elena boselli - Produzioni dal Basso

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elena boselli - Produzioni dal Basso
ELENA BOSELLI
Emma
prefazione di Francesca Giuliani
Questo libro è un'opera di fantasia.
Personaggi e luoghi citati sono invenzioni
dell'autrice e hanno lo scopo di conferire
veridicità alla narrazione. Qualsiasi
analogia con fatti, luoghi o persone, vive o
scomparse, è assolutamente casuale.
Copyright © Emma, 2015
Tutti i diritti sono riservati.
Prefazione di Francesca Giuliani
Emma non è un nome molto comune
al giorno d’oggi, ma neanche la
protagonista di questo romanzo lo è.
Emma è una donna combattiva, una
donna giovane che riesce a risorgere dalle
sue ceneri come una fenice, che non si
abbatte nonostante le avversità della vita.
Emma è un po’ come tutte le
ragazze normali, che nella loro semplicità
riescono comunque a differenziarsi dalla
massa.
E tu, quanto sei simile a lei?
EMMA
Per i miei cari genitori,
per le mie sorelle
e per Thomas,
il mio amore.
Emma, l'abbraccio.
«Quando l'amore fa sentire l'altro rispettato,
non umiliato, non distrutto ma sostenuto,
quando l'amore ci fa sentire nutriti, liberi,
allora scende a profondità maggiori.»
- Osho
1
In questa giornata mite e serena ho
avuto un'idea improvvisa, come una
lampadina si è accesa nella mia testa. Ho
deciso di raccontarvi un po' di me stessa,
perchè la mia mente raccoglie un insieme
tumultuoso di ricordi e sensazioni che
necessito di scaricare.
Comincio
presentandomi: mi
chiamo Emma e sono una studentessa da
poco laureata, piena di sogni nel cassetto,
amo la mia vita e le persone che mi stanno
accanto e, non ultimo, amo me stessa.
Mi considero una persona solare e
riflessiva, un po' introversa e affettuosa.
Amo essere circondata dai miei affetti, le
persone per me più care sono al tempo
stesso la mia ragione di vita. Ho affrontato
un lungo periodo di conflitti interiori,
saltando da un lato all'altro del burrone,
sempre in equilibrio precario.
Ho intenzione di fare un tuffo nel
mio passato e raccontarvi qualche aneddoto
interessante che si è verificato negli anni
della mia giovinezza.
Ma cominciamo dal principio: una
delle cose più importanti che ho dovuto fare
nei primi anni della mia vita è stata la scelta
della scuola superiore, un passo che ha un
enorme peso e influenza fortemente la
formazione di una persona.
Ho sempre pensato che sia davvero
difficile scegliere con assoluta sicurezza e
consapevolezza la scuola da frequentare, in
un periodo della vita in cui si è talmente
giovani e immaturi che non si sa ancora chi
sei. Così, piena di questa insicurezza
caratteristica degli anni dell'adolescenza, mi
sono lasciata guidare dai miei genitori,
premurosi e sempre presenti.
Conoscendo le mie doti, sempre
sottolineate fin dai tempi delle scuole
elementari, ho infine optato per il liceo
artistico. Una scuola caratterizzata da
aspetti decisamente positivi, quali la
possibilità di esprimere la propria persona e
le proprie convinzioni in molteplici modi,
uno dei quali è il disegno.
Ho sempre amato disegnare - e non
intendo il disegno tecnico che in qualche
modo ti vincola nella scelta di espressione
della tua creatività - parlo del disegno a
mano libera, la pittura, il disegno a matita, a
pennarello, con la tempera e con i gessetti.
Ritengo che il disegno, inteso come
artistico e non geometrico, sia un metodo e
allo stesso tempo un canale di
comunicazione molto efficace e profondo,
un dono e un'abilità di cui solo pochi
possono usufruire.
La formazione artistica che ho
scelto, come ho notato presto, era
particolarmente adatta a chi, come me,
detesta sottostare ai vincoli e alle regole, a
chi non sopporta che venga inculcato un
preciso e standardizzato metodo di pensare
e di agire.
L'arte è come una strada che
conduce alla libertà di espressione, dal
momento in cui esprimi la tua creatività è
come se magicamente ti comparissero due
ali sul dorso e potessi finalmente spiccare il
volo.
Ci sono infiniti modi di essere
artista, proprio per il significato intrinseco
della parola. Trovo che assaporare con gli
occhi una meravigliosa Gioconda o un
aggraziato ritratto di Degas sia qualcosa di
unico.
Scienza e arte sono due materie
diverse ed è vero che i prodotti di tali
discipline vengono valutati con criteri
decisamente differenti, però c'è da dire che
tali grandi campi del sapere presentano
anche molti punti in comune. Entrambi, per
esempio, richiedono una grande creatività
per poter ideare una soluzione innovativa ed
entrambi devono uscire dagli schemi per
pensare diversamente. Forse proprio per il
mio carattere, per la tendenza a volermi
distinguere e l'intolleranza nei confronti di
chi vuole imporre come ragionare, di chi
vuole
che
adotti
sempre
metodi
convenzionali per la risoluzione dei
problemi, sono finita a studiare queste due
discipline: l'arte alle superiori e la scienza
all'Università.
Ho intrapreso un percorso singolare
ma decisamente fertile.
Ho trascorso cinque anni studiando la
letteratura, la storia dell'arte e la filosofia,
osservando come le grandi menti riuscivano
a farsi notare in mezzo alle persone grazie a
doti straordinarie.
Ho studiato la vita e le opere di
personaggi che, chi con discrezione e chi
con un velo di egocentrismo, riusciva a
creare qualcosa di unico che avrebbe
cambiato la vita e il modo di pensare di
molte persone.
Ho vissuto l'adolescenza burrascosa
e tormentata di chi sente il bisogno
impellente e costante di ribellarsi alle regole
e di vivere la vita seguendo unicamente i
propri orizzonti.
Ho conosciuto persone dal carattere
estroverso e solare, persone tormentate
dalle proprie frustrazioni e persone ricche di
dubbi e domande, in perenne ricerca di
qualcosa.
Ero, come tanti altri adolescenti,
abbastanza influenzabile e finivo spesso per
seguire strade che in seguito si rivelavano
sbagliate e per fare scelte che presto
scoprivo essere errate.
É una grande e una pessima
insegnante la vita, permette sempre che ci si
faccia del male prima di imparare qual è il
modo giusto di agire.
Non è da sottovalutare che un
problema visto con gli occhi di un giovane
ancora immaturo assume proporzioni
smisurate e la sua apparente gravità di
conseguenza diviene esponenzialmente
maggiore.
Ero molto sensibile in quegli anni e
mi buttavo giù facilmente quando mi
trovavo di fronte a un ostacolo, mi
deprimevo e mi ritenevo incapace di reagire
e di vincerlo.
Tale
fragilità
era
comunque
compensata dalla facilità con cui mi
lasciavo entusiasmare dalle novità, vivevo
le nuove esperienze con lo spirito di una
bambina e oggi tutto ciò mi sembra
eccezionale.
Sono ancora molto giovane, ci tengo
a sottolinearlo, ma lo stesso non riesco più a
sentire quella grande eccitazione nel fare
cose nuove.
É un'età meravigliosa e allo stesso
tempo orribile l'adoloscenza; meravigliosa
perchè ti permette di vivere con grande
entusiasmo ed energia ogni nuova
situazione, orribile perchè la stessa
inesperienza e immaturità che ti si palesano
in faccia nei momenti di difficoltà rendono
il tutto spiacevole e sgradevole.
2
Durante gli anni della scuola
superiore ho stretto amicizie più o meno
improbabili, assecondando spesso il mio
bisogno di sicurezza. Frequentavo persone
apparentemente sicure di sé, che con il
tempo si rivelavano più problematiche e
insicure di me.
Una
sensazione
di
chiara
inadeguatezza era la costante che
influenzava ogni mia scelta e mi tirava in
un angolo vuoto e buio, sola al cospetto
delle mie fragilità.
La mia migliore amica in quel
periodo era Anna, una ragazza molto carina
e simpatica, con un'inesauribile voglia di
sorridere alla vita nonostante tutto. Era una
persona molto dolce e premurosa, docile e
un po' insicura.
Anna, come me, temeva la
solitudine, temeva quel senso di vuoto che
ti riempie nel momento in cui la vita ti si
impone con il suo lato peggiore. Viveva
situazioni sentimentali complesse e alle
volte frustranti, ma ogni volta che la vedevo
arrivare a scuola la mattina la vedevo
sfoderare un sorriso a trentadue denti che
poteva fare invidia a chiunque.
Ho sempre pensato che il suo
segreto fosse il voler vivere alla giornata,
l'accontentarsi delle amicizie genuine e
sincere che alleggerivano ogni suo tormento
esistenziale.
La ammiravo per quello e tuttora
credo sia una persona fantastica, all'età di
ventiquattro anni aspetta un bambino ed è
entusiasta e gioiosa come la ricordavo dieci
anni fa.
Che senso avrebbe vivere le giornate
senza il piacere di cogliere e apprezzare
anche le più piccole cose? Senza questa
invidiabile abilità niente avrebbe più il
sapore che altrimenti si riesce a percepire.
Trovarsi il pomeriggio e fare due passi e
quattro risate con una persona cara, una
sorella o un fratello, un fidanzato o un
amico, assume un valore inestimabile per
quelle persone che sanno coglierne
l'importanza.
Passai cinque anni nel tormento e
nel timore di aver sbagliato ogni cosa, la
scuola non mi soddisfaceva, le amicizie un
po' superficiali che avevo stretto in quel
periodo mi lasciavano il vuoto nello
stomaco e la mia lotta continua contro me
stessa continuava senza dare cenni di
tregua.
Era un'insoddisfazione generale che
condiva ogni aspetto della mia vita. Mi ci
vollero anni per capire che il problema non
era intorno a me, non erano la scuola o le
amicizie: era dentro di me, era la mia quasi
inesistente autostima.
L'autostima è una cosa seria e
delicata, è come un fiore soggetto alle
intemperie, al freddo gelido e al caldo
soffocante, necessita di attenzione e molta
cura per sopravvivere. Ogni volta che perde
un petalo o si piega il gambo, quel fragile
fiore deve trovare la forza di rialzarsi e
tornare a guardare il cielo.
Dopo tutto il temporale è
passeggero, come il freddo e la grandine;
possono durare anche giorni o settimane,
ma passano e lasciano spazio al calore e ai
raggi del sole. Questo dovrebbe fare
ognuno di noi, non ha importanza se a volte
ci pieghiamo prostrati per la delusione, per
il dolore o per la paura: ciò che conta è
riuscire a tornare a sorridere.
Grazie alla mia tenacia o grazie alla
fortuna, non lo so, i cinque anni più lunghi
della mia vita, quelli del liceo, passarono e
lasciarono dentro di me un segno, una
lezione che poi si è rivelata fondamentale.
Non esistono difficoltà
insormontabili, dentro di te troverai
sempre la capacità di risolverle e
andare avanti.
3
Era una mattinata riscaldata dalla
timida luce del sole e un vento leggero
cullava le foglie degli alberi nei giardini. Il
suono insistente della sveglia interruppe il
mio sogno, un sogno intrigante e pieno di
emozioni.
Era ora di prepararsi per andare in
Segreteria Didattica, l'inizio dell'università
era alle porte e mi colse sprovveduta.
Dovevo decidere cosa fare della mia vita.
