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The Sparkmage
Lo sguardo del mago
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o luoghi e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.
Riccardo Pasina
THE SPARKMAGE
Lo sguardo del mago
Romanzo fantasy
www.booksprintedizioni.it
Copyright © 2016
Riccardo Pasina
Tutti i diritti riservati
“A voi che mi conoscete…”
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Yrick
Il mago era pronto. La prova finale dell’esame stava per iniziare.
Doveva solamente dimostrare di saper usare ogni tipo di magia
per neutralizzare quell’orco.
Yrick era un ragazzo di diciannove anni, dall’aspetto tipico
della sua casata di maghi: capelli biondo cenere tagliati corti, statura media, spalle larghe ed una postura leggermente atipica,
come se non riuscisse mai a stabilire se caricare il proprio peso
sulla gamba destra o sinistra. I suoi lineamenti erano marcati, le
labbra carnose inclini ad un sorriso indeciso. Spesso si sente dire
che gli occhi sono lo specchio dell’anima; per Yrick era proprio
così. Letteralmente. Le sue iridi mutavano colore a seconda delle
sue emozioni e ciò gli impediva quasi sempre di mentire. Per celare i suoi pensieri doveva impegnarsi molto. In questo momento
di tensione si ritrovava due iridi viola che non sarebbero mai
passate inosservate agli esaminatori.
Yrick si trovava al centro della Sala delle Prove della Scuola
delle Arti Magiche: una stanza abbastanza grande da poter ospitare comodamente due draghi anziani, illuminata da candele levitanti e decorata con simboli runici delle cinque arti.
Odiava quel posto: essendo stato addestrato solamente da zio
Azorius e non avendo frequentato una sola lezione dai maestri
della scuola, veniva scrutato dai presenti (istruttori e maghi apprendisti) come una sottospecie di fenomeno da baraccone, quasi fosse uno stregone autodidatta o, peggio ancora, uno di quei
bardi girovaghi.
Un altro dettaglio poco rassicurante era l’orco armato di clava
che lo stava squadrando con un’espressione piuttosto ambigua.
Era alto almeno due metri, ma aveva l’aria infantile e più che
un omicida sembrava un enorme bambino imbronciato.
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Il corno suonò. Era il segnale.
L’orco si lanciò all’assalto e colpì Yrick con la clava. O almeno
così gli era sembrato.
«Arte numero uno: Illusione» disse Yrick alle sue spalle. «Un
po’ prevedibile, ma spesso efficace.»
In quel momento si concentrò e dopo qualche secondo cambiò
forma trasformandosi in una massa gelatinosa e verde.
Un brusio stupito riempì la sala: gli incantesimi di Trasmutazione erano quasi impraticabili e quel forestiero era diventato
una Melma, un essere gelatinoso verdastro che poteva assumere
qualsiasi dimensione dopo pochi istanti di concentrazione.
Zio Azorius, seduto in tribuna d’onore sorrise, mentre ad Arcadius, il preside, per poco non venne un infarto. I due si conoscevano da tempo, avendo frequentato la stessa scuola cinquant’anni prima. Azorius era il fratello maggiore di dieci anni
del padre di Yrick, deceduto misteriosamente insieme alla moglie
poco dopo la nascita del figliolo.
Ora la melma/Yrick stava immobilizzando l’orco, soffocandolo
e inglobandolo, mentre questo si divincolava invano.
Avrebbe potuto finirlo in questo modo, ma gli dispiaceva per
l’orco, e doveva ancora esibire tre Arti.
Così tornò in forma umana, sempre fissando il suo avversario.
Questo era il suo primo combattimento dopo quindici anni di
addestramento e non poteva fallire.
Improvvisamente l’orco, ancora mezzo stordito, si lanciò alla
carica ma, questa volta, si schiantò su una barriera magica.
«Aaargh» sbraitò dopo essere rimbalzato e atterrato
sull’enorme posteriore.
«“Aaargh”? Non mi sembra una gloriosa uscita di scena… Che
arte mi manca dopo la barriera di Abiurazione? Ah giusto, la mia
preferita, l’Invocazione!»
