elena boselli - Produzioni dal Basso
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elena boselli - Produzioni dal Basso
ELENA BOSELLI Emma prefazione di Francesca Giuliani Questo libro è un'opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell'autrice e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi o persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale. Copyright © Emma, 2015 Tutti i diritti sono riservati. Prefazione di Francesca Giuliani Emma non è un nome molto comune al giorno d’oggi, ma neanche la protagonista di questo romanzo lo è. Emma è una donna combattiva, una donna giovane che riesce a risorgere dalle sue ceneri come una fenice, che non si abbatte nonostante le avversità della vita. Emma è un po’ come tutte le ragazze normali, che nella loro semplicità riescono comunque a differenziarsi dalla massa. E tu, quanto sei simile a lei? EMMA Per i miei cari genitori, per le mie sorelle e per Thomas, il mio amore. Emma, l'abbraccio. «Quando l'amore fa sentire l'altro rispettato, non umiliato, non distrutto ma sostenuto, quando l'amore ci fa sentire nutriti, liberi, allora scende a profondità maggiori.» - Osho 1 In questa giornata mite e serena ho avuto un'idea improvvisa, come una lampadina si è accesa nella mia testa. Ho deciso di raccontarvi un po' di me stessa, perchè la mia mente raccoglie un insieme tumultuoso di ricordi e sensazioni che necessito di scaricare. Comincio presentandomi: mi chiamo Emma e sono una studentessa da poco laureata, piena di sogni nel cassetto, amo la mia vita e le persone che mi stanno accanto e, non ultimo, amo me stessa. Mi considero una persona solare e riflessiva, un po' introversa e affettuosa. Amo essere circondata dai miei affetti, le persone per me più care sono al tempo stesso la mia ragione di vita. Ho affrontato un lungo periodo di conflitti interiori, saltando da un lato all'altro del burrone, sempre in equilibrio precario. Ho intenzione di fare un tuffo nel mio passato e raccontarvi qualche aneddoto interessante che si è verificato negli anni della mia giovinezza. Ma cominciamo dal principio: una delle cose più importanti che ho dovuto fare nei primi anni della mia vita è stata la scelta della scuola superiore, un passo che ha un enorme peso e influenza fortemente la formazione di una persona. Ho sempre pensato che sia davvero difficile scegliere con assoluta sicurezza e consapevolezza la scuola da frequentare, in un periodo della vita in cui si è talmente giovani e immaturi che non si sa ancora chi sei. Così, piena di questa insicurezza caratteristica degli anni dell'adolescenza, mi sono lasciata guidare dai miei genitori, premurosi e sempre presenti. Conoscendo le mie doti, sempre sottolineate fin dai tempi delle scuole elementari, ho infine optato per il liceo artistico. Una scuola caratterizzata da aspetti decisamente positivi, quali la possibilità di esprimere la propria persona e le proprie convinzioni in molteplici modi, uno dei quali è il disegno. Ho sempre amato disegnare - e non intendo il disegno tecnico che in qualche modo ti vincola nella scelta di espressione della tua creatività - parlo del disegno a mano libera, la pittura, il disegno a matita, a pennarello, con la tempera e con i gessetti. Ritengo che il disegno, inteso come artistico e non geometrico, sia un metodo e allo stesso tempo un canale di comunicazione molto efficace e profondo, un dono e un'abilità di cui solo pochi possono usufruire. La formazione artistica che ho scelto, come ho notato presto, era particolarmente adatta a chi, come me, detesta sottostare ai vincoli e alle regole, a chi non sopporta che venga inculcato un preciso e standardizzato metodo di pensare e di agire. L'arte è come una strada che conduce alla libertà di espressione, dal momento in cui esprimi la tua creatività è come se magicamente ti comparissero due ali sul dorso e potessi finalmente spiccare il volo. Ci sono infiniti modi di essere artista, proprio per il significato intrinseco della parola. Trovo che assaporare con gli occhi una meravigliosa Gioconda o un aggraziato ritratto di Degas sia qualcosa di unico. Scienza e arte sono due materie diverse ed è vero che i prodotti di tali discipline vengono valutati con criteri decisamente differenti, però c'è da dire che tali grandi campi del sapere presentano anche molti punti in comune. Entrambi, per esempio, richiedono una grande creatività per poter ideare una soluzione innovativa ed entrambi devono uscire dagli schemi per pensare diversamente. Forse proprio per il mio carattere, per la tendenza a volermi distinguere e l'intolleranza nei confronti di chi vuole imporre come ragionare, di chi vuole che adotti sempre metodi convenzionali per la risoluzione dei problemi, sono finita a studiare queste due discipline: l'arte alle superiori e la scienza all'Università. Ho intrapreso un percorso singolare ma decisamente fertile. Ho trascorso cinque anni studiando la letteratura, la storia dell'arte e la filosofia, osservando come le grandi menti riuscivano a farsi notare in mezzo alle persone grazie a doti straordinarie. Ho studiato la vita e le opere di personaggi che, chi con discrezione e chi con un velo di egocentrismo, riusciva a creare qualcosa di unico che avrebbe cambiato la vita e il modo di pensare di molte persone. Ho vissuto l'adolescenza burrascosa e tormentata di chi sente il bisogno impellente e costante di ribellarsi alle regole e di vivere la vita seguendo unicamente i propri orizzonti. Ho conosciuto persone dal carattere estroverso e solare, persone tormentate dalle proprie frustrazioni e persone ricche di dubbi e domande, in perenne ricerca di qualcosa. Ero, come tanti altri adolescenti, abbastanza influenzabile e finivo spesso per seguire strade che in seguito si rivelavano sbagliate e per fare scelte che presto scoprivo essere errate. É una grande e una pessima insegnante la vita, permette sempre che ci si faccia del male prima di imparare qual è il modo giusto di agire. Non è da sottovalutare che un problema visto con gli occhi di un giovane ancora immaturo assume proporzioni smisurate e la sua apparente gravità di conseguenza diviene esponenzialmente maggiore. Ero molto sensibile in quegli anni e mi buttavo giù facilmente quando mi trovavo di fronte a un ostacolo, mi deprimevo e mi ritenevo incapace di reagire e di vincerlo. Tale fragilità era comunque compensata dalla facilità con cui mi lasciavo entusiasmare dalle novità, vivevo le nuove esperienze con lo spirito di una bambina e oggi tutto ciò mi sembra eccezionale. Sono ancora molto giovane, ci tengo a sottolinearlo, ma lo stesso non riesco più a sentire quella grande eccitazione nel fare cose nuove. É un'età meravigliosa e allo stesso tempo orribile l'adoloscenza; meravigliosa perchè ti permette di vivere con grande entusiasmo ed energia ogni nuova situazione, orribile perchè la stessa inesperienza e immaturità che ti si palesano in faccia nei momenti di difficoltà rendono il tutto spiacevole e sgradevole. 2 Durante gli anni della scuola superiore ho stretto amicizie più o meno improbabili, assecondando spesso il mio bisogno di sicurezza. Frequentavo persone apparentemente sicure di sé, che con il tempo si rivelavano più problematiche e insicure di me. Una sensazione di chiara inadeguatezza era la costante che influenzava ogni mia scelta e mi tirava in un angolo vuoto e buio, sola al cospetto delle mie fragilità. La mia migliore amica in quel periodo era Anna, una ragazza molto carina e simpatica, con un'inesauribile voglia di sorridere alla vita nonostante tutto. Era una persona molto dolce e premurosa, docile e un po' insicura. Anna, come me, temeva la solitudine, temeva quel senso di vuoto che ti riempie nel momento in cui la vita ti si impone con il suo lato peggiore. Viveva situazioni sentimentali complesse e alle volte frustranti, ma ogni volta che la vedevo arrivare a scuola la mattina la vedevo sfoderare un sorriso a trentadue denti che poteva fare invidia a chiunque. Ho sempre pensato che il suo segreto fosse il voler vivere alla giornata, l'accontentarsi delle amicizie genuine e sincere che alleggerivano ogni suo tormento esistenziale. La ammiravo per quello e tuttora credo sia una persona fantastica, all'età di ventiquattro anni aspetta un bambino ed è entusiasta e gioiosa come la ricordavo dieci anni fa. Che senso avrebbe vivere le giornate senza il piacere di cogliere e apprezzare anche le più piccole cose? Senza questa invidiabile abilità niente avrebbe più il sapore che altrimenti si riesce a percepire. Trovarsi il pomeriggio e fare due passi e quattro risate con una persona cara, una sorella o un fratello, un fidanzato o un amico, assume un valore inestimabile per quelle persone che sanno coglierne l'importanza. Passai cinque anni nel tormento e nel timore di aver sbagliato ogni cosa, la scuola non mi soddisfaceva, le amicizie un po' superficiali che avevo stretto in quel periodo mi lasciavano il vuoto nello stomaco e la mia lotta continua contro me stessa continuava senza dare cenni di tregua. Era un'insoddisfazione generale che condiva ogni aspetto della mia vita. Mi ci vollero anni per capire che il problema non era intorno a me, non erano la scuola o le amicizie: era dentro di me, era la mia quasi inesistente autostima. L'autostima è una cosa seria e delicata, è come un fiore soggetto alle intemperie, al freddo gelido e al caldo soffocante, necessita di attenzione e molta cura per sopravvivere. Ogni volta che perde un petalo o si piega il gambo, quel fragile fiore deve trovare la forza di rialzarsi e tornare a guardare il cielo. Dopo tutto il temporale è passeggero, come il freddo e la grandine; possono durare anche giorni o settimane, ma passano e lasciano spazio al calore e ai raggi del sole. Questo dovrebbe fare ognuno di noi, non ha importanza se a volte ci pieghiamo prostrati per la delusione, per il dolore o per la paura: ciò che conta è riuscire a tornare a sorridere. Grazie alla mia tenacia o grazie alla fortuna, non lo so, i cinque anni più lunghi della mia vita, quelli del liceo, passarono e lasciarono dentro di me un segno, una lezione che poi si è rivelata fondamentale. Non esistono difficoltà insormontabili, dentro di te troverai sempre la capacità di risolverle e andare avanti. 