Scheda storico-artistica dal catalogo

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Scheda storico-artistica dal catalogo
16.
Manifattura dell’Italia meridionale o atelier lucchese;
manifattura dell’Italia meridionale
Pianeta detta ‘casula di Lanciano’
inizi del XIV secolo (tessuto di fondo); primo decennio
del XV secolo (croce figurata)
tecnica/materiali
lampasso a due trame lanciate in seta
color azzurro e giallo chiaro, broccato
con trame in oro membranaceo;
velluto color rosso chiaro, cremisi,
giallo, viola; lanciati in filato aureo
membranaceo e in seta color verde
chiaro, verde erba, viola, rosa tenue,
giallo, bianco, arancio, grigio,
nocciola; ricami a punto catenella;
fodera in filato di lino
scheda
Giovanni Villano
restauro
Tiziana Benzi (Studio restauro
conservazione tessile, Piacenza)
con la direzione di Lucia Arbace
indagini
Isetta Tosini, Tiziana Benzi
dimensioni
alt. 135 cm (recto), alt. 136 cm
(verso), largh. 89 cm (tessuto di fondo);
136,5 × 32,5 (croce figurata)
iscrizioni
sulla croce, ai lati delle figure: «S //
MA/TE/O A//PO/ST/OL», «S // GI/
OV/AN//N[I]/AP/OS», «S // IA/
CO/PO// AP/OS/TO», «S // TU/
NA/SS//O M/AR/TI», «S // CH/AT/
ER//IN/A V/ER», «S // MA/TI/A
A//PO/ST/OL», «S // LU/CH/A V//
AN/GE/LI», «S // AG/HA/TA// VE/
RG/IN», «S // GI/ER/[HE]//MI/A
P/[RO] », «S // +O/S+/+A//OL/AP/-», «S // --/IN/AR//++/ST/AV», «S //
--/HE/MA//++/VE/LA»
provenienza
Lanciano (Chieti), chiesa di San
Giovanni Battista, torre della
Candelora (già campanile)
collocazione
Lanciano (Chieti), Museo Diocesano
Vertiginoso e ultraterreno al pari di
un’aulica seta prodotta in qualche
ergasterion di Bisanzio o Palermo,
tinta nelle sfumature della volta
stellata, in quell’azzurro profondo
e inaccessibile dove dimora Dio.
Stravagante e fantastico come la
pietra istoriata di una pieve duecentesca che, muta, discorre di lussureggianti giardini terreni dove l’intreccio soave di tralci, fiori e viticci
prefigura allegoricamente le delizie
del giardino del Paradiso. Vivace
come una placchetta eburnea di
un cofanetto di Cordova o come
un tappeto islamico dell’Egitto
mamelucco o della lontana Persia
dove anche le scene di caccia sono
espressione di gioiosa creatività. Lineare e colorato come uno smalto
tardogotico o la tavoletta dipinta di
un altarolo quattrocentesco dove le
sequenze di santi e apostoli appaiono ormai come delle festose e musicali parate. Respira davvero una
fascinosa koinè culturale e artistica
questo splendido manufatto tessile
medievale proveniente da Lanciano, dove fu recuperato nel gennaio
2014, occultato – forse già da qualche secolo – in un foro della torre
detta ‘della Candelora’, antico campanile della chiesa di San Giovanni
Battista sopravvissuto alla sciagurata demolizione dell’edificio sacro
nel 1948 (Scritti di storia / Corrado
Marciani 1998, pp. 43-44).
