gli undici verbi della carità

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gli undici verbi della carità
Parrocchia S. Zeno, Treviglio, via C. Terni n. 24
Tel. 0363/49752; Fax 0363/596189;
e mail:[email protected].
Catechesi degli adulti n.
2.
“Per una chiesa che serve ”
nel 25° anniversario della consacrazione della chiesa
Stiamo riflettendo in questo anno sulla Chiesa.
La volta scorsa, abbiamo visto che dall’Eucaristia nasce una Chiesa della carità, una Chiesa che serve.
Abbiamo visto anche che L’Eucaristia dice come deve essere il servizio di carità della parrocchia, che cosa deve avere a
cuore, a che cosa deve tendere.
Questa sera ci domandiamo:
Quali azioni il servizio di carità
carit domanda?
Leggiamo la parabola del Samaritano (Lc. 10, 30-35)
per scoprire
gli undici verbi della carità
Innanzitutto è bene liberarci dall’equivoco che la carità è frutto del nostro
buon cuore, della nostra bontà, quasi fosse un merito da vantare davanti a Dio. La carità non è qualcosa per
cui Dio debba ringraziarci, ma qualcosa per cui dobbiamo ringraziare Dio.
Cerchiamo nella parabola gli undici verbi della carità.
1. Era in viaggio.
Un Samaritano era in cammino. E’ importante essere in cammino.
Noi invece, tante volte siamo seduti.; tante volte ci facciamo prendere dalla sfiducia che tanto le cose non cambiano.
E’ necessario mettersi in viaggio sulla Gerusalemme - Gerico.
Gerusalemme è la città della contemplazione, del Tempio, del rapporto con l’Assoluto, dell’Ultima Cena,
dove si consuma la morte del Signore, il luogo della risurrezione, della Pentecoste.
Gerico è la città dell’azione, della concretezza, della cronaca nera, che ha per protagonisti dei briganti.
La Gerusalemme - Gerico è la strada su cui la fede interseca la storia, la speranza incrocia la disperazione, la carità
imbatte la violenza. Dobbiamo muoverci, non possiamo essere una parrocchia sedentaria.
2. Gli passò
pass accanto.
Non dice gli passò sopra: la Chiesa non deve passare sopra la gente.
E’ necessario essere molto rispettosi delle persone, attenti al volto della gente.
Passare accanto significa rispettare i volti uguali e distinti.
Passare accanto vuol dire anche amare il mondo, fare compagnia al mondo, preoccuparsi che la sua cronaca di
perdizione diventi storia di salvezza.
Passare accanto significa prendere atto della presenza degli altri, che non tutti si identificano con il nostro gruppo, con
la parrocchia, con le nostre idee.
Passare accanto significa rispettare le minoranze ..
Passare accanto significa essere discreti nelle espressioni esteriori della nostra fede
Passare accanto non significa annessione, accaparramento, proselitismo
Passare accanto mi sembra bellissimo e anche molto dolce
3. Lo vide.
“Donaci, Signore, di vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli”
Il vedere è un dono che dobbiamo chiedere al Signore.
La parrocchia deve essere l’osservatorio dei poveri nuovi e vecchi, perché i poveri esistono ancora e sono più numerosi
di quello che si pensa.
La povertà non è solo quella del denaro, ma anche la mancanza di salute, la solitudine affettiva, l’insuccesso
professionale, la disoccupazione ... gli handicap fisici e mentali, le sventure familiari e tutte le frustrazioni che
provengono dall’incapacità ad integrarsi nel gruppo umano più prossimo ..
Questi poveri li abbiamo sempre fra noi: sentiamo il loro fiato sul collo.
4. Ne ebbe compassione.
Il testo greco indica le viscere, il cuore.
Il Samaritano è figura di Gesù che ebbe compassione …
Avere compassione significa sentirci provati anche emotivamente. Dobbiamo chiedere al Signore la grazia
dell’indignazione. Non possiamo essere gelidi come il ghiaccio: dobbiamo lasciarci coinvolgere nella vita dei
poveri.
Avere compassione vuol dire, anche, guardare la storia e la geografia dall’angolo dei poveri.
Metterci in corpo l’occhio dei poveri, come si dice in America latina.
Avere compassione vuol dire essere una spina nel fianco del mondo: essere disturbatori del manovratore.
5. Gli si fece vicino.
E’ tipico della parrocchia essere vicina alla vita della gente.
Farsi vicino vuol dire condividere con il poveri le nostre ricchezze, fare chiarezza sui nostri bilanci, adoperarsi perché
le uscite in favore dei poveri siano più consistenti; essere gratuiti sempre
Farsi vicino vuol dire condividere con i poveri la loro povertà, parlare il loro linguaggio, entrare nel loro mondo ..
Farsi vicino vuol dire educarsi alla povertà.