3 Era una mattinata riscaldata dalla timida luce del sole e un vento leggero cullava le foglie degli alberi nei giardini. Il suono insistente della sveglia interruppe il mio sogno, un sogno intrigante e pieno di emozioni. Era ora di prepararsi per andare in Segreteria Didattica, l'inizio dell'università era alle porte e mi colse sprovveduta. Dovevo decidere cosa fare della mia vita. Diventare un medico filantropo e pronto a sacrificare le intere giornate e il proprio buon umore per il bene del prossimo, diventare un avvocato senza scrupoli circondato da persone che per ottenere quello che vogliono sarebbero disposte a vendere la propria madre o diventare una scienziata? O ancora un'architetta eccentrica e stravagante? Una scienziata... Un mondo di strumenti costosissimi e delicati e pozioni colorate non sarebbe male. Bloccai quel turbine di pensieri con un getto d'acqua fredda con cui bagnai la faccia e gli occhi ancora assonnati. Andai in camera, infilai il primo paio di jeans che trovai e una maglietta. Ero pronta per la mia impresa. "Emma, sei pronta?" chiese mio padre con un tono di voce laconico; ero solita farmi attendere la mattina. "Andiamo, dai, o perderai il treno" disse ancora facendomi un cenno con la testa indicando la porta di ingresso. Afferrai la borsa e seguii mio padre fuori di casa sbattendo la porta alle mie spalle. Il viaggio in macchina fu più lungo che mai, non prestai attenzione alla strada e alle macchine ma, guardando fuori dal finestrino, immaginai cosa sarebbe successo in un futuro prossimo. Mi vedevo in un ambulatorio, in un corridoio di ospedale, in una stanza silenziosa con un uomo serio dal volto corrugato in cerca di aiuto, in cerca di speranza. La mattinata fu abbastanza agitata, ma dovevo essere prima di tutto certa di fare la scelta giusta. Optai per la Facoltà di Scienze Infermieristiche, il cui test di ingresso aveva avuto esito positivo. Il test per Fisioterapia non era andato altrettanto bene in quanto ero rimasta esclusa in graduatoria per sei posti, sei posti che seppur pochi facevano la differenza, decidevano il mio futuro: non avrei potuto frequentare la Facoltà di Medicina. Avrei potuto ritentare il test e magari essere più fortunata, ma il tempo è importante e cruciale. Io sono sempre stata una impaziente e frettolosa e non ho mai amato aspettare. Sono così di carattere, so cosa voglio e lo voglio subito. Oddio, so cosa voglio... forse. In realtà non sono sempre certa delle scelte che faccio, soprattutto nei bivi che la vita ci mette davanti nel nostro percorso e che hanno una grossa influenza sul futuro. Angosciata dalla consapevolezza di tale importanza mi sento più insicura che mai. Forse sono un po' influenzabile dall'opinione altrui. Forse. Non lo so. Sta di fatto che la scelta di fare infermieristica tutto a un tratto mi sembrò precipitosa e mi apparve come un'alternativa disperata alla Facoltà di Medicina. Un giorno telefonai all'ufficio immatricolazioni dell'Università e decisi di cambiare il corso a cui mi ero iscritta. Decisi di iscrivermi a chimica. Seguendo un lungo iter burocratico, che richiedeva la presenza fisica presso la Segreteria Studenti della Facoltà di interesse, riuscii a convertire la mia iscrizione al corso di laurea precedente, al corso di laurea in Chimica. Alla fine la vita ti dà un sacco di opportunità diverse e basta saperle cogliere. Ero felice, un po' preoccupata ma felice. 4 I mesi precedenti all'iscrizione all'Università furono agitati e confusi. Mi balenarono per la testa mille idee e mille progetti, cercavo di immaginare me stessa in un futuro non lontano, alle prese finalmente con il lavoro. L'Università è decisiva per indirizzare ogni studente verso un certo tipo di occupazione, è importante per capire cosa vogliamo dalla vita e chi siamo realmente. É difficile a volte far fronte ai grandi cambiamenti delle nostre esistenze, soprattutto quando privi di certezze dobbiamo esserne gli artefici. Gli studenti si battono per avere un futuro e per questo ci vogliono forza e coraggio, ma non solo: occorrono necessariamente anche scaltrezza, intelligenza, onestà e determinazione. Eh si, perchè, come per ogni cosa, raggiungere un obiettivo richiede uno sforzo e un insieme di cose che mixate nel modo giusto possono dare un buon risultato. É come una pozione, è come mescolare gli ingredienti di una reazione chimica: per ottenere l'acqua servono l'ossigeno e l'idrogeno e non solo, devono essere uniti nelle giuste proporzioni. Una sera mi sdraiai a letto e mi chiesi: "Avrò fatto la scelta giusta? E chi me lo assicura? E se poi me ne pento?". Ecco, i dubbi cominciavano ad assalirmi, ero stanca e piena di domande. Il punto era trovare le risposte. Ma spezziamo una lancia a mio favore (uno sprazzo di ottimismo ogni tanto mi illumina): le persone intelligenti sono sempre piene di dubbi, al contrario degli imbecilli, che sono certi di avere la ragione assoluta su tutto, in ogni momento. Su questo posso dire che sono certa. Quasi. * La mattina seguente la luce del sole mi svegliò penetrando dalla finestra le cui veneziane erano rimaste sollevate. Rimasi a letto qualche minuto a pensare. Pensare, pensare, pensare... In quel periodo non facevo altro. Mi preparai e andai a prendere il treno. Quella giornata di Università passò tranquilla: ero nuovamente serena, chiacchieravo con le mie compagne di facoltà e i minuti passavano veloci. Le lezioni erano davvero interessanti, i professori emanavano un senso di sicurezza e alimentavano le nostre ambizioni più nascoste. 5 Alla fine delle lezioni, nel tardo pomeriggio, squillò il telefono. Era il mio fidanzato, Cesare, un ragazzo che amavo con tutto il cuore, con il quale però avevo una relazione un po' complicata e burrascosa a causa principalmente della sua natura. Era (ed è ancora) viziato, molto viziato, e abituato ad avere tutto ciò che voleva. Gli bastava aprire bocca e come d'incanto mammina soddisfava i suoi capricci. Cesare si era circondato di amici così, pronti a esaudire ogni suo desiderio, pronti a passare sopra ai propri bisogni per soddisfare i suoi. Anche io rientravo in quello schema, probabilmente a causa del mio carattere, essendo molto sensibile e tendendo a lasciarmi sopraffare dalla sua indole autoritaria e un po' aggressiva. Sto descrivendo il classico ragazzo che a occhi ingenui può facilmente apparire dolce e premuroso, gentile e generoso. In realtà era un egoista e l'ho provato sulla mia pelle numerose volte. Per farvi capire meglio ciò di cui parlo permettetemi una piccola digressione. Torniamo indietro nel tempo di circa un anno rispetto all'inizio dell'Università. Era un pomeriggio tranquillo e mi chiedevo se fosse il caso di cercarlo. Alla fine decisi che gli avrei scritto, gli mandai un messaggio e accettai un invito che mi aveva già fatto in precedenza per andare fuori a bere un drink insieme. Uscimmo e parlammo tanto e girammo per il paese, chiacchierammo del più e del meno e la sera arrivò presto. Avevo passato una bella giornata ed ero decisa a chiamarlo ancora. Qualcosa di lui mi attraeva, di certo la simpatia, ma anche la sicurezza, il fatto che sembrava non lasciarsi intimidire da nessuno. Era proprio il tipo di persona di cui avevo bisogno: un appoggio, una persona che mi desse conforto e che mi potesse capire. Sono sempre stata una ragazza dal carattere debole e forse per la mia inesperienza tendevo a essere molto ingenua. I primi mesi trascorsero velocemente, con lui stavo benissimo e non mi sembrava vero. Un giorno, anzi una notte, arrivò però una brutta notizia. Lui era malato, aveva il cancro. Mi sentii crollare il mondo addosso ed egoisticamente mi chiesi "perchè proprio a me?". Quella domanda non trovò mai risposta, se non la timida giustificazione che ciò che non ti uccide ti rende più forte. Seguì un periodo davvero grigio della mia vita, che durò anni. Durante i mesi in cui Cesare era ricoverato in ospedale per ricevere le cure nesessarie io andavo a trovarlo tutti i giorni ma ero incapace tuttavia di tirarlo su di morale in quanto piangevo più di lui e sfoggiavo sempre una faccia da funerale. Ero fragile e in quel periodo dubitavo seriamente che un'esperienza così potesse rendermi più forte, mi sembrava piuttosto il contrario. Il segreto per tirare avanti era non pensare ai possibili esiti negativi della cura e sperare senza limiti. Un enorme senso di ansia e tristezza mi sopraffava ogni giorno e l'unico modo per distrarmi era rifugiarmi in me stessa, ascoltare musica e ...studiare. Sì, studiavo molto in quel periodo, frequentavo l'ultimo anno di scuola superiore, un anno che mi mise pesantemente alla prova e da cui tuttavia ho imparato molto, una scuola di vita insomma. Provai i primi attacchi di ansia, che non si fermarono neppure quando il mio ragazzo fu finalmente dimesso dall'ospedale: era guarito, era sano e salvo. Quegli attacchi si trasformarono presto in attacchi di panico, una sensazione difficile da descrivere, difficile da superare. Ricordo ancora un episodio, è rimasto impresso nella mia mente e mai lo dimenticherò. Si tratta di un avvenimento che dimostra quanto la cattiveria e l'egoismo umani possano essere sconfinati. Era un pomeriggio d'inverno, precisamente l'ultimo dell'anno, e io mi trovavo sdraiata a letto nella mia camera con addosso una brutta sensazione. Sapevo che stavo per sentirmi male. Lo chiamai e gli chiesi cosa stesse facendo e lui mi rispose che era in giro con un suo amico ad acquistare oggetti per adornare il locale in cui avremmo trascorso la festa di capodanno. Gli chiesi di venire a prendermi perchè non mi sentivo bene, sapevo che mi sarebbe venuto un attacco dei soliti, ma lui si rifiutò, disse che aveva altro da fare e non voleva farsi carico del mio malessere, disse che mi aveva avvisata che non dovevo stare male per lui. Come se al cuore si potesse comandare! Come se fosse facile affrontare un dolore simile, dover accettare che la persona che ami ha un cancro e tu non puoi farci niente. Ormai lui era guarito ma a quel punto ero io a stare male. Eppure non ricevetti alcun aiuto. Forse devo ringraziarlo per questo, perchè ho imparato quali sono i miei limiti e ho capito che se hai bisogno di un aiuto l'unica persona di cui puoi sempre veramente fidarti sei proprio tu. Devo ringraziarlo anche per un altro motivo, perchè con le umiliazioni che mi ha fatto subire, con i suoi attacchi di ira e di gelosia nei miei confronti mi ha