i coniugi amendolagine - Centro studi "Edith Stein"
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i coniugi amendolagine - Centro studi "Edith Stein"
DUE CUORI INNAMORATI IN CRISTO GESU’ PREFAZIONE L’incontro con l’esperienza umana e religiosa dei coniugi Lelia ed Ulisse non può non destare ammirazione, non può non essere un’occasione propizia per riflettere con serietà sul proprio modo di vivere da cristiani dentro l’ordinarietà del quotidiano, nei rapporti familiari. Un’esperienza tessuta tutta attorno alla fede nel Dio di Gesù Cristo, un cammino appassionato, costellato di gioie e dolori, verso la comunione con Dio, verso la santità. La relazione coniugale di Lelia ed Ulisse sembra essere la concretizzazione storica ed esistenziale della rivelazione contenuta nella Lettera agli Efesini del matrimonio come sacramento dell’amore che unisce Cristo alla Chiesa, sua Sposa. Si resta stupefatti e pensosi nel vedere come una comune storia d’amore tra un uomo e una donna e una famiglia costruita attorno a questa storia possano divenire il luogo in cui si rende percepibile la bellezza significativa dell’avvenimento cristiano: donazione di senso all’esistenza che altrimenti precipita nell’abisso della disperazione e del nulla. Un avvenimento che cambia il modo di intendere il rapporto con l’amato/a e quello con i figli e che rende capaci di gettare uno sguardo diverso sugli eventi della vita e di cogliere il significato della sofferenza, del dolore e della morte dentro una prospettiva salvifico-escatologica. Dalla vita degli sposi Amendolagine emerge un’indicazione pedagogicamente rilevante e vincolante per ogni coppia cristiana, quella di educare i figli ad aprire il loro cuore all’amore di Dio, a crescere in questo amore, attraverso i piccoli gesti della vita, attraverso cioè una fede che penetra e innerva la quotidianità I padri e le madri di oggi, in un mondo sedotto dalle suggestioni dell’edonismo nichilistico, si preoccupano di garantire ai figli un presente opulento e un futuro ricco di beni materiali, di successo e potere mondano. Sui figli, quasi un prolungamento del proprio Io, si riversano tutti i propri desideri frustrati di gloria, di ricchezza e di prestigio sociale. E invece i figli sono un dono di Dio, da custodire aiutandoli a crescere nella scoperta della loro vocazione, del compito cui sono chiamati dal Signore. L’impatto inatteso con questa meravigliosa esperienza di amore mi ha condotto ad un cammino di rivisitazione critica della mia vita e a percepire meglio la genialità della donna – in questo caso della mia dolce e paziente sposa - nell’entrare empaticamente nel cuore dell’essere umano per raccontarne con passione bruciante e delicatezza la storia. AMEDEO GUERRIERE ocds 1 INTRODUZIONE Cosa c’è di straordinario nel legame d’amore che unisce Lelia e Ulisse Amendolagine? Una normalissima famiglia dove, apparentemente, non accade nulla di straordinario. Si incontrano secondo le usanze dell’epoca attraverso una richiesta di matrimonio fatta ai genitori di lei senza che si conoscessero, accettano di frequentarsi e di approfondire un rapporto intuito come possibile unione per la vita intera, si innamorano e nella stima reciproca acconsentono a trasformare le loro esistenze dentro un disegno comune di condivisione e di convivenza sostenendo la fatica del matrimonio e della crescita dei loro cinque figli e godendo delle gioie dell’amore coniugale: come accade per tante coppie. Dov’è allora la santità di questa coppia? Ciò che li rende santi è la loro capacità straordinaria di ricollegare ogni gesto quotidiano, ogni azione, che tutte le famiglie compiono per dovere di scelta, al soprannaturale. La trama della quotidianità diviene un disegno divino ed umano nello stesso tempo: si vivono i gesti di ogni giorno, gesti normali, di routine, trasformati e guardati come occasioni di incontro con il volto del Dio incarnato. Questo rappresenta lo straordinario di Lelia e Ulisse: una famiglia che diviene il luogo della contemplazione di Gesù, l’occasione costante di intrattenersi in un dialogo d’amore con il proprio Diletto attraverso i volti di coloro che abitano la loro casa. 2 INIZIO DI UNA VITA DI COPPIA Ulisse Amendolagine nasce il 14 maggio 1893 a Salerno, ma a causa del lavoro del padre, si trasferisce spesso, con tutta la famiglia, da un luogo all’altro dell’Italia, fino a sostare definitivamente a Roma. Qui frequenta l’università di giurisprudenza laureandosi nel 1917; lavorerà assumendo nel tempo varie qualifiche come impiegato del Ministero dell’Interno. Lelia Cossidente, invece, nasce il 4 maggio 1893 a Potenza e, come Ulisse, si trasferisce a Roma con tutta la sua famiglia. Consegue la licenza normale, insegna per un anno in una scuola elementare per poi lavorare come bibliotecaria per dieci anni, fino alla scelta del matrimonio proposta dal padre di Ulisse alla madre di Lelia nell’autunno 1929 e accettato da entrambi con il desiderio di approfondire una sottesa simpatia reciproca. “I caratteri dei due sposi sono molto differenti, potremmo dire anche opposti, ma le idee fondamentali sono identiche. La fede, nelle manifestazioni anche esterne, è alla base della vita che si accingono a condividere. Non sarà una questione privata, come spesso accade, ma una luce attraverso la quale tutti gli avvenimenti della famiglia verranno visti insieme e insieme discussi, interpretati e accettati”1. Si sposano il 29 settembre 1930 a Roma nella Parrocchia di S. Teresa al Corso d’Italia, ma non all’altare Maggiore, bensì in uno laterale dedicato a S. Teresa di Gesù Bambino. Una unione che nasce sotto lo sguardo di una grande stella del Carmelo, che ha disseminato il suo cammino di santità di piccoli fiori di sacrifici, di rinunce, di gioie, di canti di amore per il suo Signore, sguardo che accompagnerà Lelia e Ulisse nei momenti più difficili della loro vita, come una presenza che sostiene, rincuora e riconduce ogni volta fiduciosi tra le braccia del Padre. Nell’arco dei primi sette anni di matrimonio nascono i loro figli: Leonardo (30 agosto 1931 ), Giuseppe ( 06 ottobre 1932 ), Roberto ( 11 gennaio 1934 ), Francesco ( 27 maggio 1935 ) e Teresa ( 28 maggio 1937 ). Ulisse provvede a sostenere economicamente la numerosa famiglia con il suo lavoro d’ufficio e Lelia “santificherà” la sua vita al servizio di coloro che gli vengono affidati: il compito della maternità è vissuto come accettazione gioiosa di una missione che le viene affidata direttamente da Dio il quale riversa nel suo grembo nuove vite accolte da Lelia, insieme al suo sposo, come figli di Dio e amorevolmente sostenuti nella convinzione che a Dio devono essere ricondotti. La scelta dei nomi non è casuale; per ognuno c’è il richiamo ad un Santo Protettore invocato in segno di affidamento e richiamato come esempio e guida che tacitamente accompagna. Lelia conserva un quadernino per ogni figlio su cui appuntare eventi di una certa rilevanza quali la fine di una malattia, il percorso di crescita, i progressi, le conquiste; sulla copertina di ognuno c’è il nome di battesimo e 1 P. Raffaele, Tutto si muove. Racconti di un figlio attraverso ricordi e lettere, Ragione Tipografica Brindisi, 1998, p.19; Questo volume raccoglie numerosissime lettere inviate da Lelia e Ulisse prevalentemente al figlio Giuseppe (p. Raffaele) integrate da commenti e ricordi personale dello stesso. Le lettere, raccolte seguendo un ordine cronologico, sono numerate, pertanto saranno citate facendo riferimento a tale numerazione. 