gattaca - Centri di Ateneo
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GATTACA A cura di Raffaele Chiarulli Regia, soggetto e sceneggiatura: Andrew Niccol; produzione: Danny De Vito, Michael Shamberg, Stacey Sher; interpreti principali: Ethan Hawke (Vincent), Uma Thurman (Irene), Jude Law (Jerome), Gore Vidal (Josef), Elias Koteas (Antonio), Ernest Borgnine (Caesar), Alan Arkin (Detective Hugo); fotografia: Slawomir Idziak; musiche: Michael Nyman; montaggio: Lisa Zeno Churgin; scenografia: Jan Roelfs; origine e anno: Usa 1997; durata: 103’. In un futuro non lontanissimo, grazie ai progressi della scienza, è possibile stabilire a tavolino il profilo genetico dei nascituri. Ormai è norma concepire i bambini in provetta e gli esseri umani generati invece in modo naturale, “nati per fede”, sono inevitabilmente discriminati, poiché imperfetti. Nonostante appartenga a questa categoria di paria postmoderni, Vincent Freeman non si rassegna alla sua condizione di emarginato e continua a sognare una carriera nelle colonie spaziali, le cui missioni sono gestite dalla Gattaca Corporation (il nome “Gattaca” viene dalle iniziali delle quattro basi azotate che determinano la sequenza del DNA: guanina, adenina, timina e citosina). Vincent intreccia la sua vicenda con quella di Jerome, uomo dai geni perfetti ma costretto alla sedia a rotelle da un incidente, che ha messo “in vendita” la propria identità. I due stringono un patto, grazie al quale Vincent ha il permesso di usare i campioni di DNA di Jerome, essenziali per superare i continui controlli genetici, riuscendo così a essere assunto dall’ente spaziale. Uno strano omicidio sul posto di lavoro rischia di distruggere il suo sogno: la polizia trova per terra il ciglio di un invalido e naturalmente i sospetti iniziano a convergere verso il misterioso “clandestino” che si sta spacciando per chi non è. Dovendo dimostrare anche la propria innocenza, per Vincent si fa ancora più difficile mantenere la segretezza rispetto alla sua vera identità. Davvero il suo destino è scritto nei suoi geni? There is no gene for the human spirit. Con questa tag line nel 1998 Andrew Niccol lanciva il film Gattaca – La porta dell’universo, esempio di fantascienza filosofica capace di ragionare su temi decisivi per il mondo d’oggi ancor prima che per “un futuro non troppo lontano”. La vicenda si svolge in un mondo dove la fecondazione assistita è diventata pratica talmente comune da aver sostituito la “vecchia maniera”. Con inquietante cordialità, medici benintenzionati sollecitano i futuri genitori a “fare in modo che i loro figli partano da una posizione di vantaggio”, eliminando ogni possibile imperfezione (come a dire, l’imprevisto). Il protagonista Vincent, invece, è un “figlio della fede”, cioè nato con il sistema naturale e condannato come “invalido”, per un difetto alla vista e una malformazione cardiaca (che gli d{ un’aspettativa di vita di non più di trent’anni), a svolgere i compiti più umili in una societ{ ipercompetitiva; Vincent, però, imbroglia il sistema comprando l’identit{ del “valido” Jerome per conquistarsi una vita diversa. Lo spunto “rivoluzionario” proposto dal film si gioca su un doppio binario: da una parte il compimento del desiderio di Vincent, che vuole far parte di una missione diretta su una luna di Saturno, dall’altra la paralisi dovuta a un incidente che ha spezzato la vita perfetta di Jerome, esemplare tipo dei bambini in provetta di Gattaca. Se il primo, sconfiggendo il determinismo di un mondo in cui l’uomo vuole farsi Dio, si adopera con determinazione per inseguire il suo sogno, il secondo rappresenta, con la sua rassegnazione prim’ancora che con il suo handicap fisico, la sconfitta di “un sistema talmente perfetto che nessuno avrebbe più bisogno di essere buono”. Lo spirito umano batte, dunque, il paradigma genetico che finirebbe (o finirà) per dominare i rapporti non solo al momento del concepimento, ma in ogni istante della vita (si fa l’esame del DNA dei partner appena baciati per scoprire le loro potenzialità); e allo stesso tempo s’intuisce che la prospettiva che muove l’ingegneria genetica e quella che regola i rapporti degli adulti possono essere artificialmente separate, ma discendono da un unico punto di partenza, spietatamente discriminatorio. Niccol sembra convinto che l’essere umano non si riduca a una mappa genetica che si vuole il più possibile perfetta, ma consista piuttosto in quel desiderio d’infinito che il viaggio tra le stelle esemplifica poeticamente. E se i bambini come Vincent Freeman (nomen omen) si chiamano “figli della fede”, il primato della persona, fragile e imperfetta e non manipolata o manipolabile, è questione di ragione e si traduce nella convinzione che ogni essere concepito è molto più della somma dei geni, più o meno perfetti, che l’hanno generato. L’AUTORE Andrew Niccol è nato a Paraparaumu (Nuova Zelanda) il 10 giugno 