Diventare un medico filantropo e
pronto a sacrificare le intere giornate e il
proprio buon umore per il bene del
prossimo, diventare un avvocato senza
scrupoli circondato da persone che per
ottenere quello che vogliono sarebbero
disposte a vendere la propria madre o
diventare una scienziata? O ancora
un'architetta eccentrica e stravagante?
Una scienziata... Un mondo di
strumenti costosissimi e delicati e pozioni
colorate non sarebbe male.
Bloccai quel turbine di pensieri con
un getto d'acqua fredda con cui bagnai la
faccia e gli occhi ancora assonnati. Andai in
camera, infilai il primo paio di jeans che
trovai e una maglietta. Ero pronta per la mia
impresa.
"Emma, sei pronta?" chiese mio
padre con un tono di voce laconico; ero
solita farmi attendere la mattina. "Andiamo,
dai, o perderai il treno" disse ancora
facendomi un cenno con la testa indicando
la porta di ingresso.
Afferrai la borsa e seguii mio padre
fuori di casa sbattendo la porta alle mie
spalle.
Il viaggio in macchina fu più lungo
che mai, non prestai attenzione alla strada e
alle macchine ma, guardando fuori dal
finestrino, immaginai cosa sarebbe successo
in un futuro prossimo.
Mi vedevo in un ambulatorio, in un
corridoio di ospedale, in una stanza
silenziosa con un uomo serio dal volto
corrugato in cerca di aiuto, in cerca di
speranza.
La mattinata fu abbastanza agitata,
ma dovevo essere prima di tutto certa di
fare la scelta giusta.
Optai per la Facoltà di Scienze
Infermieristiche, il cui test di ingresso
aveva avuto esito positivo.
Il test per Fisioterapia non era
andato altrettanto bene in quanto ero
rimasta esclusa in graduatoria per sei posti,
sei posti che seppur pochi facevano la
differenza, decidevano il mio futuro: non
avrei potuto frequentare la Facoltà di
Medicina.
Avrei potuto ritentare il test e magari
essere più fortunata, ma il tempo è
importante e cruciale.
Io sono sempre stata una impaziente
e frettolosa e non ho mai amato aspettare.
Sono così di carattere, so cosa voglio e lo
voglio subito.
Oddio, so cosa voglio... forse. In
realtà non sono sempre certa delle scelte
che faccio, soprattutto nei bivi che la vita ci
mette davanti nel nostro percorso e che
hanno una grossa influenza sul futuro.
Angosciata dalla consapevolezza di tale
importanza mi sento più insicura che mai.
Forse
sono
un
po'
influenzabile
dall'opinione altrui. Forse. Non lo so. Sta di
fatto che la scelta di fare infermieristica
tutto a un tratto mi sembrò precipitosa e mi
apparve come un'alternativa disperata alla
Facoltà di Medicina.
Un giorno telefonai all'ufficio
immatricolazioni dell'Università e decisi di
cambiare il corso a cui mi ero iscritta.
Decisi di iscrivermi a chimica. Seguendo
un lungo iter burocratico, che richiedeva la
presenza fisica presso la Segreteria Studenti
della Facoltà di interesse, riuscii a
convertire la mia iscrizione al corso di
laurea precedente, al corso di laurea in
Chimica. Alla fine la vita ti dà un sacco di
opportunità diverse e basta saperle cogliere.
Ero felice, un po' preoccupata ma felice.
4
I mesi precedenti all'iscrizione
all'Università furono agitati e confusi. Mi
balenarono per la testa mille idee e mille
progetti, cercavo di immaginare me stessa
in un futuro non lontano, alle prese
finalmente con il lavoro.
L'Università
è
decisiva
per
indirizzare ogni studente verso un certo tipo
di occupazione, è importante per capire
cosa vogliamo dalla vita e chi siamo
realmente. É difficile a volte far fronte ai
grandi cambiamenti delle nostre esistenze,
soprattutto quando privi di certezze
dobbiamo esserne gli artefici.
Gli studenti si battono per avere un
futuro e per questo ci vogliono forza e
coraggio, ma non solo: occorrono
necessariamente
anche
scaltrezza,
intelligenza, onestà e determinazione. Eh si,
perchè, come per ogni cosa, raggiungere un
obiettivo richiede uno sforzo e un insieme
di cose che mixate nel modo giusto possono
dare un buon risultato.
É come una pozione, è come
mescolare gli ingredienti di una reazione
chimica: per ottenere l'acqua servono
l'ossigeno e l'idrogeno e non solo, devono
essere uniti nelle giuste proporzioni.
Una sera mi sdraiai a letto e mi
chiesi: "Avrò fatto la scelta giusta? E chi
me lo assicura? E se poi me ne pento?".
Ecco, i dubbi cominciavano ad
assalirmi, ero stanca e piena di domande. Il
punto era trovare le risposte.
Ma spezziamo una lancia a mio
favore (uno sprazzo di ottimismo ogni tanto
mi illumina): le persone intelligenti sono
sempre piene di dubbi, al contrario degli
imbecilli, che sono certi di avere la ragione
assoluta su tutto, in ogni momento. Su
questo posso dire che sono certa. Quasi.
*
La mattina seguente la luce del sole
mi svegliò penetrando dalla finestra le cui
veneziane erano rimaste sollevate. Rimasi a
letto qualche minuto a pensare. Pensare,
pensare, pensare... In quel periodo non
facevo altro.
Mi preparai e andai a prendere il
treno. Quella giornata di Università passò
tranquilla:
ero
nuovamente
serena,
chiacchieravo con le mie compagne di
facoltà e i minuti passavano veloci. Le
lezioni erano davvero interessanti, i
professori emanavano un senso di sicurezza
e alimentavano le nostre ambizioni più
nascoste.
5
Alla fine delle lezioni, nel tardo
pomeriggio, squillò il telefono. Era il mio
fidanzato, Cesare, un ragazzo che amavo
con tutto il cuore, con il quale però avevo
una relazione un po' complicata e
burrascosa a causa principalmente della sua
natura.
Era (ed è ancora) viziato, molto
viziato, e abituato ad avere tutto ciò che
voleva. Gli bastava aprire bocca e come
d'incanto mammina soddisfava i suoi
capricci.
Cesare si era circondato di amici
così, pronti a esaudire ogni suo desiderio,
pronti a passare sopra ai propri bisogni per
soddisfare i suoi.
Anche io rientravo in quello schema,
probabilmente a causa del mio carattere,
essendo molto sensibile e tendendo a
lasciarmi sopraffare dalla sua indole
autoritaria e un po' aggressiva.
Sto descrivendo il classico ragazzo
che a occhi ingenui può facilmente apparire
dolce e premuroso, gentile e generoso. In
realtà era un egoista e l'ho provato sulla mia
pelle numerose volte.
Per farvi capire meglio ciò di cui
parlo permettetemi una piccola digressione.
Torniamo indietro nel tempo di circa un
anno rispetto all'inizio dell'Università.
Era un pomeriggio tranquillo e mi
chiedevo se fosse il caso di cercarlo. Alla
fine decisi che gli avrei scritto, gli mandai
un messaggio e accettai un invito che mi
aveva già fatto in precedenza per andare
fuori a bere un drink insieme.
Uscimmo e parlammo tanto e
girammo per il paese, chiacchierammo del
più e del meno e la sera arrivò presto.
Avevo passato una bella giornata ed
ero decisa a chiamarlo ancora. Qualcosa di
lui mi attraeva, di certo la simpatia, ma
anche la sicurezza, il fatto che sembrava
non lasciarsi intimidire da nessuno. Era
proprio il tipo di persona di cui avevo
bisogno: un appoggio, una persona che mi
desse conforto e che mi potesse capire.
Sono sempre stata una ragazza dal
carattere debole e forse per la mia
inesperienza tendevo a essere molto
ingenua. I primi mesi trascorsero
velocemente, con lui stavo benissimo e non
mi sembrava vero.
Un giorno, anzi una notte, arrivò
però una brutta notizia. Lui era malato,
aveva il cancro. Mi sentii crollare il mondo
addosso ed egoisticamente mi chiesi
"perchè proprio a me?". Quella domanda
non trovò mai risposta, se non la timida
giustificazione che ciò che non ti uccide ti
rende più forte. Seguì un periodo davvero
grigio della mia vita, che durò anni.
Durante i mesi in cui Cesare era
ricoverato in ospedale per ricevere le cure
nesessarie io andavo a trovarlo tutti i giorni
ma ero incapace tuttavia di tirarlo su di
morale in quanto piangevo più di lui e
sfoggiavo sempre una faccia da funerale.
Ero fragile e in quel periodo
dubitavo seriamente che un'esperienza così
potesse rendermi più forte, mi sembrava
piuttosto il contrario.
Il segreto per tirare avanti era non
pensare ai possibili esiti negativi della cura
e sperare senza limiti. Un enorme senso di
ansia e tristezza mi sopraffava ogni giorno e
l'unico modo per distrarmi era rifugiarmi in
me stessa, ascoltare musica e ...studiare. Sì,
studiavo molto in quel periodo, frequentavo
l'ultimo anno di scuola superiore, un anno
che mi mise pesantemente alla prova e da
cui tuttavia ho imparato molto, una scuola
di vita insomma.
Provai i primi attacchi di ansia, che
non si fermarono neppure quando il mio
ragazzo
fu
finalmente
dimesso
dall'ospedale: era guarito, era sano e salvo.
Quegli attacchi si trasformarono
presto in attacchi di panico, una sensazione
difficile da descrivere, difficile da superare.
Ricordo ancora un episodio, è
rimasto impresso nella mia mente e mai lo
dimenticherò. Si tratta di un avvenimento
che dimostra quanto la cattiveria e
l'egoismo umani possano essere sconfinati.
Era un pomeriggio d'inverno,
precisamente l'ultimo dell'anno, e io mi
trovavo sdraiata a letto nella mia camera
con addosso una brutta sensazione. Sapevo
che stavo per sentirmi male. Lo chiamai e
gli chiesi cosa stesse facendo e lui mi
rispose che era in giro con un suo amico ad
acquistare oggetti per adornare il locale in
cui avremmo trascorso la festa di
capodanno.
Gli chiesi di venire a prendermi
perchè non mi sentivo bene, sapevo che mi
sarebbe venuto un attacco dei soliti, ma lui
si rifiutò, disse che aveva altro da fare e non
voleva farsi carico del mio malessere, disse
che mi aveva avvisata che non dovevo stare
male per lui.
Come se al cuore si potesse
comandare! Come se fosse facile affrontare
un dolore simile, dover accettare che la
persona che ami ha un cancro e tu non puoi
farci niente.
Ormai lui era guarito ma a quel
punto ero io a stare male.
Eppure non ricevetti alcun aiuto.
Forse devo ringraziarlo per questo, perchè
ho imparato quali sono i miei limiti e ho
capito che se hai bisogno di un aiuto l'unica
persona di cui puoi sempre veramente
fidarti sei proprio tu.
Devo ringraziarlo anche per un altro
motivo, perchè con le umiliazioni che mi ha
fatto subire, con i suoi attacchi di ira e di
gelosia nei miei confronti mi ha fatto piano
piano allontanare da lui rendendomi conto
che una delle cose veramente importanti
della vita è proprio amare se stessi, senza
sfociare nel narcisismo e nell'egoismo, ma
tanto da assicurarmi un po' di amor proprio,
così da riuscire a proteggersi da persone
come lui.
