legittimazione attiva - Ordine Avvocati Roma

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legittimazione attiva - Ordine Avvocati Roma
INTERVENTO DAL CONVEGNO TENUTOSI PRESSO IL TAR LAZIO
– SEDE ROMA –
“CLASS ACTION CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE”
ORGANIZZATO DAL CENTRO STUDI DELL’ORDINE DEGLI
AVVOCATI DI ROMA
Relazione a cura dell’Avv. Antonio Cordasco del Foro di Roma
“La figura dell’Avvocato difensore della parte privata nel procedimento di
Class Action contro la Pubblica Amministrazione”
LEGITTIMAZIONE ATTIVA
Legittimati ad esperire l’azione secondo la normativa in materia sono:
i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità
di utenti e consumatori (art. 1 comma 1 del decreto leg.vo 198/2009).
Orbene a ben vedere l’individuazione dell’azione sembrerebbe di natura
collettiva, atteso che l’art. 1 citato riferisce che i titolari…siano più di uno.
Ma
la sistematicità della norma in commento, di per se impone una
doverosa riflessione, atteso che, nell’art. 1, citato, al I comma viene
utilizzato il plurale per l’individuazione dei soggetti titolari all’azione,
mentre nel 3° comma si fa riferimento al soggetto ricorrente (quindi
singolare) quale portatore di un interesse giuridicamente qualificato.
La norma così concepita, impone pertanto una riflessione al fine di
individuare il soggetto legittimato alla proposizione dell’azione..
La class action o per meglio dire la relativa azione, è volta a ripristinare il
corretto svolgimento di una funzione ed una appropriata erogazione del
relativo servizio.
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La norma in commento, sembrerebbe porre un discrimine tra la lesione che
si andrebbe ad arrecare nei confronti del singolo (portatore di un interesse
collettivo meritevole di tutela) ovvero nei confronti di una intera categoria
di consumatori.
D’altronde, la norma in questione precisa che il rapporto tra lesione e
ripristino dell’azione, non matura ex se, bensì solo in ragione della
inidoneità della lesione stessa ad arrecare un danno attuale concreto e
diretto.
Anche il singolo, pertanto che abbia subito una lesione attuale concreta e
diretta potrà agire, di per sé ovvero quale rappresentante di un organismo,
quindi, affidatario di una posizione giuridica qualificata in capo
all’organismo stesso.
Da quanto sopra discende che la posizione giuridica tutelabile, incide su di
un interesse che tutela un bene di vita che deve essere omogeneo rispetto
alla collettività cui si riferisce.
A differenza di quel che accade nel caso di azione di classe privata
pertanto, nel caso che qui ci occupa, la legittimazione attiva sembrerebbe
direttamente assegnata alle associazioni, e, ai comitati, e non ai singoli, i
quali potranno agire individualmente solo mediante le associazioni di cui
fanno parte ovvero, facendo valere interessi i cui effetti si riverberano
immediatamente in capo alla stessa associazione.
Da quanto premesso, quindi discende che: una prima lettura si presterebbe a
limitare la legittimazione esclusivamente a soggetti per così dire superindividuali in cui si riassumano l’insieme degli interessi omogeneamente
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attribuibili a un numero indifferenziato di soggetti consumatori fruitori di
un servizio.
Ad una seconda lettura, invece il soggetto legittimato potrebbe essere
identificato anche nella singola persona fisica purchè titolare di un interesse
omogeneamente riferibile ad una pluralità di utenti e consumatori.
Nel primo caso quindi la norma agirebbe quale elemento di discrimine della
dimensione soggettiva dell’interesse giustiziabile. Nel secondo caso,
invece, la norma verrebbe ad identificare una particolare caratterizzazione
degli interessi che, ancorchè riferibili al singolo soggetto agente, sarebbero
suscettibili di essere portati all’attenzione del Giudice competente.
Sembra però più coerente con i principi generali di sistema, in relazione ai
quali deve essere effettuata la lettura interpretativa della norma de qua, che
le disposizioni in esame individuino quali legittimati attivi tutti i soggetti
individualmente considerati che facciano valere interessi anche di categoria
riferibili, come tali, ad un numero indistinto di soggetti consumatori e
fruitori di servizi.
