LA FRANCIA ED IL DIVIETO DEL PORTO DEL BURQA NEI LUOGHI

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LA FRANCIA ED IL DIVIETO DEL PORTO DEL BURQA NEI LUOGHI
DANIELE FERRARI
LA FRANCIA ED IL DIVIETO DEL PORTO DEL BURQA NEI LUOGHI PUBBLICI:
SCENARI RICOSTRUTTIVI.
1)L’ISTITUZIONE DI UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SULLA PRATICA DI
PORTARE IL BURQA.
La difficoltà dello Stato francese ad interagire con il mondo islamico (oggi seconda religione per
numero di fedeli in Francia) si manifesta, inizialmente, con la legge 228 del 2004, che introduce,
nelle scuole, nei collegi e nei licei pubblici, il divieto di portare segni o abbigliamenti, con i quali
gli alunni manifestino visibilmente un’appartenenza religiosa1. A questa legge, è poi seguito un
dibattito2 sempre più animato in seno allo Stato- comunità francese circa la compatibilità con i
valori e principi fondamentali del patto sociale repubblicano, di determinate pratiche, prima fra tutte
quella di indossare il velo integrale in pubblico. In particolare, il burqa viene percepito nel suo
portato materiale, come l’emblema della diversità identitaria, tra cittadini francesi e comunità
islamica, le cui pratiche religiose sembrano, appunto, porsi in contrasto con quei principi, quali
l’uguaglianza, la dignità della donna, la laicità (art. 1 Cost.), che dovrebbero appartenere a tutti gli
individui in quanto cittadini, a prescindere dalle diverse convinzioni culturali o confessionali.
L’esito di tale dibattito lo si può leggere, il 9 giugno 2009, nella presentazione, all’Assemblea
Nazionale, di una proposta di risoluzione ampiamente condivisa, tendente a creare una commissione
d’inchiesta sulla pratica di portare il burqa o il niqab3 sul territorio nazionale. Il testo della
risoluzione ripercorre la storia del principio di laicità nell’ordinamento francese, dalla Dichiarazione
del 1789 fino alla Costituzione del 1958, individuando in tale principio la piattaforma di valori
condivisi, che accomunano tutti i membri dello Stato- comunità, a prescindere dalle loro coloriture
confessionali, nella dimensione della cittadinanza 4. Il 23 giugno 2009, attraverso la Conferenza dei
Presidenti, si è proceduto, quindi, alla nomina di una Missione d’informazione, avente come
obiettivo quello di individuare lo stato dei luoghi in Francia, in cui v’è la pratica di portare il velo
integrale, con particolare attenzione alla comprensione delle origini di questo fenomeno, della sua
ampiezza e della sua evoluzione. Inoltre, la missione avrebbe dovuto rivolgere la sua attenzione
anche alle conseguenze concrete di questa pratica nella vita sociale, così come alla sua compatibilità
1 In particolare, questa legge è stata adottata alla luce del rapporto licenziato dalla Commissione Stasi, istituita per
volontà del Presidente della Repubblica francese, con la finalità di riflettere sull’applicazione del principio di laicità
nella Repubblica. Con la legge 228 del 2004 la regola generale, nelle scuole pubbliche, diventa il divieto di portare
segni religiosi vistosi, mentre i simboli religiosi discreti possono essere indossati dagli alunni, in quanto non espongono
gli altri utenti ad un rischio di proselitismo. In questo senso, quindi, i regolamenti interni degli istituti scolastici
potranno introdurre un divieto generale, non operante però per i segni religiosi discreti.
2 In particolare si ricordano le dichiarazioni del Presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, del giugno 2009
a Versailles, il quale sottolineò come :” Il burqa è il segno dell’asservimento della donna. Non è un problema religioso,
ma di libertà”.
3 Per hijab si intende il foulard che le donne musulmane appoggiano sul capo e sulle spalle, ma che non copre il resto
del corpo e comunque non il volto, come accade invece nel caso del burqa.
4 Assemblea nazionale, XIII Legislatura, doc. n. 1725, registrato il 9 giugno 2009, Proposition de résolution, tendant à
la création d’une commission d’enquête sur la pratique du port de la burqa ou du niqab sur la territoire National.
con i principi della Repubblica francese e, in particolare, con la garanzia della libertà e della dignità
delle donne. Con tali propositi, la Commissione ha dato inizio ad un ciclo di audizioni, concluse il
15 dicembre 2009, con la presentazione di proposte conclusive all’Assemblea 5. I lavori della
Commissione sono spesso tornati, al di là della necessità di inquadrare la pratica oggetto di
inchiesta in un’ottica giuridico -sociologica, sulla possibilità di formulare una legge di divieto di
indossare il velo integrale nei luoghi pubblici. Durante le audizioni, in cui sono stati ascoltati anche
professori di diritto costituzionale, rappresentanti delle associazioni dei diritti umani, esponenti del
mondo islamico.