Proprio in questi giorni ho fatto una
ricerca su internet e ho letto con attenzione
il significato della parola narcisismo:
disturbo della personalità che comporta un
sentimento
esagerato
della
propria
importanza e una sensazione di superiorità
nei confronti delle altre persone.
É una descrizione che gli calza a
pennello! Ecco cosa ho capito, che i
presuntuosi arroganti come lui...hanno solo
un complesso psichico.
Non dico che fosse cattivo ma
semplicemente non esisteva nessuno più
importante di lui. E forse questo suggerisce
anche un'altra considerazione, cioè che più
una persona è piccola dentro e più deve
sminuire gli altri per sentirsi qualcuno.
Tutto questo è il riassunto di tre anni
e mezzo di relazione con lui, lui che in
fondo mi sento di rigraziare per la lezione
regalatami ( o meglio guadagnata a caro
prezzo), infatti adesso so quale tipo di
persona è meglio evitare.
Del resto col tempo il copione si è
ripetuto, in fondo io cerco sempre un
qualcosa di positivo nelle persone anche se
a volte proprio non c'è.
A questo proposito mi viene in
mente ciò che è successo un paio di anni fa,
quando avevo 22 anni. Un altro periodo
grigio in cui per diversi motivi sono stata
male, ho avuto un esaurimento nervoso ma
di questo ne parlerò meglio in seguito.
Insomma, anche quella volta ho avuto il
coraggio di chiamarlo in cerca di aiuto,
nonostante tutto pensavo magari fosse
cambiato, magari quella volta mi sarebbe
stato vicino da amico.
Gli telefonai e gli raccontai tutto del
mio malessere e gli chiesi un aiuto
concreto. Lui mi rassicurò e mi disse di non
preoccuparmi, che mi avrebbe presto
richiamata per darmi l'aiuto che gli
chiedevo.
Non lo fece mai. Non si fece più
sentire. Ebbi la mia conferma anche quella
volta e capii che persone come lui dovevo
escluderle del tutto dalla mia vita.
Ma una scelta giusta nella mia vita
la feci: fu quella di mollarlo.
6
Una delle numerose lezioni che ho
imparato avendo a che fare con le persone è
che sono proprio quelle a te più vicine,
quelle in cui hai riposto piena fiducia e a
cui vuoi bene, le prime che ti tradiranno e ti
volteranno le spalle.
Conoscendo i tuoi punti deboli
riescono a conseguire un sacco di primati:
sono le prime a colpirti alle spalle, sono le
prime a raggirarti, sono le prime a sfruttarti
per raggiungere i più bassi obiettivi.
Queste persone io le definirei FMM:
Falsi, Meschini e Manipolatori.
Ne ho conosciuto uno in particolare
e data l'entità della delusione da me
ricevuta,
resterà un'esperienza ben
impressa nella mia mente a lungo termine.
Assegno a questa persona una
definizione precisa e verificata, ovvero
FMMA: Falso, Meschino, Manipolatore e
Arrogante. Il classico bastardo che non
guarda in faccia nessuno quando si tratta di
raggiungere i suoi più infimi scopi. Questa
persona tradirebbe chiunque, amici, moglie
o parenti.
Lui ti passa sopra pestandoti anche il
viso e all'occorrenza ti sputa pure in faccia.
Messo di fronte all'evidenza del suo torto
non si prende nemmeno la briga di
difendersi, vuoi perché non ne è capace,
vuoi perché è solo un povero arrogante che
ritiene di avere sempre la verità in bocca e
di non dover dare spiegazione alcuna per
ogni sua decisione.
Costui è un bastardo patentato, un
meschino di prima classe, un manipolatore
ormai esperto. Talmente è abituato a
raggirare le persone che ormai lo fa con una
naturalezza sorprendente.
La sua falsità ha raggiunto livelli tali
che si potrebbe tranquillamente candidare al
premio Oscar per il miglior disonesto dei
nostri tempi. Costui è in grado di difendere
solo i suoi pari, fatti a sua immagine e
somiglianza, manipolatori e bugiardi come
lui. Si capisce, tra bastardi c'è intesa.
Ma vada in rovina la fiducia e la
bontà d'animo!
Persone così non meritano una seconda
opportunità, meritano di andare al diavolo,
che è il posto da cui sono usciti alla nascita.
Porgo
i
miei
più
sinceri
ringraziamenti anche a lui, a FMMA,
perché mi ha dato l'opportunità di
conoscere la sua specie in ogni
sfaccettatura. E di poterla così in futuro
evitare.
7
Esistono mille ragioni per sorridere,
basta saper cogliere il lato positivo di ogni
situazione.
Ricordo
una
volta
quando,
involontariamente, mi ritrovai in una
situazione bizzarra.
Stavo ancora con Cesare, il Signor
Presuntuoso. Eravamo all'uscita di un teatro
dove avevamo assaporato un'opera artistica
di sopraffino livello. Si trattava del saggio
di danza delle mie sorelle, uno spettacolo
davvero incantevole.
Una volta usciti dal teatro ci
ritrovammo nel piazzale gremito di gente.
Avevo intravisto un vecchio amico e, dopo
aver avvisato Cesare, mi ero diretta verso di
lui per salutarlo.
Notai lo sguardo maligno del mio
fidanzato: i suoi occhi traboccavano di
gelosia; insana gelosia, ci tengo a precisare.
Mi trattenni appena due minuti a
parlare con il mio amico e dopo, per non far
attendere la mia dolce metà, furiosa come
una iena, lo salutai e tornai da Cesare. Ecco,
qui apro una delle mie parentesi. Cesare ci
ha sempre tenuto molto a sottolineare la sua
superiorità intellettuale nei miei confronti,
anche in termini di vocabolario.
Una volta raggiunto, insomma, mi
fulminò di nuovo con un'occhiata piena di
odio e mi apostrofò con un "sei solo una
sguattera".
Perchè essere una sguattera è un
peccato? Il vocabolario italiano, come di
certo lui non sa, dice che sguattera
significa, in senso spregiativo, 'addetto a
lavori umili e scarsamente considerati'.
Quando mi lanciò quella pseudo
offesa mi venne da ridere.
"Sguattera? Perchè?" gli risposi.
"Perchè sei una sguattera!! Perchè ti
comporti da sguattera!".
Ok, forse sarò ignorante io ma, se
non è stato cambiato, andare a salutare un
amico non significa fare la sguattera.
Come avrete intuito, il signor So
Tutto Io voleva darmi della sgualdrina. Sì,
proprio perchè ero andata a salutare un
amico chiedendogli come stava. Ogni volta
che ripenso a questa scena meschina mi
chiedo quanto sono stata stupida a
sopportare tutti questi suoi soprusi quando,
anni fa, ancora stavamo insieme.
Essermi liberata di uno così mi mi
ha permesso, e mi permette tuttora, di tirare
un gran sospiro di sollievo. Mi dispiace
solo per la prossima sfortunata che avrà a
che fare con lui.
Un altro episodio memorabile è
stato quando ho scoperto che aveva dato il
braccialetto che gli avevo regalato io a una
sua amica. Il coglione è stato talmente furbo
che glielo ha fatto indossare prima che li
raggiungessi.
Quando notai il gioiello al polso
della tipa chiesi subito a Cesare dove fosse
finito quello che gli avevo regalato e lui
non rispose. Pensate un po', casualmente
dopo poco il braccialetto sparì dal polso
della sua cara amica.
Quando lei se ne andò gli feci una
scenata che per poco non gli misi anche le
mani addosso. Non mi è mai capitato di fare
violenza su altre persone, ma quella volta
ero talmente infuriata che gli diedi uno
spintone che lo fece quasi finire per terra.
Lui si giustificò dicendo che glielo aveva
dato solo in prestito.
Non serve che aggiunga altri
commenti per esprimere il disprezzo che
provo nei suoi confronti. La sua è stata una
mancanza di rispetto allo stato puro, unita a
una quantità notevole di imbecillità.
Se vuoi fare una furbata almeno
falla, appunto, con furbizia.
8
Al primo anno del corso di laurea a
cui mi ero iscritta, iniziarono i laboratori
chimici e io e Silvia, la mia migliore amica
dell'Università, eravamo entusiaste e
curiosissime.
Silvia
era
una
ragazza
simpaticissima con cui avevo legato fin da
subito. Era alta, magra, coi capelli castani e
gli occhiali; aveva un simpatico accento
toscano, essendo infatti di Firenze. Silvia
era molto estroversa e solare, faceva
amicizia facilmente e affrontava ogni
giornata con il sorriso. Si leggeva nei suoi
occhi la voglia di vivere e di osare sempre.
Io e lei condividevamo diversi
interessi, uno dei quali era la sete di
imparare cose nuove. Ci vedevamo già
giovani scienziate e neolaureate alle prese
con esperimenti e strumenti di tecnologia
all'avanguardia. Camice, guanti, mascherina
e pipetta in mano, beute con soluzioni dai
colori sgargianti.
L'aula didattica di laboratorio era
molto grande e ricca di banconi da lavoro,
strumenti di misura, vetreria e computer da
calcolo. Era luminosa e trasmetteva una
certa soggezione.
Ciascuno studente si dispose alla
propria postazione di lavoro in attesa delle
direttive del professore. Le chiacchiere dei
ragazzi erano numerose e l'attività di
laboratorio, una volta istruiti sul da farsi,
procedeva non senza un pizzico d'ansia.
Io e Silvia ci trovavamo in due
postazioni vicine e il nostro lavoro
procedeva di pari passo e così le
chiacchiere.
Commentavamo
tutto.
L'esperimento, sì, ma parlavamo anche dei
nostri compagni di corso e di quanto fosse
allettante l'idea di diventare anche noi un
giorno professoresse.
Così scrutavamo di tanto in tanto il
professore, un giovane di circa 40 anni con
gli occhiali; vicino l'assistente, una donna
che dimostrava pochi anni in meno.
Da subito mi accorsi delle occhiate
che ogni tanto mi lanciava il ragazzo e così
mi incurioii.
"Silvia, il tipo mi sta guardando"
dissi sottovoce e cercando di non dare
nell'occhio.
"No non credo proprio. Sai, ti fai le
storie mentali come al tuo solito" mi rispose
ridendo e lanciando un'occhiata verso di lui
con espressione guardinga.
Il professore si presentò ai ragazzi.
Si chiamava Mauro. Era un ragazzo alto e
castano, dal fisico asciutto, accennava a
volte un sorriso timido e, difficilmente,
prendeva confidenza con gli alunni a cui si
rivolgeva.
"Beh non è niente di che, anzi è
decisamente bruttino" dissi rivolgendomi a
Silvia. "Pare un po' sfigato" aggiunsi con un
velo di cattiveria e Silvia parve essere
d'accordo.
"Si direi che hai ragione, ma non è certo
meglio la professoressa...Celia, Cella, Cetta
o come si chiama"
"Celia" la corressi io sghignazzando
sotto i baffi, "Sembra mia nonna, però è
gentile dai".
Continuammo così per il resto della
lezione, sembravamo due pettegole al bar e
ci divertivamo un mondo.
Finita l'esercitazione tutti misero a
posto gli oggetti usati e si avviarono con le
borse verso la porta per andare via. Io e
Silvia invece restammo in aula e andammo
a fare due chiacchiere con i professori.
Mauro sembrava a primo impatto
molto timido e non guardava nemmeno
negli occhi quando parlava. Celia, senza
deludere le previsioni di entrambe, apparve
molto pacata, gentile e con un fare da
nonna: si guardava intorno e scherzava
sugli studenti in procinto di uscire dall'aula,
era più pettegola di noi e la cosa mi
intimorì un po' . Salutammo Mauro e Celia
e uscimmo anche noi.