In altri termini deve sostenersi che l’elemento giustificativo e quindi
discriminante della class action, rispetto alle normali procedure di tutela
giurisdizionale, sia ravvisabile nella qualificazione come “di classe”, degli
interessi tutelabili e non già come necessaria limitazione della
legittimazione attiva ai soli soggetti che possano, ad alcun titolo,
rappresentare interessi di dimensione super-individuale.
Tesi quest’ultima che, sotto le sembianze di una recuperata giustiziabilità di
interessi che, pur di settore, si presentino con carattere diffuso, finirebbe
invece col privare il singolo della possibilità di agire per la tutela di
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interessi sostanziali che assumano rilevanza nella sua sfera giuridica solo
perché riferibili a categorie più ampie di soggetti cosiddetti consumatori o
fruitori.
Una ultima precisazione, il comma 3 dell’art. 1, prevede anche che coloro i
quali si trovino nella stessa situazione del ricorrente, cioè i cosiddetti
cointeressati “possono intervenire nel temine di venti giorni liberi prima
dell’udienza di discussione del ricorso”.
In proposito è opportuno riferire quanto precisato dal Consiglio di Stato nel
parere reso sulla bozza di articolato.
Ed infatti in tale circostanza il
Supremo Consesso ha avuto modo di precisare che: “l’azione del
cointeressato si spiega tramite intervento litisconzortile o adesivo
autonomo, con facoltà analoghe a quelle del ricorrente, in ciò
distinguendosi dal tradizionale intervento ad adiuvandum previsto nel
processo amministrativo, attesa la natura dell’azione collettiva, la quale è
coerente con l’inserimento nel medesimo giudizio, in posizione paritaria, di
tutti i soggetti titolari di situazioni giuridiche omogenee a quella del
ricorrente, trattandosi in definitiva di orientare l’Amministrazione a
correggere disfunzioni obiettivamente rilevanti per una intera classe di
utenti”.
LEGITTIAMAZIONE PASSIVA
Soggetti legittimati passivamente sono le Amministrazioni pubbliche con
esclusione di:
I)
autorità amministrative indipendenti: in quanto non previste
dalla disciplina del pubblico impiego cui si riferisce
sostanzialmente l’apparato normativo in commento; inoltre in
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quanto le stesse autorità, non rientrano tra gli organi
di
amministrazione attiva.
II)
Assemblee legislative: in quanto al Parlamento e ai Consigli
Regionali compete la funzione legislativa.
III)
Gli Organismi Giurisdizionali Costituzionali e la Presidenza del
Consiglio dei Ministri:
le funzioni dalle stesse svolte, non
consentano, in merito, una indagine di natura giurisdizionale.
Legittimati passivamente sono invece:
Concessionari di pubblici servizi.
Nell’ambito dei concessionari di pubblico servizio vi rientrano anche le
imprese private, la giurisdizione amministrativa, potrebbe pertanto invadere
l’autonomia organizzativa della impresa stessa, si appalesa quindi doveroso
precisare, anche per ovviare all’equivoco sopra descritto, dover delimitare
l’azione con riferimento alla nozione di pubblico servizio.
Ormai abbastanza pacificamente, si ritiene che l’attività che si riferisce a
quella
tipicamente Amministrativa, può rientrare nell’azione di che
trattasi;con la conseguenza che l’azione in cui prevalga la libera iniziativa
privata (anche se sottoposta al controllo pubblico), non rientri nelle ipotesi
di che trattasi.
Quanto sopra sembra peraltro in linea con una delle azioni esperite da
associazione di consumatori in materia.
In tale circostanza, infatti l’azione proposta è volta ad adeguare la
erogazione di un servizio che nella fattispecie è riferibile all’obbligatorio
svolgimento dell’esercizio del potere in materia urbanistica.
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Con la conseguenza che sarebbe possibile ipotizzare una azione collettiva
anche con riferimento alla repressione di un illecito ed abuso edilizio.
Il comma 5 del precitato art. 1 precisa inoltre che il ricorso: è proposto nei
confronti degli enti i cui organi sono competenti a esercitare le funzioni o a
gestire i servizi cui sono riferite le violazioni o omissioni elencate nel
comma 1.
La conseguenza è che gli enti informano il dirigente responsabile il quale,
in quanto titolare di una posizione giuridica soggettiva, assume una
qualifica di parte processuale.