3 la nata, non di nascita, ma del giorno in cui si festeggia il santo di cui si porta il nome. Ogni figlio introduce in famiglia, per mezzo del suo nome, una presenza del cielo, spalanca i cuori di ognuno all’accoglienza di un faro che illumina la strada, sprona l’avanzare e sostiene quel percorso verso la terra desiderata. Realmente i figli crescono con la compagnia di una innumerevole schiera di santi, invocati in tutte le circostanze della vita come potenti intercessori presso Dio, ma non con la superficialità di chi trasforma la preghiera in strumento di superstizione o di magia per ottenere la riuscita dei propri progetti, ma con la serietà e la coscienza di chi, convinto di vivere completamente in affidamento alla volontà di Dio, si intrattiene con gli abitanti del cielo per stabilire una comunione di intenti. Come in tutte le famiglie nascono i problemi circa l’educazione dei figli, le loro scelte scolastiche, i loro rapporti con i coetanei; in più si aggiungono le difficoltà economiche durante la guerra, le privazioni a cui debbono sottostare per mancanza di denaro e la paura per i bombardamenti che colpiscono Roma. I cinque bambini maturano la loro personalità in un momento storico che facilmente li avrebbe potuti segnare negativamente per il dilagante clima di terrore: solo la fiducia nella Divina Provvidenza e il costante ricorso alla preghiera di Lelia e Ulisse trasformano le situazioni negative della vita in occasioni di intense invocazioni. Ricorda uno dei figli che durante i bombardamenti notturni si alzavano dal letto e, senza abbandonare la casa, si raccoglievano al centro dell’appartamento, nel punto in cui si era lontani dalle finestre e protetti dai pilastri di cemento armato; accendevano la candeletta della Candelora, si posizionavano tutti intorno e pregavano: Ulisse portava con sè il libro dell’Imitazione o il Piccolo Ufficio della Madonna, mentre Lelia intonava la lode a Maria recitando il rosario2. Posti come dentro una nicchia, ricercano sicurezza illuminati dalla luce della fede e invocano protezione collocandosi sotto il manto di Maria; i figli, presto, si addormentano cullati e rasserenati dalle tante Ave Maria ripetute. Nel tempo della paura e dello smarrimento la preghiera diviene per la comunità familiare il luogo dove attingere “fortezza”. Quando giungono gli alleati, Roma è in festa, la gente si riversa, numerosa, nelle strade per inneggiare i “salvatori”; ma Lelia dice al figlio: “Andiamo a ringraziare il Signore!”. Giuseppe racconta che si incamminano tra un fiume di persone che osannano gli americani e giungono nella chiesa di Santa Teresa per trovarla completamente vuota: “Vedi, Giuseppe - dice Lelia - nessuno si ricorda del Signore!’ Così mamma e figlio si mettono in ginocchio davanti al Santissimo, e ringraziano Dio per tutti i pericoli scampati. Pregano per la pace, per coloro che ancora stavano sotto l’incubo dei tedeschi e per coloro che forse già si erano dimenticati di Dio. 3 La presenza di Dio è resa visibile costantemente agli occhi dei figli con l’attenzione di una madre e di un padre che riconoscono come “tutto è grazia”, e tutto è reso al Signore, certezza alimentata dal ritrovarsi ogni sera, nel segreto della loro stanza nuziale, inginocchiati insieme davanti al Signore. Da questa fonte comune Ulisse attinge l’ispirazione per la lettura meditata di racconti biblici che, solitamente di domenica, fa ai suoi figli; Lelia, con il suo senso pratico, prepara altarini al centro della casa nelle varie festività liturgiche intorno ai quali anima momenti di lode per tutta la famiglia: “tutto concorreva a farci pensare alla vita eterna. La preghiera e la presenza di Dio erano i mezzi più efficaci per ottenerla. Mamma e papà la desideravano per loro stessi, per noi, e per tutta la parentela”4. 2 ibid., p.39 Ibid., p.47 4 ibid., p.63 3 4 Il figlio Giuseppe ci testimonia che le preghiere non erano mai ripetitive. Solo per il mese di maggio la mamma fa recitare un solo mistero del Rosario seguito da una breve meditazione e dalla lettura di un esempio. Poi, ogni giorno, un fioretto particolare come impegno concreto di un amore che si prova anche con le opere: il momento del raccoglimento veniva accompagnato da canti alla Madonna. La preghiera quotidiana era composta da un Padre Nostro, dall’Ave Maria e sempre dall’Angelo di Dio. La raccomandazione delle persone care era fatta, come oggi si usa, in forma di “preghiera spontanea”, lasciando parlare liberamente il cuore che utilizza la voce per manifestare la capacità di vivere quel legame empatico che fa cogliere le pene e le gioie degli altri e fa mendicare al loro posto, con intima partecipazione. Nessuna Ave Maria per questo o per quello; un figlio commenta che i genitori gli avevano insegnato che “l’Ave Maria era una preghiera alla Madonna e basta. Poi le intenzioni venivano espresse ma senza condizionarle a questa o a quella preghiera”. Viene comunicata l’immagine di un Dio vivo, dal volto misericordioso e compassionevole, presente nella vita del suo popolo, in mezzo al quale si ode la sua voce confortante, che sostiene, ama e rincuora; non un Dio da cui “comprare” favori, protezione, per mezzo di rituali, di formule, utilizzati troppo spesso come strumenti per accattivarsi un intervento divino a proprio favore, secondo i propri miserevoli progetti. Ulisse, perplesso, scrive al figlio Giuseppe in stile telegrafico: “Roberto scrive avere recitato Ave Maria per i genitori; noi non dovere credere quelle parole dette davvero, ma distrattamente”.5 La presenza di Maria è altrettante reale e veritiera, poiché accolta come Colei che sta accanto e protegge, come fa Lelia, come fa ogni madre che non abbia messo a tacere la propria naturale inclinazione a darsi per la felicità dei figli. E Lelia insegna ai figli a vivere con una tale presenza al fianco, a farne memoria anche nelle situazioni più banali della vita. Ci racconta Giuseppe: “Senza difficoltà avevo imparato a contare il tempo con le Ave Maria. Così, quando ero ammalato, per tenere il termometro più che guardare l’orologio calcolavo i minuti con le Ave Maria. Anche in cucina, nel fare cuocere i biscotti con il ferro, dovevo dire un’Ave Maria tenendo il ferro sul fuoco da una parte e un’Ave Maria tenendola dall’altra…”6 L’intera famiglia fa spesso visita al Santissimo Sacramento: come in un pellegrinaggio che unisce i cuori della moltitudine di coloro che si incamminano insieme verso la casa di Dio, così questa piccola comunità cresce e si rinvigorisce alla presenza di Gesù custodito nel Tabernacolo. E’ talmente incisivo il fervore con il quale questa coppia si prostra in preghiera da divenire richiamo ineludibile pei i figli i quali, nel guardare, imparano ad intrattenersi con Dio. La forza dell’esempio opera ciò che nessuna raccomandazione, anche ripetuta, è capace di creare: ciò che è incarnato nella vita di due genitori viene direttamente trasmesso non ad opera di vuote parole, ma con una testimonianza che mostri, in un sol colpo, il Bene, il Bello, il Vero che nell’intimo si desidera. La famiglia Amendolagine, con estrema naturalezza, è abituata ad entrare nella chiesa che incontrano lungo il loro cammino: avvertono la presenza di Gesù che discretamente attende.7 Nella mente dei figli è viva, ancora oggi, l’immagine di Lelia che se ne sta, per non poco tempo, raccolta in ginocchio, con gli occhi bassi, 5 Ibid., p.183, lettera n. 109 Ibid., p. 65 7 ibid., p.59 6 5 senza guardare intorno, e