste si tratta di
un «chiaro segnale» alle commissioni parlamentari incaricate
affinché approvino una legge
che vieti lo sfruttamento indiscriminato dell’ambiente.
Iniziative della Chiesa venezuelana
Aiutare i più poveri
CIUDAD BOLÍVAR, 9. Non si
può rimanere indifferenti guardando la gente che rovista tra
la spazzatura alla ricerca disperata di cibo. Sempre più persone sono costrette a farlo perché
non hanno nulla da portare a
casa per mangiare, nulla da
mettere nella loro tavola. È
quanto denuncia l’arcivescovo
di Ciudad Bolívar, Ulises Antonio Gutiérrez Reyes, in merito
alle scene di miseria quotidiana
che avvengono in Venezuela.
«E non mi riferisco solo ai senzatetto o ai mendicanti — ha
precisato il presule — ma a
donne, uomini e bambini qua-
lunque costretti a cercare cibo
tra i rifiuti».
L’arcivescovo ha ricordato
che a Ciudad Bolívar, capoluogo del distretto di Bolívar, centinaia di famiglie vivono in
condizioni drammatiche: «I salari sono diminuiti e i prezzi
dei prodotti alimentari aumentati; è sempre più difficile riuscire a sfamare una famiglia.
Questa realtà è deprimente, dolorosa, inquietante. Ci sono individui vicino ai supermercati e
alle abitazioni alla ricerca disperata di cibo, all’interno dei
sacchetti della spazzatura».
Monsignor Gutiérrez Reyes ha
Un provvedimento che minaccia le terre dei contadini
Contro lo sfruttamento ambientale
RANCHI, 9. I cristiani dello Jharkhand, stato dell’India centro-orientale, ricco di foreste e di risorse minerarie, si oppongono alla modifica
di due leggi sulla proprietà terriera
che rischiano di privare i tribali
dell’uso delle terre. A difesa della
comunità, il cardinale arcivescovo di
Ranchi, Telesphore Placidus Toppo,
ha guidato nei giorni scorsi una delegazione cristiana in visita a Draupadi Murmu, governatrice dello stato indiano, composto in maggioranza da contadini tribali. È stata
espressa preoccupazione per le nuove norme che solo all’apparenza favorirebbero i contadini. «Gli emendamenti — ha spiegato il porporato
— non portano beneficio al nostro
popolo. Le norme condurranno a
un esproprio delle terre».
La diatriba, spiega Asia News,
ruota attorno agli emendamenti a
due leggi approvati dal Governo
statale, guidato dal partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party. Il
23 novembre 2016 i parlamentari
hanno dato il consenso alla modifica del Chotanagpur Tenancy Act e
del Santhal Paragana Tenancy Act.
Le modifiche annullano un precedente divieto ad acquisire le terre
dei tribali imposto sia allo stato che
agli individui. Tale bando tutelava e
proteggeva le proprietà dei tribali,
in maggioranza persone senza istruzione le cui terre sono l’unica fonte
di reddito a garantire la loro sopravvivenza. Negli ultimi decenni, lo
Jharkhand è stato ampiamente sfruttato dalle industrie nazionali e straniere, spesso a discapito dell’ambiente naturale. La deforestazione e
le attività estrattive costituiscono
una grossa minaccia per le numerose popolazioni tribali presenti sul
MANILA, 9. La Camera «ha dato
allo stato il permesso di uccidere»: lo ha dichiarato l’arcivescovo di Lingayen-Dagupan, monsignor Socrates B. Villegas, presidente della Conferenza episcopale filippina, dopo che la Camera dei rappresentanti ha approvato, alla terza lettura, il ripristino della pena capitale nella
nazione per reati legati alla droga, in linea con la campagna del
Governo contro i narcotrafficanti che ha già ucciso migliaia di
persone. Sono esclusi i crimini
che erano punibili in precedenza, come il furto, lo stupro o il
tradimento.