Il 26 gennaio 2010, la Missione parlamentare d’informazione, nella persona del suo Presidente M.
Andre Gerin, ha rassegnato le proprie conclusioni alla Conferenza dei presidenti dell’Assemblea
nazionale, evidenziando la procedura seguita dalla Missione nelle audizioni, al fine di valorizzare
l’impostazione di partecipazione diretta dei diversi rappresentanti dello Stato comunità ai lavori. La
commissione ha condotto un dibattito pubblico, al cui termine è stato licenziato un esteso rapporto 6,
in cui si conclude affermandosi la contrarietà del burqa ai valori della Repubblica francese, in
quanto forma di riduzione in schiavitù per le donne 7. Questa conclusione è, però, accompagnata
anche dalla consapevolezza della scarsa efficacia e della dubbia legittimità costituzionale di un
divieto generale, corazzato dallo strumento penale e immesso nell’ordinamento attraverso una
legge, apparendo sia giuridicamente sia politicamente più opportuna una risoluzione che,
promanando solo dall’organo parlamentare darà ragione di quel complesso lavoro di partecipazione
popolare che ha caratterizzato i lavori della missione, rinunciando peraltro ad un’ipotesi di divieto
nell’ambizioso terreno del luogo pubblico, e questo per rientrare nel più rassicurante paradigma del
servizio pubblico8.
5 Operativamente i lavori della missione si sono tradotti in un articolato ciclo di audizioni, nelle quali sono stati sentiti
operatori del diritto, sociologi, esponenti del governo, magistrati e rappresentanti del mondo islamico, al fine di
indagare profondamente la pratica in oggetto, e capire la possibilità o meno di vietarla attraverso una legge. In
riferimento a tale profilo W. TAMZALI e C. BER, Burqa?, Montpellier, 2010,13 e ss.
6 Assemblea nazionale, XIII Legislatura, Rapport d’information, documento n.2262, del 26 gennaio 2010.
(http://www.assemblee-nationale.fr/13/rap-info/i2262.asp).
7 Tuttavia, a fronte di un giudizio così netto, si chiarisce anche l’esigenza di una sfumature di pedagogia della
comprensione, di tolleranza e di sensibilità, al fine di evitare la trappola dello stigma, cercando di comprendere il
percorso di queste donne.
8 A tal proposito si segnala quanto detto dal Presidente della Repubblica francese il 22 giugno 2009, sostenendo come il
burqa non fosse il benvenuto sul territorio francese, in quanto rinchiude le donne in una sorta di recinto che non le fa
dialogare con il mondo esterno. Tali valutazioni, unitamente a profili emersi durante i lavori della commissione
parlamentare di studio sulla pratica di indossare il burqa, vengono rafforzate da richiami espressi all’art. 34, 1c. Cost.,
alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (art IV e X), al preambolo della costituzione francese del 1946,
all’art.1 della Cost., alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, alla Convenzione europea sui diritti dell’uomo,
al Patto internazionale sui diritti civili e politici, fino ad arrivare alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Innegabile è l’emergere da queste carte di un urlo di libertà, di uguaglianza e di tutela dei diritti fondamentali degli
individui anche se a parere dei proponenti il burqa in sé nega questa comunità di diritti, facendo calare il sipario sul
volto delle donne, che non hanno più neppure la possibilità di manifestare il proprio viso. Per questo l’assemblea
nazionale dovrebbe in linea con le novità apprestate dall’ultima riforma costituzionale, approvare una risoluzione forte,
capace di riaffermare i valori posti a fondamento dello stato-comunità francese, attraverso la tutela delle donne vittime
di violenza e la promozione di una libertà di coscienza calibrata sulla laicità. Invero quanto appena descritto appare un
poco contraddittorio, a partire dall’ossimoro contenuto al punto 7 della proposta di risoluzione “Ritiene che la libertà di
2) L'INIZIATIVA DEL GOVERNO E IL PARERE DEL CONSEIL D'ETAT: UNA SINTESI DIFFICILE.
