i coniugi amendolagine - Centro studi "Edith Stein"

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i coniugi amendolagine - Centro studi "Edith Stein"
DUE CUORI INNAMORATI IN CRISTO GESU’
PREFAZIONE
L’incontro con l’esperienza umana e religiosa dei coniugi Lelia ed Ulisse non
può non destare ammirazione, non può non essere un’occasione propizia per
riflettere con serietà sul proprio modo di vivere da cristiani dentro l’ordinarietà del
quotidiano, nei rapporti familiari. Un’esperienza tessuta tutta attorno alla fede nel Dio
di Gesù Cristo, un cammino appassionato, costellato di gioie e dolori, verso la
comunione con Dio, verso la santità. La relazione coniugale di Lelia ed Ulisse
sembra essere la concretizzazione storica ed esistenziale della rivelazione contenuta
nella Lettera agli Efesini del matrimonio come sacramento dell’amore che unisce
Cristo alla Chiesa, sua Sposa.
Si resta stupefatti e pensosi nel vedere come una comune storia d’amore tra
un uomo e una donna e una famiglia costruita attorno a questa storia possano
divenire il luogo in cui si rende percepibile la bellezza significativa dell’avvenimento
cristiano: donazione di senso all’esistenza che altrimenti precipita nell’abisso della
disperazione e del nulla. Un avvenimento che cambia il modo di intendere il rapporto
con l’amato/a e quello con i figli e che rende capaci di gettare uno sguardo diverso
sugli eventi della vita e di cogliere il significato della sofferenza, del dolore e della
morte dentro una prospettiva salvifico-escatologica.
Dalla vita degli sposi Amendolagine emerge un’indicazione pedagogicamente
rilevante e vincolante per ogni coppia cristiana, quella di educare i figli ad aprire il
loro cuore all’amore di Dio, a crescere in questo amore, attraverso i piccoli gesti della
vita, attraverso cioè una fede che penetra e innerva la quotidianità
I padri e le madri di oggi, in un mondo sedotto dalle suggestioni dell’edonismo
nichilistico, si preoccupano di garantire ai figli un presente opulento e un futuro ricco
di beni materiali, di successo e potere mondano. Sui figli, quasi un prolungamento
del proprio Io, si riversano tutti i propri desideri frustrati di gloria, di ricchezza e di
prestigio sociale. E invece i figli sono un dono di Dio, da custodire aiutandoli a
crescere nella scoperta della loro vocazione, del compito cui sono chiamati dal
Signore.
L’impatto inatteso con questa meravigliosa esperienza di amore mi ha
condotto ad un cammino di rivisitazione critica della mia vita e a percepire meglio la
genialità della donna – in questo caso della mia dolce e paziente sposa - nell’entrare
empaticamente nel cuore dell’essere umano per raccontarne con passione bruciante
e delicatezza la storia.
AMEDEO GUERRIERE ocds
1
INTRODUZIONE
Cosa c’è di straordinario nel legame d’amore che unisce Lelia e Ulisse
Amendolagine?
Una normalissima famiglia dove, apparentemente, non accade nulla di
straordinario. Si incontrano secondo le usanze dell’epoca attraverso una richiesta di
matrimonio fatta ai genitori di lei senza che si conoscessero, accettano di
frequentarsi e di approfondire un rapporto intuito come possibile unione per la vita
intera, si innamorano e nella stima reciproca acconsentono a trasformare le loro
esistenze dentro un disegno comune di condivisione e di convivenza sostenendo la
fatica del matrimonio e della crescita dei loro cinque figli e godendo delle gioie
dell’amore coniugale: come accade per tante coppie.
Dov’è allora la santità di questa coppia?
Ciò che li rende santi è la loro capacità straordinaria di ricollegare ogni gesto
quotidiano, ogni azione, che tutte le famiglie compiono per dovere di scelta, al
soprannaturale. La trama della quotidianità diviene un disegno divino ed umano nello
stesso tempo: si vivono i gesti di ogni giorno, gesti normali, di routine, trasformati e
guardati come occasioni di incontro con il volto del Dio incarnato.
Questo rappresenta lo straordinario di Lelia e Ulisse: una famiglia che diviene
il luogo della contemplazione di Gesù, l’occasione costante di intrattenersi in un
dialogo d’amore con il proprio Diletto attraverso i volti di coloro che abitano la loro
casa.
2
INIZIO DI UNA VITA DI COPPIA
Ulisse Amendolagine nasce il 14 maggio 1893 a Salerno, ma a causa del
lavoro del padre, si trasferisce spesso, con tutta la famiglia, da un luogo all’altro
dell’Italia, fino a sostare definitivamente a Roma. Qui frequenta l’università di
giurisprudenza laureandosi nel 1917; lavorerà assumendo nel tempo varie qualifiche
come impiegato del Ministero dell’Interno.
Lelia Cossidente, invece, nasce il 4 maggio 1893 a Potenza e, come Ulisse, si
trasferisce a Roma con tutta la sua famiglia. Consegue la licenza normale, insegna
per un anno in una scuola elementare per poi lavorare come bibliotecaria per dieci
anni, fino alla scelta del matrimonio proposta dal padre di Ulisse alla madre di Lelia
nell’autunno 1929 e accettato da entrambi con il desiderio di approfondire una
sottesa simpatia reciproca.
“I caratteri dei due sposi sono molto differenti, potremmo dire anche opposti,
ma le idee fondamentali sono identiche. La fede, nelle manifestazioni anche esterne,
è alla base della vita che si accingono a condividere. Non sarà una questione privata,
come spesso accade, ma una luce attraverso la quale tutti gli avvenimenti della
famiglia verranno visti insieme e insieme discussi, interpretati e accettati”1.
Si sposano il 29 settembre 1930 a Roma nella Parrocchia di S. Teresa al
Corso d’Italia, ma non all’altare Maggiore, bensì in uno laterale dedicato a S. Teresa
di Gesù Bambino. Una unione che nasce sotto lo sguardo di una grande stella del
Carmelo, che ha disseminato il suo cammino di santità di piccoli fiori di sacrifici, di
rinunce, di gioie, di canti di amore per il suo Signore, sguardo che accompagnerà
Lelia e Ulisse nei momenti più difficili della loro vita, come una presenza che
sostiene, rincuora e riconduce ogni volta fiduciosi tra le braccia del Padre.
Nell’arco dei primi sette anni di matrimonio nascono i loro figli: Leonardo (30
agosto 1931 ), Giuseppe ( 06 ottobre 1932 ), Roberto ( 11 gennaio 1934 ), Francesco
( 27 maggio 1935 ) e Teresa ( 28 maggio 1937 ).
Ulisse provvede a sostenere economicamente la numerosa famiglia con il suo
lavoro d’ufficio e Lelia “santificherà” la sua vita al servizio di coloro che gli vengono
affidati: il compito della maternità è vissuto come accettazione gioiosa di una
missione che le viene affidata direttamente da Dio il quale riversa nel suo grembo
nuove vite accolte da Lelia, insieme al suo sposo, come figli di Dio e amorevolmente
sostenuti nella convinzione che a Dio devono essere ricondotti.
La scelta dei nomi non è casuale; per ognuno c’è il richiamo ad un Santo
Protettore invocato in segno di affidamento e richiamato come esempio e guida che
tacitamente accompagna. Lelia conserva un quadernino per ogni figlio su cui
appuntare eventi di una certa rilevanza quali la fine di una malattia, il percorso di
crescita, i progressi, le conquiste; sulla copertina di ognuno c’è il nome di battesimo e
1
P. Raffaele, Tutto si muove. Racconti di un figlio attraverso ricordi e lettere, Ragione Tipografica Brindisi,
1998, p.19; Questo volume raccoglie numerosissime lettere inviate da Lelia e Ulisse prevalentemente al figlio
Giuseppe (p. Raffaele) integrate da commenti e ricordi personale dello stesso. Le lettere, raccolte seguendo un
ordine cronologico, sono numerate, pertanto saranno citate facendo riferimento a tale numerazione.
3
la nata, non di nascita, ma del giorno in cui si festeggia il santo di cui si porta il nome.
