Scheda storico-artistica dal catalogo
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Scheda storico-artistica dal catalogo
16. Manifattura dell’Italia meridionale o atelier lucchese; manifattura dell’Italia meridionale Pianeta detta ‘casula di Lanciano’ inizi del XIV secolo (tessuto di fondo); primo decennio del XV secolo (croce figurata) tecnica/materiali lampasso a due trame lanciate in seta color azzurro e giallo chiaro, broccato con trame in oro membranaceo; velluto color rosso chiaro, cremisi, giallo, viola; lanciati in filato aureo membranaceo e in seta color verde chiaro, verde erba, viola, rosa tenue, giallo, bianco, arancio, grigio, nocciola; ricami a punto catenella; fodera in filato di lino scheda Giovanni Villano restauro Tiziana Benzi (Studio restauro conservazione tessile, Piacenza) con la direzione di Lucia Arbace indagini Isetta Tosini, Tiziana Benzi dimensioni alt. 135 cm (recto), alt. 136 cm (verso), largh. 89 cm (tessuto di fondo); 136,5 × 32,5 (croce figurata) iscrizioni sulla croce, ai lati delle figure: «S // MA/TE/O A//PO/ST/OL», «S // GI/ OV/AN//N[I]/AP/OS», «S // IA/ CO/PO// AP/OS/TO», «S // TU/ NA/SS//O M/AR/TI», «S // CH/AT/ ER//IN/A V/ER», «S // MA/TI/A A//PO/ST/OL», «S // LU/CH/A V// AN/GE/LI», «S // AG/HA/TA// VE/ RG/IN», «S // GI/ER/[HE]//MI/A P/[RO] », «S // +O/S+/+A//OL/AP/-», «S // --/IN/AR//++/ST/AV», «S // --/HE/MA//++/VE/LA» provenienza Lanciano (Chieti), chiesa di San Giovanni Battista, torre della Candelora (già campanile) collocazione Lanciano (Chieti), Museo Diocesano Vertiginoso e ultraterreno al pari di un’aulica seta prodotta in qualche ergasterion di Bisanzio o Palermo, tinta nelle sfumature della volta stellata, in quell’azzurro profondo e inaccessibile dove dimora Dio. Stravagante e fantastico come la pietra istoriata di una pieve duecentesca che, muta, discorre di lussureggianti giardini terreni dove l’intreccio soave di tralci, fiori e viticci prefigura allegoricamente le delizie del giardino del Paradiso. Vivace come una placchetta eburnea di un cofanetto di Cordova o come un tappeto islamico dell’Egitto mamelucco o della lontana Persia dove anche le scene di caccia sono espressione di gioiosa creatività. Lineare e colorato come uno smalto tardogotico o la tavoletta dipinta di un altarolo quattrocentesco dove le sequenze di santi e apostoli appaiono ormai come delle festose e musicali parate. Respira davvero una fascinosa koinè culturale e artistica questo splendido manufatto tessile medievale proveniente da Lanciano, dove fu recuperato nel gennaio 2014, occultato – forse già da qualche secolo – in un foro della torre detta ‘della Candelora’, antico campanile della chiesa di San Giovanni Battista sopravvissuto alla sciagurata demolizione dell’edificio sacro nel 1948 (Scritti di storia / Corrado Marciani 1998, pp. 43-44). Identificata come casula, la veste sacerdotale in realtà corrisponde a una pianeta dalla tipica forma detta ‘romana’ con la quale si presentava sul territorio italiano fin dal Medioevo. A differenza della casula, derivata dalla poenula di età tardoimperiale, che presenta fogge ampie, avvolgenti e una caratteristica forma a campana, la pianeta si mostra più corta, meno maestosa e più confortevole sulle braccia per assecondare i movimenti del cele- brante durante la liturgia. L’aspetto inusuale della pianeta di Lanciano denuncia immediatamente la sua eccezionale particolarità, rivelando una storia ben più complessa. Osservando attentamente il manufatto si rimane subito colpiti, insieme alla ricchezza dei tessuti e dei ricami, dalla sua particolare forma e da una serie di antichi interventi sartoriali realizzati con tagli allo scopo di risarcire, in modo grossolano, porzioni di tessuto mancante. Rispetto poi alle caratteristiche canonizzate dell’indumento liturgico, sono evidenti qui alcune mancanze, assolutamente incomprensibili per un capo realizzato ex novo da laboratori specializzati. Il davanti della pianeta si presenta, infatti, privo della grande guarnizione verticale detta ‘bastone’ o ‘stolone’, come pure