Note etnografiche sui Kuna
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Note etnografiche sui Kuna
Estratto da: Le Mola dei Kuna di Panama. Percorsi didattici tra etnografia ed universo simbolico, a cura di Paolo Fortis, “Quaderno” n. 2 del Laboratorio di Didattica e Antropologia, Dipartimento di Filosofia e Scienze Sociali, Università di Siena, 2000. NOTE ETNOGRAFICHE SUI KUNA Massimo Squillacciotti 1.1 – Fin dallo sbarco di Balboa sulle coste caribiche nel 1501 i Kuna sono conosciuti come il gruppo indigeno più diffuso su tutta la regione del Darién, che comprendeva l’intero territorio dell’istmo di Panamá fino alla parte nord della Colombia attuale. 1.2 – All’epoca della Conquista i Kuna possedevano una organizzazione statuale abbastanza elaborata e gerarchicamente ordinata: le ricche sepolture trovate negli scavi archeologici nell’area provano l’esistenza di una classe dirigente costituita da capi e nobili e da sacerdoti che presiedevano a culti basati in parte sui sacrifici umani dei prigionieri di guerra. Il popolo era composto da coltivatori ed artigiani ed all’estremo inferiore della scala sociale si trovavano gli schiavi. 1.3 – La Conquista spagnola colpì i Kuna con forza sufficiente a spazzar via le istituzioni nazionali o statuali ma non riuscì a sostituirsi alle istituzioni indigene 9 perché la popolazione si spostava nei territori sempre più interni e montagnosi della regione difendendo la propria autonomia anche a costo di sanguinose battaglie. 1.4 – Fu solo dopo il 1870, a seguito delle spedizioni geografiche nella regione per studiare la possibilità di costruzione del Canale tra i due oceani, che i Kuna si concentrarono lungo la costa atlantica e le isole, nei territori che occupano attualmente e si erano rivelate di scarso interesse economico per i bianchi. 1.5 – Nel 1907 ha inizio la penetrazione sistematica dei missionari e già nel 1925 i Kuna si rivoltano contro la polizia panamense a seguito di una serie di soprusi e dichiarano i propri territori proprietà degli indios: è la «rivoluzione kuna» guidata dal sàila Nele Kantule e da altri ventiquattro sàila rivoluzionari. 1.6 – Solo nel 1953 il governo di Panamá ha riconosciuto ufficialmente la «Comarca di San Blas» o «Kuna Yala» come riserva dei Kuna, accettando la loro «dichiarazione di indipendenza e dei diritti umani» del 1925 ed impegnandosi a rispettare il loro governo tradizionale in cambio del rispetto della Costituzione e delle leggi della Repubblica. 1.7 – I Kuna hanno ormai da anni creato un movimento indigeno non solo riacquistando identità e coscienza come popolazione, ma promuovendo anche analoghi movimenti tra le altre popolazioni indie dello stato di Panamá, come i Chocòe e i Guaymie. 2.1 – Popolazione di lingua chibcha, i Kuna vivono nella zona della «riserva» che si estende per circa 300 km dal golfo di San Blas a nord, sotto la città di Colón, al golfo di Darién a sud, al confine con lo stato della Colombia. 10 2.2 – Il territorio della riserva è composto da numerose isole, di cui solo le più grandi sono abitate, e dalla striscia di terra montagnosa coperta di foresta tropicale che confina con le province di Panamá a nord-ovest e del Darién a sud-ovest. 2.3 – Circa 30.000 persone vivono sulle isole ed altre 2.000 sulla terraferma vicino ai fiumi. Molti sono anche i Kuna che vivono in «quartieri» vicino alle due città principali di Panamá e Colón, divenuti oggi veri e propri villaggi indigeni; molti poi sono i Kuna rimasti in territorio colombiano. 3.1 – Il Congresso Generale dei rappresentanti di tutti i villaggi si tiene due volte l’anno per discutere i problemi della società kuna nel suo complesso ed eleggere i propri rappresentanti presso il governo centrale della Repubblica. 3.2 – Ciascun villaggio ha un’autorità eletta per acclamazione popolare in base al riconoscimento della sua conoscenza delle tradizioni e del suo modello i vita. E’ un’autorità profondamente religiosa denominata sàila, cioè capo o grande (tronco), che deve insegnare ed orientare il popolo nel pab’igála o canto del cammino di dio, principio di coesione della comunità. 