Martedì, durante la sessione
plenaria della Camera, duecentodiciassette
membri
hanno
espresso parere favorevole al
progetto di legge che reintroduce la pena di morte, cinquantaquattro hanno votato no, mentre
uno si è astenuto. Il provvedimento è stato promosso dall’al-
territorio che, in molte occasioni,
sono state costrette ad abbandonare
i loro stili di vita tradizionali e a
cercare altri mezzi di sostentamento.
Sulla carta, gli emendamenti consentirebbero ai tribali l’utilizzo delle
terre per scopi non agricoli, senza
perderne il possesso. I cristiani però
lamentano che con questo espediente si dà il via libera allo sfruttamento indiscriminato del territorio. Infatti, nel caso in cui i tribali si trovassero in condizioni di difficoltà
economiche, sarebbero portati a
vendere i terreni al miglior offerente. Secondo la Chiesa, nessuno, e
tantomeno la legge in questione, garantisce che le proprietà dei tribali
non saranno utilizzate per massimizzare i profitti di attività industriali o turistiche.
Le popolazioni che da secoli abitano queste regioni — si legge in un
comunicato della delegazione cristiana — rimarrebbero senza terre.
«La vita delle nostre popolazioni —
ha sottolineato il cardinale Toppo —
è collegata in modo inestricabile alla foresta, alla terra e alle risorse naturali che le hanno sostenute per intere generazioni. Adesso è in pericolo la loro stessa esistenza. Il popolo
tribale, già povero, rischia di perdere le sue piccole proprietà a discapito di progetti industriali e commerciali».
sottolineato che il numero dei
poveri cresce a ritmo sostenuto,
confermando l’impegno dell’arcidiocesi di assistere tutti coloro che hanno bisogno di cibo e
medicine. In occasione del
mercoledì delle ceneri, è partita
la
tradizionale
campagna
«Compartir». L’iniziativa invita
i fedeli venezuelani a condividere, appunto, la solidarietà attraverso diverse raccolte di fondi da destinare poi a progetti
della Caritas nazionale, in aiuto
dei più bisognosi. A Caracas ci
sono parrocchie che distribuiscono quotidianamente seicento
pasti.
leanza che sostiene il presidente
della Repubblica e capo del Governo, Rodrigo Duterte, e fortemente voluto da quest’ultimo.
Adesso il progetto di legge passerà al Senato, assemblea composta da ventiquattro membri,
in cui il partito del capo dello
stato detiene la maggioranza.
L’approvazione definitiva appare
dunque scontata.
La Chiesa cattolica nelle Filippine è «in lutto», hanno sottolineato i presuli, precisando di
non sentirsi sconfitti. «Né potremo essere messi a tacere. Nel
mezzo della quaresima — si legge in una dichiarazione dell’episcopato — ci prepariamo a celebrare il trionfo della vita sulla
morte, e, mentre noi siamo addolorati perché la Camera ha
votato per la morte, la nostra fede ci rassicura che la vita trionferà». I pastori richiamano i fedeli a una generale mobilitazione per manifestare «lo spirito di
opposizione» alla pena di morte. E chiedono agli avvocati, ai
giudici e ai giuristi cattolici del
paese «di consentire alla dolcezza del Vangelo di illuminare il
loro operato e l’applicazione
della legge, portando vita nel loro servizio alla società».
I legislatori — ha sottolineato
Rodolfo Diamante, segretario
esecutivo della Commissione
episcopale per la pastorale carceraria — «hanno servito i loro
interessi personali e non il bene
comune, sacrificando la coscienza e i principi».
La pena capitale era prevista
nell’ordinamento della Repubblica delle Filippine, indipendente dal 1946, e restò in vigore
anche durante il periodo della
dittatura di Ferdinando Marcos.