che li invita a fare altrettanto, ponendo le mani davanti agli occhi per impedire alla vista di distrarre il cuore e la mente. L’amore per il Signore alimentato dalla preghiera continua dei due sposi viene elargito agli altri per mezzo di continue attenzioni caritatevoli. Lelia non si occupa solo dei suoi figli; vi sono diversi episodi raccontati da Giuseppe che la descrivono nella sua costante abnegazione nel portare aiuto ai suoi parenti nelle varie necessità della vita e nella delicatezza che usa , e che insegna ai figli, nel prodigarsi per sostenere quelle famiglie di cui conosce la povertà materiale. Anche in tempo di difficoltà economiche, Lelia sa mostrare il suo cuore caritatevole. Una volta stava tornando a casa dopo aver tentato di fare la spesa: non era riuscita a trovare nulla! Giunta al portone di casa le si avvicina un uomo in bicicletta e le offre delle uova. Lelia esclama al figlio che l’accompagna: "Vedi la Divina Provvidenza? ". Dopo aver patteggiato il prezzo le compra, ma subito dopo scopre l’imbroglio: tutte le uova sono marce, ma Lelia, piuttosto che lasciarsi andare a sfoghi di rabbia, coglie l’occasione per riconoscere la miseria umana ed invocare l’intervento misericordioso del Dio Amore: "La Divina Provvidenza questa volta ha aiutato lui! Chissà da dove veniva, poveretto, che Dio lo perdoni!”8 Ulisse affronta il suo lavoro d’ufficio con la disposizione di chi vive quotidianamente i propri impegni come risposta ad una vocazione che viene dall’alto, vocazione che chiede di porsi costantemente al servizio degli altri. La serietà con la quale affronta il suo lavoro lo porta a rifiutare tutte le occasioni delle quali avrebbe potuto approfittare per superare le difficoltà economiche della famiglia: ogni “dono” che giunge come segno di ringraziamento per una pratica sbrigata, viene rifiutato con fermezza. Capita spesso che alcune persone si rechino personalmente a ringraziarlo; capitò che una di esse si presentò in casa in sua assenza e lasciò alla madre di Lelia, come segno di riconoscenza per una pratica sbrigata, del denaro unitamente ad un mazzo di fiori. Al suo ritorno Ulisse manifestò con fermezza il suo disappunto: pur avendo bisogno di soldi, riconsegnò per mezzo di un vaglia telegrafico quanto non gli apparteneva, mentre i fiori li fece portare in chiesa. 9 La stessa onestà insegna, insieme alla moglie, ai figli, non solamente per un arido rispetto delle regole della moralità, ma soprattutto per tenere il cuore aperto al riconoscimento della presenza onnipervasiva di Cristo che spinge a divenire “pane spezzato” per tutti. 8 9 Ibid., p. 44 Ibid., p. 56 6 IL VALORE DELL’AMICIZIA Durante il periodo dell’università, Ulisse si iscrive al gruppo di universitari cattolici e instaura una amicizia con Roberto Ronca il quale, divenuto sacerdote, sarà Rettore del Seminario Romano Maggiore e, in seguito, Arcivescovo di Pompei. Una amicizia, dunque, che ha il suo inizio nel periodo degli studi, subito dopo il suo arrivo a Roma, che diverrà un grande punto di riferimento durante la guerra e che verrà mantenuta a lungo, fino a che Ulisse avrà l’opportunità di conservarla in vita. Tra i due vi è anche una corrispondenza epistolare, circa una ventina di lettere conservate scritte da Ulisse, che evidenziano la sua partecipazione ad un legame dentro cui si sviluppano sentimenti di ammirazione, di rispetto, di riconoscenza che gli permettono di sperimentare la gratuità dell’amore amicale. Negli anni della II guerra mondiale la crisi si abbatte anche sulla famiglia Amendolagine; per un periodo Ulisse è costretto ad un “riposo” forzato dal lavoro. Il suo impiego lo porta ad occuparsi di pratiche relative alla concessione della cittadinanza italiana e con i tedeschi al potere si teme per la sua sicurezza: l’amico Mons. Ronca gli offre ospitalità nel Seminario Romano Maggiore dove vi rimane nascosto per qualche tempo. In questo clima di disagio e precarietà, i viveri scarseggiano e Ulisse fatica a procurarsi il denaro necessario per sostenere la famiglia: Mons. Ronca viene ancora in aiuto rifornendo l’amico di pane, latte e pacchi “straordinari” contenenti pasta e zucchero. Una volta manda a casa un quintale di barbabietole, un quintale di castagne e cinquanta chili di stoccafisso che saranno utili a garantire una base di nutrimento per diversi mesi.10 Questa situazione di povertà fa emergere l’umiltà di Ulisse, l’atteggiamento del mendicante che tutto attende con fiducia illimitata. Il figlio racconta che quando stava per finire lo stipendio andava a portare gli ultimi spiccioli agli orfanelli di S. Giuda Taddeo, sceglieva di andare a piedi quasi ad esprimere un procedere pellegrinante che invoca l’intervento risolutore della Provvidenza. Il senso di gratitudine nei confronti dell’amico lo accompagnerà per tutta la vita. Glielo dichiarerà anche quando, quest’ultimo, non avrà più la possibilità di venirgli in soccorso. Rifugiato a Tagliacozzo, Ulisse gli scrive una lettera: “In una settimana, facendo il conto, ho speso tre volte di più di quello che spendo a Roma…per nutrire la famiglia ho dovuto comprare generi di cattiva qualità – del tutto scadente – pagandoli molto cari! Come allora ho pensato a te e a quello che hai avuto la bontà di fare per me! “11. Ma Mons. Ronca rappresenta per Ulisse anche un punto principale di riferimento nella vocazione dei figli. Quando Francesco, all’età di dieci anni, manifesta il desiderio di entrare in seminario, Ulisse chiede ripetutamente consiglio all’amico: Ronca è per Ulisse la persona capace di discernere questa vocazione, di valutarne l’autenticità; si affida al giudizio dell’amico sacerdote affinché emerga la volontà di Dio, al di là dei desideri umani di un padre che amerebbe avere un figlio 10 11 Ibid., p. 47 Lettera a Mons. Ronca del 1-06-43 7 sacerdote, al di là dell’entusiasmo di un figlio che si dichiara pronto per un tale passo. Ulisse diviene quasi assillante nel richiedere probabilmente un consiglio definitivo: la decisione da prendere grava sulla coscienza di un uomo che, completamente abbandonato nelle mani di Dio, cerca di guidare il figlio verso una strada battuta dal Signore per lui. Scrive all’amico: “Ti confesso che la scelta di uno stato di vita fatto a quell’età non la capisco. Come può capire Francesco? Io non vedo nulla di straordinario in lui, nessun segno di precocità. Intendo benissimo, d’altra parte, che non sta a me di giudicare tal cosa e che l’unica cosa che io debba fare è di rimettermi completamente a fare la volontà di Dio”12. La risposta di Mons. Ronca giunge come una indicazione che il cuore ascoltante di Ulisse accoglie e medita costantemente: “attendere, custodendo la vocazione”13! Tre figli giovanissimi si allontanano per seguire i richiami di un cuore che sprona ad abbracciare una vita consacrata; Lelia e Ulisse non li incoraggiano, ma nemmeno frenano i loro desideri: accompagnano con maturità e stanno accanto, vigilanti e pronti a riaccogliere qualora l’impresa si rivelasse troppo ardua. “Sei contento?” chiedono insistentemente ad ogni lettera e ad ogni incontro ai figli partiti: poiché chi percorre la strada voluta da Dio manifesta nel volto e nello stile di vita i segni di una presagita contentezza effettivamente trovata e vissuta anche nella fatica del procedere. L’amicizia con Ronca va avanti. Nel leggere le lettere colpisce la fedeltà che Ulisse conserva sempre nei confronti dell’amico: scrive e confida le sue pene, le sue preoccupazioni, le sue gioie con affetto, con apertura e sincerità, senza nulla nascondere. Probabilmente a causa del ruolo autorevole che riveste, Ronca non si mostra altrettanto prodigo di particolari: risponde con poche righe, anche se in maniera calorosa e partecipata. Ulisse non si lascia intimorire, non è bloccato nel portare la sua vita nelle mani dell’amico: l’amicizia è salda nel cuore di Ulisse che nulla pretende e che sembra vivere la gioia dell’attesa del donarsi gratuito dell’altro. 