fatto piano piano allontanare da lui rendendomi conto che una delle cose veramente importanti della vita è proprio amare se stessi, senza sfociare nel narcisismo e nell'egoismo, ma tanto da assicurarmi un po' di amor proprio, così da riuscire a proteggersi da persone come lui. Proprio in questi giorni ho fatto una ricerca su internet e ho letto con attenzione il significato della parola narcisismo: disturbo della personalità che comporta un sentimento esagerato della propria importanza e una sensazione di superiorità nei confronti delle altre persone. É una descrizione che gli calza a pennello! Ecco cosa ho capito, che i presuntuosi arroganti come lui...hanno solo un complesso psichico. Non dico che fosse cattivo ma semplicemente non esisteva nessuno più importante di lui. E forse questo suggerisce anche un'altra considerazione, cioè che più una persona è piccola dentro e più deve sminuire gli altri per sentirsi qualcuno. Tutto questo è il riassunto di tre anni e mezzo di relazione con lui, lui che in fondo mi sento di rigraziare per la lezione regalatami ( o meglio guadagnata a caro prezzo), infatti adesso so quale tipo di persona è meglio evitare. Del resto col tempo il copione si è ripetuto, in fondo io cerco sempre un qualcosa di positivo nelle persone anche se a volte proprio non c'è. A questo proposito mi viene in mente ciò che è successo un paio di anni fa, quando avevo 22 anni. Un altro periodo grigio in cui per diversi motivi sono stata male, ho avuto un esaurimento nervoso ma di questo ne parlerò meglio in seguito. Insomma, anche quella volta ho avuto il coraggio di chiamarlo in cerca di aiuto, nonostante tutto pensavo magari fosse cambiato, magari quella volta mi sarebbe stato vicino da amico. Gli telefonai e gli raccontai tutto del mio malessere e gli chiesi un aiuto concreto. Lui mi rassicurò e mi disse di non preoccuparmi, che mi avrebbe presto richiamata per darmi l'aiuto che gli chiedevo. Non lo fece mai. Non si fece più sentire. Ebbi la mia conferma anche quella volta e capii che persone come lui dovevo escluderle del tutto dalla mia vita. Ma una scelta giusta nella mia vita la feci: fu quella di mollarlo. 6 Una delle numerose lezioni che ho imparato avendo a che fare con le persone è che sono proprio quelle a te più vicine, quelle in cui hai riposto piena fiducia e a cui vuoi bene, le prime che ti tradiranno e ti volteranno le spalle. Conoscendo i tuoi punti deboli riescono a conseguire un sacco di primati: sono le prime a colpirti alle spalle, sono le prime a raggirarti, sono le prime a sfruttarti per raggiungere i più bassi obiettivi. Queste persone io le definirei FMM: Falsi, Meschini e Manipolatori. Ne ho conosciuto uno in particolare e data l'entità della delusione da me ricevuta, resterà un'esperienza ben impressa nella mia mente a lungo termine. Assegno a questa persona una definizione precisa e verificata, ovvero FMMA: Falso, Meschino, Manipolatore e Arrogante. Il classico bastardo che non guarda in faccia nessuno quando si tratta di raggiungere i suoi più infimi scopi. Questa persona tradirebbe chiunque, amici, moglie o parenti. Lui ti passa sopra pestandoti anche il viso e all'occorrenza ti sputa pure in faccia. Messo di fronte all'evidenza del suo torto non si prende nemmeno la briga di difendersi, vuoi perché non ne è capace, vuoi perché è solo un povero arrogante che ritiene di avere sempre la verità in bocca e di non dover dare spiegazione alcuna per ogni sua decisione. Costui è un bastardo patentato, un meschino di prima classe, un manipolatore ormai esperto. Talmente è abituato a raggirare le persone che ormai lo fa con una naturalezza sorprendente. La sua falsità ha raggiunto livelli tali che si potrebbe tranquillamente candidare al premio Oscar per il miglior disonesto dei nostri tempi. Costui è in grado di difendere solo i suoi pari, fatti a sua immagine e somiglianza, manipolatori e bugiardi come lui. Si capisce, tra bastardi c'è intesa. Ma vada in rovina la fiducia e la bontà d'animo! Persone così non meritano una seconda opportunità, meritano di andare al diavolo, che è il posto da cui sono usciti alla nascita. Porgo i miei più sinceri ringraziamenti anche a lui, a FMMA, perché mi ha dato l'opportunità di conoscere la sua specie in ogni sfaccettatura. E di poterla così in futuro evitare. 7 Esistono mille ragioni per sorridere, basta saper cogliere il lato positivo di ogni situazione. Ricordo una volta quando, involontariamente, mi ritrovai in una situazione bizzarra. Stavo ancora con Cesare, il Signor Presuntuoso. Eravamo all'uscita di un teatro dove avevamo assaporato un'opera artistica di sopraffino livello. Si trattava del saggio di danza delle mie sorelle, uno spettacolo davvero incantevole. Una volta usciti dal teatro ci ritrovammo nel piazzale gremito di gente. Avevo intravisto un vecchio amico e, dopo aver avvisato Cesare, mi ero diretta verso di lui per salutarlo. Notai lo sguardo maligno del mio fidanzato: i suoi occhi traboccavano di gelosia; insana gelosia, ci tengo a precisare. Mi trattenni appena due minuti a parlare con il mio amico e dopo, per non far attendere la mia dolce metà, furiosa come una iena, lo salutai e tornai da Cesare. Ecco, qui apro una delle mie parentesi. Cesare ci ha sempre tenuto molto a sottolineare la sua superiorità intellettuale nei miei confronti, anche in termini di vocabolario. Una volta raggiunto, insomma, mi fulminò di nuovo con un'occhiata piena di odio e mi apostrofò con un "sei solo una sguattera". Perchè essere una sguattera è un peccato? Il vocabolario italiano, come di certo lui non sa, dice che sguattera significa, in senso spregiativo, 'addetto a lavori umili e scarsamente considerati'. Quando mi lanciò quella pseudo offesa mi venne da ridere. "Sguattera? Perchè?" gli risposi. "Perchè sei una sguattera!! Perchè ti comporti da sguattera!". Ok, forse sarò ignorante io ma, se non è stato cambiato, andare a salutare un amico non significa fare la sguattera. Come avrete intuito, il signor So Tutto Io voleva darmi della sgualdrina. Sì, proprio perchè ero andata a salutare un amico chiedendogli come stava. Ogni volta che ripenso a questa scena meschina mi chiedo quanto sono stata stupida a sopportare tutti questi suoi soprusi quando, anni fa, ancora stavamo insieme. Essermi liberata di uno così mi mi ha permesso, e mi permette tuttora, di tirare un gran sospiro di sollievo. Mi dispiace solo per la prossima sfortunata che avrà a che fare con lui. Un altro episodio memorabile è stato quando ho scoperto che aveva dato il braccialetto che gli avevo regalato io a una sua amica. Il coglione è stato talmente furbo che glielo ha fatto indossare prima che li raggiungessi. Quando notai il gioiello al polso della tipa chiesi subito a Cesare dove fosse finito quello che gli avevo regalato e lui non rispose. Pensate un po', casualmente dopo poco il braccialetto sparì dal polso della sua cara amica. Quando lei se ne andò gli feci una scenata che per poco non gli misi anche le mani addosso. Non mi è mai capitato di fare violenza su altre persone, ma quella volta ero talmente infuriata che gli diedi uno spintone che lo fece quasi finire per terra. Lui si giustificò dicendo che glielo aveva dato solo in prestito. Non serve che aggiunga altri commenti per esprimere il disprezzo che provo nei suoi confronti. La sua è stata una mancanza di rispetto allo stato puro, unita a una quantità notevole di imbecillità. Se vuoi fare una furbata almeno falla, appunto, con furbizia. 8 Al primo anno del corso di laurea a cui mi ero iscritta, iniziarono i laboratori chimici e io e Silvia, la mia migliore amica dell'Università, eravamo entusiaste e curiosissime. Silvia era una ragazza simpaticissima con cui avevo legato fin da subito. Era alta, magra, coi capelli castani e gli occhiali; aveva un simpatico accento toscano, essendo infatti di Firenze. Silvia era molto estroversa e solare, faceva amicizia facilmente e affrontava ogni giornata con il sorriso. Si leggeva nei suoi occhi la voglia di vivere e di osare sempre. Io e lei condividevamo diversi interessi, uno dei quali era la sete di imparare cose nuove. Ci vedevamo già giovani scienziate e neolaureate alle prese con esperimenti e strumenti di tecnologia all'avanguardia. Camice, guanti, mascherina e pipetta in mano, beute con soluzioni dai colori sgargianti. L'aula didattica di laboratorio era molto grande e ricca di banconi da lavoro, strumenti di misura, vetreria e computer da calcolo. Era luminosa e trasmetteva una certa soggezione. Ciascuno studente si dispose alla propria postazione di lavoro in attesa delle direttive del professore. Le chiacchiere dei ragazzi erano numerose e l'attività di laboratorio, una volta istruiti sul da farsi, procedeva non senza un pizzico d'ansia. Io e Silvia ci trovavamo in due postazioni vicine e il nostro lavoro procedeva di pari passo e così le chiacchiere. Commentavamo tutto. L'esperimento, sì, ma parlavamo anche dei nostri compagni di corso e di quanto fosse allettante l'idea di diventare anche noi un giorno professoresse. Così scrutavamo di tanto in tanto il professore, un giovane di circa 40 anni con gli occhiali; vicino l'assistente, una donna che dimostrava pochi anni in meno. Da subito mi accorsi delle occhiate che ogni tanto mi lanciava il ragazzo e così mi incurioii. "Silvia, il tipo mi sta guardando" dissi sottovoce e cercando di non dare nell'occhio. "No non credo proprio. Sai, ti fai le storie mentali come al tuo solito" mi rispose ridendo e lanciando un'occhiata verso di lui con espressione guardinga. Il professore si presentò ai ragazzi. Si chiamava Mauro. Era un ragazzo alto e castano, dal fisico asciutto, accennava a volte un sorriso timido e, difficilmente, prendeva confidenza con gli alunni a cui si rivolgeva. "Beh non è niente di che, anzi è decisamente bruttino" dissi rivolgendomi a Silvia. "Pare un po' sfigato" aggiunsi con un velo di cattiveria e Silvia parve essere d'accordo. "Si direi che hai ragione, ma non è certo meglio la professoressa...Celia, Cella, Cetta o come si chiama" "Celia" la corressi io sghignazzando sotto i baffi, "Sembra mia nonna, però è gentile dai". Continuammo così per il resto della lezione, sembravamo due pettegole al bar e ci divertivamo un mondo. Finita l'esercitazione tutti misero a posto gli oggetti usati e si avviarono con le borse verso la porta per