Fu sospesa nel 1987 sotto la presidenza di Corazón Aquino e
poi reintrodotta durante il governo Ramos per «crimini efferati». Durante la presidenza di
Joseph Estrada, nel 1999, avvenne l’esecuzione di Leo Echegaray, a cui seguì una nuova moratoria. Nel 2006, il governo di
Gloria Macapagal-Arroyo firmò
l’abolizione della pena di morte.
Dal 2006 — riferisce l’agenzia
Fides — le Filippine hanno sostenuto la causa abolizionista,
promuovendo diverse iniziative
in ambito internazionale e riuscendo anche a ottenere la commutazione delle condanne alla
pena capitale inflitte a cittadini
filippini all’estero.
Cristiani in Pakistan
Sul monte degli Ulivi
A fianco dei tribali
Incendio doloso
nella cappella
dell’Ascensione
PESHAWAR, 9. I leader cristiani del
Pakistan chiedono l’istituzione di
una zona amministrativa a sé stante,
criticando la decisione del Governo
di Islamabad di unire le aree tribali
con la vicina provincia di Khyber-Pakhtunkhwa. «In tal modo sarebbe
difficile — ha spiegato Jimmy Mathew, vescovo luterano di Mardan —
controllare le aree tribali. Esse hanno
bisogno di una regolamentazione separata. La popolazione locale è stata
ignorata fin dal 1947, quando il Paese
ha ottenuto l’indipendenza dal dominio coloniale britannico. Ci vorrà del
tempo prima che essa comprenda in
pieno il significato di nazione».
Il 2 marzo il Governo pakistano
ha annunciato di voler includere le
Federally Administered Tribal Areas
(Fata), ossia sette distretti abitati in
maggioranza da tribali di etnia pashtun, nella provincia attigua. Le cosiddette “agenzie” tribali si trovano
nella parte settentrionale del Pakistan, al confine con l’Afghanistan, e
sono considerate territori dei gruppi
armati jihadisti. Le sette regioni semi-autonome sono regolate dal Frontier Crimes Regulation, di derivazione britannica, un sistema governativo
che impedisce ai cittadini di ricorrere
in tribunale e di chiedere il giudizio
per crimini commessi sul territorio.
Qui si applicano ancora le punizioni
collettive decise dagli anziani delle
tribù, non esiste un sistema scolastico, non vi operano organizzazioni
umanitarie per lo sviluppo; i cittadini
non hanno alcun accesso alle prestazioni sanitarie e i residenti votano le
leggi alla Camera bassa del Parlamento, ma poi le normative non si
applicano nelle loro zone.
La decisione dell’esecutivo — riferisce AsiaNews — dà avvio all’unifica-
zione con la provincia vicina, da
completare entro i prossimi cinque
anni. Da subito, invece, si potrebbero formare dei consigli elettivi
provinciali che andrebbero a elezioni
alla fine di quest’anno. Inoltre, le
autorità di Islamabad hanno stanziato un pacchetto di aiuti del valore di
centodieci miliardi di rupie (quasi
novecentonovantuno
milioni
di
euro).
Negli anni scorsi, diverse operazioni militari contro le roccaforti dei
gruppi estremisti hanno provocato
esodi di massa della popolazione pakistana. Si calcola che almeno tre milioni di persone siano sfollati interni,
costretti a scappare dalle proprie abitazioni a causa delle violenze per trovare rifugio nei campi profughi e
nelle città.