Ogni figlio introduce in famiglia, per mezzo del suo nome, una presenza del cielo,
spalanca i cuori di ognuno all’accoglienza di un faro che illumina la strada, sprona
l’avanzare e sostiene quel percorso verso la terra desiderata.
Realmente i figli crescono con la compagnia di una innumerevole schiera di
santi, invocati in tutte le circostanze della vita come potenti intercessori presso Dio,
ma non con la superficialità di chi trasforma la preghiera in strumento di
superstizione o di magia per ottenere la riuscita dei propri progetti, ma con la serietà
e la coscienza di chi, convinto di vivere completamente in affidamento alla volontà di
Dio, si intrattiene con gli abitanti del cielo per stabilire una comunione di intenti.
Come in tutte le famiglie nascono i problemi circa l’educazione dei figli, le loro
scelte scolastiche, i loro rapporti con i coetanei; in più si aggiungono le difficoltà
economiche durante la guerra, le privazioni a cui debbono sottostare per mancanza
di denaro e la paura per i bombardamenti che colpiscono Roma. I cinque bambini
maturano la loro personalità in un momento storico che facilmente li avrebbe potuti
segnare negativamente per il dilagante clima di terrore: solo la fiducia nella Divina
Provvidenza e il costante ricorso alla preghiera di Lelia e Ulisse trasformano le
situazioni negative della vita in occasioni di intense invocazioni.
Ricorda uno dei figli che durante i bombardamenti notturni si alzavano dal letto
e, senza abbandonare la casa, si raccoglievano al centro dell’appartamento, nel
punto in cui si era lontani dalle finestre e protetti dai pilastri di cemento armato;
accendevano la candeletta della Candelora, si posizionavano tutti intorno e
pregavano: Ulisse portava con sè il libro dell’Imitazione o il Piccolo Ufficio della
Madonna, mentre Lelia intonava la lode a Maria recitando il rosario2.
Posti come dentro una nicchia, ricercano sicurezza illuminati dalla luce della
fede e invocano protezione collocandosi sotto il manto di Maria; i figli, presto, si
addormentano cullati e rasserenati dalle tante Ave Maria ripetute. Nel tempo della
paura e dello smarrimento la preghiera diviene per la comunità familiare il luogo dove
attingere “fortezza”.
Quando giungono gli alleati, Roma è in festa, la gente si riversa, numerosa,
nelle strade per inneggiare i “salvatori”; ma Lelia dice al figlio: “Andiamo a ringraziare
il Signore!”. Giuseppe racconta che si incamminano tra un fiume di persone che
osannano gli americani e giungono nella chiesa di Santa Teresa per trovarla
completamente vuota: “Vedi, Giuseppe - dice Lelia - nessuno si ricorda del Signore!’
Così mamma e figlio si mettono in ginocchio davanti al Santissimo, e ringraziano Dio
per tutti i pericoli scampati. Pregano per la pace, per coloro che ancora stavano sotto
l’incubo dei tedeschi e per coloro che forse già si erano dimenticati di Dio. 3
La presenza di Dio è resa visibile costantemente agli occhi dei figli con
l’attenzione di una madre e di un padre che riconoscono come “tutto è grazia”, e tutto
è reso al Signore, certezza alimentata dal ritrovarsi ogni sera, nel segreto della loro
stanza nuziale, inginocchiati insieme davanti al Signore. Da questa fonte comune
Ulisse attinge l’ispirazione per la lettura meditata di racconti biblici che, solitamente di
domenica, fa ai suoi figli; Lelia, con il suo senso pratico, prepara altarini al centro
della casa nelle varie festività liturgiche intorno ai quali anima momenti di lode per
tutta la famiglia: “tutto concorreva a farci pensare alla vita eterna. La preghiera e la
presenza di Dio erano i mezzi più efficaci per ottenerla. Mamma e papà la
desideravano per loro stessi, per noi, e per tutta la parentela”4.
2
ibid., p.39
Ibid., p.47
4
ibid., p.63
3
4
Il figlio Giuseppe ci testimonia che le preghiere non erano mai ripetitive. Solo
per il mese di maggio la mamma fa recitare un solo mistero del Rosario seguito da
una breve meditazione e dalla lettura di un esempio. Poi, ogni giorno, un fioretto
particolare come impegno concreto di un amore che si prova anche con le opere: il
momento del raccoglimento veniva accompagnato da canti alla Madonna.
La preghiera quotidiana era composta da un Padre Nostro, dall’Ave
Maria e sempre dall’Angelo di Dio. La raccomandazione delle persone care era fatta,
come oggi si usa, in forma di “preghiera spontanea”, lasciando parlare liberamente il
cuore che utilizza la voce per manifestare la capacità di vivere quel legame empatico
che fa cogliere le pene e le gioie degli altri e fa mendicare al loro posto, con intima
partecipazione. Nessuna Ave Maria per questo o per quello; un figlio commenta che i
genitori gli avevano insegnato che “l’Ave Maria era una preghiera alla Madonna e
basta. Poi le intenzioni venivano espresse ma senza condizionarle a questa o a
quella preghiera”.
Viene comunicata l’immagine di un Dio vivo, dal volto misericordioso e
compassionevole, presente nella vita del suo popolo, in mezzo al quale si ode la sua
voce confortante, che sostiene, ama e rincuora; non un Dio da cui “comprare” favori,
protezione, per mezzo di rituali, di formule, utilizzati troppo spesso come strumenti
per accattivarsi un intervento divino a proprio favore, secondo i propri miserevoli
progetti.
Ulisse, perplesso, scrive al figlio Giuseppe in stile telegrafico: “Roberto scrive
avere recitato Ave Maria per i genitori; noi non dovere credere quelle parole dette
davvero, ma distrattamente”.5
La presenza di Maria è altrettante reale e veritiera, poiché accolta come Colei
che sta accanto e protegge, come fa Lelia, come fa ogni madre che non abbia messo
a tacere la propria naturale inclinazione a darsi per la felicità dei figli. E Lelia insegna
ai figli a vivere con una tale presenza al fianco, a farne memoria anche nelle
situazioni più banali della vita. Ci racconta Giuseppe: “Senza difficoltà avevo
imparato a contare il tempo con le Ave Maria. Così, quando ero ammalato, per
tenere il termometro più che guardare l’orologio calcolavo i minuti con le Ave Maria.
Anche in cucina, nel fare cuocere i biscotti con il ferro, dovevo dire un’Ave Maria
tenendo il ferro sul fuoco da una parte e un’Ave Maria tenendola dall’altra…”6
L’intera famiglia fa spesso visita al Santissimo Sacramento: come in un
pellegrinaggio che unisce i cuori della moltitudine di coloro che si incamminano
insieme verso la casa di Dio, così questa piccola comunità cresce e si rinvigorisce
alla presenza di Gesù custodito nel Tabernacolo. E’ talmente incisivo il fervore con il
quale questa coppia si prostra in preghiera da divenire richiamo ineludibile pei i figli i
quali, nel guardare, imparano ad intrattenersi con Dio.
La forza dell’esempio opera ciò che nessuna raccomandazione, anche
ripetuta, è capace di creare: ciò che è incarnato nella vita di due genitori viene
direttamente trasmesso non ad opera di vuote parole, ma con una testimonianza che
mostri, in un sol colpo, il Bene, il Bello, il Vero che nell’intimo si desidera.
La famiglia Amendolagine, con estrema naturalezza, è abituata ad entrare
nella chiesa che incontrano lungo il loro cammino: avvertono la presenza di Gesù
che discretamente attende.7 Nella mente dei figli è viva, ancora oggi, l’immagine di
Lelia che se ne sta, per non poco tempo, raccolta in ginocchio, con gli occhi bassi,
5
Ibid., p.183, lettera n. 109
Ibid., p. 65
7
ibid., p.59
6
5
senza guardare intorno, e che li invita a fare altrettanto, ponendo le mani davanti agli
occhi per impedire alla vista di distrarre il cuore e la mente.
L’amore per il Signore alimentato dalla preghiera continua dei due sposi viene
elargito agli altri per mezzo di continue attenzioni caritatevoli. Lelia non si occupa
solo dei suoi figli; vi sono diversi episodi raccontati da Giuseppe che la descrivono
nella sua costante abnegazione nel portare aiuto ai suoi parenti nelle varie necessità
della vita e nella delicatezza che usa , e che insegna ai figli, nel prodigarsi per
sostenere quelle famiglie di cui conosce la povertà materiale.
