Ermattung - Societa Italiana Storia Militare
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Ermattung - Societa Italiana Storia Militare
1 Virgilio Ilari Ermattung Combat pour l'histoire militaire dans un pays réfractaire 2011 2 Indice: 1. Ermattung (da scrivere) 2. Epistemologia della storia militare (1999) 3. Gli studi strategici in Italia (2001) 4. Imitatio, restitutio, utopia. La storia militare antica nel pensiero strategico moderno (2001) 5. Clausewitz in Italia (2010) 6. Lomonaco, Foscolo, Tibell: Storia militare di un suicidio filosofico (2010) 7. Genesi della prima bibliografia militare italiana (2011) 8. Strategia della Storia (2011) 9. Il Cardinal Fessarione (da scrivere) 10. Bibliografia di Virgilio Ilari 3 2. EPISTEMOLOGIA DELLA STORIA MILITARE 1 (Ottobre 1999) “Ce n’est pas l’histoire, mais l’entendement (ou la raison) qui découvre le concept. Ce qui est vrai, c’est que le concept risque d’etre dissimulé, à certain époques, par les modifications historiques (...) L’expérience historique a favorisé la prise de conscience théorique. La raison, effectivement, ne s’exerce pas dans le vide, elle travaille toujours sur une matière, mais Clausewitz distingue, sans les opposer, la conceptualisation et le raisonnement d’une part, l’observation historique de l’autre”. Raymond Aron, Penser la guerre, I, p. 456. Episte...che? E’ naturale che il titolo di questa relazione abbia sollevato qualche bonario sorriso, proprio tra chi meglio mi conosce e dunque poteva aspettarsi un qualche segno della mia “eccentricità” ... per non dir di peggio! Ma questa relazione nasce dagli stessi questiti sollevati dal senatore Brutti, sottosegretario alla Difesa e grande storico del diritto romano, nel discorso che ha aperto questo convegno: qual è, in ambito militare, il rapporto tra storia “interna” e storia “esterna”? Qual è il rapporto tra storia e pensiero militare? Tali quesiti implicano l’“epistemologia”, vale a dire una riflessione critica (logos) sulla scienza (epistéme). Tale riflessione presuppone una filologia, vale a dire l’accertamento dell’origine e dello sviluppo dei concetti e dei metodi scientifici, ma il suo compito specifico è di giudicarne il valore cognitivo, allo scopo di massimizzarne i risultati teorici e pratici e di orientarne, in prospettiva, il futuro processo evolutivo. Nell’ambito delle scienze umane, e in particolare della storia, l’esigenza epistemologica è generalmente poco avvertita o è considerata in modo riduttivo, come una mera questione “di metodo”. Ma più spesso è rimossa come secondaria o inessenziale, tanto più che da parte della stragrande maggioranza degli autori, anche accademici e di genio, è felicemente ignorata. Nell’ambito della storia militare, notoriamente meno acculturata e sofisticata di altre discipline storiche, sollevare la questione epistemologica può ancor oggi sembrare una bizzarria se non una impertinente provocazione. Del resto è sintomatico che perfino le poche dozzine di scritti, per lo più incidentali e poco pregnanti, dedicati al significato e allo scopo della storia militare (v. bibliografia) non sembrano aver coscienza di essere embrionali “epistemologie” di tale disciplina. 1 "Epistemologia della storia militare", in Acta del II convegno nazionale di storia militare, Roma, Centro Alti Studi Difesa, 28-29 ottobre 1999, Roma, Commissione Italiana di Storia Militare, 2001, pp. 47-70. [online su scribd]. 4 Storia generale e storia caporale Oltre a varie ragioni futili, la ragione forte di tante resistenze è l’idea corrente, quasi lapalissiana, che la storia militare sia (o debba essere) un settore specializzato della storia cosiddetta “generale” (Gesamtgeschichte). Lo affermava negli anni Trenta la nostra Enciclopedia militare, lo hanno ripetuto nella nostra generazione maestri insigni come André Corvisier e, in riferimento incidentale alla questione delle cattedre universitarie specifiche, anche Giorgio Rochat. E’ facile comprendere che tali definizioni riflettono l’intento pratico, storicamente e culturalmente determinato, di accreditare gli studi storico militari nell’ambito accademico, dove soltanto in epoca recentissima la scienza politica ha germogliato i primi corsi ancillari di “studi strategici”. Nondimeno in esse si manifesta la tassonomia sostanzialista e gerarchica degli studi storici alla quale si ispirano appunto gli ordinamenti accademici, quel che Fueter chiamava “Schubladensystem” (a proposito del Siècle de Louis XIV voltairriano, capostipite dell’“histoiretableau”) e Febvre “le système de la commode”, nei cui cassetti collocare ordinatamente i vari settori e sottosettori della realtà e della relativa storiografia (politica, arte, diritto, economia, guerra ed eserciti e così via). Il guaio è che il concetto di storia “generale” è del tutto privo di senso. Certamente esistono un “pensiero storico” e una “scienza storica”, vale a dire un atteggiamento culturale e un metodo comuni a tutte le discipline storiche: è dunque corretto, anche se un po’ tautologico, definire la storia militare come “disciplina specialistica della scienza storica”, come ha fatto nel 1976 un gruppo di lavoro dell’ufficio storico della Bundeswehr (MFA) presieduto da H. Huerten. Ma “scienza storica” non equivale affatto a “storia generale”. Forse piacerebbe chiudere la storia in un suo ghetto dilettevole quanto innnocuo e insignificante, ma per fortuna il pensiero storico spunta dappertutto e la critica storica è onnivora. Ma non può esistere una storia che, per quanto vasta, complessa e magari “universale”, non sia in realtà specialistica, se non in relazione all’oggetto almeno allo scopo. Lo sono anche la storia della storiografia e quella, più penetrante e meno frequentata, del “pensiero storico” (nel senso definito da Santo Mazzarino). In realtà l’unica chiave in cui è possibile concepire una storia “generale” è quella escatologica della storia sacra e della filosofia della storia, non a caso antagonizzate dalla relativa storiografia critica. In realtà il concetto di storia “generale” è il mero riflesso dell’ordinamento accademico, dove le discipline storiche fondamentali sono scandite per “epoche” (o meglio in base alla diversa difficoltà di leggere e interpretare le fonti) mentre quelle connotate da aggettivi non temporali (“storia americana”) o da genitivi (“storia dell’arte”) sono in genere considerate ancillari e spesso facoltative. Ma questa prassi della corporazione accademica risponde a criteri talmente lontani dal rigore epistemologico da riconoscere “specializzazioni” addirittura esilaranti come la “storia del Risorgimento” di spadoliniana memoria. La scansione “per epoche” riflette il passato predominio della storia “politica” o “nazionale” (histoire-bataille) derivata dalla storiografia classica e dall’annalistica. Ma oggi, per fortuna, ciascuna specializzazione “epocale” indica soltanto un fascio di discipline particolari, le uniche che abbiano davvero un senso e un interesse scientifico. In realtà la scansione per epoche si limita a registrare il diverso rango socioculturale delle storiografie, dall’eccellenza aristocratica della storia “antica” e “medievale” fino al lumpenproletariat della storia “contemporanea”, talora meno acuta e informata dei tanto disprezzati contributi extra-accademici alla ricostruzione e narrazione del passato. L’“oggetto” e lo “scopo”. Quale specificità della storia militare? 5 Tra i molti vantaggi pratici di questo “incasellamento” della storia militare in quella “generale” vi è di sgombrare il campo da ogni complicazione epistemologica. Infatti se è una semplice parte di un tutto, il problema è riassorbito dalla “generale” epistemologia del metodo storico. Ma su cosa si fonda allora, la specificità della disciplina? La risposta, altrettanto lapalissiana, è che si fonda sulla specificità del suo “oggetto”, vale a dire “il militare”. E su cosa si fonda, allora, la “specificità” del militare? Clausewitz, com’è noto, se la cavava con una metafora un po’ zoppa: la “tattica” (ossia il campo specifico del “militare”) non ha una logica distinta dalla “politica”; tuttavia gode nei confronti della politica della medesima autonomia che una “grammatica” avrebbe rispetto alla “logica”. Francamente non mi pare che questo elegante giochetto spieghi gran che: Mao Zedong andava più al sodo quando diceva che spettava al “partito” comandare “i fucili”. Infatti è del tutto impossibile delimitare concettualmente un campo di ricerca usando un aggettivo sostantivato come surrogato di un sostantivo che, non a caso, nessuna lingua ha mai potuto coniare. L’aggettivo “militare” può applicarsi ad un numero assai elevato di sostantivi, dalla filatelia alla musica, inclusi molti sostantivi che indicano vere e proprie discipline; non soltanto, com’è ovvio, quelle che designano le applicazioni tecniche delle scienze esatte, ma tutte le scienze umane: geografia, diritto, economia, politica, arte, sociologia, filosofia, psicologia, teologia, gender studies ... perchè non c’è facoltà o attività umana che non sia investita dalla guerra e non possa essere sfruttata come fattore bellico e anche specificamente militare, magari a cominciare proprio dall’antimilitarismo e dalle ricerche sulla pace. Non c’è dunque da meravigliarsi se finalmente, soprattutto negli ultimi decenni, tutte le scienze umane diverse dalla storia hanno cominciato ad investigare gli aspetti “storico-militari” del proprio campo di indagine. Basta soltanto chiarire che una storia della medicina militare o dell’assistenza spirituale alle forze armate non sono la stessa cosa di una storia militare del servizio sanitario o del fattore religioso nella coesione delle truppe. Quel che le rende differenti è il diverso interesse (focus, scopo, destinatario) della ricerca e dunque il tipo di fonti che essa deve utilizzare e di cognizioni che essa presuppone nello studioso. E’ dunque sullo scopo, non sull’oggetto, che si fonda, o dovrebbe fondarsi, la specificità di una storia propriamente “militare”. Ed è chiaro che, essendo il militare una semplice modalità della politica, lo scopo della storia propriamente “militare” non può esser altro che uno scopo “politico”. Il settore di studi nel quale mi sono formato, quello della storia del diritto, ha conosciuto un dibattito epistemologico ben più antico, più approfondito e culturalmente più agguerrito di quello che ha finora interessato la cosiddetta storia “generale”, per non parlare della storia militare, ultima arrivata. La storia del diritto è stata infatti, dopo la storia sacra, la seconda disciplina storica affiancatasi al genere letterario della storiografia classica. Ma la storia del diritto non deriva dalla storia, bensì dal diritto, che è anch’esso, come il militare, una semplice modalità della politica (con tutto il rispetto per la separazione costituzionale dei poteri, che sono, appunto, tutti “politici”). Come più tardi la storia della medicina o dell’economia, anche quella del diritto non è nata, infatti, da un accumulo di conoscenze storiche, bensì da un’esigenza critica - non soltanto tecnica, ma soprattutto etico-politica - interna alla scienza o alla prassi di riferimento (medica, giuridica, economica) resa stagnante dal principio di autorità e da una dogmatica considerata insoddisfacente. E a sua volta la storia del diritto è stata, agli albori dell’età moderna, l’incunabolo della scienza politica e, agli albori dell’età contemporanea, l’incunabolo dell’economia e della sociologia. Anche nel campo degli studi storico-giuridici si è verificata, a partire dalla fine degli anni Sessanta, una crescente inflazione degli approcci extragiuridici, invano avversata dai pochi autori che hanno cercato di difendere - anche con scritti teorici ma soprattutto con ricerche esemplari - la specificità della storia “interna” del diritto (vale a dire una storia rigorosamente “giuridica”) dal nuovo gusto sociologizzante per la storia “esterna” delle istituzioni e della prassi giudiziaria e negoziale: e della stessa scienza giuridica. Dubito che l’apporto della nuova storiografia giuridica 6 abbia davvero arricchito la storia economica, sociale e politica, o magari quella militare. Ma certamente la perdita di specificità e la conseguente marginalizzazione della storia del diritto ha impoverito la scienza giuridica, privandola dell’unico antidoto critico al rapido rifiorire di una nuova dogmatica grossolana, brodo di coltura della barbarie giudiziaria e legislativa di cui quest’ultimo decennio ci ha già dato i primi assaggi (come sempre nel vile silenzio, se non quando nella cinica complicità, di molti scienziati del diritto). La difesa accademica della storia militare Com’è logico, a sollevare un po’ di dibattito sulla natura e sugli scopi della storia militare, sono stati assai più i suoi difensori che i suoi detrattori. Facendo un bilancio complessivo di tutti questi interventi, emerge anzitutto che si tratta di una difesa su due fronti contraddittori. Alcuni, come Corvisier, si sono preoccupati di difendere la dignità accademica di una disciplina a lungo disprezzata dalle università, per lo meno da quelle continentali, ed ancor oggi appena tollerata con qualche sufficienza, secondo il principio che un sigaro e una cattedra non si negano a nessuno. E in tale perorazione non si è mancato di esibire il martirologio degli storici militari all’epoca della “traversée du désert”, col celebre caso della cattedra a lungo negata a Delbrueck dall’Università di Berlino e meno noti ostracismi contro gli eroici pionieri francesi fino al 1971, quando la Sorbona sessantottarda concesse finalmente una cattedra a Guy Pedroncini, forse perdonandogli lo studio “collaborazionista” sull’alto comando del maresciallo Foch, in virtù dell’altro suo studio-denuncia sulla censurata mutinerie del 1917. Naturalmente la difesa accademica deve sostenere che la storia militare non presenta sostanziali differenze di metodo e di interesse rispetto alle altre discipline storiche riconosciute dall’università. Infine lo stesso Corvisier riconosce giustamente di essere uno storico “dei militari” piuttosto che uno storico “militare”. Anche in Italia la situazione non è diversa, se si pensa che la corrente oggi dominante nella produzione storico militare accademica è formata dagli “storici delle classi dirigenti” (rappresentati dalle “scuole” torinese, padovana e napoletana) e che una commissione di dottorato formata da costoro ha ritenuto “non attinente” alla storia militare una proposta di ricerca sulla recezione di Clausewitz in Italia. Ho qualche dubbio, pensando all’esperienza italiana e alle testimonianze dei colleghi francesi, che questa esibita “civilizzazione” della storia militare sia davvero in grado di superare i preconcetti e le preclusioni accademiche. Ma ai fini epistemologici è una questione estrinseca, se non del tutto irrilevante. Che l’università di Berlino abbia fatto sospirare la cattedra a Delbrueck è un aspetto della storia della cultura accademica tedesca, non della storia militare. Alla quale appartiene invece il tempestoso rapporto tra Delbrueck e il Grande stato maggiore tedesco, fino alla nota requisitoria dello storico contro il piano Schlieffen e le lezioni sbagliate tratte dalla strategia federiciana e dalla vittoria cannense di Annibale, per non parlare del tendenzioso fraintendimento della lezione clausewitziana. Naturalmente il punto di vista del Grande stato maggiore su Delbrueck era identico a quello dell’Università di Berlino. Le burocrazie corporative amano accreditarsi vicendevolmente sulla pelle degli eretici e dei contestatori, talora ricompensati da postume lacrime di coccodrillo. Sicuramente gli stati maggiori non hanno nulla da temere da una storia militare accomodata nelle università ed estranea al dibattito sulle decisioni strategiche e militari attuali. La selettività dell’accesso alle fonti archivistiche riduce fin quasi ad azzerarlo il rischio di polemiche fastidiose (e in ogni caso inessenziali) e il finanziamento di ricerche erudite migliora l’immagine e il prestigio, se non della funzione militare, almeno della burocrazia in uniforme. Inoltre la difesa e l’involuzione accademica della storia militare confermano e rafforzano il radicato pregiudizio dei tecnici militari nei confronti della sua utilità pratica. Questo aspetto non è 7 stato finora chiaramente rilevato da coloro, più numerosi degli accademici, che hanno difeso la storia militare sull’altro fronte, quello dell’utilità per la strategia e il pensiero militare. Soltanto van Creveld ha rilevato di sfuggita che “this socializing of military history” sfocia spesso in una ricostruzione epocale (“static pictures”), in una histoire-tableau, utilissima per ridurre gli anacronismi nei romanzi e nei film storici ma a spese dello storicismo, cioè della critica e dell’intelligenza storica del presente. Ne sutor ultra crepidam! Ma la polemica di van Creveld verte soprattutto sulle incursioni dissacratorie e pasticcione degli storici “profani”, accusati di non avere la più pallida idea della guerra e del modo di essere degli eserciti, di far perdere di vista che “lo scopo delle forze armate è, o dovrebbe essere, quello di fare la guerra” e di esporsi a “foolish misunderstandings”. Chi, fra gli storici militari “duri e puri”, di fronte a certi saggi di storia militare “allargata” non ha pensato almeno una volta al detto milanese “offelé fa ’l to mesté” (pasticciere, fa il tuo mestiere)? Ma a ben guardare non si vede per quale motivo i “duri e puri” debbano rammaricarsi se altre discipline, dal loro punto di vista e con le proprie metodologie, fanno qualche innocua e magari fertilizzante “invasione di campo”. Non solo è del tutto legittimo, ma anche arricchente e dunque auspicabile che ciò avvenga in misura sempre più seria e rigorosa, anche per autoemendare, col tempo e la critica, qualche “pazzesco fraintendimento” (di cui non mancano certo esempi anche nella storia militare “dura e pura”). Senza contare che quel che non strozza ingrassa: in fondo l’allargamento accademico della storia militare consente anche a noi cuculi, a rischio di estinzione per le micidiali doppiette degli stati maggiori, di deporre qualche strano uovo negli ignari nidi altrui ... La questione forte che deve interessare quanti coltivano la storia militare in rapporto alle esigenze strategiche e militari del presente, è quella di giustificarla nell’ambito della scienza strategica, dell’arte militare e delle discipline militari settoriali (tattica, organica, logistica). Per poterlo fare è anzitutto necessario riflettere sulla vera origine della storia militare, sfatando il luogo comune che la identifica con l’histoire-bataille, o histoire évenémentielle messa in berlina sessant’anni fa dalla scuola delle Annales. In realtà queste definizioni spregiative, del resto abbastanza sciocche, si riferivano all’enfasi “narrativista” della storiografia classica, vale a dire proprio a quella pretesa “storia generale” (o per meglio dire “nazionale”) scandita per “epoche” e “periodi” storici ricavati, come l’annalistica, dalla prosopografia dei governanti, nella quale i difensori accademici della storia militare vorrebbero riassorbirla. Genealogia della storia militare “dura e pura” Le cose stanno però in modo diverso. Come la storia del diritto e quella della medicina e delle altre scienze e discipline tecnico-scientifiche e umane, la storia militare non deriva affatto dalla storiografia classica o addirittura dall’annalistica, ma si è costituita proprio in antitesi ad essa, esattamente come la storia socio-economica e culturale perorata dalle Annales. All’origine della storia militare non ci sono né Tucidide, né i racconti polibiani e liviani della pugna cannense né i Commentari di Giulio Cesare e nemmeno il confronto machiavelliano tra la milizia degli antichi e quella dei moderni: questi ultimi sono semmai fonti retrospettive, non modelli per la storia militare. All’origine della disciplina c’è invece il tipico lavoro dell’intelligence, vale a dire la sistematica raccolta e il sistematico impiego ai fini decisonali di studi e rapporti degli ambasciatori, delle spie e dei comandanti, carteggio dei comandi periferici, interrogatori di prigionieri, statistiche socio-economiche, cartografie, progetti strategici, piani operativi, studi 8 tecnico-scientifici, segreti industriali. La più famosa, anche se forse non la più antica raccolta di questo tipo di materiale è quella iniziata nel 1675 presso il Depot de la guerre annesso alla corte francese e affiancato a partire dal 1699 dall’analogo Depot de la marine, entrambi illustri antenati degli odierni e declassati Services Historiques des Armées. Fu il materiale raccolto in questi Depots ad alimentare il grand dessein di Luigi XIV come la grande strategia di Lazare Carnot, l’“organisateur de la victoire” rivoluzionaria. Non furono i classici dell’arte militare, ma gli studi elaborati sulla base di questo materiale, inclusi quelli inediti dell’ingegnere franco-savoiardo Bourcet, i testi che Bonaparte racconta di aver letto febbrilmente nelle due settimane dell’agosto 1794 in cui, prigioniero nel Fort Carré di Antibes, sfidava la prospettiva di una morte ingloriosa approfondendo lo studio della manovra compiuta nel 1745, su consiglio di Bourcet, dall’Armata delle Tre Corone borboniche comandata dal maresciallo Maillebois: e ora imitata, nel concetto generale, dall’Armée d’Italie, aggirando dalla Liguria il dispositivo austro-sardo dell’Alto Nizzardo. Era quindi una storia “riservata” o “del principe”, tanto più importante quanto più ignorata dai dotti (e dal potenziale nemico). Un tipo di storia scientifica e finalizzata che venne per la prima volta “democratizzata” nel 1766 con la pubblicazione della History of the Late War in Germany di Humprey Evans Lloyd (il primo teorico anticonformista della “strategia geometrica”) e poi ancora nel 1797 con la storia della guerra della prima coalizione di Gerhard Johann David von Scharnhorst, un artigliere hanoveriano di estrazione borghese, giustamente considerato il fondatore della storia militare scientifica. Continuata poi dal suo allievo e pupillo Clausewitz con le splendide monografie sulle campagne delle Coalizioni antifrancesi che hanno reso intellettualmente possibile il diverso progetto del Vom Kriege, insuperato tentativo di una teoria metastorica della guerra. Ciò spiega il ruolo della storia militare nella formazione degli ufficiali di stato maggiore e degli “uffici storici” istituiti all’inizio dell’Ottocento da tutti gli eserciti (e poi anche da molte marine) europei nell’ambito del comando del corpo di stato maggiore. Non servivano a formare i comandanti, ma a supportare l’attività dello stato maggiore con lo studio professionale e mirato dei precedenti e delle esperienze nazionali ed estere. Funzioni che oggi sono (o dovrebbero essere) proprie dell’intelligence: esse costituiscono anzi l’essenza stessa dell’intelligence, che non consiste (o non dovrebbe consistere) nella mera acquisizione delle informazioni, ma nella capacità di “processarle” per orientare l’azione di governo in tutti i settori, incluso quello politico- e tecnicomilitare. Metamorfosi degli Uffici storici Nella seconda metà dell’Ottocento fu questo secondo tipo di storia militare “scientifica” (ma in realtà letteraria e generalizzante) a prevalere su quella applicata e pratica prodotta dagli stati maggiori. Probabilmente al declassamento degli uffici storici ha contribuito in modo decisivo l’assorbimento delle loro funzioni più qualificanti da parte dei servizi informazioni, militari e civili (a proposito di open sources, secondo il senatore Cossiga la CIA compra tutto e legge tutto: ma neppur lui, quando comandava le Forze Armate italiane, è riuscito ad ottenere che le nostre molteplici rappresentanze a Washington acquistassero regolarmente almeno una piccola parte della sterminata e vertiginosa produzione anglosassone di libri strategici e militari. In fondo bastava prendere la metropolitana una volta al mese per andare a spigolare al mega bookshop militare della fermata Pentagon). Eppure posso testimoniare che i nostri ufficiali operativi la storia militare pratica sono perfettamente in grado di scriverla. Ho avuto infatti la fortuna di partecipare, ovviamente da “esterno” e con i dovuti limiti di riservatezza, ad una eccellente analisi a tutto tondo dell’esperienza dell’operazione Ibis in Somalia compiuta dagli ufficiali frequentatori della XLVI sessione (1994- 9 95) del Centro alti studi difesa italiano (alcuni dei quali reduci dall’operazione). E di sfogliare, ormai declassificato, uno studio dell’VIII sessione (1956-57) sulle “previsioni e provvedimenti per un caso di invasione del territorio nazionale” che dimostrava una acuta comprensione delle particolari caratteristiche strategiche e militari della guerra partigiana italiana - per inciso la più lunga, sanguinosa e insidiosa, sotto il profilo militare, incontrata dalla Wehrmacht nell’Europa occidentale. Comprensione del tutto assente, ritengo, nella sterminata letteratura pubblicata in argomento, sempre più rarefatta e istupidita dall’abuso degli stereotipi e dei canoni tralatizi. Ciò non significa ovviamente che gli Uffici storici siano divenuti superflui. A prescindere dalle numerose e complesse funzioni amministrative e archivistiche che in ogni caso li rendono necessari, dopo la seconda guerra mondiale la loro visibilità esterna è stata semmai valorizzata, trasformandoli in “enti culturali delle Forze Armate” (come li ha definiti nel 1985 il secondo, e ultimo, Libro bianco della difesa italiano) e aprendoli più o meno rapidamente (in Francia dal 1945) non soltanto alla pubblica consultazione degli archivi, ma anche alla collaborazione di studiosi esterni mediante commissione e acquisto, ai fini della pubblicazione, di opere dell’ingegno di interesse storicomilitare. Naturalmente con alcune eccezioni, che in Italia riguardano ad esempio lo speciale Ufficio storico del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri (non esiste l’equivalente per gli altri corpi di polizia a statuto militare e civile, a parte qualche iniziativa collaterale o addirittura amatoriale). A differenza degli uffici storici continentali, quelli americani non si limitano però ad archiviare e microfilmare documenti cartacei, fotografici ed eventualmente cinematografici versati da enti esterni, ma progettano ed effettuano in modo autonomo vere e proprie campagne mirate di ricerca e acquisizione. Le più interessanti dal punto di vista dottrinale e operativo sono quelle relative alla “storia orale” immediata delle campagne e delle operazioni militari. Questa prassi risale all’operazione Torch (lo sbarco in Marocco del 1942). Durante la guerra di Corea operarono 8 “distaccamenti di storia militare” e 26 nella guerra del Vietnam, dove furono realizzate 1.500 interviste (la sola testimonianza orale del comandante in capo, generale William C. Westmoreland, è un documento di 600 pagine). Nel 1977-78, da interviste con approccio tematico fu tratto un documento di 800 pagine sull’Army Aviation, considerato il testo di riferimento obbligato per qualsiasi studio sull’impiego degli elicotteri in un conflitto periferico. E naturalmente gran parte di questo materiale è consultabile, non solo presso il Center of Military History di Washington, ma anche a casa propria in qualsiasi parte del