GERUSALEMME, 9. La cappella
dell’Ascensione, sulla cima del
monte degli Ulivi, a est di Gerusalemme, è stata danneggiata
da un incendio doloso divampato ieri, mercoledì. Uno pneumatico d’auto è stato depositato sulla roccia venerata e dato
alle fiamme. Secondo la polizia
— riferisce un comunicato della
Custodia di Terra Santa — alla
base del gesto potrebbe esserci
una disputa tra due famiglie legate al sito. Una persona è stata fermata per essere interrogata. La cappella è sotto la giurisdizione dell’autorità musulmana dei luoghi santi.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
venerdì 10 marzo 2017
Sesta e settima meditazione degli esercizi spirituali
La voce della donna
Mikhail Gubin
«Crucifixion»
Le donne fanno irruzione sulla scena della
passione di Gesù secondo Matteo, facendo sentire con discrezione la loro presenza
e la loro voce e chiedendo così «di fare in
modo che oggi nella Chiesa le loro parole
non vengano ignorate». E proprio per rafforzare questa convinzione, padre Giulio
Michelini ha voluto dare spazio al contributo di una coppia di sposi, Mariateresa
Zattoni e Gilberto Gillini, nel corso degli
esercizi spirituali per il Papa e la Curia romana, che hanno riproposto il profilo della moglie di Pilato e «il suo tentativo andato a vuoto di salvare Gesù».
Hanno lo stesso filo conduttore la sesta
e la settima meditazione che il predicatore
ha proposto rispettivamente nel pomeriggio di mercoledì 8 e nella mattina di giovedì 9 marzo ad Ariccia. «La morte di
Gesù è vera e non certo apparente» è il
punto di partenza scelto dal predicatore
per la sua settima riflessione, dedicata
espressamente alla «morte del messia»
(Matteo 27, 45-56). Oltretutto, ha precisato, «alcuni dettagli del racconto evangelico sono talmente scomodi che per gli esegeti rappresentano proprio indizi di storicità, sulla base del cosiddetto “criterio di
imbarazzo”: primo fra tutti, il senso di abbandono che Gesù ha provato sulla croce». Ma «ad acuire il senso di abbandono
— ha spiegato — è l’incomprensione di Gesù da parte di chi sta assistendo» alla crocifissione. Infatti, «nei tre Vangeli sinottici, coloro che stanno sotto la croce non
capiscono cosa stia accadendo e come
muoia il messia: credono che Gesù chiami
Elia». E questo «fraintendimento» è
«un’ultima tortura».
Invece, com’è noto, sulla croce «Gesù
sta chiamando il Padre, ma il Padre tace e
non interviene: ecco l’altro elemento imbarazzante di tutto il racconto». Proprio
«sul grido al Padre — ha fatto presente il
predicatore — ha scritto alcune righe bellissime lo scrittore israeliano Amos Oz», il
quale descrive la morte di Gesù «dal punto di vista di Giuda che sta assistendo alla
crocifissione aspettandosi però che non
muoia». Oz pensa che anzitutto Gesù
chiami più volte la mamma. Del resto, è
un fatto che le donne abbiano assistito al-
la crocifissione. E proprio sotto la croce
Maria è vista anche come madre della
Chiesa.
Resta da domandarsi, ha proseguito il
predicatore, perché «tanti fraintendimenti
nei Vangeli, nelle relazioni di Gesù con
avversari e apostoli». Cristo «è continuamente frainteso, è un vero e proprio Iesus
incomprehensus», che non è «riconosciuto,
accolto, capito». Si potrebbe dire, secondo il religioso, «che i fraintendimenti sono
meccanismi di difesa: le scienze del linguaggio ci fanno notare come nella comunicazione entrano in gioco il contenuto e
la relazione tra i comunicati. Spesso si è
d’accordo sull’oggetto ma se la relazione è
compromessa, e ci sono ostacoli di tipo
umano, allora il contenuto passa in secondo piano».
Da parte sua, «Gesù non ha mancato di
spiegare e rispiegare a discepoli e avversari
le cose che non comprendevano. Ma dalla
croce non può più spiegare nulla, anche
se è la croce che spiega tutto: così Gesù
non può chiarire che non sta chiamando
Elia, può solo affidarsi allo Spirito perché
sia lo Spirito a spiegare quello che non
era riuscito a far comprendere». Una lezione che vale anche per ogni cristiano, ha
fatto presente Michelini invitando a domandarsi: «Come reagisco quando gli altri
non mi capiscono o quando mi sento incompreso?». E il suggerimento è quello di
verificare «se posso migliorare la mia comunicazione» e, comunque, «accogliere
l’incomprensione con umiltà». Ma anche
di mettere da parte «orgoglio e puntiglio»
cercando sempre di capire gli altri.
