Quanto lavoro per un sorriso “newtech” Le strategie contro il mal di

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Quanto lavoro per un sorriso “newtech” Le strategie contro il mal di
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Oncologia: nuove metodiche mininvasive
Il professor
Lorenzo
Bonomo,
direttore del
dipartimento
di bioimmagini
e scienze
radiologiche
del Policlinico
universitario
“Agostino
Gemelli” di
Roma.
Sotto, una
fase dell’intervento.
Il calore per sconfiggere
il tumore
Le procedure di termoablazione riducono
non solo dolore e stress per il paziente ma anche
i costi di trattamento e di degenza
N
egli ultimi anni, le procedure di termoablazione nel trattamento di pazienti oncologici si
sono sempre più diffuse ed affermate, grazie agli
enormi avanzamenti tecnologici. Ciò consente di
intervenire efficacemente su un crescente numero
di pazienti con tumore al fegato, polmone, rene,
pancreas ed osso. Sempre di più questo tipo di pazienti vengono sottratti a chirurgie particolarmente
invasive e trattati per via percutanea con una
degenza molto limitata. Ce ne parlano il professor
Lorenzo Bonomo, direttore del dipartimento di bioimmagini e scienze radiologiche, e il dottor Marco
Marchetti, direttore dell’unità di valutazione delle
tecnologie, del Policlinico universitario “Agostino
Gemelli” di Roma.
“Presso il nostro dipartimento vengono eseguite
routinariamente procedure di termoablazione mirate al trattamento di tumori primitivi o metastatici
del fegato, polmone e rene” dice il Prof. Bonomo,
“Le procedure di termoablazione consistono
nell’inserimento di un ago direttamente all’interno
del tumore, in maniera percutanea ed in anestesia
locale, sotto guida ecografica o utilizzando apparecchiature TC. L’ago è collegato ad un generatore che erogherà onde a radiofrequenza soltanto
nel tumore, provocandone la necrosi”.
L’esperienza del Policlinico Gemelli
“Nell’ultimo anno – prosegue Bonomo - nel nostro
centro sono stati eseguiti più di 50 trattamenti di
termoablazione per pazienti oncologici, con ottimi
risultati in termini di risposta; va sottolineato che
tale numero è in crescente aumento rispetto agli
anni precedenti. Queste procedure permettono di
ottenere una necrosi tumorale - e quindi un trattamento completo della lesione - in maniera minimamente invasiva, con approccio percutaneo, ossia
senza richiedere alcuna esposizione chirurgica dei
distretti corporei su cui si opera. Vengono eseguite
in anestesia locale associata ad una sedazione
profonda, con un tempo medio di esecuzione di
circa 1 ora, senza richiedere anestesia generale.
Tali aspetti si associano ad un minor stress per il
paziente: minor dolore, minori effetti collaterali e
quindi meno complicanze, brevi tempi di ricovero
ospedaliero e una più rapida ripresa delle normali
attività quotidiane rispetto alla terapia chirurgica
convenzionale”. Si tratta quindi di metodiche destinate a sostituire le terapie oncologiche tradizionali,
oppure ad affiancarle, integrandole? “Le procedure di termoablazione, così come tutte le procedure
di Radiologia Interventistica, si affiancano alle
altre terapie mediche e chirurgiche disponibili in
ambito oncologico. Ciò che è fondamentale - ai
fini del risultato - è che la selezione dei pazienti
che possono beneficiare di tali procedure venga
effettuata in maniera multidisciplinare e condivisa
con tutti gli specialisti coinvolti. Nel nostro centro
vengono effettuati meeting multidisciplinari settimanali durante i quali tutti i pazienti afferenti alle
diverse specialità vengono discussi collegialmente
in maniera da offrire il trattamento più indicato,
efficace e con minori rischi”. Quali organi sono
maggiormente trattati utilizzando queste terapie?
“Sicuramente i tumori epatici – prosegue il Prof.