andare via. Io e Silvia invece restammo in aula e andammo a fare due chiacchiere con i professori. Mauro sembrava a primo impatto molto timido e non guardava nemmeno negli occhi quando parlava. Celia, senza deludere le previsioni di entrambe, apparve molto pacata, gentile e con un fare da nonna: si guardava intorno e scherzava sugli studenti in procinto di uscire dall'aula, era più pettegola di noi e la cosa mi intimorì un po' . Salutammo Mauro e Celia e uscimmo anche noi. "Questa ci parla alle spalle appena ce ne andiamo, quanto ci scommetti?", chiesi retoricamente e beffarda a Silvia; lei annuì con un sorrisetto sulle labbra. La volta seguente il laboratorio fu molto piacevole, chiacchierammo e lavorammo senza difficoltà, ci eravamo preparate bene il lavoro prima di cominciare e quindi già sapevamo cosa aspettarci. Mauro girava tra gli studenti e osservava e guardava. Mi guardava "Silvia, mi guarda ancora! Non mi invento le cose scema! Guardalo e facci caso" le dissi divertita e lei iniziò a tenerlo d'occhio. Entro fine lezione mi diede ragione: "Sì in effetti è vero, me ne sono accorta pure io, ogni tanto ti guarda!", disse divertita, "ma non è una gran fortuna, sappilo. É brutto come la fame!". "Sei sempre la solita" risposi con un sorriso. Non passarono molti giorni dalla fine del laboratorio che mi arrivò una richiesta di amicizia su Facebook. Era lui, Mauro. Appena aggiunto agli amici scrissi in chat a Silvia. -Mi ha chiesto l'amicizia... Indovina chi! -Boh chi? -Mauro! E noto che tu ce l'hai già tra gli amici... -Sì me l'ha chiesta lui qualche giorno fa. Ho controllato il suo profilo e non scrive niente di interessante, nemmeno Celia -Ah ma hai aggiunto anche lei allora? -Sì e pare proprio la pettegola di turno -Bene, mi sta già antipatica. Sembra la classica persona che ti sorride di fronte e poi insulta alle spalle. Devo dire che molte volte le mie prime impressionei si rivelano poi giuste. Mauro mi scrisse nei giorni successivi, quasi ogni volta che mi vedeva in chat e risultò subito evidente che voleva provarci. "Silvia, che faccio? Continua a scrivermi, mi ha già stufata... E poi sono fidanzata, non mi interessa!" dissi un giorno durante una pausa tra una lezione e l'altra. "Mah, ignoralo. Scrive sempre anche a me e a volte non gli rispondo. Forse vuole provarci con tutte e due!" mi disse ridendo e sorseggiando il caffè bollente. Pensai che del resto non ci fosse niente di male, che potevo farci due chiacchiere e al massimo salutarlo subito con la scusa che avevo da studiare. La cosa mi intrigava un po'. Ci pensavo spesso e finii per prendermi una mezza cotta per il professore bruttino. Non sono mai stata una che si innamora per la bellezza e Cesare e Mauro ne furono la prova lampante. Sono una che piuttosto si lascia affascinare dal carattere, dagli atteggiamenti e dallo sguardo. Sono una, per così dire, sentimentale. Mi piacciono gli amori impossibili, gli amori sofferti da telenovela, sempre piaciuti, peccato che vissuti in prima persona non siano così belli come appaiono sullo schermo. La relazione con il mio ragazzo, Cesare, in quel periodo era in profondo declino: era un litigio continuo anche per le più piccole sciocchezze e io stavo iniziando a prendere le distanze. Sono sempre stata innamoratissima di lui mentre eravamo fidanzati, ma in quel periodo era diventato insopportabile. Oppure lo era sempre stato e io cominciavo ad aprire gli occhi. Sapete quando dicono che l'amore è cieco e che per amore si farebbero delle pazzie? Ebbene io le ho fatte con Cesare, colui che non mi ha mai rispettata, mi ha sempre trattata come una stupida e non perdeva occasioni per dirmelo. Una delle tante lezioni che ho imparato è proprio che non bisogna avere tolleranza con persone di questo genere. Col tempo la selezione naturale farà il suo corso, eliminando certi soggetti e confermando la mia teoria, meglio evitare di avere a che fare con persone che odiano il prossimo e a ogni occasione lo feriscono. Insomma, dopo ben tre anni mi ero veramente resa conto di quanto fossi stata ingenua. Distaccandomi da lui, piano piano mi avvicinavo incuriosita a Mauro, un ragazzo che appariva docile e gentile, affettuoso e premuroso. Lui dimostrava molto interesse nei miei confronti e questo mi piaceva. Forse mi sentivo compiaciuta e allettata dalle attenzioni proprio per la sua figura professionale, era un giovane intellettuale e ispirava sicurezza e protezione, ciò che una donna cerca sempre nell'uomo. A ogni conversazione ci scambiavamo battutine e frecciatine per stuzzicarci a vicenda e mi divertivo a parlare con lui, mi faceva per un attimo dimenticare i problemi che avevo con Cesare. Mi sentivo apprezzata, finalmente, e stimata dal punto di vista personale e professionale. Fu così che un giorno ci trovammo a bere un caffè, io e Mauro. Parlammo per circa mezz'ora e mi sembrò solo un minuto, il tempo volava con lui. "Silvia, oggi ci siamo trovati io e Mauro a bere un caffè alle macchinette!" dissi eccitata alla mia amica: volevo sapere cosa ne pensava "Beh, dai,ma non vorrai dirmi che ti piace, vero? Se è così dimmelo subito che mi butto dal balcone del terzo piano" disse Silvia quasi preoccupata. "No, no, non mi piace, tranquilla, è solo simpatico, ecco tutto" "Ah, va bene! Per un attimo ho pensato che avessi preso una botta in testa" disse con un sorriso e cambiò discorso. Non sembrava affatto essersi resa conto dell'interesse che nutrivo nei confronti di Mauro. Mi vergognavo ad ammettere che mi piacesse, un po' perchè ero già impegnata, un po' perchè lui era molto più grande di me, un po' anche per l'opinione che Silvia nutriva di lui. "É talmente brutto che piuttosto di andare con uno così mi faccio suora" mi disse un giorno. Ma io sono fatta così, quando uno mi piace di carattere dopo un po' inizia a piacermi anche fisicamente, uno strano scherzo che fa sempre il cervello masochista che mi ritrovo. Continuammo a trovarci, più o meno casualmente ogni giorno alle macchinette, per bere il caffè, quando Mauro si prendeva una pausa dal lavoro in ufficio. Il caffè delle macchinette era pessimo ("Secondo me tirano su l'acqua di scarico dei bagni e ci buttano dentro l'aroma al caffè" disse una volta un mio compagno di corso) ma la compagnia compensava. Un giorno, come al solito, eravamo lì a sorseggiare il caffè insieme e successe l'imprevedibile. Mauro mi mise la mano sulla schiena e mi disse di seguirlo in un posto un po' appartato. Io, presa alla sprovvista e quasi intimorita, acconsentii e lo seguii. Mi portò in una stanza vuota in cui erano presenti solo un tavolo e una sedia impolverati e mi baciò. Il mio cuore batteva all'impazzata, ero agitatissima e non sapevo come comportarmi. Lo abbracciai e gli dissi: "Mi piaci tanto, sai?". E lui mi sorrise. "Anche tu". In quegli stessi giorni decisi che era meglio porre fine alla tanto lacerata relazione con Cesare, non con poco dispiacere e dopo essermi numerose volte consultata con Silvia per capire quale potesse essere la scelta migliore. Un pomeriggio dei tanti in cui ero in facoltà a studiare con Silvia toccai di nuovo l'argomento. "Non so cosa fare. Dovrei mollarlo, ma come faccio? Non riesco, sto troppo male" dissi con le lacrime agli occhi a Silvia che mi stava seduta vicina e dolcemente mi accarezzava la schiena per consolarmi. "Penso che dovresti mollarlo, non sei felice con lui, è da anni ormai che ti conosco e vedo come si comporta con te, è un bastardo e non ti merita" "Lo so che è così, ma è più forte di me, non riesco. Ho paura". Ero sconvolta, non capivo cosa volevo e mi sembrava di non avere la forza per reagire. Silvia era sempre al mio fianco quando avevo bisogno, è sempre stata una carissima amica attenta e generosa, mi voleva bene davvero e io ne volevo a lei. Certo, ci è capitato anche di litigare. Una volta, dopo una discussione, non ci siamo più parlate per un anno intero, ma alla fine abbiamo fatto pace e ci siamo riavvicinate. Mi fidavo di lei. Capii che continuare a rimandare non serviva a nulla se non a peggiorare le cose e decisi che quello stesso giorno avrei visto Cesare e gli avrei detto tutto, gli avrei detto che era finita e che non lo amavo più. Lo incontrai al ritorno a casa era al bar della stazione ferroviaria. Doveva comprare il giornale e andai da lui. "Stasera dobbiamo incontrarci, devo parlarti" Ero seria, lo sguardo duro e triste. Lui mi scrutò con attenzione, la sua fronte si corrugò e gli occhi sembravano aver colto la verità: aveva capito che qualcosa non andava ma non mi chiese perchè, mi disse solo che andava bene e ci accordammo per trovarci in una gelateria vicino a casa dopo cena. Chiaramente non cenai, avevo lo stomaco chiuso e a malapena riuscivo a bere acqua. Era una sensazione spiacevole, ero agitata, avevo paura di sbagliare. Pensavo che se me ne fossi pentita non sarebbe tornato come prima, avrei rovinato tutto per sempre. Con il senno di poi, capii che la situazione non poteva peggiorare più di così. Cesare arrivò quella sera a prendermi a casa alle 21 in punto e andammo alla gelateria, ci sedemmo a un tavolino isolato, ordinammo da bere. Io ero distaccata, non sorridevo, non lo guardavo negli occhi. Lui mi chiese come era andata la giornata e mi propose di andare a trovare sua zia la sera stessa perchè compiva gli anni. "Non credo di venire" sussurrai con gli occhi velati di lacrime " É finita, Cesare, ognuno per la sua strada" Lui mi guardò con gli occhi quasi spalancati, incredulo e disse solo "Cosa?" "E' finita. Ti sto solo accontentando, è da mesi che continui a chiedermi quando ci molliamo perchè sei stufo di me, perchè non sei mai contento di come sono, perchè io non sono all'altezza per soddisfare i tuoi bisogni" "Ma io...non è vero..scherzavo, dai.." disse a bassa voce "Non scherzavi, lo so, è ora di finire questa pagliacciata. Sarà meglio per me e per te. Non posso continuare a stare così, tra noi due non funziona più, forse mi hai amata il primo periodo, poi dopo la tua malattia tutto è cambiato: tu sei cambiato, io sono cambiata" "Lo so, ma proviamo a ricominciare, vedrai che possiamo sistemare tutto" "No. É da quasi tre anni che provo a sistemare le cose, ma ho sempre fatto tutto da sola. Dobbiamo amarci entrambi, la relazione non funziona se solo io lo voglio" dissi a fatica. Sentivo un blocco in gola, rischiavo di scoppiare a