12 13 Lettera a Mons. Ronca del 6-06-46 Lettera di Mons. Ronca del 8-06-46 8 IL DISTACCO Il figlio Francesco nel 1946, dopo aver terminato la scuola elementare, decide di continuare gli studi nel seminario dei Fratelli delle Scuole Cristiane ad Albano14; il figlio Giuseppe, il 4 ottobre 1947, all’età di 15 anni, lascia la famiglia per abbracciare la vita da consacrato nell’Ordine dei carmelitani scalzi a Montevirginio; qualche giorno più tardi, il 18 ottobre 1947, anche Roberto intraprende il cammino del sacerdozio raggiungendo il fratello Francesco ad Albano. Ulisse vive queste vocazioni come un segno dei tanti miracoli che la bontà del Signore continuamente compie a suo favore; non si oppone, ma cerca di capire, di discernere, di esaminare anche con l’aiuto di amici sacerdoti, e quando è confortato sull’autenticità delle scelte dei figli, accompagna e si immola insieme a loro. Giuseppe racconta che qualche giorno prima della sua partenza definitiva il padre lo convoca, insieme ai suoi fratelli, nella sua camera dove aveva preparato un altarino sul comò: colloca la statua del Sacro Cuore, delle candele e un vaso con dell’acqua santa. Prende un Vangelo e legge una citazione: “Nessuno ha lasciato casa o genitori, fratelli…(Luca XVII – 29) “. Poi la trascrive sulla prima pagina insieme ad una dedica e la consegna al figlio: “Nel giorno del distacco ricordiamoci e confortiamoci leggendo il Vangelo: Tuo padre Ulisse – Frà Giovanni della Croce”. Asperge il figlio con l’acqua santa, lo benedice e segna la sua fronte con un segno di croce15. Lo stesso rito viene ripetuto in occasione della partenza di Roberto: “Ieri mattina alle 7,30 lui stesso ha apparecchiato l’inginocchiatoio, l’acqua benedetta, la candela benedetta, il calamaio, la penna ed il Santo Vangelo. Recitato il Pater Noster e l’Ave Maria, ho scritto la dedica sul Vangelo: nel giorno doloroso della tua partenza ci sia di conforto questo Santo Vangelo. Poi con la palma benedetta, l’ho asperso con l’acqua santa.”16. Ulisse, poi, accompagna il figlio ad Albano che, ad un certo punto, cede alla commozione di dover lasciare i suoi genitori: “gli ho domandato se voleva tornare a casa. Ha risposto “no”…Siamo usciti dal portone, ritornando senza Roberto a Roma. Tutto si muove, nulla sta fermo, nulla è definitivo ed ha importanza in questo mondo. Ma quanta tristezza in questi distacchi per noi genitori che siamo stati abituati per tanti anni alla vostra presenza!”17 Dopo la partenza di Giuseppe, avrà inizio un lungo rapporto epistolare con lui, il più distante da casa, il figlio meno visitato a causa della lontananza e delle regole del Carmelo che imponevano un rigore maggiore nel contatto con i propri familiari. Roberto e Francesco erano facilmente raggiungibili da Lelia e Ulisse i quali continuarono a seguirli costantemente con frequenti visite; nei confronti di Giuseppe il dolore per il distacco si fece avvertire subito con tutto il suo peso. In una delle prime lettere Lelia commenta questi distacchi improvvisi e ravvicinati: “io prego assai per te e non passa un attimo senza pensare a te, a te in 14 Francesco sarà costretto a lasciare la comunità religiosa il 4 novembre 1949 a causa di gravi e ripetuti problemi di salute. 15 P. Raffaele,Tutto si muove, op. cit., p. 74 16 Ibid., p. 79, lettera n. 4 17 Ibid., p. 80, lettera n. 4 9 modo speciale ed a Robertino e Francesco. Che vuoto in casa e che silenzio!…Papà quando ritorna dall’ufficio mi dice sempre ‘come si fa?’ Eh! Caro Peppone mio, si fa quello che Dio vuole e con quale dolore Lui solo lo sa”18. C’è molta malinconia in Ulisse e Lelia per l’assenza dei tre figli; il distacco è forte, intriso di sofferenza, di dolore: la croce di Cristo inizia ad incombere sulla vita dei due sposi che pur l’abbracciano acconsentendo ad un disegno di prematura privazione dell’affetto filiale. Ammiriamo sempre il coraggio di tutti coloro che, nel seguire il Signore, si distaccano dal calore e dalla sicurezza del sostegno familiare e che abbracciano, per questo, una esistenza di completo abbandono al volere di Dio, nella povertà, nella solitudine, nel dono totale di sé. Ma dimentichiamo il sacrificio, altrettanto drastico e travolgente, di coloro che, restando nelle proprie case, rinunciano, con lo stesso amore, alla consolazione che proviene dal contatto quotidiano con i propri cari. Lelia e Ulisse, nella loro santità, donano i loro figli al Signore nella convinzione che la vita di ognuno acquista il proprio senso nella misura in cui è rimessa totalmente nelle mani di Dio al quale si “lascia fare”, certi di realizzare, così, la migliore vita possibile. Entrambi si sentono deboli di fronte a questa prova dolorosa della quale, però, riconoscono la magnificenza, la straordinaria ricchezza che ne deriva. C’è il dolore di un padre che cerca di superare la sofferenza “somigliando al figlio”; come Giuseppe, anche Ulisse appartiene all’Ordine dei carmelitani scalzi. Scrive al figlio firmandosi anche con il nome da Terziario ‘fra Giovanni della Croce’: “carissimo Fra Raffaele (Giuseppe), vedi tu (Giuseppe) fra parentesi e Fra Raffaele fuori parentesi. Io (frà Giovanni) fra parentesi e Ulisse fuori. Infatti di fuori io vesto da secolare e tu vesti da religioso, di dentro siamo religiosi entrambi”19. C’è il dolore di una madre che, per natura, è portata a prendersi cura dei suoi figli colmandoli di affetto e che, ora, si vede privata di questo compito: mendica, così, attenzione dal figlio lontano che non può scrivergli con frequenza perché viene educato nel convento al distacco dagli affetti familiari. Lelia paragona la sua storia a quella di S. Teresina, la quale amava immensamente suo padre rimasto solo dopo aver donato tutte le sue figlie al Carmelo: “Figlio mio tanto caro, anch’io voglio scriverti una volta al mese…Ho sempre sul comodino la vita di S. Teresina: quanto bene voleva al suo papà! E quanto ne avrebbe voluto alla sua mamma! Certamente avrebbe domandato come stava e se le erano passati i soliti dolori. Ma ricevi le mie lettere? L’amore di Dio non esclude l’affetto per i genitori e Gesù non può essere geloso di una espressione affettuosa verso mamma!”20. Il silenzio di Giuseppe imposto dalle intransigenti regole del Carmelo diviene a volte insostenibile per Lelia: “verremo quando il Signore vorrà senza derogare dalle regole (troppo severe per me) dei Carmelitani Scalzi! Però io credo che il papà di S. Teresina andava molto spesso a trovare la figlia giovinetta come te”21. Ulisse non si lamenta come la moglie, quasi a voler dimostrare una maggiore capacità di autocontrollo, ma cerca una giustificazione umana e razionale al distacco che anche lui prova nei confronti del figlio lontano aumentato da un “silenzio” prolungato: “non so se l’Amministrazione della Posta e Telegrafi funzioni bene ad 18 Ibid., p. 81, lettera n. 5 Ibid., p. 87, lettera n. 10 20 Ibid., p.141, lettera n. 60 21 Ibid., p. 113, lettera n.32 19 10 Oriolo e se la posta e i postini recapitino all’Eremo tutte le lettere che ti