Jusepe de Ribera Testa di San Gennaro

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Jusepe de Ribera Testa di San Gennaro
Jusepe de Ribera
(Jativa, 1591 - Napoli, 1652)
Testa di San Gennaro (?)
olio su tela, cm 41 x 47
Raffigura, anche per la presenza della mitria sulla destra, la testa mozzata di un santo vescovo,
identificabile, probabilmente, sebbene manchi, secondo l’iconografia tradizionale, l’ampolla
contenente il suo sangue, con San Gennaro, vescovo di Benevento agli inizi del IV secolo, al tempo
delle persecuzioni dei Cristiani ordinate dell’imperatore Diocleziano, che, recatosi a Miseno con il
diacono Festo e il lettore Desiderio per visitare Sossio, diacono della chiesa locale in stima di santità,
fu fatto decapitare, dopo varie vicende, il 19 settembre 305, con i due accompagnatori, presso
Pozzuoli, nell’area della Solfatara. Trasportate agli inizi del V secolo le sue spoglie o reliquie a Napoli,
nelle catacombe ricavate già nel III secolo sulla collina di Capodimonte, poi trasferite a Benevento
e successivamente nell’Abazia di Montecassino, San Gennaro, alla fine del Quattrocento, quando
le reliquie tornarono nella Capitale meridionale e furono temporaneamente collocate in un altare
nella Cattedrale, fu eletto, per la diffusa venerazione dei napoletani, al ruolo di patrono della città.
Con lui e suoi due accompagnatori sarebbero stati decapitati, quasi contemporaneamente e nello
stesso luogo, anche il diacono Sossio e, per aver difeso il vescovo di Benevento, Festo e Desiderio,
anche Procolo, diacono di Pozzuoli, e due laici puteolani, Eutiche e Acuzio. Si segnala, in ogni caso,
che alcune antiche fonti o tradizioni popolari identificano talvolta San Gennaro con San Procolo.
La rappresentazione del capo mozzato di santi martiri, tra i quali anche San Giovanni Battista,
rientrava, nel clima diffuso di pietismo devoto maturato dopo la Controriforma cattolica e a opera
di vari ordini religiosi, in una tradizione iconografica sia di matrice iberica, sia lombardo-padana,
che, a Napoli e soprattutto in pittura, aveva prodotto esempi notevoli agli inizi del Seicento. Come,
per la rappresentazione della testa mozzata di San Gennaro, le due tele di Battistello Caracciolo
(una, firmata, nella Pinacoteca di Brera a Milano, e una seconda a Milano, in collezione Koelliker,
dopo essere stata in una raccolta napoletana) e di una tela dispersa di Andrea Vaccaro, segnalata
nell’inventario del 1757 della raccolta napoletana del duca dell’Isola, Andrea Bonito; o, per la
rappresentazione della testa del Battista, le tre tele di Jusepe de Ribera (una, firmata, in una privata
collezione napoletana, la seconda presso il Museo della Real Academia de San Fernando a Madrid,
firmata e data 1644, e la terza presso il Museo Civico ‘Gaetano Filangieri’, firmata e datata 1646).
La possibilità che la tela in argomento raffiguri effettivamente la testa mozza di San Gennaro, pur
in assenza, come indicato, dell’ampolla sempre presente nel vario repertorio iconografico del santo
(come, infatti, nelle due citate tele di Battistello Caracciolo), sembra confermata dall’età ancora
giovanile del raffigurato: San Gennaro, infatti, sarebbe stato decapitato poco più che trentenne. In
ogni caso, in tutte le sue rappresentazioni, dipinte o scolpite, è sempre raffigurato, diversamente
da altre immagini di santi vescovi decapitati, senza barba e con tratti del viso indicativi di appena
incipiente maturità fisica. E’ anche possibile, tuttavia, a conferma dell’identificazione di questa
testa con quella di San Gennaro, che in origine la tela presentasse sull’estrema destra un’ampolla,
poggiata sul libro, scomparsa probabilmente nel corso di un passato intervento conservativo e di
pulitura della superficie pittorica, per essere stata probabilmente dipinta con lievi stesure di colore
e, quindi, appena accennata.