Bonomo - soprattutto primitivi, ossia gli epatocarcinomi. Sono quelli che maggiormente e da più anni
si giovano di tale trattamento con migliori risultati,
in casi selezionati del tutto simili alla chirurgia. Va
sottolineato che l’epatologia e’ una delle aree di
eccellenza del Nostro Policlinico; da oltre 3 anni si
e’ creato un gruppo multidisciplinare, HepatoCatt,
per la gestione dell’Epatocarcinoma che racchiude tutti gli specialisti di tale ambito (epatologi,
radiologi diagnostici ed interventisti, chirurghi del
fegato e del trapianto, oncologi, anatomo-patologi, radioterapisti e medici nucleari). Nell’ambito di
una riunione che si svolge con cadenza settimanale, si valutano tutti i pazienti con Epatocarcinoma, e con un processo decisionale multitasking si
prendono decisioni diagnostico-terapeutiche di
prima linea e di follow-up. Ad oggi, con oltre 250
I vantaggi economici per l’ospedale e per
la Sanità
“Le procedure di termoablazione rientrano in
quella categoria di nuove “tecnologie” che
mirano a ridurre l’invasività delle procedure
chirurgiche, consentendo una “ripresa” del
paziente in tempi estremamente più rapidi”
dice il Dottor Marchetti, “Questo si traduce in
termini economici in un duplice vantaggio, da
un lato la potenziale riduzione dei costi legati
alla ospedalizzazione e dall’altra un ritorno
precoce alla normale vita quotidiana da parte
del paziente. Nel caso specifico della termoablazione, abbiamo constatato una significativa
riduzione delle risorse utilizzate per il trattamento
dei pazienti con patologie tumorali epatiche e
polmonari.
L’esecuzione di procedure mininvasive di
termoablazione è infatti associata ad una significativa contrazione delle giornate di degenza
e dei tempi di intervento, se confrontate con
i ben più invasivi interventi chirurgici tradizionali. Volendo essere più precisi, sia in ambito
epatico che polmonare, le giornate di degenza
si riducono del 60-70%, allorché si passa
dall’intervento tradizionale alla termoablazione.
Altrettanto sensibile è la contrazione dei tempi
di utilizzo della sala in cui vengono eseguite le
procedure e della sala angiografica.
Per quanto riguarda il Servizio Sanitario, c’è
da osservare che una corretta valutazione di
procedure come quella della termoablazione,
potrebbe portare come conseguenze non solo
ad un potenziale aumento dei benefici per la
popolazione, ma anche ad una riduzione del
costo delle cure per la società, attraverso una
riduzione dei rimborsi per i tradizionali interventi
chirurgici sul polmone e sul fegato. In aggiunta
alla riduzione dei rimborsi, un precoce ritorno
alla vita normale e potenzialmente anche
alla attività lavorativa, si potrebbe tradurre in
una riduzione delle giornate di lavoro perse sia
per lo stesso paziente che per i familiari che lo
assistono.
“Grazie
alle nuove
tecniche
di chirurgia
mininvasiva
oggi il paziente può alzarsi
già il giorno
successivo
all’intervento”
dice il dottor
Roberrto Bassani, chirurgo
vertebrale
Le strategie contro
il mal di schiena
I moderni approcci mini-invasivi forniscono
al chirurgo strumenti più efficaci per affrontare
le patologie della colonna
A
lmeno una volta l’anno, il
mal di schiena affligge un
italiano su due, dopo i 45 anni
di età. Le manifestazioni più
frequenti di questo fastidioso
disturbo sono le lombalgie e le
lombosciatalgie provocate da
stenosi degenerativa o da ernia del disco. La compressione
del nervo sciatico comporta
dolori anche alle gambe e ai
piedi. Spiega il dottor Roberto Bassani, responsabile della
Divisione di chirurgia vertebrale II dell’Istituto ortopedico
Galeazzi di Milano, centro di
riferimento della Società italiana di chirurgia vertebrale ([email protected],
+39335245289): “ La nostra
colonna vertebrale invecchia,
esattamente come gli altri organi e tessuti del nostro corpo.
Da questo processo naturale
deriva una progressiva disidratazione e usura dei dischi intervertebrali e delle articolazioni a
essa connesse. In seguito ai fenomeni degenerativi (artrosi),
spesso è la stabilità stessa delle vertebre a venire compromessa: si crea una condizione
di mobilità anomala, causa
di infiammazione cronica e di
dolore”. Cosa si può fare per
contrastare questo processo?