Anche in tempo di difficoltà economiche, Lelia sa mostrare il suo cuore
caritatevole. Una volta stava tornando a casa dopo aver tentato di fare la spesa: non
era riuscita a trovare nulla! Giunta al portone di casa le si avvicina un uomo in
bicicletta e le offre delle uova. Lelia esclama al figlio che l’accompagna: "Vedi la
Divina Provvidenza? ". Dopo aver patteggiato il prezzo le compra, ma subito dopo
scopre l’imbroglio: tutte le uova sono marce, ma Lelia, piuttosto che lasciarsi andare
a sfoghi di rabbia, coglie l’occasione per riconoscere la miseria umana ed invocare
l’intervento misericordioso del Dio Amore: "La Divina Provvidenza questa volta ha
aiutato lui! Chissà da dove veniva, poveretto, che Dio lo perdoni!”8
Ulisse affronta il suo lavoro d’ufficio con la disposizione di chi vive
quotidianamente i propri impegni come risposta ad una vocazione che viene dall’alto,
vocazione che chiede di porsi costantemente al servizio degli altri. La serietà con la
quale affronta il suo lavoro lo porta a rifiutare tutte le occasioni delle quali avrebbe
potuto approfittare per superare le difficoltà economiche della famiglia: ogni “dono”
che giunge come segno di ringraziamento per una pratica sbrigata, viene rifiutato con
fermezza.
Capita spesso che alcune persone si rechino personalmente a ringraziarlo;
capitò che una di esse si presentò in casa in sua assenza e lasciò alla madre di
Lelia, come segno di riconoscenza per una pratica sbrigata, del denaro unitamente
ad un mazzo di fiori. Al suo ritorno Ulisse manifestò con fermezza il suo disappunto:
pur avendo bisogno di soldi, riconsegnò per mezzo di un vaglia telegrafico quanto
non gli apparteneva, mentre i fiori li fece portare in chiesa. 9
La stessa onestà insegna, insieme alla moglie, ai figli, non solamente per un
arido rispetto delle regole della moralità, ma soprattutto per tenere il cuore aperto al
riconoscimento della presenza onnipervasiva di Cristo che spinge a divenire “pane
spezzato” per tutti.
8
9
Ibid., p. 44
Ibid., p. 56
6
IL VALORE DELL’AMICIZIA
Durante il periodo dell’università, Ulisse si iscrive al gruppo di universitari
cattolici e instaura una amicizia con Roberto Ronca il quale, divenuto sacerdote, sarà
Rettore del Seminario Romano Maggiore e, in seguito, Arcivescovo di Pompei. Una
amicizia, dunque, che ha il suo inizio nel periodo degli studi, subito dopo il suo arrivo
a Roma, che diverrà un grande punto di riferimento durante la guerra e che verrà
mantenuta a lungo, fino a che Ulisse avrà l’opportunità di conservarla in vita.
Tra i due vi è anche una corrispondenza epistolare, circa una ventina di lettere
conservate scritte da Ulisse, che evidenziano la sua partecipazione ad un legame
dentro cui si sviluppano sentimenti di ammirazione, di rispetto, di riconoscenza che
gli permettono di sperimentare la gratuità dell’amore amicale.
Negli anni della II guerra mondiale la crisi si abbatte anche sulla famiglia
Amendolagine; per un periodo Ulisse è costretto ad un “riposo” forzato dal lavoro. Il
suo impiego lo porta ad occuparsi di pratiche relative alla concessione della
cittadinanza italiana e con i tedeschi al potere si teme per la sua sicurezza: l’amico
Mons. Ronca gli offre ospitalità nel Seminario Romano Maggiore dove vi rimane
nascosto per qualche tempo.
In questo clima di disagio e precarietà, i viveri scarseggiano e Ulisse fatica a
procurarsi il denaro necessario per sostenere la famiglia: Mons. Ronca viene ancora
in aiuto rifornendo l’amico di pane, latte e pacchi “straordinari” contenenti pasta e
zucchero. Una volta manda a casa un quintale di barbabietole, un quintale di
castagne e cinquanta chili di stoccafisso che saranno utili a garantire una base di
nutrimento per diversi mesi.10
Questa situazione di povertà fa emergere l’umiltà di Ulisse, l’atteggiamento del
mendicante che tutto attende con fiducia illimitata. Il figlio racconta che quando
stava per finire lo stipendio andava a portare gli ultimi spiccioli agli orfanelli di S.
Giuda Taddeo, sceglieva di andare a piedi quasi ad esprimere un procedere
pellegrinante che invoca l’intervento risolutore della Provvidenza.
Il senso di gratitudine nei confronti dell’amico lo accompagnerà per tutta la
vita. Glielo dichiarerà anche quando, quest’ultimo, non avrà più la possibilità di
venirgli in soccorso. Rifugiato a Tagliacozzo, Ulisse gli scrive una lettera: “In una
settimana, facendo il conto, ho speso tre volte di più di quello che spendo a
Roma…per nutrire la famiglia ho dovuto comprare generi di cattiva qualità – del tutto
scadente – pagandoli molto cari! Come allora ho pensato a te e a quello che hai
avuto la bontà di fare per me! “11.
Ma Mons. Ronca rappresenta per Ulisse anche un punto principale di
riferimento nella vocazione dei figli. Quando Francesco, all’età di dieci anni,
manifesta il desiderio di entrare in seminario, Ulisse chiede ripetutamente consiglio
all’amico: Ronca è per Ulisse la persona capace di discernere questa vocazione, di
valutarne l’autenticità; si affida al giudizio dell’amico sacerdote affinché emerga la
volontà di Dio, al di là dei desideri umani di un padre che amerebbe avere un figlio
10
11
Ibid., p. 47
Lettera a Mons. Ronca del 1-06-43
7
sacerdote, al di là dell’entusiasmo di un figlio che si dichiara pronto per un tale
passo. Ulisse diviene quasi assillante nel richiedere probabilmente un consiglio
definitivo: la decisione da prendere grava sulla coscienza di un uomo che,
completamente abbandonato nelle mani di Dio, cerca di guidare il figlio verso una
strada battuta dal Signore per lui. Scrive all’amico: “Ti confesso che la scelta di uno
stato di vita fatto a quell’età non la capisco. Come può capire Francesco? Io non
vedo nulla di straordinario in lui, nessun segno di precocità. Intendo benissimo,
d’altra parte, che non sta a me di giudicare tal cosa e che l’unica cosa che io debba
fare è di rimettermi completamente a fare la volontà di Dio”12.
La risposta di Mons. Ronca giunge come una indicazione che il cuore
ascoltante di Ulisse accoglie e medita costantemente: “attendere, custodendo la
vocazione”13!
Tre figli giovanissimi si allontanano per seguire i richiami di un cuore che
sprona ad abbracciare una vita consacrata; Lelia e Ulisse non li incoraggiano, ma
nemmeno frenano i loro desideri: accompagnano con maturità e stanno accanto,
vigilanti e pronti a riaccogliere qualora l’impresa si rivelasse troppo ardua. “Sei
contento?” chiedono insistentemente ad ogni lettera e ad ogni incontro ai figli partiti:
poiché chi percorre la strada voluta da Dio manifesta nel volto e nello stile di vita i
segni di una presagita contentezza effettivamente trovata e vissuta anche nella fatica
del procedere.
L’amicizia con Ronca va avanti. Nel leggere le lettere colpisce la fedeltà che
Ulisse conserva sempre nei confronti dell’amico: scrive e confida le sue pene, le sue
preoccupazioni, le sue gioie con affetto, con apertura e sincerità, senza nulla
nascondere. Probabilmente a causa del ruolo autorevole che riveste, Ronca non si
mostra altrettanto prodigo di particolari: risponde con poche righe, anche se in
maniera calorosa e partecipata. Ulisse non si lascia intimorire, non è bloccato nel
portare la sua vita nelle mani dell’amico: l’amicizia è salda nel cuore di Ulisse che
nulla pretende e che sembra vivere la gioia dell’attesa del donarsi gratuito dell’altro.