mondo, semplicenente commissionandolo all’UPA (University Publications of America). Per ora la collezione UPA Armed Forces Oral Histories include due documenti relativi alla seconda guerra mondiale (Combat Interviews e U. S. Army Senior Officer Oral Histories) e uno alla guerra di Corea (Korean War Studies and After Action Reports). Come racconta Frédéric Guelton, al termine della guerra del Golfo questa esperienza fu imitata, sia pure a titolo sperimentale, anche dal Service Historique de l’Armée de Terre (SHAT). La missione, ideata dal generale Janvier e affidata ad un solo ufficiale del SHAT, venne effettuata in sole due settimane in territorio saudita, iraqeno e kuwaitiano, relativamente al solo personale dell’esercito francese (Division Daguet), registrando soltanto 22 cassette per complessive 30 ore. Il fatto che, diversamente dagli enti storico-militari della Bundeswehr e delle Forze Armate francesi e americane, gli Uffici storici italiani siano rimasti formalmente inquadrati nei rispettivi stati maggiori di Forza Armata anzichè posti alle dirette dipendenze del ministro della Difesa, non implica certamente che la loro attività abbia ancora qualche influenza, neanche minima e indiretta, nel processo decisionale politico-strategico: implica semmai che sono un po’ più vincolati da supervisioni non professionali, un po’ meno liberi di sviluppare una efficace politica “interforze” della ricerca storico-militare e un po’ meno tenuti presente dal ministro. A dire il vero, si direbbe che sia alquanto limitata anche l’influenza del Centro militare di studi strategici fondato nel 1987 dal generale Carlo Jean e perfino quella del nostro servizio informazioni 10 militare, considerato che l’unica guida a disposizione del comandante della missione Alba (la prima missione internazionale sotto comando italiano) era il numero speciale di Limes sull’Albania, cartine incluse, acquistabile dal giornalaio a 10 euro e rotti. Comunque qualora, per assurdo, stato maggiore, governo e alto commissariato non sapessero già tutto quel che c’è da sapere, ritengo che i nostri uffici storici sarebbero in grado di fornire all’istante, in comoda e piacevole lettura, tutti i supporti informativi, editi ed inediti, sulle interessanti esperienze fatte dall’Italia durante le sue precedenti occupazioni dell’Albania e del Kosovo (dal 1914 al 1943). Il fatto che sia passato mezzo secolo ha un’importanza relativa, se qualcuno, come ad esempio Guelton, ritiene che, prima di invadere l’Afghanistan, l’Unione Sovietica avrebbe fatto bene a studiare le due disastrose campagne inglesi del 1839 e 1878. “Histoire critique” e idola tribus Anche nell’epoca in cui gli Uffici storici erano maggiormente considerati nell’ambito degli stati maggiori, la loro attività aveva poco a che vedere con il tentativo di distillare “regole”, “principi”, “ammaestramenti” (o, come preferiscono gli autori angloamericani, “lessons”, “predicaments”, “predictions”) dall’esperienza militare del passato, come facevano i trattati di strategia e arte militare coevi o posteriori al Vom Kriege. Nella Notice sur la théorie actuelle de la guerre et sur son utilité premessa al Précis de l’art de la guerre, Antoine Henry Jomini racconta di essersi “rejeté” sulla storia militare per cercarvi le “vere regole” e una teoria oggettiva della guerra, lasciando “le champ toujors si incertain des systèmes personnels” esposti nei trattati sull’arte della guerra; naturalmente non l’arida e minuziosa “histoire purement militaire”, né “l’histoire à la fois politique et militaire”, bensì “l’histoire critique, appliquée au principes de l’art, et plus spécialement affectée à développer les rapports des événements avec ces principes”. Una storia “critica” iniziata da Feuquières e da Lloyd e che Jomini riteneva di aver rifondato con la sua Histoire critique et militaire des guerres de la révolution (a suo dire scopiazzata dall’odiato Clausewitz almeno per la campagna del 1799 ...). Come la maggior parte degli scrittori di strategia e arte militare, Jomini considerava la storia come “stratégothèque universelle”, secondo l’efficace concetto coniato dal generale Lucien Poirier (Les voix de la stratégie, Paris, Fayard, 1985, pp. 26 ss.). In realtà, jominiana o delbrueckiana, l’histoire critique non impedì agli stati maggiori di trasformarsi in “popoli del Libro”. Ciascuno brandiva il suo, chi il Vom Kriege, chi gli Etudes sur le combat antique et moderne, chi il Dominio dell’aria: tutti, beninteso, intonsi come il Corano dei cattivi musulmani e la Bibbia dei buoni cattolici. Ma, a parte il culto totemico degli idola tribus, le dottrine operative e la regolamentazione tattica, per non parlare dell’alto comando politico-militare, non sapevano proprio che farsene di una storia militare “scientifica” beatamente ignara che la guerra “assomiglia ad un camaleonte” e incapace di interpretare lo sviluppo tecnico-scientifico e le reali questioni sul tappeto. Il cui contributo, a forza di distillare e semplificare, si riduceva in definitiva a quattro o nove “principi della guerra”, illuminanti come responsi della Sibilla cumana, e così tanto “immutabili” e “universali” da differire a seconda della lingua nazionale. “Innere Nutzen der Militaergeschichte” Nel 1960-61, mentre si stava ancora completando il riarmo tedesco-occidentale nel quadro atlantico, sulle pagine della Wehrkunde si tenne un coraggioso dibattito sull’utilità della storia militare, una disciplina assai apprezzata nella DDR per l’influsso del pensiero militare sovietico, ma che nella Repubblica Federale era stata investita dall’“elaborazione del lutto” per la seconda e decisiva sconfitta della Germania e, in qualche misura, perfino dall’ideologia della denazificazione 11 e dell’espiazione della “colpa collettiva” che aveva condotto addirittura a bandire lo stesso concetto di “geopolitica”. Il dibattito tendeva a difendere l’utilità (Nutzen) della storia militare non tanto all’interno delle università (dove non era nemmeno pensabile poter rimettere piede) quanto all’interno della nuova Bundeswehr (una forza armata che presentava l’Innere Fuehrung come una rottura della tradizione militare nazionale, quando era invece il culmine dell’Auftragstaktik; e che, ancora negli anni Settanta, pensava di fregare i German haters aggiornando il canzoniere con John Brown’s Body e When the Saints). Nel dibattito risultò minoritaria la tesi dell’utilità “pratica” per trarne un “metodo applicato” (applikatorische Methode) alla soluzione dei problemi operativi. Questione ampiamente discussa in rapporto alla questione della teoria della guerra nel IV capitolo del secondo libro del Vom Kriege dedicato al “methodismus”, ossia alla dottrina e regolamentazione delle operazioni militari. E’ però significativo che nessuno degli autori intervenuti nel dibattito, neppur quelli che difendevano l’utilità pratica del metodo storico, si sia richiamato a queste pagine, forse le più analitiche e acute mai scritte in materia. Maggiori consensi vennero invece alla tesi minimalista, che riconosceva alla storia militare una “utilità interiore” (Innere Nutzen) per la formazione culturale e intellettuale dell’uomo di guerra (non solo il soldato, ma anche il diplomatico, lo statista, lo speculatore, il pacifista ...). Ma, se non conserva più alcuna utilità ai fini della decisione tecnico-politica, perchè mai la storia militare dovrebbe essere necessaria, o almeno utile per la formazione intellettuale o almeno culturale dell’uomo di guerra? Molti famosi signori della guerra, da Bonaparte a Patton, hanno testimoniato e raccomandato di leggere i classici dell’arte militare e le memorie dei grandi capitani. Lawrence d’Arabia diceva che con duemila anni di esperienza alle spalle non abbiamo alcuna giustificazione se non sappiamo fare la guerra. Ma tutti costoro ritenevano che la storia militare avesse scopi pratici, non soltanto “interiori”. Certamente, nella tassonomia didattica dell’arte militare, la storia resta parte, assieme alla geografia e all’ingegneria militari, del “trivio” degli studi ancillari e propedeutici (ma sotto un altro punto di vista, superiori) che avrebbero dovuto vivificare il “quadrivio” (strategia, tattica, organica e logistica). Tuttavia ha senso soltanto se è strettamente riservata alla formazione di una specifica competenza militare, quella cioè dell’ufficiale superiore di stato maggiore (che a mio avviso dovrebbe essere ripristinato proprio come corpo autonomo, per assicurare la vera direzione “tecnico-militare” di una presudo-professione che di fatto si risolve in una mera sommatoria di mille mestieri differenti). Al contrario la storia militare è stata declassata al livello elementare degli allievi ufficiali di linea - per giunta imparata a pappagallo, tra l’ora di scherma e quella di ballo, su “sinossi” scritte da pedanti e insegnate da ignoranti (Giuseppe Moscardelli, che teorizzava e soprattutto praticava l’“anticattedra”, è l’unico docente, non soltanto fra quelli di storia militare, ancor oggi ricordato con affetto dai veterani usciti da Modena negli anni Cinquanta e Sessanta. Addio, mio capitano!). Fatta in questo modo e con quel destinatario, la didattica della “storia militare” ha finito per trasformarsi nella più efficace immuno-profilassi contro ogni eventuale interesse storico e ogni capacità storicocritica dei futuri ufficiali. Processo culminato di recente con l’inserimento di corsi “storico-umanistici” forniti dalle Università viciniori agli Enti di reclutamento dei sottufficiali e volontari di truppa a ferma quinquennale, nella pia speranza di incentivare le vocazioni guerriere con l’esca della “laurea breve” (da non confondere col sistema liberale dei prestiti d’onore e delle borse di studio che si usa in America. Noi infatti facciamo all’“europea”, aggiorniamo l’ancien régime, quando il “rollo di milizia” garantiva esenzioni da tasse e corvées, privilegio del foro civile e criminale, porto d’armi e 12 licenza di caccia. Ma la carne da cannone, gente in grado di vedere la faccia del nemico, si razziava nelle taverne e nelle carceri o si acquistava da imprese specializzate). Può dispiacere che nel dopoguerra sia scomparsa, in modo più o meno permanente, dai corsi superiori di alcune scuole di guerra europee (dai programmi svolti negli anni Ottanta presso l’Air University americana si ricava però un giudizio del tutto opposto). Tuttavia, considerata l’attività che si ricava ad esempio da Alere Flammam, il notiziario della Scuola di guerra dell’Esercito Italiano, forse è stato meglio così, nonostante il valore di alcuni docenti di storia militare (ad esempio i generali Stefani e Pirrone e, per l’Istituto di guerra marittima, l’ammiraglio Ramoino) e con tutta la dovuta considerazione per qualche testo notevole come Il conflitto civile cinese (194549). Del resto la Scuola di guerra italiana ha incontrato la storia militare anche in altri contesti didattici, soprattutto presso le cattedre di tattica e logistica, ma anche nell’attività del Centro analisi sui conflitti contemporanei di Franco Alberto Casadio collegato con la cattedra di strategia globale del generale Boscardi (fortunatamente la preziosa documentazione accumulata in vent’anni è stata salvata dall’incuria burocratica per generosa iniziativa personale dalla dottoressa Marina Cerne, che la conserva nella sua casa di Gorizia mettendola a disposizione della locale università). O nel magnifico elaborato sul dibattito relativo alle “difese alternative” prodotto da un gruppo di lavoro del corso superiore del 1976, non a caso animato dall’allievo Carlo Jean. Invece il fatto di aver conservato o ripristinato la storia militare nell’iter formativo degli ufficiali subalterni è a mio avviso un omaggio quanto meno inutile, se non addirittura controproducente. Almeno fintantoché cadettini craniorasati come galeotti, stremati dal bromuro e dall’attività ginnico-sportiva e rincretiniti dall’analisi matematica, dovranno sbattere i tacchi ad ogni cambio di professore incravattato e supponente. Vale a dire fintantoché l’iter formativo non verrà impostato in modo radicalmente diverso dall’attuale, abbandonando i ritmi di Stakanov e i criteri pedagogici di Procuste e Torquemada (espiazione, sofferenza, completomania, livellamento, ipocrisia, conformismo) e coltivando invece spirito critico, indipendenza di giudizio, iniziativa, responsabilità, piacere di apprendere da sé, propensioni e qualità personali. Tra le quali, talora, potrebbe esserci perfino un talento storicista. La vera questione è che la storia militare sia in grado di fertilizzare il pensiero strategico militare e il processo decisionale politico-militare. Non ha alcuna importanza che tutti gli ufficiali, specialmente quelli esecutivi e operativi, da bambini ne abbiano sentito parlare. Niente paura: non voglio limitargli la carriera: ma non sono certo quattro fesserie pseudo-storiche a stabilire se nel loro zaino c’è o no un bastone da maresciallo. Exempla historica e predizioni Dicono che un presidente del Consiglio italiano, il quale ha appena pubblicato le sue memorie di guerra, tenga sul comodino Sun Zu. Pare che ciò gli conferisca qualche prestigio presso i sostenitori e un’aura di insidiosa temibilità presso gli avversari. Dopo aver letto cose comprensibili, ma liddellhartiane, nella versione italiana dalla traduzione inglese; e cose non soltanto del tutto diverse, ma anche del tutto incomprensibili, nella versione italiana dal cinese, confesso di essermi chiesto se il Sun Zu ad uso dei “Figli della Porta d’Occidente” (in cinese equivale a sons of a bitch) non sia per caso un abile falso storico messo in giro dai geniali strateghi della Mitsubishi per convincere le controparti euro-americane che dietro gli occhi a mandorla ci sia un modo diverso e astutissimo di trattare gli affari (magari la strategia dell’un demi plus su cui si è sbizarrito, nel 1983, il geniale Jean Esmein). Utilizzare la storia come “strategoteca” è come leggere Sun Zu o, nella variante muliebre, consultare l’I Ching, equivalente cinese dei meno raffinati Tarocchi. La letteratura strategica non è 13 la sola a farlo. Lo fanno anche, ai propri fini, anche le scienze umane “predittive”, dalla sociologia alla politologia all’economia. Infatti queste discipline utilizzano la storia sotto forma non tanto di indagini diacroniche, quanto piuttosto di case studies, una tecnica argomentativa che i vecchi e nuovi manuali di retorica chiamano exempla historica. All’uso degli esempi storici nei trattati di arte militare e strategia Clausewitz ha dedicato il VI capitolo del secondo libro del Vom Kriege, distinguendo l’uso meramente retorico (come semplice illustrazione o sviluppo del pensiero o argomento probabilistico a sostegno di una determinata tesi) dallo studio comparato di un complesso di molti avvenimenti storici allo scopo di “dedurne insegnamenti che in tali testimonianze trovano la loro vera prova”. A suo giudizio gli esempi storici “chiariscono la materia e costituiscono altresì le prove più solide nelle scienze sperimentali”. L’unico propblema è, a suo avviso, soltanto quello di saperli usare, guardandosi da una lunga e interessante tipologia di errori frequenti, in primo luogo quello di scambiare quantità con qualità e pertinenza. Ma è proprio la pertinenza degli esempi storici ad essere sfidata dal mutamento storico. “Più noi penetriamo - scrive Clausewitz - nei particolari delle cose, allontanandoci dai rapporti generali, tanto meno possiamo scegliere i modelli e i dati di esperienza nei tempi lontani: giacchè non ci è possibile apprezzarne sufficientemente gli avvenimenti, né applicare i risultati di questo apprezzamento ai nostri fini, dato il cambiamento completo avvenuto nei mezzi”. La pertinenza degli esempi storico-militari è stata contestata tre volte, durante il Novecento, in corrispondenza di fratture epocali dell’esperienza bellica: l’avvento della “guerra di macchine” e della “guerra totale” già “previste” da Ivan Bloch (non uno storico, ma un geniale poligrafo “economista”), poi l’avvento dell’“era nucleare”, infine l’odierna “rivoluzione negli affari militari” e l’ambizione americana di progettare il modello di sicurezza globale e la struttura delle forze armate necessari per governare il XXI secolo. Van Creveld assesta una splendida stilettata cattivista ricordando una quarta frattura epocale: quella dei whiz-kids chiamati al Pentagono da Robert McNamara, che “depised military experience (and history) but seemed to know everything about economics, management, system analysis, and computer service. Unfortunately, it soon turned out, they know absolutely nothing of war”. Non è detto peraltro che in Vietnam gli storici militari avrebbero ottenuto risultati migliori degli enfantsprodige. Semmai è più interessante ricordare che, durante la crisi dei missili del 1962, il presidente Kennedy, cioè il tutore politico dei “maghetti”, si mise a leggere il saggio di Barbara Tuchman sullo scoppio della prima guerra mondiale. Le polemiche futuriste contro la storia militare che serve a preparare le guerre del passato sono tutt’altro che infondate e futili. Sono anzi talmente interessanti che dovrebbero essere oggetto di una specifica indagine di storia militare comparata (il fatto che non risulti a me, non significa certo che qualcuno non l’abbia già scritta). Sicuramente è più civile impiegare concetti storiografici come “frattura” ed “epoca” per zittire i grilli parlanti che spiaccicarli a martellate sul muro col sistema di Pinocchio (almeno dal mio punto di vista di grillo parlante sulla riforma italiana del reclutamento militare). Purtroppo, però, per comprendere rispetto a cosa le “fratture epocali” sono “fratture” occorre sapere come le cose stavano prima, come stanno adesso e come prevedibilmente staranno dopo l’evento considerato “epocale”. Cioè è necessario fare, magari senza saperlo, una ricerca storica originale e pronunciare un giudizio storico. Forse per questo i rotocalchi segnalano in media un paio di rivoluzioni sessuali all’anno. Ma soltanto la ricerca storica è in grado di valutare la vera portata di una “rivoluzione” militare (cfr. A League of Airmen. U. S. Air Power in the Gulf War, uno studio, pubblicato nel 1994, condotto nell’ambito del “Project Air Force” della RAND Corporation). Oppure, meglio ancora, di scoprire le “rivoluzioni silenziose”, quelle di cui non si è avuta alcuna 14 consapevolezza esterna, come ha fatto Guy Hartcup in The Silent Revolution. Development of Conventional Weapons 1945-85 (Brassey’s, 1993). D’altra parte è dubbio che, oltre ad esporre e persuadere, gli esempi, anche pertinenti, servano davvero ad accrescere la conoscenza e indurre principi e regole generali. Il limite degli exempla è di fondarsi sull’analogia. Beninteso, senza analogie e metafore non solo non potrebbe esserci la scienza, ma neppure il linguaggio umano. Ma l’analogia è per sua natura autoreferenziale e tautologica: vale a dire ci conferma, in forma ordinata e corretta, quel che avevamo già compreso in altro modo. Secondo la stroncatura iconoclastica di Mearsheimer, le opere e le citazioni storiche di sir Basil H. Liddell Hart sarebbero mera falsificazione al servizio di una teoria strategica preconcetta, vale a dire quella dell’indirect approach. Un giudizio che non ha mancato di sfiorare, a mio avviso ingenerosamente, anche la “liddellhartiana” Grand Strategy of the Roman Empire (1976) di Edward N. Luttwak, che è anch’essa un superbo apologo, sorretto da una ricerca storica solida e diretta, per quanto innovativa e non conformista, in cui si utilizza un’idea della strategia difensivista della Pax Romana per perorare una svolta radicale nella strategia difensivista della Pax Americana. Ma il peccato che Mearsheimer contesta a Liddell Hart e altri a Luttwak, è in realtà il peccato originale della scienza storica. Senza un’idea forte e preconcetta, vi sarebbero tutt’al più cronaca e narrazione, giammai interpretazione, spiegazione e giudizio, cioè la ragion d’essere, il Beruf della scienza storica. La stessa scelta del tema, dalla quale dipende l’“invenzione” (inventio) delle fonti (vuol dire “trovarle”, non “inventarsele”!), predetermina il risultato, figuriamoci i criteri metodologici, lo strumento concettuale impiegato nella ricerca e l’uso analogico dei risultati. E’ vero che il concetto di indirect approach non si trova nelle fonti relative agli esempi storici considerati da Liddell Hart: ma, felix culpa!, questa sua aggiunta interpretativa, aprioristica e forse forzata negli esempi da lui scelti, resta nondimeno uno strumento permanente di orientamento non soltanto del pensiero e delle decisioni strategiche successive, ma anche dell’interpretazione storica. Van Creveld ha criticato l’uso, anche corretto, dell’analogia, osservando giustamente che “è un errore credere che si possa apprendere qualcosa soltanto dai casi analoghi. Piuttosto, scrive, è spesso una radicale diversità di circostanze che può condurre alle intuizioni più profonde”. Ma la vera questione è che l’uso degli esempi storici non riguarda l’epistemologia della storia militare bensì quella dell’arte militare e della strategia. La critica storicista delle questioni militari In realtà gli esempi storici non solo non riguardano la scienza storica, ma sono proprio il contrario dello storicismo. Lo stesso concetto di esempio storico manifesta l’ingenua convinzione che la storia sia una scienza del “passato”, circondata dalla paciosa neutralità delle cose inutili e dalle piacevolezze dell’otium et dilectum. Una scienza che si vorrebbe talmente istupidita dall’archiviodipendenza e dall’ossequio conformista, da ratificare e addirittura interiorizzare i vari off limits piantati a difendere l’“attualità” dalla critica storica (dalla regolamentazione dell’accesso agli archivi alla tutela giudiziaria non soltanto dell’onorabilità, ma anche della privacy). La storia antica dimostra che la scienza storica non dipende dagli archivi, ma dalla capacità di trovarsi le fonti, inclusa la capacità di crearle ex novo, come insegna il metodo della storia orale. In ogni modo la storia immediata ha a disposizione le stesse “fonti aperte” dalle quali l’intelligence delle barbe finte trae (o dovrebbe trarre, se ne fosse capace) i nove decimi delle sue informazioni. La questione è di avere il talento, o, se vogliamo dirla con Clausewiz, il coup d’oeil dello storico. Del resto non è detto che la storia militare pratica non possa utilizzare e processare anche fonti riservate: anzi, come abbiamo visto, essa è nata proprio a questo scopo. Può darsi che accada di 15 rado, ma accade che storici professionisti, come altri tipi di scienziati, abbiano accesso a fonti riservate nell’ambito di consulenze per governi, parlamenti, stati maggiori, servizi informazioni e organi giudiziari. Il vincolo di riservatezza può giungere fino a segretare in tutto o in parte il risultato o perfino la notizia stessa della ricerca, ma il fatto di non poterla pubblicare è irrilevante se comunque influisce sulla decisione del destinatario. Peraltro la pregnanza della critica storica non dipende dalla cronologia. Vi sono questioni squisitamente storiche, come la morfogenesi del linguaggio strategico e militare, che non possono essere neppure impostate senza una solida base di filologia classica. E’ la questione di cui parla Clausewitz nel V capitolo del secondo libro del Vom Kriege, dedicato, appunto, alla “critica”. Nelle ultime pagine di questo lungo e denso capitolo, Clausewitz affronta anche la specifica questione della critica del linguaggio. “Maggiori inconvenienti - scrive - si riscontrano nell’apparato di terminologie, espressioni artificiali e metafore che i sistemi (teorici) trascinano con loro e che, al pari di una banda di ladruncoli, come il servidorame di un esercito, staccandosi dal loro principio, si aggirano in tutte le direzioni”. E’ sempre consigliabile che l’aggiornamento del NOTL (Nomenclatore Organico, Tattico e Logistico) si misuri col rasoio di Occam e col principio entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem. Ma, soprattutto in materia militare, continui aggiornamenti sono assolutamente necessari. Una decina d’anni un qualificato ambiente nazionale fu colto da un breve sgomento all’ordine di improvvisare per il giorno dopo un simposio internazionale sulla “sustainability”. In mancanza della più recente letteratura militare americana per le surriferite ragioni burocratiche, un modesto habitus filologico indirizzò comunque verso l’esatta decrittazione del piccolo enigma. E mi pare che quel concetto si sia rivelato utilissimo per una migliore reimpostazione delle questioni logistiche. La filologia, che è forse la più raffinata e illuminante applicazione della critica storica, non si risolve nella mera decrittazione ed esatta comprensione di termini e concetti complessi. Essa rende più coscienti delle implicazioni e dei condizionamenti culturali e ideologici del passato che sono incrostati e veicolati dalle parole e rende ragione delle infinite variazioni di senso e significato che esse subiscono in diversi contesti epocali e culturali. Il rapporto fra teoria e critica storica non è gerarchico, ma di interazione. Anche la teoria, secondo Clausewitz, serve alla storia. “La storia della guerra, con tutte le sue manifestazioni, è anche, per la critica, una sorgente di insegnamento ed è naturale che la critica impieghi, per chiarire le cose, le luci stesse che lo studio dell’ambiente le ha fornito (...) La conoscenza dei fatti precedenti e contemporanei non si basa, infatti, esclusivamente su informazioni positive, ma sopra un gran numero di ipotesi e di supposti: non vi è anzi, fra le notizie circa fatti puramente accidentali, quasi nessuna che non sia stata già preceduta da congetture e presunzioni destinate a sostituire l’informazione certa nel caso in cui questa mancasse”. Infatti il compito della critica storica non è di far rivivere “gl’hanni già fatti cadaueri” dell’Anonimo manzoniano, né di trarre ammaestramenti e precetti dal passato. Il suo compito è invece quello di liberare il presente, cioè l’uso che facciamo del linguaggio e della ragione, dai condizionamenti impliciti del passato. Non esiste un altro modo di liberarsene se non quello di riconoscerli e giudicarli. E’ puerile e illusorio pensare di chiuderli fuori dalla nostra vita personale e dalla nostra professione inventandoci un nuovo universo autoreferenziale: in questo modo semmai diamo loro nuove e migliori occasioni di nuocere alla libertà del nostro spirito e del nostro intelletto. E’ soltanto la critica storica, in ogni campo del sapere e in ogni aspetto della società e della persona che, almeno in qualche misura, può liberarci dalla “coazione a ripetere”; che può indicarci i veri percorsi intellettuali e interiori dell’innovazione e dell’originalità. Qualche difensore della storia militare “dura e pura”, come ad esempio Kaegi, si è preoccupato di tracciare un elenco esemplare di punti e questioni qualificanti. Ma perchè mettere limiti all’umana Provvidenza? La vitalità di una disciplina non si misura dalle perorazioni e dalle casuali 16 prescrizioni, bensì dalla fecondità dei suoi prodotti. Il miglior contributo di van Creveld alla difesa della storia militare “dura e pura” non è il saggio d’occasione citato in bibliografia e spesso richiamato in questo testo, ma piuttosto la sua