piangere ma non potevo, non davanti a lui. "Io ti ho amato tantissimo, ma non è più come prima, hai fatto di tutto per allontanarmi. Mi hai sempre fatta sentire inadeguata, non credo che tu sia cattivo", dissi senza credere al fatto che qualcosa di buono potesse esserci in lui, "ma io e te non siamo fatti l'uno per l'altra e basta. Ti amo, ma è finita" Lui aveva la testa china, guardava la tazza del caffè e aveva lo sguardo fisso. Alla fine, mi disse con voce flebile: "Hai ragione, se è così non abbiamo scelta. Io ti amerò sempre". Lo disse per consolarmi, ne ero certa, non credo mi avesse mai veramente amata, ha solo sempre avuto bisogno di una ingenua e fragile come me in grado di alimentare il suo smisurato ego. Una cosa positiva però l'ho trovata anche in questa esperienza. Negli anni in cui sono stata con Cesare avevo capito una cosa importantissima, soprattutto nel periodo in cui andavo ogni giorno a trovarlo in ospedale, in quel reparto popolato da malati di cancro, persone in fin di vita, col coraggio di sorridere ancora nonostante le tremende sofferenze a cui erano ingiustamente sottoposti. Ho imparato che è così effimera, la vita, che è assurdo come possa scivolare via in un attimo senza preavviso senza darti almeno la possibilità di dire addio. Ho imparato che bisogna viverla, questa vita, e apprezzarne ogni più piccola cosa, perchè la vita è una e unica. Non bisogna sprecarla restando accanto a persone che non ti meritano o che, peggio ancora, ti disprezzano. Quella sera tornai a casa e piansi come una bambina, piansi tanto e gli occhi erano gonfi di lacrime, mi faceva male la testa, ero sfinita. Mi misi a letto e mi addormentai subito. La mattina dopo avevo una faccia da cadavere, pallida con gli occhi gonfi. Feci colazione e andai a prendere il treno per andare all'Università. Passai la giornata studiando, fu difficile ma forse il peggio era passato, ero riuscita a liberarmi di quell'enorme peso, di quella relazione velenosa, ero riuscita a superare uno scoglio altissimo e tagliente. Vidi Mauro e con le lacrime agli occhi dissi: "L'ho mollato ieri sera". "Perchè l'hai fatto?" mi chiese vedendo quanto stavo male. "Perchè stare insieme era peggio" Mi abbracciò e non ebbi bisogno di niente di più in quel momento. 9 Ero così, amavo le relazioni difficili e ne andavo in cerca. Volevo un amore struggente che mi consumasse, che mi tenesse sulle spine, sveglia la notte, in ansia il giorno, del genere non-posso-fare-ameno-di-te-amore. Sì, ero io che mi cercavo le difficoltà, ne sono consapevole. Del resto non ho mai amato le cose facili, basti guardare che corso di laurea ho scelto: devo sostenere esami che presentano non poche difficoltà, ma la cosa non so perchè mi stimola ancora di più. Anzi, lo so: perchè quando ottieni qualcosa con molta fatica, quella cosa automaticamente assume un valore enorme, te la godi fino in fondo. E così ero anche nell'amore. Dico ero perchè ormai oggi ho cambiato del tutto registro. Sì, sono affascinata ancora dai problemi complicati e dalle situazioni un po' intricate ma non al punto di prima. Ora, almeno in amore, voglio che sia il più semplice e dolce possibile. E così, siccome sono testarda e sbagliare una volta non mi basta, ho finito per cacciarmi in una relazione che se ci credete era anche peggio. Sì, ho proprio lo spirito della scienziata, intuisco il problema e fino a che non ho la certezza assoluta della risposta continuo a sbatterci la testa. Vedere per credere, numerose volte, bisogna avere una significatività statistica e un risultato riproducibile e bla bla bla. Diciamo che ho applicato questi principi anche nelle mie relazioni amorose, cosa tutt'altro che consigliabile. In amore un ragionevole dubbio non ha un gran peso, anzi quando lo percepisci è già ora di filarsela a gambe levate, altrimenti si finisce per impazzire. Perchè dicevo che la relazione in cui mi cacciai era peggio? Vediamo...forse perchè non era una relazione normale da persone normali, non era una relazione in cui due persone si amano e si rispettano reciprocamente. L'unica innamorata ero io, putroppo (o per fortuna) per lui sono stata solo un passatempo. Bisogna considerare il carattere di Mauro per capire tutto questo: è una persona molto chiusa, ermetica e misteriosa. Non lascia trapelare nulla della sua vita privata e fa di tutto per escluderti da essa. Vuole mantenere le distanze col resto del mondo, innalzare un muro che forse possa proteggerlo, che so io. Mi sono fatta un miliardo di domande a proposito, chiedendomi perchè non si fosse mai aperto con me. Ho pensato di essere forse troppo pretenziosa nel voler conoscere alcuni aspetti della sua vita privata. Ho pensato che potesse aver ricevuto una scottatura in una relazione precedente. Ho pensato che avesse paura di lasciarsi andare completamente con me, che fosse colpa di una personalità introversa. Alla fine ho concluso che era un povero stronzo. A volte la risposta alle domande che cerchi è la più semplice ed è la stessa che non vuoi accettare. Voglio spiegarmi meglio. Partiamo con alcuni episodi accaduti durante la relazione tra me e Mauro. Ricordate quando vi parlavo della scarica di messaggi iniziale che mi mandava in chat su Facebook? Ecco, la costante della relazione erano proprio i messaggi, cui possiamo aggiugere le chiamate. Discorsi, grandi discorsi, toccando argomenti più o meno superficiali, mai niente riguardante i sentimenti che provavamo e la nostra persona, cosa volevamo dalla vita, che progetti avevamo. Forse era questo suo modo di essere sempre evasivo e pieno di segreti che mi attraeva. Sentivo il classico istinto da crocerossina, dovevo salvarlo dal suo modo di essere, di allontanarsi dalla gente, di temere ogni confronto a livello emotivo. Abbiamo vissuto per due anni una relazione segreta, nessuno doveva sapere di noi, nessuno doveva sospettare, nessuna domanda riguardo una possibile storia amorosa era gradita. L'anonimato prima di tutto. Non mi ha mai portata fuori, è stata una relazione nata e consumata, se così si può dire, nell'ambiente dell'Università. Una cosa penosa, direte... Eh sì mi tocca darvi ragione. Ma quanto ci ho sofferto non potete immaginarlo. Ero talmente innamorata che la verità che avevo sempre sotto il naso proprio non volevo vederla, non volevo crederci. "Le cose cambieranno col tempo, lui si lascerà andare e finalmente un giorno usciremo allo scoperto" mi ripetevo sempre. "Forse più avanti una volta che io mi sarò laureata e non ci saranno più implicazioni sul piano professionale". Non credevo di avere così tanta pazienza e forza d'animo, è un po' come sperare per anni che un elefante possa rimpicciolire fino a raggiungere la siluette di una formica. Impossibile. Ogni sera, puntualmente dopo cena, mi chiamava, mi chiedeva come era andata la giornata, scherzavamo e ridevamo su ciò che ci era successo nell'arco delle ventiquattro ore e mi diceva tante cose carine. "Sei speciale, quello che ho fatto con te non lo avrei fatto con nessun altro, te lo giuro" E ancora: "Sei bella, sei intelligente, sei simpatica. Mi piaci molto" Ed ero felice di sentire quelle parole, non desideravo altro che sentire la sua voce dolce. Parlava sempre a tono basso perchè la sera i suoi erano in casa e potevano sentire ciò che diceva. Ogni giorno attendevo ansiosa di incontrarlo per bere il caffè insieme e per scambiarci un paio di carezze e un bacio. I suoi occhi azzurri mi piacevano, mi piaceva il suo sorriso, mi piacevano le sue mani lisce, le sue labbra morbide. Mi piaceva anche la ciccetta che aveva sulla pancia, i suoi occhiali buffi. Insomma, lo vedevo perfetto, lo avevo idealizzato, per me era il migliore. Silvia, che nel frattempo mi aveva estorto la verità su Mauro, mi chiedeva se ero pazza e come diavolo facessi a sopportare quella situazione. "Ma chi te lo fa fare? Se ci tenesse veramente non ti tratterebbe così, vorrebbe dimostrare al mondo intero che sei sua e non ti nasconderebbe come sta facendo!" Aveva ragione e io temevo di sentire quei discorsi perchè in fondo lo sapevo ma non volevo accettare quella realtà. Mi piaceva crogiolarmi nel dubbio e nella speranza, preferivo aspettare momenti migliori, attendere che qualcosa cambiasse. Quello non era ottimismo, era vera e propria disperazione! Avevo perso la testa per un uomo che in fondo (nemmeno tanto in fondo) non mi voleva. Non ero alla sua altezza? O era lui che non si sentiva alla mia? Almeno io non sono mai stata una sociopatica e non ho mai temuto il confronto con le persone; ho imparato a dire ciò che penso, senza mancare di rispetto a nessuno, ho sempre espresso le mie idee. Questo si chiama essere liberi, poter dire ciò che pensi senza temere le reazioni della gente. Molti potranno detestarmi e non condividere il mio pensiero, potrò perdere degli amici (poi bisogna vedere se se si trattava davvero di amici) e molta gente potrebbe guardarmi male. Ma in fondo chissenefrega, di amici è meglio averne pochi ma buoni. Essere amici d'altra parte non significa andare d'accordo su tutto e non litigare mai, significa anzi scambiarsi opinioni e pensieri senza per questo doversi offendere qualora non coincidano. Silvia mi ha sempre messa in guardia su Mauro e non ho mai voluto ascoltarla, del resto un detto asserisce che non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. C'è una linea sottile che demarca il confine tra speranza e illusione ed è difficile distinguerla. Non si può vivere solo di speranze, la vita è ben altra. La vita va vissuta e non attesa, la vita è oggi, è ora. Non ho mai avuto il coraggio di dirgli "ti amo", mi sarei sentita una stupida. "Ti voglio bene, lo sai" gli dicevo con dolcezza. E lui lo sapeva. Alcuni studenti ci lanciavano occhiate furtive, sospettavano qualcosa, ci vedevano insieme alle macchinette spesso. La gente è pettegola, parla e soprattutto vede. Non l'ho mai detto a nessuno a parte a Silvia, sapevo che sarei sembrata sciocca ad accettare una situazione simile. Ma lo amavo, tanto. Avevo bisogno di lui. Ma amare una persona significa averne bisogno? In un certo senso sì, quando ami una persona la vorresti sempre vicina, vorresti abbracciarla, vorresti dirle mille cose. Occorre stare attenti, però, a non stare insieme a una persona solo perchè si teme la solitudine, perchè quello non è amore. Io amavo Mauro e avevo bisogno di lui, non avevo