12
13
Lettera a Mons. Ronca del 6-06-46
Lettera di Mons. Ronca del 8-06-46
8
IL DISTACCO
Il figlio Francesco nel 1946, dopo aver terminato la scuola elementare, decide
di continuare gli studi nel seminario dei Fratelli delle Scuole Cristiane ad Albano14; il
figlio Giuseppe, il 4 ottobre 1947, all’età di 15 anni, lascia la famiglia per abbracciare
la vita da consacrato nell’Ordine dei carmelitani scalzi a Montevirginio; qualche
giorno più tardi, il 18 ottobre 1947, anche Roberto intraprende il cammino del
sacerdozio raggiungendo il fratello Francesco ad Albano.
Ulisse vive queste vocazioni come un segno dei tanti miracoli che la bontà del
Signore continuamente compie a suo favore; non si oppone, ma cerca di capire, di
discernere, di esaminare anche con l’aiuto di amici sacerdoti, e quando è confortato
sull’autenticità delle scelte dei figli, accompagna e si immola insieme a loro.
Giuseppe racconta che qualche giorno prima della sua partenza definitiva il padre lo
convoca, insieme ai suoi fratelli, nella sua camera dove aveva preparato un altarino
sul comò: colloca la statua del Sacro Cuore, delle candele e un vaso con dell’acqua
santa. Prende un Vangelo e legge una citazione: “Nessuno ha lasciato casa o
genitori, fratelli…(Luca XVII – 29) “. Poi la trascrive sulla prima pagina insieme ad
una dedica e la consegna al figlio: “Nel giorno del distacco ricordiamoci e
confortiamoci leggendo il Vangelo: Tuo padre Ulisse – Frà Giovanni della Croce”.
Asperge il figlio con l’acqua santa, lo benedice e segna la sua fronte con un segno di
croce15.
Lo stesso rito viene ripetuto in occasione della partenza di Roberto: “Ieri
mattina alle 7,30 lui stesso ha apparecchiato l’inginocchiatoio, l’acqua benedetta, la
candela benedetta, il calamaio, la penna ed il Santo Vangelo. Recitato il Pater Noster
e l’Ave Maria, ho scritto la dedica sul Vangelo: nel giorno doloroso della tua partenza
ci sia di conforto questo Santo Vangelo. Poi con la palma benedetta, l’ho asperso
con l’acqua santa.”16. Ulisse, poi, accompagna il figlio ad Albano che, ad un certo
punto, cede alla commozione di dover lasciare i suoi genitori: “gli ho domandato se
voleva tornare a casa. Ha risposto “no”…Siamo usciti dal portone, ritornando senza
Roberto a Roma. Tutto si muove, nulla sta fermo, nulla è definitivo ed ha importanza
in questo mondo. Ma quanta tristezza in questi distacchi per noi genitori che siamo
stati abituati per tanti anni alla vostra presenza!”17
Dopo la partenza di Giuseppe, avrà inizio un lungo rapporto epistolare con lui,
il più distante da casa, il figlio meno visitato a causa della lontananza e delle regole
del Carmelo che imponevano un rigore maggiore nel contatto con i propri familiari.
Roberto e Francesco erano facilmente raggiungibili da Lelia e Ulisse i quali
continuarono a seguirli costantemente con frequenti visite; nei confronti di Giuseppe
il dolore per il distacco si fece avvertire subito con tutto il suo peso.
In una delle prime lettere Lelia commenta questi distacchi improvvisi e
ravvicinati: “io prego assai per te e non passa un attimo senza pensare a te, a te in
14
Francesco sarà costretto a lasciare la comunità religiosa il 4 novembre 1949 a causa di gravi e ripetuti
problemi di salute.
15
P. Raffaele,Tutto si muove, op. cit., p. 74
16
Ibid., p. 79, lettera n. 4
17
Ibid., p. 80, lettera n. 4
9
modo speciale ed a Robertino e Francesco. Che vuoto in casa e che silenzio!…Papà
quando ritorna dall’ufficio mi dice sempre ‘come si fa?’ Eh! Caro Peppone mio, si fa
quello che Dio vuole e con quale dolore Lui solo lo sa”18.
C’è molta malinconia in Ulisse e Lelia per l’assenza dei tre figli; il distacco è
forte, intriso di sofferenza, di dolore: la croce di Cristo inizia ad incombere sulla vita
dei due sposi che pur l’abbracciano acconsentendo ad un disegno di prematura
privazione dell’affetto filiale.
Ammiriamo sempre il coraggio di tutti coloro che, nel seguire il Signore, si
distaccano dal calore e dalla sicurezza del sostegno familiare e che abbracciano, per
questo, una esistenza di completo abbandono al volere di Dio, nella povertà, nella
solitudine, nel dono totale di sé. Ma dimentichiamo il sacrificio, altrettanto drastico e
travolgente, di coloro che, restando nelle proprie case, rinunciano, con lo stesso
amore, alla consolazione che proviene dal contatto quotidiano con i propri cari.
Lelia e Ulisse, nella loro santità, donano i loro figli al Signore nella
convinzione che la vita di ognuno acquista il proprio senso nella misura in cui è
rimessa totalmente nelle mani di Dio al quale si “lascia fare”, certi di realizzare, così,
la migliore vita possibile. Entrambi si sentono deboli di fronte a questa prova
dolorosa della quale, però, riconoscono la magnificenza, la straordinaria ricchezza
che ne deriva.
C’è il dolore di un padre che cerca di superare la sofferenza “somigliando al
figlio”; come Giuseppe, anche Ulisse appartiene all’Ordine dei carmelitani scalzi.
Scrive al figlio firmandosi anche con il nome da Terziario ‘fra Giovanni della Croce’:
“carissimo Fra Raffaele (Giuseppe), vedi tu (Giuseppe) fra parentesi e Fra Raffaele
fuori parentesi. Io (frà Giovanni) fra parentesi e Ulisse fuori. Infatti di fuori io vesto da
secolare e tu vesti da religioso, di dentro siamo religiosi entrambi”19.
C’è il dolore di una madre che, per natura, è portata a prendersi cura dei suoi
figli colmandoli di affetto e che, ora, si vede privata di questo compito: mendica, così,
attenzione dal figlio lontano che non può scrivergli con frequenza perché viene
educato nel convento al distacco dagli affetti familiari.
Lelia paragona la sua storia a quella di S. Teresina, la quale amava
immensamente suo padre rimasto solo dopo aver donato tutte le sue figlie al
Carmelo: “Figlio mio tanto caro, anch’io voglio scriverti una volta al mese…Ho
sempre sul comodino la vita di S. Teresina: quanto bene voleva al suo papà! E
quanto ne avrebbe voluto alla sua mamma! Certamente avrebbe domandato come
stava e se le erano passati i soliti dolori. Ma ricevi le mie lettere? L’amore di Dio non
esclude l’affetto per i genitori e Gesù non può essere geloso di una espressione
affettuosa verso mamma!”20.
Il silenzio di Giuseppe imposto dalle intransigenti regole del Carmelo diviene a
volte insostenibile per Lelia: “verremo quando il Signore vorrà senza derogare dalle
regole (troppo severe per me) dei Carmelitani Scalzi! Però io credo che il papà di S.
Teresina andava molto spesso a trovare la figlia giovinetta come te”21.
Ulisse non si lamenta come la moglie, quasi a voler dimostrare una maggiore
capacità di autocontrollo, ma cerca una giustificazione umana e razionale al distacco
che anche lui prova nei confronti del figlio lontano aumentato da un “silenzio”
prolungato: “non so se l’Amministrazione della Posta e Telegrafi funzioni bene ad
18
Ibid., p. 81, lettera n. 5
Ibid., p. 87, lettera n. 10
20
Ibid., p.141, lettera n. 60
21
Ibid., p. 113, lettera n.32
19
10
Oriolo e se la posta e i postini recapitino all’Eremo tutte le lettere che ti mando.
Altrimenti studierei il modo di reclamare presso la Direzione, qui a Roma”22.