magistrale trilogia sulla logistica, il comando e la tecnologia in guerra, veri modelli di storia militare critica. E soprattutto l’influenza che van Creveld ha avuto sull’attività del TRADOC (Training and Doctrine Command) dell’U.S. Army. Per capire la direzione e lo stato di salute della storia militare nell’epoca della “rinazionalizzazione” della strategia basta andare in libreria. Osservare, ad esempio, l’effetto penoso e sconsolante che fa lo scaffale dei libri militari italiani (e francesi) accanto a quelli dei libri anglosassoni e tedeschi. La produzione di testi di storia militare e geostrategica nazionale, estera e comparata che nell’ultimo decennio si è verificata nei paesi anglosassoni e, sia pure in misura inferiore, anche in Francia e Germania, è sterminata e cresce in misura esponenziale, arricchendosi di trimestre in trimestre di temi e filoni di ricerca nuovi, che gettano luce sul presente e sul futuro. Molte di queste opere sono con tutta evidenza, spesso esplicita, contributi ai centri di addestramento e dottrina delle Forze Armate americane impegnati nella sfida di progettare uno strumento non per l’oggi e il domani, ma per l’intero XXI secolo. Ciò rende significativa e pregnante la storia comparata e globale dei sistemi d’arma (ad esempio The Social History of the Machine Gun di John Ellis). Ma anche quella delle specialità delle forze armate; dei vari tipi di operazioni (nel deserto, subacquee, speciali, anfibie, verticali ecc.); della pianificazione e del comando, della formazione, del reclutamento. Per non parlare della storia nazionale e comparata del pensiero strategico (The Making of Strategy. Rulers, States and War, a cura di Williamson Murray, MacGregor Knox e Alvin Bernstein: il capitolo italiano, di Brian R. Sullivan ci scatta la fotografia fin dal titolo: “The strategy of the decisive weight”). Un tipo di storiografia nel quale, secondo l’Università di Oxford, rientra quella recezione estera del Vom Kriege (Clausewitz in English. The Reception of Clausewitz In Britain and America 1815-1945, di Christopher Brassford, 1994) che agli storici “militari” italiani, come s’è detto, sembrò nel 1996 così strampalata e fuori tema. E si moltiplicano i manuali di storia militare generale per le accademie, calibrati scientificamente sulle specifiche esigenze delle varie forze armate e delle varie categorie di futuri ufficiali, come sulle loro capacità di apprendimento in contesti culturali mutati e in mutamento continuo. Manuali che si vendono nelle librerie allargando il sapere oltre le anguste pareti accademiche e stabiliscono linguaggi comuni e interfaccia civili/militari. Considerazioni sul caso italiano A proposito di biblioteche, quando quel secchione di Clausewitz faceva il cadettino a Neuruppin (1796-1801), si spendeva lo stipendio alla libreria militare più vicina, che stava a Rheinsburg. Tre anni fa ne è stata aperta una anche in Italia, in una località segreta del Triangolo industriale, a cento metri da una caserma napoleonica e da un dimenticato sacrario ai Caduti locali. Ovviamente quei trenta metri quadrati zeppi di libri (per tre quarti anglosassoni) sono frequentati soprattutto da civili (esclusi, per carità, i docenti universitari, che in libreria ci vanno poco come autori e mai come clienti). Talora ci passano davanti, a frotte, i locali cadettini, che fanno colore come un tempo i martinitt. Loro ovviamente manco la vedono, ma non è bazzicata soltanto da ufficiali ticinesi, poliziotte nazionali, obiettori di coscienza e aspiranti donne soldato. C’è anche qualche militare con le stellette al bavero: un noto tenente generale, molti carabinieri di ogni grado, qualche sottufficiale di carriera dell’Esercito e della Marina e soprattutto soldati di leva, “cemisini” o non (gli ultimi zaini italiani dai quali potrebbe un giorno spuntare un bastone di maresciallo). Nel caso italiano, l’indagine epistemologica consente di cogliere alcune connotazioni storiche non soltanto delle istituzioni militari, ma anche dell’alta cultura accademica. Per quale ragione, 17 nonostante la mole impressionante di studi particolari, l’Italia non riesce a produrre una sintesi della propria storia militare dal Rinascimento? Eppure non è certo più complessa di quattro secoli di American Military History (cfr. le 800 pagine curate da Maurice Matloff nel 1973) o di storia militare austro-tedesca (cfr. le 2.500 pagine della recente collana in 10 volumi Heerwesen der Neuzeit, Bernard & Graefe Verlag). Perchè permane questa vistosa lacuna della storia politica d’Italia? Perchè, citando un libro semiclandestino, che si intitola intenzionalmente e provocatoriamente Storia militare della Prima Repubblica, un autorevole storico istituzionale dell’Esercito italiano corregge istintivamente il titolo in Storia delle Forze Armate ...? Come osservava nel 1883 J. R. Seeley (The Expansion of England) la grande storiografia whig (ma poi, in forme diverse, anche la successiva storiografia liberal) riduceva la storia inglese alla storia del parlamentarismo e della legislazione, di fatto ignorando il contemporaneo sviluppo dell’Impero britannico. Analogo è il più longevo pregiudizio anti-geopolitico della grande storiografia italiana. Essa ha infatti concepito la storia nazionale come storia delle élites riformiste e illuminate oppure delle classi subalterne, due prospettive ancora antitetiche all’epoca di Croce e di Gramsci, ma che in seguito sono entrambe confluite nella storia unitaria del cosiddetto “movimento di liberazione in Italia”. Sono infatti entrambe accomunate dall’interpretazione della storia nazionale come “storia civile” della società dell’economia della cultura; e anche delle pubbliche istituzioni e delle politiche di governo, tranne però quelle che maggiormente caratterizzano la soggettività esterna dello Stato, cioè politica estera e capacità militare. Con l’eccezione delle due fasi in cui i movimenti democratici condizionarono direttamente la politica estera e la guerra, cioè Risorgimento e Resistenza, le grandi scuole “civili” hanno infatti ignorato o del tutto frainteso i fattori geopolitici e militari della storia italiana. Nell’ottica puramente autoreferenziale e autoreverenziale della “storia civile” italiana la storia militare non assume infatti alcun rilievo né pone alcuna questione. Irrilevante è, per la nostra “storia civile”, la spiegazione delle vittorie delle sconfitte e delle riforme militari; insensata, quando non depistante e addirittura provocatoria, l’analisi dei secolari fattori strategici e geopolitici entro i quali sembra iscriversi l’intero fato della Penisola, incluse le ragioni e le sorti della stessa “storia civile”, in verità più condizionata (anche dalla Royal Navy) e meno incisiva di quanto possa mai spingersi a sospettare. E’ storia “civile”, infatti: non storia “nazionale”. Sull’altro versante, quello degli stati maggiori italiani, la storia militare è scomparsa non solo dalla prassi ma anche dalla cultura e mentalità. Soprattutto, in un paese come l’Italia, che aveva subito la sconfitta e conservato la continuità istituzionale delle proprie forze armate postbelliche, la funzione della storia militare si è trasferita dall’ambito scientifico e critico del pensiero e della politica militare a quello ideologico dell’autorappresentazione e della propaganda. Così, proprio nell’epoca dei militari manager, la cultura militare ha seguito un procedimento opposto rispetto a quello della cultura aziendale. Studiare gli errori compiuti corrisponde per un esercito al “circolo di qualità” di un’azienda e implica una logica di automiglioramento. Invece nelle Forze Armate italiane la storia militare è stata studiata prevalentemente a scopo autocelebrativo, difensivo, autoassolutorio, non di rado con indirette ma pregnanti finalità giudiziarie. E’ divenuta parte di una involuzione burocratica. Ciò è stato in parte anche il riflesso della nascita, nell’ambito della saggistica e della storiografia politica e sociale italiane, di una “controstoria”, spesso apoditticamente polemica e maligna, delle esperienze belliche e delle istituzioni militari nazionali. Si deve peraltro riconoscere che la parte migliore e più solida di questa storiografia civile dell’arte e delle istituzioni militari, ha comunque aperto filoni di ricerca e sollevato problemi in precedenza insospettati e poco studiati proprio nei paesi occidentali in cui la storia militare “classica” ha maggiormente resistito al generale declino verificatosi nell’era bipolare/nucleare. La storia civile del militare non è una peculiarità italiana, ma certamente da noi non è bilanciata dalla storia militare applicata che fertilizza il pensiero militare 18 anglosassone. D’altra parte l’inflazione dell’approccio storico allo studio civile del militare spiega anche lo scarso sviluppo e il modestissimo livello della sociologia militare italiana, un imparaticcio amatoriale e ideologico di topiche mal recepite e raramente attinenti alle specifiche questioni della difesa italiana. La storia militare è dunque concepita, al massimo, come un capitolo che si giustifica solo in funzione del suo oggetto, non già del suo metodo e dei suoi scopi. Da parte della cultura accademica c’è stato addirittura un rifiuto ideologico di attribuire allo studio storico della guerra e delle istituzioni militari una qualsiasi finalità militare. Tutte le finalità sono state ammesse: il diletto, la curiosità, la denunzia, perfino la difesa della corporazione militare. Tutte tranne una: il contributo all’efficienza e all’efficacia del sistema di sicurezza e di difesa del paese e alla strategia nazionale. Questo rifiuto ideologico squalifica moralmente e scientificamente la storia militare prodotta dall’accademia italiana. Basti fare il confronto con la storia del diritto, della medicina, della tecnica, dell’economia. E’ chiaro che questo tipo di storia militare non può in alcun modo contribuire a fertilizzare la politica di difesa e la pianificazione militare e ad accrescere il controllo democratico e l’assunzione di reponsabilità degli stati maggiori e soprattutto del decisore politico. Al contrario, incoraggia la ben nota prassi opportunistica di settorializzare le questioni per poterle gestire come “variabili indipendenti” e dunque come merce di scambio politico con le lobbies, le corporazioni e le clientele sociali di riferimento. La storia della legislazione sulla coscrizione obbligatoria e sul servizio civile e dei tentativi di “professionalizzazione” furbastri e scervellati e perciò matematicamente destinati al fallimento, sarebbe illuminante al riguardo, se il legislatore, prima di legiferare, si prendesse la briga di leggerla, visto che è stata già scritta. Occorre però che il consulente, per il il bene superiore e inestimabile della Corona, abbia la testa e le reni del medico chiamato a guarire la pazzia di Re Giorgio: esplicito nella diagnosi, inflessibile nella cura, fiero delle Regie Pedate di ringraziamento. Una sgradevole conseguenza ulteriore di questa latitanza nazionale e politica della storiografia accademica italiana è che essa favorisce la riduzione del rapporto tra amministrazione e ricerca (accademica ed extra-accademica) al puro cerimoniale delle relazioni sociali delle Forze Armate, caratterizzato da riconoscimenti formali, acritici, reverenziali e talora perfino implicitamente derisori, calibrati sul rango accademico dell’autore anzichè sulla qualità e l’attinenza del prodotto scientifico. Ma, quel che è peggio, radica la naturale tendenza delle istituzioni corporative a evitare questioni complicate che richiedono sforzo autocritico e progettualità radicalmente innovativa. Nell’epoca bipolare/nucleare l’anomalia italiana rilevava comunque poco, perchè la storia militare vera e propria, tale per lo scopo e non solo per l’oggetto, si coltivava poco ovunque, almeno in Occidente. Ma nell’ultimo decennio di “rinazionalizzazione” della difesa (con buona pace della chimerica difesa europea) questo ritardo culturale italiano è andato via via emergendo in modo sempre più vistoso. Forse la data di svolta è il 1986, l’anno in cui negli Stati Uniti si è riconosciuto che la guerra fredda era stata vinta imponendo all’URSS il ritiro degli Euromissili e che da allora “ricominciava la storia”, l’epoca della guerra come strumento della politica. Quello è infatti l’anno in cui fu ripubblicato, con aggiornamenti e approfondimenti, Makers of Modern Strategy, il volume collettivo che nel 1942, l’anno dello sbarco americano in Marocco, rappresentò il primo concreto e prezioso contributo patriottico dell’Università di Princeton allo sforzo bellico degli Stati Uniti. Ovviamente la fotocopia del documento Badoglio che è circolata stamattina in questa sala è solo lo scherzo di un buontempone: non è vero che nel 1940 il maresciallo Badoglio, capo di stato maggiore generale italiano, aveva rifiutato di leggere un rapporto segreto sullo sviluppo dei carri tedeschi, annotando a margine “ce ne occuperemo a guerra finita”. Non è vero: ma è ben trovato. De te fabula narratur. Ride, Re Giorgio, stringendo mani e lanciando ghinee nella conclusiva Totentanz. Non dimentica niente, come i Borboni di Napoli. E non impara niente. 19 Bibliografia Raymond ARON, Penser la guerre, Clausewitz, Paris, Editions Gallimard, 1976, I - L’age européen, pp. 335, 372, 3889, 456-7 (“histoire”); pp. 379-81 (“Scharnhorst”). R. BAUER, “Hans Delbrueck”, in B. SCHMITT (Ed.), Some Historians of Modern Europe, Chicago, University of Chicago Press, 1942. G. BEST, Brian BOND, David CHANDLER, J. CHILDS, John GOOCH, Michael HOWARD, J. C. A. 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What this ‘emergence’ involved was the burgeoning of a conviction, during the late 1950s, that strategy was altogether too crucial a subject to remain virtually the academic preserve of a small number of somewhat isolated individuals with backgrounds either in history or else the profession of arms. So what was looked for instead was a large and vibrant community of thinkers hailing from a rich variety of academic milieux (the pure science, most certainly included) and, indeeds from a diversity of occupational backgrounds; the military and academe, of course, but also the public services, the media, the churches and industry. Links with officialdom soon proliferated but were substantially offset by roots sunk deep and wide within the universities, not least through by teaching programmes” (The Strategic Revolution. Thoughs for the Twenty-First Century, Brassey’s, 1992, pp. 5-6). A dire il vero, la “vibrante comunità” di cui parla lo studioso inglese (docente di international security affairs all’Università di Birmingham) non si è affatto definita in modo unitario. Né poteva essere altrimenti, sia perché le questioni di possibile interesse strategico non sono predeterminabili, sia perché gli studi relativi provengono da differenti matrici culturali (economia, sociologia, geografia, scienze politiche, giuridiche, storiche, militari) e rispondono alle occasioni, committenze e iniziative editoriali più casuali nonché agli scopi e alle ideologie più disparate. Si tratta di contesti culturali e scientifici autoreferenziali che tendono per forza di cose a ignorarsi reciprocamente: anche per banalissime questioni pratiche, oltre che per pregiudizio metodologico o ideologico. Non che occasionalmente non vi siano stati e non vi siano tentativi di confronto e arricchimento interdisciplinare, ma non possono certamente creare una “comunità” scientifica, tanto meno “vibrante”. Malgrado la continua definizione e revisione di un linguaggio comune, neppure le alleanze militari permanenti come la NATO sono in grado di unificare o almeno mettere a fuoco l’intero patrimonio degli studi strategici: tanto meno ciò può prodursi spontaneamente dal complesso delle attività accademiche. Ne consegue che nessuna delle “etichette” coniate per imprimere una certa riconoscibilità e legittimazione accademica o anche soltanto editoriale o biblioteconomica alla améthodos hyle di cui stiamo parlando può essere considerata sufficientemente ampia e univoca da ricomprenderle tutte. La stessa etichetta utilizzata da Brown (strategic studies) non si è del tutto affermata neppure negli Stati Uniti. E’ stata coniata in Gran Bretagna, dove qualifica il prestigioso Istituto internazionale di Londra, ma non è menzionata nell’International Military and Defense Encyclopedia della Brassey’s (1992) e nel più recente saggio di Colin S. Gray (Modern Strategy, Oxford U. P., 1999). E’ ignorata anche in Francia: non compare, ad esempio, né nel Dictionnaire de stratégie militaire di Gérard 23 Chaliand e Arnaud Blin (Perrin, 1998), né nel ponderoso Traité de stratégie di Hervé Coutau-Bégarie (Institut de stratégie comparée della Sorbona, ed. Economica, 2e Ed. 1999), che pure dedica molte pagine alla filologia e alla semantica delle numerose locuzioni derivate da stratégie. Nell’Europa continentale e negli Stati Uniti si tende piuttosto a collocare gli studi strategici in ambiti disciplinari definiti in primo luogo dal metodo più che dall’oggetto o dallo scopo, continuando a classificarli nell’ambito generale delle scienze politiche ed economiche internazionali (“international affairs”, “relations”, “security”, “political economy”) ovvero della sociologia (“polémologie”). “Studi strategici” è stata rifiutata anche per ragioni ideologiche dalla ricerca internazionalista e pacifista che le ha contrapposto peace research, preferita dal governo svedese per qualificare lo scopo dell’Istituto internazionale di Stoccolma. Ma, per ragioni opposte, non ha avuto fortuna neppure in Francia, dove la scuola strategica nata dalla soppressa Fondation pour les “études de défense nationale” continua a difendere la specificità “militare” della strategia, influenzando anche la scelta del nome (études de securité) dato dall’UEO all’Istituto europeo di Chaillot, istituito nel 1990 su proposta della Francia. C’è inoltre da segnalare lo scarto con il concetto corrente nel linguaggio diplomatico ufficiale, che rubrica gran parte degli aspetti strategici della sicurezza internazionale (e in particolare i negoziati e accordi sul disarmo e il controllo degli armamenti) sotto la locuzione “politica militare”. La scarsa diffusione di questo concetto al difuori del linguaggio strettamente diplomatico sembra dipendere dal fatto che, pur essendo indubbiamente corretto e anzi rigoroso dal punto di vista scientifico, può ingenerare equivoci fra i non addetti ai lavori. A metà degli anni Settanta si è poi ripreso a impiegare il vecchio termine “geopolitica”, a lungo bandito per pregiudizio etico ma rilegittimata sotto il profilo della “correttezza politica” dall’impatto che la scuola di Yves Lacoste ha saputo esercitare sulla Sinistra francese e, attraverso di questa, anche su quella italiana, che l’ha a sua volta riesportata in Germania. Non si deve infine dimenticare che l’individuazione di un concetto in grado di esprimere la correlazione tra gli aspetti militari e non militari della politica è anche un problema specifico e interno delle scienze militari. A questo proposito il concetto liddellhartiano di “grand strategy” continua ad aver miglior fortuna di altri qualificativi apparentemente meno vaghi, come strategia “totale” (“Gesamtstrategie”) o “globale” (“global strategy”). 2. L’importazione italiana (1977-1987) Com’è naturale, anche in Italia, come nella maggior parte degli altri paesi, le Forze Armate hanno preceduto di vari decenni l’università nel riconoscere l’esigenza di studiare le interrelazioni sempre più complesse tra gli aspetti militari e non militari della guerra e della sicurezza. La struttura gerarchica dell’ordinamento militare e una certa vocazione inconscia degli stati maggiori verso l’onniscenza divina, hanno tuttavia condotto le Forze Armate a impostare il problema essenzialmente in termini di “formazione” culturale degli ufficiali superiori e generali, anziché di “ricerca” interdisciplinare e quindi di accesso alle risorse culturali nazionali ed estere. Ciò si ricava ad esempio dalla recezione del concetto francese di “alti studi militari”, il cui ambito fu poi allargato nel 1965 quando il CASM, trasferito nell’attuale sede di Palazzo Salviati, assunse il nome di Centro Alti Studi Difesa (CASD). Negli anni Cinquanta i militari italiani mutuarono dai colleghi americani il concetto di “strategia globale”, sia pure mostrando di equivocare l’esatto significato che l’aggettivo ha nel linguaggio militare americano: loro intendono “mondiale”, noi “totale”. In ogni modo il concetto ebbe in Italia un impiego piuttosto circoscritto, quasi solo nella Scuola di guerra di Civitavecchia, dove una cattedra, appunto, di “strategia globale” fu ricoperta dal colonnello di cavalleria Enrico Boscardi, coadiuvato dal professor Franco Alberto Casadio, direttore della SIOI, quale analista della conflittualità internazionale. 24 Anche l’importazione del concetto di “studi strategici”, avvenuta nel 1977-79, maturò all’interno delle Forze Armate, non però dello stato maggiore. Diversamente dal caso della strategia “globale”, l’introduzione della nuova espressione non fu infatti una mera evoluzione concettuale, un aggiornamento scientifico del dizionario militare ufficiale (Nomenclatore organico tattico logistico). Fu, invece, un progetto “politico” preciso e ambizioso, che si proponeva di realizzare una “rivoluzione culturale” di vasta portata, non soltanto nella cultura politica italiana ma anche e in primo luogo nella mentalità e nella prassi dello stato maggiore. Fu, come stiamo per dire, letteralmente una “rivoluzione dei colonnelli”, che, pur senza poterlo dichiarare, si ispirava programmaticamente alla rivoluzione militare attuata dal generale annoverese Gerhard Johann David von Scharnhorst (1755-1813) contro le resistenze conservatrici della corte e del vecchio stato maggiore prussiani, sfruttando abilmente l’incarico di vicedirettore della Scuola di Guerra (conferitogli nel 1801) e le qualità letterarie del giovane allievo Clausewitz, che nel drammatico decennio 1804-1814 fu l’infaticabile Ghost-writer dei riformatori militari prussiani e il loro ufficiale di collegamento con la società civile. I due colonnelli della “rivoluzione militare italiana” erano, com’è noto, il cavalleggero di scuola “britannica” Luigi Caligaris, allora capo Ufficio Politica Militare dello SMD, e l’alpino di scuola “francese” Carlo Jean, caposezione e poi capo Ufficio Programmazione Finanziaria dello SME. Sul modo di procedere le loro idee non collimavano: impaziente, Caligaris volle caricare frontalmente, proponendo l’immediata creazione dell’IISS italiano, subito bocciata dallo stato maggiore e dalla Farnesina, per nulla disposti a scaldarsi in seno qualche serpe che poteva criticarli e magari “scavalcarli” nella consulenza al governo e al parlamento. Più machiavellico, Jean manovrò invece per linee interne nella no man’s land tra esercito e paese. Seguendo il consiglio clausewitziano di predisporre la difesa prima di partire all’attacco, Jean si preoccupò di farsi dare una benedizione di massima (o meglio, una gesuitica “assoluzione anticipata”) dal capo di stato maggiore dell’Esercito. Merito del generale Eugenio Rambaldi è di avergliela accordata, passando sopra bonariamente a varie “impertinenze” giovanili del vulcanico sottoposto. L’azione di Jean consistette in sostanza nel volgere a vantaggio degli studi militari il clima di unità nazionale che, in un paese lacerato da profonde divisioni ideologiche e perfino da una sorta di “guerra civile virtuale” (1), si era fortunatamente determinato nella seconda metà degli anni Settanta. La sua “crociata” trovò attenzione e aperture nel mondo della cultura e della politica, traducendosi in iniziative concrete. Quella allora di maggior rilievo e più direttamente e stabilmente collegata con Jean fu senza dubbio la creazione dell’Istituto Studi e Ricerche Difesa (ISTRID), fondato a Roma nel 1979 da quattro uomini politici di maggioranza e di opposizione che avevano improntato ad uno spirito bipartisan l’azione parlamentare sui temi della difesa, consentendo l’approvazione del secondo e ultimo grande riarmo postbellico del paese (Paolo Battino Vittorelli, socialista; Giuseppe Zamberletti, democristiano; Pasquale Bandiera, repubblicano e Aldo D’Alessio, stratega e tattico della nuova politica militare cooperativa del PCI). Ma Jean e/o Caligaris ebbero parte anche in altre tre iniziative del 1979-80: la rivista Politica Militare (poi Strategia Globale) diretta da Edgardo Sogno (Centro Studi Manlio Brosio di Torino) e i due corsi universitari di “studi strategici” e “storia delle istituzioni militari” istituiti rispettivamente presso la facoltà di scienze politiche della LUISS di Roma e quella della Cattolica di Milano dal rettore Rosario Romeo e dal preside Gianfranco Miglio, entrambi ricoperti da docenti a contratto, vale a dire Enrico Jacchia, analista strategico del Giornale di Montanelli, e il generale Giuseppe Alessandro D’Ambrosio, in seguito segretario generale del Consiglio supremo di difesa. Per la precisione, la coincidenza temporale (1979) con la pubblicazione di un mio primo abbozzo di storia politica delle Forze Armate nel periodo postbellico fu del tutto fortuita. Ma provocò immediatamente, ad iniziativa del tenente colonnello Jean, la nostra conoscenza e l’avvio di un sodalizio in cui lavoro ed amicizia formano una sola cosa. Per mio tramite, la crociata culturale alla quale mi sentivo orgoglioso di partecipare, fu estesa al terreno della storia militare, nell’intento di 25 reinserirla a pieno titolo tra le scienze militari come parte essenziale e qualificante del consilium strategico. Ascrivo soprattutto a mia colpa il sostanziale fallimento di questa particolare “campagna”, analizzata e narrata con acume e misura da Piero Del Negro in vari scritti, e da ultimo nel suo intervento al II convegno nazionale di storia militare svoltosi nel novembre 1999 presso il CASD. Il nuovo clima creato dalla collaborazione tra l’ISTRID e il CASD indusse il nuovo capo di stato maggiore della Difesa, generale Vittorio Santini, a fare qualche apertura verso la proposta di Caligaris. Il 26 novembre 1981, nell’intervento inaugurale della XXXIII sessione del CASD, accennò infatti alla possibilità di trasformarlo in “istituto militare di studi strategici”. A realizzare la proposta - tra l’altro “ufficializzando” così l’espressione “studi strategici” - fu tuttavia il generale Carlo Jean, con la costituzione, avvenuta nel 1987 su suo progetto, del Centro Militare di Studi Strategici. Il CeMiSS, costituito con decreto ministeriale 26 giugno 1987 alle dipendenze gerarchiche del capo di stato maggiore difesa e del presidente del CASD, si differenziava da quest’ultimo per essere preposto non già alla formazione culturale dell’alta dirigenza militare bensì alla promozione della ricerca sui temi di interesse del ministero. Primo direttore del CeMiSS, e in seguito presidente del CASD, Jean si occupò tuttavia anche di didattica, sia in ambito civile (con un corso di “studi strategici” presso la LUISS che integrava quello tenuto da Jacchia) sia in ambito militare (con la sperimentazione, nel 1994-95, di nuovi criteri didattici per la sessione ordinaria del CASD che contribuirono alla successiva costituzione dell’Istituto Superiore Stati Maggiori Interforze, con compiti ben più ampi del vecchio ISMI esistito negli anni Cinquanta). 