paura di rimanere sola. Avevo solo paura di perderlo. Avevo già provato quella sensazione con Cesare, entrambe le volte la mia paura di perdere il compagno aveva avuto l'effetto esattamente opposto: il mio volerli tenere vicini li allontanava e di questo mi assumo la colpa. Forse ero stata troppo apprensiva e gelosa. Ero molto insicura e non avevo abbastanza autostima, non mi volevo abbastanza bene. Prima di innamorarsi di qualcuno si dovrebbe essere certi di amare se stessi. Se non ti ami, chi vuoi che lo faccia? Se non ami te stessa non puoi pretendere che qualcuno lo faccia al posto tuo. Non intendo addossargli tutte le colpe, non è stata solo colpa di Mauro se la nostra storia non ha funzionato: se due persone sono tanto diverse è difficile che i loro pochi punti in comune possano tenerle unite per sempre. Io e Mauro eravamo simili e al tempo stesso così diversi. Gli devo tanti grazie, grazie prima di tutto per avermi aperto gli occhi: la vita non è una favola a lieto fine, spesso è problematica e dolorosa. Non esistono storie d'amore come quella delle fiabe in cui la principessa di turno è svegliata dal bacio del suo amato. Grazie, poi, per avermi disillusa: non sono più una bambina, ho smesso di illudermi in amore. Ho smesso di cercare amori impossibili, gli amori impossibili sono impossibili e basta. Lo ringrazio per avermi fatto capire che in fondo una come me merita molto di più delle briciole che mi lasciava lui. Come diceva Merilyn Monroe, ci hanno fatto donne non formiche. Non bisogna mai accettare le briciole che ci lasciano. Mi sento invece di arrabbiarmi con chi ha ideato e pubblicato favole d'amore come Cenerentola e Biancaneve. Brutte carogne, perchè volete far credere alle bambine, esseri così giovani e ingenui, che il principe azzurro esiste per tutte, che basta aspettarlo? Non è vero! Non esiste per tutte, smettiamola di raccontarci frottole. Anzi si può dire che i principi azzurri sono davvero rari, poche hanno la fortuna di trovarlo. E poche di quelle che l'hanno trovato hanno la fortuna di non perderlo. Alle scuole elementari e alle medie, oltre alla matematica e all'italiano, dovrebbero insegnare anche l'amore. Dovrebbero insegnare a non prendere in giro le persone, perchè le persone hanno dei sentimenti e non sono dei burattini a disposizione, utili fino a che non trovi qualcuno di meglio. Dovrebbero insegnare non solo ad amare ma anche a farsi amare, ché anche quello è difficile. Dovrebbero insegnare che la speranza è indispensabile ma l'illusione è da tenere alla larga: l'illusione non è altro che una speranza distorta. Non sto certo criticando chi ama sperare, per carità. Non sono d'accordo col detto "finché c'è vita c'è speranza, piuttosto credo che finché c'è speranza c'è vita. Mi capita ancora di ripensare ai momenti che ho passato dopo che Mauro mi ha mollata. Ah, ecco, stavo quasi dimenticando di dire che mi ha mollata, al telefono per giunta. Se l'è cavata scaricandomi al telefono, una cosa veramente meschina, una cosa che solo un verme senza spina dorsale può fare. Senza darmi troppe spiegazioni, si intende. "Tra noi non può funzionare" mi disse. É successo un giorno che ero a Milano con due miei cari amici. Mi sono sentita svenire, mi è crollato tutto sotto ai piedi, mi aveva sbattuto la verità in faccia, la verità che avevo sempre voluto evitare. Passai un pomeriggio e una serata da schifo. Ero ospite della mia amica Chiara, quel giorno, e ricordo che la sera scambiai ancora qualche messaggio con Mauro e piansi tantissimo. I miei amici uscirono, andarono a ballare e io rimasi a casa a piangermi addosso. Volevo rimanere sola. Volevo essere libera di pensare, di farmi domande, di sentirmi in colpa. Mille pensieri gridavano nella mia testa, vedevo il volto di Mauro e immaginavo di parlargli, tenendogli le mani. "E se ti dicessi che mi manchi? Che ogni volta che ripenso a te resto senza fiato? Ogni parte di me vorrebbe solo riabbracciarti, ma so che sarebbe un errore enorme farlo. "Tu sei per me come la linfa vitale e come il più potente veleno esistente. Mi attiri fra il calore dei tuoi abbracci e poi mi sottrai l'ultimo microgrammo di forza rimasta. Un amore malato ha la capacità di fare questo e altro. "Un'attrazione malsana riesce a risucchiare anche l'ultimo spiraglio di luce nascosto nella tua anima, nell'abisso, come in un buco nero" Questo. Gli avrei detto esattamente questo. 10 Il periodo successivo alla rottura fu infinitamente lungo. Come disse Albert Einstein "quando un uomo siede un'ora in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora. Questa è la relatività". Sagge parole. I periodi tristi sembrano sempre incredibilmente lunghi. Appena ne esci ti sembra di tirare finalmente una boccata d'aria dopo un'ora di apnea. Passai circa sei mesi di malcontento, non facevo altro che pensare a Mauro. Ripassavo a mente tutti i momenti felici passati con lui, tutte le tenerezze, tutti i gesti gentili che aveva fatto per me e non riuscivo ad accettare di essere stata allontanata dall'uomo che più amavo. Le mie giornate erano accompagnate dalle lacrime, non so quante ne ho versate. Ogni mattina un senso di malessere mi tormentava e mi invadeva fino a sera. Proprio circa un mese prima di essere mollata, riuscii finalmente a fare pace con Silvia. Era da un anno che non ci parlavamo e ci guardavamo malissimo quando ci incontravamo nei corridoi dell'Università. Ancora non è chiaro nemmeno a noi il motivo di quel distacco, ma forse è stata colpa mia. Talmente ero frustrata per la mancanza di affetto che caratterizzava la mia relazione amorosa che appena trovai una persona su cui sfogarmi ne approfittai. Fui io a riavvicinarmi a Silvia, dopo tutto quel tempo di silenzio e ostinazione ero arrivata a pensare che la situazione fosse veramente ridicola. Un giorno mi decisi a mandarle un messaggio per dirle che volevo sentirla. "Ciao, sono contenta che tu mi abbia scritto, mi sei mancata" mi aveva risposto. E io mi sentivo sollevata, mi ero tolta un enorme peso dallo stomaco. Avevo sempre voluto molto bene a quella ragazza e gliene voglio ancora, sebbene ormai ci vediamo pochissimo. Penso che se una amicizia è sopravvissuta ad una situazione del genere non dovrà temere più nulla, nessun motivo potrà essere tanto valido da spezzarla. L'amicizia è questo: litigare, fare pace e tornare a scherzare, esserci sempre quando c'è un problema ma soprattutto esserci anche nei momenti più belli. Ci chiamavano la coppia d'oro dell'Università, era perfino strano non vederci insieme e in quel periodo di stupida ostilità tutti venivano a domandarci il perchè di tale odio tra noi. Beh, che dire, tutto è andato per il meglio. Tornando alle cose tristi, invece, non fu facile levarmi dalla testa Mauro: dopo pochi mesi dal nostro distacco mi venne un esaurimento nervoso, che fu il risultato di un forte stress e di non poca depressione. Riuscii a superarlo nel giro di un paio di mesi. Mi toccò tirare fuori tutta la forza che avevo in corpo e che non pensavo di avere, tirai fuori tutto il mio coraggio e la mia forza di volontà. In quei due mesi era diventato difficile fare perfino le cose normali e semplici, come fare un po' di ginnastica, uscire a fare un giro, prendere il treno o allontanarmi da casa in macchina. É incredibile quali scherzi possa giocare la mente, il nostro cervello è più potente di quello che pensiamo e se è in grado di buttarci giù così gravemente, è anche capace di tirarci su nei momenti peggiori della nostra vita. Se solo lo vogliamo. La questione è che bisogna avere forza di volontà, senza quella non si otterrà un bel niente dalla vita. Non serve piangersi addosso e non serve cercare persone che ci facciano vedere che siamo a pezzi, che ci ricordino di quanto siamo prostrati dal dolore. Dobbiamo reagire, questa è la parola d'ordine: reagire. Anche dalla depressione si può guarire, ma bisogna volerlo davvero. Anche da un esaurimento nervoso si può guarire, basta volerlo. Una volta mi sentii dire da una persona, a conoscenza del mio stato d'animo, che non sapevo cosa fosse davvero un esaurimento e che lui aveva saputo di gente depressa ed esaurita che si suicidava, ancora all'epoca in cui lui studiava. Certo, ringrazia di non saperlo tu che cos'è un esaurimento. Fino a che non lo provi non lo sai e non puoi giudicare chi lo sta vivendo. Esiste una scala di grigio, non tutti siamo uguali; certi reagiscono e certi si lasciano andare. Ma c'è chi è più depresso e chi lo è meno, chi è un po' esaurito e chi lo è meno? Non saprei dire se è vero, un depresso è pur sempre depresso e un esaurito è pur sempre esaurito. É come dire di essere tanto innamorati o poco innamorati, non ha senso. Ma lasciando perdere i giochi di parole, mi piace sapere che per quanto fossi stata sempre fragile e sensibile di carattere al momento giusto sapevo diventare forte e superare ogni ostacolo. Di questo sono davvero fiera. Non vedo solo in termini negativi i brutti periodi che ho passato, preferisco prenderli come lezioni di vita, perchè è importante, come dicevo, imparare la matematica e l'italiano, ma forse è ancora più importante imparare a vivere e ad affrontare i problemi e non cercare di evitarli. La vita è meravigliosa, dopo tutto se non ci fossero tanti momenti tristi non sapremmo apprezzare a pieno i momenti felici. E ciò che mi rende felice più di ogni altra cosa ora è sapere che ho la mia famiglia vicina... Mio padre, mia madre e le mie sorelle... Ora ho un ragazzo speciale che amo e che mi ama, ho gli amici e una casa e non mi manca niente. E non dimentico la salute, anche quella è importantissima, senza quella non si può stare bene. Tornando a noi, superai quei sei mesi di cui due in pieno esaurimento. Ne uscii vincitrice e ricominciai da capo. Mi sentivo di nuovo bene, non ancora del tutto serena ma riuscivo a comprendere che non mancava molto per esserlo. Accettai l'invito di un ragazzo a uscire, un ragazzo che conoscevo da tempo. Colsi la palla al balzo per potermi distrarre e iniziare un nuovo cammino, frequentare nuova gente. Si chiamava Riccardo ed era un ragazzo robusto e castano con gli verdi, simpatico e intelligente ma estremamente presuntuoso. Un carattere narcisistico. Sapete, di quelle persone che credono di essere sempre uno scalino sopra agli altri e di poter dettar legge e insegnare alle persone come bisogna