Al termine dell'articolato ciclo di audizioni, tenute dalla Commissione parlamentare, appositamente
costituita per valutare l'opportunità di porre un divieto generale di indossare il burqa, nonché i
possibili fondamenti giuridici per formulare tale divieto, il 19 maggio 2010 il Primo ministro
francese, Francois Fillon, unitamente al Ministro della giustizia, avrebbe presentato all'Assemblea
nazionale un disegno di legge titolato “interdisant la dissimulation du visage dans l’espace
public”9. Nei motivi posti a fondamento dell'iniziativa legislativa vengono rievocati i principi
fondanti dell'ordinamento francese, quali la libertà, l'uguaglianza e la fraternità, la cui risultante
necessaria è la parità tra uomini e donne. Tali valori, secondo i proponenti, sarebbero messi in
discussione dalla pratica di indossare il velo integrale, che esprime un rifiuto totale dei principi
repubblicani e una volontà di non integrazione, in quanto il burqa altro non sarebbe se non una
continua violenza sul corpo delle donne, che offende il sistema sociale. Questa ricostruzione della
pratica in oggetto, descritta in termini emergenziali, porta alla necessaria individuazione di
strumenti capaci di contenere il fenomeno, e da questo punto di vista il Governo si trova a dover dar
risposta a quegli interrogativi che la stessa commissione aveva licenziato al termine dei lavori.
Da scartare è l'ipotesi di introdurre dei divieti parziali, riguardanti luoghi qualificati o contesti
ambientali specifici, in quanto “Une telle démarche, outre qu’elle se heurterait à d’extrêmes
difficultés d’application ne constituerait qu’une réponse insuffisante, indirecte et détournée au vrai
problème”, e in questo senso indossare il burqa nega complessivamente il modo di vivere e agire
dello stato- comunità francese, non solo nell'ambito di specifiche situazioni. Soccorre, a questo
punto, un concetto di ordine pubblico, che a parere dell'esecutivo, non si limita a preservare la pace
e la sicurezza, ma anzi si pone pure a presidio del contratto sociale, là dove questo è messo in
pericolo da comportamenti basati su valori di segno opposto. Il Conseil d'Etat, accreditando
l’interpretazione data dal governo, avrebbe dato, in sede consultiva, ed in particolare nel rapporto
coscienza può essere esercitato solo in conformità con il principio di laicità”. Infatti dal testo emerge una percezione
della laicità piuttosto militante, basata sulla distinzione tra religioni buone e compatibili con la repubblica, e religioni
cattive ed in sé pericolose per i valori della convivenza sociale. Sul punto c’è chi ravvisa nell’uso del burqà
l’espressione di un’identità culturale incompatibile con l’ordinamento francese e quindi anche con il principio di laicità,
in particolare PHILIPPE CHRESTIA, La burqa est incompatible avec la nationalité française, AJDA 2008 p. 2013.
Insomma non si vuole esprimere apertamente un divieto, ma il senso che se ne può trarre va in questa direzione. Inoltre
lo strumento della risoluzione, così come modificato dalla riforma costituzionale, perde l’occasione per essere un
momento di affermazione della centralità e dell’indipendenza del parlamento, subendo una sorta di
presidentalizzazione, e riportando in sostanza sulla scena politica ed istituzionale il pensiero del presidente della
Repubblica, circa la pratica del burqa. Conferma questa che la nuova riforma costituzionale, nelle parti già attuative, più
che rimodulare la forma di governo, ridimensionando il ruolo del presidente, in realtà forse ne ha solo delimitato meglio
i poteri e le modalità di esercizio, lasciandolo per altro, aldilà dell’investitura popolare, assolutamente irresponsabile,
anche per gli atti che indirettamente, e questo grazie al rapporto diretto che ora può avere con il parlamento, riesce a
sollecitare.