3. La funzione pratica del concetto di “studi strategici” Di Jean è anche il primo (e finora unico) manuale didattico di studi strategici, indicati come “un campo disciplinare non ben definito, ma strettamente collegato con la scienza della politica e con le relazioni internazionali”, negli aspetti relativi alla sicurezza e alla “utilizzazione della potenza militare per raggiungere obiettivi politici finalizzati a determinati interessi degli stati” (Studi strategici, Milano, Franco Angeli, 1990, pp.11-12). Malgrado questo riferimento apparentemente limitativo al solo ambito disciplinare delle scienze politiche, dal resto del discorso si ricava una piena concordanza con il concetto britannico di studi strategici. Jean sottolineava infatti il contrasto tra l’Europa - dove gli studi strategici sono rimasti a lungo “appannaggio delle tecnostrutture militari” e gli Stati Uniti, “dove i rapporti fra le università, la cultura esterna ed i centri decisionali sono sempre stati molto più stretti”. Inoltre, pur dedicando la prima parte del manuale al concetto di strategia, Jean ne consacrava altre tre alle questioni che erano di attualità alla fine della guerra fredda. Il taglio meramente informativo del manuale risalta ancor più dal confronto coi due saggi pubblicati dallo stesso autore per i tipi della Laterza nel 1995 (Geopolitica) e 1997 (Guerra, strategia, e sicurezza), i quali, al contrario del manuale, intendono formalmente collocarsi all’interno delle due specifiche discipline. In definitiva Jean impiega “studi strategici” in senso empirico e non epistemologico, proprio per segnalare che non debbono essere confusi con la strategia (o, per essere più precisi, con la “teoria della strategia”) che appartiene alle scienze militari. L’espressione indica invece una rassegna sistematica e analitica di tutti i settori delle scienze umane rilevanti per la sicurezza e la difesa. Gli studi strategici non sono dunque una disciplina fra le altre, definita da un metodo e da un oggetto, bensì una designazione generale e generica, funzionale ad un obiettivo pratico, se si vuole “politico”: vale a dire il censimento, la catalogazione e lo “stoccaggio”, ma anche l’orientamento, il raccordo e la valorizzazione, di un potenziale cognitivo che si considera essenziale per la sicurezza e la difesa della pace. In definitiva la funzione pratica del concetto di studi strategici è di poter meglio individuare l’interfaccia tra le scienze militari e le altre scienze umane, nell’intento di estendere a queste ultime la cooperazione militare-civile che è sempre esistita nel campo delle scienze esatte e naturali. 26 L’oggetto degli studi strategici non può dunque essere definito se non in modo pragmatico, avendo come unico confine (peraltro poco netto) quello istituzionale con gli enti di ricerca tecnico-scientifica della Difesa. In realtà quel che in Gran Bretagna e in Italia va sotto il nome di “studi strategici” coincide con ciò che in Francia si è preferito definire (in modo più esplicito e politicamente impegnativo) études de defense nationale. Sia pure con sfumature diverse, entrambe le formule designano al tempo stesso il contenuto del think tank e le competenze di un soggetto istituzionale: vuoi nazionale e militare come il CeMiSS di Roma, vuoi formalmente internazionale e indipendente come l’IISS di Londra e il SIPRI di Stoccolma (che, malgrado l’enfasi pacifista espressa dal nome, può essere per molti versi comparato con l’IISS). Con formule intermedie, come la FEDN di Parigi che era nazionale ma formalmente indipendente dal ministero della difesa francese e l’Istituto di studi di sicurezza (IES) di Chaillot, che è comunitario (2). 4. Il corpus di studi strategici prodotto dal CeMiSS Condizione preliminare per la promozione istituzionale degli studi strategici nazionali, ovvero per la realizzazione di un outsourcing imparziale e proficuo, era la costituzione di una specie di “albo dei fornitori” o “registro di leva”, mediante la ricognizione (talent scouting) e l’aggiornamento permanente delle risorse esterne, che si era cominciato a censire privatamente fin dall’inizio degli anni Ottanta (3). A tale scopo gli artt. 17 e 18 delle Norme di funzionamento del CeMiSS, approvate con decreto ministeriale 20 giugno 1989, prevedevano, ai fini esclusivi dell’affidamento delle collaborazioni esterne, uno “schedario” permanente “delle attività e dei titoli scientifici dei possibili collaboratori, militari e civili, nonché degli Istituti di ricerca specializzati che hanno o possono avere rapporti di collaborazione con il CeMiSS”. L’aggiornamento dello schedario faceva ingenuamente appello all’autosegnalazione da parte degli studiosi: ma è caduto nel vuoto, mentre la tenuta dello schedario implicava un impegno continuativo superiore alle risorse del Centro e pertanto presto sacrificato ad altre esigenze più impellenti. Altre condizioni erano la catalogazione e l’aggiornamento delle biblioteche: tuttavia, malgrado alcuni conati di razionalizzazione avvenuti alla fine degli anni Ottanta, la situazione è andata via via peggiorando, sia per la mancata introduzione di criteri di classificazione accettabili sia, soprattutto, per il mancato aggiornamento del patrimonio librario pubblico, tanto delle università che del ministero della Difesa (in particolare quest’ultimo, utile ormai soltanto per la ricerca storica ma non più per quella strategica). Consola peraltro che la rapida obsolescenza delle biblioteche pubbliche sia in parte compensata da una relativa crescita di quelle private, che si possono dire coltivate con dedizione e sacrificio in genere inversamente proporzionali all’età degli studiosi e al riconoscimento economico e accademico ad essi elargito dalle istituzioni militari e accademiche. Malgrado tali avvilenti ed esasperanti carenze di mezzi, il CeMiSS è riuscito, in quasi tre lustri di attività, a radicare anche in Italia un solido punto di riferimento per gli studi strategici, realizzando una feconda e, come vedremo, crescente cooperazione con l’università e con altri istituti e riviste nazionali senza pregiudizi né discriminazioni di alcun genere. Ciò è tanto più significativo se si pensa che ancora nel 1986, l’anno precedente la costituzione del CeMiSS, l’accordo-quadro tra il CNR e il ministero della Difesa (firmato da Giovanni Spadolini) era stato criticato dalla Repubblica e dall’Espresso, con la denuncia, da parte della Casa della Pace, di un preteso tentativo di “militarizzare” la ricerca scientifica. Punta di diamante del CeMiSS sono ovviamente le circa 400 ricerche effettuate in 14 anni di attività, grazie alla collaborazione di studiosi militari e civili, sovente riuniti in gruppi di lavoro. Per varie ragioni, soltanto una parte delle ricerche è stata pubblicata: le prime 100 nella collana “blu” stampata dalla Rivista Militare fra il 1989 e il 1998, altre 40, a partire dal 1996, edite dalla Franco Angeli (la maggior parte nella collana di politica/studi, le altre in quelle di economia/ricerche, sociologia e sociologia militare). 27 Si tratta di un poderoso corpus di studi strategici, il più cospicuo mai comparso in Italia, che può, per qualità e quantità, ben reggere il confronto con il corpus, per molti versi analogo, accumulato a partire dal 1994 da Limes, la “rivista italiana di geopolitica” fondata e diretta da Lucio Caracciolo. Non altrettanto, purtroppo, può dirsi quanto alla circolazione e visibilità delle due produzioni (3), perché un ente pubblico italiano, e per giunta militare, come il CeMiSS, non è nelle condizioni tecniche, amministrative e finanziarie di competere con la professionalità editoriale, il prestigio culturale e la verifica di mercato di una rivista diretta da uno dei migliori giornalisti italiani, pubblicata da un gruppo editoriale come L’Espresso-La Repubblica e affiancata da un numero crescente di pubblicazioni gemelle in Francia, Germania, Stati Uniti e Cina (4). Di particolare valore, anche e in primo luogo sotto il profilo dell’etica e della pedagogia militare, è comunque il fatto che, in collegamento con le università o anche in modo indipendente, il CeMiSS abbia contribuito alla selezione, motivazione e formazione di giovani studiosi, sia con premi per tesi di laurea sia consentendo a giovani laureati non solo di svolgere il servizio di leva presso l’Istituto ma anche di partecipare alle attività di ricerca in fuzione della loro qualificazione scientifica e senza riguardo al grado gerarchico ricoperto. 5. Il progetto Ungari-Luraghi di Università della Difesa (1990) Fin dall’inizio della sua attività il CeMiSS si propose di integrare la produzione di studi strategici di diretto interesse della Difesa con una più vasta e ambiziosa attività di promozione e valorizzazione del potenziale di ricerca esistente nella società italiana. Ciò era reso necessario dal disinteresse e dalla prevenzione della cultura universitaria e dell’editoria italiane nei confronti degli studi strategici, militari e geopolitici. Il punto di partenza fu una ricerca, diretta dal compianto Paolo Ungari e da Raimondo Luraghi, sugli Studi strategici e militari nelle università italiane, pubblicata nel 1990, col n. 29, nella collana blu. Il rapporto di ricerca osservava che l’occasionale partecipazione di docenti al dibattito sui temi di interesse della Difesa avveniva a titolo personale, senza “creare uno stabile rapporto con le strutture universitarie”, in cui, per varie ragioni, si era “radicata una certa prevenzione ed avversione nei confronti dei temi militari e di un eventuale coinvolgimento col mondo militare”. Secondo il rapporto, gli stessi centri universitari di studi militari nati negli anni Ottanta erano meramente nominali, biglietti da visita cui non corrispondeva alcuna effettiva struttura di ricerca. Secondo il rapporto, erano allora attivi 4 cattedre di storia militare (Pisa, Pavia, Cattolica e Padova) e 1 corso (a contratto) di studi strategici (LUISS), cui si potevano aggiungere “altri 4 docenti che lavorano attraverso i rispettivi centri studio”. Considerato l’ordinamento dell’università e della ricerca scientifica, il rapporto giudicava “molto improbabile” che in futuro cattedre e centri potessero aumentare per “processo naturale”. Suggeriva perciò - senza interferire con l’autonomia universitaria - di istituire presso il CASD un “corso di specializzazione in analisi della difesa”, con un ordinamento di tipo universitario e aperto a frequentatori militari e civili. Il rapporto ipotizzava un corso biennale, incentrato sulle scienze militari comparate (strategia, arte operativa, organica, logistica) e sulle applicazioni militari delle scienze umane (politica, diritto, storia, sociologia, economia, geografia). Il rapporto delineava in realtà una sorta di “libera università degli studi militari” sul tipo della National Defense University (NDU) di Washington, che facesse convivere dentro un’unica struttura sostenuta dal ministero della Difesa, ma autogovernata - ricerca pura, ricerca applicata e didattica. Pur entro un tetto massimo di iscrizioni, si prevedeva infatti che il corso potesse essere frequentato liberamente dagli interessati, garantendo un congedo sabatico biennale (condizionato alla frequenza e al profitto) ai frequentatori eventualmente appartenenti alle amministrazioni civili o militari dello stato. Per non irrigidire la struttura e incentivare il merito scientifico, si adottavano criteri americani anche per la scelta dei docenti, con reclutamento concursuale e contratti annuali o biennali rinnovabili. L’eresia era talmente enorme che i destinatari del rapporto nemmeno se ne accorsero. La libertà di 28 accesso al corso infrangeva infatti i cardini del modello continentale di formazione degli ufficiali, vale a dire l’omogeneità generazionale e gerarchica dei discenti, il nesso con la carriera, l’uniformità dell’insegnamento, la passività dell’apprendimento, il livellamento della classe su valori medi. Con enfasi individualista e aristocratica, Ungari e Luraghi facevano invece appello alla vocazione scientifica dei pochi, all’ambizione intellettuale e morale di approfondire e ampliare, senza limiti di grado ed età e senza corrispettivi immediati di carriera, le basi culturali della professione intrapresa. Nulla dunque a che vedere con l’ISSMI, saldamente ancorato al tradizionale modello organizzativo, formativo e didattico delle scuole militari. 6. Dagli “studi strategici” alle “scienze della sicurezza e della difesa” La collaborazione del generale Jean e di altri due autori italiani all’International Military and Defense Encyclopedia (IMADE) diretta dal colonnello americano Trevor N. Dupuy e pubblicata dalla Brassey’s nel 1992, suggerì al CeMiSS un obiettivo ancor più ambizioso del corso in analisi della difesa. L’idea era di affrontare direttamente il vero nodo irrisolto degli studi strategici, cioè il valore cognitivo, l’effettiva fruibilità dei risultati acquisiti o acquisibili dal complesso delle varie prospettive di ricerca. Era un problema analogo, ma non identico, a quello oggi spietatamente sollevato da Sonia Lucarelli e Roberto Menotti a proposito della politologia internazionalista italiana, quando osservano che lo studio delle relazioni internazionali (RI) è in Italia incentrato sulla “risoluzione di enigmi” (puzzle-solving) piuttosto che sulla “costruzione di teoria” (theory-building) (5). Il problema era analogo, perché anche nel campo della strategia si trattava di evolvere dall’infanzia alla pubertà: ma anche diverso, perché si trattava di farlo nei confronti non di una sola, bensì di numerose discipline impuberi e di avviarle al connubio promiscuo. Si intendeva, dunque, porre al centro la questione interdisciplinare, ossia della fecondazione reciproca e della sinergia tra i vari ambiti disciplinari e scientifici, tra i molteplici metodi di approccio alle questioni della pace e della guerra. Si trattava non più soltanto di immagazzinare e al massimo catalogare nel dépot nazionale le risorse culturali esistenti, ma di darne conto sul piano scientifico, di sviluppare in termini generali, e non solo applicativi, le potenzialità euristiche e teoretiche di tutte le scienze umane, sollecitandole ad occuparsi in modo sempre più informato, continuativo e penetrante, ciascuna secondo i propri metodi, oggetti e criteri scientifici, delle questioni rilevanti per la difesa e la sicurezza. Non si trattava più semplicemente di adeguare la cultura strategica nazionale al livello degli altri paesi occidentali; ma di assegnarle addirittura un ruolo innovativo e trainante a beneficio dell’intera comunità strategica occidentale. Appariva perciò necessario superare il concetto empirico e pratico di “studi strategici”, ponendo invece al centro la questione epistemologica delle “scienze della difesa e della sicurezza”, in modo da favorire un confronto e una cooperazione effettivi e permanenti tra le varie scienze umane e far così gradualmente maturare nuovi approcci realmente interdisciplinari. A tale scopo si pensò di raccordare le risorse culturali nel frattempo coltivate e maturate nel campo degli studi strategici con i grandi punti di eccellenza della cultura italiana, lo storicismo critico e quel tipo di enciclopedismo che si era appena espresso nell’Enciclopedia Einaudi, la quale dedicava un intero volume, il quindicesimo, a rendere ragione dei criteri sistematici adottati. Ne derivò, nel 1995, un progetto CeMiSS di Enciclopedia delle scienze della sicurezza e difesa, notevolmente diverso dall’enciclopedia americana (6). Quest’ultima è infatti orientata essenzialmente sulle singole tematiche strategiche e militari, mentre il progetto italiano dava molto più risalto agli aspetti teorici, nonché alla storia e all’epistemologia dell’apporto che tutte le scienze umane, e non soltanto quelle militari, hanno dato alla formazione della moderna cultura della guerra e della pace, della sicurezza e della difesa. Per questa ragione il progetto era incentrato su un nucleo di 63 voci (7) a carattere generale, sistematico, storico-critico e possibilmente innovativo (es. “eziologie della guerra”), 29 come nell’Enciclopedia Einaudi. Si fissavano inoltre precisi e dettagliati criteri metodologici per la redazione delle voci maggiormente impegnative dal punto di vista teoretico, in modo da renderle omogenee ed eventualmente pubblicabili in volume separato. Le altre voci erano a carattere più informativo, in linea di massima corrispondenti a quelle dell’IMADE. Tuttavia, per ragioni teoretiche e didattiche, si introduceva anche qui un elemento sistematico, individuando 22 “lemmi-chiave” (8) sotto i quali venivano raggruppate quasi metà delle voci (204 su un totale di 498). E’ molto importante sottolineare che proprio l’impianto “storicista” del progetto italiano portò ovviamente ad escludere le voci a carattere storico o biografico, che invece appesantiscono l’IMADE. Da un lato non erano necessarie, dal momento che già nel 1995 esistevano, anche in traduzione italiana, numerosi e non disprezzabili dizionari storico-militari, dedicati agli armamenti, alla biografia, ai conflitti e battaglie, a singole nazioni (come la Francia e gli Stati Uniti). Ma si considerò soprattutto che costellare l’Enciclopedia di voci cosiddette “storiche” sarebbe stato del tutto fuorviante rispetto all’intento scientifico del progetto. Lungi dal vilipendere una cosa seria come la storia militare confinandola in 100 o 10.000 voci banalmente informative e “narrative”, si trattava piuttosto di dedicarle una sola, ma buona, voce sistematica, che informasse il lettore sull’origine, la funzione scientifica, gli sviluppi, il valore cognitivo, l’influenza sulla formazione del pensiero strategico, le “scuole” in cui si divide tale complessa disciplina. La vera sfida culturale, la vera necessità scientifica era invece fare in modo che l’approccio storicista permeasse e vivificasse proprio le voci destinate a presentare al lettore lo sviluppo e la funzione delle altre “applicazioni militari” delle scienze umane, soprattutto quelle più “refrattarie” a tale trattamento critico: dalla strategia all’“arte militare” (o “teoria delle operazioni”), dalla sociologia militare alla geopolitica, dalla polemologia alla teologia della guerra. Pur esprimendo a voce un certo scetticismo sulla possibilità che la cultura italiana fosse in grado di promuovere e realizzare, pur con tutte le opportune integrazioni di autori stranieri, un progetto tanto ambizioso, il ministro pro tempore, Beniamino Andreatta, approvò la proposta del CeMiSS, incaricando il generale Jean, allora presidente del CASD, della direzione scientifica e del piano editoriale. Quest’ultimo si basava giustamente sulla cooperazione con l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, con il quale fu presto raggiunta un’intesa di massima. Purtroppo le temporanee difficoltà amministrative dell’Istituto, allora presieduto dal Nobel Rita Levi Montalcini, aggiornarono la realizzazione del progetto, malgrado una prima individuazione dei direttori di sezione e degli estensori delle voci, in gran parte designati, per merito e competenza, nella nuova generazione di studiosi che, anche col sostegno del CeMiSS, si è formata nell’ultimo decennio. La destinazione del generale Jean ad altro importante incarico internazionale e un certo clima di stanchezza e provvisorietà determinatosi a seguito del processo di ristrutturazione e contrazione del ministero della Difesa non hanno finora consentito di rivitalizzarlo. 7. L’impatto delle due “professionalizzazioni”, militare e universitaria Nella seconda metà degli anni Novanta la cooperazione militare-civile nel campo delle scienze umane ha subito, non solo in Italia ma più in generale in Europa, l’impatto di due mutamenti sociali paralleli, da un lato la “professionalizzazione” delle Forze Armate e dall’altro quella dell’università. Il loro effetto congiunto sugli studi strategici italiani è stato di appannare la dimensione della ricerca e di enfatizzare la didattica. Da un lato la pur lenta anemizzazione del servizio militare obbligatorio in vista della sua prevista soppressione ha privato fin d’ora le Forze Armate delle professionalità potenzialmente apportate dai coscritti, che, sia pure in misura del tutto casuale e inadeguata, si era talora riusciti a valorizzare, come dimostra la bella esperienza, purtroppo ormai quasi conclusa, dei soldati ricercatori del CeMiSS: una sola squadra in servizio attivo ... ma, volendo e sapendoci fare, un’intera compagnia di riservisti! (9). 30 Dall’altro lato la riconversione del ruolo strategico delle Forze Armate italiane, che assegna la priorità assoluta (e quasi esclusiva) alla partecipazione alle missioni di pace fuori del territorio nazionale, ha modificato il profilo professionale e il bagaglio culturale richiesto per le varie categorie del personale militare (ufficiali, sottufficiali e truppa). Si è pertanto configurata una sorta di “emergenza formazione” (riflessa perfino nella nuova denominazione data al vecchio Ispettorato delle Scuole dell’Esercito), ulteriormente complicata dalla questione degli incentivi all’arruolamento volontario, da cui deriva la necessità di mediare le esigenze strettamente militari con quella di poter ricollocare una parte del personale più anziano sul mercato del lavoro o nelle forze di polizia e con quella di poter sufficientemente amalgamare militari dei due sessi. Ciò è avvenuto proprio mentre il vecchio modello dell’università entrava in crisi. Inevitabilmente, l’eccessiva resistenza all’aggiornamento ha condotto all’implosione delle vecchie facoltà, con una proliferazione indiscriminata di nuovi corsi di laurea e di specializzazione orientati non più sulla formazione culturale di base, ma sulle nuove figure professionali richieste dalla o proposte all’industria e alla società civile. Solitamente questo processo viene indicato come “licealizzazione” dell’università. Il termine non è appropriato, perché il liceo mirava proprio a quella formazione culturale di base, completata poi dagli studi universitari, che oggi è entrata in crisi. Per essere più precisi, si dovrebbe dire che l’università si sta “tecnicizzando”, sta assumendo la funzione un tempo propria degli istituti tecnici e di avviamento professionale. Così si può cogliere un parallelismo non meramente semantico tra le due “professionalizzazioni”, quella dell’università e quella delle Forze Armate. Entrambe si stanno riconvertendo sulla produzione di “skill”, ossia la capacità di svolgere un certo tipo di lavoro. Ma un solo tipo di lavoro. Non si può negare che si tratti a suo modo di una “qualificazione”, ma certamente di livello inferiore rispetto alla formazione generale che un tempo sia l’università che le scuole di guerra e le stesse accademie militari erano in grado di assicurare. Non v’è dubbio che la recente concessione (perfino retroattiva, ma a domanda) di titoli di studio universitari (diploma, laurea e master in “scienze strategiche”) agli ufficiali provenienti dai corsi regolari (v. infra, II) viene incontro ad una richiesta della “base” che si era andata affacciando già dal Sessantotto ed è stata poi ripresa dagli organi della Rappresentanza militare. Essa non riguarda però in alcun modo la questione scientifica del sapere militare: basti osservare, a tale proposito, che il titolo accademico non può essere in alcun modo disgiunto dal conferimento del grado e dall’immissione nei ruoli, né conseguito da diverse categorie di potenziali aspiranti. Ciò è tanto più paradossale se si pensa che anche la denominazione adottata (“scienze strategiche”), se può essere accettabile per il master, è poco congruente con l’oggetto degli insegnamenti da cui conseguono il diploma e la laurea. Basta, a tal fine, confrontare la qualificazione propriamente “strategica” assicurata dai corsi modenese e torinese con quella ben più vasta richiesta ai militari di leva impiegati quali ricercatori presso il CeMiSS, tutti laureati in scienze politiche, sociali ed economiche o in giurisprudenza, generalmente con tesi in relazioni internazionali, storia militare, studi strategici e simili. In realtà l’aspirazione al titolo accademico “speciale” è piuttosto una “spia”, raggelante, dello scarso orgoglio che molti degli stessi ufficiali, soprattutto delle nuove leve, sembrano avvertire per la propria commission, come se non considerassero sufficiente e anzi superiore l’onore delle spalline. Sicuramente sono prevenuto, perchè, insomma, questo connubio “post-eroico” e italiano tra grado militare e grado accademico è anche una pugnalata a tradimento al povero giureconsulto Cristoforo Lanfranchino, che tanto si era affaticato de miltum et doctorum praeferentia. Molto è cambiato, per fortuna, dalla Prussia di Theodor Fontane, quando i professori sognavano di poter barattare la cattedra con le spalline di sottotenente e intanto educavano gli studenti liceali a uccidere e morire per la grandezza della patria. Ma viene ancora a proposito la splendida risposta del feldmaresciallo prussiano Bluecher (idolatrato dai suoi uomini, che lo chiamavano Alte Vorwaerts, “il Vecchio ‘avanti’”) alla 31 notizia di essere stato insignito di una laurea honoris causa per la vittoria di Waterloo: “se fate me dottore, dovete fare Gneisenau farmacista” (alludendo al ruolo svolto dal suo capo di stato maggiore, subentrato nel 1813 a Scharnhorst, caduto sul campo dell’onore). Non sembra che le Forze Armate, né in Italia né negli altri paesi europei, abbiano finora pienamente avvertito la portata del mutamento culturale in atto e la sfida che esso rappresenta per la stessa permanenza e trasmissione del sapere scientifico militare. Naturalmente la sfida riguarda tutte le scienze umane, ma non tutte corrono i medesimi rischi. Per fare un esempio è evidente che la scienza giuridica non si può ridurre alla mera sommatoria delle cognizioni richieste per lavorare quale “operatore del diritto” (magistrato, avvocato, poliziotto ...) o quale docente della facoltà di giurisprudenza. Purtroppo è meno evidente, anche agli stessi stati maggiori, che la scienza militare non è la semplice sommatoria degli skill assicurati dalla formazione militare. Ciò è tanto più rischioso quanto più uno strumento militare - come sta accadendo a quelli europei, con l’eccezione inglese viene riconvertito ad un unico compito, vale a dire le missioni di pace all’estero. Beninteso la professionalizzazione parallela delle Forze Armate e dell’università ha prodotto almeno un effetto positivo, perché ha rimosso quasi di colpo gli ostacoli alla loro collaborazione. La necessità di doversi riconvertire dall’economia della rendita a quella del mercato ha spazzato via i pregiudizi aristocratici e moralistici a lungo coltivati dall’accademia italiana nei confronti dei militari, mentre il fatto di cominciare a comportarsi da clienti ha indotto i militari a diventare più esigenti e ad attenuare il senso di inferiorità e la deferenza un po’ ridicola che in passato dimostravano nei confronti dei “professori”. Ma c’è da segnalare che questa nuova e più intensa cooperazione con l’università avviene sul terreno della formazione e non più, come in passato, sul terreno della ricerca. In linea di principio non c’è alcuna ragione per la quale non sia possibile coltivare il rapporto ad entrambi i livelli. Ma