4x4 stanza pattuglia

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4x4 stanza pattuglia
Libia-Tunisia / Il mercato dei malati
I TURISTI DELLA SANITÀ
Per anni migliaia di libici
attraversavano i confini
per farsi curare
nelle cliniche tunisine.
Si è perfino sviluppata
un’economia locale
su questo business.
Oggi, dopo lo scoppio
del conflitto e la scarsa
solvibilità di Tripoli,
sono perlopiù i ricchi
e i combattenti
delle varie fazioni
a usufruire dei servizi.
KHALED
di GIULIA BERTOLUZZI,
Nawart Press
I
n un bar vociante del quartiere alNasr di Sfax, la seconda città industriale della Tunisia, a 350km dalla
frontiera libica, un gruppo di libici
ammazza il tempo con un caffè. Selim,
di circa 60 anni, ha una flebo bendata
sulla mano; Nader, 65 anni, cammina,
invece, un po’ a stento, debilitato
dall’intervento ai reni. Gli altri sono
amici, parenti e accompagnatori.
Il bar non è scelto a caso: si trova sotto l’ingresso del palazzo in cui Fakhr,
allenatore di calcetto part-time e “medical tour operator” informale full-time,
possiede un appartamento, proprio accanto agli studi di almeno 30 medici
specialisti, in quel quartiere che dal
2011 è stato nominato “Little Tripoli”.
«Prima qui erano tutti libici», spiega
Fakhr. Ma ora «non c’è più denaro e sono sempre meno a venire a curarsi in
clinica, qui a Sfax». Oltre a chi ha anco-
ra un piccolo gruzzolo da parte o a chi
lavora nel petrolio, sono i combattenti
delle svariate milizie che da 5 anni pattugliano la Libia, a trovare ancora i
mezzi per potersi permettere il costo di
una clinica privata.
Dopo 5 anni di conflitto, infatti, le
tasche dei libici hanno iniziato a prosciugarsi. Lo stato, che fino all’anno
scorso prendeva a carico le spese mediche di tutti i suoi cittadini, si ritrova con
le casse vuote. La liquidità di valuta
straniera scarseggia, a causa del dimezzarsi delle esportazioni petrolifere, e il
dinaro libico si è svalutato quasi della
metà rispetto all’anno scorso.
Sino a fine 2014, le cliniche accettavano tutti i pazienti presi a carico dalla
Libia, quelli assistiti dalle Nazione Unite (tra il 2011 e il 2012), oltre a libici
facoltosi che si potevano permettere di
pagare le proprie cure. Ma ora, spiega
Sonia Ibn Cheikh, direttrice del centro
di formazione pedagogica a Tunisi, «un
dinaro libico vale 0,63 dinari tunisini,
da 1,50 dell’anno scorso. Lo stato libico, quindi, non può più assistere i pazienti: con che mezzi potranno venire?»
Libia indebitata. «Spendiamo circa
100 euro per l’aereo, e 400 euro per queste visite», spiega Khaled, che dal 2011
accompagna i malati e i feriti di guerra
da Zlitin, in Libia, a Sfax.
La Libia si è indebitata con le cliniche private di circa 190 milioni di dinari tunisini, di cui 120 milioni solo verso
le cliniche di Sfax.
Ma, nonostante le promesse di pagamento, le cliniche tunisine hanno
deciso di mettersi in federazione e non
accettare più i pazienti rimborsati dallo
stato, ma solo quelli che possono pagare
in contante e in anticipo, come spiega
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Sfax (Tunisia).
Un corridoio e una stanza
per degenti del Policlinico
El Bassatine.
Foto di apertura: un ferito
della guerra in Libia.
Tarek Arbi, amministratore commerciale del policlinico El Bassatine, di Sfax.
Tutti i libici in cura nella città tunisina sono venuti con i propri mezzi, perché, come racconta Saleh, ex responsabile per i feriti di guerra dell’ambasciata
libica, «oramai, gli unici ancora a carico
dello stato sono i feriti di guerra, e solo
4 cliniche a Tunisi accettano ancora i
pazienti sovvenzionati».