Identificata come casula, la veste
sacerdotale in realtà corrisponde
a una pianeta dalla tipica forma
detta ‘romana’ con la quale si presentava sul territorio italiano fin
dal Medioevo. A differenza della
casula, derivata dalla poenula di età
tardoimperiale, che presenta fogge
ampie, avvolgenti e una caratteristica forma a campana, la pianeta
si mostra più corta, meno maestosa
e più confortevole sulle braccia per
assecondare i movimenti del cele-
brante durante la liturgia. L’aspetto
inusuale della pianeta di Lanciano
denuncia immediatamente la sua
eccezionale particolarità, rivelando
una storia ben più complessa. Osservando attentamente il manufatto si rimane subito colpiti, insieme
alla ricchezza dei tessuti e dei ricami, dalla sua particolare forma e da
una serie di antichi interventi sartoriali realizzati con tagli allo scopo di
risarcire, in modo grossolano, porzioni di tessuto mancante. Rispetto
poi alle caratteristiche canonizzate
dell’indumento liturgico, sono
evidenti qui alcune mancanze, assolutamente incomprensibili per
un capo realizzato ex novo da laboratori specializzati. Il davanti della
pianeta si presenta, infatti, privo
della grande guarnizione verticale
detta ‘bastone’ o ‘stolone’, come
pure della ‘traversa’, ossia il tessuto
decorativo posto trasversalmente al
‘bastone’ che, cucito al di sotto del-
lo scollo, assicurava un rinforzo sartoriale evitando scuciture e strappi
in una zona del paramento sollecitata all’usura per l’uso frequente. La
stessa apertura del collo, detta ‘sparato’, manca in realtà di una vera
e propria bordura: il ricercato orlo,
che oggi si osserva intorno allo scollo, in realtà fu ottenuto piegando e
adattando le fasce auree del tessuto
di fondo. L’attenta analisi delle caratteristiche strutturali dell’abito,
dei tagli, delle cuciture e delle piegature del tessuto su entrambi i lati
dimostrano, quindi, con assoluta
certezza, come la pianeta di Lanciano sia stata confezionata utilizzando tessuti e ricami di reimpiego:
un lampasso nato quasi certamente
come tessuto profano di eccezionale qualità per una committenza
di elevatissimo rango e una lunga
striscia lavorata a ricamo recuperata
a sua volta dalla scomposizione di
altri arredi liturgici tessili.
Dopo il restauro, recto e verso
Prima del restauro, recto e verso
Di straordinario interesse per la sua
rarità e preziosità è lo scintillante
lampasso riutilizzato per il confezionamento del paramento sacro.
Realizzato a due trame lanciate,
broccato con un fondo in seta azzurra (originariamente un blu indaco, come ha rivelato il recupero
della cimosa) e opera in azzurro e
giallo chiaro, il vibrante manufatto
tessile presenta un’impaginazione
compositiva di grande semplicità e
rigore: si basa infatti su due bande
orizzontali di diversa consistenza
che si alternano in verticale. La
balza principale mostra un tralcio
acantino, articolato in due esili steli
binati, che si ripete ritmicamente in
andamento verticale. Il primo stelo,
rivestito da una grande foglia con
sette lobi e la punta ripiegata verso
l’alto, dopo aver generato un primo
girale arrotolandosi verso l’alto in
senso orario, piega verso il basso e
curvando in senso opposto crea un
secondo girale, più grande, che va
a intersecare gli steli, terminando
in un foglietta ricurva. Il secondo
stelo, originato da una frastagliata
foglia d’acanto a cinque lobi aperta
a ventaglio entro il girale superiore,
fino quasi a riempierlo del tutto,
segue la curvatura inferiore e, dopo
aver creato steletti secondari che si
avviticciano, si conclude in un calice foliaceo. All’interno del girale
inferiore un cerbiatto spolinato
d’oro con le zampe impigliate tra
gli arbusti tenta di divincolarsi. Da
fuori un cane da ferma, provvisto di
collare, bloccato sulle zampe posteriori con la robusta coda elegantemente ricurva in punta e le orecchie
basse, volge attentamente la testa
verso la preda. La zampa anteriore destra si regge al tralcio mentre
con la sinistra vagamente artigliata, sollevata e fremente, rimane in
appostamento dell’animale selvatico, segnalandone la presenza a un
eventuale cacciatore. Dallo stelo
esterno del girale inferiore si sviluppa poi – passando sotto il cane – un
piccolo cordone annodato per due
volte in tre legature che termina in
una nappa.