1964. Iniziò la sua carriera a Londra realizzando spot pubblicitari di successo e dopo qualche anno si trasferì a Los Angeles. Verso la metà degli anni Novanta riuscì a farsi ricevere da Scott Rudin, celebre produttore hollywoodiano (Il socio, Sister Act), e a sottoporgli l’idea geniale per un soggetto, ispirato al romanzo di Philip K. Dick Tempo fuori luogo (Time Out of Joint, 1959) che di lì a qualche anno sarebbe diventato uno dei film più importanti del decennio: The Truman Show (1998). Rudin rimase sorpreso dall’eccezionalit{ del soggetto e mise il giovane cineasta sotto contratto affinché portasse a termine la sceneggiatura. Ottenuto il consenso di una star, Jim Carrie, per il ruolo di protagonista, Rudin non se la sentì però di affidare il potenziale blockbuster a un esordiente e reclutò come regista l’esperto Peter Weir (Witness – Il testimone, L’attimo fuggente). Molta parte della critica, data l’importanza di Weir, gli attribuisce erroneamente la paternità di molte delle idee contenute nel film, un apologo di grande profondità tematica perfettamente inserito, invece, nel percorso di Niccol (accreditato comunque come autore del soggetto e della sceneggiatura), che non avrebbe tardato a distinguersi senza equivoci di sorta come autore a tutto tondo. Mentre procedeva la produzione di The Truman Show, infatti, Niccol ebbe l’opportunit{, grazie alla Jersey Film, la compagnia di produzione di Danny De Vito, di firmare Gattaca (1997), sempre tratto da una sua sceneggiatura, anche come regista. I due film, praticamente coevi, posizionarono Niccol in un posto di assoluto rilievo nel panorama della fantascienza cinematografica che si affacciava al nuovo millennio. Sempre nelle doppie vesti di sceneggiatore e regista, firmò pochi anni dopo S1m0ne (2002), satira del mondo di Hollywood e delle ossessioni dello Star System aggiornate all’era del digitale: la concorrenza spregiudicata all’interno dell’industria del cinema costringe un cineasta veterano (interpretato da Al Pacino) a inventare tramite un sofisticato software il simulacro digitale di un’attrice, un feticcio che risulta paradossalmente più reale della realtà. Successivamente firmò il soggetto (la sceneggiatura sarà invece di Sacha Gervasi e Jeff Nathanson) di The Terminal (2004) di Steven Spielberg, “la più strepitosa raffigurazione cinematografica dei non luoghi di Marc Augé” (Mauro Gervasini), commedia grottesca in cui un viaggiatore proveniente dall’Europa dell’Est rimane bloccato per un inghippo burocratico nell’aeroporto di New York, dove è costretto a inventarsi una vita. Dopo Lord of War (2005), commedia nera con protagonista un mercante d’armi (in cui Niccol, sempre nelle doppie vesti di sceneggiatore e regista, esplorò un altro genere), tornò alla fantascienza con il congegno filosofico In Time (2011), ritratto di un futuro in cui gli esseri umani devono letteralmente “guadagnarsi da vivere” perché programmati geneticamente per spegnersi a venticinque anni, e il più debole The Host (2013), tratto da un romanzo dell’autrice di Twilight Stephanie Meyer, in cui la terra è stata conquistata da una razza aliena che occupa i corpi degli umani installandovi delle “Anime”, finché uno degli organismi ospiti non si ribella. “Niccol rinuncia agli elementi tradizionali ed esteriori che postulano nel futuro ogni ipotesi aberrante circa il rapporto tra individuo e sistema onnipresente, repressivo o selettivo. Le sue parabole fantascientifiche […], il cui pessimismo è attenuato da una forte istanza umanistica […], si svolgono in un tempo indefinito, non coincidente ma contiguo al presente e sbilanciato sul passato. Di questa commistione l’autore offre una visione molto stilizzata, minimalista e rarefatta, che rimanda, specialmente in Gattaca e S1m0ne, alle geometrie visive dei film di Michelangelo Antonioni, ai prototipi architettonici di Frank Lloyd Wright (la struttura circolare del Gattaca Centre), alla linea di abbigliamento di Giorgio Armani e a quella automobilsitica italiana degli anni Sessanta (l’Alfa Romeo di S1m0ne richiama la celebre vettura del Sorpasso, 1962, di Dino Risi). I rischi della degenerazione autoritaria, addirittura messianica […] sono impliciti nelle attuali democrazie: il commercio genetico diviene la premessa fondamentale per una nuova politica razzista su base scientifica e tecnologica (Gattaca e In Time); i reality show finiscono per impossessarsi dell’intero ciclo biologico dell’obsoleto ‘personaggio uomo’, inconsapevole persino di farne parte e di essere il maggiore testimonial d’ogni sora di merce (The Truman Show); […] il regista della nuova Hollywood è costretto ad annullare definitivamente il dogma corporeo dell’attore, optando per il simulacro digitale, onde ripristinare un approccio fisico, spontaneo e diretto al film e prendersi gioco dello Star System, dell’informazione e dell’ordinamento giuridico [S1m0ne]” (Anton Giulio Mancino).