3.3 – Il suo compito principale è cantare nella onmaked’nega, o Capanna del Congresso, dove ogni sera uomini e donne si riuniscono per discutere i problemi della comunità o per ascoltare i canti della tradizione. 3.4 – Accanto a lui altri sàila si alternano nei canti al popolo mentre gli argár, o interpreti dei canti, traducono nella lingua quotidiana il messaggio profondo e metaforico dei canti. Il compito di chiamare al Congresso e di tenere attenta la gente 11 durante il suo svolgimento è affidato al suaribédi, o uomo degno del bastone, nominato dal sàila dopo una consultazione del villaggio. 3.5 – I sapin’dùmmad, grandi uomini, istruttori e conoscitori della cultura kuna e soprattutto della medicina tradizionale sono di due tipi: nele, cui spetta la diagnosi, la descrizione simbolica ed il trattamento delle malattie del corpo e della mente; e inatulédi, cui spetta il trattamento curativo basato sulla conoscenza del valore terapeutico delle sostanze naturali. 3.6 – La somministrazione delle medicina viene accompagnata dalla presenza di statuine di legno scolpite chiamate nùcciu, che hanno la funzione di legare simbolicamente la forza curativa delle sostanze naturali con l’armonia creativa dell’opera di Dio. 4.1 – I Kuna sono l’unico popolo del Centro-America che conserva una tecnica pittografica prima diffusa nelle grandi civiltà precolombiane. Con essa tramandano credenze e miti, rituali religiosi, conoscenza della medicina ed avvenimenti di particolare rilievo. Oggi questo tipo di scrittura è ancora praticata e conosciuta solo dai vecchi saggi che la tramandano ai pochi adulti riconosciuti degni di apprendere le pratiche mediche o i canti religiosi tradizionali. 12 4.2 – La pittura, eseguita su tavolette ricavate da corteccia d’albero, è policroma, Il colore ha in essa un ruolo importante e un intrinseco valore simbolico: ad esempio in una pittografia della creazione del mondo appaiono anime azzurre, anime gialle, anime rosse a significare le diverse tappe della storia del popolo kuna. 5.1 – Gli eroi della rivoluzione del 1925 hanno i loro ritratti sulla casa municipale ed il loro cimitero è situato su un’isoletta della laguna, di fronte all’isola di Ustupu. Al contrario, gli altri defunti sono sepolti sulla terraferma lungo le sponde del fiume. 5.2 – Il morto viene accompagnato dai familiari avvolto nella sua amaca e con questa viene poi sepolto in terra al riparo di una capanna. Intorno alla tomba vengono posti alcuni oggetti di uso quotidiano che servono al defunto per continuare la sua vita. 13 5.3 – Anche la concezione kuna della morte è legata alla simbologia del rapporto con Dio e la Natura. Dio rappresenta la perfezione e la simbologia kuna lo associa al numero otto, che è perciò la base del sistema numerico, mentre l’uomo è al numero quattro. 5.4 – L’uomo non può raggiungere Dio nella sua vita terrena, ma ha bisogno di una nuova forma di vita in cui purificarsi nel cammino verso la casa di Dio. Solo dopo aver percorso i diversi fiumi ed attraversato i diversi villaggi della Natura, l’essere muore una seconda volta e l’anima si veste d’oro nella casa di Dio. 6.1 – La famiglia estesa, di residenza matrilocale (cioè il marito va a vivere nella capanna dei genitori della moglie) e di discendenza patrilineare (cioè viene contata lungo il ramo paterno), vive in due capanne racchiuse da un recinto. Una capanna è 14 la capanna del giorno dove si svolgono le attività comuni, dove c’è il focolare e le stoviglie per cucinare e dove si svolgono le attività artigianali. Nell’altra capanna, la capanna della notte, ci sono le amache per dormire, collocate in fila una accanto all’altra. L’organizzazione e la cura della casa e dei figli è affidata alle donne. 7.1 – L’abbigliamento femminile è formato da un fazzoletto rosso mùsue con motivi stampati per la testa, un corpetto ricamato mola e da un telo di stoffa sàburet come gonna. Gli ornamenti femminili sono: un anello al naso, collane, bracciali (uìni) che ornano le braccia e le gambe fasciandole strettamente, formati da un unico filo di perline di differenti colori che, una volta indossato, forma decorazioni geometriche. Un riga nera viene tracciata lungo la linea del naso a pronunciarne la forma. 