La decorazione della balza più piccola, che funge da elemento divisorio, è costituita invece da orbicoli
con una scritta calligrafica cufica,
non decifrata, intervallati da piccoli
racemi e da un rapace stante a sinistra con la testa volta a destra, il becco aperto e le ali spiegate. Interpretato in un primo momento come
la mitica fenice che vive nascosta
nei deserti dell’Arabia, simbolo di
Cristo crocifisso e della Resurrezione per la sua capacità di risorgere
dalle ceneri a tre giorni dalla morte
sul rogo (Pastoureau 2012, pp.
214-215), l’uccello raffigura invece
un’aquila o più verosimilmente un
falcone, animale prediletto dell’a-
ristocrazia medievale. A differenza
della timida fenice araba o del fenghuang dell’estremo Oriente dall’elaborato piumaggio, assai frequenti nei tessuti asiatici e lucchesi del
XIV secolo, il volatile della fascia
aurea ostenta minaccioso il rostro
robusto, le vigorose ali, l’efficiente
coda, pronto a piombare addosso
alla preda e braccarla.
Prossimi al nostro tessuto per la
particolare tipologia ‘a fasce alterne
decorate’ sono una serie di lampassi
del Museo Nazionale del Bargello
a Firenze e del Kunstgewerbemuseum di Berlino, che però già
rivelano patterns decorativi decisamente più innovativi, articolati
e dinamici. Considerati di incerta
produzione siciliana o lucchese
con una cronologia difficile e piuttosto controversa, compresa tra la
fine del XIII secolo e il XIV secolo
inoltrato, i tessili appaiono come il
prodotto di una fase più avanzata
dell’arte serica che, nutritasi di prestiti e richiami diversi, li mescola liberamente in un gusto narrativo già
moderno. Il primo è un lampasso
lanciato e broccato della collezione
Franchetti al Bargello (inv. 632 TF)
caratterizzato da un fondo azzurro
chiaro con opera in bianco-argento
e rosso. Nella fascia più alta sono
presenti due pantere affrontate con
al centro un fiore di loto e al di sopra due cani, broccati, sormontanti da due rapaci identificati con il
feng-huang della tradizione cinese.
Nella fascia più piccola si alternano
all’interno di orbicoli un rosone,
un capro e una scritta in caratteri
cufici (Podreider 1928, pp. 6769, fig. 71; L’antico tessuto... 1937,
p. 24, tav. VI; Santangelo 1958,
p. 14, tav. 11; Tessuti italiani...
[1982?], p. 28). Uguali all’esemplare della collezione Franchetti sono
i lampassi lanciati e broccati del
Kunstgewerbemuseum di Berlino
(Dupont-Auberville 1877, tav.
VII; Santangelo 1958, tav. 12)
e della collezione Carrand sempre
al Bargello (Arti del Medio Evo...
1989, p. 450). A questo gruppo
possiamo accostare anche il frammento in lampasso broccato del
Museum of Art di Cleveland (dal J.
H. Wade Fund 1977.16). Sempre
a fasce orizzontali alternate ma ancora più evoluto nella decorazione
è il tessuto del Germanisches Nationalmuseum di Norimberga (n.
448) con il fondo in rosa e disegni
in verde, bianco e argento dove
però «alla rigidità delle partiture
in orizzontale si contrappone la
discorsività narrativa delle figurazioni interne che si susseguono in
dinamiche descrizioni». Nella banda più piccola, scomparsi dischi e
scritte cufiche, si sviluppa, invece,
una fitta maglia romboidale all’interno della quale si aprono ovali
«entro cui sono, tra foglie e racemi,
delle pantere» (Devoti 1974, scheda n. 57; La seta 1989, fig. 10).