della ‘traversa’, ossia il tessuto decorativo posto trasversalmente al ‘bastone’ che, cucito al di sotto del- lo scollo, assicurava un rinforzo sartoriale evitando scuciture e strappi in una zona del paramento sollecitata all’usura per l’uso frequente. La stessa apertura del collo, detta ‘sparato’, manca in realtà di una vera e propria bordura: il ricercato orlo, che oggi si osserva intorno allo scollo, in realtà fu ottenuto piegando e adattando le fasce auree del tessuto di fondo. L’attenta analisi delle caratteristiche strutturali dell’abito, dei tagli, delle cuciture e delle piegature del tessuto su entrambi i lati dimostrano, quindi, con assoluta certezza, come la pianeta di Lanciano sia stata confezionata utilizzando tessuti e ricami di reimpiego: un lampasso nato quasi certamente come tessuto profano di eccezionale qualità per una committenza di elevatissimo rango e una lunga striscia lavorata a ricamo recuperata a sua volta dalla scomposizione di altri arredi liturgici tessili. Dopo il restauro, recto e verso Prima del restauro, recto e verso Di straordinario interesse per la sua rarità e preziosità è lo scintillante lampasso riutilizzato per il confezionamento del paramento sacro. Realizzato a due trame lanciate, broccato con un fondo in seta azzurra (originariamente un blu indaco, come ha rivelato il recupero della cimosa) e opera in azzurro e giallo chiaro, il vibrante manufatto tessile presenta un’impaginazione compositiva di grande semplicità e rigore: si basa infatti su due bande orizzontali di diversa consistenza che si alternano in verticale. La balza principale mostra un tralcio acantino, articolato in due esili steli binati, che si ripete ritmicamente in andamento verticale. Il primo stelo, rivestito da una grande foglia con sette lobi e la punta ripiegata verso l’alto, dopo aver generato un primo girale arrotolandosi verso l’alto in senso orario, piega verso il basso e curvando in senso opposto crea un secondo girale, più grande, che va a intersecare gli steli, terminando in un foglietta ricurva. Il secondo stelo, originato da una frastagliata foglia d’acanto a cinque lobi aperta a ventaglio entro il girale superiore, fino quasi a riempierlo del tutto, segue la curvatura inferiore e, dopo aver creato steletti secondari che si avviticciano, si conclude in un calice foliaceo. All’interno del girale inferiore un cerbiatto spolinato d’oro con le zampe impigliate tra gli arbusti tenta di divincolarsi. Da fuori un cane da ferma, provvisto di collare, bloccato sulle zampe posteriori con la robusta coda elegantemente ricurva in punta e le orecchie basse, volge attentamente la testa verso la preda. La zampa anteriore destra si regge al tralcio mentre con la sinistra vagamente artigliata, sollevata e fremente, rimane in appostamento dell’animale selvatico, segnalandone la presenza a un eventuale cacciatore. Dallo stelo esterno del girale inferiore si sviluppa poi – passando sotto il cane – un piccolo cordone annodato per due volte in tre legature che termina in una nappa. La decorazione della balza più piccola, che funge da elemento divisorio, è costituita invece da orbicoli con una scritta calligrafica cufica, non decifrata, intervallati da piccoli racemi e da un rapace stante a sinistra con la testa volta a destra, il becco aperto e le ali spiegate. Interpretato in un primo momento come la mitica fenice che vive nascosta nei deserti dell’Arabia, simbolo di Cristo crocifisso e della Resurrezione per la sua capacità di risorgere dalle ceneri a tre giorni dalla morte sul rogo (Pastoureau 2012, pp. 214-215), l’uccello raffigura invece un’aquila o più verosimilmente un falcone, animale prediletto dell’a- ristocrazia medievale. A differenza della timida fenice araba o del fenghuang dell’estremo Oriente dall’elaborato piumaggio, assai frequenti nei tessuti asiatici e lucchesi del XIV secolo, il volatile della fascia aurea ostenta minaccioso il rostro robusto, le vigorose ali, l’efficiente coda, pronto a piombare addosso alla preda e braccarla. Prossimi al nostro tessuto per la particolare