* * *
Una ultima annotazione merita infine l’eventuale integrazione del
contraddittorio che ai sensi del precitato comma 5 può essere ordinato dal
giudice, se la violazione e le omissioni sono ascrivibili ad enti ulteriori o
diversi da quelli intimati.
Con la conseguenza che:
1) se si tratta di enti ulteriori rispetto quello intimato originariamente, si
potrebbe ipotizzare un caso di litisconsorzio necessario.
2) se invece si tratta di enti addirittura diversi rispetto quello originario,
l’integrazione andrebbe a scongiurare la ipotesi di trasmissibilità del
ricorso.
Ed infatti se nella prima udienza il giudice ritiene che le violazioni siano
ascrivibili
ad
enti
ulteriori
o diversi,
ordina
l’integrazione del
contraddittorio.
Al riguardo è evidente la specificità che riveste la disciplina in questione in
quanto, a fronte di quanto precisato, è prevista l’integrazione del
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contraddittorio sia nel caso in cui le violazioni si riferiscano ad altri enti, ed
anche, nel caso in cui le stesse violazioni si riferiscano ad enti diversi
rispetto quelli intimati.
COMPORTAMENTI CHE LEGITTIMANO LA PROPOSIZIONE
DELL’AZIONE
Elenco:
1) violazione dei termini o mancata emanazione di atti Amministrativi
generali non aventi contenuto normativo da emanarsi entro un
termine fissato
2) violazione degli obblighi contenuti nelle carte dei servizi.
3)violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti o dalle
preposte Autority (per i concessionari di servizi pubblici) o per le P.A.
definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di
performance contenute nel decreto leg.vo 150/09.
ESAME DELLE SINGOLE FATTISPECIE SOPRA INDIVIDUATE
A).violazione dei termini obbligatori fissati da legge o regolamenti per
l’emanazione di atti Amministrativi generali non aventi contenuto
normativo.
Il titolare dell’interesse che si suppone leso, agisce affinchè il Giudice
Amministrativo accertata la eventuale violazione del termine, ordini
all’Amm.ne ovvero al concessionario, di provvedere entro un congruo
termine, per riequilibrare la funzione amministrativa sulla presunzione
che motivi organizzativi abbiano impedito all’Amministrazione di
osservare il rispetto del termine prescritto.
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Con la conseguenza che il comportamento legittimante la proposizione
dell’azione, è la violazione di termini che, per natura, sembrerebbero
obbligatori.
Conviene pertanto ora tentare di individuare, la natura dei termini
cosidetti obbligatori, atteso il generico riferimento fatto in tal senso
dalla normativa in commento.
In primo luogo si precisa che la locuzione termini obbligatori non
descrive gli stessi come di natura perentori
cioè, i termini quivi
descritti, possono qualificarsi obbligatori anche se non necessariamente
perentori.
Ciò premesso quali sono i termini obbligatori? Senz’altro quelli di cui
all’art. 2 della L. 241/90 e s.m.i. laddove la norma fissa dei termini (per
l’appunto obbligatori) entro i quali l’Amministrazione deve concludere
con provvedimento il relativo procedimento.
Altra ipotesi può rinvenirsi nel caso in cui l’Amm.ne competente non
adotti provvedimenti generali di natura obbligatoria.
Il rimedio giudiziale
che consegue in tale circostanza consiste
nell’obbligo che il Giudicante impone in capo all’Amministrazione di
concludere il procedimento con l’adozione dell’atto.
A ben guardare, però, non è chiaro se il riferimento ai termini descritti
nella normativa, riguardi esclusivamente i termini perentori ovvero
anche quelli ordinatori.
Orbene al riguardo è opportuno ricordare che il termine può ritenersi
perentorio quando la stessa legge ovvero l’atto ne prevedano una
decadenza.
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Di talchè laddove la legge nulla disponga in merito, a fronte della
opinione ormai prevalentemente assunta
possono considerarsi
ordinatori i termini per l’adozione di atti favorevoli, con la conseguenza
che si dovranno considerare perentori i termini previsti per l’adozione
di atti di natura e con caratteristiche sanzionatorie.
Quindi se la legge non si esprime in merito alla natura dei termini
(perentori ovvero ordinatori), la qualificazione degli stessi dipenderà
dall’esistenza o meno di sanzioni individuate nel caso di violazione.
B) violazione degli obblighi contenuti nella Carta di servizi.