9 Il testo completo del disegno di legge è disponibile su http://www.assemblee-nationale.fr/13/projets/pl2520.asp
adottato dall'assemblea plenaria, in data 25 marzo 2010, sui possibili fondamenti giuridici ad un
divieto totale di indossare il burqa10, un'interpretazione teorica e non materiale del concetto di
ordine pubblico11. In realtà, il supremo giudice amministrativo, dopo un'attenta analisi dei divieti
parziali già esistenti nell'ordinamento francese e negli altri paesi europei, si limita ad evidenziare
come un'interdizione generale violerebbe la libertà individuale, la libertà personale, il diritto alla
privacy, la libertà di espressione e la libertà di manifestazione del pensiero, soprattutto religioso,
nonché il divieto di qualsiasi discriminazione. Proprio in tale prospettiva, l'ordine pubblico deve
apprezzarsi come il divieto di tutte quelle azioni dannose per la società, restando la libertà, come
recita l'art. 4 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e del cittadino, il potere del singolo
di far tutto ciò che vuole, senza ledere gli altri. Seguendo tali coordinate, il divieto potrebbe essere
formulato su due
presupposti alternativi, vale a dire o riguardare qualsiasi abbigliamento o
accessorio che nasconde il viso, inibendo la possibilità di identificare la persona, oppure riferirsi a
circostanze di tempo e di luogo specifiche, tali da giustificare una immediata identificazione delle
persone. Orbene, non appaiono conferenti con le ragionevoli valutazioni svolte dal Conseil d'Etat,
neppure le diverse pronunce del Conseil Constitutionell, citate dal governo come precedente idoneo
a fondare il divieto in esame, che hanno riguardato la pratica della poligamia, soprattutto
nell'ambito della saisine sulla “Loi relative à la maîtrise de l'immigration et aux conditions
d'entrée, d'accueil et de séjour des étrangers en France” e le successive leggi intervenute in
materia di immigrazione ed integrazione12. Infatti, complessivamente, le considerazioni svolte dai
Saggi non prendono in considerazione la poligamia come una pratica religiosa, ma semplicemente
come una condotta che in sé si pone in contrasto non solo con i principi della Repubblica, ma anche
con l'ordine pubblico, con la normativa francese in materia di tutela dell'unità familiare, oltre ad
integrare un reato penale. La poligamia veniva già originariamente sanzionata dall’ordinamento
francese, prima che essa si connotasse pure come un comportamento determinato da ragioni
10Si rinvia per una lettura completa del testo del rapporto a http://www.conseil-etat.fr/cde/node.php?
search=burqa&naturalsearchsubmit.
11 In particolare il 29 gennaio 2010 il Primo ministro aveva chiesto al Conseil di pronunciarsi sulla fattibilità giuridica
di un divieto generale di indossare il velo integrale alla luce dei principi fondanti dell'ordinamento francese, con una
particolare considerazione dell'esigenza di non offendere i consociati di fede musulmana. Il plenum preliminarmente si
era tra l'altro interrogato se nel dar risposta agli interrogativi formulati dal governo, si dovesse prendere in esame
solamente il fenomeno del burqà, oppure al contrario qualsiasi pratica di occultamento del volto. Il Conseil d'Etat ha
notato anzitutto che la legislazione attuale soddisfa già questa preoccupazione, sia per mezzo di clausole il cui effetto è
quello di vietare l'uso del velo integrale in circostanze qualificate, sia con restrizioni, aventi carattere occasionale legate
a motivi di ordine pubblico e sicurezza, o tramite sanzioni penali per coloro che impongono con la forza queste pratiche.
Alla luce di queste osservazioni, il Conseil d'Etat si è interrogato circa la fattibilità giuridica e pratica di vietare l'uso del
velo integrale nei luoghi pubblici, alla luce dei diritti e delle libertà garantite dalla Costituzione, nonché guardando alla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione ed in
generale al diritto dell'Unione europea. Alla luce di tale ricognizione appare non auspicabile il divieto di indossare il
velo integrale da solo (come un abito che rappresenta i valori incompatibili con quelle della Repubblica), nel senso che
tale divieto sarebbe giuridicamente debole e di difficile applicazione nella pratica.
12 Le decisioni in esame sono n. 93- 325 DC- n. 97- 389 DC- n. 2003- 484 DC- n. 2006- 539. Testo delle sentenze
disponibile
su
http://www.conseil-constitutionnel.fr/conseil-constitutionnel/root/bank/download/2006-539DCccc_539dc.pdf
culturali o confessionali. Quindi attualmente, anche alla luce dell’emersione di un sistema sociale
plurale, espressione di identità diverse, qualsiasi poligamo, a prescindere dalla sua appartenenza
confessionale o nazionale, viene sanzionato, in quanto tale condotta è sempre espressiva del
disvalore penale, a prescindere dalla modalità della condotta e dalle caratteristiche del soggetto
attivo che la pone in essere. Diversamente era formulato, prima della legge n. 1192 dell’11 ottobre
2010, il divieto di travisamento, non in modo continuativo, ma solo in situazioni qualificate, ove si
concretassero particolari esigenze di sicurezza ed ordine pubblico, quali manifestazioni di piazza,
accesso ad istituti di credito, celebrazioni matrimoniali, conclusione di contratti tra privati o
nell’ambito scolastico, ove, come previsto dalla legge 228 del 2004, gli alunni non possono
indossare simboli religiosi. La presenza nell’ordinamento, di divieti di travisamento diversi e
parziali, si giustificava, quindi, alla luce da un lato della varietà dei comportamenti idonei a
travisare, dall’altro del fatto che il significato che essi assumono in concreto, e quindi la possibilità
di vietarli, cambia a seconda dello specifico contesto materiale, in cui vengono posti in essere.