Nel lampasso della pianeta di Lanciano, il ritmo lento e la coerente
combinazione di ornamenti classici (il tralcio e i girali d’acanto) con
espressivi spunti naturalistici e venatori, di elementi faunistici o araldici desunti dalla miniatura, dalla
glittica e dalla numismatica con
motivi tratti dal repertorio decorativo musulmano e orientale come
gli orbicoli con scritte in caratteri
cufici, ma anche i cordoni con nodi
e nappe (Devoti 1966, pp. 30-31;
Devoti 1974, scheda n. 41), fanno
pensare al mirabile prodotto di una
manifattura serica dell’Italia meridionale o di un atelier tessile lucchese, operante agli inizi del XIV
secolo, profondamente ricettivo
nei confronti degli stimoli artistici e culturali che provenivano dal
Mezzogiorno, dall’area mediterranea e dal vicino Oriente.
Testimonianza significativa dell’arte del ricamo tardomedievale, nonostante le mancanze con le quali
ci è pervenuta, dovute principalmente all’estrema fragilità dei filati
aurei e serici, è invece la croce figurata posizionata sul retro della veste
sacra, funzionale, perciò, alla devozione e al coinvolgimento dei fedeli
durante alcune suggestive liturgie.
Aggiunta a seguito del rimaneggiamento del lampasso e del suo
nuovo riuso intorno alla metà del
XV secolo come paramento da
messa, la croce è costituita da un’unica striscia di lino sulla quale sono
Prima e durante il restauro, particolare del lampasso
Dopo il restauro, particolare del lampasso
stati ricamati dodici medaglioni
dalla forma pressoché quadrilobata
in lanciato metallico con busti di
apostoli, martiri e profeti, eseguiti
mediante il punto catenella. Riquadrano e valorizzano i compassi
gotici, infine, numerosi frammenti
di velluto di colori diversi (giallo,
rosso chiaro, cremisi, viola), cuciti
ai lati. Le deboli tracce del disegno
preparatorio raffermato a inchiostro, affiorante in ampie porzioni
della tela di supporto, non consentono di chiarire le modalità tecniche adoperate nella traduzione a
ricamo. Non è chiaro, infatti, se
la traccia grafica sia stata condotta
direttamente sul tessuto da ricamare, così come prevedeva la tecnica
trecentesca tramandataci dal Libro
dell’arte di Cennino Cennini o,
piuttosto, non sia stata trasferita da
cartoni all’occorrenza riutilizzabili,
come inducono a pensare alcuni
busti, solenni e severi, praticamente sovrapponibili. Pur nella semplificazione dovuta alla trasposizione
del disegno sul telaio, emerge tuttavia una volontà da parte del ricamatore di diversificare le tipologie
e le pose delle figure attraverso il
contrasto cromatico delle vesti, il
variare del profilo dei volti, l’andamento dei capelli e delle barbe. Per
ragioni che al momento ignoriamo
questa preziosa striscia ricamata
(verosimilmente la bordura di un
piviale o il segmento di un sontuoso antependium), eseguita nel primo decennio del XV secolo – come
confermano non solo il tono idea­
listico e illustrativo delle arcaiche
figure, ma anche le caratteristiche
paleografiche delle iscrizioni – fu
Prima del restauro, fibre del lampasso al
microscopio prima delle microaspiratura
Durante il restauro, fibre del lampasso
al microscopio dopo la microaspiratura
dismessa, tagliata e in parte rimontata sul lampasso che, foderato da
un leggero lino, era stato adattato a
pianeta liturgica riservata per il suo
inusuale colore solo alle feste mariane, all’Ascensione del Signore e
In Omnium Sanctórum.