mando. Altrimenti studierei il modo di reclamare presso la Direzione, qui a Roma”22. Quando Giuseppe (P. Raffaele), molti anni dopo, raccoglierà tutte le lettere dei suoi genitori per renderle pubbliche, aggiungerà un suo commento a queste affermazioni del padre: “non era la posta che non funzionava, ma la vita che dovevamo fare, la quale ci spingeva sempre di più al distacco dai parenti. Per parenti si intendevano anche i genitori. Ogni volta che si scriveva, le lettere passavano prima per le mani del Maestro, poi per quelle del Priore e se il primo permetteva pure di scrivere un po’ di più, il secondo faceva osservazione allo stesso Maestro perché ci educasse a maggior distacco…Inoltre i compagni che, per quanto buoni, vedendo che ricevevo molte lettere soffrivano non poco, dato che loro ne ricevevano poche. Alcuni non aveva i genitori che sapessero scrivere. Generalmente scrivevano due volte l’anno per Natale e Pasqua…Le lettere che ricevevo le leggevo, le conservavo e spesso non le avevo presenti quando rispondevo. Poi mi indirizzavo sempre in forma plurale: ‘Carissimi Genitori’. Evitavo espressioni troppo forti di affetto, anche se mamma l’adoravo. Per non soffrire cercavo di non pensarci troppo, ma le lettere le leggevo sempre più di una volta, soprattutto quelle di mamma, che erano più familiari”23. Questa dichiarazione ci rende maggiormente comprensibili gli sfoghi frequenti di Lelia, le insofferenze per un dialogo reso faticoso dalle poche parole che si potevano ricevere; un dolore, dunque, condiviso dal figlio e dai genitori accomunati, per questo, dalla fatica di portare una stessa Croce, quella di Cristo che si avvia verso il Calvario per la gioia della Redenzione. Ulisse, però, sa trovare il modo di ristabilire un contatto più sublime con i suoi figli donati al Signore: “Carissimo (Giuseppe) Frà Raffaele, stamattina mi trovavo al mio ufficio, solo, ho pensato a te e mi è venuta la nostalgia di vederti…Quando mi trovo nella Chiesa del Sacro Cuore in Via Piave, dove è esposto Gesù Sacramentato, guardando Gesù mi sembra di vedere te in Gesù e così pure tu quando fai orazione davanti al Tabernacolo pensa di vedere in Gesù Sacramentato me e tutti noi in unione con te. Così parlandoci in Gesù e attraverso Gesù non saremo più lontani, saremo vicinissimi e la nostra vicinanza non sarà semplicemente immaginaria, ma sarà reale, vera, palpitante, viva. Evidentemente il Signore ci ha fatto allontanare, perché noi potessimo essere più vicini a Lui, attraverso di Lui e con Lui. E ci diremo tante cose e chi potrà impedircelo?”24. La fede autentica di questi due sposi li riconduce ultimamente a Cristo: presenza viva nelle circostanze della vita, nei volti di coloro che si incontrano nella quotidianità, ma soprattutto fonte di unione concreta capace di superare i limiti del tempo e dello spazio in un abbraccio immensamente più edificante di qualunque contatto umano. Gesù Eucaristia apporta quella pace, quella serenità, quell’amore nei cuori trafitti di Ulisse e Lelia: “nel fare la S. Comunione avevo l’impressione di toccare te e Roberto e Francesco”25. 22 Ibid., p. 140, lettera n. 59 Ibid., p. 140 24 Ibid., p. 94, lettera n.15 25 Ibid., p. 102, lettera n.21 23 11 LO STILE DI VITA Leggendo le numerose lettere di Lelia ed Ulisse è possibile estrapolare un programma di vita con i suoi punti forti di riferimento: innanzitutto la preghiera costante, sia comunitaria che personale, fatta con fedeltà ed obbedienza anche nei momenti di aridità e di malinconia. “La domenica passata mamma e Teresa da una parte e Leonardo e Emilietto dall’altra sono andati a vedere le esercitazioni dei pompieri a Villa Borghese…Sono andato anch’io…Però c’era tanta folla che mi ha preso l’oppressione e mi sentivo l’esaurimento nervoso e sono andato via. Teresa e mamma sono rimasti a godersi lo spettacolo. Io sono andato in una piccola chiesetta e là mi sono fatto passare l’esaurimento nervoso leggendo quel passo del Santo Vangelo in cui si racconta di Nostro Signore che calma la tempesta. Si era addormentato e la tempesta minacciava di sommergere la barchetta. Si alzò e comandò ai venti e al mare e si fece gran bonaccia”26. Quando il frastuono esterno ingabbia, quando la serenità interiore è minata dal sotteso e costante tentativo della società di appiattire le coscienze, l’uomo che vive la tensione di ascolto della voce di Dio trova la forza d’animo di opporsi, di risollevarsi e di mendicare direttamente alla fonte: Ulisse si adopera per non lasciarsi sopraffare dalla dispersione e permette a Dio di ristabilire la calma nelle circostanze della vita, ripetendo ogni volta il gesto del piegare le ginocchia e del protendere le mani. La preghiera è richiesta ripetutamente, in ogni lettera, ai tre figli lontani per ricreare una comunione d’intenti e una unione reale in Cristo Gesù: “sento tanto bene che la preghiera ci unisce più che la vicinanza”27, dichiara Lelia; Ulisse aggiunge: “la notte alle quattro mi sveglio e penso a voi tre. Poi se volgo il pensiero al Signore mi tranquillizzo”28 Vi è poi una capacità di vivere in pienezza il senso della comunità: ogni membro della famiglia, con le proprie scelte, sprona gli altri all’affidamento continuo al Signore. Ognuno con i propri talenti e le proprie capacità “completa” le mancanze e i limiti degli altri. Scrive Lelia: “Qui la malinconia è grande assai e mi consolo leggendo la vita di S. Teresina che ho sempre sul mio comodino insieme al manuale che mi lasciasti e sul quale ho letto la Novena di quest’anno all’Immacolata. Papà poi ha scritto sopra un foglietto l’orario delle tue occupazioni e sta sempre a portata di mano, sicchè quando guardo la mia sveglia leggo quello che fai tu a quell’ora e ti seguo col pensiero”29 . Insieme fanno CHIESA, una comunità d’amore dentro cui tutti i suoi membri trovano l’edificazione personale per mezzo di un rapporto comunitario. Anche il figlio lontano è tenuto dentro questa comunità attraverso una continua descrizione particolareggiata delle loro giornate. Il figlio, così, partecipa agli eventi che coinvolgono la comunità d’origine: “Leonardo si sente mente ottenebrata, si sente 26 Ibid., p. 203. lettera n. 128 Ibid., p. 223, lettera n.146 28 Ibid., p. 88, lettera n. 10 29 Ibid., p. 97, lettera n. 18 27 12 difficoltà imparare, scoraggiato; io confortare, tu pregare”30, scrive Ulisse con il suo consueto stile telegrafico distribuendo i compiti della carità secondo i carismi di ognuno: chi è vicino conforta, sostiene, aiuta, chi è distante prega. La vocazione del laico, di chi sceglie di servire il Signore dentro una famiglia, in un luogo di lavoro, tra la gente, in mezzo alle occupazioni sociali, patisce, spesso, la privazione delle consolazioni che vengono dallo stare frequentemente inginocchiati di fronte a Dio. Gli impegni impediscono un raccoglimento prolungato, una concentrazione nella meditazione simile a quella donata ai religiosi; niente raduni poderosi di preghiera, per Lelia e Ulisse, né partecipazione frequente ad esercizi spirituali: “pare che noi dobbiamo guadagnarci il Paradiso attraverso le cose di questo mondo. Quando però la sera vado a letto, mi rammarico di non potere, per necessità di natura, recarmi in Chiesa”31. Poi giunge la consolazione della perenne presenza di Gesù nel Tabernacolo: “Ho pensato che la Santissima Eucaristia è il fatto miracoloso e culminante della nostra epoca, che dura da venti secoli e si è sparsa in tutto il mondo…Quando venni per la prima volta a Roma, quello