Monsieur, 2015-03-01

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Monsieur, 2015-03-01
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I LIBRI CHE INSEGNANO
A VIVERE MEGLIO
Mentre Vandalo, cavallo da trotto destinato alla leggenda, svela la storia di un «italiano» anomalo,
Londra conferma la sua grandezza nel rimanere fedele a se stessa nei momenti decisivi
Q
uando Antonio Caprarica apparve per le prima volta nelle corrispondenze inglesi del tg, sembrò uno dei pochi buoni motivi per alzare il
volume e ascoltare qualcosa di verosimile da un notiziario, se non altro perché l’ironia di quell’uomo dalla voce marezzata segnava un tale stacco dalle messe cantate giornalistiche da rendere tollerabili anche le peggiori meschinerie consumate all’ombra del Big Ben. Senza di lui, la vicenda di Lady
D. sarebbe stata incomprensibile per noi italiani. Poi sono venuti i libri, ma
la pasta è la stessa. Anche l’ultimo, Il romanzo di Londra (Sperling&Kupfer,
18,50 euro), è un atto d’amore per una città che sa nascondere temperamento e dignità dietro un teatrino grottesco di quotidiane estrosità, e la
spiegazione è nella storia, che Caprarica indaga, come davanti a un’amabile
Wedgwood tea cup, annusando il modo con cui Samuel Johnson si collega alle Rookeries oppure lo shopping di Newgate abbia un passato di condanne capitali. La Londra che ne esce è proteiforme, la sua grandezza sta
proprio nel rimanere fedele a se stessa nei momenti decisivi.
M
entre a Londra le corse di cavalli erano un’istituzione, in Italia si affacciava l’immagine di un cavallo da trotto destinato alla leggenda.
Accadeva nel triangolo modenese-ferrarese dove oggi dominano i «motùr»:
nato nel 1862, scartato da Vittorio Emanuele II che lo giudicò indomabile, Vandalo (divenuto nelle locuzioni antonomasia di velocità) finì per essere educato dal centese Alessandro Falzoni Gallerani, riuscendo a vincere
101 gare (nelle altre 27 piazzato) in un’epoca in cui in Italia le corse di cavalli quasi non si sapeva cosa fossero. La bravura di Mario Natucci è averne
fatto una biografia dal tono antiepico e giornalistico. Leggendo Veloce come
Vandalo (Nomos Edizioni, 14,90 euro) la prima sensazione è la distanza che
si percepisce dall’Italia sgangherata di Minghetti e Depretis, il dinamismo
degli emiliani che con un cavallo tracciano un solco di modernità rispetto
alla farragine della politica. La seconda è che al centro di una storia c’è un
cavallo elegante e drammatico, che fa della corsa la propria ragione di vita;
la terza è che la sua incapacità, ormai pensionato, di assistere a una corsa da
spettatore, possiede il soffio della tragedia. In un Paese di commedianti come il nostro, Vandalo era semplicemente un italiano anomalo.
O
ra parlo di un libro diversamente bello, per chi pratica i territori dell’immaginazione del passato. Per rendere al meglio le foto di
Vincent Cunillère, il formato è un desueto oblungo di profumate pagine
patinate. Storie di pietra (Saggi Einaudi, 40 euro) è fatto in gran parte di
immagini di sculture su portali di chiese romaniche francesi, il posto dove
meglio si concentravano racconti e ammonimenti al fedele. Nonostante
l’introduzione di Michel Pastoureau abbia i crismi del discorso assennato e fuori da autocompiacimenti accademici, il viaggio è tutto nel gusto
largo per le sirene-arpie di Aulnay-de-Saintonge o i testoni di St. Gilles
o lo Zodiaco di Vézelay. Guardando questi marmi sprofondati in un silenzio gravido e sfuggente, sembra che Michelangelo e Donatello, Bernini e Brancusi non abbiano inventato ma riscoperto. Come vorrei che una
mattina il funzionario Einaudi sibilasse: «Il romanzo con fascetta su cui
puntavamo tanto ha venduto meno di Pastoureau». Lasciatemi sognare.
{ DI G I U S E P P E M A R T I N I }
MAR ZO
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