Le carte dei servizi costituiscono uno strumento di regolazione nei
rapporti tra erogatori di servizi e clienti.
Vengono adottare da gestori di pubblico servizio d’intesa con
associazioni di consumatori e associazioni imprenditoriali per garantire
la qualità nella erogazione del servizio pubblico.
La conseguenza è che le prestazioni di cui alla carta di servizi, possono
ritenersi obbligatorie.
Pertanto nel caso in cui il cliente voglia ripristinare la corretta
erogazione di un servizio, (ovviamente se si ritenga che il gestore di un
pubblico servizio sia inadempiente a quanto stabilito nella relativa
carta) potrà rivolgersi al Giudice, il quale dovrà accertare se tale
evenienza concretizzi realmente la ipotesi di inadempimento,
con
conseguente imputabilità in capo al concessionario.
C) violazione di standard qualitativi ed economici. Rappresenta la
principale innovazione contenuta nella normativa in commento, atteso
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che l’oggetto del gravame è legato alla preventiva definizione degli
standard organizzativi.
Si ricordi in proposito quanto statuito dal decreto 150/09.
In tale circostanza, infatti, la normativa richiamata ha precisato che gli
obiettivi delle amministrazioni devono essere parametrati a valori che
derivano da standard definiti a livello nazionale e internazionale.
Ed infatti: i tempi e le modalità di adozione e pubblicazione degli
standard, i casi e le modalità di adozione delle carte dei servizi, i criteri
di misurazione della qualità dei servizi, ecc. sono stabiliti con direttive,
che vengono aggiornate annualmente dal Presidente del Consiglio dei
Ministri su proposta della Commissione per la valutazione, trasparenza
e integrità nelle Amministrazioni pubbliche.
Per i servizi che invece possono essere erogati direttamente dalle
Regioni e dagli enti locali, si provvede con atti di indirizzo e
coordinamento adottati d’intesa con la Conferenza unificata di cui al
decreto leg.vo n. 281/97 su proposta della Commissione per la
valutazione, trasparenza e integrità nelle Pubbliche Amministrazioni
(art. 11 comma 2 decreto Leg.vo n. 2862/99 così come modificato
dall’art. 28 del precitato decreto Leg.vo 150/09).
PETITUM
L’azione è proposta per il ripristino del regolare funzionamento
dell’attività dell’Amm.ne anche nel caso di erogazione di un servizio.
Il Petitum è quindi volto solo ad accertare la violazione ovvero ordinare
all’Amministrazione o al concessionario, di porre un rimedio alla
disfunzione o al disservizio lamentati.
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Ai sensi dell’art. 6 comma 1, non è infatti possibile chiedere la
condanna al risarcimento del danno subito.
Con
la
conseguenza
che,
secondo
i
dettami
del
processo
Amministrativo, qualora in pendenza di un giudizio venga anche in via
di autotutela eliminato il disservizio lamentato originariamente, il
ricorso proposto dovrà essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta
carenza di interesse.
RIFLESSIONI CONCLUSIVE
Dall’ esame dell’istituto emergono alcune riflessioni conclusive.
I.
In primo luogo la sensazione è che la class action, non aggiunga
molto a quanto è già possibile esperire contro la P.A. sia
singolarmente che collettivamente, (si pensi all’azione collettiva
già prevista dalla L. 142/90 ed ancor più all’azione giudiziale
avverso l’ingiustificato silenzio serbato dall’Amministrazione).
Pur tuttavia non può non convenirsi circa la maggiore incisività che
l’azione in commento crea nei confronti della P.A., atteso che con la
stessa, si amplia la responsabilità, sia in senso soggettivo che oggettivo,
dell’Amministrazione.
II.
Inoltre per quanto accennato, il provvedimento di risoluzione
della questione esaminata, non mira a
consentire al
consumatore offeso di ottenere un riequilibrio economico del
pregiudizio subito,
in quanto volto al ripristino di standard
qualitativi e quantitativi del servizio secondo quanto già in
dovere dell’Amministrazione.
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L’art. 1 comma 6 del decreto Leg.vo 198 citato, infatti non prevede,
come rilevato, il ristoro economico a favore della parte che subisca un
danno. Il ricorso per l’efficienza dell’Amministrazione è volto come
precisato, a garantire la
operatività dell’Amministrazione stessa
prevedendo dei meccanismi, di premialità e/o di responsabilità.