Tuttavia, tale tecnica normativa casistica, basata sullo specifico apprezzamento delle diverse
situazioni, e degli interessi specifici da tutelare ha lasciato spazio, con l’approvazione della legge
1192 del 2010, ad un divieto di occultamento del volto di carattere generale in tutti i luoghi
pubblici. A tal proposito, bisogna anche sommessamente far notare come tra un soggetto che circola
per la strada con un casco integrale ed una donna con il burqa una differenza sostanziale ci sia, e per
questo, anche ponendo un divieto generale di occultamento del viso nello spazio pubblico, forse il
legislatore, nell’approvare il disegno di legge del governo, avrebbe dovuto operare delle distinzioni,
ritenendo il porto di indumenti che occultano il viso, per motivi religiosi o culturali, come elemento
sufficiente a scriminare il divieto, imposto in termini generali. La legge, però, si limita ad
individuare, quali condotte di travisamento non vietate,
quelle consentite dalla legge o dai
regolamenti, o giustificate da motivi di salute o professionali, o dalle attività sportive, dalle feste
artistiche o tradizionali. un obbligo di identificazione aprioristico e continuativo posto a carico di
tutti i consociati, tenuti a circolare a viso scoperto. La novità più importante recata nell’iniziativa
legislativa del governo si identifica, quindi, nell’introduzione di un’imposizione generale
d’identificazione, al di fuori di qualsiasi applicazione di sicurezza o ordine pubblico. Da questo
punto di vista, neppure la giurisprudenza del Consiglio costituzionale ha , mai, individuato un
obbligo per i cittadini a mostrare il loro volto in ogni momento, ad essere riconosciuti ovunque e in
tutte le circostanze, fuori dai casi in cui un ufficiale di polizia effettuasse un controllo d'identità13..
Peraltro, su tale volontà di controllare in modo ampio e generale la vita dei consociati, la Corte
europea dei diritti dell'uomo potrebbe non essere affatto favorevole, dato che il grado di sfida alla
13 Decisione del 19 gennaio 2006, n. 2005-532 DC; http://www.conseil-constitutionnel.fr/decision/2006/2005-532dc/decision-n-2005-532-dc-du-19-janvier-2006.979.html?version=dossier_complet.
vita privata appare troppo alto14. Anche se va, comunque, rimarcato che, pur essendo lo spazio
pubblico il luogo delle libertà costituzionalmente protette, esistono dei limiti, rappresentati, per
esempio, da alcuni principi costituzionali, come la dignità della persona umana e l’uguaglianza tra i
sessi; tali limiti devono essere comunque valutati in un più ampio arco, di diritti e libertà
costituzionalmente sanciti, tra i quali vi è anche, tra l’altro, la libertà di coscienza 15. Proprio da qui,
mi pare, consegua il diritto alla differenza per ogni consociato, non ragionevolmente emendabile
sulla base di un principio assoluto di uguaglianza e sicurezza, declinato in termini di divieto. Infatti
la libertà alla differenza, comporta necessariamente anche la differenza nei diritti e
conseguentemente nei limiti che caso per caso l’ordinamento può formulare16.
Leggendo la seconda motivazione, indicata dai proponenti, il burqa sembrerebbe negare la dignità
della persona, anche là dove sia la donna volontariamente ad aver scelto di indossarlo. Anche in
questo caso, infatti, coprire il viso integrerebbe una violazione della dignità delle altre persone che
attraversano lo spazio pubblico, in quanto impossibilitate ad intrattenere relazioni sociali con le
donne velate.
Qui si pone, a parere di chi scrive, una valutazione non sufficientemente motivata dai proponenti,
che sembrano non dar conto di una ricostruzione della dignità della persona costituzionalmente
orientata, dal momento che vero è che non tutte le condotte, perché volontarie, sono
necessariamente conferenti con la dignità della persona, ma per contro se in luogo di una religione
di stato in Francia si pone la libertà di coscienza, l'unico elemento sulla base del quale si potrebbe
giustificare una limitazione del libero esprimersi del singolo, è la tutela delle speculari libertà degli
altri consociati. Invero, sfugge, alla luce del catalogo dei diritti e delle libertà dei cittadini contenuto
nel preambolo costituzionale, quale sia la posizione giuridica soggettiva di soggetti terzi, che il
burqa lederebbe in modo tanto grave, da dover essere vietato. Pur tuttavia il governo conclude in
punto di motivazione, sostenendo la totale incompatibilità del velo integrale con le libertà
fondamentali dell'individuo, dando conto tra l'altro di come l'Assemblea Nazionale nella risoluzione
dell'11 maggio 2010 abbia espresso all'unanimità il medesimo orientamento sulla pratica del
burqa17.