“La prima mossa è da fare è
di adottare uno stile di vita
adeguato. Sovrappeso e sedentarietà sono tra i maggiori
nemici della funzionalità della colonna, perciò si consiglia
vivamente un’alimentazione
equilibrata,
accompagnata dal costante controllo del
proprio peso. Viene inoltre
raccomandata una moderata, ma regolare attività fisica».
Continua il Dottor Bassani: “Per
quanto riguarda la terapia,
quando il mal di schiena si presenta in forma lieve o moderata può essere controllato con
una fisioterapia personalizzata
e, nel caso sia necessario, con
l’assunzione di farmaci miorilassanti e antinfiammatori. Le cose
cambiano invece, quando i
sintomi persistono nonostante
tutte le terapie conservative. In
questi casi, se c’è il rischio che
si determini abbastanza rapidamente una sensibile diminuzione della qualità di vita, non
resta che la chirurgia. Mi preme tuttavia sottolineare che
l’atto chirurgico deve sempre
rappresentare l’ultima risorsa a
cui ricorrere, sulla base di una
specifica indicazione per ciascun paziente”. Una volta stabilito che l’opzione chirurgica
è veramente necessaria, quali
sono le verifiche cliniche cui
viene sottoposto il paziente?
“Prima dell’intervento è fondamentale condurre una diagnosi accurata e completa della
causa meccanica del dolore,
basata su esami integrati (radiografie standard e dinamiche e risonanza magnetica),
ma, soprattutto, su un’attenta
valutazione clinica del paziente”. Quale ruolo giocano oggi
le sempre più diffuse metodiche mini-invasive nell’ambito
della chirurgia vertebrale? “Le
opzioni di cui oggi può avvalersi il chirurgo vertebrale sono
varie e tutte ugualmente valide: accanto agli interventi di
chirurgia tradizionale, si stanno sempre più diffondendo le
tecniche mini-invasive. Molti
problemi alla schiena e alla
colonna cervicale possono
oggi essere affrontati in modo
efficace e risolutivo grazie a
queste metodiche, con un impatto chirurgico molto meno
traumatico”, osserva il dottor
Bassani. Una delle metodiche
più innovative per la cura di
alcuni tipi di instabilità della
colonna, la cosiddetta “stabilizzazione dinamica” è oggi realizzabile grazie all’approccio
mininvasivo. “Tale operazione
consiste nell’inserimento di dispositivi elastici in materiale sintetico, attraverso incisioni posteriori, in uno o più punti della
colonna vertebrale” spiega il
chirurgo. “In altri casi, invece,
il disco “malato” viene sostituito con uno artificiale che ne
riproduce la funzione, senza
però bloccare la mobilità vertebrale”. Quali sono i vantaggi
dell’applicazione delle tecniche mini-invasive nella fase
post-intervento? “Innanzitutto,
la rapidità della ripresa. Il giorno successivo all’operazione, il
paziente può alzarsi e nel giro
di circa due settimane può riprendere le normali attività”.
Quanto lavoro
per un sorriso
“newtech”
L’
nuovi casi valutati per anno, quella del Gemelli
e’ la piu’ grande realtà laziale, la maggiore del
centro-sud Italia e una delle prime 3 del nostro
paese”.
Chirurgia vertebrale: rapida evoluzione
delle metodiche
Odontoiatria: come è evoluta
la professione sotto
la spinta della tecnologia
Materiali
avveniristici
e tecniche
ipermoderne
consentono
di offrire al
paziente un
trattamento
su misura, per
soddisfare
esigenze
estetiche e
funzionali.
Nella foto: il
dottor Emilio
Francini Naldi
estetica del corpo e del viso
è al giorno d’oggi decisamente più importante di un
tempo: non si vedono più sulla
stampa o in televisione corpi
non slanciati, ma solo bei fisici,
volti lisci, labbra ‘disegnate’. E
il sorriso è diventato importante,
come strumento di trasmissione
e comunicazione. Ne parliamo
col dottor Emilio Francini Naldi ,
odontoiatra in Firenze, Milano,
Udine (www.efran.it – per maggiori informazioni 055 890610).