"Questa ci parla alle spalle appena
ce ne andiamo, quanto ci scommetti?",
chiesi retoricamente e beffarda a Silvia; lei
annuì con un sorrisetto sulle labbra.
La volta seguente il laboratorio fu
molto piacevole, chiacchierammo e
lavorammo senza difficoltà, ci eravamo
preparate bene il lavoro prima di
cominciare e quindi già sapevamo cosa
aspettarci.
Mauro girava tra gli studenti e
osservava e guardava. Mi guardava "Silvia,
mi guarda ancora! Non mi invento le cose
scema! Guardalo e facci caso" le dissi
divertita e lei iniziò a tenerlo d'occhio.
Entro fine lezione mi diede ragione:
"Sì in effetti è vero, me ne sono accorta
pure io, ogni tanto ti guarda!", disse
divertita, "ma non è una gran fortuna,
sappilo. É brutto come la fame!".
"Sei sempre la solita" risposi con un sorriso.
Non passarono molti giorni dalla
fine del laboratorio che mi arrivò una
richiesta di amicizia su Facebook.
Era lui, Mauro. Appena aggiunto
agli amici scrissi in chat a Silvia.
-Mi ha chiesto l'amicizia...
Indovina chi!
-Boh chi?
-Mauro! E noto che tu ce l'hai già tra
gli amici...
-Sì me l'ha chiesta lui qualche
giorno fa. Ho controllato il suo
profilo e non scrive niente di
interessante, nemmeno Celia -Ah
ma hai aggiunto anche lei allora?
-Sì e pare proprio la pettegola di
turno
-Bene, mi sta già antipatica. Sembra
la classica persona che ti sorride di
fronte e poi insulta alle spalle.
Devo dire che molte volte le mie
prime impressionei si rivelano poi giuste.
Mauro mi scrisse nei giorni successivi,
quasi ogni volta che mi vedeva in chat e
risultò subito evidente che voleva provarci.
"Silvia, che faccio? Continua a
scrivermi, mi ha già stufata... E poi sono
fidanzata, non mi interessa!" dissi un giorno
durante una pausa tra una lezione e l'altra.
"Mah, ignoralo. Scrive sempre
anche a me e a volte non gli rispondo. Forse
vuole provarci con tutte e due!" mi disse
ridendo e sorseggiando il caffè bollente.
Pensai che del resto non ci fosse
niente di male, che potevo farci due
chiacchiere e al massimo salutarlo subito
con la scusa che avevo da studiare.
La cosa mi intrigava un po'. Ci
pensavo spesso e finii per prendermi una
mezza cotta per il professore bruttino. Non
sono mai stata una che si innamora per la
bellezza e Cesare e Mauro ne furono la
prova lampante.
Sono una che piuttosto si lascia
affascinare
dal
carattere,
dagli
atteggiamenti e dallo sguardo.
Sono
una,
per
così
dire,
sentimentale. Mi piacciono gli amori
impossibili, gli amori sofferti da telenovela,
sempre piaciuti, peccato che vissuti in
prima persona non siano così belli come
appaiono sullo schermo.
La relazione con il mio ragazzo,
Cesare, in quel periodo era in profondo
declino: era un litigio continuo anche per le
più piccole sciocchezze e io stavo iniziando
a prendere le distanze.
Sono sempre stata innamoratissima
di lui mentre eravamo fidanzati, ma in quel
periodo era diventato insopportabile.
Oppure lo era sempre stato e io cominciavo
ad aprire gli occhi.
Sapete quando dicono che l'amore è
cieco e che per amore si farebbero delle
pazzie? Ebbene io le ho fatte con Cesare,
colui che non mi ha mai rispettata, mi ha
sempre trattata come una stupida e non
perdeva occasioni per dirmelo.
Una delle tante lezioni che ho
imparato è proprio che non bisogna avere
tolleranza con persone di questo genere.
Col tempo la selezione naturale farà il suo
corso, eliminando
certi soggetti e
confermando la mia teoria, meglio evitare
di avere a che fare con persone che odiano
il prossimo e a ogni occasione lo feriscono.
Insomma, dopo ben tre anni mi ero
veramente resa conto di quanto fossi stata
ingenua.
Distaccandomi da lui, piano piano
mi avvicinavo incuriosita a Mauro, un
ragazzo che appariva docile e gentile,
affettuoso e premuroso. Lui dimostrava
molto interesse nei miei confronti e questo
mi piaceva.
Forse mi sentivo compiaciuta e
allettata dalle attenzioni proprio per la sua
figura professionale, era un giovane
intellettuale e ispirava sicurezza e
protezione, ciò che una donna cerca sempre
nell'uomo.
A
ogni
conversazione
ci
scambiavamo battutine e frecciatine per
stuzzicarci a vicenda e mi divertivo a
parlare con lui, mi faceva per un attimo
dimenticare i problemi che avevo con
Cesare.
Mi sentivo apprezzata, finalmente, e
stimata dal punto di vista personale e
professionale.
Fu così che un giorno ci trovammo a
bere un caffè, io e Mauro. Parlammo per
circa mezz'ora e mi sembrò solo un minuto,
il tempo volava con lui.
"Silvia, oggi ci siamo trovati io e
Mauro a bere un caffè alle macchinette!"
dissi eccitata alla mia amica: volevo sapere
cosa ne pensava
"Beh, dai,ma non vorrai dirmi che ti
piace, vero? Se è così dimmelo subito che
mi butto dal balcone del terzo piano" disse
Silvia quasi preoccupata.
"No, no, non mi piace, tranquilla, è
solo simpatico, ecco tutto"
"Ah, va bene! Per un attimo ho
pensato che avessi preso una botta in testa"
disse con un sorriso e cambiò discorso.
Non sembrava affatto essersi resa
conto dell'interesse che nutrivo nei
confronti di Mauro.
Mi vergognavo ad ammettere che mi
piacesse, un po' perchè ero già impegnata,
un po' perchè lui era molto più grande di
me, un po' anche per l'opinione che Silvia
nutriva di lui.
"É talmente brutto che piuttosto di
andare con uno così mi faccio suora" mi
disse un giorno.
Ma io sono fatta così, quando uno
mi piace di carattere dopo un po' inizia a
piacermi anche fisicamente, uno strano
scherzo che fa sempre il cervello
masochista che mi ritrovo.
Continuammo a trovarci, più o meno
casualmente ogni giorno alle macchinette,
per bere il caffè, quando Mauro si prendeva
una pausa dal lavoro in ufficio.
Il caffè delle macchinette era
pessimo ("Secondo me tirano su l'acqua di
scarico dei bagni e ci buttano dentro l'aroma
al caffè" disse una volta un mio compagno
di corso) ma la compagnia compensava.
Un giorno, come al solito, eravamo
lì a sorseggiare il caffè insieme e successe
l'imprevedibile.
Mauro mi mise la mano sulla
schiena e mi disse di seguirlo in un posto un
po' appartato.
Io, presa alla sprovvista e quasi
intimorita, acconsentii e lo seguii. Mi portò
in una stanza vuota in cui erano presenti
solo un tavolo e una sedia impolverati e mi
baciò.
Il mio cuore batteva all'impazzata,
ero agitatissima e non sapevo come
comportarmi.
Lo abbracciai e gli dissi: "Mi piaci
tanto, sai?".
E lui mi sorrise. "Anche tu".
In quegli stessi giorni decisi che era
meglio porre fine alla tanto lacerata
relazione con Cesare, non con poco
dispiacere e dopo essermi numerose volte
consultata con Silvia per capire quale
potesse essere la scelta migliore.
Un pomeriggio dei tanti in cui ero in
facoltà a studiare con Silvia toccai di nuovo
l'argomento.
"Non so cosa fare. Dovrei mollarlo,
ma come faccio? Non riesco, sto troppo
male" dissi con le lacrime agli occhi a
Silvia che mi stava seduta vicina e
dolcemente mi accarezzava la schiena per
consolarmi.
"Penso che dovresti mollarlo, non
sei felice con lui, è da anni ormai che ti
conosco e vedo come si comporta con te, è
un bastardo e non ti merita"
"Lo so che è così, ma è più forte di
me, non riesco. Ho paura".
Ero sconvolta, non capivo cosa
volevo e mi sembrava di non avere la forza
per reagire. Silvia era sempre al mio fianco
quando avevo bisogno, è sempre stata una
carissima amica attenta e generosa, mi
voleva bene davvero e io ne volevo a lei.
Certo, ci è capitato anche di litigare.
Una volta, dopo una discussione,
non ci siamo più parlate per un anno intero,
ma alla fine abbiamo fatto pace e ci siamo
riavvicinate.
Mi fidavo di lei. Capii che
continuare a rimandare non serviva a nulla
se non a peggiorare le cose e decisi che
quello stesso giorno avrei visto Cesare e gli
avrei detto tutto, gli avrei detto che era
finita e che non lo amavo più.
Lo incontrai al ritorno a casa era al
bar della stazione ferroviaria. Doveva
comprare il giornale e andai da lui.
"Stasera dobbiamo incontrarci, devo
parlarti"
Ero seria, lo sguardo duro e triste.
Lui mi scrutò con attenzione, la sua fronte
si corrugò e gli occhi sembravano aver
colto la verità: aveva capito che qualcosa
non andava ma non mi chiese perchè, mi
disse solo che andava bene e ci
accordammo per trovarci in una gelateria
vicino a casa dopo cena.
Chiaramente non cenai, avevo lo
stomaco chiuso e a malapena riuscivo a
bere acqua. Era una sensazione spiacevole,
ero agitata, avevo paura di sbagliare.
Pensavo che se me ne fossi pentita non
sarebbe tornato come prima, avrei rovinato
tutto per sempre.
Con il senno di poi, capii che la
situazione non poteva peggiorare più di
così.
Cesare arrivò quella sera a
prendermi a casa alle 21 in punto e
andammo alla gelateria, ci sedemmo a un
tavolino isolato, ordinammo da bere.
Io ero distaccata, non sorridevo, non
lo guardavo negli occhi. Lui mi chiese
come era andata la giornata e mi propose di
andare a trovare sua zia la sera stessa
perchè compiva gli anni.
"Non credo di venire" sussurrai con
gli occhi velati di lacrime " É finita, Cesare,
ognuno per la sua strada"
Lui mi guardò con gli occhi quasi
spalancati, incredulo e disse solo "Cosa?"
"E' finita. Ti sto solo accontentando,
è da mesi che continui a chiedermi quando
ci molliamo perchè sei stufo di me, perchè
non sei mai contento di come sono, perchè
io non sono all'altezza per soddisfare i tuoi
bisogni" "Ma io...non è vero..scherzavo,
dai.." disse a bassa voce
"Non scherzavi, lo so, è ora di finire
questa pagliacciata. Sarà meglio per me e
per te. Non posso continuare a stare così, tra
noi due non funziona più, forse mi hai
amata il primo periodo, poi dopo la tua
malattia tutto è cambiato: tu sei cambiato,
io sono cambiata"
"Lo so, ma proviamo a ricominciare,
vedrai che possiamo sistemare tutto"
"No. É da quasi tre anni che provo a
sistemare le cose, ma ho sempre fatto tutto
da sola. Dobbiamo amarci entrambi, la
relazione non funziona se solo io lo voglio"
dissi a fatica. Sentivo un blocco in gola,
rischiavo di scoppiare a piangere ma non
potevo, non davanti a lui.