14 Sul punto amplius D. FERRARI, La pratica di portare il burqa davanti al parlamento francese: atto primo (una
cronaca), agosto, 2010, in http://www.giurcost.org/studi/index.html.
15 Significativa in questo senso l’alinea 3 del Preambolo del 1946, che ha riaffermato il principio di uguaglianza nella
sua proiezione relazionale tra uomini e donne, chiarendo come l’eguaglianza porti con sè una necessaria uguaglianza
nei diritti da parte di entrambi i sessi.
16 Sulle sofferenze di legittimità che un interdizione generale di indossare il velo integrale incontrerebbe
nell’ordinamento francese, di interesse ROBERT HANICOTTE, Belphégor ou le fantôme du Palais-Royal .L'avis du
Conseil d'État sur le voile integra, in La Semaine Juridique Administrations et Collectivités territoriales, n° 16, 19 Avril
2010, 2142 ss.
26
17
I relatori della “Résolution sur le voile intégral” hanno in particolare messo in luce, durante la loro esposizione
nanti il plenum,il fatto che “ Liberté, égalité, fraternité. Nous sommes tous attachés à la devise républicaine et, au-delà,
aux valeurs communes qui fondent le vivre ensemble dans notre pays. Je pense en particulier à la laïcité, à la dignité de
la femme, et au respect de l’ordre public. Ces valeurs sont remises en cause par des pratiques radicales, dont les
femmes sont les premières victimes. Nous dénonçons ces pratiques sans faillir, à commencer par celle du port du voile
3) IL TESTO DELLA LEGGE N. 1192/2010: LA REPUBBLICA FA PROSELITI.
Nonostante i molteplici
profili di dubbia legittimità costituzionale fin qui esaminati, il Senato avrebbe approvato, in via
definitiva, la legge che introduce il divieto di occultare il volto nei luoghi pubblici, poi promulgata,
dopo la decisione di legittimità costituzionale resa dal Conseil constitutionnel in sede preventiva18,
dal Presidente della Repubblica l’11 ottobre 2010. La legge indica come condotte vietate, all’interno
dello spazio pubblico, tutti quei comportamenti che si traducono nel porto di tenute, che occultano il
viso (art. 1 della loi 1192 dell’11 ottobre 2010). L’interesse protetto dalla norma sembra, quindi,
tradursi, prima facie, in un’esigenza di garanzia della sicurezza nei luoghi pubblici, messa a rischio
dalla presenza di soggetti che occultano il proprio viso. Il luogo pubblico viene definito come
l’insieme delle vie e degli spazi aperti, e comunque relativo a tutti quei contesti in cui si svolgono
funzioni pubbliche (art. 2 della loi 1192 del 2010). Da questo punto di vista, si rientra nella
definizione classica di luogo pubblico, come contesto ambientale cui possono accedere,
indiscriminatamente, tutti i consociati. Le uniche ipotesi di condotte di travisamento permesse si
hanno nell’ambito di specifiche situazioni, quali manifestazioni sportive, feste tradizionali, oppure
in tutti quei casi in cui l’occultamento del volto è : “autorisée par des dispositions législatives ou
réglementaires, si elle est justifiée par des raisons de santé ou des motifs professione”. Tra le
ipotesi di condotte scriminate non rientrano in alcun modo gli abbigliamenti indossati per motivi
religiosi o culturali, anche se in questi casi la finalità perseguita dal soggetto non è rendersi
irriconoscibile, ma semplicemente realizzare la propria identità religiosa. Si potrebbe, quindi,
ipotizzare che, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione, il
porto del burqa difficilmente potrebbe essere ricompreso tra le condotte vietate, di cui all’art. 119.
Ove tale interpretazione del divieto non venisse accolta dalla giurisprudenza, le donne con il burqa
potranno essere sanzionate con una multa, a cui può concorrere o sostituirsi l’ulteriore sanzione
della “L'obligation d'accomplir le stage de citoyenneté mentionné au 8° de l'article 131-16 du code
pénal” (art. 3 della l. 1192 del 2010). Qui emerge, chiaramente, la volontà del legislatore di
stigmatizzare specifiche pratiche di occultamento, fondate su principi religiosi, giacché tale
sanzione ulteriore non avrebbe alcuna ratio se riferita, ad altri comportamenti che comunque
integrano il divieto (pensiamo ad un soggetto che indossa un casco integrale in luogo pubblico). Al
intégral”. Il testo completo della risoluzione è disponibile su http://www.assemblee-nationale.fr/13/cri/20092010/20100187.asp.