vivere la vita. Un tantino altezzoso, si sforza comunque di mantenere un buon rapporto con tutti per mantenere una buona immagine di sè. A ogni modo, seguendo il mio solito istinto da crocerossina, uscii con lui qualche volta pensando di potergli tirare fuori qualcosa di positivo, ma purtroppo mi resi conto che lo aveva seppellito da tempo. La dolcezza e gentilezza che ricordavo erano ormai sparite e avevano lasciato il posto all'incapacità di amare. Incapacità di amare soprattutto se stesso. Il motivo per cui continuavo ad andare in cerca di persone che non mi amavano era che io stessa non riuscivo ad amarmi. Mi guardavo allo specchio e vedevo una persona che non era riuscita a ottenere un bel niente e non era veramente apprezzata da nessuno. Sì, avevo un paio di amici che davvero mi volevano bene, ma non mi sembrava abbastanza: avevo bisogno di qualcosa di più, volevo essere felice, ne avevo bisogno. Così, quando la nostalgia mi avvolgeva, mi lasciavo coccolare dalle note della mia musica preferita, per me la melodia di un pianoforte è meglio di una medicina. In giro per le strade e per i locali vedevo le stereotipate coppiette innamorate intente a scambiarsi bacini, carezzine e parole sdolcinate. "Ciccino, coccolino, amoruccio, pucci pucci" e così via. Sì ero invidiosa, lo ammetto, e mi urtava vederli. E poi tutte quelle manifestazioni d'affetto potevano benissimo essere false, io stessa a volte ho conosciuto persone che di fronte al partner si dimostravano mielosi e innamorati, mentre alle spalle invece li tradivano senza pietà. Un'alce a confronto avrebbe meno corna sulla testa. Ho sempre riso di queste situazioni tragicomiche, che mostrano quanto le persone possano essere false. "Amore mio, ti amo tanto, sei l'uomo della mia vita e lo sarai sempre". Poi alle spalle...tiè! Mi sono sempre chiesta con che coraggio poi riescano a guardare negli occhi il proprio compagno (o la compagna) senza sentirsi uno schifo. Forse per sentirsi così serve avere una coscienza e non tutti ce l'hanno. Mi sembra incredibile che i poveri sfortunati non sentano il peso di certi attributi sulla testa o non ne vedano la sagoma allo specchio. Beh, se non è per volere divino, almeno grazie al caso ognuno avrà quel che si merita. Almeno per la legge dei grandi numeri, chi ha sempre preso in giro le persone restando impunito, prima o poi rimarrà fregato. Una volta su un milione, forse, ma è già qualcosa. Su questo argomento ne avrei veramente tante da raccontare e non le ricordo tutte. Sì è vero, nemmeno io sono una santa. Con il mio primo fidanzato alla fine della relazione non sono stata del tutto corretta ma lui ha fatto di tutto per esaurire ogni goccia di amore che ancora potevo provare per lui. Chi è senza peccato scagli la prima pietra dicono, sì, ma ci sono peccati e peccati. Non sono qui a fare il giudice, mi viene solo da ridere a vedere il comportamento di certe persone. Almeno io non sono un'ipocrita. Almeno io non sono falsa e di questo ne vado fiera. Almeno io non lecco il culo a nessuno. É anche per questo che ho pochi amici, ma preferisco pochi e di valore, non tanti e falsi. Ritornando alle mie relazioni, dicono che nella vita si possono avere solo due grandi amori, ma secondo me non è così. Io mi sono innamorata ben tre volte e quest'ultima ho azzeccato la persona giusta; come dicevo, prima o poi la ruota gira. Nella mia fase di ripresa, ovvero quella successiva ai sei mesi di depressione, mi sono divertita un mondo, anzi un mondo è dir poco. Feste e serate con i miei nuovi amici, cene e discoteca fino a mattina. Ho stretto amicizia con delle bellissime persone, non ho mai sentito così tanto feeling con la gente in vita mia. Un pomeriggio di sole, fresco e ventilato, decisi di uscire per fare due passi e bere un cappuccino, così andai a trovare Katia, una ragazza che lavorava e tutt'ora lavora presso un bar in città. Katia è una grande persona, veramente. Mi piace definirla la dura della compagnia, per il suo carattere forte. É alta e magra, ha gli occhi scuri e i capelli castani, è una persona fine e discreta, una con cui ti puoi confidare e su cui puoi sempre contare. "Ciao, cara! Allora, lo beviamo un aperitivo?" dissi a Katia sorridendole una volta varcata la porta d'ingresso. "Ma sì dai, amore, si può fare. Tutto bene?" "Sì, avevo voglia di fare quattro chiacchiere ed eccomi qui." Passavo lunghi pomeriggi con lei bevendo aperitivi e chiacchierando di qualsiasi cosa, soprattutto di gossip. In un pomeriggio come quello conobbi anche Rebecca, una ragazza più giovane di me, alta, mora e bellissima, con un sorriso simpatico. Faceva la modella e girava spesso per lavoro. Mi piace perchè è sempre super disponibile per aiutare il prossimo e per sdrammatizzare ogni situazione. Estroversa e solare, amava girare per la città per fare camminate e visitare negozi di abbigliamento, sedersi a un bar e rilassarsi bevendo un caffè, commentando gli avvenimenti della giornata. Ero contentissima perchè con loro finalmente potevo essere me stessa e parlare liberamente. Amo le persone intelligenti che sanno ascoltare l'opinione degli altri, rispettandola e confrontandola con le proprie idee. Si prospettava insomma una lunga stagione di benessere. 11 Lo stato di benessere ti è precluso fino a che non impari a liberarti di ogni pensiero negativo, fino a che non capisci che la felicità non è uno scopo ma un percorso, un modo di essere, un'attitudine. Per essere felice devi veramente volerlo, ogni parte di te deve desiderarlo ardentemente. É come avere una tremenda sete, niente e nessuno ti potrà impedire di bere un goccio d'acqua e dissetarti. La forza di volontà, l'ottimismo e il coraggio ti permettono di essere felice e non è illusione dire che sorridere alla vita anche nei momenti più bui può portarti solo cose belle. Penso che una delle cose peggiori della vita sia il rimpianto. Il rimpianto di aver lasciato andare una occasione, il rimpianto di aver taciuto una parola, di aver trattenuto un abbraccio. Il rimpianto di non aver esternato ciò che si prova, sia esso affetto, paura, gioia e dolore. Il rimpianto ti uccide, ti logora dentro e forse è tanto cattivo quanto il senso di colpa. Entrambi ti consumano e oscurano la pace. L'unica cosa che puoi permetterti di fare in questi casi è anestetizzare i sensi, soffocare i sentimenti e andare avanti, forse anche sognare, trovare una speranza fragile come un castello di carta. Ero nel pieno del periodo più bello della mia vita ed ero entusiasta di vivere. Andavo all'Università più volentieri e studiavo con maggiore leggerezza, senza sovraccaricarmi di ansia e stress. Avevo capito che non aveva senso rovinarsi la salute per la tensione di dover studiare e studiare soltanto. In certe cose la vita va presa con leggerezza e tutto sembra migliore. Continuavo a incrociare Mauro all'Università e la cosa non mi sconvolgeva più di tanto, ormai quella assurda cotta che avevo preso per lui era passata e vedere la realtà con lucidità assoluta mi svelava cose che non avevo mai voluto capire. Avevo scoperto che un vizio di Mauro era proprio quello di provarci con tutte le studentesse che gli capitavano a tiro, il suo motto doveva essere "basta che respiri" o "basta che non mi chieda responsabilità alcuna". Provavo solo una grande pena per lui, immaginavo quanto dovesse essere brutta la sua esistenza: legato unicamente ai genitori, la sua unica vita sociale era costruita all'interno dell'ambiente lavorativo, quindi i suoi colleghi erano le uniche persone con cui riusciva a legare. Come fare a non provare pena per una persona di trent'anni la cui unica ambizione era ed è ancora quella di provarci con le ragazzine ingenue e inconsapevoli? Che razza di uomo è (sempre che si possa definirlo in tal modo) uno che non è in grado di assumersi la minima responsabilità? E badate che per minima responsabilità intendo portare fuori la sua ragazza per mangiare un gelato o fare una passeggiata. Già, quando stavo io con lui non si è mai azzardato a portarmi in giro da qualche parte, il massimo che si è concesso di fare è stato portarmi due volte a casa sua. Entrambe le volte si era preoccupato di impedire che chiunque potesse anche solo lontanamente vedermi salire in macchina con lui. -Per le tre e mezza, quando finisco di lavorare, fatti trovare nell'atrio, ché andiamo Così mi aveva scritto in un messaggio quel giorno. Io, puntuale alle tre e mezza, lo aspettavo contenta come una pasqua, con gli occhi a cuoricino (povera me, che imbarazzo) e lui arrivò e con sguardo serio mi disse: "Meglio se prendo la macchina da solo e faccio un pezzo di strada e tu mi raggiungi a piedi, non si sa mai che qualcuno ci veda". Io, irritata, gli diedi comunque retta e feci quello che mi imponeva. E così andammo a casa sua, una villetta in città, ordinata e pulita. Già vedere la sua camera da letto avrebbe dovuto suggerirmi quanto il soggetto fosse poco normale: stanza affollata di libri per bambini, statuette e soldatini sui mobili e pupazzi ovunque. Aveva un peluche nel letto, un grosso orso azzurro e ci dormiva insieme ogni notte. Sì, avete capito bene, aveva 30 anni e dormiva con un peluche. Il suo aveva il perfetto profilo del killer psicopatico, del tipo che ti capita di vedere solo nei telefilm americani. Si spera. Una persona sana di mente al mio posto sarebbe fuggita a gambe levate credendo di avere a che fare con un maniaco, ma io cretina e in buona fede rimasi lì con lui. Mi faceva tenerezza! Doveva farmi paura e schifo e invece mi faceva tenerezza! E poi dicono che non è vero che l'amore rende stupidi. C'è da dire una cosa a mio favore, però: ero ancora giovane, inesperta e ingenua, non sapevo quanto potesse essere deleterio correre dietro a una persona che non ti vuole e fa di tutto per dimostrartelo. Beh, dopo aver steso un velo pietoso sul ricordo del pupazzo nel letto del trentenne virile e maturo Mauro, vediamo cosa si dilettava a combinare il ragazzo dopo aver mollato me. Avevo scoperto che si faceva una nuova e giovane studentessa. La malcapitata era estremamente ingenua come me e naturalmente cercava di nascondere la cosa a tutti quanti. Ma io ormai avevo capito la bestia, riuscivo a decodificare ogni suo sguardo, movimento e atteggiamento poiché si comportava con lei come aveva fatto in passato con me. Era decisamente pessimo e prevedibile, questo