Quando Giuseppe (P. Raffaele), molti anni dopo, raccoglierà tutte le lettere dei
suoi genitori per renderle pubbliche, aggiungerà un suo commento a queste
affermazioni del padre: “non era la posta che non funzionava, ma la vita che
dovevamo fare, la quale ci spingeva sempre di più al distacco dai parenti. Per parenti
si intendevano anche i genitori. Ogni volta che si scriveva, le lettere passavano prima
per le mani del Maestro, poi per quelle del Priore e se il primo permetteva pure di
scrivere un po’ di più, il secondo faceva osservazione allo stesso Maestro perché ci
educasse a maggior distacco…Inoltre i compagni che, per quanto buoni, vedendo
che ricevevo molte lettere soffrivano non poco, dato che loro ne ricevevano poche.
Alcuni non aveva i genitori che sapessero scrivere. Generalmente scrivevano due
volte l’anno per Natale e Pasqua…Le lettere che ricevevo le leggevo, le conservavo
e spesso non le avevo presenti quando rispondevo. Poi mi indirizzavo sempre in
forma plurale: ‘Carissimi Genitori’. Evitavo espressioni troppo forti di affetto, anche se
mamma l’adoravo. Per non soffrire cercavo di non pensarci troppo, ma le lettere le
leggevo sempre più di una volta, soprattutto quelle di mamma, che erano più
familiari”23.
Questa dichiarazione ci rende maggiormente comprensibili gli sfoghi frequenti
di Lelia, le insofferenze per un dialogo reso faticoso dalle poche parole che si
potevano ricevere; un dolore, dunque, condiviso dal figlio e dai genitori accomunati,
per questo, dalla fatica di portare una stessa Croce, quella di Cristo che si avvia
verso il Calvario per la gioia della Redenzione.
Ulisse, però, sa trovare il modo di ristabilire un contatto più sublime con i suoi
figli donati al Signore: “Carissimo (Giuseppe) Frà Raffaele, stamattina mi trovavo al
mio ufficio, solo, ho pensato a te e mi è venuta la nostalgia di vederti…Quando mi
trovo nella Chiesa del Sacro Cuore in Via Piave, dove è esposto Gesù
Sacramentato, guardando Gesù mi sembra di vedere te in Gesù e così pure tu
quando fai orazione davanti al Tabernacolo pensa di vedere in Gesù Sacramentato
me e tutti noi in unione con te. Così parlandoci in Gesù e attraverso Gesù non
saremo più lontani, saremo vicinissimi e la nostra vicinanza non sarà semplicemente
immaginaria, ma sarà reale, vera, palpitante, viva. Evidentemente il Signore ci ha
fatto allontanare, perché noi potessimo essere più vicini a Lui, attraverso di Lui e con
Lui. E ci diremo tante cose e chi potrà impedircelo?”24.
La fede autentica di questi due sposi li riconduce ultimamente a Cristo:
presenza viva nelle circostanze della vita, nei volti di coloro che si incontrano nella
quotidianità, ma soprattutto fonte di unione concreta capace di superare i limiti del
tempo e dello spazio in un abbraccio immensamente più edificante di qualunque
contatto umano. Gesù Eucaristia apporta quella pace, quella serenità, quell’amore
nei cuori trafitti di Ulisse e Lelia: “nel fare la S. Comunione avevo l’impressione di
toccare te e Roberto e Francesco”25.
22
Ibid., p. 140, lettera n. 59
Ibid., p. 140
24
Ibid., p. 94, lettera n.15
25
Ibid., p. 102, lettera n.21
23
11
LO STILE DI VITA
Leggendo le numerose lettere di Lelia ed Ulisse è possibile estrapolare un
programma di vita con i suoi punti forti di riferimento: innanzitutto la preghiera
costante, sia comunitaria che personale, fatta con fedeltà ed obbedienza anche nei
momenti di aridità e di malinconia. “La domenica passata mamma e Teresa da una
parte e Leonardo e Emilietto dall’altra sono andati a vedere le esercitazioni dei
pompieri a Villa Borghese…Sono andato anch’io…Però c’era tanta folla che mi ha
preso l’oppressione e mi sentivo l’esaurimento nervoso e sono andato via. Teresa e
mamma sono rimasti a godersi lo spettacolo. Io sono andato in una piccola chiesetta
e là mi sono fatto passare l’esaurimento nervoso leggendo quel passo del Santo
Vangelo in cui si racconta di Nostro Signore che calma la tempesta. Si era
addormentato e la tempesta minacciava di sommergere la barchetta. Si alzò e
comandò ai venti e al mare e si fece gran bonaccia”26.
Quando il frastuono esterno ingabbia, quando la serenità interiore è minata dal
sotteso e costante tentativo della società di appiattire le coscienze, l’uomo che vive la
tensione di ascolto della voce di Dio trova la forza d’animo di opporsi, di risollevarsi e
di mendicare direttamente alla fonte: Ulisse si adopera per non lasciarsi sopraffare
dalla dispersione e permette a Dio di ristabilire la calma nelle circostanze della vita,
ripetendo ogni volta il gesto del piegare le ginocchia e del protendere le mani.
La preghiera è richiesta ripetutamente, in ogni lettera, ai tre figli lontani per
ricreare una comunione d’intenti e una unione reale in Cristo Gesù: “sento tanto bene
che la preghiera ci unisce più che la vicinanza”27, dichiara Lelia; Ulisse aggiunge: “la
notte alle quattro mi sveglio e penso a voi tre. Poi se volgo il pensiero al Signore mi
tranquillizzo”28
Vi è poi una capacità di vivere in pienezza il senso della comunità: ogni
membro della famiglia, con le proprie scelte, sprona gli altri all’affidamento continuo
al Signore. Ognuno con i propri talenti e le proprie capacità “completa” le mancanze
e i limiti degli altri. Scrive Lelia: “Qui la malinconia è grande assai e mi consolo
leggendo la vita di S. Teresina che ho sempre sul mio comodino insieme al manuale
che mi lasciasti e sul quale ho letto la Novena di quest’anno all’Immacolata. Papà poi
ha scritto sopra un foglietto l’orario delle tue occupazioni e sta sempre a portata di
mano, sicchè quando guardo la mia sveglia leggo quello che fai tu a quell’ora e ti
seguo col pensiero”29 .
Insieme fanno CHIESA, una comunità d’amore dentro cui tutti i suoi membri
trovano l’edificazione personale per mezzo di un rapporto comunitario. Anche il figlio
lontano è tenuto dentro questa comunità attraverso una continua descrizione
particolareggiata delle loro giornate. Il figlio, così, partecipa agli eventi che
coinvolgono la comunità d’origine: “Leonardo si sente mente ottenebrata, si sente
26
Ibid., p. 203. lettera n. 128
Ibid., p. 223, lettera n.146
28
Ibid., p. 88, lettera n. 10
29
Ibid., p. 97, lettera n. 18
27
12
difficoltà imparare, scoraggiato; io confortare, tu pregare”30, scrive Ulisse con il suo
consueto stile telegrafico distribuendo i compiti della carità secondo i carismi di
ognuno: chi è vicino conforta, sostiene, aiuta, chi è distante prega.
La vocazione del laico, di chi sceglie di servire il Signore dentro una famiglia,
in un luogo di lavoro, tra la gente, in mezzo alle occupazioni sociali, patisce, spesso,
la privazione delle consolazioni che vengono dallo stare frequentemente inginocchiati
di fronte a Dio. Gli impegni impediscono un raccoglimento prolungato, una
concentrazione nella meditazione simile a quella donata ai religiosi; niente raduni
poderosi di preghiera, per Lelia e Ulisse, né partecipazione frequente ad esercizi
spirituali: “pare che noi dobbiamo guadagnarci il Paradiso attraverso le cose di
questo mondo. Quando però la sera vado a letto, mi rammarico di non potere, per
necessità di natura, recarmi in Chiesa”31.
Poi giunge la consolazione della perenne presenza di Gesù nel Tabernacolo:
“Ho pensato che la Santissima Eucaristia è il fatto miracoloso e culminante della
nostra epoca, che dura da venti secoli e si è sparsa in tutto il mondo…Quando venni
per la prima volta a Roma, quello che mi fece impressione fu di vedere vicino a
Piazza Colonna, nel centro degli affari e della vita mondana, la chiesa di S. Claudio,
dove c’era e c’è tuttora l’esposizione permanente di Nostro Signore. La gente
entrava, usciva, si inginocchiava, pregava, era ed è sempre affollata di gente.
