06.02.2013 La Regione
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06.02.2013 La Regione
Cultura e spettacoli mercoledì 6 febbraio 2013 Addio al papà della lavagna magica Uno schermo grigio, due manopole con le quali disegnare, su quello schermo, il mondo. Per ricominciare da capo bastava scuotere un po’ il tutto. È la lavagna magica, il giocattolo con cui dagli anni Sessanta hanno giocato generazioni di bambini, e ancora oggi qualche bimbo tiene in mano una delle varie versioni di questo giocattolo. L’inventore dell’écran magique – questo il nome originale della lavagna magica – si chiamava André Cassagnes ed è morto a metà gennaio. Nato a Parigi nel ’26, da ragazzo aveva lavorato per un’azienda che produceva immagini utilizzando polvere d’alluminio, e proprio partendo da quell’attività, arrivò nel 1959 a inventare il gioco che vendette, nella prima versione, cento milioni di copie. 21 Una pillola ed è subito amore di Ivo Silvestro È una delle storie d’amore più antiche e tormentate, quella di Tristano e Isotta: lui cavaliere, lei principessa. Dovrebbero odiarsi – lui ha ucciso il promesso sposo di lei – invece si amano. Uniti fino alla morte a causa di una pozione, un filtro d’amore bevuto per errore. L’idea che l’amore abbia a che fare con la chimica è dunque più vecchio della chimica stessa, scienza sconosciuta quando il mito bretone venne codificato. La chimica era invece una scienza già solida quando, siamo a metà Ottocento, del tragico amore di Tristano e Isotta si impadronì Richard Wagner. Poco prima che il compositore di Lipsia iniziasse a lavorare alla partitura, il chimico Alexander Parkes inventava la parkesina, il primo tipo di plastica artificiale. Poteva un sapere di plastica essere responsabile del più nobile dei sentimenti? Ovviamente no, e infatti Wagner cambia le carte in tavola, suggerendo – con il Liebemotiv – che Tristano e Isotta si amassero prima di bere la pozione. Il filtro d’amore ha dunque semplicemente reso manifesto quello che prima era occulto. E il nobile sentimento dell’amore non è schiavo della chimica. Dovemmo dimenticare Wagner e tornare alla versione bretone del mito, accettando che l’amore è questione chimica e una pillola può salvarci il matrimonio. A sostenerlo è Brian Earp, filosofo di Oxford, insieme ai colleghi Anders Sandberg e Julian Savulescu in diversi articoli – pubblicati sulla rivista specializzata Philosophy & Technology e su magazine divulgativi – che ha sollevato numerosi dibattiti, come probabilmente era nelle intenzioni degli autori. Il contesto è quello della riflessione laRegioneTicino Come per Tristano e Isotta, l’amore può arrivare con una pozione o, più modernamente, con una pillola. Il ricorso alle ‘love drugs’ potrebbe essere, secondo alcuni ricercatori di Oxford, la soluzione all’attuale crisi dell’istituzione familiare etica sugli human enhancement, dove con enhancement (“potenziamento”, ma la traduzione non rende completamente il significato del termine origi- nale) si intendono tutti gli interventi non strettamente terapeutici. Sono human enhancement sia bersi un caffè per non addormentarsi, sia una (ipotetica) manipolazione genetica per rendere una persona più muscolosa, più alta o più intelligente. Praticamente nessuno condanna il consumo di caffè, praticamente tutti vedono con orrore la manipolazione genetica. Perché c’è questa differenza, si chiedono alcuni studiosi di questioni etiche? È un pregiudizio dettato dalla familiarità che abbiamo verso il consumo di caffè – e l’utilizzo di vaccini e lenti a contatto – e dalla diffidenza verso le ignote novità come la manipolazione genetica, oppure ci sono motivazioni razionali per rifiutare alcune pratiche e accettare altre? Da qui l’analisi, da parte dei tre studiosi, delle love drugs (dove, attenzione, drug non sta per sostanza stupefacente, ma più in generale indica qualsiasi sostanza che assumiamo per scopi non alimentari). “Noi sosteniamo che la fragilità dei matrimoni contemporanei, e i corrispondenti