Premessa - Camera Civile Parma
Transcript
Premessa - Camera Civile Parma
Premessa Un espresso riferimento normativo alla mediazione, da intendersi mediazione familiare per il contesto della sua collocazione, si rinviene nella l. 8 febbraio 2006 n. 54, che la introduce con l'uso del solo termine “mediazione” nell'art. 155-sexies, secondo comma, c.c.. La disposizione in sostanza recepiva il contenuto dell'art. 13 della Convenzione di Strasburgo 25 gennaio 1996 sui diritti dei bambini, ratificata con la l. 20 marzo 2003 n. 77, norma pattizia di diritto internazionale che promuove la mediazione ed ogni altro metodo alternativo di risoluzione del conflitto. La norma è stata abrogata dall’art.106, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154 che, peraltro, all'art. 55 ha inserito nel codice civile l’art.337 octies nel quale individua i poteri del giudice sancendo, al primo comma che prima dell'emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all'art.337ter, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d'ufficio, mezzi di prova e dispone, inoltre, l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all'ascolto se in contrasto con l'interesse del minore o manifestamente superfluo. Il secondo comma riprende il dettato del cit.art.155 sexies “qualora ne ravvisi l'opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 337-ter per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli. Il nostro ordinamento, dunque, prevede la sola forma di mediazione familiare volontaria endoprocessuale lasciata — sul consenso delle parti — alla iniziativa ed alla discrezionalità del Presidente del Tribunale o del giudice istruttore, che esercita il suo potere specifico in caso di esistenza di modelli collaborativi condivisi dalla locale classe forense. Tuttavia, un'avvertita giurisprudenza di merito abbastanza sensibile al ricorso ed allo sviluppo della mediazione familiare, ha organizzato nella struttura del Tribunale ordinario un servizio pubblico e gratuito, l'ufficio di mediazione familiare. Mi riferisco al Tribunale di Lamezia che ha fatto della norma un'applicazione intelligente e meritevole di adesione (considerata la generale tendenza negativa dei giudici di avvalersi raramente del percorso mediativo), ritenendo applicabile la mediazione familiare anche al rito divorzile, e che, con ordinanza 11 marzo 2010 aveva riconosciuto la possibilità di accesso alla mediazione familiare anche in sede di separazione consensuale ove era stato già predisposto un accordo. La mediazione familiare è considera come un percorso facoltativo ed eventuale, volto a creare uno spazio neutro, un procedimento non obbligatorio che prevede la presenza di un terzo (il mediatore), che, attraverso una serie di incontri, aiuta la coppia genitoriale in crisi ad instaurare un dialogo ed a raggiungere un accordo condiviso sulle principali questioni emotive e materiali; ciò, in base alla premessa che la coppia coniugale rimane unita nell'esercizio della funzione genitoriale anche se i due soggetti sono in procinto di separarsi, ovvero sono divorziati: l'esigenza primaria della mediazione nasce proprio dalla necessità di salvaguardia dei rapporti verticali. La mediazione familiare per un accordo sostenibili nel tempo A fronte dell'ampliamento dell'autonomia dei coniugi nella auto-regolamentazione della crisi, emerge l'esigenza di limitare tale autonomia, così da tutelare adeguatamente i soggetti deboli (il coniuge debole ed i figli) coinvolti nella crisi. Il mescolarsi delle richiamate (apparentemente) antitetiche esigenze, il loro bilanciarsi ed intrecciarsi, restituiscono al giurista quadri mutevoli, non sempre di agevole interpretazione, in cui interessi molteplici, talora contrapposti, richiedono di essere ricondotti ad unità, alla ricerca di una regula iuris che sia dotata della necessaria certezza, ma - al contempo - sia sufficientemente flessibile per addivenire alla giustizia del caso concreto. Un pratico approfondimento dell’argomento può riguardare la sostenibilità nel tempo dell’accordo raggiunto in sede di mediazione, con particolare riferimento alla situazione più delicata da disciplinare vale a dire il rapporto con i figli; intanto l’accordo potrà essere recepito in sede di omologa della separazione consensuale, di conclusioni congiunte in tema di divorzio, di convenzione di negoziazione assistita ex art.6 L.162/2014 ovvero di ordinanza adottata dal Tribunale nei procedimenti ex art.317 bis c.c., oppure in sede di modifica delle condizioni, in quanto possa reggere al necessario raffronto con il dettato del già citato art.337 ter del codice che provvederemo a rileggere e sinteticamente