tipologia ‘a fasce alterne decorate’ sono una serie di lampassi del Museo Nazionale del Bargello a Firenze e del Kunstgewerbemuseum di Berlino, che però già rivelano patterns decorativi decisamente più innovativi, articolati e dinamici. Considerati di incerta produzione siciliana o lucchese con una cronologia difficile e piuttosto controversa, compresa tra la fine del XIII secolo e il XIV secolo inoltrato, i tessili appaiono come il prodotto di una fase più avanzata dell’arte serica che, nutritasi di prestiti e richiami diversi, li mescola liberamente in un gusto narrativo già moderno. Il primo è un lampasso lanciato e broccato della collezione Franchetti al Bargello (inv. 632 TF) caratterizzato da un fondo azzurro chiaro con opera in bianco-argento e rosso. Nella fascia più alta sono presenti due pantere affrontate con al centro un fiore di loto e al di sopra due cani, broccati, sormontanti da due rapaci identificati con il feng-huang della tradizione cinese. Nella fascia più piccola si alternano all’interno di orbicoli un rosone, un capro e una scritta in caratteri cufici (Podreider 1928, pp. 6769, fig. 71; L’antico tessuto... 1937, p. 24, tav. VI; Santangelo 1958, p. 14, tav. 11; Tessuti italiani... [1982?], p. 28). Uguali all’esemplare della collezione Franchetti sono i lampassi lanciati e broccati del Kunstgewerbemuseum di Berlino (Dupont-Auberville 1877, tav. VII; Santangelo 1958, tav. 12) e della collezione Carrand sempre al Bargello (Arti del Medio Evo... 1989, p. 450). A questo gruppo possiamo accostare anche il frammento in lampasso broccato del Museum of Art di Cleveland (dal J. H. Wade Fund 1977.16). Sempre a fasce orizzontali alternate ma ancora più evoluto nella decorazione è il tessuto del Germanisches Nationalmuseum di Norimberga (n. 448) con il fondo in rosa e disegni in verde, bianco e argento dove però «alla rigidità delle partiture in orizzontale si contrappone la discorsività narrativa delle figurazioni interne che si susseguono in dinamiche descrizioni». Nella banda più piccola, scomparsi dischi e scritte cufiche, si sviluppa, invece, una fitta maglia romboidale all’interno della quale si aprono ovali «entro cui sono, tra foglie e racemi, delle pantere» (Devoti 1974, scheda n. 57; La seta 1989, fig. 10). Nel lampasso della pianeta di Lanciano, il ritmo lento e la coerente combinazione di ornamenti classici (il tralcio e i girali d’acanto) con espressivi spunti naturalistici e venatori, di elementi faunistici o araldici desunti dalla miniatura, dalla glittica e dalla numismatica con motivi tratti dal repertorio decorativo musulmano e orientale come gli orbicoli con scritte in caratteri cufici, ma anche i cordoni con nodi e nappe (Devoti 1966, pp. 30-31; Devoti 1974, scheda n. 41), fanno pensare al mirabile prodotto di una manifattura serica dell’Italia meridionale o di un atelier tessile lucchese, operante agli inizi del XIV secolo, profondamente ricettivo nei confronti degli stimoli artistici e culturali che provenivano dal Mezzogiorno, dall’area mediterranea e dal vicino Oriente. Testimonianza significativa dell’arte del ricamo tardomedievale, nonostante le mancanze con le quali ci è pervenuta, dovute principalmente all’estrema fragilità dei filati aurei e serici, è invece la croce figurata posizionata sul retro della veste sacra, funzionale, perciò, alla devozione e al coinvolgimento dei fedeli durante alcune suggestive liturgie. Aggiunta a seguito del rimaneggiamento del lampasso e del suo nuovo riuso intorno alla metà del XV secolo come paramento da messa, la croce è costituita da un’unica striscia di lino sulla quale sono Prima e durante il restauro, particolare del lampasso Dopo il restauro, particolare del lampasso stati ricamati dodici medaglioni dalla forma pressoché quadrilobata in lanciato metallico con busti di apostoli, martiri e profeti, eseguiti mediante il punto catenella. Riquadrano e valorizzano i compassi gotici, infine, numerosi frammenti di velluto di colori diversi (giallo, rosso chiaro, cremisi, viola), cuciti ai lati. Le deboli tracce