In ogni caso, rappresenti o meno il capo mozzo del santo e mitico patrono di Napoli, il dipinto,
inedito e in buone condizioni conservative, è opera evidente e inequivocabile di Jusepe de Ribera
negli anni dell’inoltrata maturità. In particolare, per la resa ancora naturalista dei tratti somatici del
santo, per l’accorta definizione dell’orecchio, delle ciglia e dei sopraccigli, come per la sottile peluria
presente, a tratti minuti, sulla guancia e sul mento, il rinvio è, per accentuate affinità soprattutto
cromatiche, con alcune note tele realizzate dal maestro d’origine spagnola dopo il 1635-1636, nella
fase di sempre più deciso passaggio dalle passate inclinazioni per esiti di vigoroso naturalismo
a soluzioni di rischiarato e impreziosito pittoricismo di matrice ‘neoveneta’. Tra queste vanno
qui segnalate, per puntuali concordanze con il dipinto in esame, soprattutto la Venere e Adone del
1637 nella Galleria Corsini a Roma, per la figura del giovane cacciatore riverso al suolo ucciso dal
cinghiale, e la celebre Pietà dello stesso anno nella Certosa di San Martino a Napoli, per la resa
umanissima e ‘vera’ di Cristo morto, di una bellezza, per intensità di resa pittorica, nell’insieme come
nei particolari anatomici, pari a quella di un antico marmo ellenistico o di un rilievo marmoreo di
recente modellato da Cosimo Fanzago. Qualità che si riscontrano identiche nella rappresentazione
di questa testa mozza, presumibilmente di San Gennaro, ma che, per essere conseguite con stesure
di colore meno dense che in composizioni passate, più accorte e anche più raffinate, sembrano
suggerirne una datazione al 1640 o subito dopo: così da essere collocabile in prossimità, quindi,
della Santa Maria Egiziaca del 1641 al Musée Fabre di Monpellier, o del San Francesco orante nelle
due diverse versioni della Galleria Palatina in Palazzo Pitti a Firenze, del 1643, e di una collezione
privata napoletana. Soprattutto, non solo per ovvie e stringenti affinità iconografiche, ma anche
formali e di taglio compositivo, di poco in anticipo sulle tre citate redazioni della Testa del Battista,
rispettivamente in una privata raccolta napoletana e, datate 1644 e 1646, nella Real Academia de San
Fernando a Madrid e nel Museo Filangieri di Napoli.
In aggiunta, proprio come in queste tele tematicamente e compositivamente affini, anche nel dipinto
qui in considerazione sembra che Ribera sia riuscito ad attutire o a dissolvere ogni apparenza di
crudo e di macabro che nel soggetto rappresentato era insito, rinunciando a quelle soluzioni di
talvolta spietato realismo presenti, soprattutto, in sue note composizioni precedenti, per lo più
con santi ferocemente suppliziati e martirizzati. Tutto questo, come già evidente nella Pietà della
Certosa di San Martino o nel successivo Martirio di San Filippo al Museo del Prado a Madrid, per la
capacità del pittore, in una fase ormai avanzata della sua personale esperienza esistenziale, segnata
da sempre più partecipe e commossa attenzione per la vera condizione dell’uomo, spesso sofferta
e dolorosa, ma anche per un’ormai matura definizione dei recenti orientamenti per nuove soluzioni
d’impreziosita bellezza cromatica e più comunicante intensità visiva, di fermare anche sulla tela in
argomento, grazie alla sapiente combinazione di chiari e di scuri, di riuscire a trasferire e fermare
sulla tela in argomento una forte emozione sia mentale che sentimentale. Ancora una volta e sempre
con marcata evidenza, per suggerire o provocare, anche in questo caso, reazioni vere, profonde e
durevoli, attraverso la scelta sapiente e la combinazione accorta delle materie cromatiche: il nero
del fondo, i grigi perlacei del volto di un pallore cadaverico, gli ocra della mitria e delle pagine del
libro prezioso (come uno dei tanti inserti di oggetti e ‘natura in posa’ presenti in altre sue note
composizioni passate e recenti), il marrone della nuda terra su cui giace la testa del santo, il rosso
purpureo dalle tonalità e gradazioni diverse del sangue che a fiotti sgorga ancora dal collo del santo
appena reciso.
Nicola Spinosa
Referenze bibliografiche:
F. Strazzullo, San Gennaro tra storia ed arte, Napoli 1992;
San Gennaro tra fede, arte e mito, catalogo della mostra a cura di autori vari: Napoli, chiesa di Santa
Maria di Donnaregina Nuova, dicembre 1997 – aprile 1998, Elio De Rosa Editore, Napoli 1997
(anche per le citate tele di Battistello Caracciolo con la Testa di San Gennaro); N. Spinosa, Ribera. La
obra completa, Madrid, Fundación Arte Hispanico, 2008 (per tutte le opere di Ribera citate e per la
relativa bibliografia precedente).