Gli apostoli, i martiri e i profeti
sono identificati dalle iscrizioni in
caratteri gotici vergate in fili metallici, oggi a vista per la caduta dell’oro membranaceo, disposte su tre
registri ai lati delle figure. Partendo
dall’alto verso il basso, entro la prima cornice è raffigurato «S // MA/
TE/O A//PO/ST/OL» (san Matteo apostolo), che indossa una vivace tunica verde chiaro; l’evangelista si presenta anziano, calvo con
poche ciocche di capelli arruffati ai
lati, i baffi e una folta barba bianca. Segue «S // GI/OV/AN//N[I]/
AP/OS» (san Giovanni apostolo),
caratterizzato da una capigliatura
bionda e da un viso imberbe dove
si scorgono piccole parti degli occhi
e del naso. Al di sotto, vestito di una
tunica color violetto, è collocato «S
// IA/CO/PO// AP/OS/TO» (san
Giacomo Maggiore) il cui volto,
inquadrato da capelli biondi e da
una barbetta ispida e folta, conserva tracce delle sopracciglia e delle
ali nasali. Contrassegnata dall’iscrizione «S // TU/NA/SS//O M/
AR/TI» (san Tommaso martire,
Tommaso Becket?) è l’immagine
di un giovane santo vestito di una
tunica color rosa tenue con un viso
affilato e spigoloso ombreggiato da
sfumature più scure in prossimità
del naso, sotto il mento e all’attaccatura dei capelli. Completamente
scomparsa è, invece, l’immagine
Durante il restauro, particolare del lampasso, studio delle polveri campionate
Durante il restauro, particolare del lampasso, lavaggio ad estrazione
Durante il restauro, particolare del lampasso, reinserimento delle toppe in drittofilo
di «S // CH/AT/ER//IN/A V/ER»
(santa Caterina di Alessandria, vergine e martire), individuabile grazie alle poche tracce di inchiostro
del disegno preparatorio che ne
delineavano il volto e dai superstiti
fili del manto color porpora che le
copriva il capo. Parzialmente leggibile è anche «S // MA/TI/A A//
PO/ST/OL» (san Mattia apostolo), raffigurato anziano con capelli
bianchi disposti a ciocche lungo le
tempie, una corta barba bianca e
lacerti del naso e degli occhi. Una
chioma bionda e un viso tondeggiante sul quale spicca un robusto
naso caratterizzano «S // LU/CH/A
V//AN/GE/LI» (san Luca evangelista), mentre «S // AG/HA/TA//
VE/RG/IN» (sant’Agata, vergine
e martire) è avvolta in un manto
verde chiaro dal quale emergono
la mano sinistra piegata sul petto e
quella destra alzata, probabilmente, in segno di venerazione. Simile
al san Matteo è «S // GI/ER/[HE]//
MI/A P/[RO]» (san Geremia pro-
feta), che si differenzia per la tunica
rosa tenue, la forma tondeggiante
del cranio e l’aspetto più disteso e
meno intenso dello sguardo.
Ben conservato è invece l’ignoto
santo che chiude l’asse verticale della
croce, all’interno di una formella più
schiacciata. Indossa una veste gialla
con la mano destra piegata all’altezza
del petto (quella di sinistra è parzialmente conservata), mostra un naso
assai pronunciato con una bella zazzera color castano, una barbetta corta lungo il mento e dei baffetti che
gli coprivano le labbra. Sul riquadro
di velluto cremisi sono distinguibili, ruotati di 90 gradi in senso
antiorario, pochi caratteri gotici «S
// +O/S+/+A//OL/AP/--» e parte
della curvatura della «S» ricamata
all’interno del clipeo, riferibile a
un successivo busto. Anche le due
immagini che compongono l’asse
trasversale della croce non sono
identificabili. A destra una santa,
accompagnata dall’iscrizione «S //
--/IN/AR//++/ST/AV», è comple-
tamente avvolta in un mantello
color rosa tenue, mentre a sinistra
un vegliardo barbuto dagli occhi
taglienti, affiancato dall’iscrizione
«S // --/HE/MA//++/VE/LA», veste un abito rosa tenue dal quale
fuoriesce la mano destra sistemata
in modo da reggere qualcosa.