che mi fece impressione fu di vedere vicino a Piazza Colonna, nel centro degli affari e della vita mondana, la chiesa di S. Claudio, dove c’era e c’è tuttora l’esposizione permanente di Nostro Signore. La gente entrava, usciva, si inginocchiava, pregava, era ed è sempre affollata di gente. Pensavo: si vede che la gente sente che c’è qualcheduno, ne riceve conforto, insomma sentono Gesù, non lo sentono con le orecchie del corpo, ma se ne accorgono”32 Lelia e Ulisse splendono come esempi per la gente “comune”, di tutti i giorni, genitori, sposi, lavoratori, chiamati a realizzare in pienezza la propria esistenza divenendo ciò che Dio desidera per ognuno di loro: i coniugi Amendolagine vivono un continuo riferimento a Dio dentro piccoli e ripetuti atti di adorazione rubati alla routine quotidiana, che divengono alimento e sostegno per le proprie fatiche. La realtà tutta, nei suoi momenti più duri così come nelle occasioni di gioia ed esultanza, è mirabilmente trasformata in contemplazione mistica del Volto di Cristo. “Quando sono in ufficio il mio lavoro consiste o nel leggere le pratiche, dare disposizioni, o nello scrivere minute, o nel controllare il lavoro degli altri, o nel conferire (ossia parlare) di pratiche d’ufficio con i superiori, ovvero nel ricevere un pubblico vario che va dai senatori e deputati ai poveri operai, per questioni inerenti a pratiche trattate. Io cerco di dire dentro di me ad ogni lavoro che incomincio: ‘Non per gli uomini, Signore, Madonna mia, ma per Te’. ‘Non con gli uomini, Signore, Madonna mia, ma con Te’. Di più chiamo la fantasia in mio soccorso e m’immagino di stare in chiesa, davanti al trono dorato nella chiesa di Via Piave.”33. 30 Ibid., p. 184, lettera n.111 Ibid., p. 187, lettera n. 114 32 Ibid., p. 124, lettera n. 42 33 Ibid., p. 166, lettera n. 90 31 13 IL MARTIRIO DI LELIA Il 1950 segna l’inizio del calvario di Lelia: dolori addominali fortissimi la costringono a letto per lunghi periodi e a cure mediche che le danno solo sollievi momentanei. Dopo due mesi di inutili tentativi per curarla, la “misteriosa” malattia giunge al suo culmine. Nel marzo del 1950 Lelia viene ricoverata d’urgenza e sottoposta ad un intervento chirurgico: la causa del suo male è un tumore maligno al mesentere. Inizia un periodo di grande sofferenza per l’intera famiglia; più di tutti è Ulisse ad avvertire la tragicità dell’evento inatteso e ciò che colpisce è il silenzio improvviso dentro cui si rifugia: per un lungo periodo non scriverà più lettere ai figli, e anche quando riprenderà saranno rare. La solitudine imminente che Ulisse sa di dover abbracciare presto pesa sulla sua fede, si dispone ad accoglierla senza nulla reclamare, accetta con dolore la separazione dalla sua amata senza una parola di ribellione, ma restando ancorato alla speranza della vita eterna. Lelia offre le sue sofferenze e trova il sostegno necessario in Gesù Eucaristia ricevuto quotidianamente: “stamattina ho ricevuto Gesù e l’ho ringraziato per tutto quello che mi ha concesso in questa malattia; L’ho ringraziato per me e per voi tutti che tanto avete pregato”34. Ma non sempre Lelia può accostarsi al sacrificio Eucaristico, spesso è bloccata nel suo letto da forti ed indicibili dolori; allora invoca, spera, attende e le capita di essere esaudita: “Ero proprio disperata perché non potevo nemmeno pettinarmi e naturalmente dovevo rinunziare, come tante altre volte, ad andare alla S. Messa, mi ero rivolta a S. Teresina con tutta l'anima, quando, ecco papà che ritorna dalla Messa con la notizia che il Parroco mi avrebbe portato a casa, il 25, il velo della Grande Santina, papà aveva finito di parlare ed io mi sento improvvisamente bene e dico subito: "presto andiamo a Messa!" Ulisse non voleva, invece io mi sono vestita e, accompagnata da papà passo passo sono potuta andare a S. Teresa dove mi sono confessata, ma non ho potuto fare la S. Comunione (Il confessore me ne avrebbe dato pure il permesso, se non avessi preso nella colazione il pane) Sarà per un'altra volta! Sei contento? Immagina la mia felicità”35 Come una litania ripete ad ogni piccolo miglioramento o sollievo “Deo gratias!” e “Sia fatta la Volontà di Dio”, con la rassegnazione fiduciosa di chi sa di procedere tra braccia sicure verso una meta certa e gloriosa. Un giorno scrive: “io non mi sento di chiedere la guarigione perché sarebbe troppo bello, ma che mi vengono attutiti i dolori addominali che non sopporto con molta pazienza. Sia fatta la Volontà di Dio!”36; e ancora: “oggi è il mio compleanno e aspetto perciò gli auguri tuoi e di Roberto, vi ringrazio anticipatamente con la 34 Ibid., p. 243, lettera n. 166 Ibid., p. 258, lettera n. 183 36 Ibid., p. 269, lettera n. 194 35 14 speranza di passare ancora qualche altro ‘4 maggio’ fino a godere con papà e tutti di casa la tua Prima Santa Messa; altrimenti sia fatta sempre la volontà di Dio”37 Il 20 novembre scrive al figlio Roberto che è in procinto di affrontare la cerimonia della Vestizione: ”Dolori? Parecchi, un po’ reumatici e un po’ addominali: li offro al Signore per la mia famiglia, ma ora per te che hai tanto bisogno di lumi. Vedrai che, se Dio vuole, potrò anche venire a Torre, altrimenti sia fatta la Sua Volontà”38. Che senso può avere il dolore? Privata della sua forza redentrice la sofferenza non può avere alcun significato. Come Cristo Crocifisso, Lelia riceve la grazia di comprendere il carico d’amore che fuoriesce dal suo letto di dolore, la possibilità che le viene concessa di trasformare la sua vita in ammirabile offerta di sacrificio per il bene di coloro che lei ama immensamente: realmente Lelia si offre come vittima di espiazione per la redenzione di chi le sta accanto. Subito dopo l’operazione, verso le sei, Lelia inizia a sentirsi male. Si fa il segno di Croce e offre le sofferenze della giornata al Cuore di Gesù. Il lamento del dolore si fa più acuto, diviene una morsa che le toglie il respiro. Le sta accanto il figlio carmelitano che accorgendosi della crisi che sta attraversando la madre, la invita a compiere il gesto dell’offerta di tutte le sue sofferenze; lei lo rincuora: “le ho già offerte questa mattina, appena svegliata”39. Il 7 dicembre 1950 Roberto prende l’Abito dei Fratelli delle Scuole Cristiane e Lelia non può partecipare; “per la vestizione di Roberto non potrò muovermi: forse con una comoda macchina potrei anche tentare, ma nessuno me l’ha offerta e a volerla prendere costa troppo. Ho offerto tutto al Signore…Poi gli starò vicino con la preghiera e col pensiero”40. Un’assenza forzata, sicuramente molto sofferta, ma accettata e trasformata in sorgente di grazie; la fede di Lelia giunge fino al punto di permetterle di comprendere il senso della sofferenza che diviene, così, occasione per invocare nella solitudine del proprio calvario l’unico Signore della propria vita nella spoliazione estrema di chi si riconosce dipendente totalmente da Dio e trova in tale dipendenza, nel ripetere il fiat di Maria, la realizzazione piena della propria libertà. Scrive a Roberto: “mai come in questi giorni sono stata con te col pensiero e con la preghiera. Ho offerto al Signore la mia assenza e spero che in ricambio Dio e la Mamma nostra Celeste dia a te tutte le grazie necessarie alla tua nuova vita…So che papà ha pianto, ma il canto del Magnificat lo deve avere consolato assai. ‘E due!’ mi ha detto quando è ritornato. ‘Sia ringraziato il Signore!’