Stava per lanciare l’incantesimo “Fulmine” quando qualcosa,
dentro di sé, lo fermò. I suoi occhi diventarono verdi. Zio Azorius
inarcò un sopracciglio. Di nuovo quel problema. Yrick era un
rammollito, evidentemente.
Ma al mago non importava più dell’opinione dello zio o dei
presenti: quell’orco meritava veramente di morire solo perché lui
doveva passare un esame? Non gli sembrava giusto.
Così lanciò il fulmine qualche centimetro più a destra. Versi di
scherno arrivarono dagli studenti.
«La prova d’esame è fallita» decretò con falsa tristezza Arcadius.
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Yrick sospirò. Era buono, certo. Ma mica stupido: «Non mi
pare sappiate contare signor preside. Ho esibito solo quattro Arti. Me ne rimane ancora una.»
Detto questo si girò verso l’orco e gli chiese: «Qual è il tuo nome?»
«Grog!»
«Vuoi essere mio amico? Starai bene dalla mia parte.» Pronunciò amico e mia con una voce profonda e armonica, che risuonò nella mente di Grog come un canto di mille usignoli. Irresistibile.
«Grog amico mago!» esultò.
«Signor preside, con la conclusione di Ammaliamento io chiedo di essere…»
Non fece in tempo a finire la frase che quattro quintali d’orco
lo abbracciarono quasi soffocandolo.
«Mago amico Grog. Mago passa Esame!» esultò l’orco.
Con una certa riluttanza Arcadius proferì il verdetto: «Io Arcadius, preside della Scuola delle Arti Magiche, Maestro di Divinazione, conferisco il titolo di Sparkmage allo studente privato
Yrick. D’ora in poi potrai possedere un famiglio ed… ehm, anche
l’orco se lo desideri. Io ed Azorius ti aspettiamo fuori dalla Sala
per la scelta del Compagno Magico.»
Seguito dal brusio degli studenti, Arcadius uscì dalla sala.
«Potresti dirmi cosa ti è venuto in mente?» gli chiese molto
garbatamente zio Azorius non appena uscì dalla Sala, mentre
Grog tentava di acciuffare una candela levitante. «Avresti dovuto
fulminare l’orco fin da subito, avevi anche l’aura giusta, ma poi
no! Povero orco! Occhietti verdi e passiamo all’Ammaliamento!»
«Intanto ho ottenuto un alleato che non può che farmi comodo per la mia missione» replicò Yrick, pur sapendo di avere le
solite iridi blu di quando tentava di nascondere qualcosa.
«Sì, giusto. Una missione che non puoi portare a termine.
Scovare l’assassino di mio fratello e della tua famiglia e vendicarsi. Come se fosse possibile! Ho visto con i miei occhi il disastro
che c’era in quella casa. Tu, così impedito, non riuscirai mai a
sconfiggere qualcuno che ha ucciso tua madre e tuo padre! Non
voglio che muoia anche tu! E l’idea che mi hai detto di ingaggiare una Rakmir non ti servirà a nulla… Quanto all’orco, peggio
ancora!» replicò Azorius.
Yrick non sapeva come rispondere: non capitava spesso che lo
zio si infuriasse così tanto. Lui gli aveva suggerito di finire l’orco
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subito dopo la Trasmutazione, che era la sua Arte preferita. Yrick
non sapeva leggere la mente, ma aveva la sensazione che Azorius
stesse per toccare il tasto dolente.
«Quel giorno avrei dovuto salvare tuo fratello» concluse lo zio.
In quel momento entrò Arcadius, col suo passo affaticato ma
fiero, come se avesse speso i suoi sessantacinque anni a comandare e dirigere, oltre che a combattere. Assomigliava molto a zio
Azorius, stessi capelli grigi, stessa corporatura massiccia. Gli occhi di Arcadius erano azzurri mentre quelli di Azorius scintillavano verdi; entrambi portavano una tunica rossa lunga fino ai
piedi. Yrick invece preferiva la sua tunica blu cielo. Era semplice,
e al tempo stesso simbolica: delle rune dorate ne decoravano le
maniche, mentre sul cappuccio era raffigurato un occhio stilizzato, anch’esso d’oro. Sulla schiena si imponeva lo stemma della
casata nobile di Roccapietra, con la quale era imparentato: un
monte con al centro uno zaffiro incastonato, conosciuto col nome di Cuore di Ghiaccio.