commentare. Il principio ispiratore è contenuto nel primo comma laddove riconosce al figlio minore il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei casi di crisi della coppia compito del giudice è adottare i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Sotto il profilo economico il quarto comma dispone che ciascuno dei genitori deve provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito “salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti” è significativa in tale ambito la non riproposizione della verifica della non contrari età all'interesse dei figli di quanto concordato. In conseguenza ritengo rimanga irrilevante per l’argomento che stiamo trattando il residuo contenuto del quarto comma, laddove affida al giudice il compito di stabilire, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità con i criteri (da 1 a 5) per la sua determinazione L’esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale della prole. Una rassegna di giurisprudenza Diverse massime reperibili in materia di affidamento dei figli minori consentono di dare contenuto al criterio fondamentale rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, eventualmente privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. “L'individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo, giudizio che, ancorandosi ad elementi concreti, potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore ..”. (CASS.Sez.I, 27/06/2006, n. 14840). Nella fattispecie, la Corte aveva cassato con rinvio, la sentenza d'appello, la quale aveva ritenuto di dover affidare la figlia minore alla madre facendo leva, soprattutto, sul fatto che "il cristiano - e il marito e la moglie con la scelta del matrimonio religioso avevano esplicitato alla società di esserlo - conosceva le ultime parole del Cristo e sapeva che non era dato al cristiano togliere la madre al figlio né il figlio alla madre", laddove la sentenza di primo grado - ancorata alle risultanze di una consulenza tecnica collegiale - aveva disposto l'affidamento alla zia paterna ed al di lei coniuge e l'allontanamento dalla madre, la quale - mossa esclusivamente dal desiderio di soddisfare il suo istinto distruttivo della figura paterna-maschile - aveva determinato l'esaurimento di tutti i meccanismi difensivi fisiologici della bambina, con il rischio di scivolamento dallo stato premorboso ad uno stato psicotico di difficile o impossibile remissione. Il principio era stato già in precedenza enunciato dai giudici di legittimità (Cass.Sez.I 22 giugno 1999 n. 6312) allorchè aveva valorizzato il criterio della stabilità del rapporto del figlio con i luoghi in cui si esplicano i suoi legami affettivi ed i suoi principali interessi, confermando la statuizione del giudice di merito circa l'esercizio in Italia del diritto di visita del padre, quale genitore non affidatario residente all'estero. Sotto quest’ultimo profilo, più di recente (cfr.CASS.Sez. I, 12/05/2015, n.9633), la S.C. ha statuito che il coniuge separato il quale intenda trasferire la residenza lontano da quella dell'altro coniuge non perde l'idoneità ad avere in affidamento i figli minori, sicché il giudice deve esclusivamente valutare se sia più funzionale all'interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario. E’ interessante la fattispecie concreta sottesa alla decisione. Il Tribunale di Castrovillari, in accoglimento della domanda di modifica delle condizioni della separazione consensuale dei coniugi proposta dal marito aveva disposto il collocamento presso il medesimo delle figlie minori della coppia, di 9 e 5 anni, già collocate presso la madre in base agli accordi a suo tempo omologati dal Tribunale di Rossano, luogo di residenza delle parti. La Corte d'appello di Catanzaro, sul reclamo della madre, la quale era stata trasferita d'ufficio a seguito della soppressione del Tribunale di Rossano con la relativa Procura della Repubblica, cui ella era addetta quale sostituto procuratore ribaltava la decisione del Tribunale, confermando il preesistente collocamento delle bambine presso la madre, La Corte, premesso che ciascun genitore ha il diritto, costituzionalmente garantito, di stabilire la propria residenza nel luogo che desideri, ha osservato che la decisione della madre di trasferirsi non era dettata da intenti emulativi volti ad ostacolare l'esplicarsi del rapporto tra padre e figlie, in violazione del principio di bigenitorialità; che nella comparazione degli interessi in gioco, doveva considerarsi preminente quello delle bambine, entrambe in tenera età, alla presenza e vicinanza costante e durevole della figura materna; interesse al quale non poteva anteporsi