del disegno preparatorio raffermato a inchiostro, affiorante in ampie porzioni della tela di supporto, non consentono di chiarire le modalità tecniche adoperate nella traduzione a ricamo. Non è chiaro, infatti, se la traccia grafica sia stata condotta direttamente sul tessuto da ricamare, così come prevedeva la tecnica trecentesca tramandataci dal Libro dell’arte di Cennino Cennini o, piuttosto, non sia stata trasferita da cartoni all’occorrenza riutilizzabili, come inducono a pensare alcuni busti, solenni e severi, praticamente sovrapponibili. Pur nella semplificazione dovuta alla trasposizione del disegno sul telaio, emerge tuttavia una volontà da parte del ricamatore di diversificare le tipologie e le pose delle figure attraverso il contrasto cromatico delle vesti, il variare del profilo dei volti, l’andamento dei capelli e delle barbe. Per ragioni che al momento ignoriamo questa preziosa striscia ricamata (verosimilmente la bordura di un piviale o il segmento di un sontuoso antependium), eseguita nel primo decennio del XV secolo – come confermano non solo il tono idea listico e illustrativo delle arcaiche figure, ma anche le caratteristiche paleografiche delle iscrizioni – fu Prima del restauro, fibre del lampasso al microscopio prima delle microaspiratura Durante il restauro, fibre del lampasso al microscopio dopo la microaspiratura dismessa, tagliata e in parte rimontata sul lampasso che, foderato da un leggero lino, era stato adattato a pianeta liturgica riservata per il suo inusuale colore solo alle feste mariane, all’Ascensione del Signore e In Omnium Sanctórum. Gli apostoli, i martiri e i profeti sono identificati dalle iscrizioni in caratteri gotici vergate in fili metallici, oggi a vista per la caduta dell’oro membranaceo, disposte su tre registri ai lati delle figure. Partendo dall’alto verso il basso, entro la prima cornice è raffigurato «S // MA/ TE/O A//PO/ST/OL» (san Matteo apostolo), che indossa una vivace tunica verde chiaro; l’evangelista si presenta anziano, calvo con poche ciocche di capelli arruffati ai lati, i baffi e una folta barba bianca. Segue «S // GI/OV/AN//N[I]/ AP/OS» (san Giovanni apostolo), caratterizzato da una capigliatura bionda e da un viso imberbe dove si scorgono piccole parti degli occhi e del naso. Al di sotto, vestito di una tunica color violetto, è collocato «S // IA/CO/PO// AP/OS/TO» (san Giacomo Maggiore) il cui volto, inquadrato da capelli biondi e da una barbetta ispida e folta, conserva tracce delle sopracciglia e delle ali nasali. Contrassegnata dall’iscrizione «S // TU/NA/SS//O M/ AR/TI» (san Tommaso martire, Tommaso Becket?) è l’immagine di un giovane santo vestito di una tunica color rosa tenue con un viso affilato e spigoloso ombreggiato da sfumature più scure in prossimità del naso, sotto il mento e all’attaccatura dei capelli. Completamente scomparsa è, invece, l’immagine Durante il restauro, particolare del lampasso, studio delle polveri campionate Durante il restauro, particolare del lampasso, lavaggio ad estrazione Durante il restauro, particolare del lampasso, reinserimento delle toppe in drittofilo di «S // CH/AT/ER//IN/A V/ER» (santa Caterina di Alessandria, vergine e martire), individuabile grazie alle poche tracce di inchiostro del disegno preparatorio che ne delineavano il volto e dai superstiti fili del manto color porpora che le copriva il capo. Parzialmente leggibile è anche «S // MA/TI/A A// PO/ST/OL» (san Mattia apostolo), raffigurato anziano con capelli bianchi disposti a ciocche lungo le tempie, una corta barba bianca e lacerti del naso e degli occhi. Una chioma bionda e un viso tondeggiante sul quale spicca un robusto naso caratterizzano «S // LU/CH/A V//AN/GE/LI» (san Luca evangelista), mentre «S // AG/HA/TA// VE/RG/IN» (sant’Agata, vergine e martire) è avvolta in un manto verde chiaro dal quale emergono la mano sinistra piegata sul petto e quella destra alzata, probabilmente, in segno di venerazione. Simile al san Matteo è «S // GI/ER/[HE]// MI/A P/[RO]» (san Geremia pro- feta), che si differenzia per la tunica