. Sono contenta di tutto”41. Dopo qualche mese le condizioni di Lelia peggiorano ulteriormente. Il figlio Giuseppe ha finalmente il permesso di trascorrere alcuni giorni accanto alla madre. Lelia sembra riprendersi e il figlio, a malincuore, è costretto a ripartire per il convento. E’ consigliato di lasciarla mentre ancora dorme, forse per evitarle lo strazio del saluto, forse per impedirle che un ulteriore dolore, quello dell’allontanarsi di un figlio, giunga ad ampliare le pene di un corpo ormai martoriato dalla sofferenza fisica. Forse non si ha coscienza che il sacrificio di una madre è capace di oltrepassare i limiti di una ragione che esamina, valuta, calcola le situazioni problematiche prima di risolverle; il sacrificio di una madre sceglie in base ad una 37 Ibid., p. 246, lettera n. 169 Ibid., p. 266, lettera n. 192 39 Ibid., p. 235 40 Ibid., p. 269, lettera n. 194 41 Ibid., p. 271, lettera n. 196 38 15 conoscenza d’amore. Lelia si sveglia, intuisce ciò che sta succedendo e conforta il figlio: “Vai tranquillo che mamma è contenta, mamma è contenta!”.42 Doveva essere veramente contenta, poiché durante una visita di alcuni padri carmelitani Lelia aveva loro confidato di offrire la propria vita a Dio per la purezza dei figli!43 La missione di Lelia come donna e come madre è realizzata in pienezza: abnegazione totale per i suoi figli fino al gesto estremo di donare la sua vita per loro. Qualche giorno prima di morire Lelia, ormai obbligata a comunicare con piccoli gesti e parole balbettate, immersa in uno stato di dormiveglia, in presenza della figlia Teresa, sembra improvvisamente parlare con un essere visibile solo ai suoi occhi. La figlia sente pronunciare e ripetere più volte: “Madonna mia”. Credendo che la madre voglia vedere una immagine di Maria, corre nella camera a fianco e prende una statuetta della Madonna che le era stata regalata dal figlio carmelitano. La mostra alla madre che, però, non distoglie il suo sguardo sempre fisso da tutta altra parte, presa da un colloquio interiore con una presenza misteriosa. Ad un certo punto, come se continuasse ad alta voce questa conversazione, dice con parole chiare: “Come è bella!.... Sei la Madonna delle grazie…. me la fai la grazia?….”. Poi continuando a guardare come se seguisse fino alla porta l’uscita dell’ospite inaspettato, continua: “No, no, non me la può fare, non me la può fare la grazia”. E la mamma ripiomba nell’assopimento e nella semincoscienza di prima. L’impressione di Teresa è grande poiché negli ultimi giorni Lelia non riusciva più a pronunciare parole comprensibili e con estrema difficoltà riusciva ad esprimersi. Questo misterioso dialogo, improvviso, ridesta un corpo annientato dalla sofferenza e dà nuovamente voce all’incessante bisogno umano di essere sostenuto e consolato: tutti in famiglia sono certi che Maria sia venuta a darle conforto nei suoi ultimi giorni di vita.44 Il 3 luglio 1951 Lelia muore. Le è accanto Ulisse con il suo libro di preghiere, attanagliato dal dolore, ma fortificato dalla fede nella vita che continua: “papà si accorge della fine e le dice a voce alta: ‘Salutami mamma, papà…’ aggiungendo anche altri nomi di parenti defunti”.45 Ulisse la lascia con una fede ferma nella Vita Eterna; farà scrivere sulla lapide “RISORGEREMO”. Spesso Ulisse amava ripetere: “tutto si muove, nulla sta fermo, nulla è definitivo ed ha importanza in questo mondo”.46Espressioni che gli servivano per far continua memoria della presenza di Dio che riassume in sé il senso di tutto ciò che accade: “dopo la morte ci sarà il Paradiso, ove la gioia sarà completa”.47 Lelia muore alle 19.57; il mattino seguente Ulisse è svegliato da un raggio di sole che attraversa una finestra di casa: “lo considerò il segno della gloria della sua sposa e ne restò molto consolato”.48 42 Ibid., p. 291 Ibid., p. 291 44 Ibid., p. 293 45 Ibid., p. 294 46 Ibid., p. 80, lettera n. 4 47 Ibid., p. 107, lettera n. 25 48 Ibid., p. 296 43 16 LA SOLITUDINE DI ULISSE Dopo la morte di Lelia si avverte dalle lettere sempre più rare di Ulisse la tristezza della solitudine , lo sconforto di dover procedere il cammino dell’esistenza senza colei che aveva definito “la base della famiglia”,49la fatica dell’occuparsi dei figli che si trovano in quella fase dell’età in cui si rivendica una propria autonomia di scelta e di azioni. Ulisse si ritrova ad un punto di svolta della sua vita, di fronte a quell’accadimento che pone l’uomo “solo” di fronte al suo Signore, ricondotto, per questo, a quell’unico legame totalmente appagante dal quale ogni creatura fuoriesce e al quale, ultimamente, ritorna. L’amore immenso per Lelia è veicolo per ricondurre Ulisse dentro l’originario rapporto con Dio nel silenzio di un intimo colloquio di abbandono. L’angoscia preme su Ulisse, ma come una spinta non richiesta che costringe ad invocare più intensamente l’intervento risolutore di Dio: “in questa occasione, essendo rattristato ho aperto a caso, come uso fare, l’imitazione di Cristo e ho letto che queste tribolazioni sono un dono del Signore e che…debbo guardare all’amore del Signore verso di me che mi fa in segno di amore questi doni…E’ vero che la mia natura e quella di altre persone si adatta poco a doni sgradevoli, ne risente troppo, le spiace. Io tuttavia in seguito a questa lettura mi sono rasserenato, non guardando alle tribolazioni, ma considerando la bontà e l’onnipotenza del Signore”.50 Ulisse si lascia guidare dalla certezza che esista un legame di mutua collaborazione, di scambi di comunicazioni con chi fisicamente non abbiamo più accanto; la morte delle persone care, nella pienezza di una fede salda, diviene uno strumento per attingere quel conforto e quel sostegno che l’umanità non sa garantire, una finestra che lascia intravedere la possibilità del riscatto di ogni situazione scelta o patita che, sotto la luce dell’eternità, recupera il suo senso: “La forte fede nell’esistenza dell’oltretomba, secondo quanto insegna la S. Chiesa Cattolica Romana, e la fiducia nella Divina Provvidenza, che si rivela col suo aiuto sempre tempestivo e paterno, ci aiuteranno, te e tutti noi, a superare le difficoltà di ogni giorno e di tutta la vita e di qualsiasi genere che potremo incontrare”.51 I momenti di sconforto non mancano: la fede di Ulisse si alimenta anche nel tempo della Notte, nell’attraversare, cioè il buio che tutto appiattisce e ingrigisce, che frena gli slanci, ma che fa desiderare quel colloquio di contemplazione di unica specie. Dio è cercato con ogni mezzo, per ridestare lo spirito scoraggiato; usa l’Imitazione di Cristo “libro sempre utile, specialmente nei momenti di sconforto. Io lo 49 Ibid., p. 230, lettera n. 152 Ibid., p. 322, lettera n. 245 51 Ibid., p. 312, lettera n. 234 50 17 adopero così: lo apro ad una pagina qualsiasi, così come a caso (il caso non esiste…invece è il Signore: che non si muove foglia che Dio non voglia) e là dove si posa lo sguardo trovo la risposta adatta ai miei pensieri, la risposta che mi soddisfa e alle volte mi dà tanta luce”.52 Anche nell’affrontare la delicata questione dell’educazione dei giovani figli, presi dal naturale desiderio di indipendenza e di ricerca di momenti di divertimento e spensieratezza, Ulisse riconosce come unica arma efficace per una guida sicura e valevole il ricorso alla preghiera. I problemi di famiglia li prende su di sé e li condivide con i due figli consacrati: come un’unica comunità orante che implora dal Signore luce e saggezza soprannaturali. Dice a Giuseppe: “Tu prega. Tu e fratel Lelio (Roberto) pensateci su e riflettete e poi