bisogna sottolineare con forza che si tratta di due questioni qualitativamente del tutto diverse, perché ogni fungibilità sarebbe fatalmente governata dalla legge di Gresham. Un conto è diplomare i volontari in ferma prolungata, un altro produrre la carta etnica dell’Albania saggiamente acquistata in edicola dall’accorto generale Forlani prima di partire per la missione “Alba”. Note (1) V. Ilari, Guerra civile, Ideazione, Roma, 2001. (2) Lo storico delle istituzioni militari è indotto a interrogarsi non solo sulle ovvie differenze, ma anche sulle meno scontate analogie che si potrebbero istituire tra questi istituti strategici nazionali e i dépots de la guerre e de la marine creati in Francia alla fine del Seicento per raccogliere in modo sistematico tutti gli studi, le memorie, le carte e i documenti utili per pianificare la guerra e le campagne militari. L’interesse storico dell’analogia è duplice. Da un lato, infatti, i due dépots francesi e gli enti analoghi delle altre nazioni favorirono la nascita delle scienze militari, in particolare con lo sviluppo della geografia, della cartografia, della statistica e della storia militare (che allora era coltivata per scopi pratici e immediati, cioè per trarne non solo ammaestramenti generali e formazione culturale, ma anche informazioni e previsioni operative). Ma dall’altro segnarono un salto di qualità nel sistema di comando dell’antico regime, fino a quel momento basato esclusivamente sull’imperium, introducendovi il principio del consilium, attorno al quale presero poi lentamente corpo la centralizzazione delle decisioni e la moderna organizzazione degli stati maggiori centrali. (3) Cfr. V(irgilio) Ilari e P(iero) V(isani), “Il campo di studio della politica militare e il suo sviluppo in Italia”, in Politica Militare, III, N. 8, giugno 1981, pp. 25-34. V. Ilari, “Gli studi militari in Italia”, in Rivista Militare, 1982, N. 2, pp. 13-. V. Ilari e Sergio A. Rossi: “Gli studi strategico-militari in Italia”, in Politica Militare, IV, N. 13, luglio-agosto 1982, pp. 21-44. V. Ilari, “Military Studies in Italy: A Historical Introduction to the Problem”, in Trend in Strategic Studies, International Meeting, Turin, 9-12 December 1982, Centro Studi Manlio Brosio, pp. 41-45. Id., “Istituti universitari o privati italiani”, in Informazioni parlamentari della Difesa, dicembre 1982 - gennaio 1983. Id., “Cultura universitaria e cultura militare”, fascicolo di documentazione ciclostilato di 128 pp. diffuso nel convegno di studio indetto dalla Rivista Militare nel 1983 sul tema “La sicurezza e la condizione militare in Italia”, una cui breve sintesi è stata pubblicata in Rivista Militare, Quaderno N. 2 (“Atti del convegno di studio”), 1984, pp. 96-101. Id., “Gli studi strategici in Italia. Bilancio di un triennio”, in Strategia Globale, N. 5, 1° semestre 1985, pp. 199-230. Id., “Italy”, in Luc Reychler and Robert Rudney (Eds.), Directory Guide of European Security and Defense Research, Leuven University Press and 32 Pergamon Brassey’s, 1985, pp. 181-205. Id., “‘Cultura militare’ e ‘nazione guerriera’ (1925-1943), in Ferruccio Botti e V. Ilari, Il pensiero militare italiano dal primo al secondo dopoguerra 1919-1949, USSME, Roma, 1985, pp. 273-338. Id., “Gli ufficiali di stato maggiore e la riforma degli studi militari”, ibidem, pp. 563-582. Id., “Cultura militare e cultura universitaria per gli ufficiali italiani dal dopoguerra ad oggi”, in Giuseppe Caforio e Piero Del Negro (cur.), Ufficiali e società, Milano, Angeli, 1988, pp. 465-502. Paolo Ungari, Raimondo Luraghi, Virgilio Ilari e Michele Nones, Studi strategici e militari nelle università italiane, Rapporto di Ricerca N. 29, CeMiSS, Roma, ed. Rivista Militare, 1990. (4) La Rivista Militare era in grado di stampare, ma non di distribuire le pubblicazioni del CeMiSS. La veste tipografica era inoltre scoraggiante (micidiali copertine color carta da zucchero). L’accordo con la Franco Angeli non ha risolto il problema e semmai ha ulteriormente rarefatto la circolazione, a causa delle tirature limitate (che impongono prezzi unitari eccessivi e compromettono la distribuzione) e dell’assoluta mancanza di pubblicità. Il risultato è che non solo la collana CeMiSS è pressoché sconosciuta, ma addirittura neppure le biblioteche specializzate (forse nemmeno quella del CASD!) ne possiedono una serie completa (neppure chi scrive ha potuto evitare varie dolorose lacune, nonostante continue richieste condotte con la più ottusa, importuna ed esasperante petulanza abruzzese integrata da periodiche, brutali “perquisizioni” lance et licio). (5) Sonia Lucarelli e Roberto Menotti, “Le relazioni internazionali nella terra del Principe”, in Rivista Italiana di Scienza Politica, n. 2, 2002 (in corso di pubblicazione: per cortese anticipazione degli autori). (6) Confronto tra le 17 sezioni tematiche dell’International Military and Defense Encyclopaedia (Brassey’s 1992) e le 12 previste dal progetto di Enciclopedia delle scienze della sicurezza e della difesa (CeMiSS, 1995) IMADE 1992 Sezioni Aerospace Forces and Warfare Combat Theory and Operations Leadership,. Command and Management Countries, Regions and Organizations Armed Forces and Society History and Biography Land Forces and Warfare Logistrics Manpower and Personnel Materiel and Weapons Naval Forces and Warfare Technology, Research and Development Military Theory and Operations Research Defense and International Security Policy Military and International Security Law Military Intelligence General Military TOTALE VOCI (7) Progetto CeMiSS 1995 voci 30 68 20 135 19 158 49 35 40 37 33 49 14 33 13 22 46 801 Sezioni 1. Arte Militare 2. Sociologia e psicologia militare 3. Diritto e organizzazione militare 4. Informazioni militari 5. Scienze e tecnologie militari 6. Politica internazionale 7. Politica militare 8. Economia della difesa 9. Diritto internazionale bellico 10. Etica e filosofia del diritto 11. Scienze Militari 12. Modelli e dottrine nazionali TOTALE VOCI voci 152 18 59 29 60 32 28 21 51 24 9 15 498 (non erano previste voci a carattere storico, biografico e nazionale ) Le 63 voci a carattere sistematico previste dal progetto di “Enciclopedia delle scienze della sicurezza e della difesa” (CeMiSS 1995) erano le seguenti: Architettura militare - Arte militare - Demografia militare - Difesa (diritto costituz. comparato) - Difesa (diritto costituz. italiano) - Diritto internazionale bellico - Diritto penale militare - Ecologia militare Economia internazionale - Economia militare - Elettronica militare - Ergonomia militare - Geoeconomia - Geografia militare - Geopolitica - Geostrategia - Guerra (antropologia) - Guerra (comunicazioni sociali) - Guerra (diritto costituz. comparato) - Guerra (diritto costituz. italiano) - Guerra (diritto internazionale) - Guerra (etologia) - Guerra (eziologie della) - Guerra (fantascienza) - Guerra (filosofia morale) - Guerra (studi sulla differenza sessuale) - Guerra (ideologia della) - Guerra (letteratura di) - Guerra (psicanalisi) - Guerra (teoria economica) - Guerra (teoria politica) - Iconografia militare - Informatica militare - Idrografia e Oceanografia militari - Ingegneria militare - Intelligence (teoria dell') Intelligenza artificiale - Istituzioni militari (ordinamento) - Istituzioni militari (sociologia) - Istituzioni militari (teoria politica) - Logistica - Medicina militare - Meteorologia militare - Organica - Organizzazione militare - Pace (filosofia del diritto) - Pace (ricerca sulla) - Pedagogia militare - Polemologia - Politica internazionale - Politica militare - Psichiatria militare - Ricerca militare (Scienza e tecnologia) - Ricerca operativa - Robotica militare - Scienze e tecnologie militari Simulazione operativa - Sociologia militare - Statistica militare - Storia militare - Strategia - Studi militari e strategici Tattica - Topografia militare. 33 (8) I 22 lemmi generali comuni a 3 o più voci erano i seguenti: "Guerra" (35 voci) - "Difesa" (22) - "Forze" (21) "Sistemi" (18) - Operazioni" (15) - "Informazioni" (13) - "Personale" (13) - "Servizi" (8) - "Armamenti" (8) - "Armi" (7) "Pace" (7) - "Manovra" (5) - "Geo-" (4) - "Mezzi" (4) - "Sicurezza" (4) - "Codificazione" (4) - "Industria" (3) - "Istituzioni militari" (3) - "Potere" (3) - "Ricerca" (3) - "Spese militari" (3). (9) tale si considerava l’Associazione degli ex-ricercatori Cemiss (ARC) fondata nel 1996 e coordinata dal dottor Angelo Pirocchi, cultore della materia presso la cattedra di storia delle istituizioni militari della Cattolica di Milano nonché contitolare della Libreria Militare di Milano, aperta nel 1997 e specializzata nei tre settori della storia militare, degli studi strategici e della geopolitica. Fonti deglle rassegne allegate al presente saggio. Le notizie riferite nei tre allegati sui nuovi titoli di studio militari (II), sui master in peacekeeping (III) e sulle cattedre di studi strategici e centri di studio connessi (IV) sono state raccolte grazie alla collaborazione di gran parte degli stessi interessati, ovvero desunte da un documnento interno dell’ISSMI consultato presso il CeMiSS, dalla circolare n. 1203/RS/2.1050 del 19 marzo 2001 dell’Ispettorato per la Formazione e la Specializzazione (Esercito) e dai siti web degli Enti citati (questi ultimi raccolti da collaboratori della cattedra di storia delle istituzioni militari, in particolare il laureando Lorenzo Guietti). II. I nuovi titoli di studio militari* *Venendo incontro ad una istanza già sollevata già alla fine degli anni Sessanta dalla pubblicistica militare e rivendicata dagli organismi cerntrali della Rappresentanza Militare, nel 2000 l’Ispettorato della Formazione e Specializzazione dell’Esercito ha stipulato una convenzione con l’Università di Torino per il riconoscimento di un diploma e di una laurea in “scienze strategiche” esclusivamente riservati ai sottotenenti e ai tenenti in s. p. e. provenienti dai corsi regolari dell’Accademia di Modena e della Scuola d’Applicazione di Torino , in aggiunta all’“avvicinamento alla laurea” in ingegneria, giurisprudenza e scienze politiche, economiche, matematiche, fisiche e naturali già riconosciuto dalla legge 23 giugno 1990 n. 169. Analoga convenzione è stata stipulata, sempre con l’università di Torino, per un “master in scienze strategiche” corrispondente al corso normale di stato maggiore, integrato da un “corso pluritematico”, ristretto e facoltativo. Una terza convenzione, per un master di secondo livello in “studi internazionali e strategico-militari” da tenersi presso l’Istituto Superiore Stati Maggiori Interforze (ISSMI) di Roma, è stata stipulata, sempre nel 2000, dallo stato maggiore Difesa con le università di Milano (Statale) e Luiss Guido Carli di Roma. 1. Il diploma e la laurea in scienze strategiche di Torino (2001) La legge 23 giugno 1990, n. 169, impegna le facoltà di ingegneria, giurisprudenza e scienze politiche, economiche, matematiche, fisiche e naturali, a riconoscere validi, ai fini dell’ammissione ai loro corsi di laurea, gli esami sostenuti dagli ufficiali in servizio permanente provenienti dai corsi regolari delle Accademie e Scuole di Applicazione, sulla base della loro corrispondenza con gli esami previsti dai rispettivi piani di studio. Le discipline interessate sono quelle insegnate, sulla base di particolari convenzioni tra le Accademie e Scuole d’Applicazione e le università statali viciniori e nel rispetto delle condizioni previste dall’art. 3 della citata legge, da docenti di ruolo incardinati in tali università. I tenenti e sottotenenti di vascello provenienti dai corsi regolari conseguono pertanto il cosiddetto “avvicinamento” alla laurea, con facoltà di conseguirla presso qualsiasi facoltà di loro scelta sostenendo gli esami necessari per completare il piano di studio (2 per giurisprudenza) e l’esame finale di laurea. A tale opportuno riconoscimento del livello di istruzione acquisito negli istituti militari, se ne è aggiunto nel 2000, per i soli ufficiali dell’Esercito, uno ulteriore. Non già in base ad una legge, ma in virtù di una delibera dell’università di Torino, a sua volta conseguente da apposita convenzione stipulata con l’Ispettorato Formazione e Specializzazione dell’Esercito. 34 Nell’ambito dell’autonomia universitaria, l’ateneo subalpino ha a tal fine istituito un corso di laurea interfacoltà di cosiddette “scienze strategiche”, corrispondente - con marginali modifiche - al complesso degli insegnamenti impartiti presso l’Accademia di Modena e la Scuola d’Applicazione di Torino. In aggiunta alla laurea, è stato istituito un diploma corrispondente al primo biennio di formazione, compiuto presso l’Accademia di Modena. In quest’ultimo caso la denominazione “studi strategici” appare alquanto impropria, considerato che, come si evince dal piano di studi del biennio, l’insegnamento qualificato “studi strategici” è in realtà quello di “arte militare”, impartito da un docente militare. Del resto la stessa università ammette implicitamente che, sotto il profilo della formazione, i cambiamenti apportati al precedente piano di studi sono irrilevanti, dal momento che estende il conferimento della laurea in scienze strategiche anche agli ufficiali effettivi delle Varie Armi e dei Corpi amministrativi e logistici dell’Esercito provenienti dai corsi anteriori alla riforma del piano. Estensione peraltro non automatica, bensì a domanda e mediante il pagamento di una tassa di lire 500.000. Sotto il profilo dell’ordinamento delle Forze Armate, l’iniziativa dell’Esercito non ha mancato di sollevare delicati problemi giuridici, a cominciare dal caso degli ufficiali dei Carabinieri provenienti dai corsi anteriori alla recente trasformazione dell’Arma in quarta Forza Armata (è auspicabile che la soluzione non sbocchi, per analogia lessicale col celebre amaro, in una laurea in “scienze del carabiniere”). Il C.d.L. interfacoltà in scienze strategiche, costituito dal complesso dei corsi svolti presso la Scuola d’Applicazione da docenti di ruolo delle quattro facoltà torinesi interessate, integrato dal ricoscimento dei corsi svolti da docenti militari e di quelli, militari e civili, svolti nel primo biennio presso l’Accademia di Modena, ha per fine “l’acquisizione di adeguate conoscenze di metodi e contenuti culturali, scientifici e professionali nell’ambito delle discipline militari”. In base ai profili professionali previsti dalla formazione degli ufficiali effettivi dell’Esercito (Corpo d’amministrazione, Armi di linea, Trasmissioni, Genio e Corpo Trasporti e Materiali), il corso si articola in 3 indirizzi (“amministativo”, “politico organizzativo” e “tecnico”) corrispondenti il primo (IA) alle facoltà di giurisprudenza e scienze economiche, e gli altri due, rispettivamente, a quelle di scienze politiche (IPO) e di scienze matematiche, fisiche e naturali (IT). Quest’ultimo si articola a sua volta in 3 “orientamenti” professionali: “trasmissioni” (IT-OT), “genieri” (IT-IG) e “trasporti e materiali” (IT-OTM). Dal punto di vista strettamente accademico gli indirizzi sono dunque in sostanza i vecchi (e tuttora validi) “avvicinamenti”, con l’unica aggiunta dei corsi professionali svolti da docenti militari e di un certo risalto dato a tre insegnamenti preesistenti e comuni al normale corso di laurea in scienze politiche, vale a dire “scienze strategiche (corso avanzato)”, “storia militare” (in realtà corrispondente al corso ordinario di “storia delle istituzioni militari”) e “sociologia militare” (sul contenuto di questi corsi, v. infra, IV). Il corso è riservato esclusivamente agli allievi ufficiali in servizio permanente effettivo dell’Esercito. Il numero degli studenti da ammettere ai singoli anni è pertanto determinato annualmente dall’Accademia di Modena e dalla Scuola d’Applicazione di Torino, di concerto con le locali università. Queste ultime sono “coinvolte”, assieme al ministero della Difesa, nella determinazione dei criteri per la composizione della commissione esaminatrice dei candidati al concorso di reclutamento indetto dall’Accademia. Il corso ha durata quadriennale, con un biennio comune, da svolgersi presso l’Accademia, che comporta l’acquisizione del diploma universitario in studi strategici, e in un biennio di indirizzo da svolgersi presso la scuola di Torino. La scelta dell’indirizzo è compiuta al termine del secondo anno accademico dai diplomati. La laurea viene rilasciata dalla facoltà corrispondente all’indirizzo ovvero (nel caso dell’indirizzo amministrativo) alla materia in cui lo studente ha scelto la tesi. La struttura e le attività didattiche del biennio di indirizzo sono disciplinate da apposito regolamento e coordinate da un consiglio di corso di laurea. Le attività didattiche previste per il primo biennio 35 ammontano a un totale di 910 ore di lezioni accademiche e circa 200 ore in aggiunta da destinare a cicli di lezioni integrative, attività di tutorato, laboratori, lettorati, esercitazioni. Per il secondo biennio ammontano ad altre 910 ore (tranne che per il terzo indirizzo, “orientamento genieri”, dove sono ridotte a 805). Le discipline del primo biennio sono 13 (sono contrassegnate da asterisco quelle comuni ai corsi di laurea ordinari della facoltà di scienze polutiche di Torino): •8 comuni civili: geografia politica ed economica; istituzioni di economia politica*; istituzioni di diritto pubblico*; linguistica inglese*; statistica*; storia contemporanea*; informatica generale; sociologia*; •3 comuni professionali: topografia; studi strategici (arte militare); sistemi organizzativi (ovvero tecnologia e sistemi d’arma). •2 di indirizzo a scelta fra 4: istituzioni di diritto privato italiano e comparato* (IA); fisica generale (IPO, IT); istituzioni di matematiche (IT); matematica generale (IA, IPO) Le discipline del secondo biennio sono complessivamente 35, variando ovviamente a seconda degli indirizzi e orientamenti, con la seguente distribuzione: a) 4 materie comuni a tutti gli indirizzi (IA, IPO, IT): •2 generali: antropologia culturale e tecniche di comunicazione di massa; •2 applicate: diritto internazionale (d.i. bellico) e teoria dell’organizzazione (logistica integrata); b) 5 materie comuni a più indirizzi e orientamenti: •1 comuni a IA, IPO, IT-OT e IT-OTM: contabilità di stato •4 comuni a IPO e IT-OT, IT-OG e IT-OTM: 1 seconda lingua (a scelta francese, tedesca o spagnola) e 3 applicate: storia militare (corrispondente al corso ordinario di storia delle istituzioni militari)*, sociologia militare (corso avanzato)*, chimica organica applicata; c) 10 materie esclusive dell’indirizzo amministrativo (IA) •7 generali: diritto amministrativo, diritto del lavoro, diritto commerciale, economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, macroeconomia (scienza delle finanze), matematica finanziaria, diritto delle comunitò europee •3 applicate: diritto amministrativo militare, diritto penale militare, merceologia dei prodotti alimentari; d) 6 materie esclusive dell’indirizzo politico organizzativo (IPO): •3 generali: politica ecomica e finanziaria*, storia del pensiero politico contemporaneo (corrispondente ai corsi ordinari di filosofia della politica e storia delle dottrine politiche)*, relazioni internazionali*; •3 applicate: studi strategici (corso avanzato)*, fondamenti di meccanica teorica e applicata (balistica) e teoria e tecnica della circolazione (militare); e) 16 materie esclusive dell’indirizzo tecnico (IT): •2 comuni a IT-OT e IT-OTM: istituzioni di matematiche (complementi) e fisica dei dispositivi elettronici; •1 comune a IT-OG e IT-OTM: chimica e tecnologia dei materiali; •4 esclusive dell’IT-OT: teoria dell’informazione (e della trasmissione), comunicazioni elettriche, onde elettromagnetiche (antenne e propagazione) e sistemi di elaborazione dell’informazione (reti di telecomunicazione); 36 •6 esclusive dell’IT-OG: tecnica delle costruzioni, strumentazioni fisiche (fisica tecnica), meccanica razionale, metallurgia, tecniche della rappresentazione e tecnica dei lavori (stradali, ferroviari e aeroportuali); •3 esclusive dell’IT-OTM: diritto dei trasporti, teoria e tecnica dei veicoli terrestri, metodi e modelli per la logistica. 2. Il master in scienze strategiche di Torino Nel marzo del 2001 lo stato maggiore dell’Esercito ha firmato altra convenzione con l’Università di Torino per integrare il corso obbligatorio annuale di stato maggiore (che nella fase “residenziale”, vale a dire nei secondi 5 mesi, si svolge presso il distaccamento della Scuola di guerra ubicato presso la Scuola di applicazione di Torino), con un “corso pluritematico” facoltativo, a carattere universitario. Quest’ultimo è riservato, a domanda, agli ufficiali laureati risultati idonei al termine del corso obbligatorio di stato maggiore e che abbiano superato l’ulteriore processo selettivo previsto dallo SME - Reparto Impiego del Personale. L’insieme dei due corsi, complementari ed interagenti, consente il conseguimento di un master di secondo livello in scienze strategiche pari complessivamente a 60 crediti formativi universitari (CFU). L’obiettivo del corso obbligatorio è la capacità di: •a) operare presso Comandi Operativi Intermedi e/o in Orgasmi di Vertice di Forza Armata e/o in Comandi Terrestri Multinazionali, esercitando adeguatamente le responsabilità professionali in incarichi di staff; b) valutare problemi di natura socio-economica aventi riflessi sulle operazioni e pianificare le conseguenti azioni; c) assolvere compiti nelle aree di insegnamento/coordinamento didattico presso gli Istituti Militari di formazione. Il corso di stato maggiore, con circa 200 frequentatori, comporta 30 CFU e si articola in 8 moduli didattici: •1. “leadership” e strategie di comunicazione; 2. gli scenari funzionali; 3. strumenti e strategia operativa I; 4. utilizzo degli strumenti (WAR); 5. utilizzo degli strumenti (OOTW); 6. lo scenario Training Mission Oriented; 7. Utilizzo interdisciplinare degli strumenti. Oltre alle discipline professionali (CIMIC-COCIM, EPC, tattica, logistica, servizio informazioni, organica e scienza di progetto, sistemi C4, arte militare aerea) vari moduli del corso obbligatorio impiegano anche “storia e antropologia culturale”, “strategia globale” e “diritto delle operazioni militari”. Obiettivo del corso facoltativo è la capacità di: •a) applicare strumenti scientifici per analizzare il rapporto tra eventi sociali, politici ed economici nazionali e internazionali, e la strategia operativa relativa all’impiego delle unità militari nazionali e multinazionali, negli scenari terrestri di riferimento; b) svolgere attività didattica nello specifico settore e di gestione degli strumenti della comunicazione pubblica. Il corso facoltativo, con circa 80 frequentatori selezionati dal Reparto Impiego del Personale, comporta 30 CFU e si articola in 5 moduli, integrati da seminari interdisciplinari: •1. gestione strategica delle risorse; 2. strategia operativa II; 3. geografia antropologioca economica e politica; 4. strategia politica; 5. strategia economica. Le “discipline” impiegate nello svolgimento di tali moduli sono estrapolazioni dalle scienze politiche, economiche e della comunicazione, dalla ricerca operativa e dal diritto internazionale. 37 L’organizzazione del corso pluritematico è devoluta alla Scuola di Applicazione/Università di Torino. Il corso comprende attività didattiche e le prove valutative nelle discipline di insegnamento e si conclude con una valutazione finale secondo gli standard e le modalità universitarie. Il conseguimento del master viene annotato nel foglio matricolare. I programmi di insegnamento, le attività didattiche e le prove valutative sono programmati d’intesa tra l’Università di Torino e l’Ispettorato per la Formazione e la Specializzazione dell’Esercito, previo accordo con i consigli delle facoltà interessate allo sviluppo degli insegnamenti. L’attività didattica è coordinata dal consiglio del corso, composto da rappresentanti della Scuola d’Applicazione e dell’Università di Torino, secondo quanto stabilito dal relativo regolamento. Il corso è inquadrato da un comandante e due tutors individuati e designati con procedura di impiego accentrata e posti nella posizione di comandati. 