alti tassi di divorzio, possono essere spiegati (in gran parte) da una discrepanza tra i nostri valori familiari, la nostra natura psichica e biologica così come si è evoluta, e il nostro attuale ambiente sociale”. L’idea, in poche parole, è che la monogamia sia un valore importante nella nostra società: gli esseri umani sono naturalmente non monogami; la vita moderna offre molte più opportunità di tradimento rispetto al passato, dai metodi contraccettivi ai social network. Dato il conflitto tra questi tre fattori, o si cambiano i valori – ma la cosa appare, agli occhi dei tre ricercatori, impossibile – o si cambia la società – ma anche qui l’impresa appare improbabile – oppure si cambia la natura umana. Tramite le love drugs, sostanze che ci renderebbero amanti fedeli nonostante tutto. Ovviamente ogni coppia deciderebbe in completa autonomia se ricorrere alla pillola dell’amore o no. L’analisi è puramente teorica, un esperimento mentale su un possibile ma non certo scenario futuro, visto che le sostanze come l’ossitocina che gli autori indicano come probabili componenti delle love drugs hanno effetti molto più complessi della semplice fedeltà coniugale. Non si può comunque escludere la possibilità di realizzare davvero simili pillole dell’amore, e dunque ben venga la riflessione di Brian Earp, un’occasione di ragionamento che sarebbe un peccato liquidare con un’alzata di spalle. Tuttavia, il vero tallone d’Achille del ragionamento è la presunta immutabilità della società e del nostro sistema di valori: anche senza love drugs, il matrimonio è cambiato non poco, e cambierà ancora. Magari, chissà, tornando alle pozioni d’amore di Tristano e Isotta. ISOTTA, ILLUSTRAZIONE DEL 1893 DI AUBREY VINCENT BEARDSLEY Il violino di Pavel Berman all’Auditorio L’Orchestra della Svizzera italiana suonerà musiche di Rossini, Beethoven e Prokof’ev Rossini, Prokof’ev, Beethoven. Sono i tre compositori del concerto dell’Auditorio che venerdì vedrà sul podio Daniele Rustioni, giovane maestro italiano che con l’Orchestra della Svizzera italiana ha stretto un rapporto di proficua collaborazione, che vedrà i musicisti dell’Osi esibirsi questa sera al Teatro Franchini di Pavia e domani al Ponchielli di Cremona. Tornando al concerto di venerdì all’Auditorio Rsi di Besso, il programma prevede l’ouverture da L’Italiana in Algeri di Gioachino Rossini, la Sinfonia n. 2 in re maggiore di Ludwig van Beethoven e il Concerto per violino e orchestra n. 2 in sol minore op. 63 di Sergej Prokof’ev, con la partecipazione del celebre solista russo Pavel Berman (nella foto), attivo anche presso il Conservatorio della Svizzera italiana. Non è la prima volta che Berman, l’Osi e Prokof’ev si incontrano, come dimostra un premiato album dell’etichetta discografica Dynamic. Il concerto luganese sarà trasmesso in diretta radiofonica da Rete Due e in differita video streaming, a partire dalle 21, sulla pagina rsi.ch/auditorio. Prevendita biglietti presso i punti vendita Ticketcorner e online su www.ticketcorner.com. Entrata libera fino ai 18 anni. RED ✘ in breve Premio culturale Manor L’edizione 2013 del Premio culturale Manor ricompensa le opere e i lavori di Mirko Baselgia (Coira), Jennifer Bennett (Sciaffusa), Alexandra Navratil (Zurigo/Winterthur), Lena Maria Thüring (Basilea), Francisco Sierra (San Gallo) e del trio JocJonJosch (Sion). Da 31 anni, il Premio culturale Manor incoraggia giovani artisti svizzeri. Le nozze di Figaro: una lettura Questa sera alle 18 al Liceo cantonale di Bellinzona conferenza pubblica del professor Fabio Sartorelli del Conservatorio di Como sulla celebre opera di Mozart Le nozze di Figaro. Kill Bill, voll. 1 e 2 Il premio von Siemens al direttore Mariss Jansons Il premio musicale internazionale Ernst von Siemens, considerato il Nobel per la musica, quest’anno è stato assegnato al direttore d’orchestra lituano Mariss Jansons. Il riconoscimento, del valore di 250mila euro, gli sarà conferito ufficialmente il prossimo 4 giugno dall’accademia