Dal punto di vista stilistico e iconografico i busti dei santi della
pianeta di Lanciano mostrano una
sorprendente affinità con analoghi
ricami di dimensioni inferiori che
ornano alcune mitrie episcopali,
tra cui quelle di sant’Ubaldo della
chiesa di San Pietro in Vincoli a
Roma (L’antico tessuto... 1937, p.
24, tav. VII) e del beato Mainardo
proveniente dal duomo di Urbino e
databile ai primi anni del XV secolo
(Catalogo delle cose d’arte 1932, pp.
152-158; L’antico tessuto... 1937,
pp. 23-24, figg. 43-45; Negroni, Cuocco 1984, tavv. 374-375
pp. 90, 93, Fioritura tardogotica...
1988, p. 180). In quest’ultima i ricami disposti alle estremità delle infule, lungo le guarnizioni del titulus
e intorno al circulus, rivelano la medesima rappresentazione ad ago dei
marcati tratti somatici, delle minute mani, delle delicate sfumature
rosacee delle carni, del movimento
delle barbe e delle capigliature che
seguono un andamento sinuoso in
modo da definire le ondulazioni e
le increspature delle ciocche con
effetti di volume.
Allo stesso atelier di ricamo e tessitura deve essere ricondotta anche
l’esecuzione di una mitria episcopale
tardogotica proveniente dalla cattedrale di Matera (La cattedrale di Matera 1978, pp. 106-108, tavv. XXI a,
b). Decorato da identiche formelle
ricamate, il copricapo liturgico materano fu accostato da Carla Guglielmi Faldi a una mitria trecentesca del Museo Sacro Vaticano a Roma, già analizzata da Wolfgang Fritz
Volbach nel 1942 (Volbach 1942,
p. 60 scheda T 181), che ci informa
della sua provenienza lucana, precisamente dalla badia benedettina di
San Giovanni dell’antico castrum di
Trifoggio nei dintorni di Pietrapertosa (Arte in Basilicata... 1981, pp.
40, 155 nn. 77-78).
Una comune manifattura d’origine, individuabile in una qualificata
officina meridionale, al momento
sconosciuta, mostra anche la mitria
pretiosa della fine del XIV secolo
custodita nella ex cattedrale di Santa Giusta in provincia di Oristano.
Studiata nel 2010 da Alessandra
Pasolini, che vi individuò un deciso carattere toscano, soprattutto
nei santi «prossimi stilisticamente e
cronologicamente con la tarda produzione del Maestro di San Torpè,
alter ego di Memmo di Filippuc-
Prima e dopo del restauro, particolare della croce con san Giacomo
cio a cui viene accreditata anche
un’attività di miniatore» (Pasolini
2010, p. 233), la mitria suggerisce
invece, un forte legame con i tessili
ricamati presi in esame, non escludendo – come già ipotizzato – l’uso degli stessi cartoni che, trasferiti
o ricalcati sulla tela, venivano poi
tradotti con gittate d’ago dalle abili
mani dei ricamatori.
Il restauro dello strepitoso manufatto tessile, preceduto da accurate indagini diagnostiche, è stato
eseguito da Tiziana Benzi dello
Studio restauro conservazione tessile di Piacenza, sotto la direzione
di Lucia Arbace. Le condizioni di
avanzato degrado in cui versava
l’opera, in particolare dei vari elementi assemblati (il lampasso di
seta, la croce ricamata su lino con
riporti in velluto tagliato e la fodera
in lino), hanno suggerito lo smontaggio della veste liturgica nei suoi
vari elementi costitutivi, allo scopo
di attuare interventi differenziati
(pulitura, lavaggio e restauro) dettati dai materiali diversi e preziosi
che ne costituiscono il supporto.
Nei secoli, a causa delle gravi lacune che si sono prodotte per l’usura
e a seguito di traumi meccanici, il
lampasso e la croce in particolare
erano stati ricomposti in modo di-
somogeneo, con la realizzazione di
più serie di cuciture, alcune anche
molto grossolane, che avevano reso
l’opera particolarmente fragile e visivamente disordinata.