18 Dec., 7 ottobre 2010, 613 DC.
19Da questo punto di vista, poiché le leggi francesi vivono sotto lo stretto controllo dei giudici, questi ultimi, in
applicazione dell’art. 55 della Costituzione della Quinta Repubblica, potrebbero disapplicare una legge anti- burqa,
ritenendola contrastante con la superiore norma internazionale: quale, ad esempio, la Convenzione europea dei diritti
dell’uomo (ove questo non dovesse avvenire, la Corte europea dei diritti dell’uomo potrebbe anche essere chiamata a
pronunciarsi direttamente)
contrario, nel caso delle donne con il burqa sta ad indicare un certo attivismo della Repubblica,
nella promozione “coattiva” di valori che vengono percepiti come la base del sistema identitario di
tutti i cittadini20, e questo attraverso l’imposizione di un divieto che, già nella fase di formazione
della legge, ha visto l’indicazione di tre potenziali principi da porre a fondamento:
1)
Il principio di laicità rappresenta nell’ordinamento francese un paradigma fondamentale nei
rapporti tra confessioni religiose e Stato- apparato fondamentale, ma, anche in forza del disposto di
cui all’art. 1 Cost. (che nell’affermare la laicità della Repubblica francese, chiarisce pure come
questa debba caratterizzarsi per il rispetto di tutte le credenze) deve essere illuminato dalla libertà di
coscienza e, quindi, dal rispetto di tutte le confessioni 21. Di conseguenza, i privati non possono
essere soggetti ad un obbligo di laicità, se non quando svolgono funzioni pubbliche, in quanto in
quella sede incarnano lo Stato ed hanno un obbligo di neutralità, mentre non si giustificherebbe, a
parere di chi scrive, l’imposizione di obblighi a carico di cittadini che non svolgono alcuna funzione
pubblica. Del resto, anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sembra
accogliere tale ricostruzione del principio di laicità dello Stato, inteso come strumento per imporre
ai consociato dei divieti, circa il porto di simboli religiosi, unicamente in contesti in cui i soggetto
esercitano, a vario titolo, funzioni pubbliche22.
2) L’ordine pubblico si potrebbe porre come possibile presupposto su cui fondare il divieto,
partendo dalla semplice constatazione che l’esibizione della carta d’identità, ai fini di una compiuta
identificazione, non sarebbe sufficiente, essendo necessario mostrare anche il viso23.
Da questo punto di vista, abbigliamenti che coprono tutto il corpo possono essere ritenuti pericolosi,
non solo perché impediscono l’identificazione della persona, ma anche perché vi è un rischio di
occultamento di armi ed esplosivi, come accade in India o in Pakistan ad esempio, dove il burqa è
visto con preoccupazione per il rischio di attentati 24. Da tali considerazioni potrebbe, quindi,
discendere l’esigenza di garantire l’ordine pubblico, nei confronti della pratica di indossare il burqa,
20 Più gravemente vengono, invece, sanzionati tutti quei comportamenti, posti in essere da soggetti terzi e tesi ad
imporre con la forza determinati abbigliamenti ( art. 4 della l. 1192 del 2010).
21 Sul punto di interesse, DOUNIA BOUZAR- LILIA BOUZAR, La Rèpublique ou la burqa, Paris, 2010, p. 25 ss.
227 Decisione del 29 giugno 2004, n. 4774/98, Leyla Sahin c.Turchia. famoso caso Leyla Şahin v. Turkey. I giudici di
Strasburgo, chiamati a pronunciarsi sulla legittimità del divieto del velo imposto dalla legislazione turca, lo hanno
ritenuto accettabile nelle Università, in nome della tutela e dell’affermazione della laicità dello Stato. Tuttavia, tale
pronuncia non sembrerebbe tanto utilizzabile in Francia, in quanto, nella sua decisione, la Corte ha insistito molto sulla
situazione abbastanza peculiare della Turchia, descrivendola come un paese assediato ed indebolito dalla minaccia
islamica, la cui esistenza si affida alle politiche di identità, basate sulla forza della premessa di laicità. Decisione del 30
giugno 2009, n. 43563/08, Aktas contro Francia; qui la stessa Corte europea non ha condannato la Francia per il
divieto del velo islamico, ma, al contrario, ha ritenuto legittima l’esclusione dalla scuola di una ragazza che aveva
rifiutato di togliere il velo durante le ore di ginnastica
23 In merito al rapporto tra ordine pubblico e eterogeneità del sistema sociale francese, v. W. TAMZALI e C. BER,
Burqa?, cit., 69 e ss.