Il vecchio preside li condusse in una sorta di stalla completamente vuota se non per un libro posato su un leggio che sembrava incoerente con il resto dell’ambiente.
«Questo è il Libro dei Famigli, una delle sacre reliquie, in grado di evocare qualunque animale vi sia rappresentato. Non appena lo avrai scelto, si materializzerà di fronte a te. Tu e lui condividerete l’anima, ma non il corpo. Le sensazioni, ma non i sentimenti. La vita, ma non la morte.»
Arcadius sembrò soffermarsi più lungamente sull’ultimo passaggio, quasi con nostalgia. Yrick si chiese quando avesse perso
il proprio famiglio; suo zio, invece, non aveva mai avuto il diritto
ad averne uno: non aveva mai passato l’esame perché era stato
espulso da quella scuola. Arcadius quindi concluse: «Ora, fai la
tua scelta. Non essere condizionato da nulla.»
Arcadius sembrava sapere che lo zio gli aveva consigliato un
cavallo della tempesta, da come lo aveva guardato. Dopotutto,
era un esperto di Divinazione.
Yrick iniziò a sfogliare il tomo; c’erano animali incredibili, spiritelli, elementali o persino draghetti. E c’era il cavallo tempestoso: un nobilissimo equino in grado di correre sulle nuvole. Stava
per sceglierlo, quando un altro animale attirò la sua attenzione.
«La mia scelta è compiuta. Il mio famiglio sarà un Falco della
Nebbia.»
Non appena disse ciò, in un lampo di luce uno splendido
esemplare si materializzò proprio sopra la sua spalla. Il manto
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piumato dell’animale era un vortice di grigio, nero e bianco, il
becco ricurvo si stagliava sotto due occhi simili a monete d’oro.
Una voce risuonò nella testa di Yrick: “Io sono Dedalo”.
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The Shadow
La giornata era iniziata piuttosto bene per il ladro. Non solo era
riuscito a svaligiare un’erboristeria, ma era anche riuscito a non
far esplodere nulla con il bottino. Almeno per ora.
Hoppip, meglio conosciuto col nome molto più inquietante da
lui divulgato di “The Shadow”, se ne stava a miscelare mandragola e zafferano nel suo calderone per creare una nuova pozione,
possibilmente non esplosiva.
Era un giovane halfling di famiglia povera, datosi al crimine
per saziare la sua terribile madre e la sorellina Hilda. La sua vera
passione era tuttavia l’alchimia “sperimentale”, come la chiamava lui, o “autolesionista” come la chiamavano gli altri. La sua altezza era discreta per la sua razza: raggiungeva persino il metro.
Infatti, gli halfling, oramai poco numerosi in quelle terre, assomigliavano a degli uomini in scala ridotta, ma avevano le orecchie a punta leggermente più tonde degli elfi e l’andatura un po’
più goffa dei nani. I più malvagi li definivano “il brutto risultato
di un’antica serata di festa collettiva”.
Hoppip indossava una maschera che gli copriva il volto, danneggiato e maledetto da una miscela di “Orripilanza” di sua
creazione che si era scaldata un po’ troppo.
Risultato? Chiunque lo guardasse in faccia non avrebbe potuto
trattenersi dalla paura o dal disgusto. Non poteva però lamentarsi della sua maschera, che lo faceva apparire ben più inquietante
di qualsiasi altro halfling: nera come la notte, gli copriva interamente il volto, lasciando scoperti solo gli zigomi e gli occhi. Nel
punto in cui avrebbe dovuto trovarsi la bocca era disegnato un
ghigno di denti bianchi. La maschera era poi vincolata ad un
cappuccio di maglia anch’esso nero. Non per niente, si faceva
chiamare “The Shadow”!
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