Pensavo: si vede che la gente sente che c’è qualcheduno, ne riceve conforto,
insomma sentono Gesù, non lo sentono con le orecchie del corpo, ma se ne
accorgono”32
Lelia e Ulisse splendono come esempi per la gente “comune”, di tutti i giorni,
genitori, sposi, lavoratori, chiamati a realizzare in pienezza la propria esistenza
divenendo ciò che Dio desidera per ognuno di loro: i coniugi Amendolagine vivono un
continuo riferimento a Dio dentro piccoli e ripetuti atti di adorazione rubati alla routine
quotidiana, che divengono alimento e sostegno per le proprie fatiche. La realtà tutta,
nei suoi momenti più duri così come nelle occasioni di gioia ed esultanza, è
mirabilmente trasformata in contemplazione mistica del Volto di Cristo.
“Quando sono in ufficio il mio lavoro consiste o nel leggere le pratiche, dare
disposizioni, o nello scrivere minute, o nel controllare il lavoro degli altri, o nel
conferire (ossia parlare) di pratiche d’ufficio con i superiori, ovvero nel ricevere un
pubblico vario che va dai senatori e deputati ai poveri operai, per questioni inerenti a
pratiche trattate. Io cerco di dire dentro di me ad ogni lavoro che incomincio: ‘Non per
gli uomini, Signore, Madonna mia, ma per Te’. ‘Non con gli uomini, Signore,
Madonna mia, ma con Te’. Di più chiamo la fantasia in mio soccorso e m’immagino
di stare in chiesa, davanti al trono dorato nella chiesa di Via Piave.”33.
30
Ibid., p. 184, lettera n.111
Ibid., p. 187, lettera n. 114
32
Ibid., p. 124, lettera n. 42
33
Ibid., p. 166, lettera n. 90
31
13
IL MARTIRIO DI LELIA
Il 1950 segna l’inizio del calvario di Lelia: dolori addominali fortissimi la
costringono a letto per lunghi periodi e a cure mediche che le danno solo sollievi
momentanei. Dopo due mesi di inutili tentativi per curarla, la “misteriosa” malattia
giunge al suo culmine. Nel marzo del 1950 Lelia viene ricoverata d’urgenza e
sottoposta ad un intervento chirurgico: la causa del suo male è un tumore maligno al
mesentere.
Inizia un periodo di grande sofferenza per l’intera famiglia; più di tutti è Ulisse
ad avvertire la tragicità dell’evento inatteso e ciò che colpisce è il silenzio improvviso
dentro cui si rifugia: per un lungo periodo non scriverà più lettere ai figli, e anche
quando riprenderà saranno rare.
La solitudine imminente che Ulisse sa di dover abbracciare presto pesa sulla
sua fede, si dispone ad accoglierla senza nulla reclamare, accetta con dolore la
separazione dalla sua amata senza una parola di ribellione, ma restando ancorato
alla speranza della vita eterna.
Lelia offre le sue sofferenze e trova il sostegno necessario in Gesù Eucaristia
ricevuto quotidianamente: “stamattina ho ricevuto Gesù e l’ho ringraziato per tutto
quello che mi ha concesso in questa malattia; L’ho ringraziato per me e per voi tutti
che tanto avete pregato”34.
Ma non sempre Lelia può accostarsi al sacrificio Eucaristico, spesso è
bloccata nel suo letto da forti ed indicibili dolori; allora invoca, spera, attende e le
capita di essere esaudita: “Ero proprio disperata perché non potevo nemmeno
pettinarmi e naturalmente dovevo rinunziare, come tante altre volte, ad andare alla S.
Messa, mi ero rivolta a S. Teresina con tutta l'anima, quando, ecco papà che ritorna
dalla Messa con la notizia che il Parroco mi avrebbe portato a casa, il 25, il velo della
Grande Santina, papà aveva finito di parlare ed io mi sento improvvisamente bene e
dico subito: "presto andiamo a Messa!" Ulisse non voleva, invece io mi sono vestita
e, accompagnata da papà passo passo sono potuta andare a S. Teresa dove mi
sono confessata, ma non ho potuto fare la S. Comunione (Il confessore me ne
avrebbe dato pure il permesso, se non avessi preso nella colazione il pane) Sarà
per un'altra volta! Sei contento? Immagina la mia felicità”35
Come una litania ripete ad ogni piccolo miglioramento o sollievo “Deo gratias!”
e “Sia fatta la Volontà di Dio”, con la rassegnazione fiduciosa di chi sa di procedere
tra braccia sicure verso una meta certa e gloriosa.
Un giorno scrive: “io non mi sento di chiedere la guarigione perché sarebbe
troppo bello, ma che mi vengono attutiti i dolori addominali che non sopporto con
molta pazienza. Sia fatta la Volontà di Dio!”36; e ancora: “oggi è il mio compleanno e
aspetto perciò gli auguri tuoi e di Roberto, vi ringrazio anticipatamente con la
34
Ibid., p. 243, lettera n. 166
Ibid., p. 258, lettera n. 183
36
Ibid., p. 269, lettera n. 194
35
14
speranza di passare ancora qualche altro ‘4 maggio’ fino a godere con papà e tutti di
casa la tua Prima Santa Messa; altrimenti sia fatta sempre la volontà di Dio”37
Il 20 novembre scrive al figlio Roberto che è in procinto di affrontare la
cerimonia della Vestizione: ”Dolori? Parecchi, un po’ reumatici e un po’ addominali: li
offro al Signore per la mia famiglia, ma ora per te che hai tanto bisogno di lumi.
Vedrai che, se Dio vuole, potrò anche venire a Torre, altrimenti sia fatta la Sua
Volontà”38.
Che senso può avere il dolore? Privata della sua forza redentrice la sofferenza
non può avere alcun significato. Come Cristo Crocifisso, Lelia riceve la grazia di
comprendere il carico d’amore che fuoriesce dal suo letto di dolore, la possibilità che
le viene concessa di trasformare la sua vita in ammirabile offerta di sacrificio per il
bene di coloro che lei ama immensamente: realmente Lelia si offre come vittima di
espiazione per la redenzione di chi le sta accanto.
Subito dopo l’operazione, verso le sei, Lelia inizia a sentirsi male. Si fa il
segno di Croce e offre le sofferenze della giornata al Cuore di Gesù. Il lamento del
dolore si fa più acuto, diviene una morsa che le toglie il respiro. Le sta accanto il figlio
carmelitano che accorgendosi della crisi che sta attraversando la madre, la invita a
compiere il gesto dell’offerta di tutte le sue sofferenze; lei lo rincuora: “le ho già
offerte questa mattina, appena svegliata”39.
Il 7 dicembre 1950 Roberto prende l’Abito dei Fratelli delle Scuole Cristiane e
Lelia non può partecipare; “per la vestizione di Roberto non potrò muovermi: forse
con una comoda macchina potrei anche tentare, ma nessuno me l’ha offerta e a
volerla prendere costa troppo. Ho offerto tutto al Signore…Poi gli starò vicino con la
preghiera e col pensiero”40. Un’assenza forzata, sicuramente molto sofferta, ma
accettata e trasformata in sorgente di grazie; la fede di Lelia giunge fino al punto di
permetterle di comprendere il senso della sofferenza che diviene, così, occasione
per invocare nella solitudine del proprio calvario l’unico Signore della propria vita
nella spoliazione estrema di chi si riconosce dipendente totalmente da Dio e trova in
tale dipendenza, nel ripetere il fiat di Maria, la realizzazione piena della propria
libertà.
Scrive a Roberto: “mai come in questi giorni sono stata con te col pensiero e
con la preghiera. Ho offerto al Signore la mia assenza e spero che in ricambio Dio e
la Mamma nostra Celeste dia a te tutte le grazie necessarie alla tua nuova vita…So
che papà ha pianto, ma il canto del Magnificat lo deve avere consolato assai. ‘E due!’
mi ha detto quando è ritornato. ‘Sia ringraziato il Signore!’. Sono contenta di tutto”41.
Dopo qualche mese le condizioni di Lelia peggiorano ulteriormente. Il figlio
Giuseppe ha finalmente il permesso di trascorrere alcuni giorni accanto alla madre.