l'esigenza, pure importante, ma secondaria, allo stabile mantenimento delle relazioni sociali e amicali intessute nel contesto ambientale in cui le piccole erano vissute sin dalla nascita; che infatti queste ultime, sebbene potessero ritenersi ormai affrancate da una stretta dipendenza materiale e fisica dalla madre quanto alle esigenze primarie e più elementari di vita, tuttavia erano ancora bisognose della presenza materna, pur sempre apportatrice di una speciale carica affettiva capace di trasmettere senso di protezione e sicurezza, elementi insostituibili, al momento, per garantire alle medesime un corretto ed armonico sviluppo psico- fisico. La Cassazione ha confermato quanto deciso in sede di appello. Il Tribunale di Torino (sez. VII, 8/10/2014, M.M. c. Benincasa ed altro V.M. De Mauro) in argomento ma con riferimento all’ipotesi di disgregazione della famiglia non fondata sul matrimonio, ha sancito “.. sebbene la scelta della residenza da parte del genitore collocatario costituisca l'esercizio di un diritto di libertà, deve rilevarsi che rispetto a tale diritto l'altro genitore può opporre ragioni direttamente collegate all'interesse della prole, come nel caso di un evidente ostacolo all'esercizio del proprio diritto di visita, e il giudice dovrà valutare, nella persistenza del disaccordo fra i genitori, se il trasferimento di residenza del minore si ponga o meno in contrasto con l'interesse dello stesso a un equilibrato e armonico sviluppo della personalità, che si sostanzia anche nel diritto a conservare un rapporto significativo e continuativo con l'altro genitore, che potrebbe essere compromesso dal trasferimento della prole in un luogo distante dalla residenza del genitore non collocatario o, comunque, non facilmente raggiungibile”. Tornando al tema principale, facendo un passo indietro nel tempo, in particolare in un periodo nel quale era ancora lontana la legge n.54 del 2006, esaminando la "ratio legis" ed il tenore letterale della norma della legge sul divorzio, a mente della quale il tribunale, pronunciando lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, provvede in ordine alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa e, ove lo ritenga utile all'interesse dei minori, anche in relazione all'età degli stessi, poteva disporne l'affidamento congiunto o alternato, la S.C. ebbe a confermare l'impugnata decisione con la quale la corte territoriale, nel motivare il rigetto della richiesta di affidamento alternato avanzata dal padre della minore, aveva evidenziato: 1) che la madre, non essendo impegnata in attività lavorativa esterna, era in condizioni di seguire più assiduamente la figlia rispetto al padre, impiegato di banca e, perciò, assente da casa per gran parte della giornata e non in condizione di offrire alla figlia eguale assistenza; 2) che, per il passato, la stessa madre aveva già adeguatamente provveduto alle esigenze materiali e morali del minore; 3) che le modalità di frequentazione stabilite con riguardo al genitore non affidatario consentivano di valorizzare altrettanto adeguatamente la figura paterna (CASS.Sez.I, 04/11/1997, n. 10791). Nel decidere l'affidamento dei figli minori in ossequio al criterio fondamentale si devono, dunque, adottare le soluzioni più idonee a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare in modo da assicurare il migliore sviluppo possibile della personalità del minore. (CASS.Sez.I, 8/05/2003, n. 6970) per cui la stessa posizione del genitore affidatario si configura piuttosto che come un "diritto", come un munus, e la stessa regolamentazione del c.d. "diritto di visita" del genitore non affidatario deve far conto del profilo per cui un tal "diritto" si configura esso stesso come uno strumento in forma affievolita o ridotta per l'esercizio del fondamentale "diritto - dovere" di entrambi i genitori, di mantenere, istruire ed educare i figli, fornito di riconoscimento costituzionale nell'art. 30, comma 1, cost., e viene posto, dall'art. 147 c.c., fra gli effetti del matrimonio (CASS.Sez.I, 19/04/2002, n. 5714). Applicando tale insegnamento il Tribunale di Salerno (sez. I, 9/06/2008) ha ritenuto conforme con l’interesse di una minore fissarne la residenza abituale presso il domicilio del padre, ferma restando l'esigenza, imprescindibile per il suo corretto sviluppo, di evitare di compromettere o rendere troppo difficile ed impraticabile il rapporto della stessa con la madre, la quale doveva rimanere un punto di riferimento nella sua crescita. Ultime due segnalazioni. In punto di affidamento della prole minorenne, evincendosi dalle successive allegazioni e deduzioni delle parti una indubbia distensione dei