io e voi due vedremo di risolvere la questione”.53 Un giorno, di ritorno dalla Chiesa, si ritrova in casa una festa da ballo organizzata dai figli insieme a molti loro amici; avverte più che mai l’assenza di Lelia: “io me ne sono andato nella mia stanza a dire l’Ufficio di Terziario, nella semioscurità…Sento che il mio compito si fa più arduo e sento la mancanza di vostra madre e ho bisogno delle vostre preghiere”.54 Ulisse fa fatica ad adeguarsi alle esigenze dei figli che contrastano, soprattutto in questa fase di solitudine, con la sua ricerca di pace e di consolazioni divine; ciò nonostante trova dei rimedi per continuare a contemplare il volto di Cristo anche dentro queste situazioni “nuove” per la sua età: “In casa, specialmente con Leonardo, che è animato spirito di contraddizione, m’infiammo facilmente…ho pensato dunque che anche per le improvvise arrabbiature vi potesse essere qualche mezzo materiale e ho trovato: matita e pezzo di carta, accompagnati dalle solite giaculatorie e dalla preghiera dell’Angelo Custode. La matita e il pezzo di carta le ho sul tavolo in ufficio, e, quando mangio, accanto al piatto. Appena mi accorgo di incominciarmi ad arrabbiare cerco di scrivere quello che mi fa rabbia. Non ho d’ordinario neanche il tempo d’incominciare a scrivere, ovvero dopo scritto alcune parole, la rabbia si calma”.55 Ulisse sa rendersi padrone delle sue emozioni e vivere con libertà dentro circostanze che avrebbero facilmente potuto allontanarlo dalla fiducia in Dio: gli eventi della vita divengono occasioni per donare al Signore azioni e sentimenti di fedeltà a quell’Amore di cui ha sperimentato fin da giovane potenza e appagamento infiniti. La fede di Ulisse non vacilla, è resa più dura dalle difficoltà continue, ma diviene più matura, più coscienziosa, più indispensabile: “carissimo Giuseppe, fra Raffaele mio, beato te che puoi lavorare vicino a Lui e puoi, quando vuoi, durante il giorno, andarlo a trovare: il Signore. Il nostro Ministero ha bei mobili, ma non ha una Cappella in cui vi sia il Santissimo Sacramento custodito. Allora occorre averlo nell’anima.”56 Il 24 settembre 1955 Ulisse è colpito da paresi al lato destro del corpo; non si riprenderà mai del tutto, la sua salute andrà sempre più peggiorando al punto che non potrà essere presente all’Ordinazione Sacerdotale del figlio Giuseppe fissato per il 2 febbraio 1957. 52 Ibid., p. 318, lettera n. 241 Ibid., p. 320, lettera n. 242 54 Ibid., p. 339, lettera n. 257 55 Ibid., p. 341, lettera n. 258 56 Ibid., p. 344, lettera n. 260 53 18 Ad Ulisse è chiesto, come era accaduto in precedenza a Lelia, di partecipare solo con la preghiera e con il pensiero a questo evento di grazia tanto desiderato ed atteso: “in tutto il rito dell’Ordinazione sarà come se io stesso, insieme a te, mi prostrassi a terra e ricevessi per l’imposizione delle mani di S. Eccellenza il Vescovo, lo Spirito Santo e poi il Calice e gli altri paramenti sacri e che quelle preghiere e parole siano dette anche per me. E nella Prima Messa come se fossi anche io concelebrante insieme a te”.57 Domenica 10 febbraio Giuseppe celebra nella Parrocchia di S. Teresa a Roma: Ulisse può ricevere la S. Comunione direttamente dalle mani del figlio. La malattia blocca in parte il suo corpo e, di conseguenza, pesa sul suo stato d’animo; abbattuto cerca di non restare schiacciato: “in queste condizioni in cui non ho l’uso completo delle mie membra, come l’avevo prima di ammalarmi, ed ho altresì difficoltà fisiche sia derivanti dalle facoltà digerenti che dall’obbligo di farmi fare le iniezioni ogni volta che prendo un pasto, mi sento spiritualmente disorientato. Non so ancora quali siano le mie possibilità fisiche, intellettuali e morali. Non riesco a tenere a freno, sempre, la stizza. Mi occorre pazienza, calma, fiducia in Dio e coraggio.”58 Dentro un rapporto di speciale collaborazione con la grazia, Ulisse sprona tutte le risorse umane per permettere alla sua solitudine di riempirsi di viva spiritualità; organizza il tempo in modo tale che il contatto con un Dio silente sia riempito da un continuo stare presso di Lui: “Una necessità fisiologica mi fa svegliare verso le quattro o le cinque della mattina (fortunatamente ho imparato a non muovermi dal letto), dopo difficilmente prendo sonno. Allora nel buio faccio un po’ di meditazione. I pensieri e le preoccupazioni personali e di famiglia o di ufficio mi assalgono e tra il dormiveglia cerco di scacciarli dicendo a me stesso che sono materialità, mentre Nostro Signore è venuto in questo mondo per insegnarci le cose dello spirito, che sono poi quelle che avranno una importanza perenne, eterna. Richiamo quindi alla mente qualche insegnamento di Nostro Signore. Così passo due o tre ore tra il sonno, la meditazione, il via vai importuno di pensieri molesti. Quando filtrano le prime luci dalla finestra incomincio le mie preghiere di terziario della mattina. Dico anche qualche preghiera ad alta voce per farla sentire a Teresa, Francesco ed, indirettamente, anche a Leonardo. Poi faccio il quarto d’ora prescritta di meditazione sul Vangelo della Domenica e passi collegati allo stesso S. Vangelo. Come sai il S. Vangelo è una fonte inesauribile.”59 Conclude la sua vita il 30 maggio 1969, dopo aver trascorso l’intera esistenza rassegnato a tutto: alla lontananza dai figli, alla sua malattia e a quella della moglie, alla solitudine per la morte di Lelia, alla fatica di dover affrontare situazioni domestiche a lui estranee. Mai una parola di ribellione, di lamentazione, di non accettazione di tutto quello che proviene dalla Volontà di Dio. Semmai rimprovera i suoi limiti, le sue incapacità, le sue miserie e invoca continuamente l’aiuto divino: “rialzarsi, risorgere per comando di Dio. L’umiliazione dell’anima cristiana nella rinunzia, sofferenza, morte, non si comprenderebbe se non fosse seguita dalla gloria della Resurrezione”.60 Spesso il nostro cuore si riempie di ammirazione per uomini e donne che hanno saputo rendere la loro esistenza un canto ininterrotto di lode a Dio. Abbiamo una schiera di innumerevoli esempi di religiosi e religiose innalzati sugli altari della santità: sembrerebbe quasi che tale traguardo sia meta esclusiva di chi abbandona i 57 Ibid., p. 365, lettera n. 281 Ibid., p. 355, lettera n. 270 59 Ibid., p. 363, lettera n. 279 60 Ibid., p. 84, lettera n. 7 58 19 propri affetti per consacrarsi totalmente al Signore. Sembrerebbe che i legami umani siano di impedimento ad una elevazione dell’anima a Dio. Abbiamo bisogno di gridare più forte, in questo tempo di incredulità e di indifferenza, che tale cammino è per tutti. Abbiamo bisogno di esempi che incoraggino gli uomini di ogni luogo e di ogni stato sociale ad abbracciare una fede totalizzante, sfatando l’idea di una santità come esclusiva prerogativa dei consacrati. Lelia e Ulisse rappresentano un grande esempio di “santità di coppia”. Due sposi che trasformano la vita matrimoniale in luogo di continua presenza dell’amore di Dio che si dona attraverso la concretezza dei lavori e dei gesti quotidiani e si rende sperimentabile nelle attenzioni e negli affetti vissuti dentro i legami familiari. Lelia e Ulisse vivono con coscienza ed abnegazione la loro dipendenza da Dio fino al sacrificio estremo in un rapporto comunitario dove ognuno trova la sua edificazione personale. La gloria e la potenza della chiesa risplendono ancor più mirabilmente nell’unione di due cuori innamorati in Cristo Gesù. MARIA CONCETTA BOMBA ocds 20