Mauro. Mi dispiaceva vedere quella ragazza invaghita di lui e ignara della persona che frequentava. Questa parola mi fa venire in mente un altro episodio. Quando Mauro mi mollò mi mandò un messaggio (dopo la famosa chiamata) e mi disse che "ci eravamo frequentati, che dovevo accettare che fosse tutto finito". Chissà se lui capiva l'assurdità della parola in quella circostanza, dato che in realtà non ci eravamo mai frequentati: ci vedevamo solo all'Università! Che rabbia pensare a quanto sono stata idiota... Beh, tornando a quella povera ragazza, si sentiva sicura di sé, si atteggiava a grande e furba perchè frequentava un professore dell'Università e io vedendola pensavo: Povera anima, ti accorgerai anche tu di quanto è ignobile quella persona. Il classico tipo a cui piace apparire come angioletto puro e privo di peccato; Mauro non era macchiato neppure dal peccato originale, lui discendeva da un Adamo e una Eva che non si erano azzardati a cogliere quella maledetta mela dall'albero. Lui era puro e immacolato, lui non diceva parolacce, non beveva e non fumava. Lui era Il Giusto, colui che si può permettere di scagliare la prima pietra. Infame maiale. Maledetto, falso come pochi, sociopatico e pervertito! Come diavolo ho fatto a innamorarmi di un caso umano come te?! Fortunatamente quel triste capitolo della mia vita si era chiuso e praticamente avevo passato il testimone a un'altra fanciulla ignara. Avevo scoperto un'altra cosa ancora, ovvero che tale Mauro si era lavorato anche la ragazza che era arrivata prima di me. Eh sì, una persona disgustosa. Sapete cos'altro mi disturbava di tutto ciò? Le persone che lo difendevano e lo mettevano praticamente su un piedistallo. Loro mi disturbavano assai. Una in particolare, la sua collega Ciliegia, o Cira, Celia, quello che è. Doveva insegnare chimica a sua volta o fare qualcosa di simile. Era un'altra falsa come pochi. La tipica persona che in faccia ti riempie di moine e gnegnegné. Gentile e furba solo lei, falsa e bigotta, non sapeva neanche cosa voglia dire socializzare con delle persone normali. Pettegola di prima categoria, perfida e acida fino all'inverosimile. Avete presente l'ipocrisia? Ecco, lei è la sua personificazione. Beh, non stupisce che questa Celia avesse come idolo Mauro: erano molto simili e mi chiedo perchè diavolo non si siano sposati. In realtà va bene così, due persone del genere è meglio non farle riprodurre. Lo sbaglio più frequente che commette la gente (inclusi Mauro e Celia) è credere di essere più intelligenti degli altri perchè si possiede una laurea. Niente di più errato. Ho visto tante di quelle persone laurearsi che, se fosse vero, allora l'intelligenza media sarebbe nettamente superiore a ciò che dicono. Dove voglio andare a parare?Da nessuna parte, intendo solo dire che non puoi permetterti di sentirti più furbo e più cervellone del prossimo perchè hai studiato: il risultato è che finisci per sparare delle sciocchezze imbarazzanti. La presunzione e l'arroganza sono delle brutte bestie, forse l'unica cosa che non è stata insegnata a chi si comporta così è che cultura non è sinonimo di intelligenza. Non è che se hai una laurea o un dottorato in tasca puoi permetterti di sparare a zero su tutti sentenze che peraltro sono al limite del ridicolo. A parte il livello di intelligenza molto discutibile di alcuni laureati che ho conosciuto, il bello da sottolineare è che questi laureati non sanno nemmeno parlare l'italiano (la loro lingua madre) e nel momento in cui si mettono a farneticare idiozie di prima categoria (idiozie facili da confutare perfino per un ragazzino di dodici anni) sparano degli errori grammaticali da paura. Un buon consiglio posso darvelo: se non sapete nemmeno parlare state zitti, ché fate più bella figura. Io stessa, essendomi laureata e pur avendo studiato come una matta per tantissimi esami, non mi sento proprio una persona dal quoziente intellettivo superiore alla media, anzi credo di essere proprio lì nel mazzo come tanti altri. Ho conosciuto gente con la terza media che utilizza più neuroni di tanti laureati con lode, dottorato e tante storie. Quindi, fatevi una bella doccia di umiltà ogni tanto, ché vi fa bene. 12 Torniamo ad assaporare gli aspetti più rosei e piacevoli della mia vita. Cosa intendo io per bella vita? Bere qualcosa in compagnia, parlare con gli amici, poter essere se stessi sempre e comunque con la gente che ti circonda, passare una giornata tranquilla con il fidanzato e tornare a casa con il sorriso. L'unica cosa che mi mancava in questo lieto quadretto era un ragazzo, una persona dolce e fidata con cui poter condividere le giornate e le passioni. Ero talmente impegnata a uscire con i miei amici a fare feste che non mi rendevo conto che il mio amore era lì vicino, che l'avevo già conosciuto. L'avevo incontrato una sera, un mio amico me lo aveva presentato velocemente e mi era sembrato molto gentile ed educato, ma non gli avevo prestato attenzione. Si chiama Manuel, è alto e molto carino, castano con gli occhi chiari, una tonalità strana di nocciola. L'averlo conosciuto, però, non mi aveva colpita: avevo in mente solo di uscire con la compagnia, di andare a ballare con loro, di pensare a me stessa e al mio benessere. Non mi ero mai davvero curata del mio benessere. Non avevo mai saputo cosa vuol dire veramente amare sé stessi e avevo sempre trascurato ogni mia necessità per curarmi unicamente dei fidanzati che avevo, prima Cesare e poi Mauro. Ho scoperto che è molto importante amarsi perchè è proprio con noi stessi che dovremo convivere una vita intera, nella gioia e nel dolore. Penso che una promessa d'amore dovremmo farla anche a noi stessi, in prima persona, non solo al nostro partner durante il rito del matrimonio. Perchè dico questo? Perchè se non impariamo ad aver cura di noi prima di tutto non riusciremo mai ad avere una relazione sana con un'altra persona e finiremo con il dipendere affettivamente dal nostro partner. A ogni modo, un altro punto cruciale della questione è riconoscere il vero amore quando ti bussa alla porta, cosa che non risulta sempre facile. Come dicevo, ero talmente presa dalle mie cose, dalle mie abitudini e dai miei amici che non mi ero minimamente resa conto che la persona che provava ad avvicinarsi era in realtà l'uomo fatto su misura per me. La prima volta che gli parlai veramente fu una sera in discoteca, durante la quale ballammo e ci divertimmo molto nonostante il dolore che mi provocavano quei maledetti tacchi alti che indossavo. Quella sera lui mi chiese di rivederci ancora e mi domandò il numero di telefono. Richiesta che declinai non molto cortesemente. Ci era rimasto un po' male, me ne ero resa conto, ma avevo altre cose per la testa e non diedi molto peso alla cosa. Lo avevo incontrato casualmente mentre giravo con le mie amiche per il locale e pensai che probabilmente non avrei più passato una serata in sua compagnia. Mi sbagliai. Presto mi capitò di rivederlo e fu proprio in occasione del suo compleanno. Ha la mia età, Manuel, ma dimostra qualche anno in più sia fisicamente che mentalmente. Sembrava essere più maturo dei ragazzi della sua età e questo mi piaceva. Una cosa che mi attrae di un ragazzo è il suo modo di fare: deve essere cortese ed educato, deve usare la testa e non seguire la massa. Insomma deve avere carattere. Non apprezzo le persone prive di personalità, quelle che si adeguano in tutto e per tutto al modo di pensare degli altri. Ognuno di noi nasce unico e speciale, il difficile è poi continuare a distinguersi senza cadere nella trappola del banale. Quanti giovani si vedono in giro, tutti uguali, tutti con lo stesso taglio di capelli, con le stesse scarpe, con lo stesso modello di orologio, con la stessa giacca?! Non siamo mica il risultato di una massiccia clonazione di laboratorio! Le cellule di E. Coli utilizzate per gli esperimenti di routine dai biologi, quelle sì che possono essere tutte uguali. Noi no! Noi siamo persone, dannazione, perchè bisogna per forza apparire come manichini in una vetrina, tutti uguali? Ho sempre amato chi si contraddistingue dagli altri, chi non ha paura di essere la persona che è veramente, chi dice ciò che pensa e chi fa ciò che desidera. Non è anche questa libertà? Essere liberi di esprimere se stessi senza aver paura di ciò che possono pensare gli altri. La gente veramente sciocca è quella subito pronta a criticare una persona perchè osa pensare ed esprimersi in piena autonomia, senza essere condizionata. Se a me piacesse vestirmi di verde e girare con una macchina gialla lo farei, diavolo! E se gli altri preferissero girare in modalità grembiulino dell'asilo, tutti uguali, che facciano pure, l'importante è non disturbare le persone autentiche con la loro stupidità. Una cosa che mi è piaciuta fin da subito di Manuel è proprio questa: la spontaneità e sua sincertà, il suo essere unico. Ho sempre pensato che esistono due categorie di donne: quelle che cercano l'uomo perfetto, il principe azzurro, e che immancabilmente finiscono tra le braccia di uno stronzo bastardo, e le donne che amano i tipi un po' più pazzi e fuori dagli schemi, le quali invece hanno più fortuna e trovano i veri bravi ragazzi, i fidanzati esemplari. Ecco io ho sempre trovato uomini appartenenti alla prima categoria, i subdoli che si spacciano per angioletti dolci e sensibili e alla fine si rivelano essere dei veri bugiardi. Forse avevo finalmente imboccato la retta via perchè Manuel figurava proprio come un ragazzo d'oro, uno di quelli che si trovano raramente. Il suo sorriso era come il lieto fine di una favola, come il sorgere del sole, come il profumo dell'erba bagnata dopo un temporale. Semplicemente incantevole. Ci avvicinammo molto e trascorsi con lui dei momenti bellissimi, memorabili. Come potevo ricambiare tutto ciò che passavo in sua compagnia? Potevo donargli una carezza delle mie mani, un battito del mio cuore, un assaggio dei miei baci, un attimo del mio respiro. Potevo guardarlo negli occhi per dirgli "Ti amo", potevo avvicinarlo a me, stringerlo fra le braccia e trasmettergli un po' di calore da un'anima che attendeva da anni quel momento. Nessuna parola poteva esprimere in pieno la mia gratitudine ma un modo forse c'era: abbandonarmi a fianco a lui tenendolo per mano. In questo modo, solo guardandomi negli occhi, avrebbe capito ogni cosa.