Lelia sembra riprendersi e il figlio, a malincuore, è costretto a ripartire per il
convento. E’ consigliato di lasciarla mentre ancora dorme, forse per evitarle lo strazio
del saluto, forse per impedirle che un ulteriore dolore, quello dell’allontanarsi di un
figlio, giunga ad ampliare le pene di un corpo ormai martoriato dalla sofferenza fisica.
Forse non si ha coscienza che il sacrificio di una madre è capace di
oltrepassare i limiti di una ragione che esamina, valuta, calcola le situazioni
problematiche prima di risolverle; il sacrificio di una madre sceglie in base ad una
37
Ibid., p. 246, lettera n. 169
Ibid., p. 266, lettera n. 192
39
Ibid., p. 235
40
Ibid., p. 269, lettera n. 194
41
Ibid., p. 271, lettera n. 196
38
15
conoscenza d’amore. Lelia si sveglia, intuisce ciò che sta succedendo e conforta il
figlio: “Vai tranquillo che mamma è contenta, mamma è contenta!”.42
Doveva essere veramente contenta, poiché durante una visita di alcuni padri
carmelitani Lelia aveva loro confidato di offrire la propria vita a Dio per la purezza dei
figli!43 La missione di Lelia come donna e come madre è realizzata in pienezza:
abnegazione totale per i suoi figli fino al gesto estremo di donare la sua vita per loro.
Qualche giorno prima di morire Lelia, ormai obbligata a comunicare con piccoli
gesti e parole balbettate, immersa in uno stato di dormiveglia, in presenza della figlia
Teresa, sembra improvvisamente parlare con un essere visibile solo ai suoi occhi. La
figlia sente pronunciare e ripetere più volte: “Madonna mia”. Credendo che la madre
voglia vedere una immagine di Maria, corre nella camera a fianco e prende una
statuetta della Madonna che le era stata regalata dal figlio carmelitano. La mostra
alla madre che, però, non distoglie il suo sguardo sempre fisso da tutta altra parte,
presa da un colloquio interiore con una presenza misteriosa. Ad un certo punto,
come se continuasse ad alta voce questa conversazione, dice con parole chiare:
“Come è bella!.... Sei la Madonna delle grazie…. me la fai la grazia?….”. Poi
continuando a guardare come se seguisse fino alla porta l’uscita dell’ospite
inaspettato, continua: “No, no, non me la può fare, non me la può fare la grazia”. E la
mamma ripiomba nell’assopimento e nella semincoscienza di prima.
L’impressione di Teresa è grande poiché negli ultimi giorni Lelia non riusciva
più a pronunciare parole comprensibili e con estrema difficoltà riusciva ad esprimersi.
Questo misterioso dialogo, improvviso, ridesta un corpo annientato dalla sofferenza e
dà nuovamente voce all’incessante bisogno umano di essere sostenuto e consolato:
tutti in famiglia sono certi che Maria sia venuta a darle conforto nei suoi ultimi giorni
di vita.44
Il 3 luglio 1951 Lelia muore. Le è accanto Ulisse con il suo libro di preghiere,
attanagliato dal dolore, ma fortificato dalla fede nella vita che continua: “papà si
accorge della fine e le dice a voce alta: ‘Salutami mamma, papà…’ aggiungendo
anche altri nomi di parenti defunti”.45
Ulisse la lascia con una fede ferma nella Vita Eterna; farà scrivere sulla lapide
“RISORGEREMO”.
Spesso Ulisse amava ripetere: “tutto si muove, nulla sta fermo, nulla è
definitivo ed ha importanza in questo mondo”.46Espressioni che gli servivano per far
continua memoria della presenza di Dio che riassume in sé il senso di tutto ciò che
accade: “dopo la morte ci sarà il Paradiso, ove la gioia sarà completa”.47
Lelia muore alle 19.57; il mattino seguente Ulisse è svegliato da un raggio di
sole che attraversa una finestra di casa: “lo considerò il segno della gloria della sua
sposa e ne restò molto consolato”.48
42
Ibid., p. 291
Ibid., p. 291
44
Ibid., p. 293
45
Ibid., p. 294
46
Ibid., p. 80, lettera n. 4
47
Ibid., p. 107, lettera n. 25
48
Ibid., p. 296
43
16
LA SOLITUDINE DI ULISSE
Dopo la morte di Lelia si avverte dalle lettere sempre più rare di Ulisse la
tristezza della solitudine , lo sconforto di dover procedere il cammino dell’esistenza
senza colei che aveva definito “la base della famiglia”,49la fatica dell’occuparsi dei
figli che si trovano in quella fase dell’età in cui si rivendica una propria autonomia di
scelta e di azioni.
Ulisse si ritrova ad un punto di svolta della sua vita, di fronte a
quell’accadimento che pone l’uomo “solo” di fronte al suo Signore, ricondotto, per
questo, a quell’unico legame totalmente appagante dal quale ogni creatura fuoriesce
e al quale, ultimamente, ritorna. L’amore immenso per Lelia è veicolo per ricondurre
Ulisse dentro l’originario rapporto con Dio nel silenzio di un intimo colloquio di
abbandono.
L’angoscia preme su Ulisse, ma come una spinta non richiesta che costringe
ad invocare più intensamente l’intervento risolutore di Dio: “in questa occasione,
essendo rattristato ho aperto a caso, come uso fare, l’imitazione di Cristo e ho letto
che queste tribolazioni sono un dono del Signore e che…debbo guardare all’amore
del Signore verso di me che mi fa in segno di amore questi doni…E’ vero che la mia
natura e quella di altre persone si adatta poco a doni sgradevoli, ne risente troppo, le
spiace. Io tuttavia in seguito a questa lettura mi sono rasserenato, non guardando
alle tribolazioni, ma considerando la bontà e l’onnipotenza del Signore”.50
Ulisse si lascia guidare dalla certezza che esista un legame di mutua
collaborazione, di scambi di comunicazioni con chi fisicamente non abbiamo più
accanto; la morte delle persone care, nella pienezza di una fede salda, diviene uno
strumento per attingere quel conforto e quel sostegno che l’umanità non sa garantire,
una finestra che lascia intravedere la possibilità del riscatto di ogni situazione scelta
o patita che, sotto la luce dell’eternità, recupera il suo senso: “La forte fede
nell’esistenza dell’oltretomba, secondo quanto insegna la S. Chiesa Cattolica
Romana, e la fiducia nella Divina Provvidenza, che si rivela col suo aiuto sempre
tempestivo e paterno, ci aiuteranno, te e tutti noi, a superare le difficoltà di ogni
giorno e di tutta la vita e di qualsiasi genere che potremo incontrare”.51
I momenti di sconforto non mancano: la fede di Ulisse si alimenta anche nel
tempo della Notte, nell’attraversare, cioè il buio che tutto appiattisce e ingrigisce, che
frena gli slanci, ma che fa desiderare quel colloquio di contemplazione di unica
specie. Dio è cercato con ogni mezzo, per ridestare lo spirito scoraggiato; usa
l’Imitazione di Cristo “libro sempre utile, specialmente nei momenti di sconforto. Io lo
49
Ibid., p. 230, lettera n. 152
Ibid., p. 322, lettera n. 245
51
Ibid., p. 312, lettera n. 234
50
17
adopero così: lo apro ad una pagina qualsiasi, così come a caso (il caso non
esiste…invece è il Signore: che non si muove foglia che Dio non voglia) e là dove si
posa lo sguardo trovo la risposta adatta ai miei pensieri, la risposta che mi soddisfa e
alle volte mi dà tanta luce”.52
Anche nell’affrontare la delicata questione dell’educazione dei giovani figli,
presi dal naturale desiderio di indipendenza e di ricerca di momenti di divertimento e
spensieratezza, Ulisse riconosce come unica arma efficace per una guida sicura e
valevole il ricorso alla preghiera. I problemi di famiglia li prende su di sé e li condivide
con i due figli consacrati: come un’unica comunità orante che implora dal Signore
luce e saggezza soprannaturali. Dice a Giuseppe: “Tu prega. Tu e fratel Lelio
(Roberto) pensateci su e riflettete e poi io e voi due vedremo di risolvere la
questione”.53
Un giorno, di ritorno dalla Chiesa, si ritrova in casa una festa da ballo
organizzata dai figli insieme a molti loro amici; avverte più che mai l’assenza di Lelia:
“io me ne sono andato nella mia stanza a dire l’Ufficio di Terziario, nella
semioscurità…Sento che il mio compito si fa più arduo e sento la mancanza di vostra
madre e ho bisogno delle vostre preghiere”.54
Ulisse fa fatica ad adeguarsi alle esigenze dei figli che contrastano, soprattutto
in questa fase di solitudine, con la sua ricerca di pace e di consolazioni divine; ciò
nonostante trova dei rimedi per continuare a contemplare il volto di Cristo anche
dentro queste situazioni “nuove” per la sua età: “In casa, specialmente con
Leonardo, che è animato spirito di contraddizione, m’infiammo facilmente…ho
pensato dunque che anche per le improvvise arrabbiature vi potesse essere qualche
mezzo materiale e ho trovato: matita e pezzo di carta, accompagnati dalle solite
giaculatorie e dalla preghiera dell’Angelo Custode. La matita e il pezzo di carta le ho
sul tavolo in ufficio, e, quando mangio, accanto al piatto. Appena mi accorgo di
incominciarmi ad arrabbiare cerco di scrivere quello che mi fa rabbia. Non ho
d’ordinario neanche il tempo d’incominciare a scrivere, ovvero dopo scritto alcune
parole, la rabbia si calma”.55
Ulisse sa rendersi padrone delle sue emozioni e vivere con libertà dentro
circostanze che avrebbero facilmente potuto allontanarlo dalla fiducia in Dio: gli
eventi della vita divengono occasioni per donare al Signore azioni e sentimenti di
fedeltà a quell’Amore di cui ha sperimentato fin da giovane potenza e appagamento
infiniti.