Grazie all’accurato intervento conservativo, finalizzato sia alla ripresa
materica dei tre elementi che alla
fruibilità estetica complessiva, un
delicatissimo e raro tessile medievale viene riconsegnato al patrimonio
culturale italiano.
Bibliografia
Inedita.
Bibliografia di riferimento
1877
A. Dupont-Auberville, L’ornament des
tissus, Paris 1877.
1901
I. Errera, Collection d’Anciennes Ètoffes.
Catologue, Bruxelles 1901.
1914
R. Cox, Les soieries d’art. Depuis les origines jusqu’a nos jours, Paris 1914.
1926
G. Sangiorgi, Contributi allo studio
dell’arte tessile, Milano-Roma 1926.
1928
F. Podreider, Storia dei tessuti d’arte in
Italia (secoli XII-XVIII), Bergamo 1928.
1932
Catalogo delle cose d’arte e di antichità
d’Italia. Urbino, a cura di L. Serra, Roma
1932.
1937
L’antico tessuto d’arte italiano nella mostra
del tessile nazionale, catalogo della mostra (Roma 1937-1938), Roma 1937.
1942
W.F. Volbach, I tessuti del Museo Sacro
Vaticano. Catalogo del Museo Sacro della
Biblioteca Apostolica Vaticana, III, fasc. 1,
Città del Vaticano 1942.
1958
E. Flemming, Les Tissus. Documents, Paris 1958.
A. Santangelo, Tessuti d’arte italiani dal
XII al XVIII secolo, Milano 1958.
1963
M. Schuette, S. Müller-Christensen, Il ricamo nella storia e nell’arte, Roma 1963.
1966
D. Devoti, Stoffe lucchesi del Trecento.
Contributi, in «Critica d’arte», 13, 81,
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1974
D. Devoti, L’arte del tessuto in Europa,
Milano 1974.
1978
La cattedrale di Matera nel Medioevo e
nel Rinascimento, a cura di M.S. Calò
Mariani, C. Guglielmi Faldi, C. Strinati,
Cinisello Balsamo 1978.
1981
Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri, catalogo della mostra (Matera, Palaz-
zo del Seminario, 1979), a cura di A.
Grelle Iusco, De Luca, Roma 1981.
Tessuti italiani del Rinascimento: collezioni Franchetti Carrand, Museo Nazionale
del Bargello, catalogo della mostra (Prato, Palazzo Pretorio 24 settembre 1981
- 10 gennaio 1982), Firenze 1981.
1984
F. Negroni, G. Cuocco, Urbino. Museo
Albani, Bologna 1984.
1988
Fioritura tardogotica nelle Marche, catalogo della mostra (Urbino, Palazzo Ducale, 25 luglio-25 ottobre 1988), a cura
di P. Dal Poggetto, Milano 1988.
1989
Arti del Medio Evo e del Rinascimento.
Omaggio ai Carrand 1889-1989, catalogo della mostra (Firenze, Museo Nazionale del Bargello, 20 marzo - 25 giugno
1989), Firenze 1989.
La seta. Tesori di un’antica arte lucchese: produzione tessile a Lucca dal XIII al
XVII secolo, catalogo della mostra (Lucca, Museo Nazionale di Palazzo Mansi,
16 giugno-30 settembre 1989), a cura di
D. Devoti, Lucca 1989.
1998
Scritti di storia / Corrado Marciani, a cura
di E. Giancristofaro, R. Carabba, Lanciano 1998.
2000
La seta in Italia dal Medioevo al Seicento.
Dal baco al drappo, a cura di L. Molà,
R.C. Müller, C. Zanier, Venezia 2000.
2010
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unipa.it/oadi/rivista/oadi_1.pdf.
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M. Pastoureau, Bestiari del medioevo,
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