Significativo poi, ha aggiunto, l’accostamento tra «la figura del centurione sotto
la croce», che colpisce Gesù con la lancia,
e quella «del centurione di Cafarnao», per
il quale il Signore guarisce una persona
cara: «Se Gesù porge ai soldati l’altra
guancia, al centurione di Cafarnao, come
a quello che sta sotto la croce, porge il
suo fianco dal quale sgorgherà ora l’acqua
e il sangue per perdonare i peccati». E così, a questo punto della meditazione, il
predicatore ha introdotto «una questione
un po’ tecnica di critica testuale, meramente filologica, ma di grande interesse
teologico». Nel Vangelo di Matteo, infatti,
«si afferma che il colpo di lancia viene dato prima della morte di Gesù e non dopo,
come nel Vangelo di Giovanni. Gesù, in
questo modo, grida per il dolore e il suo
grido non è staccato dal contesto ma causato appunto dal colpo di lancia». Inoltre
«il sangue di Gesù per Matteo è la salvezza dai peccati del mondo». Concludendo
il religioso ha invitato a saper «cogliere la
presenza di Dio» non solo «nei segni
eclatanti» ma soprattutto «nell’ordinarietà
del quotidiano e nello sguardo dell’altro».
La sesta meditazione, nel pomeriggio di
mercoledì 8 marzo, «è stata caratterizzata
non soltanto per il suo contenuto» — il
processo romano a Gesù, la moglie di Pilato e i sogni di Dio (Matteo 27, 11-26) —
«ma anche per la modalità in cui è stata
preparata», ha spiegato lo stesso Michelini. È stata infatti scritta con una coppia di
sposi, i coniugi Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini. Con loro il francescano collabora «da diversi anni predicando esercizi spirituali alle famiglie e per altri incontri di formazione». Insieme hanno scritto
alcuni libri «che presentano una doppia
forma di lettura del testo biblico, esegetica
e contestuale familiare». Il predicatore si è
detto convinto che «la lettura e l’esegesi
della Scrittura non sono prerogativa dei
consacrati o degli addetti ai lavori, e che
le coppie e le famiglie devono essere aiutate a praticarla: cosa che finora — ha osservato — non sembra essere stata fatta in
modo convinto nella nostra Chiesa».
Per la meditazione Michelini ha preso
le mosse dal processo romano, puntando
sulla scelta fatta da Ponzio Pilato, tra Gesù e Barabba. E ha ricordato l’interpretazione riportata da Benedetto XVI riguardante una variante testuale, registrata da
Origene, sul nome di Barabba che sarebbe «lo stesso di Gesù». Così ha poi spiegato come questo elemento sia «importante per capire il complesso sistema con il
quale l’evangelista Matteo vede l’efficacia
del sangue di Gesù per il perdono dei
peccati. Questo sistema teologico messo in
atto da Matteo non ci deve far perdere di
vista la dimensione umana di un fatto apparentemente scontato e che è di una gravità inaudita: due uomini sono l’uno di
fronte all’altro; solo uno sopravvivrà».