Da questa breve osservazione, ne discende che forse non era necessario
definire la presente azione come di classe.
Ed infatti se una azione venga definita di classe, si deve ipotizzare che
l’interesse collettivo sia gerarchicamente sopra ordinato, e quindi,
legittimi, la proposizione dell’azione per ottenere il risarcimento dei
danni eventualmente subiti.
Invece l’azione così concepita finisce per essere semplicemente una
azione processuale.
Non si comprende infatti quale sia l’effettivo beneficio che tale azione
comporta nei confronti dei consumatori i quali, saranno comunque
costretti, nel caso di pronuncia favorevole, ad agire con separato ed
autonomo giudizio per ottenere il ristoro economico del danno subito.
Perché, quindi un cittadino i dovrebbe adire il competente giudice con
una azione dispendiosa che non gli consenta neppure di riequilibrare il
danno eventualmente dal medesimo subito (atteso che nè il decreto nè
altre norme ivi comprese la finanziaria, hanno escluso tale
procedimento dall’applicazione del contributo unificato)?
A ben guardare però, per il riequilibrio del danno patito la norma
prevede che “restano fermi i rimedi ordinari”.
Ma, che cosa si deve intendere per rimedi ordinari?
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Probabilmente si tratta di ricorsi che sono volti ad individuare la colpa
del dipendente.
Al riguardo però è bene precisare che il giudice accerta l’omissione
dell’Amministrazione,
con
riferimento
alle
risorse
strumentali,
finanziarie ed umane assegnate; ciò potrebbe però non consentire di
individuare in modo adeguato la colpa imputabile all’Amministrazione
(e/o al suo dipendente), colpa che invece dovrebbe essere quantomeno
grave, ai fini risarcitori.
In altri termini l’Amministrazione nel caso di indagine in merito ad
ipotetica colpa del suo dipendente, potrebbe obiettare che le risorse
strumentali ed umane erano tali da consentire solo l’adozione di quel
tipo di comportamento e che, quindi,
nessuna responsabilità,
quantomeno sotto il profilo della colpa grave, può essere imputata in
capo all’Amministrazione
Va però precisato che il Giudice Amministrativo nelle controversie
devolute alla sua Giurisdizione esclusiva può riequilibrare il danno
subito con la reintegra in forma specifica.
Si potrebbe quindi ipotizzare, nella fattispecie, una reintegra nel caso
in cui il giudice accertata la violazione, ordini all’Amministrazione
ovvero al concessionario, di rimediare entro un congruo termine,
ovviamente senza che ciò comporti, in capo all’Ente, un eccessivo
impiego delle risorse.
Si potrebbe peraltro anche prevedere, una forma di indennizzo.
L’indennizzo infatti in molti casi costituisce una valida formula
alternativa al risarcimento dei danni.
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In realtà la norma individua quale sanzione quella di pubblicare la
notizia dell’esistenza di un ricorso in materia, sia sul sito del Ministero
per
la
P.A.
e
Innovazione,
sia
sul
sito
istituzionale
dell’Amministrazione o del concessionario.
La funzione cui sottende la presente azione, quindi sembrerebbe più
volta a limitare taluni
comportamenti dell’Amministrazione che a
riequilibrare danni eventualmente subiti.
Ed infatti, l’intervenuta pubblicazione della sentenza sul sito, determina
la individuazione delle responsabilità in seno all’Amministrazione che
comporta laddove esistenti, anche responsabilità di natura erariale e/o
disciplinare.
D’altronde non può sfuggirci lo spirito per il quale il legislatore ha
individuato
l’apparato
normativo
in
commento,
che,
secondo
l’accezione in tal senso formulata dal Consiglio di Stato con il parere n.
1943 del 9.6.2009 fonda su una: ”… concezione dell’Amministrazione
di risultato, in cui domina il principio del buon andamento come
espressione di una moderna visione della P.A.”, ovviamente non
disgiunto dal principio di legalità di cui all’art. 97 della Costituzione.
Avvocato Antonio Cordasco
INDICE
- legittimazione attiva
pag. 1-4
- legittimazione passiva
pag. 4-7
-comportamenti che legittimano la proposizione dell’azione pag. 7-10
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- petitum
pag. 10-11
- riflessioni critiche
pag. 11-14
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