3. Il master di 2° livello in studi internazionali strategico-militari Nel 2000 anche lo stato maggiore della Difesa ha stipulato una convenzione con le Università di Milano e Luiss “Guido Carli” di Roma per la gestione congiunta di un master di secondo livello in “studi internazionali e strategico militari”, promosso dal professor Carlo Maria Santoro, già sottosegretario alla Difesa nel governo Dini. La convenzione - idealmente ma non fedelmente ispirata al progetto Ungari-Luraghi (CeMiSS, 1990) - riprende e istituzionalizza piuttosto una esperienza formativa sperimentale avviata già nel 1995-96 dal generale Jean, durante la sua presidenza del CASD, quando gli ufficiali frequentatori seguirono cicli di lezioni e seminari affidati a docenti esterni. Secondo la presentazione reperibile nel sito web dell’università degli studi di Milano (http://www.spolitiche,unimi,it/master-strategico.html) il master si svolge in parte presso l’università e in parte a Roma presso il CASD, con un numero minimo di 5 partecipanti e un massimo di 50, una quota di iscrizione di 5 milioni e un riconoscimento di 60 crediti formativi universitari (CFU). Apparentemente si ricava dal sito che è ammessa la partecipazione di persone estranee alla pubblica amministrazione e alle Forze Armate. Secondo il web, il master è coordinato dal professor Carlo Maria Santoro, titolare delle cattedre milanesi di relazioni internazionali e studi strategici nonché presidente del “comitato ordinatore”, composto dal presidente del CASD, dal direttore dell’ISSMI (generale Mario Majorani), da 5 professori (Alberto Martinelli, Gabriella Venturini, Giuseppe Bognetti, Pierluigi Lamberti Zanardi e Pier Alessandro Colombo) e da 3 ufficiali (generali Francesco Rizzi e Dario Marchiondo e capitano di vascello Ernesto Pullano). Il sito milanese indica un impegno di 32 settimane in 4 fasi (3+15+10+4) e un’articolazione su 23 corsi o discipline, così classificate: •7 fondamentali per complessivi 30 CFU (relazioni internazionali e politica comparata, scienza politica, studi strategici, storia militare, diritto internazionale e delle organizzazioni internazionali, economia politica e sviluppo manageriale); •7 discipline integrative per complessivi 21 CFU (diritto pubblico, politica economica internazionale, storia delle relazioni internazionali, teorie dell’organizzazione, sociologia e psicologia militare, diritto internazionale umanitario) •9 discipline specialistiche per complessivi 9 CFU (dottrina e strategia terrestre, navale, area e NATO, giustizia militare e giustizia amministrativa, dirigenza militare, operazioni interforze, impiego delle FF.AA. in ambito nazionale, gestione delle crisi e dell’emergenza, normativa e regolamenti interforze e interministeriali, diritto delle operazioni militari diverse dalla guerra,. politica militare). La lista delle cosiddette “discipline specialistiche” può, a voler essere davvero molto buoni, essere considerata un appunto amatoriale. Ma anche il resto delle informazioni fornite dal sito web non 38 sembra ben collimare con quanto si ricava dallo schema (peraltro ancora provvisorio) elaborato dall’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (ISSMI), referente militare dell’università. Esso affida infatti la direzione del master ad un comitato congiunto composto dal presidente del CASD e dai presidi delle due facoltà interessate (quella di scienze politiche di Milano e quella di economia e commercio della Luiss) e da un comitato esecutivo composto dal direttore dell’ISSMI e dai direttori di master designati dalle due università. Il comitato congiunto è responsabile della verifica degli obiettivi e dei programmi, nonché degli indirizzi per il Comitato esecutivo, competente per l’attuazione dei programmi. Lo schema ISSMI prevede 5 “aree”, di cui 3 già definite (relazioni internazionali, difesa e strategia, diritto e ordinamenti militari), per un complesso di 12 discipline e 37 CFU e un impegno di 936 ore, di cui 549 di lezione (50 solo master) e 387 di studio, ripartito su 19 settimane, così distribuito per area e disciplina: Area Politica Internazionale Difesa e Strategia Diritto e Ordinam. Mil. Area Pol. Internazionale “ “ “ “ “ “ “ “ Coordinatore prof. Santoro cm.. Ramoino col. Basile Disciplina Scienza Politica RI Politica comparata Storia delle RI Diritto Int. e Org. Int. Diritto Pubblico Ore Settimane CFU 160+240 311+75 78+72 ore 25+25 50+75 25+50 30+70 30+20 5,5 10,5 3 16 15 6 CFU 2 5 3 4 2 Difesa Strategia “ “ “ “ “ “ Studi strategici Politica Militare Storia Militare Dottrine operative 121+15 90+10 50+25 50+25 5 4 3 3 Diritto Ordinamento “ “ “ “ Diritto pubblico mil. Dir. Intern. umanitario Diritto delle Op. Mil. 32+18 20+30 26+24 2 2 2 Restano da definire le discipline e l’impegno orario delle aree Pianificazione e operazioni ed Economia e organizzazione. Lo schema definisce (con una certa pedanteria) i gravosi impegni del coordinatore d’area: •1. costituisce l’elemento di raccordo tra la direzione dell’ISSMI e la docenza esterna; 2. risponde al direttore e al consiglio d’Istituto del conseguimento degli obiettivi di formazione; 3. propone gli obiettivi didattici da conseguire; 4. propone (se richiesto) i nominativi dei titolari di disciplina; 5. in collaborazione con i titolari di disciplina: - progetta il programma, in termini di contenuti e di sviluppo temporale, delle discipline di propria responsabilità; - elabora i documenti di impianto delle esercitazioni; propone modalità e criteri per le verifiche di apprendimento; 6. segue il rendimento complessivo dei frequentatori per rendere efficace l’azione didattica; 7. interviene in sede di discussione dei risultati per osservazioni e commenti sui singoli lavori e in generale: 8. tiene i necessari contatti con il mondo culturale-accademico e militare esterno; 9. partecipa alle riunioni periodiche indette dalla direzione; 10. fornisce gli elementi di valutazione richiesti dalla direzione e le proposte per l’impostazione del corso ISSMI successivo (relazione di fine anno accademico per la propria area). e quelli, alquanto inconsueti per un docente universitario italiano, del titolare di disciplina: •1. rappresenta l’elemento cardine dell’insegnamento della singola disciplina; 2. risponde al direttore dell’ISSMI, tramite il “coordinatore d’area” del conseguimento degli obiettivi e del regolare 39 svolgimento del proprio programma; 3. propone (se richiesto) i nominativi dei conferenzieri necessari ad integrare l’attività didattica; 4. collabora con il coordinatore d’area per: - progettare il programma specifico della propria disciplina; - elaborare i documenti di impianto delle esercitazioni; - proporre modalità e criteri per le verifiche di apprendimento; 5. fornisce il materiale di studio individuale e per le attività di gruppo; 6. verifica preventivamente i contenuti degli interventi dei conferenzieri; 7. partecipa a tutte le lezxioni/conferenze e coordina le attività di gruppo previste per la propria disciplina; 8. svolge l’incarico di moderatore alle tavole rotonde; 9. interviene in sede di discussione dei risultati per osservazioni e commenti sui singoli lavori e in generale; 10. fornisce alla direzione gli elementi di valutazione individuale dei frequentatori e ogni indicazione utile per l’impostazione dei corsi successivi. L’impegno formativo della sessione ISSMI include inoltre altre 135 ore per attività individuali e di gruppo coordinate dalla direzione dell’ISSMI (32 per il “modulo comunicazione e metodologie”, 28 per tesi individuali a tema libero, 45 per tesi di gruppo e 30 per conferenze dei capi e sottocapi di stato maggiore da effettuarsi in comune con i frequentatori dell’Istituto Alti Studi Difesa). III. I programmi di formazione in Peacekeeping* *Nel 2000, dichiarato dall’ONU anno internazionale della cultura della pace, il ministero della Difesa ha stipulato convenzioni con le università di Torino e Roma Tre per la partecipazione di personale militare ai rispettivi master in “peacekeeping”. In precedenza il ministero degli Esteri, la CRI e il CeMiSS avevano inoltre concesso il proprio patronato e sostegno all’International Training Programme for Conflict Management della Scuola Superiore di Sant’Anna dell’ateneo pisano, collegata con analoghi centri e istituti delle università di Essex e della Ruhr (Bochum), nel PIBOES Network, membro fondatore dell’International Association of PK Training Centers. 1. L’Int.l Training Programme for Conflict Management di Pisa (1995) Fin dal 1995 la Scuola Superiore di Sant’Anna dell’università di Pisa ha avviato un programma di addestramento e formazione del personale civile (PC) impegnato nella gestione delle crisi, in operazioni di supporto della pace (PSO) e missioni di osservazione elettorale internazionale (MOEI). Il programma è posto sotto il patronato del ministero degli Esteri e sostenuto dalla CRI e dal CeMiSS. Lo staff del programma, coordinato dal professor Natalino Ronzitti, docente di diritto internazionale, è composto dai professori Andrea de Guttry e Fabrizio Pagani e dai dottori Gabriella Bertolini, Stefano Grassi, Emanuele Sommario, Barbara Carrai e Gabriella Arcadu. Nel periodo 1995-2001 lo staff ha pubblicato 4 libri (sul confronto tra la partecipazione dell’Italia e quella della Germania alle operazioni di PK, sulla crisi albanese del 1997 e sui profili giuridici emersi durante la missione militare Alba) e 29 articoli o saggi, incluso un codice di condotta per le FF. AA. italiane impegnate in PSO. Il programma svolge due tipi di corsi, addestrativi (TC) e di formazione (FC), i primi della durata di 1-2 settimane e con 25-40 partecipanti, gli altri della durata di 4-5 mesi (2 di corso residenziale e 2-3 di internship presso organizzazioni internazionali o non governative operanti sul campo). In aggiunta ai corsi ordinari, ne vengono svolti altri straordinari richiesti e finanziati da amministrazioni nazionali e organizzazioni internazionali. Finora sono stati complessivamente svolti 14 corsi nazionali, 12 addestrativi e 2 di formazione: •6 TC con 40 partecipanti (italiani e stranieri) per PC delle PSO-MOEI, svolti a cadenza annuale a partire dal 1995, i primi in settembre, i più recenti in luglio; •1 TC ristretto a 20 partecipanti italiani, per PC delle PSO-MOEI (1997); 40 •1 TC per il gruppo dei 20 OEI italiani inviato in Albania in occasione delle locali elezioni politiche (1997); •1 TC per 28 OEI dei paesi membri dell’Iniziativa Centro-Europea (CEI) (1998); •1 TC per 16 alti funzionari e ufficiali bosniaci sull’impatto delle operazioni PK sulle comunità nazionali, commissionato dal MAE (1998); •1 TC per 16 diplomatici italiani sulle MOEI, commissionato dal MAE (1998); •1 TC per 15 carabinieri destinati al Reggimento MSU di Serajevo sulle operazioni per il mantenimento della pace in Bosnia-Erzegovina (2000); •1 FC per PC delle PSO-MOEI sostenuto dalla Regione Toscana e dall’Unione Europea (1998); •1 FC di “orientamento e formazione sulle politiche di sviluppo, cooperazione internazionale e diritti dell’uomo” commissionato dalla Comunità Europea (1999); Nel 1997 la Scuola di Sant’Anna ha costituito, assieme ad analoghi centri e istituti delle università di Essex e della Ruhr (Bochum) il PIBOES Network, membro fondatore dell’International Association of PK Training Centers, parte del Thematic Network on Humanitarian Development Studies nel quadro del progetto SOCRATES della Comunità Europea e collegato con l’International Foundation for Election System (IFES). Il PIBOES è posto sotto il patronato dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, della Commissione Europea e dell’Ufficio OSCE per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani. Nel 1998 il PIBOES ha concepito il programma “Professional Capacity Building for Human Rights Field Officers”, quale “cornice istituzionale per una serie di attività di formazione, ricerca e consulenza nei seguenti settori: operazioni di peace-keeping e assistenza umanitaria, missioni di osservazione elettorale Strumento principale del Network sono corsi addestrativi internazionali (ITC) tenuti da una speciale “unità mobile addestrativa”. L’attività include ITC annuali, con 20-25 partecipanti, per coordinatori (Senior Officers) e operatori (Field Officers) in Diritti Umani (SHRO e HRFO) e “sulla formazione della capacità nazionale” (on National Capacity Building), nonché corsi a carattere speciale o regionale. Finora sono stati effettuati 9 corsi addestrativi internazionali, di cui: •3 ITC per 25 HRFO a Pisa (aprile 1998) e Colchester (settembre 1999 e settembre 2000); •1 ITC sul benessere come ponte per la pace, per 16 Health Professionals provenienti da 6 paesi del Sud-Est Asiatico, in cooperazione col WHO e il SERAO (Colombo, 8-12 marzo 1999); •1 ITC per 53 UN Registration Officers nell’Amministrazione Civile del Kosovo, a richiesta dell’UN Volunteeer Programme (Pristina, 18-21 ottobre 1999). •2 ITC per 25 partecipanti europei on NCB a Pisa (settembre 1999 e aprile 2000); •1 ITC per 20 SHRO a Bochum (settembre 2000); •1 ITC superiore per 15 addestratori PIBOES a Pisa (11-14 gennaio 2001). Oltre ai 25 corsi nazionali e internazionali, la Scuola di Sant’Anna ha organizzato a Pisa o a Livorno 9 gruppi di lavoro e seminari: •1 nel 1995: la cooperazione italo-tedesca nel campo del PK (novembre); •1 nel 1996: incontro annuale dell’International Association of PC Training Centers (aprile); •2 nel 1997: il contributo italiano alle MOEI, in cooperazione con la SIOI di Roma e il SISE di Firenze (4 aprile); brainstorming sull’addestramento per HRFO (17 maggio); 41 •1 nel 1998: il caso di studio della crisi albanese del 1997 (per la definizione di un sistema di gestione di un conflitto europeo) (6-7 marzo); •2 nel 1999: il ruolo dei parlamentari nelle MOEI, in cooperazione con la delegazione italiana all’Assemblea Parlamentare dell’OSCE (13 settembre); confronto con la WHO sulla pianificazione del benessere come fattore per la gestione delle emergenze complesse (dicembre); •1 nel 2000: cinquantenario della convenzione di Ginevra sul diritto umanitario, a Livorno, in cooperazione con l’Accademia Navale (18 febbraio); •1 nel 2001: la partecipazione italiana alle MOEI e ai processi di democratizzazione, in collaborazione con Movimondo, Elex, Osservatorio RAI-TV di Pavia, Centro studi e formazione sui diritti della persona e dei popoli e contributo del MAE (febbraio). A partire dal novembre 1998 lo staff del programma ITPCM ha svolto compiti di coordinamento, collegamento, consulenza e assistenza per conto dei seguenti organismi: •ODIHR/OSCE, per la redazione di un lealeft operativo destinato ai 2.000 verificatori della Kosovo Verification Mission (novembre 1998) e per la MOEI in Azerbaijan (ottobre-novembre 2000); •MAE, per le MOEI in Mozambico (1999), Perù , Venezuela e Messico (2000); •A.R.S. Progetti di Roma, relativamente al contratto comunitario “HR, Democratisation and Institutional Strengthening” (dal settembre 2000); •WHO, per la realizzazione di un package di apprendimento attivo per Healt Professional impiegati in aree di conflitto (aprile 1999), nonchè per un TC del personale sanitario indonesiano impiegato nelle aree di conflitto interno (ottobre 2000); •Caritas italiana, per la realizzazione del progetto “Caschi Bianchi” (2001). 2. Il master in peace keeping e security studies di Roma Tre (2001) Nel 2000 l’università di Roma Tre ha aderito, per iniziativa della facoltà di scienze politiche, al’International Association of Peacekeeping Centres (International Relations and Security Netwotk) istituendo un master (o “corso di perfezionamento”) in “peace keeping e security studies” che è stato inaugurato il 3 aprile 2001 con una tavola rotonda sulle operazioni di peace support (PSO). Obiettivo del corso, tenuto in convenzione con l’Ispettorato delle Scuole dell’Esercito (ora “della Formazione”), è di “venire incontro ai bisogni formativi del personale militare e civile impegnato in missioni di peace keeping e assimilabili, con particolare riguardo ai problemi della sicurezza”. Requisito per l’iscrizione è un qualsiasi diploma di laurea, italiano o straniero. Il corso, del costo di 2.5 milioni di lire, ha durata annuale e si svolge da febbraio a dicembre per un impegno di 750 ore (30 crediti), con obbligo di frequenza almeno al 70 per cento delle 250 ore di aula (due incontri settimanali dalle 14 alle 19). Le iscrizioni sono consentite fino al limite massimo di 25 militari e 25 civili. Direttore del corso è la professoressa Maria Luisa Maniscalco, vicedirettore il maggior generale Piergiorgio Segala, coordinatore scientifico il professor Leopoldo Nuti, coordinatrice didattica la dottoressa Luisa Del Turco. Le lezioni frontali (90 minuti) sono tenute da accademici, ufficiali, esperti, funzionari di organismi nazionali e internazionali e rappresentanti di organizzazioni non governative. Le attività didattiche sono articolate in 8 “moduli”, di durata variabile da un minimo di 4 a un massimo di 12 lezioni: •1. Il sistema internazionale. 2. Radici dei conflitti e nuove forme di conflittualità. 3. Risoluzione dei conflitti. 4. PSO (aspetti sociopsicologici e comunicativi); 5. Diritti umani e assistenza umanitaria. 42 6. Modalità di interventi nelle aree di crisi. 7. Nuovi ambiti di intervento nelle PSO. 8. Aree di crisi e scenari futuri. Le attività didattiche si svolgono presso la facoltà di scienze politiche e si avvalgono di biblioteca multimediale e laboratorio di informatica. Le lezioni sono supportate da tracce espositive scritte ed eventualmente da materiale audiovisivo e integrate da dibattiti, gruppi di lavoro, simulazioni, esercitazioni e stages di addestramento alle tecniche di primo soccorso e al comportamento in area di conflitto. Il corso è collegato con sei centri di ricerca esteri: •The Lester B. Pearson Canadian International Peacekeeping Training Centre; Centre for Security Studies and Conflict Resolution; The Watson Institute ad Brown University; The US Army Peacekeeping Institute; The International Peace Academy; The University of California Institute of Global Conflict and Cooperation; Post-War Reconstruction & Development Unit (PRDU). e con 7 “Area Studies”: •ACCORD - African Center for the Constructive Resolution of Disputes; Africa News on the World Wide Web; H-Africa (Discussion list on African History); Organization of African Unity (OAU); Vigilance Soudan; Golan Heichts International Server; Jaffee Center for Strategic Studies. Sede: viale Marconi 446, aula 3. Recapiti: via Corrado Segre 2, 00146 Roma, tel. 0655176241. http://www.uniroma3.it//politiche/peacekeeping. 3. Il master in peacekeeping e interventi umanitari di Torino (2001) Nell’anno accademico 2000-2001 la facoltà di scienze politiche dell’università di Torino (che si definisce “polo di eccellenza” degli studi strategici) ha istituito un corso di perfezionamento in “peacekeeping e interventi umanitari”, che ha come referente il professor Alberto Antoniotto. Il corso si indirizza alla formazione professionale specifica del personale civile e militare di grado medio-alto che intende operare in missioni di peace-keeping e di aiuto umanitario, in particolare nell’ambito di organizzazioni internazionali o non governative, di agenzie specializzate (UNHCR, UNDP, WHO, UNICEF), di amministrazioni pubbliche italiane (Esteri, Interni, Difesa, Regioni, enti locali) e dell’informazione stampata e radiotelevisiva. Il corso, organizzato dalla facoltà di scienze politiche, è riservato, fino ad un massimo di 40 allievi, ai laureati in qualunque disciplina senza riguardo alla nazionalità, agli ufficiali ed equiparati delle Forze Armate e di Polizia nazionali, e a persone con esperienze professionali nel campo della cooperazione e dell’intervento umanitario il cui curriculum sia valutato idoneo per l’ammissione al corso. Il corso è orientato verso le tematiche di risoluzione dei conflitti in una prospettiva antropologica, sociologica, politica, economica e giuridica specifica di ogni singolo scenario. Il programma bilancia equamente aspetti teorici e pratici del peacekeeping, impostandoli con approccio interdisciplinare e con una struttura a cascata, ossia dai temi più generali e teorici a quelli più pratici. Esso intende inoltre attivare un coinvolgimento attivo dei partecipanti sia singolarmente che in gruppi “seguiti” da tutors. Il corso, con frequenza obbligatoria, si svolge in 14 settimane, per un complesso di 280 ore, di cui 160 di lezioni teoriche e 120 di seminari, tavole rotonde ed esercitazioni pratiche (con simulazioni di situazioni e role playing). La facoltà si prefigge di svolgere il corso in collaborazione con le Nazioni Unite, il Coordinamento delle ONG presso l’Unione Europea, la Croce Rossa Italiana e le 4 Forze Armate nazionali. Intende inoltre “sviluppare links” con università e centri di ricerca e formazione europei e nordamericani (in 43 particolare il Pearson PK Center canadese e l’università della California-IGCC) e organizzazioni internazionali (OCDE, OSCE, Commissione Europea e Commissioni NATO). IV. Le cattedre universitarie di studi strategici e centri di studio e ricerca connessi* * Questa rassegna si limita alla sola ricerca e didattica espressamente o sostanzialmente relativa agli studi strategici (incluse le due cattedre di storia delle istuituzioni militari che svolgono attività comunque riferibili al campo degli studi strategici) , con esclusione della geopolitica, delle relazioni internazionali, dell’economia internazionale, della sociologia militare e della storia militare moderna e contemporanea. Per quel che riguarda il più ampio contesto degli studi politici (“relazioni internazionali”) si rinvia alla rassegna “i luoghi del sapere in Italia” curata da Sonia Lucarelli e Roberto Menotti e allegata al loro saggio di prevista pubblicazione sulla Rivista Italiana di Scienza Politica, n. 2, 2001. Relativamente allo stato della ricerca e della didattica della storia militare nel suo complesso (ovviamente assai più ampio dell’attività storico-militare riferibile alle due cattedre qui considerate) si rinvia al saggio di Piero Del Negro “alcune considerazioni sulla storia militare nelle università e il dottorato di ricerca in storia militare”, in corso di pubblicazione negli atti del II convegno nazionale di storia militare indetto dalla Commissione nazionale di storia militare e tenutosi a Roma, presso il CASD, nel novembre 1999. 1a. La cattedra di studi strategici della Luiss Guido Carli (1980) Il primo corso universitario italiano di studi strategici fu istituito nel 1980 presso la facoltà di scienze politiche della LUISS “Guido Carli” di Roma. Il corso è un complementare semestrale del IV anno, che può essere peraltro anticipato al III dagli studenti dell’indirizzo internazionale. Primo docente è stato il professor Enrico Jacchia, che lo ha lasciato nel 1993 per limiti di età, conservando peraltro la direzione del Centro di studi strategici della LUISS. A partire dal 1993 titolare del corso è il generale Carlo Jean, ma a causa dell’incarico internazionale da lui svolto a Vienna dal 1997 al 2001, è stato svolto mediante supplenza: dal generale Giuseppe Cucchi, terzo direttore del CeMiSS e poi consigliere militare del presidente del consiglio Prodi, nel biennio 1997-99 e dal professor Stefano Silvestri, vicedirettore dell’IAI e già sottosegretario alla Difesa nel governo Dini, nel biennio 1999-2001, affiancato quest’ultimo da un insegnamento integrativo tenuto dallo stesso generale Jean. Ai corsi hanno inoltre contribuito con lezioni e seminari numerosi studiosi, tra i quali Carlo Pelanda, Lucio Caracciolo, Osvaldo Cucuzza, Francesco Calogero, Vincenzo Camporini, Michele Nones e Alessandro Politi. Collaborano attualmente con la cattedra, quali cultori della materia o borsisti, i dottori Germano Dottori (dal 1994) e Federico Eichberg, emtrambi già militari di leva ricercatori del CeMiSS, e Roberto Menotti e Olga Mattera. Il corso prevede 60-70 lezioni, frequentate mediamente da 25-40 studenti, con tendenza al rialzo. Il corso registra un relativo successo tra gli studenti stranieri del programma Erasmus, in particolare tedeschi, belgi e svedesi. Il programma si articola in una parte generale, due parti speciali e lezioni integrative. La prima è svolta direttamente da Jean seguendo l’ordine di trattazione esposto nei propri manuali (Studi Strategici e Guerra, Strategia e Sicurezza), che mira a familiarizzare gli studenti con l’approccio realista, clausewitziano e geopolitico alla teoria della strategia e delle relazioni internazionali, pur nel continuo confronto con le diverse e opposte scuole di pensiero, e a fornire le informazioni essenziali sulle caratteristiche e sugli sviluppi del sistema europeo di sicurezza e del sistema di difesa italiano durante la guerra fredda e il terzo dopoguerra. 44 Le due parti speciali, svolte da Menotti e Dottori, riguardano rispettivamente la contrapposizione tra realismo e idealismo politico negli studi internazionalistici e la geopolitica (con riferimento all’omonimo saggio di Jean e ad una dispensa on-line curata da Dottori). In passato, sino al suo trasferimento a Firenze, Cucuzza curava una terza parte speciale, sul riciclaggio di denaro sporco e la geopolitica della criminalità organizzata. Le lezioni integrative consistono attualmente in due cicli sui Balcani e sul Medio Oriente tenuti da Eichberg e Mattera. 1b. Il Centro di studi strategici della Luiss Guido Carli (1982) Alla cattedra è associato il Centro di studi strategici costituito con delibera del consiglio di amministrazione 14 luglio 1982 sulla base del preesistente “seminario permanente” creato nel 1979. Sotto la direzione di Jacchia il centro ha promosso, sia autonomamente che in collaborazione con altri centri, facoltà e riviste, un’intensa e continua attività di ricerca, in particolare mediante seminari, incontri, tavole rotonde e conferenze sulla politica estera, di sicurezza e di difesa, con pubblicazione degli atti, ai quali si sono aggiunte numerose monografie. Negli ultimi anni il centro si è avvalso della collaborazione di Dottori e di contibuti erogati dal ministero degli Esteri (nell’ordine di circa 10 milioni di lire annuali). Le riunioni - limitate a gruppi di lavoro ristretti ovvero aperte ad autorità di governo, parlamentari, diplomatici accreditati in Italia o giornalisti - hanno luogo a cadenza mensile. Nel comitato direttivo figurano Luigi Abete, Umberto Agnelli, Edward N. Luttwak, Lester C. Thurow e Koji Watanabe. 2a. La cattedra di studi strategici della “Cesare Alfieri” di Firenze (1986) La seconda cattedra italiana di studi strategici, e la prima istituita presso una università pubblica, vanta un’origine più rigorosamente politologica, che può farsi risalire alla creazione, fortemente voluta da Sartori, della prima cattedra italiana di relazioni internazionali, nata quasi per gemmazione da quella di scienza politica e ricoperta dal professor Umberto Gori. La “scuola fiorentina” è, tra quelle delle RI italiane, la più decisamente caratterizzata dal metodo positivista, basato sull’analisi quantitativi e sulla banca dati. Una ricchissima banca dati sulle guerre è stata nel tempo creata dal più anziano e famoso degli allievi di Gori, Claudio Cioffi-Revilla, attualmente direttore del Dipartimento studi internazionali dell’università di Boulder (Colorado), non a caso uno dei più interessanti centri americani di studi strategici e storico-militari. Anche su impulso delle prime iniziative di Jean, nel 1985 Gori volle istituire un corso integrativo di studi strategici, che l’improvvisa scomparsa impedì di poter affidare, come si sperava, al compianto professor Franco Alberto Casadio, prestigioso direttore della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (SIOI) di Roma e del centro analisi dei conflitti costituito presso la cattedra di strategia globale della Scuola di guerra (la ricchissima banca dati sui conflitti degli anni 1965-85 raccolta da Casadio si trova oggi a Gorizia, salvata dalla pubblica incuria grazie al generoso, intelligente e oneroso impegno della dottoressa Marina Cerne, già principale collaboratrice di Casadio). Il corso fu pertanto affidato a un giovane allievo di Gori, Luciano Bozzo, il quale, già durante il servizio di prima nomina quale ufficiale di complemento dell’Esercito, aveva avuto modo di collaborare ai volumi collettivi sperimentali promossi da Jean (all’epoca comandante della Brigata alpina “Cadore”) negli anni antecedenti alla costituzione del CeMiSS, e in particolare a La guerra nel pensiero politico (Angeli, 1987), opera di un certo rilievo teoretico, alla quale collaborarono 18 politologi, filosofi, storici ed economisti, tra cui Gori, Bonanate, Portinaro, Ilari, Ardigò, Baget-Bozzo, Buttiglione e Cacciari. Inizialmente Bozzo tenne il corso quale cultore della materia, divenendone 45 titolare nel 1993 con l’immissione in ruolo quale ricercatore e poi, nel 1999, quale professore associato. Dal 1995 Bozzo insegna anche relazioni internazionali presso il corso di laurea in scienza della comunicazione di Bologna. Il corso fiorentino di studi strategici si prefigge di fornire un inquadramento rigorosamente politologico alla trattazione della relazione tra guerra e politica e alle questioni politiche, etiche e giuridiche poste dall’impiego della forza nelle RI e inquadra lo studio della strategia nel contesto di una teoria generale dell’azione, che consenta di cogliere la struttura comune della prassi politica, militare, comunicativa, aziendale, commerciale. Il corso, strettamente collegato con quello di Gori, ha una media di 40-50 frequentanti, ha prodotto varie decine di laureati e ha attualmente una ventina di laureandi. Testi consigliati per l’esame sono attualmente il Vom Kriege, nell’edizione abbreviata di Rusconi (Torino, Einaudi, 2000) e due saggi di J. M. Mathey (Comprendere la strategia, Trieste, Asterios, 1999) e R. D. Sawyer (Cento strategie non ortodosse, Vicenza, Neri Pozza, 2000). Collaboratori di entrambe le cattedre fiorentine di RI e SS sono, quali cultori della materia, il dottor Carlo Simon Belli (autore del saggio Teoria della previsione e analisi strategica, Le Lettere, Firenze, 1998) e il dottore di ricerca Emidio Diodato, che, nell’ambito del corso di RI, svolgono due moduli specialistici, rispettivamente sulla “previsione” e sulla “globalizzazione” (quest’ultimo con approccio geopolitico). Dal 2000 Belli è inoltre docente a contratto di RI presso l’università per stranieri di Perugia. Altri collaboratori della cattedra di studi strategici sono Riccardo Cappelli, Sonia Lucarelli (coautrice con Roberto Menotti della citata rassegna critica sullo stato delle RI in Italia in corso di pubblicazione per la RISP), Silvia Cattaneo (che lavora attualmente presso l’Istituto di Alti Studi Internazionali di Ginevra) e Chiara Bonaiuti (acribiosa redattrice del prezioso rapporto informativo periodico pubblicato dall’OSCAR, ossia Osservatorio sul commercio delle armi e sull’applicazione della legge n, 185/90, emanazione dell’IRES Toscana). Bozzo e Lucarelli sono membri, per il triennio 2000-2002, del consiglio direttivo del prestigioso Forum per i problemi della pace e della guerra dell’università di Firenze, presieduto da Rodolfo Ragionieri e composto inoltre da Daniela Belliti, Guido Calamai, Dimitri D’Andrea, Paola Gaeta, Nicola Labanca, Anna Loretoni, Luciano Segreto, Pietro Tani e Antonio Varsori. Lucarelli è altresì membro del comitato esecutivo e coordinatrice della ricerca (l’attuale programma triennale è incentrato sul Mediterraneo, il Medio Oriente, il Maghreb, le donne, l’Europa e la globalizzazione). Nel 1996 si è costituito presso la cattedra di studi strategici uno speciale gruppo di lavoro che ha svolto ricerche per conto del CeMiSS sui casi di studio del Kosovo e della Macedonia e, col sostegno del CeMiSS ha avviato l’elaborazione di un modello di analisi politico-strategica della politica internazionale che si prefigge di essere fortemente originale e innovativo sotto il profilo teoretico. Attraverso il sodalizio bolognese col semiologo Paolo Fabbri (reduce dall’Istituto di cultura di Parigi e influenzato dalla scuola francese di strategia creata da Lucien Poirier ed Hervé Couteau Bégarie), Bozzo ha maturato un approccio semiotico alla disciplina, testimoniato fin dal titolo (Studi di strategica) da un volume di prossima pubblicazione. 