bavarese delle belle arti di Monaco. Ac- canto al prestigioso premio – che in passato è già stato attribuito a illustri maestri e direttori d’orchestra quali Claudio Abbado – sono stati assegnati anche tre premi di incoraggiamento del valore di 35mila euro ciascuno, uno dei quali è andato al compositore svizzero David Philip Hefti, nato nel 1975. Il Cineclub del Mendrisiotto, per la rassegna dedicata a Tarantino, propone in successione Kill Bill: vol. 1 e Kill Bill: vol. 2, questa sera a partire dalle 20 nel Multisala Teatro Mignon e Ciak di Mendrisio. l’occasione di Claudio Lo Russo Storie, perdite e ritrovamenti del Gabbiano nel film di Antonio Prata e Davide Pangrazio Sono le storie, storie che non hanno bisogno di nomi, quelle che tracciano il percorso tortuoso di un’esistenza fuori dell’ordinario e delle sue certezze, dove la resa è sempre in agguato, la rinascita sempre possibile. Sono le voci, i volti, le testimonianze di chi ha compiuto il tragitto dell’angoscia, estasi e devastazione, raccolte in ‘L’inverno è più lungo’ da Antonio Prata e Davide Pangrazio. Il film, realizzato in collaborazione con la Fondazione Il Gabbiano e l’Associazione amici del Gabbiano, racconta attraverso alcuni suoi ospiti, di oggi e di ieri, i vent’anni di attività della comunità di recupero per tossicodipendenti a Camorino. Una realtà che ha accolto il percorso di oltre cinquecento ragazzi e ragazze e che da poco, con il progetto Midada, ha varcato la frontiera odierna della lotta alla dipendenza: la prevenzione. Il film raccoglie le voci di Nives Moretti, la fondatrice, scomparsa nel 2009, che nel 1991 creò questo luogo in cui reimparare alle tante vittime dell’eroina di quegli anni l’amore per se stessi, prima che si aprisse davanti a loro il bivio inevitabile che porta “al carcere o alla tomba”; e del direttore attuale, Edo Carrasco, impegnato sul doppio binario segnato da coercizione – la comunità, “per chi non può essere lasciato solo” – e prevenzione, per sostenere e accompagnare chi ancora non è sprofondato nella dipendenza. Ma soprattutto gli autori ascoltano le storie di chi ha conosciuto il vuoto, il buio, la violenza. Di chi ha il coraggio (a molti ignoto, anche fuori dalle comunità) di guardarsi dentro, di raccontarsi e interrogarsi, di porsi con onestà le domande con cui “arrivare alla radice”. Storie che si consumano qui, attorno a noi, quando per gli imprevedibili equilibri del caso una strada si divide, puntando in direzioni diverse, portando da una qualsiasi scuola ticinese alle consuetudini accettate della cosiddetta normalità o alla solitudine radicale della perdita di sé. Il film racconta così, con il circolo vizioso dell’annullamento progressivo, lo scatto vitale di chi sceglie (perché si sceglie) di darsi un’altra opportunità; cercando il valore delle piccole cose, del prendersi cura di sé, dell’ascolto, attraverso il lavoro quotidiano con i cavalli: “Un primo passo verso la libertà”. Nonostante, a volte, il confronto con una Legge che si ‘realizza’ attraverso altri parametri e valori, che smarrisce l’individuo nella norma, e magari lo abbandona a se stesso prima che il suo tragitto sia compiuto. Il film incrocia poi la strada di chi dalla comunità è uscito, di chi ce l’ha fatta. E ricorda la forza tenace di legami che restano per sempre, saldati dalla condivisione di un viaggio unico, ma anche di chi non c’è più, di nuovo inghiottito dalla vita. Un documentario semplice, che si concentra forse solo sugli aspetti positivi del percorso comunitario. Ma in cui, con evidente par- tecipazione (in particolare Antonio Prata è ritornato a un tema a lui caro, già affrontato con grande sensibilità in ‘Il resto di una storia’), i registi trovano dei bei momenti di cinema nella poesia dei dettagli – le piccole cose del- la quotidianità, l’incedere elegante di un cavallo, la luce che precipita in una stanza la sospensione dell’attesa. La presentazione al pubblico è prevista per domani, giovedì, alle 18.45 al Cinestar a Lugano.