rosa tenue, la forma tondeggiante del cranio e l’aspetto più disteso e meno intenso dello sguardo. Ben conservato è invece l’ignoto santo che chiude l’asse verticale della croce, all’interno di una formella più schiacciata. Indossa una veste gialla con la mano destra piegata all’altezza del petto (quella di sinistra è parzialmente conservata), mostra un naso assai pronunciato con una bella zazzera color castano, una barbetta corta lungo il mento e dei baffetti che gli coprivano le labbra. Sul riquadro di velluto cremisi sono distinguibili, ruotati di 90 gradi in senso antiorario, pochi caratteri gotici «S // +O/S+/+A//OL/AP/--» e parte della curvatura della «S» ricamata all’interno del clipeo, riferibile a un successivo busto. Anche le due immagini che compongono l’asse trasversale della croce non sono identificabili. A destra una santa, accompagnata dall’iscrizione «S // --/IN/AR//++/ST/AV», è comple- tamente avvolta in un mantello color rosa tenue, mentre a sinistra un vegliardo barbuto dagli occhi taglienti, affiancato dall’iscrizione «S // --/HE/MA//++/VE/LA», veste un abito rosa tenue dal quale fuoriesce la mano destra sistemata in modo da reggere qualcosa. Dal punto di vista stilistico e iconografico i busti dei santi della pianeta di Lanciano mostrano una sorprendente affinità con analoghi ricami di dimensioni inferiori che ornano alcune mitrie episcopali, tra cui quelle di sant’Ubaldo della chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma (L’antico tessuto... 1937, p. 24, tav. VII) e del beato Mainardo proveniente dal duomo di Urbino e databile ai primi anni del XV secolo (Catalogo delle cose d’arte 1932, pp. 152-158; L’antico tessuto... 1937, pp. 23-24, figg. 43-45; Negroni, Cuocco 1984, tavv. 374-375 pp. 90, 93, Fioritura tardogotica... 1988, p. 180). In quest’ultima i ricami disposti alle estremità delle infule, lungo le guarnizioni del titulus e intorno al circulus, rivelano la medesima rappresentazione ad ago dei marcati tratti somatici, delle minute mani, delle delicate sfumature rosacee delle carni, del movimento delle barbe e delle capigliature che seguono un andamento sinuoso in modo da definire le ondulazioni e le increspature delle ciocche con effetti di volume. Allo stesso atelier di ricamo e tessitura deve essere ricondotta anche l’esecuzione di una mitria episcopale tardogotica proveniente dalla cattedrale di Matera (La cattedrale di Matera 1978, pp. 106-108, tavv. XXI a, b). Decorato da identiche formelle ricamate, il copricapo liturgico materano fu accostato da Carla Guglielmi Faldi a una mitria trecentesca del Museo Sacro Vaticano a Roma, già analizzata da Wolfgang Fritz Volbach nel 1942 (Volbach 1942, p. 60 scheda T 181), che ci informa della sua provenienza lucana, precisamente dalla badia benedettina di San Giovanni dell’antico castrum di Trifoggio nei dintorni di Pietrapertosa (Arte in Basilicata... 1981, pp. 40, 155 nn. 77-78). Una comune manifattura d’origine, individuabile in una qualificata officina meridionale, al momento sconosciuta, mostra anche la mitria pretiosa della fine del XIV secolo custodita nella ex cattedrale di Santa Giusta in provincia di Oristano. Studiata nel 2010 da Alessandra Pasolini, che vi individuò un deciso carattere toscano, soprattutto nei santi «prossimi stilisticamente e cronologicamente con la tarda produzione del Maestro di San Torpè, alter ego di Memmo di Filippuc- Prima e dopo del restauro, particolare della croce con san Giacomo cio a cui viene accreditata anche un’attività di miniatore» (Pasolini 2010, p. 233), la mitria suggerisce invece, un forte legame con i tessili ricamati presi in esame, non escludendo – come già ipotizzato – l’uso degli stessi cartoni che, trasferiti o ricalcati sulla tela, venivano poi tradotti con gittate d’ago dalle abili mani dei ricamatori. Il restauro dello strepitoso manufatto tessile, preceduto da accurate indagini diagnostiche, è stato eseguito da Tiziana Benzi dello Studio restauro conservazione tessile di Piacenza, sotto la direzione di Lucia Arbace. Le condizioni di avanzato