Nel policlinico El Bassatine di Sfax
«ci sono solo 5 libici attualmente», racconta Tarek Arbi. «È più di un anno che
non accettiamo i
pazienti a carico
del consolato libico, perché i responsabili cambiano ogni giorno
e noi non ci fidiamo di loro».
El Bassatine è
una delle poche
cliniche che è stata
parzialmente rimborsata. «Il debito
contratto ammontava a 800mila dinari (400mila euro), di cui 500mila
sono stati pagati
dal consolato. Ma C. SPOCCI
ci sono cliniche
con debiti di 4 o 5 miliardi di dinari»,
racconta Arbi. «Quindi, ora accettiamo
solo quelli che possono pagare in contante e in anticipo».
«A volte arrivano i combattenti, ma
li accettiamo solo se hanno il contante.
In caso contrario li respingiamo. Ma per
i casi molto gravi, siamo costretti a
prenderli in cura», ricorda Arbi. «I combattenti sono recuperati dal fronte con
dei 4x4, e poi raggiungono la Tunisia in
ambulanza, da Misurata, da Sabrata, da
Bengasi. Li riconosciamo perché chiedono subito di non informare la polizia». Che «è venuta nella clinica per cercare alcuni miliziani in cura», afferma
Arbi. «Hanno aspettato le loro dimissioni e poi li hanno arrestati. Lo scorso
settembre è arrivato anche un jihadista
doversi ampliare e modernizzare, diventando mete privilegiate del turismo
medico transfrontaliero.
armato. Ma, visto che diceva che avrebbe pagato il giorno dopo e che non era
un caso grave, non lo abbiamo preso».
Secondo uno studio condotto dalla
Banca africana per lo sviluppo, presieduta da Sonia Ibn Cheikh, nel 2013-2014,
«ci sono stati 320mila pazienti libici nelle
cliniche private tunisine».
Nel solo 2011, durante il conflitto
che ha deposto Ghaddafi, erano
100mila. Fino a un anno fa, Tripoli
rimborsava interamente le spese mediche dei suoi cittadini in Tunisia. Anche
molto prima che la guerra scoppiasse
in Libia, nel 2011, molti avevano optato per le cliniche tunisine. Le quali –
grazie a check-up, interventi chirurgici, ferite di guerra – hanno contato su
un afflusso così ingente di pazienti, da
La rete informale di “medical
tour operator”. «Ho comprato un appartamento anni fa, e dato che c’erano
molti libici che venivano a farsi curare,
l’ho dato in affitto a loro», spiega Fakhr.
Con un berretto in testa e una
chewing gum in bocca, Fakhr, cammina
in tenuta sportiva per il quartiere salutando tutti a cenni o a grandi abbracci.
Dirige, come un direttore d’orchestra, le
mosse del quartiere: «Non parcheggiare
la macchina là, prendi quello, chiama
questo, è andata bene l’operazione? Domani ti porto all’aeroporto».
«Faccio tutto per loro – spiega Fakhr
–. Li vado a prendere all’aeroporto, affitto la casa, prenoto le visite mediche e
mi occupo della loro convalescenza».
Come un tour operator vero e proprio,
gli accordi si fanno, nella maggioranza
dei casi, prima della partenza, scegliendo pacchetti più o meno all inclusive,
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L’entrata del policlinico
di Sfax. Sotto: un
gruppo di feriti libici
all’aeroporto
della città tunisina.
KHALED
bero 350mila i libici che fanno avanti e
indietro regolarmente dal loro paese.
con spostamenti, appuntamenti e interventi prenotati.