“Ricordo bene che all’inizio
della mia carriera le richieste
terapeutiche dei miei pazienti
riguardavano la funzionalità: il
dente cariato da curare, quello
da estrarre, quello da sostituire
perché mancante ma solo
perché la masticazione, senza
quel dente, risultava difficoltosa.
Oggi si cerca invece una bocca
‘più bella’, bianca, regolare, da
esporre senza timori. Gli esempi
che le persone mi portano
come auspicabile risultato finale
sono quasi sempre quelli di attrici
o attori famosi: anche il colore
dei denti stessi, anziché riferirsi a
quello esistente, deve essere più
bianco possibile. Per venire incontro a queste aspettative sia-
mo costretti ad eseguire spesso
terapie radicali, che consistono
nel modificare i denti esistenti
per forma, posizione ed aspetto
con protesi fisse, le cosiddette
‘capsule’. I nuovi materiali ci
aiutano molto in questo lavoro:
la ricerca in tal senso, stimolata
dalle richieste, ha lavorato allo
scopo di raggiungere un’estetica ottimale eliminando tutti quei
difetti che l’uso di metalli poteva
portare nel lavoro finale: quindi
non più oro o acciaio, ma materiali già bianchi, che diverranno
indistinguibili una volta inseriti in
bocca”.
Con i nuovi materiali
cambia tutto
“In alcuni casi i metalli vengono
addirittura aboliti, e si procede
alla ricostruzione protesica dei
denti con la sola ceramica, che
presenta una trasparenza del
tutto naturale. I metodi di fabbricazione, poi, sono cambiati:
originariamente si procedeva
alla fusione di una base metallica di sostegno sulla quale
veniva poi modellato il dente
con ceramiche o resine del colore appropriato. La fusione era
spesso causa di movimenti non
Ortopedia: chirurgia sempre più “leggera”
Tecnica mini-invasiva
per la protesi d’anca
V
isibili progressi sono stati ottenuti negli interventi di sostituzione di anca negli ultimi sessanta
anni. Basta pensare alle importanti
ricerche scientifiche nel campo
dei materiali che vanno dal titanio,
alla ceramica, ai biomateriali completamente compatibili con il corpo umano. Queste ricerche infatti
hanno contribuito notevolmente ad
aumentare la durata delle protesi
impiantate e a conferire maggiore equilibrio alla deambulazione.
“Ora però la nuova frontiera è una
tecnica mini-invasiva sempre più
accurata, che punta a ridurre al minimo l’impatto chirurgico sulla parte
anatomica interessata, studiata nei
particolari” spiega il dottor Ernesto
Pintore, responsabile dell’unità operativa di ortopedia e traumatologia
alla clinica Malzoni di Agropoli (Sa),
(tel. 089-771010, 0974-853120; [email protected] ), “Il metodo più
avanzato consiste nel praticare
un’incisione di non oltre 5-7 centimetri per poi introdurre la protesi,
seguendo la via naturale dei piani
muscolari, senza ledere i tessuti. I
vantaggi sono notevoli: dal sanguinamento ridotto al minimo (si riduce
enormemente la necessità di praticare trasfusioni), fino al recupero
immediato della deambulazione. Il
paziente - continua il dottor Pintore
- è gia in piedi il giorno dopo l’intervento e il ricovero dura un massimo
di cinque-sei giorni, con un notevole risparmio dei costi anche per
il sistema sanitario”. Quand’è che il
paziente recupera la piena autonomia? “In genere dopo 20-25 giorni.