24 Anche se invocare il rischio terroristico in Francia non convince tanto , così che un divieto imposto a tal fine
verrebbe valutato con ogni probabilità sproporzionato e discriminatorio. Del resto, se si volesse evitare qualunque
rischio di nascondere armi o esplosivi, dovrebbero essere sottoposti al divieto zaini e valigie e tutto ciò che in generale è
idoneo a occultare. Su tale aspetto si rinvia a JEAN MARC PASTOR, Voile intégral : le refus de la République , in
Ajda, 2010, p.124.
attraverso un obbligo di identificazione aprioristico e continuativo posto a carico di tutti i
consociati, tenuti a circolare a viso scoperto. Tuttavia, se è vero che non v’è dubbio che un ufficiale
di polizia abbia il diritto di chiedere ad una donna in burqa di rivelare la propria identità (e, quindi,
il suo viso) sul campo, diversa appare la questione di una immediata identificazione, imposta in
termini generali, al di fuori di qualsiasi applicazione di sicurezza o ordine pubblico. I dubbi circa la
fondatezza di un tale obbligo, sono corroborati dalla giurisprudenza attuale del Consiglio
costituzionale che non individua affatto un obbligo per cittadini a mostrare il loro volto in ogni
momento, ad essere riconosciuti ovunque e in tutte le circostanze, fuori, appunto, dai controlli di
polizia ai fini dell’identificazione25. A tali profili problematici, se ne aggiunge uno ulteriore, dal
momento che un divieto che andasse a colpire il velo integrale, isolatamente, potrebbe sembrare
discriminatorio, anche se fondato su un’esigenza d’identificazione, dal momento che non dovrebbe
riguardare solo il burqa, ma, ad esempio, anche chi indossa un casco integrale o qualsiasi
abbigliamento idoneo al travisamento26.
3) La tutela della dignità della donna ha rappresentato il terzo possibile presupposto, alla luce del
quale la Commissione ha indagato la pratica del burqa, considerato, da questo particolare angolo
prospettico, non solo un semplice abbigliamento a carattere religioso, ma una continua negazione
della dignità della persona umana, di fatto cancellata nella sua personalità materiale, e privata della
possibilità di intrattenere qualsiasi possibile rapporto con gli altri consociati. Tuttavia, a fronte di
tale ricostruzione, senza dubbio non priva di suggestione, si deve sottolineare pure come,
attribuendo l’ordinamento francese grande pregnanza al libero arbitrio 27, da qui deriva l’uguaglianza
delle diverse volontà dei consociati, che si esprime in un orizzonte di uguale libertà di
autodeterminazione per tutti i consociati. Ecco, allora, che se il cuore della dignità degli individui
trova il suo perno nel libero arbitrio, essa potrebbe esprimersi anche attraverso l’uso del burqa 28.
L’11 aprile, prima giornata di efficacia della legge, alcune donne con il burqa hanno manifestato
contro il divieto davanti Alla chiesa Notre Dame, a Parigi, rivendicando il loro diritto all’identità
religiosa, pur essendo cittadine francesi.
25 Decisione del 19 gennaio 2006, n. 2005-532 DC; http://www.conseil-constitutionnel.fr/decision/2006/2005-532dc/decision-n-2005-532-dc-du-19-janvier-2006.979.html?version=dossier_complet.
26 Anche il Consiglio di Stato, nell’Étude relative aux possibilités juridiques d’interdiction du port du voile intégral,
presentato al Primo ministro il 30 marzo 2010, ricostruisce in termini di estrema problematicità la possibilità giuridica
di fondare un divieto generale di indossare il burqa, il cui porto può essere limitato solo in situazioni qualificate da una
particolare esigenza di sicurezza e garanzia dell’ordine pubblico; per il testo integrale del rapporto http://www.conseiletat.fr/cde/node.php?articleid=2001.
27 Preambolo, Costituzione, del 4 ottobre 1958, con particolare riferimento al richiamo al preambolo della Costituzione
del 1946, come fonte di rango parametrico.
28 Da questo punto di vista allo stato attuale del diritto positivo, il divieto generale di indossare il burqa sarebbe
estremamente fragile e potrebbe causare più problemi di quanti ne risolva. Tale divieto affermerebbe un preoccupante
paternalismo, profondamente contraddittorio, perché sarebbe incapace, sia di difendere la libertà delle donne che
desiderano indossare il burqa privandole della libertà di farlo, sia priverebbe gli altri consociati della libertà di scegliere
se aderire o meno all’eventuale proselitismo espresso da questi soggetti. Su tali problematiche e sul probabile intervento
per la via incidentale del Conseil constitutionell, qualora la legge venisse approvata, di rilievo FOCUS PAR ROZEN
NOGUELLOU, L'interdiction du port du voile integra, in Droit Administratif n° 6, Juin 2010, p. 35 ss.