A questo proposito, il predicatore ha
fatto riferimento al romanzo di William
Styron, Sophie’s choice (1979): racconta di
una giovane madre polacca deportata ad
Auschwitz costretta da un ufficiale nazista
a scegliere quale dei suoi due figli mandare a morte. Con questo spunto il religioso
ha ricordato come «purtroppo il popolo
ebraico è stato, per secoli, accusato di deicidio dai cristiani: finalmente questa assurda accusa è stata smontata a tutti i livelli». Però, ha insistito, «secondo la passione di Matteo, questa accusa non avrebbe
mai dovuto aver presa perché, come nel
caso di Sophie, costretta a mandare a
morte la propria bambina, la responsabilità di questa terribile decisione viene da
Padre Cantalamessa spiega i temi delle prediche quaresimali
L’eternità? Niente di più attuale
di NICOLA GORI
Nelle società moderne e ultraconnesse, dove i
media dettano l’agenda delle priorità, c’è sempre la tentazione di privilegiare l’urgente
all’importante e di anteporre il “recente”
all’“eterno”. Proprio da questa tentazione mette in guardia il cappuccino Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, che
venerdì 10 marzo dà inizio al ciclo di prediche
quaresimali nella cappella Redemptoris Mater
del Palazzo apostolico. In questa intervista
all’Osservatore Romano il religioso spiega il
tema di quest’anno — «Nessuno può dire:
“Gesù è il Signore!” se non nello Spirito santo (1 Corinzi 12, 3)» — e anticipa alcune linee
di riflessione delle prediche, che proseguiranno nei venerdì 17, 24 e 31 marzo e 7 aprile.
Perché al centro della predicazione ci sarà lo Spirito Santo?
Due motivi mi hanno spinto a dedicare le
prediche dell’ultimo Avvento e di questa Quaresima alla persona e all’opera dello Spirito
Santo. Il primo è mettere in luce quella che
considero la vera novità del dopo-Concilio, e
cioè una più chiara presa di coscienza del posto dello Spirito nella vita e nella teologia della Chiesa. Il secondo motivo, meno universale
ma pure importante, è che nel 2017 ricorre il
cinquantesimo anniversario dell’inizio del
Rinnovamento nello Spirito nella Chiesa cattolica, che ha coinvolto decine di milioni di
fedeli in tutto il mondo, giubileo che Papa
Francesco desidera si celebri, con particolare
solennità e apertura ecumenica, nella Pentecoste prossima.
Quanto spazio per l’attualità ci sarà nelle meditazioni?
Se si intende “attualità” nel senso di riferimenti a situazioni o eventi in atto, temo che
ci sia ben poco di attuale nelle prediche che
mi appresto a fare. Ma, a mio parere, “attuale” non è solo “ciò che è in atto” e non è sinonimo di “recente”. Le cose più ”attuali” sono quelle eterne, cioè quelle che toccano le
persone nel nucleo più intimo della propria
esistenza, in ogni epoca e in ogni cultura. È
la stessa distinzione che c’è tra “l’urgente” e
“l’importante”. Noi siamo tentati sempre di
anteporre l’urgente all’importante e di anteporre il “recente” all’“eterno”. È una tendenza
che il ritmo incalzante della comunicazione e
il bisogno di novità dei media rendono oggi
particolarmente acuta. Cosa c’è di più importante e attuale per il credente, e anzi per ogni
uomo, per ogni donna, sapere se la vita ha un
senso o no, se la morte è la fine di tutto o, al
contrario, l’inizio della vera vita? Ora il mistero pasquale della morte e risurrezione di Cristo, che mi riprometto di rileggere alla luce
della riscoperta dello Spirito Santo, è l’unica
risposta a tali problemi. La differenza che c’è
tra questa attualità e quella mediatica della
cronaca è la stessa che c’è tra chi passa il tempo a guardare il disegno lasciato dall’onda
sulla spiaggia — che l’onda successiva cancella
— e chi alza lo sguardo a contemplare il mare
nella sua immensità.
Cosa significa per l’uomo di oggi la conoscenza
della piena verità?