Nell’appartamento di Fakhr, ora alloggiano i due Selim. Sono due amici
sulla sessantina: uno è venuto per farsi
curare i calcoli renali; l’altro, persona distinta in giaccia di tweed, è un doganiere
all’aeroporto di Tripoli. «Ho fatto lo stesso intervento a giugno dell’anno scorso,
ma l’operazione è stata sbagliata, e quindi rieccomi qui», racconta con stanchezza Selim mentre aggiusta l’ago a farfalla
della flebo sulla mano. Prima di partire
hanno chiamato Fakhr e si sono accordati su prezzo e tempistiche. Nel quartiere
al-Nasr, il centro per il turismo medico
dei libici, funziona così. «Ma ora, sono
pochi a venire», lamenta Fakhr. «Non c’è
più denaro in Libia. Prima, lungo questa
strada c’erano solo macchine libiche.
Ora ce ne sono pochissime. Per questo
abbiamo dovuto abbassare i prezzi degli
appartamenti. Se prima affittavo per 160
dinari a notte (circa 80 euro), ora chiedo
tra i 40 e i 60».
A Sfax, di fronte alla Polyclinique Sy-
phax, Brahim, 26 anni, e Khaled, accompagnatore di feriti, sono arrivati in
aereo da Zliten, città costiera vicino a
Misurata. Dopo l’attacco di Ben Guerdane il 7 marzo scorso, «la frontiera terrestre è stata temporaneamente chiusa.
Così ho accompagnato un gruppo di circa 100 persone in aereo. Ho portato anche mia madre per fare un controllo per
il suo diabete», spiega Khaled.
Fino a un anno fa, c’erano 2 voli al
giorno da Misurata, «mentre ora ce ne
sono solo due a settimana», spiega. «Settanta famiglie di Zliten hanno deciso di
trasferirsi in Tunisia: sono sparpagliate
nei paesini di campagna, ma la maggioranza dei libici fa avanti e indietro», racconta Khaled.
È abissale la discrepanza tra i dati di
libici residenti in Tunisia del ministero
dell’interno tunisino e quelli dell’ambasciata libica. Secondo il primo si parla di
2 milioni; per Abtissam al-Qusbi,
dell’ambasciata libica di Tunisi, «sono
7mila quelli registrati».
Nonostante i numeri ufficiali, sareb-
Libera circolazione. Sin dagli anni
’70 tra Libia e Tunisia è in vigore un accordo di libera circolazione, che permette ai rispettivi cittadini di viaggiare senza
bisogno di visto. D’altra parte, secondo
Anais El Bassil, di Maison du droit et des
migrations, organizzazione non governativa francese con filiale a Tunisi, «questa
tolleranza impedisce ai libici di avere uno
statuto legale e prolungato in Tunisia.
Dato che, secondo la posizione ufficiale
dell’Acnur, la Tunisia è tollerante verso i
libici, questi ultimi non possono richiedere uno status di rifugiati. E per avere
un permesso di soggiorno regolare devono fornire una clausola di solvibilità, garantire di avere denaro o beni, cosa alquanto difficile per loro, dato che circolano soprattutto con contante».
La maggioranza di loro «è, quindi,
nell’irregolarità», spiega El Bassil. «I più
fortunati si limitano ad accumulare multe su multe ogni volta che vengono fermati dalla polizia. Ma per i meno fortunati si applicano le procedure di espulsione per soggiorno irregolare».
I tempi d’oro del turismo medico libico sembrano, quindi, essere finiti per lasciare spazio a un turismo molto meno
dorato e molto meno trasparente. Da un
anno a questa parte, a causa dei troppi
passaporti libici in circolazione nelle mani sbagliate, il passaporto è stato cambiato. La Tunisia, temendo un intervento
internazionale alle sue porte e un riflusso
incontrollato nel suo territorio, pattuglia
le frontiere, costruisce barriere e tenta di
non trovarsi impreparata all’eventualità.
Mentre i libici, sempre più impoveriti da
5 anni di conflitto, un’economia al collasso, e una corruzione alle stelle, da turisti della sanità che hanno iniettato milioni nelle casse delle cliniche tunisine, si
ritrovano a essere bloccati in Libia o a
centesimare ogni piccola spesa per i pochi che ancora si possono permettere delQ
le cure in Tunisia.
(ha collaborato Costanza Spocci)
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