"Io ti ho amato tantissimo, ma non è
più come prima, hai fatto di tutto per
allontanarmi. Mi hai sempre fatta sentire
inadeguata, non credo che tu sia cattivo",
dissi senza credere al fatto che qualcosa di
buono potesse esserci in lui, "ma io e te non
siamo fatti l'uno per l'altra e basta. Ti amo,
ma è finita"
Lui aveva la testa china, guardava la
tazza del caffè e aveva lo sguardo fisso.
Alla fine, mi disse con voce flebile:
"Hai ragione, se è così non abbiamo scelta.
Io ti amerò sempre".
Lo disse per consolarmi, ne ero
certa, non credo mi avesse mai veramente
amata, ha solo sempre avuto bisogno di una
ingenua e fragile come me in grado di
alimentare il suo smisurato ego.
Una cosa positiva però l'ho trovata
anche in questa esperienza. Negli anni in
cui sono stata con Cesare avevo capito una
cosa importantissima, soprattutto nel
periodo in cui andavo ogni giorno a trovarlo
in ospedale, in quel reparto popolato da
malati di cancro, persone in fin di vita, col
coraggio di sorridere ancora nonostante le
tremende sofferenze a cui erano
ingiustamente sottoposti.
Ho imparato che è così effimera, la
vita, che è assurdo come possa scivolare
via in un attimo senza preavviso senza darti
almeno la possibilità di dire addio.
Ho imparato che bisogna viverla,
questa vita, e apprezzarne ogni più piccola
cosa, perchè la vita è una e unica.
Non bisogna sprecarla restando
accanto a persone che non ti meritano o
che, peggio ancora, ti disprezzano.
Quella sera tornai a casa e piansi
come una bambina, piansi tanto e gli occhi
erano gonfi di lacrime, mi faceva male la
testa, ero sfinita. Mi misi a letto e mi
addormentai subito.
La mattina dopo avevo una faccia da
cadavere, pallida con gli occhi gonfi. Feci
colazione e andai a prendere il treno per
andare all'Università. Passai la giornata
studiando, fu difficile ma forse il peggio era
passato, ero riuscita a liberarmi di
quell'enorme peso, di quella relazione
velenosa, ero riuscita a superare uno scoglio
altissimo e tagliente.
Vidi Mauro e con le lacrime agli
occhi dissi: "L'ho mollato ieri sera".
"Perchè l'hai fatto?" mi chiese
vedendo quanto stavo male.
"Perchè stare insieme era peggio"
Mi abbracciò e non ebbi bisogno di
niente di più in quel momento.
9
Ero così, amavo le relazioni difficili
e ne andavo in cerca. Volevo un amore
struggente che mi consumasse, che mi
tenesse sulle spine, sveglia la notte, in ansia
il giorno, del genere non-posso-fare-ameno-di-te-amore.
Sì, ero io che mi cercavo le
difficoltà, ne sono consapevole. Del resto
non ho mai amato le cose facili, basti
guardare che corso di laurea ho scelto: devo
sostenere esami che presentano non poche
difficoltà, ma la cosa non so perchè mi
stimola ancora di più.
Anzi, lo so: perchè quando ottieni
qualcosa con molta fatica, quella cosa
automaticamente assume un valore enorme,
te la godi fino in fondo.
E così ero anche nell'amore. Dico
ero perchè ormai oggi ho cambiato del tutto
registro. Sì, sono affascinata ancora dai
problemi complicati e dalle situazioni un
po' intricate ma non al punto di prima.
Ora, almeno in amore, voglio che sia
il più semplice e dolce possibile.
E così, siccome sono testarda e
sbagliare una volta non mi basta, ho finito
per cacciarmi in una relazione che se ci
credete era anche peggio.
Sì, ho proprio lo spirito della
scienziata, intuisco il problema e fino a che
non ho la certezza assoluta della risposta
continuo a sbatterci la testa. Vedere per
credere, numerose volte, bisogna avere una
significatività statistica e un risultato
riproducibile e bla bla bla.
Diciamo che ho applicato questi
principi anche nelle mie relazioni amorose,
cosa tutt'altro che consigliabile.
In amore un ragionevole dubbio non
ha un gran peso, anzi quando lo percepisci è
già ora di filarsela a gambe levate,
altrimenti si finisce per impazzire.
Perchè dicevo che la relazione in cui
mi cacciai era peggio? Vediamo...forse
perchè non era una relazione normale da
persone normali, non era una relazione in
cui due persone si amano e si rispettano
reciprocamente. L'unica innamorata ero io,
putroppo (o per fortuna) per lui sono stata
solo un passatempo.
Bisogna considerare il carattere di
Mauro per capire tutto questo: è una
persona molto chiusa, ermetica e
misteriosa. Non lascia trapelare nulla della
sua vita privata e fa di tutto per escluderti
da essa. Vuole mantenere le distanze col
resto del mondo, innalzare un muro che
forse possa proteggerlo, che so io.
Mi sono fatta un miliardo di
domande a proposito, chiedendomi perchè
non si fosse mai aperto con me.
Ho pensato di essere forse troppo
pretenziosa nel voler conoscere alcuni
aspetti della sua vita privata.
Ho pensato che potesse aver
ricevuto una scottatura in una relazione
precedente.
Ho pensato che avesse paura di
lasciarsi andare completamente con me, che
fosse colpa di una personalità introversa.
Alla fine ho concluso che era un
povero stronzo.
A volte la risposta alle domande che
cerchi è la più semplice ed è la stessa che
non vuoi accettare.
Voglio spiegarmi meglio. Partiamo
con alcuni episodi accaduti durante la
relazione tra me e Mauro.
Ricordate quando vi parlavo della
scarica di messaggi iniziale che mi
mandava in chat su Facebook?
Ecco, la costante della relazione
erano proprio i messaggi, cui possiamo
aggiugere le chiamate.
Discorsi, grandi discorsi, toccando
argomenti più o meno superficiali, mai
niente riguardante i sentimenti che
provavamo e la nostra persona, cosa
volevamo dalla vita, che progetti avevamo.
Forse era questo suo modo di essere
sempre evasivo e pieno di segreti che mi
attraeva. Sentivo il classico istinto da
crocerossina, dovevo salvarlo dal suo modo
di essere, di allontanarsi dalla gente, di
temere ogni confronto a livello emotivo.
Abbiamo vissuto per due anni una
relazione segreta, nessuno doveva sapere di
noi, nessuno doveva sospettare, nessuna
domanda riguardo una possibile storia
amorosa era gradita.
L'anonimato prima di tutto.
Non mi ha mai portata fuori, è stata
una relazione nata e consumata, se così si
può dire, nell'ambiente dell'Università.
Una cosa penosa, direte... Eh sì mi
tocca darvi ragione.
Ma quanto ci ho sofferto non potete
immaginarlo. Ero talmente innamorata che
la verità che avevo sempre sotto il naso
proprio non volevo vederla, non volevo
crederci.
"Le cose cambieranno col tempo, lui
si lascerà andare e finalmente un giorno
usciremo allo scoperto" mi ripetevo sempre.
"Forse più avanti una volta che io mi sarò
laureata e non ci saranno più implicazioni
sul piano professionale".
Non credevo di avere così tanta
pazienza e forza d'animo, è un po' come
sperare per anni che un elefante possa
rimpicciolire fino a raggiungere la siluette
di una formica. Impossibile.
Ogni sera, puntualmente dopo cena,
mi chiamava, mi chiedeva come era andata
la giornata, scherzavamo e ridevamo su ciò
che ci era successo nell'arco delle
ventiquattro ore e mi diceva tante cose
carine.
"Sei speciale, quello che ho fatto
con te non lo avrei fatto con nessun altro, te
lo giuro"
E ancora: "Sei bella, sei intelligente,
sei simpatica. Mi piaci molto"
Ed ero felice di sentire quelle parole,
non desideravo altro che sentire la sua voce
dolce.
Parlava sempre a tono basso perchè
la sera i suoi erano in casa e potevano
sentire ciò che diceva. Ogni giorno
attendevo ansiosa di incontrarlo per bere il
caffè insieme e per scambiarci un paio di
carezze e un bacio.
I suoi occhi azzurri mi piacevano,
mi piaceva il suo sorriso, mi piacevano le
sue mani lisce, le sue labbra morbide. Mi
piaceva anche la ciccetta che aveva sulla
pancia, i suoi occhiali buffi.
Insomma, lo vedevo perfetto, lo
avevo idealizzato, per me era il migliore.
Silvia, che nel frattempo mi aveva
estorto la verità su Mauro, mi chiedeva se
ero pazza e come diavolo facessi a
sopportare quella situazione.
"Ma chi te lo fa fare? Se ci tenesse
veramente non ti tratterebbe così, vorrebbe
dimostrare al mondo intero che sei sua e
non ti nasconderebbe come sta facendo!"
Aveva ragione e io temevo di sentire
quei discorsi perchè in fondo lo sapevo ma
non volevo accettare quella realtà.
Mi piaceva crogiolarmi nel dubbio e
nella speranza, preferivo aspettare momenti
migliori, attendere che qualcosa cambiasse.
Quello non era ottimismo, era vera e
propria disperazione! Avevo perso la testa
per un uomo che in fondo (nemmeno tanto
in fondo) non mi voleva.
Non ero alla sua altezza? O era lui
che non si sentiva alla mia?
Almeno io non sono mai stata una
sociopatica e non ho mai temuto il
confronto con le persone; ho imparato a
dire ciò che penso, senza mancare di
rispetto a nessuno, ho sempre espresso le
mie idee. Questo si chiama essere liberi,
poter dire ciò che pensi senza temere le
reazioni della gente.
Molti potranno detestarmi e non
condividere il mio pensiero, potrò perdere
degli amici (poi bisogna vedere se se si
trattava davvero di amici) e molta gente
potrebbe guardarmi male.
Ma in fondo chissenefrega, di amici
è meglio averne pochi ma buoni. Essere
amici d'altra parte non significa andare
d'accordo su tutto e non litigare mai,
significa anzi scambiarsi opinioni e pensieri
senza per questo doversi offendere qualora
non coincidano.
Silvia mi ha sempre messa in
guardia su Mauro e non ho mai voluto
ascoltarla, del resto un detto asserisce che
non c'è peggior sordo di chi non vuol
sentire.
C'è una linea sottile che demarca il
confine tra speranza e illusione ed è
difficile distinguerla. Non si può vivere solo
di speranze, la vita è ben altra.
La vita va vissuta e non attesa, la
vita è oggi, è ora.
Non ho mai avuto il coraggio di
dirgli "ti amo", mi sarei sentita una stupida.
"Ti voglio bene, lo sai" gli dicevo
con dolcezza. E lui lo sapeva.
Alcuni studenti ci lanciavano
occhiate furtive, sospettavano qualcosa, ci
vedevano insieme alle macchinette spesso.
La gente è pettegola, parla e soprattutto
vede.
Non l'ho mai detto a nessuno a parte
a Silvia, sapevo che sarei sembrata sciocca
ad accettare una situazione simile. Ma lo
amavo, tanto. Avevo bisogno di lui.
Ma amare una persona significa
averne bisogno? In un certo senso sì,
quando ami una persona la vorresti sempre
vicina, vorresti abbracciarla, vorresti dirle
mille cose.
Occorre stare attenti, però, a non
stare insieme a una persona solo perchè si
teme la solitudine, perchè quello non è
amore.