La risposta può sembrare semplicistica, ma
è l’unica che un cristiano può dare: la conoscenza della piena verità, o dell’unica verità
che conta, è conoscere Cristo. Le prime due
prediche avranno proprio questo tema: sapere
chi è Cristo; non solo chi è stato, ma chi è oggi per me e per il mondo. «Datemi un punto
di appoggio — avrebbe esclamato l’inventore
della leva, Archimede — e io vi solleverò il
mondo». Chi crede nella divinità di Cristo è
uno che ha trovato questo punto di appoggio
incrollabile nella vita.
C’è ancora spazio per lo Spirito Santo nelle nostre società?
Lo Spirito Santo non è un’idea o un’astrazione; è la realtà più palpitante che si possa
pensare. Non per nulla la Scrittura parla di
lui con i simboli del vento, del fuoco, dell’acqua, del profumo, della colomba. Goethe vedeva nel Veni creator che è l’inno per eccellenza dello Spirito Santo, una «invocazione al
genio, che parla potentemente a tutti gli uomini dotati di spirito e di animo grande».
Egli stesso ne fece una bella traduzione tedesca e voleva che fosse cantato ogni domenica
in casa sua. Viviamo in una civiltà caratterizzata dal predominio assoluto della tecnica. Si
ipotizza persino un computer capace di pensare, ma nessuno ha mai pensato a un computer capace di amare. Lo Spirito Santo — che è
l’amore allo stato puro e la fonte di ogni amore — è l’unico che può infondere un’anima
nella nostra umanità inaridita.
chi ha messo in condizione la folla di scegliere, ovvero il prefetto romano».
E per delineare la figura della moglie di
Pilato il francescano ha dato spazio al
contributo preparato dalla coppia di sposi.
«Nel bel mezzo della passione di Gesù secondo Matteo irrompe una donna», fanno
subito notare i coniugi, mettendo in evidenza come, «nel gioco di potere maschile, la complicità tra un sommo sacerdote e
Pilato, irrompa appunto la voce tenue di
una donna. Ma solo attraverso un messaggero, perché mentre gli uomini giocano la
loro partita non le è permesso accostarsi».
Tuttavia «la moglie di Pilato può legittimarsi di fronte a questi uomini perché, dice, “ha sofferto molto” a causa di quel
“giusto”» (Matteo 27, 19).
La donna fa «un atto di amore verso il
marito» comunicandogli il suo sogno. E
«ci auguriamo — è l’auspicio dei due commentatori — che sempre le donne siano capaci di questo linguaggio e non diventino
pappagalli dei maschi quando questi giocano le loro partire sul potere». Insomma,
da «dietro le quinte» la donna, impotente,
fa sentire la sua voce e oppone il suo sogno ai giochi di potere pur di salvare quel
giusto: «un tentativo andato, però, a vuoto». Pilato infatti «si lava le mani, mostrando che lui non c’entra»: anzi, pare
aver addirittura ascoltato il suggerimento
della moglie di «non aver a che fare con
quel giusto» e magari, «la sera a casa, le
avrà pure detto che più di così non poteva
proprio fare per salvarlo». Ma, è la conclusione dei due coniugi, «così la coppia
tradisce se stessa, l’alleanza coniugale è
fraintesa, è ridotta al proprio tornaconto,
alla volontà di aver ragione che uccide
l’amore».
Infine, nell’ultima parte della meditazione Michelini ha preso in esame «i cinque sogni del Vangelo dell’infanzia secondo Matteo, e il sogno della moglie di Pilato». Questi sogni «vanno visti nel loro insieme, perché rappresentano quello che
potremmo chiamare il “sogno di Dio”: la
salvezza del figlio, che tramite i sogni
dell’inizio del Vangelo sfugge a chi lo
vuole uccidere». Ma «se Giuseppe e i magi capiscono quello che devono fare, e nonostante la debolezza di quanto ricevuto
lo mettono in pratica, Pilato invece non
ascolta la voce della moglie, non ascolta i
sogni, è solo interessato, come già Erode,
a conservare il potere». Una questione che
tocca da vicino i credenti, fino a spingerli
a domandarsi «qual è il mio sogno oggi e
se corrisponde, per quanto posso capire,
al sogno di Dio per me».