“Non si nasce poveri, poveri si diventa, come di diventa avvocati, ingegneri … Si diventa poveri dopo una
trafila di studi, dopo lunghe fatiche. L’allenamento deve essere costante: quella della povertà è una carriera tra le più
complesse, richiede un tirocinio difficile, tanto difficile che il Signore Gesù si è voluto riservare direttamente
l’insegnamento … da ricco che era si è fatto povero per voi (2 Cor.8,9) Il Signore ha fatto una brillante carriera: si è
fatto povero e ce la voluta insegnare“ (T. Bello)
6. Gli fasciò
fasci le ferite.
E’ il Samaritano dell’ora giusta.
E’ vero che bisogna andare alla causa dei mali, occorre conosce i meccanismi perversi che generano sofferenze e
povertà, perché le cause di tante situazioni disumane non sono fatalità, ma hanno un nome; occorre lottare sulle radici
dei mali per strapparle, ma intanto occorre tamponare e fasciare le ferite, non perdere tempo, prestare le cure del
pronto soccorso se il povero sta perdendo sangue.
7. Versò
Vers vino e olio.
L’olio e il vino manifestano la precarietà, non risolvono il problema tant’è che il samaritano è costretto a
mettere il ferito sul suo giumento e portalo alla locanda.
Però in tutto questo vi è un grosso insegnamento: non risolvono i problemi, ma cambiano la mentalità. Con questi
gesti di accoglienza, di attenzione .. la comunità diventa una provocazione, obblighiamogli altri a pensare, a muoversi.
8. Lo caricò
caric sul suo giumento.
E’ il samaritano dell’ ora dopo.
Il Samaritano si accorge che con i suoi poveri mezzi non riuscirà a risolvere la situazione ..
Infatti non basta il buon cuore, occorre il buon cervello.
E’ necessario nella parrocchia avere momenti di riflessione, di analisi, di confronto serio sulle tante situazioni di
povertà: cercarne la cause.
E’ necessario conoscere i meccanismi perversi che generano le sofferenza; conoscere la macchina che produce i
malanni: la disoccupazione, la precarietà, l’emarginazione, la miseria, lo sfratto, la droga, la prostituzione …
9. Lo portò
port alla locanda.
Il samaritano si accorge di non farcela con i suoi mezzi.
E’ il discorso del rapporto con le istituzioni pubbliche, con i servizi sociali.
La comunità deve essere coscienza critica nella città, stimolare quello che va fatto dalle istituzioni, ma offendo tutta la
propria collaborazione.
10. E si prese cura di lui.
E’ l’ultimo verbo del Samaritano dell’ ora dopo. E’ bellissimo.
“Mi sta a cuore” è la scritta che don Milani ha messo all’ingresso della scuola di Barbiana
Se i poveri non stanno a cuore alla comunità, non si dà loro niente.
Non basta la casa, un tetto, il cibo … occorre un lembo della nostra vita, del nostro mantello, perché il tetto, da solo,
non copre, come la minestra non scalda se non c’è un po’ di alito umano. Molte volte la gente non ha bisogno del
piatto, ma della tovaglia che sta sotto, cioè della tenerezza.
“Mi sta a cuore” è la tenerezza della carità.
Non si tratta tanto di allestire delle opere, di mettere in piedi degli uffici … si tratta di chiamare per nome, di
imparare il nome delle persone, dei poveri.
Il Signore guarda le stelle e le chiama per nome, ad una ad una, ed esse rispondono: “Eccomi”, brillando di gioia.
Questa carità non porta sempre gratificazioni, ma anche delusioni, fallimenti, tradimenti, ingratitudine anche da parte di
chi si è cercato di aiutare … ma questo non deve scoraggiarci
11. Il giorno dopo estrasse due denari.
E’ il prezzo che la Chiesa deve pagare in termini di tempo.
Il Samaritano ha perso del tempo, arrivando al giorno dopo.
Anche noi dobbiamo essere capaci di perdere tempo.
Occorre perdere del tempo per vedere le necessità dei fratelli.
Ma occorre anche impegnare denaro
Occorre vedere quanto nei nostri bilanci, riserviamo alle opere di carità ..
Conclusione
Tante volte pensiamo di essere noi a portare il lieto annunzio ai poveri.
Ma loro vivono meglio di noi alcuni valori come l’abbandono fiducioso alla Provvidenza, la solidarietà nella sofferenza.
.I poveri sono provocazione di Dio per un mondo più giusto, più libero, più in pace.
Le nostre Chiese devono fare più spazio ai poveri.
I poveri devono essere presenti nella comunità come protagonisti
Le nostre Chiesa devo accogliere i doni dei poveri.
Siamo spesso incapaci di ricevere, siamo bravi solo nel dare
Il cuore della comunità dovrebbe assomigliare a quello di S. Francesco d’Assisi, il quale voleva un gran bene ai poveri
perché era innamorato di Gesù, il quale “da ricco che era, si è fatto povero”