Io amavo Mauro e avevo bisogno di
lui, non avevo paura di rimanere sola.
Avevo solo paura di perderlo.
Avevo già provato quella sensazione
con Cesare, entrambe le volte la mia paura
di perdere il compagno
aveva avuto
l'effetto esattamente opposto: il mio volerli
tenere vicini li allontanava e di questo mi
assumo la colpa.
Forse ero stata troppo apprensiva e
gelosa. Ero molto insicura e non avevo
abbastanza autostima, non mi volevo
abbastanza bene.
Prima di innamorarsi di qualcuno si
dovrebbe essere certi di amare se stessi.
Se non ti ami, chi vuoi che lo
faccia? Se non ami te stessa non puoi
pretendere che qualcuno lo faccia al posto
tuo.
Non intendo addossargli tutte le
colpe, non è stata solo colpa di Mauro se la
nostra storia non ha funzionato: se due
persone sono tanto diverse è difficile che i
loro pochi punti in comune possano tenerle
unite per sempre.
Io e Mauro eravamo simili e al
tempo stesso così diversi. Gli devo tanti
grazie, grazie prima di tutto per avermi
aperto gli occhi: la vita non è una favola a
lieto fine, spesso è problematica e dolorosa.
Non esistono storie d'amore come
quella delle fiabe in cui la principessa di
turno è svegliata dal bacio del suo amato.
Grazie, poi, per avermi disillusa:
non sono più una bambina, ho smesso di
illudermi in amore. Ho smesso di cercare
amori impossibili, gli amori impossibili
sono impossibili e basta.
Lo ringrazio per avermi fatto capire
che in fondo una come me merita molto di
più delle briciole che mi lasciava lui.
Come diceva Merilyn Monroe, ci
hanno fatto donne non formiche. Non
bisogna mai accettare le briciole che ci
lasciano.
Mi sento invece di arrabbiarmi con
chi ha ideato e pubblicato favole d'amore
come Cenerentola e Biancaneve.
Brutte carogne, perchè volete far
credere alle bambine, esseri così giovani e
ingenui, che il principe azzurro esiste per
tutte, che basta aspettarlo?
Non è vero! Non esiste per tutte,
smettiamola di raccontarci frottole.
Anzi si può dire che i principi
azzurri sono davvero rari, poche hanno la
fortuna di trovarlo. E poche di quelle che
l'hanno trovato hanno la fortuna di non
perderlo.
Alle scuole elementari e alle medie,
oltre alla matematica e all'italiano,
dovrebbero insegnare anche l'amore.
Dovrebbero insegnare a non
prendere in giro le persone, perchè le
persone hanno dei sentimenti e non sono
dei burattini a disposizione, utili fino a che
non trovi qualcuno di meglio.
Dovrebbero insegnare non solo ad
amare ma anche a farsi amare, ché anche
quello è difficile.
Dovrebbero insegnare che la
speranza è indispensabile ma l'illusione è da
tenere alla larga: l'illusione non è altro che
una speranza distorta.
Non sto certo criticando chi ama
sperare, per carità.
Non sono d'accordo col detto "finché c'è
vita c'è speranza, piuttosto credo che finché
c'è speranza c'è vita.
Mi capita ancora di ripensare ai
momenti che ho passato dopo che Mauro
mi ha mollata.
Ah, ecco, stavo quasi dimenticando
di dire che mi ha mollata, al telefono per
giunta.
Se l'è cavata scaricandomi al
telefono, una cosa veramente meschina, una
cosa che solo un verme senza spina dorsale
può fare. Senza darmi troppe spiegazioni, si
intende.
"Tra noi non può funzionare" mi
disse.
É successo un giorno che ero a
Milano con due miei cari amici. Mi sono
sentita svenire, mi è crollato tutto sotto ai
piedi, mi aveva sbattuto la verità in faccia,
la verità che avevo sempre voluto evitare.
Passai un pomeriggio e una serata da
schifo. Ero ospite della mia amica Chiara,
quel giorno, e ricordo che la sera scambiai
ancora qualche messaggio con Mauro e
piansi tantissimo.
I miei amici uscirono, andarono a
ballare e io rimasi a casa a piangermi
addosso.
Volevo rimanere sola.
Volevo essere libera di pensare, di
farmi domande, di sentirmi in colpa.
Mille pensieri gridavano nella mia
testa, vedevo il volto di Mauro e
immaginavo di parlargli, tenendogli le
mani.
"E se ti dicessi che mi manchi? Che
ogni volta che ripenso a te resto senza fiato?
Ogni parte di me vorrebbe solo
riabbracciarti, ma so che sarebbe un errore
enorme farlo.
"Tu sei per me come la linfa vitale e
come il più potente veleno esistente. Mi
attiri fra il calore dei tuoi abbracci e poi mi
sottrai l'ultimo microgrammo di forza
rimasta. Un amore malato ha la capacità di
fare questo e altro.
"Un'attrazione malsana riesce a
risucchiare anche l'ultimo spiraglio di luce
nascosto nella tua anima, nell'abisso, come
in un buco nero"
Questo. Gli avrei detto esattamente
questo.
10
Il periodo successivo alla rottura fu
infinitamente lungo.
Come disse Albert Einstein "quando
un uomo siede un'ora in compagnia di una
bella ragazza, sembra sia passato un
minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per
un minuto e gli sembrerà più lungo di
qualsiasi ora. Questa è la relatività".
Sagge parole. I periodi tristi
sembrano sempre incredibilmente lunghi.
Appena ne esci ti sembra di tirare
finalmente una boccata d'aria dopo un'ora di
apnea.
Passai circa sei mesi di malcontento,
non facevo altro che pensare a Mauro.
Ripassavo a mente tutti i momenti
felici passati con lui, tutte le tenerezze, tutti
i gesti gentili che aveva fatto per me e non
riuscivo ad accettare di essere stata
allontanata dall'uomo che più amavo.
Le mie giornate erano accompagnate
dalle lacrime, non so quante ne ho versate.
Ogni mattina un senso di malessere
mi tormentava e mi invadeva fino a sera.
Proprio circa un mese prima di
essere mollata, riuscii finalmente a fare
pace con Silvia. Era da un anno che non ci
parlavamo e ci guardavamo malissimo
quando ci incontravamo nei corridoi
dell'Università.
Ancora non è chiaro nemmeno a noi
il motivo di quel distacco, ma forse è stata
colpa mia.
Talmente ero frustrata per la mancanza di
affetto che caratterizzava la mia relazione
amorosa che appena trovai una persona su
cui sfogarmi ne approfittai.
Fui io a riavvicinarmi a Silvia, dopo
tutto quel tempo di silenzio e ostinazione
ero arrivata a pensare che la situazione
fosse veramente ridicola.
Un giorno mi decisi a mandarle un
messaggio per dirle che volevo sentirla.
"Ciao, sono contenta che tu mi abbia scritto,
mi sei mancata"
mi aveva risposto. E io mi sentivo
sollevata, mi ero tolta un enorme peso dallo
stomaco. Avevo sempre voluto molto bene
a quella ragazza e gliene voglio ancora,
sebbene ormai ci vediamo pochissimo.
Penso che se una amicizia è sopravvissuta
ad una situazione del genere non dovrà
temere più nulla, nessun motivo potrà
essere tanto valido da spezzarla. L'amicizia
è questo: litigare, fare pace e tornare a
scherzare, esserci sempre quando c'è un
problema ma soprattutto esserci anche nei
momenti più belli.
Ci chiamavano la coppia d'oro
dell'Università, era perfino strano non
vederci insieme e in quel periodo di stupida
ostilità tutti venivano a domandarci il
perchè di tale odio tra noi. Beh, che dire,
tutto è andato per il meglio.
Tornando alle cose tristi, invece, non
fu facile levarmi dalla testa Mauro: dopo
pochi mesi dal nostro distacco mi venne un
esaurimento nervoso, che fu il risultato di
un forte stress e di non poca depressione.
Riuscii a superarlo nel giro di un
paio di mesi. Mi toccò tirare fuori tutta la
forza che avevo in corpo e che non pensavo
di avere, tirai fuori tutto il mio coraggio e la
mia forza di volontà.
In quei due mesi era diventato
difficile fare perfino le cose normali e
semplici, come fare un po' di ginnastica,
uscire a fare un giro, prendere il treno o
allontanarmi da casa in macchina.
É incredibile quali scherzi possa
giocare la mente, il nostro cervello è più
potente di quello che pensiamo e se è in
grado di buttarci giù così gravemente, è
anche capace di tirarci su nei momenti
peggiori della nostra vita.
Se solo lo vogliamo. La questione è
che bisogna avere forza di volontà, senza
quella non si otterrà un bel niente dalla vita.
Non serve piangersi addosso e non
serve cercare persone che ci facciano
vedere che siamo a pezzi, che ci ricordino
di quanto siamo prostrati dal dolore.
Dobbiamo reagire, questa è la parola
d'ordine: reagire. Anche dalla depressione si
può guarire, ma bisogna volerlo davvero.
Anche da un esaurimento nervoso si può
guarire, basta volerlo.
Una volta mi sentii dire da una
persona, a conoscenza del mio stato
d'animo, che non sapevo cosa fosse davvero
un esaurimento e che lui aveva saputo di
gente depressa ed esaurita che si suicidava,
ancora all'epoca in cui lui studiava.
Certo, ringrazia di non saperlo tu
che cos'è un esaurimento. Fino a che non lo
provi non lo sai e non puoi giudicare chi lo
sta vivendo.
Esiste una scala di grigio, non tutti
siamo uguali; certi reagiscono e certi si
lasciano andare.
Ma c'è chi è più depresso e chi lo è
meno, chi è un po' esaurito e chi lo è meno?
Non saprei dire se è vero, un
depresso è pur sempre depresso e un
esaurito è pur sempre esaurito.
É come dire di essere tanto
innamorati o poco innamorati, non ha
senso.
Ma lasciando perdere i giochi di
parole, mi piace sapere che per quanto fossi
stata sempre fragile e sensibile di carattere
al momento giusto sapevo diventare forte e
superare ogni ostacolo.
Di questo sono davvero fiera. Non
vedo solo in termini negativi i brutti periodi
che ho passato, preferisco prenderli come
lezioni di vita, perchè è importante, come
dicevo, imparare la matematica e l'italiano,
ma forse è ancora più importante imparare a
vivere e ad affrontare i problemi e non
cercare di evitarli.
La vita è meravigliosa, dopo tutto se
non ci fossero tanti momenti tristi non
sapremmo apprezzare a pieno i momenti
felici. E ciò che mi rende felice più di ogni
altra cosa ora è sapere che ho la mia
famiglia vicina...
Mio padre, mia madre e le mie
sorelle... Ora ho un ragazzo speciale che
amo e che mi ama, ho gli amici e una casa e
non mi manca niente.
E non dimentico la salute, anche
quella è importantissima, senza quella non
si può stare bene.
Tornando a noi, superai quei sei
mesi di cui due in pieno esaurimento. Ne
uscii vincitrice e ricominciai da capo. Mi
sentivo di nuovo bene, non ancora del tutto
serena ma riuscivo a comprendere che non
mancava molto per esserlo.
Accettai l'invito di un ragazzo a
uscire, un ragazzo che conoscevo da tempo.
Colsi la palla al balzo per potermi distrarre
e iniziare un nuovo cammino, frequentare
nuova gente.