2b. Il Centro univ. di studi strategici e internaz.li di Firenze (2001) Nel 2001 la facoltà “Cesare Alfieri” ha costituito un Centro universitario di studi strategici e internazionali, presieduto da Gori e diretto da Bozzo, la cui prima manifestazione pubblica è appunto il convegno del 26 settembre sugli studi strategici in Italia organizzato in collaborazione con il CeMiSS. 46 2c. Il Percorso di studi per la specializzazione in missioni di pace (2000) Nel 2000, nel quadro di una generale revisione dei piani di studio, la facoltà “Cesare Alfieri” di Firenze ha previsto, all’interno dell’indirizzo politico-internazionale, un percorso di studi per la specializzaxione in missioni di pace. Il percorso è volto a dare una formazione adatta agli studenti interessati alle questioni inerenti alla sicurezza internazionale e alle missioni umanitarie, di peacebuilding e di peace-keeping. Il percorso prevede 20 materie: •7 obbligatorie: diritto internazionale, organizzazione internazionale, storia contemporanea (corso avanzato), storia delle relazioni internazionali, diritto delle comunità europee (o storia dell’integrazione europea), relazioni internazionali e seconda lingua biennale (francese, tedesca o spagnola) •13 complementari (a scelta fino al completamento del piano di studio): demografia, diritto internazionale, economia dello sviluppo, geografia politica ed economica, politica comparata, scienza dell’amministrazione, storia dei trattati e politica internazionale, storia dell’Africa, storia delle istituzioni religiose, storia delle organizzazioni internazionali, storia e istituzioni dellò’America Latina, sistemi sociali comparati e studi strategici. Agli studenti che abbiano seguito il piano di studi con almeno 5 moduli coerenti e conseguito la laurea con tesi su materia riconosciuta propria del percorso, l’indirizzo rilascia un attestato di specializzazione in missioni di pace. 3. Il corso di studi strategici di Milano (1990) Il terzo corso universitario italiano di studi strategici fu istituito nel 1990 presso la facoltà di scienze politiche dell’università statale di Milano, quale corso semestralizzato tenuto dal professor Carlo Maria Santoro, titolare della cattedra di relazioni internazionali, che riserva grande spazio alo ruolo della guerra e ai fattori geopolitici. Il corso, attualmente tenuto da Alessandro Colombo, ricercatore confermato, si definisce di “analisi della strategia in quanto forma della politica” e si articola in due parti generale e speciale. La prima parte è costituita da 8 moduli: •definizioni generali, studi strategici, classici del pensiero militare, classici della guerra ossia i più grandi capitani della storia, il pensiero strategico contemporaneo, i fattori strategici, le forme storiche della guerra e le 4 guerre generali (guerre napoleoniche, guerre mondiali, guerra fredda). La seconda parte comprende: •6 seminari (su Ermattungsstrategie, Blitzkrieg, Vernichtungsschlacht, Air Power, Nuclear Deterrence, Nuclear and Conventional Compellence); •2 conferenze (l’Alleanza atlantica e le istituzioni della sicurezza, il XXI secolo e la Revolution in Military Affairs); •4 lezioni sui modelli di difesa italiani; •6 esercitazioni o giochi di guerra (Strategic Conquest, Eastern Front, Panzer, Close Combat, Napoleon in Russia, Gettysburg). Gli autori considerati ai fini della preparazione dell’esame sono Paret, Clausewitz, Liddell Hart, Freedman, Mahan, Corbett, Luttwak, Delbrueck, Chandler, Hanson, Contamine, Parker e Howard. I testi vengono comunicati all’inizio e durante il corso. 47 Nel 1995 la facoltà ha istituzionalizzato le attività collaterali al corso di studi strategici, dando vita all’Associazione per gli studi di politica internazionale e strategia (“Aspìs”), presieduta da Santoro. Colombo collabora anche ad Aspìs ed è membro del comitato scientifico del citato master in studi internazionali strategico-militari (v. supra, II). 4. Il corso di studi strategici di Forlì (19) Il quarto corso italiano di studi strategici è stato istituito nel 1995 presso la facoltà di scienze politiche di Forlì. Titolare è il professor Marco Cesa. Il corso offre una visione di insieme sull’evoluzione della guerra e delle sue tecniche dall’antichità ad oggi, si sofferma sullo sviluppo del pensiero strategico moderno e contemporaneo ed esamina i molteplici nessi tra minaccia di uso della forza, guerra e politica. Il programma d’esame per gli studenti frequentanti verte sui seguenti testi: •7 obbligatori: B. H. Liddell Hart, Strategy, London, Faber & Faber, 1954 (capp. 1-4): M. Howard, War in European History, Oxford U.P., 1976; Id., Clausewitz, Oxford U. P., 1983; T. Schellling, La diplomazia della violenza, Bologna, Il Mulino, 1968, pp. 5-126; L. Freedman, “The Revolution in Strategic Affairs”, Adelphi Paper n. 318, 1998; Id., “Le prime due generazioni di strateghi nucleari”, in Paret (ed.), Guerra e strategia nell’età contemporanea (Marietti, Genova, 1992, pp. 283-324); J. Levy, “The Causes of War: A Review of Theories and Evidence”, in P. Tetlock et all. (eds.), Behavior, Society, and Nuclear War, Oxford U. P., 1989, I, pp. 209-333. •1 facoltativo a scelta tra 4: B. H. Liddell Hart, Strategy (London, Faber & Faber, 1954); P.Paret (ed.), Guerrra e strategia nell’età contemporanea (Genova, Marietti, 1992); L. Freedman, The Evolution of Nuclear Strategy (London, Macmillan, 1981); R. Rotberg e T. Rabb (eds.), The Origion and Prevention of Major Wars (Cambridge U.P., 1989). In aggiunta a tali testi i non frequentanti portano L. Bonanate e C. M. Santoro (cur.), Teorie e analisi nelle relazioni internazionali, Bologna, Il Muilino, 1990, pp. 163-416. 5a. La cattedra di studi strategici di Torino (1995) La quinta cattedra italiana di studi strategici fu istituita nel 1995 presso la facoltà di scienze politiche dell’ateneo subalpino, dove è ricoperta dal professor Luigi Bonanate, titolare anche della cattedra di prima fascia di relazioni internazionali. La cattedra svolge un corso avanzato semestrale per i sottotenenti delle Varie Armi e del Corpo Trasporti e Materiali allievi della Scuola d’Applicazione di Torino (ora qualificati anche come “iscritti al secondo biennio del C.d.L. in scienze strategiche”). Il programma riguarda “questioni di strategie, teorie classiche e scenari contemporanei”. L’esame assicura 10 crediti formativi universitari e verte sulla traduzione italiana del Vom Kriege (nell’edizione Mondadori 1991 con prefazione di Carlo Jean) e della seconda edizione (curata da Peter Paret) del famoso saggio collettivo dell’Università di Princeton Makers of Modern Strategy (Guerra e strategia nel mondo contemporaneo, a cura di Nicola Labanca, Genova., Marietti, 1992), integrati da Mary Kaldor, Le nuove guerre, Carocci, Roma, 1999. 5b. La cattedra di storia delle istituzioni militari di Torino La cattedra, quinta di storia militare, e terza tra quelle ancora attive in Italia, viene qui considerata per la sua collocazione istituzionale nell’ambito del C.d.L. in scienze strategiche. La cattedra, di prima fascia, fu istituita nel 1995 con la denominazione di “storia delle istituzioni militari”. E’ ricoperta dal professor Giorgio Rochat, già ordinario di storia contemporanea nonché decano degli storici militari italiani assieme a Raimondo Luraghi (ordinario fuori ruolo di storia americana). Svolge sia il corso a carattere propriamente storico-istituzionale previsto dal corso di laurea in scienze politiche, sia il corso 48 di “storia militare” in senso professionale frequentato dai sottotenenti allievi delle Varie Armi e del Corpo Trasporti e Materiali della Scuola d’Applicazione di Torino. Il programma. comune a entrambi i corsi, riguarda “le forze armate ed il regime fascista”, in particolare le “scelte di fondo della politica di potenza del regime, lo sviluppo delle forze armate nazionali e la loro preparazione dinnanzi alla seconda guerra mondiale, tenendo conto del quadro internazionale e dei problemi interni del regime”. I frequentanti sostengono l’esame sui seguenti testi: •3 di base (G. Rochat e G. Massobrio, Breve storia dell’esercito italiano 1861-1943, Torino, Einaudi, 1978, pp. 196-270; L. Ceva, Le forze armate, Torino, Utet, 1981, IV parte; G. Rochat, L’esercito italiano in pace e in guerra, Milano, ed. Rara, 1991 (pp. 178-261); •altri testi, “generalmente brevi”, forniti e commentati durante il corso. Per i non frequentanti sono richiesti 2 testi a scelta tra i seguenti 5: •M. Franzinelli, Stellette, croce e fascio littorio, Milano, Angeli, 1995; P. Paret e N. Labanca (cur.), Guerra e strategia nell’età contemporanea, Genova, Marietti, 1992 (pp. 155-280); M. Montanari, L’esercito italiano alla vigilia della II guerra mondiale, Roma, USSME, 1982; G. Rochat, Guerre italiane in Libia e in Etiopia, Treviso, ed. Pagos, 1991; F. Stefani, Storia delle dottrine e degli ordinamenti dell’Esercito italiano, vol. II, tomo 1, Roma, USSME, 1985. L’esame assicura 10 crediti universitari formativi. La materia è quella più “gettonata” dai sottotenenti-laureandi, sia in scienze politiche che in scienze strategiche. Solitamente le tesi assegnate riguardano la storia reggimentale, ricavata dalle memorie storiche dei corpi. Le prime hanno riguardato le singole Brigate della grande guerra. 6. Il Gruppo studio su armi e disarmo della Cattolica (1980) Il Gruppo di studio su armi e disarmo (GSAD) fu costituito nel 1979 presso l’università Cattolica di Milano, nell’ambito del Centro studi di economia applicata (CSEA) diretto dal professor Giancarlo Mazzocchi, ordinario di politica economica e finanziaria. Il GSAD, con sede in via Necchi 5 ([email protected]), è stato fin dall’inizio diretto dal professor Giancarlo Graziola, ora ordinario di teoria dello sviluppo economico presso l’università di Bergamo e docente a contratto di economia regionale presso la Cattolica. Il GSAD si avvale della collaborazione del dottor Sergio S. Parazzini, ricercatore confermato di economia dei settori produttivi, nonché incaricato di economia politica presso la Cattolica e docente a contratto di economia industriale a Bergamo, e del signor Michele Brunelli, curatore della biblioteca e laureando in scienze politiche con una tesi in storia delle istituzioni militari. In passato ha collaborato col GSAD anche il dottor Angelo Pirocchi, cultore della materia presso la cattedra di storia delle istituzioni militari della Cattolica. Il GSAD, unico centro universitario di ricerca specializzato in economia della difesa, del disarmo e transarmo, della riconversione dell’industria della difesa e di analisi economica delle spese militari e dei bilanci della difesa, dispone della più ricca biblioteca italiana specializzata, con 1.200 volumi e oltre 70 periodici. La biblioteca dispone inoltre di numerose pubblicazioni governative americane, inglesi, francesi, tedesche e italiane, nonché di organizzazioni internazionali (ONU, UNIDIR, NATO, UEO). E’ collegato con i principali centri nazionali e internazionali di ricerca sull’economia della difesa e sulle questioni strategiche, a cominciare. Ha svolto numerosi studi e ricerche per conto di vari enti pubblici, in particolare il CeMiSS, la Regione Lombardia e il ministero dell’Industria. L’attività di ricerca del GSAD, tanto pura quanto applicata, è incentrata sugli aspetti economici delle politiche nazionali e comuni di difesa e condotta sia a livello teorico che a livello empirico e storico. In particolare sono stati affrontati vari aspetti delle spese militari italiane e della riconversione dell’industria per la difesa: 49 •a) determinanti ed effetti delle spese militari (nel breve e nel lungo periodo; nei paesi in via di sviluppo e nei paesi sviluppati; in rapporto alla teoria economica delle alleanze); •b) pianificazione e gestione dei bilanci militari; •c) industria e progresso tecnico militare; •d) diversificazione e conversione dell’industria militare e civile; •e) commercio degli armamenti. Oltre agli atti di tre convegni pubblicati dalla casa editrice Vita e Pensiero, dal 1986 il GSAD pubblica periodici Quaderni su Armi e Disarmo. Il GSAD è collegato con le seguenti istituzioni: •11 nazionali: AIAD (Associazione Industrie per l’Aerospazio, i Sistemi e la Difesa); Archivio Disarmo di Roma; CeMiSS di Roma; CERIS di Torino; CESPE di Roma; CNOIM (Coordinamento Nazionale Osservatori Industia Militare), Forum per i problemi della pace e della guerra di Firenze; IAI di Roma; IRES Toscana; IRES Piemonte; RITAD (Raggruppamento Italiano Tecnologie Avanzate Difersa) di Roma; •17 europee: ACCES Associations; BICC (Bonn International Center for Conversion); Centre for Defence Economics (University of Yotk); Centre for Studies of STS (University of Twente); Council for Economic Priorities; CREDIT Network; CREST Ecole Polytechnique; Departement of Peace & Conflict Research (Uppsala university); Ecole de la Paix (Grenoble); European Institute for Research and Information on Peace and Security; GRIP (Groupe de Recherche et d’Information sur la Paix et la Sécurité) di Bruxelles; IDEA (International Defence Economic Association); IISS (The International Institute for Strategic Studies) di Londra; Kooperation Universitaet-Arbeiterkammer Bremen; PREST (University of Manchester); Research Unit in Defence Economics (University of West England); SIPRI (The Stockholm International Peace Research Institute); •8 statunitensi: Arms Contro Association; Centre for International Studies (MIT); Centre for International Studies and Arms Control (Stanford Univerity); Centre for Peace Studies (Cornell University); Centre for Science and International Affairs (Harvard University); Centre for Strategic and International Studies (Washington, D.C.); CRS-Library of Congress; Joint Economic Committee (US Senate). 7. Il Centro di ricerche sul Sistema Sud e il Mediterraneo (1998) Il Centro di ricerche sul Sistema Sud e il Mediterraneo Allargato (CRiSSMA) è stato istituito nel 1998 nell’ambito del Dipartimento di scienze politiche dell’università Cattolica di Milano. Il consiglio scientifico è formato dai professori Valeria Piacentini (direttore del Dipartimento e docente di storia e istituzioni del mondo musulmano), Alberto Quadrio Curzio (preside della facoltà di scienze politiche e docente di economia politica), Massimo de Leonardis (docente di storia delle relazioni internazionali) e Giuseppe Grampa (docente di filosofia delle religioni). Il comitato direttivo è composto da Piacentini (direttore del Centro), Quadrio Curzio e de Leonardis (segretario del Centro). La professoressa Piacentini, autrice di un saggio sul pensierro militare musulmano, ha diretto varie ricerche per conto del CeMiSS, alle quali hanno collaborato alcuni dei suoi allievi, in particolare Riccardo Redaelli, ricercatore confermato, e Gianluca Pastori, dottore di ricerca e borsista, che hanno svolto entrambi il servizio militare di leva quali ricercatori del CeMiSS. Oltre che nel campo strettamente attinente alla sua disciplina, il professor de Leonardis è insigne anche in quello della storia militare moderna e contemporanea. Collabora con la sua cattedra, quale cultore della materia, il dottor Gianfranco Benedetto, specialista di storia del potere marittimo. Scopi del CRiSSMA sono la ricerca, di base e applicata, in campo prevalentemente storico-culturale, con particolare riferimento ai problemi politici, sociali, giuridici, economici e strategici della regione 50 mediterranea e delle aree geopolitiche adiacenti. Tra le attività del Centro, il 3° e 4° ciclo (2000 e 2001) di incontri e conferenze sulle nuove prospettive delle relazioni internazionali, il seminario internazionale sulla assistenza umanitaria e il diritto internazionale umanitario (24 maggio 2000), la presentazione multimediale della mostra Gioelli della Giordania e della Milano “segreta” (16 aprile 2001) e il seminario internazionale sulla Giordania (26 aprile 2001). Il CRiSSMA pubblica, per i tipi della casa editrice Il Mulino, una propria collana di testi, inaugurata dagli atti, curati de Leonardis, del convegno sull’allargamento della NATO tenuto dall’università Cattolica (La nuova NATO: i membri, le strutture, i compiti, Bologna, 2001). 8. Il Corso di laurea in scienze dell’investigazione dell’Aquila A seguito di precedenti corsi di perfezionamento e aggiornamento professionale per personale investigativo svolti dall’università dell’Aquila in collaborazione con esperti della CIA, FBI, American Society for Industrial Security e Associazione Italiana, Professionisti della Security Aziendale, nel 1999 è stato elaborato, su iniziativa del professor Francesco Sidoti, un progetto per l’istituzione, presso la facoltà di scienze della formazione dell’università dell’Aquila, di un corso di laurea di 1° livello (triennale) in “scienze dell’investigazione”. Il progetto è all’esame degli organismi universitari. Il piano provvisorio di studi prevede 20 discipline, integrate da tirocinio e attività formative: •1° anno: diritto della sicurezza sociale; sociologia della sicurezza sociale; psicopatologia; istituzioni di diritto e procedura penale; metodologia generale; formazione interculturale; fondamenti anatomo.fisiologici dell’attività psichica; medicina legale; lingua inglese; •2° anno: neurofisiologia, basi fisiologiche dei processi psichici; socioologia dell’irdinamento giudiziario; criminologia; psicopatologia e tossicologia; criminologia minorile; •3° anno: metodologia delle scienze del comportamento; psicologia della persdonalità; teoria dell’informazione; psicologia giuridica; tecniche dell’intervista e del questionario; organizzazione e gestione aziendale; informatica. V. La cattedra di storia delle istituzioni militari della Cattolica di Milano (1980-2001)* * La cattedra, la più antica delle tre di storia militare ancora attive, viene qui considerata per la sua consolidata cooperazione con il CeMiSS (non a caso coevo alla sua formale costituzione) e per la stretta correlazione da essa professata e praticata tra storia militare e scienze della sicurezza e difesa (1). La cattedra, terza di storia militare dopo quelle preesistenti di Pisa e Pavia (entrambe oggi quiescenti), ha origine da un corso di storia delle istituzioni militari voluto nel 1980 da Gianfranco Miglio, preside della facoltà di scienze politiche dell’università Cattolica di Milano. Il corso, in origine concepito come meramente integrativo di quello di storia delle istituzioni ricoperto dalla professoressa Adriana Petracchi Maistri, fu attribuito mediante contratto annuale rinnovabile al generale Giuseppe Alessandro D’Ambrosio, coadiuvato, quale cultore della materia, dal dottor Enrico Dalla Rosa. Analoghi corsi di storia militare erano tenuti dai dottori Ezio Cecchini (cultore della materia) e Massimo Ferrari (ricercatore confermato), ad integrazione, rispettivamente, dei corsi di relazioni internazionali (professor Ottavio Barié) e storia contemporanea (professor Bianchi). A seguito dei nuovi impegni del generale, nominato segretario generale del Consiglio supremo di difesa, nel 1987 il 51 contratto fu conferito al professor Virgilio Ilari, associato di storia del diritto romano nell’università di Macerata. Nel 1989 la facoltà assegnò al corso una cattedra di seconda fascia, che fu attribuita a Ilari previo parere del Consiglio universitario nazionale circa l’equivalenza “soggettiva” tra le due discipline professate dal candidato, avuto riguardo ai suoi interessi scientifici prevalenti, desunti dalle sue pubblicazioni. Nel 1992, su proposta del docente approvata dalla facoltà, l’università Cattolica aderì al Centro interuniversitario di studi e ricerche storico-militari costituito dalle università di Torino, Pavia, Pisa e Padova e, nel 1993, al dottorato di ricerca in storia militare coordinato da Padova (professor Piero Del Negro, ordinario di storia moderna e poi di storia delle istituzioni militari) e sospeso a tempo indeterminato nel 1999 alla conclusione del III ciclo, dopo aver diplomato complessivamente 8 dottori di ricerca, inclusi due laureati della Cattolica (Marino Viganò e Giovanni Caldirola) (2). Nel 2001, a seguito del nuovo ordine di studi assunto dalla facoltà in relazione alla riforma universitaria, la denominazione della cattedra è stata modificata con l’aggiunta delle parole “e dei sistemi di sicurezza”, meglio corrispondenti all’ambito effettivo delle attività didattiche e di ricerca del docente e dei collaboratori. Il corso, complementare del III anno e in seguito reso mutuabile dagli studenti di giurisprudenza e di recente anche di lettere, ha assunto fin dal 1987 un orientamento del tutto indipendente e autonomo. Esso si articola in una introduzione generale alle scienze della sicurezza e della difesa e in cicli tematici particolari che vengono anno per anno calibrati sugli interessi medi dell’uditorio e si traducono in tesine facoltative individuali, sostitutive dell’esame finale. Non essendovi aspetto delle attività umane estraneo all’osservazione storica e all’applicazione militare, il corso mira ad affinare un metodo generale (o “punto di vista”) anziché a circoscrivere un campo di ricerca. L’incertezza o smarrimento che tale metodo inconsueto ingenera nella massa degli studenti è considerato il prezzo iniziale da pagare per puntare all’eccellenza. Dall’esperienza del corso 2000-2001 è nato il progetto di dedicare parte del prossimo corso all’analisi storico-militare e iconografica del film di guerra. Il metodo didattico mira a scoprire, coltivare, “reclutare”, mettere in circuito e sostenere nel tempo talenti e vocazioni critiche e, possibilmente, scientifiche. Esso assume coscienza di sé collocandosi programmaticamente agli antipodi del metodo adottato dalle accademie e scuole militari italiane. E’ dunque a-gerarchico, informale, accattivante, progressivo e permanente e si prefigge un apprendimento “alluvionale”, cioè per sedimentazione graduale e continua, in un arco di tempo indefinito. Non è dunque incentrato sulle lezioni (concepite solo come prima occasione di contatto e di stimolo) bensì sul coinvolgimento volontario del discente - nel più scrupoloso rispetto della libertà e nella valorizzazione sinergica delle singole individualità - nel vasto ambiente umano e scientifico spontaneamente e informalmente aggregatosi nel corso degli anni attorno alla cattedra e che ha collettivamente prodotto, per approssimazioni successive, il metodo recepito e sistematizzato dal docente. Come nella milizia il comandante è funzione del soldato, così nella formazione il docente è funzione del discente. La classe annuale dei frequentanti assidui, in media 10 unità, è pertanto considerata come uno dei canali di alimentazione (non esclusivo e neppure il principale) dell’unità permanente di autoformazione informalmente costituita dal complesso dei 30 laureandi e dei 148 laureati prodotti in dieci anni (un quarto circa dei quali continua, “a rete”, a contribuire in vari modi alle attività della cattedra). Soltanto un quarto delle tesi riguarda argomenti strettamente storico-militari. La maggior parte riguarda aspetti attuali della politica di sicurezza e difesa nazionale e internazionale. La media annuale degli esami approvati è di 140. Per l’esame sono consigliati le opere più recenti del docente (poco apprezzate), e i due più recenti manuali del generale Jean: quello di gran lunga più “gettonato” è Geopolitica, mentre Guerra, strategia e sicurezza si rivela quasi sempre troppo difficile per la cultura media dello studente. Gli studenti di giurisprudenza mostrano, mediamente, capacità intellettive e discorsive di gran lunga superiori a quelle dei colleghi delle altre due facoltà. E’ consentito sostenere l’esame su altri testi di proprio interesse concordati col docente. 52 Hanno collaborato o collaborano in varie forme con la cattedra molti giovani studiosi, tra i quali il dottor Ciro Paoletti, coautore assieme al docente di varie opere di storia militare moderna e promotore del primo convegno internazionale di storia militare moderna, i dottori di ricerca in storia militare Marino Viganò, Pierpaolo Battistelli, Niccolò Capponi, Marco Gemignani e Giovanni Caldirola e 10 cultori della materia, tra cui, in passato, i dottori Eugenio Dalla Rosa, Caldirola e Andrea Molinari (già alpino del Rep. Sa. Avt. “Taurinense” in Mozambico, specializzatosi nella divulgazione editoriale in campo storico-militare) e, attualmente, i dottori Angelo Pirocchi, Giuseppe Terrasi, Flavio Carbone (capitano in s. p. e. dei carabinieri) e Nicola “Bortolo” Calanchi (caporalmaggiore in congedo delle truppe alpine). Di prossima proposta, il dottor Davide Belloni, già carabiniere effettivo. Pirocchi, Terrasi e Carbone hanno compiuto missioni in Bosnia, rispettivamente per monitoraggio elettorale, rieducazione alla pace e impiego nel Reggimento MSU. Marco Antonsich, dottore di ricerca in geografia, è l’unico laureato della cattedra che abbia trovato una collocazione accademica, quale borsista presso la cattedra di geografia politica dell’università di Trieste (professoressa Pagnini). La cattedra è supportata dalla biblioteca del gruppo studi armi e disarmo (GSAD), costituito nel 1979 dal professor Giancarlo Graziola presso la facoltà di economia e commercio dell’Università cattolica e attualmente diretto dal professor Sergio Parazzini, con la collaborazione retribuita del signor Michele Brunelli, laureando in scienze politiche con una tesi di storia delle istituzioni militari. A partire dal 1992 le cattedre di storia delle istituzioni militari e di storia e istituzioni del mondo musulmano (professoressa Valeria Piacentini) hanno fornito al CeMiSS nove militari di leva ricercatori, inclusi Gennaro Simeone, Riccardo Redaelli (ricercatore confermato), Gianluca Pastori (dottore di ricerca e borsista) e i citati Antonsich e Pirocchi. Già collaboratore del GSAD e coordinatore dell’Associazione ex-ricercatori Cemiss (ARC), dal 1997 Pirocchi ha avviato, assieme a Molinari, la Libreria Militare, che attualmente gestisce in società col dottor Alberto Manca, laureatosi con una tesi in storia delle istituzioni militari. L’esercizio, ubicato in sede prossima a quella centrale dell’università e con uno spazio espositivo corrispondente a circa 6.000 volumi (per tre quarti stranieri), è la prima libreria italiana specializzata nel campo degli studi militari e strategici. E’ articolata nei settori della storia militare, della geopolitica e della scienza e tecnica militare. (1) Cfr. V. Ilari, “Epistemologia della storia militare”, in corso di pubblicazione negli atti del II convegno nazionale di storia militare indetto dalla Commissione nazionale di storia militare e tenutosi a Roma, presso il CASD, il 28-29 ottobre 1999. (2) Cfr. Piero Del Negro “alcune considerazioni sulla storia militare nelle università e il dottorato di ricerca in storia militare”, in corso di pubblicazione negli atti del II convegno nazionale di storia militare indetto dalla Commissione nazionale di storia militare e tenutosi a Roma, presso il CASD, il 28-29 ottobre 19 53 4. IMITATIO, RESTITUTIO, UTOPIA. La storia militare antica nel pensiero strategico moderno2 (Agosto-Settembre 2001) Ludovico Loreto qui me iterum ex oblimatis sagis ad Togatam traxit militiam SOMMARIO: 1. SMA versus RMA: Storia Militare Antica e Revolution in Military Affairs. 