Documenti della Congregazione per la dottrina della fede
Nella direzione giusta
«Risposte dottrinali sicure a diverse
questioni importanti per la vita e la
missione della Chiesa». Così il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto
della Congregazione per la dottrina
della fede, sintetizza il significato della raccolta, relativa agli anni dal 1966
al 2013, dei documenti del dicastero
da lui guidato. Il volume (Congregazione per la dottrina della fede, Documenti, 1966-2013, Città del Vaticano,
«che esprime il desiderio della Congregazione di raggiungere con il proprio insegnamento una sempre più
ampia cerchia di destinatari».
La raccolta, infatti, si presenta come un «utile strumento per i teologi
che devono dare risposte adeguate a
questioni sempre nuove», ma è anche
di supporto a pastori, ricercatori, studenti e semplici fedeli «che desiderano affrontare particolari aspetti della
religione cattolica». È,
in sostanza, «un servizio
alla fede, sia per la salvaguardia da errori e
ambiguità che oscurano
o alterano punti essenziali del suo patrimonio,
sia per promuoverne
una comprensione più
approfondita, nella fedeltà e nella continuità
con la tradizione ecclesiale». Essa è, perciò, un
servizio che «apre l’intelligenza dei credenti,
liberandola dal rischio
di deviazioni e di parzialità, per orientarla
nella direzione giusta
verso la comprensione
piena della rivelazione
divina». I documenti
sono presentati in ordine cronologico e sono
supportati da un utile
indice analitico.
I
testi
pubblicati
giungono fino al 2013,
primo anno del pontifiRaffaello, «San Pietro» e Bartolomeo della Porta, «San Paolo»
cato di Francesco. Pro(Palazzi apostolici vaticani)
prio nel 2013 il Papa firmò l’enciclica Lumen fiLibreria editrice vaticana, 2017, pagine dei che il cardinale prefetto cita a conXX+748, euro 45) è oggi disponibile
clusione della sua prefazione al volunelle librerie nell’edizione in lingua me, spiegando che la pubblicazione
italiana, che aggiorna con quattordici del volume «vuole contribuire a far
nuovi documenti quella latina pubbli- brillare la luce della fede, quella luce
cata nel 2006 (Documento inde a Con- “che illumina tutto il percorso della
cilio Vaticano Secondo expleto edita, strada, perché viene a noi da Cristo
1966-2005). Una traduzione, spiega il risorto, stella mattutina che non tracardinale Müller nella prefazione, monta” (Lumen fidei, 1)».
Nomina episcopale in Spagna
La nomina di oggi riguarda la Chiesa
in Spagna.
José Luis Retana Gozalo
vescovo di Plasencia
È nato a Pedro Bernardo, in diocesi
di Ávila, il 12 marzo 1953. Compiuti
gli studi filosofici e teologici nel seminario di Ávila a Salamanca, è stato ordinato sacerdote a Pedro Bernardo il
29 settembre 1979. Ha studiato per
due anni presso la facoltà di teologia
di Friburgo (Svizzera) e ha seguito i
corsi di geografia e storia presso
l’Università nazionale di educazione a
distanza. Conseguita la licenza in teologia presso l’università di Salamanca,
dove ha svolto anche i corsi di dottorato, ha ricoperto i seguenti incarichi:
formatore e professore del collegio
diocesano La Asunción di Ávila (19791993); rettore del seminario di Ávila a
Salamanca (1993-1999); vicario episcopale e segretario particolare del vescovo (1998-2005); canonico della cattedrale di Ávila (dal 2002); rettore del
seminario di Ávila a Salamanca (20032012). Attualmente è delegato episcopale per le istituzioni diocesane
dell’insegnamento e parroco di San
Pedro Bautista, dal 2012, e preside del
capitolo cattedrale dal 2015.