Si chiamava Riccardo ed era un
ragazzo robusto e castano con gli verdi,
simpatico e intelligente ma estremamente
presuntuoso. Un carattere narcisistico.
Sapete, di quelle persone che
credono di essere sempre uno scalino sopra
agli altri e di poter dettar legge e insegnare
alle persone come bisogna vivere la vita.
Un tantino altezzoso, si sforza
comunque di mantenere un buon rapporto
con tutti per mantenere una buona
immagine di sè.
A ogni modo, seguendo il mio solito
istinto da crocerossina, uscii con lui qualche
volta pensando di potergli tirare fuori
qualcosa di positivo, ma purtroppo mi resi
conto che lo aveva seppellito da tempo. La
dolcezza e gentilezza che ricordavo erano
ormai sparite e avevano lasciato il posto
all'incapacità di amare.
Incapacità di amare soprattutto se
stesso.
Il motivo per cui continuavo ad
andare in cerca di persone che non mi
amavano era che io stessa non riuscivo ad
amarmi. Mi guardavo allo specchio e
vedevo una persona che non era riuscita a
ottenere un bel niente e non era veramente
apprezzata da nessuno.
Sì, avevo un paio di amici che
davvero mi volevano bene, ma non mi
sembrava abbastanza: avevo bisogno di
qualcosa di più, volevo essere felice, ne
avevo bisogno.
Così, quando la nostalgia mi
avvolgeva, mi lasciavo coccolare dalle note
della mia musica preferita, per me la
melodia di un pianoforte è meglio di una
medicina.
In giro per le strade e per i locali
vedevo le stereotipate coppiette innamorate
intente a scambiarsi bacini, carezzine e
parole sdolcinate. "Ciccino, coccolino,
amoruccio, pucci pucci" e così via.
Sì ero invidiosa, lo ammetto, e mi
urtava vederli. E poi tutte quelle
manifestazioni d'affetto potevano benissimo
essere false, io stessa a volte ho conosciuto
persone che di fronte al partner si
dimostravano mielosi e innamorati, mentre
alle spalle invece li tradivano senza pietà.
Un'alce a confronto avrebbe meno corna
sulla testa.
Ho sempre riso di queste situazioni
tragicomiche, che mostrano quanto le
persone possano essere false.
"Amore mio, ti amo tanto, sei
l'uomo della mia vita e lo sarai sempre". Poi
alle spalle...tiè!
Mi sono sempre chiesta con che
coraggio poi riescano a guardare negli occhi
il proprio compagno (o la compagna) senza
sentirsi uno schifo. Forse per sentirsi così
serve avere una coscienza e non tutti ce
l'hanno.
Mi sembra incredibile che i poveri
sfortunati non sentano il peso di certi
attributi sulla testa o non ne vedano la
sagoma allo specchio.
Beh, se non è per volere divino,
almeno grazie al caso ognuno avrà quel che
si merita. Almeno per la legge dei grandi
numeri, chi ha sempre preso in giro le
persone restando impunito, prima o poi
rimarrà fregato. Una volta su un milione,
forse, ma è già qualcosa.
Su questo argomento ne avrei
veramente tante da raccontare e non le
ricordo tutte.
Sì è vero, nemmeno io sono una
santa.
Con il mio primo fidanzato alla fine della
relazione non sono stata del tutto corretta
ma lui ha fatto di tutto per esaurire ogni
goccia di amore che ancora potevo provare
per lui.
Chi è senza peccato scagli la prima
pietra dicono, sì, ma ci sono peccati e
peccati. Non sono qui a fare il giudice, mi
viene solo da ridere a vedere il
comportamento di certe persone.
Almeno io non sono un'ipocrita.
Almeno io non sono falsa e di
questo ne vado fiera.
Almeno io non lecco il culo a
nessuno.
É anche per questo che ho pochi amici, ma
preferisco pochi e di valore, non tanti e
falsi.
Ritornando alle mie relazioni,
dicono che nella vita si possono avere solo
due grandi amori, ma secondo me non è
così.
Io mi sono innamorata ben tre volte
e quest'ultima ho azzeccato la persona
giusta; come dicevo, prima o poi la ruota
gira.
Nella mia fase di ripresa, ovvero
quella successiva ai sei mesi di depressione,
mi sono divertita un mondo, anzi un mondo
è dir poco.
Feste e serate con i miei nuovi
amici, cene e discoteca fino a mattina.
Ho stretto amicizia con delle
bellissime persone, non ho mai sentito così
tanto feeling con la gente in vita mia.
Un pomeriggio di sole, fresco e
ventilato, decisi di uscire per fare due passi
e bere un cappuccino, così andai a trovare
Katia, una ragazza che lavorava e
tutt'ora lavora presso un bar in città.
Katia è una grande persona,
veramente. Mi piace definirla la dura della
compagnia, per il suo carattere forte.
É alta e magra, ha gli occhi scuri e i
capelli castani, è una persona fine e
discreta, una con cui ti puoi confidare e su
cui puoi sempre contare.
"Ciao, cara! Allora, lo beviamo un
aperitivo?" dissi a Katia sorridendole una
volta varcata la porta d'ingresso.
"Ma sì dai, amore, si può fare. Tutto
bene?"
"Sì, avevo voglia di fare quattro
chiacchiere ed eccomi qui."
Passavo lunghi pomeriggi con lei
bevendo aperitivi e chiacchierando di
qualsiasi cosa, soprattutto di gossip. In un
pomeriggio come quello conobbi anche
Rebecca, una ragazza più giovane di me,
alta, mora e bellissima, con un sorriso
simpatico.
Faceva la modella e girava spesso
per lavoro. Mi piace perchè è sempre super
disponibile per aiutare il prossimo e per
sdrammatizzare ogni situazione.
Estroversa e solare, amava girare per
la città per fare camminate e visitare negozi
di abbigliamento, sedersi a un bar e
rilassarsi bevendo un caffè, commentando
gli avvenimenti della giornata.
Ero contentissima perchè con loro
finalmente potevo essere me stessa e parlare
liberamente. Amo le persone intelligenti che
sanno ascoltare l'opinione degli altri,
rispettandola e confrontandola con le
proprie idee.
Si prospettava insomma una lunga
stagione di benessere.
11
Lo stato di benessere ti è precluso
fino a che non impari a liberarti di ogni
pensiero negativo, fino a che non capisci
che la felicità non è uno scopo ma un
percorso, un modo di essere, un'attitudine.
Per essere felice devi veramente
volerlo, ogni parte di te deve desiderarlo
ardentemente.
É come avere una tremenda sete,
niente e nessuno ti potrà impedire di bere
un goccio d'acqua e dissetarti.
La forza di volontà, l'ottimismo e il
coraggio ti permettono di essere felice e
non è illusione dire che sorridere alla vita
anche nei momenti più bui può portarti solo
cose belle.
Penso che una delle cose peggiori
della vita sia il rimpianto.
Il rimpianto di aver lasciato andare
una occasione, il rimpianto di aver taciuto
una parola, di aver trattenuto un abbraccio.
Il rimpianto di non aver esternato
ciò che si prova, sia esso affetto, paura,
gioia e dolore.
Il rimpianto ti uccide, ti logora
dentro e forse è tanto cattivo quanto il senso
di colpa. Entrambi ti consumano e oscurano
la pace.
L'unica cosa che puoi permetterti di
fare in questi casi è anestetizzare i sensi,
soffocare i sentimenti e andare avanti, forse
anche sognare, trovare una speranza fragile
come un castello di carta.
Ero nel pieno del periodo più bello
della mia vita ed ero entusiasta di vivere.
Andavo all'Università più volentieri
e studiavo con maggiore leggerezza, senza
sovraccaricarmi di ansia e stress.
Avevo capito che non aveva senso
rovinarsi la salute per la tensione di dover
studiare e studiare soltanto. In certe cose la
vita va presa con leggerezza e tutto sembra
migliore.
Continuavo a incrociare Mauro
all'Università e la cosa non mi sconvolgeva
più di tanto, ormai quella assurda cotta che
avevo preso per lui era passata e vedere la
realtà con lucidità assoluta mi svelava cose
che non avevo mai voluto capire. Avevo
scoperto che un vizio di Mauro era proprio
quello di provarci con tutte le studentesse
che gli capitavano a tiro, il suo motto
doveva essere "basta che respiri" o "basta
che non mi chieda responsabilità alcuna".
Provavo solo una grande pena per
lui, immaginavo quanto dovesse essere
brutta la sua esistenza: legato unicamente ai
genitori, la sua unica vita sociale era
costruita
all'interno
dell'ambiente
lavorativo, quindi i suoi colleghi erano le
uniche persone con cui riusciva a legare.
Come fare a non provare pena per una
persona di trent'anni la cui unica ambizione
era ed è ancora quella di provarci con le
ragazzine ingenue e inconsapevoli?
Che razza di uomo è (sempre che si
possa definirlo in tal modo) uno che non è
in grado di assumersi la minima
responsabilità? E badate che per minima
responsabilità intendo portare fuori la sua
ragazza per mangiare un gelato o fare una
passeggiata.
Già, quando stavo io con lui non si è
mai azzardato a portarmi in giro da qualche
parte, il massimo che si è concesso di fare è
stato portarmi due volte a casa sua.
Entrambe le volte si era preoccupato
di impedire che chiunque potesse anche
solo lontanamente vedermi salire in
macchina con lui.
-Per le tre e mezza, quando finisco
di lavorare, fatti trovare nell'atrio,
ché andiamo
Così mi aveva scritto in un
messaggio quel giorno. Io, puntuale alle tre
e mezza, lo aspettavo contenta come una
pasqua, con gli occhi a cuoricino (povera
me, che imbarazzo) e lui arrivò e con
sguardo serio mi disse: "Meglio se prendo
la macchina da solo e faccio un pezzo di
strada e tu mi raggiungi a piedi, non si sa
mai che qualcuno ci veda".
Io, irritata, gli diedi comunque retta
e feci quello che mi imponeva.
E così andammo a casa sua, una
villetta in città, ordinata e pulita. Già vedere
la sua camera da letto avrebbe dovuto
suggerirmi quanto il soggetto fosse poco
normale: stanza affollata di libri per
bambini, statuette e soldatini sui mobili e
pupazzi ovunque.
Aveva un peluche nel letto, un
grosso orso azzurro e ci dormiva insieme
ogni notte.
Sì, avete capito bene, aveva 30 anni
e dormiva con un peluche.
Il suo aveva il perfetto profilo del
killer psicopatico, del tipo che ti capita di
vedere solo nei telefilm americani. Si spera.
Una persona sana di mente al mio
posto sarebbe fuggita a gambe levate
credendo di avere a che fare con un
maniaco, ma io cretina e in buona fede
rimasi lì con lui.
Mi faceva tenerezza! Doveva farmi
paura e schifo e invece mi faceva tenerezza!
E poi dicono che non è vero che l'amore
rende stupidi.
C'è da dire una cosa a mio favore,
però: ero ancora giovane, inesperta e
ingenua, non sapevo quanto potesse essere
deleterio correre dietro a una persona che
non ti vuole e fa di tutto per dimostrartelo.
Beh, dopo aver steso un velo pietoso
sul ricordo del pupazzo nel letto del
trentenne virile e maturo Mauro, vediamo
cosa si dilettava a combinare il ragazzo
dopo aver mollato me.
Avevo scoperto che si faceva una
nuova e giovane studentessa. La
malcapitata era estremamente ingenua come
me e naturalmente cercava di nascondere la
cosa a tutti quanti.