degrado in cui versava l’opera, in particolare dei vari elementi assemblati (il lampasso di seta, la croce ricamata su lino con riporti in velluto tagliato e la fodera in lino), hanno suggerito lo smontaggio della veste liturgica nei suoi vari elementi costitutivi, allo scopo di attuare interventi differenziati (pulitura, lavaggio e restauro) dettati dai materiali diversi e preziosi che ne costituiscono il supporto. Nei secoli, a causa delle gravi lacune che si sono prodotte per l’usura e a seguito di traumi meccanici, il lampasso e la croce in particolare erano stati ricomposti in modo di- somogeneo, con la realizzazione di più serie di cuciture, alcune anche molto grossolane, che avevano reso l’opera particolarmente fragile e visivamente disordinata. Grazie all’accurato intervento conservativo, finalizzato sia alla ripresa materica dei tre elementi che alla fruibilità estetica complessiva, un delicatissimo e raro tessile medievale viene riconsegnato al patrimonio culturale italiano. Bibliografia Inedita. Bibliografia di riferimento 1877 A. Dupont-Auberville, L’ornament des tissus, Paris 1877. 1901 I. Errera, Collection d’Anciennes Ètoffes. Catologue, Bruxelles 1901. 1914 R. Cox, Les soieries d’art. Depuis les origines jusqu’a nos jours, Paris 1914. 1926 G. Sangiorgi, Contributi allo studio dell’arte tessile, Milano-Roma 1926. 1928 F. Podreider, Storia dei tessuti d’arte in Italia (secoli XII-XVIII), Bergamo 1928. 1932 Catalogo delle cose d’arte e di antichità d’Italia. Urbino, a cura di L. Serra, Roma 1932. 1937 L’antico tessuto d’arte italiano nella mostra del tessile nazionale, catalogo della mostra (Roma 1937-1938), Roma 1937. 1942 W.F. Volbach, I tessuti del Museo Sacro Vaticano. Catalogo del Museo Sacro della Biblioteca Apostolica Vaticana, III, fasc. 1, Città del Vaticano 1942. 1958 E. Flemming, Les Tissus. Documents, Paris 1958. A. Santangelo, Tessuti d’arte italiani dal XII al XVIII secolo, Milano 1958. 1963 M. Schuette, S. Müller-Christensen, Il ricamo nella storia e nell’arte, Roma 1963. 1966 D. Devoti, Stoffe lucchesi del Trecento. Contributi, in «Critica d’arte», 13, 81, settembre, Firenze 1966. 1974 D. Devoti, L’arte del tessuto in Europa, Milano 1974. 1978 La cattedrale di Matera nel Medioevo e nel Rinascimento, a cura di M.S. Calò Mariani, C. Guglielmi Faldi, C. Strinati, Cinisello Balsamo 1978. 1981 Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri, catalogo della mostra (Matera, Palaz- zo del Seminario, 1979), a cura di A. Grelle Iusco, De Luca, Roma 1981. Tessuti italiani del Rinascimento: collezioni Franchetti Carrand, Museo Nazionale del Bargello, catalogo della mostra (Prato, Palazzo Pretorio 24 settembre 1981 - 10 gennaio 1982), Firenze 1981. 1984 F. Negroni, G. Cuocco, Urbino. Museo Albani, Bologna 1984. 1988 Fioritura tardogotica nelle Marche, catalogo della mostra (Urbino, Palazzo Ducale, 25 luglio-25 ottobre 1988), a cura di P. Dal Poggetto, Milano 1988. 1989 Arti del Medio Evo e del Rinascimento. Omaggio ai Carrand 1889-1989, catalogo della mostra (Firenze, Museo Nazionale del Bargello, 20 marzo - 25 giugno 1989), Firenze 1989. La seta. Tesori di un’antica arte lucchese: produzione tessile a Lucca dal XIII al XVII secolo, catalogo della mostra (Lucca, Museo Nazionale di Palazzo Mansi, 16 giugno-30 settembre 1989), a cura di D. Devoti, Lucca 1989. 1998 Scritti di storia / Corrado Marciani, a cura di E. Giancristofaro, R. Carabba, Lanciano 1998. 2000 La seta in Italia dal Medioevo al Seicento. Dal baco al drappo, a cura di L. Molà, R.C. Müller, C. Zanier, Venezia 2000. 2010 A. Pasolini, Le mitrie vescovili, in La Cattedrale di Santa Giusta. Architettura e arredi dall’XI al XIX secolo, a cura di R. Coroneo, Cagliari 2010. M.L. Rosati, Migrazioni tecnologiche e interazioni culturali. La diffusione dei tessuti orientali nell’Europa del XIII e del XIV secolo in «OADI. Rivista dell’Osservatorio per le arti decorative in Italia», I, 1, giugno 2010, Palermo, http://www1. unipa.it/oadi/rivista/oadi_1.pdf. 2012 M. Pastoureau, Bestiari del medioevo, Torino 2012.