La fede di Ulisse non vacilla, è resa più dura dalle difficoltà continue, ma
diviene più matura, più coscienziosa, più indispensabile: “carissimo Giuseppe, fra
Raffaele mio, beato te che puoi lavorare vicino a Lui e puoi, quando vuoi, durante il
giorno, andarlo a trovare: il Signore. Il nostro Ministero ha bei mobili, ma non ha una
Cappella in cui vi sia il Santissimo Sacramento custodito. Allora occorre averlo
nell’anima.”56
Il 24 settembre 1955 Ulisse è colpito da paresi al lato destro del corpo; non si
riprenderà mai del tutto, la sua salute andrà sempre più peggiorando al punto che
non potrà essere presente all’Ordinazione Sacerdotale del figlio Giuseppe fissato per
il 2 febbraio 1957.
52
Ibid., p. 318, lettera n. 241
Ibid., p. 320, lettera n. 242
54
Ibid., p. 339, lettera n. 257
55
Ibid., p. 341, lettera n. 258
56
Ibid., p. 344, lettera n. 260
53
18
Ad Ulisse è chiesto, come era accaduto in precedenza a Lelia, di partecipare
solo con la preghiera e con il pensiero a questo evento di grazia tanto desiderato ed
atteso: “in tutto il rito dell’Ordinazione sarà come se io stesso, insieme a te, mi
prostrassi a terra e ricevessi per l’imposizione delle mani di S. Eccellenza il Vescovo,
lo Spirito Santo e poi il Calice e gli altri paramenti sacri e che quelle preghiere e
parole siano dette anche per me. E nella Prima Messa come se fossi anche io
concelebrante insieme a te”.57
Domenica 10 febbraio Giuseppe celebra nella Parrocchia di S. Teresa a
Roma: Ulisse può ricevere la S. Comunione direttamente dalle mani del figlio.
La malattia blocca in parte il suo corpo e, di conseguenza, pesa sul suo stato
d’animo; abbattuto cerca di non restare schiacciato: “in queste condizioni in cui non
ho l’uso completo delle mie membra, come l’avevo prima di ammalarmi, ed ho altresì
difficoltà fisiche sia derivanti dalle facoltà digerenti che dall’obbligo di farmi fare le
iniezioni ogni volta che prendo un pasto, mi sento spiritualmente disorientato. Non so
ancora quali siano le mie possibilità fisiche, intellettuali e morali. Non riesco a tenere
a freno, sempre, la stizza. Mi occorre pazienza, calma, fiducia in Dio e coraggio.”58
Dentro un rapporto di speciale collaborazione con la grazia, Ulisse sprona
tutte le risorse umane per permettere alla sua solitudine di riempirsi di viva
spiritualità; organizza il tempo in modo tale che il contatto con un Dio silente sia
riempito da un continuo stare presso di Lui: “Una necessità fisiologica mi fa svegliare
verso le quattro o le cinque della mattina (fortunatamente ho imparato a non
muovermi dal letto), dopo difficilmente prendo sonno. Allora nel buio faccio un po’ di
meditazione. I pensieri e le preoccupazioni personali e di famiglia o di ufficio mi
assalgono e tra il dormiveglia cerco di scacciarli dicendo a me stesso che sono
materialità, mentre Nostro Signore è venuto in questo mondo per insegnarci le cose
dello spirito, che sono poi quelle che avranno una importanza perenne, eterna.
Richiamo quindi alla mente qualche insegnamento di Nostro Signore. Così passo
due o tre ore tra il sonno, la meditazione, il via vai importuno di pensieri molesti.
Quando filtrano le prime luci dalla finestra incomincio le mie preghiere di terziario
della mattina. Dico anche qualche preghiera ad alta voce per farla sentire a Teresa,
Francesco ed, indirettamente, anche a Leonardo. Poi faccio il quarto d’ora prescritta
di meditazione sul Vangelo della Domenica e passi collegati allo stesso S. Vangelo.
Come sai il S. Vangelo è una fonte inesauribile.”59
Conclude la sua vita il 30 maggio 1969, dopo aver trascorso l’intera esistenza
rassegnato a tutto: alla lontananza dai figli, alla sua malattia e a quella della moglie,
alla solitudine per la morte di Lelia, alla fatica di dover affrontare situazioni
domestiche a lui estranee. Mai una parola di ribellione, di lamentazione, di non
accettazione di tutto quello che proviene dalla Volontà di Dio. Semmai rimprovera i
suoi limiti, le sue incapacità, le sue miserie e invoca continuamente l’aiuto divino:
“rialzarsi, risorgere per comando di Dio. L’umiliazione dell’anima cristiana nella
rinunzia, sofferenza, morte, non si comprenderebbe se non fosse seguita dalla gloria
della Resurrezione”.60
Spesso il nostro cuore si riempie di ammirazione per uomini e donne che
hanno saputo rendere la loro esistenza un canto ininterrotto di lode a Dio. Abbiamo
una schiera di innumerevoli esempi di religiosi e religiose innalzati sugli altari della
santità: sembrerebbe quasi che tale traguardo sia meta esclusiva di chi abbandona i
57
Ibid., p. 365, lettera n. 281
Ibid., p. 355, lettera n. 270
59
Ibid., p. 363, lettera n. 279
60
Ibid., p. 84, lettera n. 7
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propri affetti per consacrarsi totalmente al Signore. Sembrerebbe che i legami umani
siano di impedimento ad una elevazione dell’anima a Dio. Abbiamo bisogno di
gridare più forte, in questo tempo di incredulità e di indifferenza, che tale cammino è
per tutti. Abbiamo bisogno di esempi che incoraggino gli uomini di ogni luogo e di
ogni stato sociale ad abbracciare una fede totalizzante, sfatando l’idea di una santità
come esclusiva prerogativa dei consacrati.
Lelia e Ulisse rappresentano un grande esempio di “santità di coppia”. Due
sposi che trasformano la vita matrimoniale in luogo di continua presenza dell’amore
di Dio che si dona attraverso la concretezza dei lavori e dei gesti quotidiani e si rende
sperimentabile nelle attenzioni e negli affetti vissuti dentro i legami familiari.
Lelia e Ulisse vivono con coscienza ed abnegazione la loro dipendenza da Dio
fino al sacrificio estremo in un rapporto comunitario dove ognuno trova la sua
edificazione personale. La gloria e la potenza della chiesa risplendono ancor più
mirabilmente nell’unione di due cuori innamorati in Cristo Gesù.
MARIA CONCETTA BOMBA ocds
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