15 8.1 – Di particolare rilievo nella vita della famiglia e del villaggio sono le cerimonie femminili della perforazione del naso per la neonata e della prima mestruazione per la ragazzina. All’avvenuto menarca, gli uomini costruiscono un recinto all’interno della capanna della notte, in cui la ragazzina deve sedere vestita solo di una tunica per essere bagnata con acqua più volte al giorno. 8.2 – Ella può mangiare solo di notte e bere solo bevande di mais non fermentato: queste limitazioni sottolineano l’avvenuto passaggio di condizione e le nuove responsabilità cui deve sottostare. Dopo quattro giorni viene dipinta in tutto il corpo di nero con una sostanza vegetale e poi portata ritualmente dal padre alla inna nega, o capanna della festa, dove è attesa dal resto del villaggio. 8.3 – In questa, come in altre occasioni, si svolge la festa della chicha dal nome della bevanda fermentata alla cui produzione partecipa tutta la collettività. 16 9.1 – Quando due giovani intendono posarsi, il padre della ragazza chiede la mano del ragazzo. La notte successiva si svolge il matrimonio e il ragazzo è condotto all’amaca della ragazza dove i parenti lo incitano a coltivare bene il campo. 10.1 – Quando la donna deve partorire lascia la propria capanna e si reca nella «capanna del parto» dove è assistita da quattro donne esperte. La donna partorisce accovacciata con le gambe divaricate, appoggiata ad un palo orizzontale che le sta di fronte. Un tappeto di foglie di banano poste a terra accoglie il neonato. 10.2 – Nel caso di parti difficili, il nele canta il muu-ìgala, o canto del parto, che per la sua struttura linguistica può essere inteso contemporaneamente a tre diversi livelli di significazione: come canto della vita, come indicazione per le ostetriche e come origine della vita e cammino di Dio. 10.3 – La puerpera rimane nella capanna del parto assieme al neonato per alcuni giorni, mentre la placenta viene segretamente sepolta: solo allora la madre può tornare alla sua capanna. 11.1 – L’economia kuna è un’economia «di sussistenza» legata principalmente alla coltivazione dei campi, alla raccolta della frutta ed alla pesca, mentre la caccia rimane un’attività sussidiaria. I campi sono di proprietà privata così come la terra su 17 cui sono costruite le capanne. Le colture sono soprattutto mais e riso. In genere la divisione del lavoro prevede che l’uomo vada al campo mentre la donna vada a vendere il cocco ed il cacao ai commercianti colombiani che, con grandi barche, navigano di isola in isola per vendere a loro volta caffè, utensili e stoffe. 11.2 – Gli uomini svolgono attività artigianali come quella della costruzione delle canoe, della falegnameria in genere per la costruzione di oggetti per la capanna, intrecciano cestini e ventagli. Costruiscono, inoltre, i flauti, strumento musicale maschile che, assieme alle maracas, strumento femminile, viene usato per accompagnare le danze durante le feste. 18 11.3 – A turno gruppi di donne tengono pulite le strade riempiendo con terriccio le buche formatesi a seguito delle piogge. Alla donna spetta di cucire, cucinare e allevare animali domestici; ella provvede inoltre a lavare gli indumenti ed alla panificazione, che è ritenuta un’attività specializzata. 12.1 – Nei villaggi più grandi è attiva la scuola di base, in lingua spagnola. Recentemente maestri e maestre sono i kuna stessi ed è stata attivata una sperimentazione di scuola bilingue nel rispetto della cultura kuna tradizionale. 13.1 – Un posto a parte merita l’attività femminile del cucire la mola, corpetto usato dalle donne e ricamato a mano con liberi disegni che rappresentano motivi mitologici tradizionali. Frequenti sono il motivo delle fertilità e soprattutto quello particolare del labirinto che rappresenta, se riferito all’uomo, il pensiero prigioniero di sé stesso, il pensiero che si allontana da sé e dalla ragione; se riferito a Dio, l’origine della vita e della creazione del mondo. Buona parte della produzione delle mola è oggi destinata al commercio. 19