Ma io ormai avevo capito la bestia,
riuscivo a decodificare ogni suo sguardo,
movimento e atteggiamento poiché si
comportava con lei come aveva fatto in
passato con me. Era decisamente pessimo e
prevedibile, questo Mauro. Mi dispiaceva
vedere quella ragazza invaghita di lui e
ignara della persona che frequentava.
Questa parola mi fa venire in mente
un altro episodio. Quando Mauro mi mollò
mi mandò un messaggio (dopo la famosa
chiamata) e mi disse che "ci eravamo
frequentati, che dovevo accettare che fosse
tutto finito".
Chissà se lui capiva l'assurdità della
parola in quella circostanza, dato che in
realtà non ci eravamo mai frequentati: ci
vedevamo solo all'Università!
Che rabbia pensare a quanto sono
stata idiota...
Beh, tornando a quella povera
ragazza, si sentiva sicura di sé, si atteggiava
a grande e furba perchè frequentava un
professore dell'Università e io vedendola
pensavo: Povera anima, ti accorgerai
anche tu di quanto è ignobile quella
persona.
Il classico tipo a cui piace apparire
come angioletto puro e privo di peccato;
Mauro non era macchiato neppure dal
peccato originale, lui discendeva da un
Adamo e una Eva che non si erano
azzardati a cogliere quella maledetta mela
dall'albero.
Lui era puro e immacolato, lui non
diceva parolacce, non beveva e non fumava.
Lui era Il Giusto, colui che si può
permettere di scagliare la prima pietra.
Infame maiale. Maledetto, falso come
pochi, sociopatico e pervertito!
Come
diavolo
ho
fatto
a
innamorarmi di un caso umano come te?!
Fortunatamente quel triste capitolo
della mia vita si era chiuso e praticamente
avevo passato il testimone a un'altra
fanciulla ignara.
Avevo scoperto un'altra cosa ancora,
ovvero che tale Mauro si era lavorato anche
la ragazza che era arrivata prima di me.
Eh sì, una persona disgustosa.
Sapete cos'altro mi disturbava di
tutto ciò? Le persone che lo difendevano e
lo mettevano praticamente su un piedistallo.
Loro mi disturbavano assai. Una in
particolare, la sua collega Ciliegia, o Cira,
Celia, quello che è.
Doveva insegnare chimica a sua
volta o fare qualcosa di simile.
Era un'altra falsa come pochi. La
tipica persona che in faccia ti riempie di
moine e gnegnegné.
Gentile e furba solo lei, falsa e
bigotta, non sapeva neanche cosa voglia
dire socializzare con delle persone normali.
Pettegola di prima categoria, perfida e acida
fino all'inverosimile.
Avete presente l'ipocrisia? Ecco, lei
è la sua personificazione.
Beh, non stupisce che questa Celia
avesse come idolo Mauro: erano molto
simili e mi chiedo perchè diavolo non si
siano sposati.
In realtà va bene così, due persone del
genere è meglio non farle riprodurre.
Lo sbaglio più frequente che
commette la gente (inclusi Mauro e Celia) è
credere di essere più intelligenti degli altri
perchè si possiede una laurea.
Niente di più errato. Ho visto tante
di quelle persone laurearsi che, se fosse
vero, allora l'intelligenza media sarebbe
nettamente superiore a ciò che dicono.
Dove voglio andare a parare?Da
nessuna parte, intendo solo dire che non
puoi permetterti di sentirti più furbo e più
cervellone del prossimo perchè hai studiato:
il risultato è che finisci per sparare delle
sciocchezze imbarazzanti.
La presunzione e l'arroganza sono
delle brutte bestie, forse l'unica cosa che
non è stata insegnata a chi si comporta così
è che cultura non è sinonimo di
intelligenza.
Non è che se hai una laurea o un
dottorato in tasca puoi permetterti di sparare
a zero su tutti sentenze che peraltro sono al
limite del ridicolo.
A parte il livello di intelligenza
molto discutibile di alcuni laureati che ho
conosciuto, il bello da sottolineare è che
questi laureati non sanno nemmeno parlare
l'italiano (la loro lingua madre) e nel
momento in cui si mettono a farneticare
idiozie di prima categoria (idiozie facili da
confutare perfino per un ragazzino di dodici
anni) sparano degli errori grammaticali da
paura.
Un buon consiglio posso darvelo: se
non sapete nemmeno parlare state zitti, ché
fate più bella figura.
Io stessa, essendomi laureata e pur
avendo studiato come una matta per
tantissimi esami, non mi sento proprio una
persona dal quoziente intellettivo superiore
alla media, anzi credo di essere proprio lì
nel mazzo come tanti altri. Ho conosciuto
gente con la terza media che utilizza più
neuroni di tanti laureati con lode, dottorato
e tante storie.
Quindi, fatevi una bella doccia di
umiltà ogni tanto, ché vi fa bene.
12
Torniamo ad assaporare gli aspetti
più rosei e piacevoli della mia vita.
Cosa intendo io per bella vita? Bere
qualcosa in compagnia, parlare con gli
amici, poter essere se stessi sempre e
comunque con la gente che ti circonda,
passare una giornata tranquilla con il
fidanzato e tornare a casa con il sorriso.
L'unica cosa che mi mancava in
questo lieto quadretto era un ragazzo, una
persona dolce e fidata con cui poter
condividere le giornate e le passioni.
Ero talmente impegnata a uscire con
i miei amici a fare feste che non mi rendevo
conto che il mio amore era lì vicino, che
l'avevo già conosciuto.
L'avevo incontrato una sera, un mio
amico me lo aveva presentato velocemente
e mi era sembrato molto gentile ed educato,
ma non gli avevo prestato attenzione.
Si chiama Manuel, è alto e molto
carino, castano con gli occhi chiari, una
tonalità strana di nocciola.
L'averlo conosciuto, però, non mi
aveva colpita: avevo in mente solo di uscire
con la compagnia, di andare a ballare con
loro, di pensare a me stessa e al mio
benessere. Non mi ero mai davvero curata
del mio benessere.
Non avevo mai saputo cosa vuol
dire veramente amare sé stessi e avevo
sempre trascurato ogni mia necessità per
curarmi unicamente dei fidanzati che avevo,
prima Cesare e poi Mauro.
Ho scoperto che è molto importante
amarsi perchè è proprio con noi stessi che
dovremo convivere una vita intera, nella
gioia e nel dolore.
Penso che una promessa d'amore
dovremmo farla anche a noi stessi, in prima
persona, non solo al nostro partner durante
il rito del matrimonio.
Perchè dico questo?
Perchè se non impariamo ad aver
cura di noi prima di tutto non riusciremo
mai ad avere una relazione sana con un'altra
persona e finiremo con il dipendere
affettivamente dal nostro partner.
A ogni modo, un altro punto cruciale
della questione è riconoscere il vero amore
quando ti bussa alla porta, cosa che non
risulta sempre facile.
Come dicevo, ero talmente presa
dalle mie cose, dalle mie abitudini e dai
miei amici che non mi ero minimamente
resa conto che la persona che provava ad
avvicinarsi era in realtà l'uomo fatto su
misura per me.
La prima volta che gli parlai
veramente fu una sera in discoteca, durante
la quale ballammo e ci divertimmo molto
nonostante il dolore che mi provocavano
quei maledetti tacchi alti che indossavo.
Quella sera lui mi chiese di rivederci
ancora e mi domandò il numero di telefono.
Richiesta che declinai non molto
cortesemente.
Ci era rimasto un po' male, me ne
ero resa conto, ma avevo altre cose per la
testa e non diedi molto peso alla cosa.
Lo avevo incontrato casualmente
mentre giravo con le mie amiche per il
locale e pensai che probabilmente non avrei
più passato una serata in sua compagnia.
Mi sbagliai. Presto mi capitò di
rivederlo e fu proprio in occasione del suo
compleanno.
Ha la mia età, Manuel, ma dimostra
qualche anno in più sia fisicamente che
mentalmente.
Sembrava essere più maturo dei
ragazzi della sua età e questo mi piaceva.
Una cosa che mi attrae di un ragazzo è il
suo modo di fare: deve essere cortese ed
educato, deve usare la testa e non seguire la
massa.
Insomma deve avere carattere. Non
apprezzo le persone prive di personalità,
quelle che si adeguano in tutto e per tutto al
modo di pensare degli altri.
Ognuno di noi nasce unico e
speciale, il difficile è poi continuare a
distinguersi senza cadere nella trappola del
banale.
Quanti giovani si vedono in giro,
tutti uguali, tutti con lo stesso taglio di
capelli, con le stesse scarpe, con lo stesso
modello di orologio, con la stessa giacca?!
Non siamo mica il risultato di una
massiccia clonazione di laboratorio! Le
cellule di E. Coli utilizzate per gli
esperimenti di routine dai biologi, quelle sì
che possono essere tutte uguali.
Noi no! Noi siamo persone,
dannazione, perchè bisogna per forza
apparire come manichini in una vetrina,
tutti uguali?
Ho
sempre
amato
chi
si
contraddistingue dagli altri, chi non ha
paura di essere la persona che è veramente,
chi dice ciò che pensa e chi fa ciò che
desidera.
Non è anche questa libertà? Essere
liberi di esprimere se stessi senza aver
paura di ciò che possono pensare gli altri.
La gente veramente sciocca è quella
subito pronta a criticare una persona perchè
osa pensare ed esprimersi in piena
autonomia, senza essere condizionata.
Se a me piacesse vestirmi di verde e
girare con una macchina gialla lo farei,
diavolo!
E se gli altri preferissero girare in
modalità grembiulino dell'asilo, tutti uguali,
che facciano pure, l'importante è non
disturbare le persone autentiche con la loro
stupidità.
Una cosa che mi è piaciuta fin da
subito di Manuel è proprio questa: la
spontaneità e sua sincertà, il suo essere
unico.
Ho sempre pensato che esistono due
categorie di donne: quelle che cercano
l'uomo perfetto, il principe azzurro, e che
immancabilmente finiscono tra le braccia di
uno stronzo bastardo, e le donne che amano
i tipi un po' più pazzi e fuori dagli schemi,
le quali invece hanno più fortuna e trovano i
veri bravi ragazzi, i fidanzati esemplari.
Ecco io ho sempre trovato uomini
appartenenti alla prima categoria, i subdoli
che si spacciano per angioletti dolci e
sensibili e alla fine si rivelano essere dei
veri bugiardi. Forse avevo finalmente
imboccato la retta via perchè Manuel
figurava proprio come un ragazzo d'oro,
uno di quelli che si trovano raramente.
Il suo sorriso era come il lieto fine di
una favola, come il sorgere del sole, come il
profumo dell'erba bagnata dopo un
temporale. Semplicemente incantevole.
Ci avvicinammo molto e trascorsi
con lui dei momenti bellissimi, memorabili.
Come potevo ricambiare tutto ciò
che passavo in sua compagnia? Potevo
donargli una carezza delle mie mani, un
battito del mio cuore, un assaggio dei miei
baci, un attimo del mio respiro. Potevo
guardarlo negli occhi per dirgli "Ti amo",
potevo avvicinarlo a me, stringerlo fra le
braccia e trasmettergli un po' di calore da
un'anima che attendeva da anni quel
momento.
Nessuna parola poteva esprimere in
pieno la mia gratitudine ma un modo forse
c'era: abbandonarmi a fianco a lui
tenendolo per mano. In questo modo, solo
guardandomi negli occhi, avrebbe capito
ogni cosa.