rapporti tra il padre ed i minori, nonché una stabilizzazione del conflitto tra i genitori, ai sensi dell'art. 337-ter c.c. non è più necessario ridurre l'esercizio della responsabilità genitoriale del padre ad una così rigida limitazione. Del resto, il maggiore coinvolgimento di questi nel proprio ruolo genitoriale attivo si giustifica anche a seguito del dedotto peggioramento delle condizioni di salute della madre, che ad ogni modo resterà genitore collocatario di riferimento poiché sarebbe ictu oculi inopportuno e destabilizzante per i minori mutare anche tale figura, regolamentando il diritto-dovere di visita del padre con alcune previsioni integrative relativamente alla permanenza dei minori stessi presso lo stesso nei periodi di festività e prevedendo la possibilità per i ragazzi di pernottare, solo ove lo desiderino, presso il domicilio paterno” (Trib. Bari, sez. I, 16/04/2014, n. 1959 Mu. Gr. c. Vi. Fr. e altro) “In tema di affidamento della figlia minore nel corso della separazione personale tra coniugi, l'esistenza di una forte conflittualità tra i genitori giustifica, nell'esclusivo interesse della minore, l'affido condiviso della stessa ai genitori e il collocamento alternato settimanale a rotazione annuale dei periodi presso gli stessi. A questo tipo di collocamento consegue l'obbligo per ciascun genitore di provvedere al mantenimento diretto della figlia nei periodi di rispettiva permanenza a eccezione per le spese di natura straordinaria che gravano sui genitori in parti uguali” (Trib. Ravenna, 21/01/2014) Chiudo richiamando una pronuncia della Corte europea diritti dell'uomo (sez.II, 29/01/2013, n. 25704) che ebbe a ravvisare una violazione dell'art. 8 Cedu sul diritto al rispetto della vita familiare, allorché uno Stato contraente non si impegni a mettere in atto tutte le misure necessarie a mantenere il legame familiare tra padre e figlio minore, attraverso un concreto ed effettivo esercizio del diritto di visita nel contesto di una separazione legale tra i genitori. La vicenda concerneva il caso, piuttosto frequente nella pratica del diritto di famiglia, di difficoltà nell'esercizio del diritto di visita da parte di un padre al figlio minore affidato alla madre. Nel caso di specie la storia si era dipanata attraverso anni di tensione nei rapporti genitoriali e di ripetuti ricorsi e decisioni giudiziarie, con il riconoscimento di un diritto di visita al padre nei confronti della figlia minorenne, che, seppur affermato in via astratta, restava nel concreto impraticabile per i ripetuti comportamenti ostativi della madre affidataria. Di fronte al progressivo deteriorarsi dei rapporti con la propria figlia, ancora bambina, il padre decideva di proporre ricorso alla Corte europea, appunto invocando la violazione dell'art. 8 CEDU. La Corte, nel riconoscere nel caso di specie la violazione in capo allo Stato italiano, rammenta, sulla scia dei propri precedenti, che, se l'articolo 8 ha essenzialmente per oggetto la tutela dell'individuo dalle ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici, esso non si limita ad ordinare allo Stato di astenersi da tali ingerenze: a tale obbligo negativo possono aggiungersi obblighi positivi attinenti ad un effettivo rispetto della vita privata o familiare. Tali obblighi possono implicare l'adozione di misure finalizzate al rispetto della vita familiare, incluse le relazioni reciproche fra individui, e la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie ovvero di misure specifiche appropriate (si veda, ad esempio, Corte EDU, 23 giugno, 2005, Zawadka c. Polonia, §53). Tali strumenti giuridici devono permettere allo Stato di adottare misure atte a riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti fra i genitori (come già previsto in altri casi esaminati dall’Organo giudicante in precedenza). Nella sentenza si precisa altresì che gli obblighi positivi non implicano solo che si vigili affinché il minore possa raggiungere il genitore o mantenere un contatto con lui, bensì che vengano attuate anche tutte le misure propedeutiche che consentono di pervenire a tale risultato. Per essere adeguate, tali misure devono essere, inoltre, attuate rapidamente, in quanto il decorso del tempo, così come era avvenuto nella fattispecie oggetto della pronuncia in esame, può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il minore ed il genitore non convivente. La Corte riconosce, quindi, l'esistenza di un danno non patrimoniale e condanna lo Stato italiano ad un'equa riparazione, ai sensi dell'art. 41 CEDU, consistente in diecimila Euro di risarcimento per le spese giudiziarie sostenute, e quindicimila Euro per l'equa soddisfazione