Per autonomia si intende guidare, camminare e, dopo pochissimi
giorni, riprendere a fare con calma
sport leggeri come nuoto, bicicletta, palestra e golf, molto rilassanti
anche per lo spirito. Da evitare assolutamente – sottolinea Pintore,
che è anche appassionato di arti
Con l’impianto protesico poco
invasivo il paziente
è gia in piedi il giorno dopo
l’intervento, sottolinea il dottor
Ernesto Pintore
marziali e cintura nera sesto dan di
judo – la corsa e il salto, il tennis e,
naturalmente, sia il judo che il karate, tutte discipline dalla cui pratica possono originare microtraumi
continui. La metodica mini-invasiva
è controindicata nel caso di malformazioni congenite dell’anca, come
ad esempio la displasia congenita
e nei pazienti obesi, mentre è indicata nei casi di coxatrosi e di artrosi in genere”. Qual è oggi la durata
media di una protesi d’anca? “Dai
dieci ai vent’anni – conclude lo specialista – dipende molto dall’età del
paziente. Se è giovane, si muove di
più e il logoramento aumenta. La
stessa cosa accade se il paziente
svolge attività usuranti come quelle
agricole o manuali pesanti, in posizione prevalentemente eretta e,
come detto, se si tratta di persone
in sovrappeso.
controllabili del metallo, che provocano imprecisioni. I nuovi materiali vengono invece modellati
effettuando una scansione del
dente attraverso un computer
i cui dati sono trasmessi ad una
macchina apposita che realizza,
fresando barrette di materiale
già predisposto, la struttura finale
in pochi minuti con assoluta
precisione. In conclusione, non
saranno più visibili tracce di
materiali scuri sul dente, né gli
elementi incapsulati saranno
distinguibili per mancanza di
trasparenza e naturalezza”.
Il fattore tempo
“Un’altra esigenza odierna
è quella di effettuare i lavori
in tempi compatibili con gli
impegni e le scadenze di una
vita attiva: cambiare in meglio
l’aspetto di una bocca poteva
richiedere un tempo mesi e mesi
di lavoro, con un gran numero
di sedute. Oggi si può risolvere
tutto in poche ore. Preparato
infatti il piano di lavoro, deciso
insieme al paziente quante e
quali sono le esigenze, si preparano protesi fisse provvisorie,
del tutto simili alle definitive ma
immediatamente posizionabili
e all’occorrenza modificabili.
In una sola seduta, che avrà
minore o maggiore durata a
seconda del lavoro da eseguire
ma di solito non superiore alle
tre-quattro ore, vengono eseguite le terapie necessarie come
cura delle carie, devitalizzazioni,
estrazioni, e si posizionano poi i
provvisori che hanno l’aspetto
del lavoro definitivo. Il paziente
entra in studio con la bocca da
curare e ne esce con un nuovo
sorriso. Sul provvisorio, in base
all’aspetto ed alle necessità
funzionali, verranno effettuate
tutte le modifiche necessarie
ad ottenere una funzionalità
ottimale nella masticazione e
nella fonazione, ed un aspetto
che soddisfi completamente il
paziente. Una volta raggiunto
tutto questo si procederà alla
realizzazione del definitivo, in
due o tre brevi sedute”.
Quando troppi denti mancano all’appello
“La mancanza di denti, anche
se cospicua, non è poi più un
problema perché si possono
usare gli impianti, viti in titanio
che si inseriscono nell’osso della
mandibola o della mascella e
che sostituiscono i denti mancanti. Questa possibilità chirurgica ha messo definitivamente da
parte le protesi mobili, le dentiere per intenderci, così diffuse un
tempo ed oggi davvero rare, e
contribuisce in modo importante
alla sicurezza nel tempo ed alla
stabilità dei lavori protesici fissi.
Coi ‘ponti’ tradizionali, infatti, ci
si appoggiava ai denti residui
per sostenere e sostituire anche
quelli mancanti: era un buon
metodo, ma ci si trovava spesso
in situazioni nelle quali due denti
dovevano sopportare il peso
della masticazione di quattro
cinque elementi, con uno sforzo
innaturale che poteva provocare complicanze o l’insuccesso dell’intero lavoro. Con
gli impianti, invece, abbiamo
la possibilità di ricostituire il
numero originale degli elementi
di sostegno, con una funzionalità ottimale ed una sicurezza
molto maggiore. L’inserimento
degli impianti non è doloroso: è
veloce e può essere effettuato
nel corso della prima seduta
terapeutica assieme alla protesi
provvisoria. Il paziente sarà in
grado di riprendere l’attività
lavorativa o le comuni relazioni
il giorno stesso o al massimo il
successivo”.