2. La storia militare antica nello sviluppo della storia militare. 3. Imitatio. Il digesto militare romano nella paideia cavalleresca. 4. La traditio in Occidente della sapienza militare greco-bizantina. 5. Le guerre italiane tra umanesimo giuridico e umanesimo militare. 6. Restitutio e utopia nell’Arte della guerra di Machiavelli. 7. La scuola veneziana dei “paralleli militari” tra Antico e Moderno. 8. Scipio, A Greater than Hannibal. 9. Pugna Cannensis sulla spiaggia fiamminga? 10. Precetti greci per la fanteria moderna. 11. Scholae militares, ratio studiorum e bibliotheca militaris. 12. Lipsio, Casaubon e Salmasio: dal commento all’explicatio storica. 13. L’arte militare nella quérelle des Anciens et des Modernes. 14. Il case study romano nella storia militare comparata. 15. Per una storia attuale del pensiero strategico classico. 1. SMA versus RMA: Storia Militare Antica e Revolution in Military Affairs Le scienze umane tendono a considerare la guerra come un problema in sé, a prescindere dalle sue forme storiche. Ma l’approccio strutturale o olistico allo studio della guerra dipende dalla distanza del punto di osservazione. Esso domina nelle scienze che si possono applicare alla guerra ma che non sono dedicate a spiegarla e governarla, come sono invece storia e arte militare. Qui l’approccio strutturale è rarissimo: il solo esempio significativo è il Vom Kriege, che proprio per questo viene considerato (a torto) un testo di mera filosofia politica. Rare sono anche le tassonomie e le analisi comparate delle guerre. Nelle scienze militari il punto di vista olistico o strutturale si manifesta ora come principio (i “principi della guerra”) o modello (ad es. il concetto clausewitziano di guerra “assoluta”) ora come processo storico, ossia come “sviluppo” di una forma particolare dall’altra. L’idea di sviluppo non si è affermata nella storia militare per influsso del materialismo dialettico, bensì del positivismo evoluzionista e progressista dominante nella cultura europea dell’Ottocento, presente già nei precursori della storia militare comparata, specialmente in Henri Carrion-Nisas e Wilhelm Ruestow3, e sviluppata a cavallo tra Otto e Novecento dai notissimi 2 Imitatio, Restitutio, Utopia: la Storia Militare Antica nel pensiero strategico moderno, in Marta Sordi (cur.), Guerra e diritto nel mondo greco e romano. Contributi dell’Istituto di Storia Antica , XXVIII, Milano, Vita e Pensiero, 2002, pp. 269-381 3 Autore della prima Geschichte der Kriegskunst (2 voll., Goettingen 1797 e 1800) è il futuro generale del genio prussiano Johann Gottfried Hoyer (1767-1848). I concetti di “progresso” e “rivoluzione” innervano già l’Essai sur l’histoire générale de l’art militaire, de son origine, de ses progrès et de ses révolutions, depuis la première formation des sociétés européennes jusqu’à nos jours (2 voll., Paris, Delaunoy, 1824) del generale francese Marie Henri François de Carrion Nisas (1767-1841). Successivamente apparvero la Geschichte des Kriegswesens (“Handbibliothek fuer Offiziere” Bd 1, Berlin, 1835-38) del generale prussiano Heinrich von Brandt (1789-1868), le Vorlesungen ueber Kriegsgeschichte (2 voll, Stuttgart, 1856) del generale wurtemburghese Julius Friedrich Karl von Hardegg (1810-75) e altre opere analoghe di G. von Berneck (Grundriss des Geschichte des Kriegswesens, Berlin 1854) ed E. de la Barre Duparcq (Eléments d’art et d’histoire militaire, Paris, 1858; Histoire de l’art de la guerre, Paris, 1864). Spicca tra i “precursori” l’esule prussiano a Zurigo Friedrich Wilhelm Ruestow (1821-78), colonnello garibaldino nel 1860 ma anche feroce critico di Garibaldi, corrispondente di Ferdinand Lassalle e Georg Herwegh ma irriso da Marx ed Engels e ancor più dogmatico di Jomini. Fra 54 Max Jaehns (1837-1900), Hans Delbruck (1848-1929) e sir Charles Oman (1860-1946) ma anche dal dimenticato Emil Daniels, antagonista di Delbruck4, nonché dai dioscuri dell’esercito e della marina rooseveltiane - il tenente colonnello Theodor Ayrault Dodge (1842-1909) e il comandante Alfred Thayer Mahan (1840-1914) - iniziatori della scuola americana di storia militare comparata e previsionale il cui più tipico esponente fu il maggior generale John Frederick Fuller (1878-1966) ed è oggi continuata dal colonnello Trevor Nevitt Dupuy, direttore dell’International Military and Defense Encyclopedia in sei volumi della Brassey’s (1992)5. Ciò non toglie che anche nella storia militare (e, in misura ancor più accentuata, nel pensiero strategico) si è affacciata l’idea di discontinuità evolutiva, sia nell’accezione idealista di “crisi militare”6, che sottolinea l’effetto politico del mutamento, sia in quella materialista di “rivoluzione militare”7 come “salto di qualità” impresso dall’innovazione tecnologica non solo alle forme della le sue opere, la Geschichte der Infanterie (2 voll., Gotha, 1857-58), le Militaerischen Biographien (Zurigo 1858) e Die Feldherrenkunst des 19. Jahrhunderts (Zurigo, 1857; 1879 = trad. di Sarvin de Larclause, L’Art militaire au XIXe siècle, stratégie, histoire militaire, Paris, librairie J. Dumaine, 1863, 2 voll.). Cfr. Carlo Moos, “Streiflichter auf Wilhelm Rustows Beziehungen zu Italien”, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 65, 1985, pp. 342-404: Id., “Wilhelm Rustow, Garibaldi stratega e l’ambiente zurighese”, in Garibaldi generale della libertà. Atti del Convegno internazionale (Roma 29-31 maggio 1982), Ministero della Difesa - Comitato storico, Roma, USSME, 1984, pp. 235-294. 4 Geschichte des Kriegswesens, 4 voll., Leipzig, 1910-11. Sulla Strategiestreit che oppose Delbrueck allo stato maggiore tedesco cfr. Antulio J. Echevarria II, After Clausewitz: German Military Thinkers Before the Great War, Lawrence, U. P. of Kansas, 2000, pp. 183-88. 5 Cfr. Bruno Colson, La culture stratégique américaine. L’influence de Jomini, FEDN, Paris, Economica, 1993 (su Dodge interprete dell’influsso jominiano e teorico della battaglia napoleonica, v. pp. 186, 232, 280. Ingiustamente, nell’IMADE Dupuy cita Dodge una sola volta, nella voce “Attrition”, p. 324). Cfr. Christopher Bassford, Clausewitz in English, The Reception of Clausewitz In Britain and America 1815-1945, New York, Oxford U.P., 1994. Oltre a due studi sulla guerra civile americana e ai saggi su Gustavo Adolfo e Napoleone (in 4 volumi), Dodge ne pubblicò altri tre su Alessandro, Annibale e Cesare (Boston, Houghton Mifflin Coy, 1890-92: rist. an. Da Capo Press, 1995-97). Anche Fuller si interessò di storia militare antica, con due saggi su Alessandro (1958) e Cesare (1965) riediti nel 1998 (Ware, Hertfordshire, Wordsworth Editions). 6 L’idea - iconoclasta ma geniale - di un rapporto quasi causale tra rinascimento civile e crisi militare, suggerita dal titolo della prima edizione (La crisi militare italiana nel Rinascimento, 1934) del famoso saggio di Piero Pieri, “padre” della moderna storiografia militare italiana, è (auto?)censurata nella seconda edizione (Il Rinascimento e la crisi militare italiana, Torino, Einaudi, 1952), posteriore alla Resistenza, che soprattutto in quegli anni e soprattutto nella cultura azionista e torinese era interpretata come “Secondo Risorgimento”. L’ambiente culturale in cui è maturata quest’opera era quello dell’idealismo, non favorevole all’idea della “rivoluzione” materiale determinata dall’innovazione tecnica. Nel XVI secolo il contributo degli ingegneri e architetti italiani all’innovazione militare fu determinante, ma la committenza politica era soprattutto straniera. 7 Il ruolo dell’innovazione tecnologica nell’arte della guerra costituisce oggetto di una crescente attenzione specifica da parte della storia militare comparata. L’incunabolo è Armament & History di John Frederick Charles Fuller (1878-1966), pubblicato nel 1945 (New York, Charles Scribner’s Sons) e riedito nel 1974 e 1998 (New York, Da Capo Press), che nel sottotitolo riprende l’idea dell’“influence upon history” coniata da Alfred Thayer Mahan (1840-1914) circa il potere marittimo. Colin S. Gray, che peraltro adopera la stessa espressione nei confronti del potere spaziale (v. Contemporary Strategy, 15, 1996, pp. 293-308) dedica a Fuller una critica serrata e penetrante (“The Fuller’s Folly: Technology, Strategic Effectiveness and the Quest for Dominant Weapons”, in A. J. Bacevich e Brian Sullivan, eds., The Limits of Technology in Modern Wars, in corso di pubblicazione nel 1999). Ma l’idea è sviluppata anche da una serie di studi analitici, come quelli di Martin van Creveld, consulente del Training Army and Doctrine Command (TRADOC) dell’esercito americano (in particolare Supplying War. Logistics from Wallenstein to Patton, Cambridge U. P. 1977; Technology and War from 2000 B. C. to the Present, Oxford, Brassey’s, 1991); nonché, per citare solo alcuni dei più interessanti dal punto di vista storiografico, quelli di John Ellis, The Social History of the Machine Gun, Baltimore, Maryland, Johns Hopkins U. P., 1986 (Paperbacks Edition, 1976); Robert Jervis, The Meaning of the Nuclear Revolution: Statecraft and the Prospect of Armageddon, Ithaca, NY, 1989; Guy Hartcup, The Silent Revolution. Development of Conventional Weapons 1945-85, London-New York, Brassey’s, 1993; Robert H. Scales, Firepower in Limited War (Indocina, Afghanistan, Falklands, Golfo: con nota sull’impiego del fuoco nella way of war americana), Novato, California, Presidio Press, 1995; Williamson Murray e Allan R. Millett (eds.), Military Innovation in the Interwar Period (1919-39), Cambridge U. P., 1996; Benjamin 55 guerra (warfare) ma alla stessa teoria della guerra: la staffa, il rostro, la propulsione eolica, gli esplosivi, la trazione a motore, le telecomunicazioni, la navigazione aerea e subacquea, l’energia nucleare, da ultimo l’informatica, la cibernetica, il potere spaziale, temi di confronto, secondo Colin Gray, fra ben sei diverse scuole di teorici della Revolution in Military Affairs (RMA) apparse negli Stati Uniti durante gli anni Novanta8. Fra gli storici del Rinascimento il dibattito sulla RMA americana ha riacceso l’interesse9 per la cosiddetta Rivoluzione Militare del 1560-1660, un concetto coniato nel 1956 da Michael Roberts, contestato da John Rigby Hale e ripreso nel 1988 da Jeoffrey Parker10. Questione centrale per l’oggetto W. Bacon, Sinews of War. How Technology, Industry and Transportation Won the Civil War, San Francisco, California, Presidio Press, 1997; Mike Croll, The History of Landmines, Barnsley (UK), Leo Cooper, 1998. 8 Nel 1991 il Center for Strategic and International Studies (CSIS) della Georgetown University avviò un seminario semestrale per l’analisi delle lezioni della guerra del Golfo, denominato Military Technological Revolution (MTR). Ne derivò nel 1992 un rapporto confidenziale, parzialmente pubblicato nel marzo 1993 (Michael J. Mazarr, Jeffrey Shaffer e Benjamin Ederington, The Military Technical Revolution: A Structural Framework). L’espressione RMA nacque in seguito, per impulso di Andrew W. Marshall, direttore del Net Assessment Office del Pentagono. Recepita e ufficializzata grazie all’ammiraglio Owens, vicepresidente del Joint Chiefs of Staff. Cfr. Barry D. Watts, Clausewitzian Friction and Future War, Institute for National Defense Studies, National Defense University, Washington, McNair Paper 52, October, 1996, pp. 3 ss. Ampia discussione e approfondimenti sulla RMA in John Arquilla e David Ronfeldt (eds.), In Athena’s Camp. Preparing for Conflict in the Information Age, RAND, National Defense Research Institute, Santa Monica, California, 1997. Toni fortemente critici in Hervé Coutau Bégarie, Traité de stratégie, 2e éd., ISC, Paris, Economica, 1999, pp. 470-485 ss. e Colin S. Gray, “RMAs and the Dimension of Strategy”, in Joint Force Quartely, 17 (1997-98), pp. 5054; Id., Modern Strategy, Oxford U. P., 1999, pp. 200-205, 243-254. Cfr. Robert L. Bateman III (Ed.), Digital War. A View from the Front Lines, Novato, Cal., Presidio Press, 1999. Alquanto deludente, rispetto alle aspettative suggerite del titolo, è Robert R. Leonhard, The Principles of War for the Information Age, Presidio Press, San Francisco, California, 1998. Tra gli studi di settore, si segnalano i due di Malcom Dando, Biological Warfare in the 21st Century e A New Form of Warfare. The Rise of Non-Lethal Weapons, London, Brassey’s, 1994 e 1996. Per una divulgazione della RMA, cfr. Alvin e Heidi Toffler, La guerra disarmata. La sopravvivenza alle soglie del terzo millennio (War and Anti-war, 1993), Milano, Sperrling & Kupfer, 1994. Sul Military Reform Movement americano degli anni Ottanta, cfr. Colson, cit., pp. 257 ss.. Sulla coeva ridefinizione della British Military Doctrine (contenuta in una pubblicazione riservata del giugno 1994) cfr. Godfrey Hutchinson, Xenophon and the Art of Command, London, Greenhill Books - Pennsylvania, Stackpole Books, 2000, p. 19. 9 Cfr. Joel Cornette, “La rèvolution militaire et l’Etat Moderne”, in Revue d’histoire moderne et contemporaine, 41, 1994, 4; Rogers Clifford (Ed.), The Military Revolution Debate. Readings on the Military Transformations of Early Modern Europe, Boulder, Colorado, 1995 (rec. André Corvisier, in Revue historique, 603, jillet-septembre 1997, pp. 149-151). Discussione in Jean Chagniot, La révolution militaire des temps modernes”, in Revue historique des Armées, 1997, 2, pp. 7-10; Id. “Critique du concept de révolution militare” e Béranger, “Existe-t-il une révolution militaire à l’époque moderne?”, in Actes Coetquidan (cit. infra, nt. 11), pp. 7-29. 10 Come vedremo più avanti, la restitutio olandese ispirata dai classici greci e romani, che influenzò direttamente quella svedese e l’arte della guerra del Seicento, fu segnalata nel 1941 da Werner Hahlweg in termini di “riforma militare”. Fu poi Michael Roberts, nel 1956, a inquadrare il mutamento nel concetto di “rivoluzione” (“The Military Revolution, 15601600”, Belfast, 1956, ora nei suoi Essays in Swedish History, Minneapolis, 1967, pp. 195-225). Claude Gaier dette pregnanza filologica al concetto esaminando la percezione del mutamento da parte degli stessi protagonisti (“L’opinion des chefs de guerre français du XVIe siècle sur le progrès de l’art militaire”, in Revue internationale d’histoire militaire, 29, 1970. L’espressione non convinse John Rigby Hale, che dalla sua prospettiva di storico sociale delle istituzioni militari era portato a vedere più le continuità che le fratture, considerando l’innovazione come il frutto di un lento accumulo “alluvionale” più che di una sfida o di un intelletto “rivoluzionari” (cfr., nella famosa opera scritta assieme a M. E. Mallett, The Military Organization of a Renaissance State, Venice 1400 to 1617, Cambridge U. P., 1984, p. 4: “the characteristics of the military organizations of this period were more deep-rooted and justify the contention that the so-called ‘Military Revolution’ of the late sixteenth and early seventeenth centuries cannot be viewed in isolation from the developments of the previous two centuries”). A sostegno di queste riserve Hale citava indirettamente (ibidem, p. 5) un articolo di Geoffrey Parker, il maggior storico contemporaneo delle guerre di Fiandra (“The ‘Military Revolution, 1560-1660’ - A Myth?, in Spain and the Netherlands: Ten Studies, London, 1979). Ma proprio Parker ha ripreso il concetto nel titolo di un suo più ampio studio di storia militare comparata (The Military Revolution. Military Innovation and the Rise of the West 15001800, Cambridge U. P., 1988), seguito in termini più problematici da Jeremy Slack, A Military Revolution? Military change and european society 1550-1800, London, Macmillan Basingstoke, 1991. Cfr. Parker, “In Defense of The Military Revolution”, in Rogers, Debate, cit., pp. 337-365. Tra gli autori che sottolineano l’impatto sociopolitico dell’innovazione tecnologica militare, cfr. Daniel H. Headrick, The Tools of Empire, Technology and European Imperialism in the 56 del presente articolo, che recepisce il concetto di Rivoluzione Militare moderna, ma non lo intende come mutamento materiale indotto dal progresso tecnico, bensì come mutamento della forma intellettuale dell’arte militare, passando dall’imitatio tralaticia dell’exemplum romano alla restitutio innovativa della scientia militaris ellenistica e bizantina. Infatti è difficile individuare, nello sviluppo incrementale e sinergico della tecnologia militare, un improvviso salto qualitativo: gli indicatori tecnici segnalano continuità evolutiva e non fratture rivoluzionarie, che invece appaiono evidenti nella teoria della guerra e nel pensiero strategico. Anche qui la restitutio umanistica del mondo classico segna quel “salto qualitativo” epocale che si riscontra in tutti gli altri campi del sapere, dalla storia, al diritto, alla politica, alla medicina, alla matematica, alle scienze naturali: tutte declinazioni particolari e parallele di un unico e generale mutamento della prassi11. Questa prospettiva può orientare anche l’interpretazione della RMA. A prescindere dall’enfasi propagandistica, che porta a inflazionare l’uso del termine “rivoluzione”, la RMA va intesa anche come riflesso particolare di un problema più ampio, ossia l’interpretazione della nuova complessità come Rivoluzione Tecnologica. Intanto si può registrare il fatto che le correnti tradizionaliste del pensiero strategico contemporaneo, sostenitrici dell’idea classica e “militare” di strategia, si sono sentite minacciate dalla teoria della RMA, temendo che essa implichi l’idea di un’obsolescenza, assoluta o relativa, dell’esperienza anteriore, di una cesura che annulla o almeno attenua l’importanza della tradizione. Anche e soprattutto di una particolare tradizione nazionale che da mezzo secolo lotta strenuamente per una causa apparentemente persa, ossia la sopravvivenza, all’interno della pax Americana, di un’“identità di difesa” nominalmente “europea” ma sostanzialmente solo francese. Ha fatto la sua parte in questo Kulturkampf anche la scuola franco-belga dell’Institut de Stratégie Comparée (ISC) di Parigi12, tra l’altro aprendo di recente un nuovo fronte col tentativo di definire un modello “europeo” e “umanista” di “rivoluzione militare”, contrapposto a quello americano anche per essere fondato sulla restitutio del pensiero strategico classico, esemplato nel Rinascimento militare e nell’Oranienreform. Ma, per essere efficace, il Kulturkampf europeista dovrebbe avere come Schwerpunkt, in parte individuato da Colson, il rapporto tra la RMA e l’altra grande restitutio classica, quella del Vom Kriege, operata proprio dai centri di elaborazione del pensiero militare americano tra la sconfitta vietnamita e la vittoria imperiale del 1989. 2. La storia militare antica nello sviluppo della storia militare Nineteenth Century, New York, Oxford U. P., 1981), tradotto dal Mulino (Al servizio dell’impero, 1984) assieme al fondamentale studio di Parker (La Rivoluzione militare, 1990: trad. francese Paris, Gallimard, 1993). Più convenzionale ed estrinseco è l’unico altro saggio tradotto in italiano - peraltro con un titolo penosamente tardo-sessantottino, dove The Pursuit of Power diventa Caccia al potere - di William H. McNeil (Basil Blackwell, Oxford, 1982; Feltrinelli, Milano, 1984). E’ significativo, per lo stato della cultura militare in Italia, che l’unico contributo italiano a questo settore di ricerca sia venuto da uno storico sociale dell’economia come Carlo Maria Cipolla, peraltro pubblicato in inglese a Londra e tradotto solo diciotto anni dopo (Guns and Sails in the early phase of European expansion, 1400-1700, London, Collins Sons & Co. Ltd, 1965; Vele e cannoni, Bologna, Il Mulino, 1983; cfr. poi J. F. Guilmartin Jr., Gunpowder and galleys. Changing Technology and Mediterranean Warfare at sea in the sixteenth Century, Cambridge, 1974). 11 Cfr. Reinhart Koselleck, “Der neuzeitliche Revolutionsbregriff ans geschichtliche Kategorie”, in Studium Generale, 22, 1969, pp. 825-838. 12 L’ISC ha preso il posto della soppressa Fondation pour les Etudes de Défense Nationale (FEDN), glorioso ma forse imbarazzante propugnacolo dell’ortodossia militare gollista. 57 L’ISC, in particolare con gli studi di Philippe Richardot sulla fortuna di Vegezio nel Medioevo e nel Rinascimento13 e di Frédérique Verrier sulla letteratura militare rinascimentale e con i convegni di Coetquidan (1997) sulla Révolution militaire en Europe e di Namur (1999) su Pensée stratégique et humanisme14, ha in realtà marciato in quincunx sulla questione - segnalata vent’anni fa da Werner Kaegi fra quelle ancora da approfondire - dell’“influence and perhaps tyranny of Graeco-Roman precedents and precepts on European and American ideas and practices in the art of war and military strategy”15. Tuttavia, come vedremo più avanti, proprio dalle ricerche a direzione francese esce confutato il sospetto di una “tirannia” greco-romana sul pensiero strategico occidentale, e ridimensionata anche la sua “influenza” effettiva, se non nel caso particolare della “rivoluzione militare” europea del 15601660, concepita non sul registro ideologico dell’innovazione ma in quello della restitutio (o dell’utopia, laddove - come nell’Italia di Machiavelli - non esistevano le condizioni politiche della restitutio militare). Come vedremo, fu l’idea di progresso, sviluppatasi dal 1680 al 1794 anche attraverso la famosa quérelle des Anciens et des Modernes, a mutare la funzione moderna della storia militare antica. L’idea dei teorici dell’ordre profond (equivalente settecentesco dei tank advocates del 1919-39) di presentarlo come un “ritorno alla legione”; i reiterati tentativi di Voltaire di convincere Luigi XV e Caterina di Russia ad imporre ai loro scettici generali l’adozione dei carri falcati; il mito della pugna cannense nello Schlieffenplan; la lettura liddellhartiana di Scipione e quella luttwakiana della grand strategy protoimperiale hanno in comune un intento più o meno apertamente polemico: al tempo stesso rivalsa patetica di vere o presunte ingiustizie subite dai colleghi o dal “potere” costituito o artificio retorico per esporre idee e opinioni (più spesso riformiste, ma anche tradizionaliste) nate per altra via e solo in un secondo momento confortate dal riferimento classico. In realtà, per poter affrontare la questione dell’influenza della storia militare antica sul pensiero occidentale, occorre anzitutto precisare il concetto di “storia militare”. Essa non va infatti in alcun modo confusa con l’histoire-bataille, termine alquanto dispregiativo ma efficace che la scuola delle Annales attribuiva alla storia politica, in particolare quella nazionale o “generale”, cioé proprio a quella derivata dal genere letterario della storiografia classica, che è, appunto, tessuta sulle epopee guerriere e scandita da battaglie “decisive”. 13 Philippe Richardot, “L’influence de De Re Militari de Végèce sur la pensée militaire du XVIè siècle”, in Stratégique, 60 (4/95), pp. 7-28; Id., Végèce et la culture militaire au Moyen Age (Ve-XVe siècles), ISC, Paris, Economica, 1998. Dello stesso autore cfr. La fin de l’armée romaine, ISC, Paris, Economica, 1998. 14 Cfr. Jean Bérenger (dir.), La Révolution militaire en Europe (XVe - XVIIIe siècle), Actes du colloque organisé le 4 avril 1997 à Saint-Cyr Coetquidan par le Centre de recherche des Ecoles de Coetquidan, par l’Institut de Recherches sur les Civilisations de l’Occident Moderne (Université de Paris-Sorbonne) et par l’Institut de Stratégie Comparée, ISC, Paris, Economica, 1998; Bruno Colson ed Hervé Coutau Bégarie (dir.), Pensée stratégique et humanisme. De la tactique des Anciens à l’éthique de la stratégie, Actes du colloque international organisé les 19, 20 et 21 mai 1999 à Namur par les Facultés universitaires Notre-Dame de la Paix en collaboration avec l’Institut Royal supérieur de Défense (Bruxelles) et l’Institut de Stratégie comparée, Paris, Economica, 2000. L’attenzione per il pensiero strategico classico si è estesa in Francia anche al difuori dell’ambiente strettamente riconducibile all’ISC: cfr. ad esempio l’inclusione nel Dictionnaire de stratégie militaire des origines à nos jours, di Gérard Chaliand e Arnaud Blin, Paris, Perrin, 1998, di voci dedicate a 18 condottieri e scrittori militari antichi (Annibale, Belisario, Cesare, Enea Tattico, Epaminonda, Frontino, Leone VI il Saggio, Maurizio, Narsete, Niceforo Foca, Polibio, Polieno, Procopio, Sallustio, Scipione, Vegezio, Senofonte, Tucidide), cui si aggiungono altre 8 voci tematiche specifiche (“Antiquité gréco-romaine”, “Combat antique”, “Empire Byzantin”, “Guerre du Péloponnèse”, Gaugamela, Maratona, Salamina, Siracusa) e accenni alla storia militare antica in altre voci tematiche (“Causes de la guerre”, “Désastres stratégiques”, “Fronts et Frontières”, “Guérilla”, “Guerre et technique”, “Nomades et sédentaires”). 15 Walter Emil Kaegi, Jr., “The Crisis in Military Historiography”, in Armed Forces and Society, Vol. 7, No. 2, Winter 1981, pp. 299-316 (p. 311: “one think not only Machiavelli and Maurice of Nassau and Gustavus Adolphus, but also Henri duc de Rohan, Chevalier de Folard, Frederick the Great, Guibert, and even Ardant du Picq”). La questione è suggerita a Kaegi dalla sua polemica circa le “historical traps for strategists”, esemplate dalla “Schlieffen’s obsession with Hannibal’s tactics at the battle of Cannae” (p. 312). 58 Al contrario, la storia militare in senso proprio risale la corrente delle epopee per arrivare all’autopsia della decisione. E’ una funzione interna e riservata dei ministeri della guerra e della marina che ha origine nel tardo Seicento, come attività ausiliaria della grande pianificazione strategica e operativa (i due dépots ministeriali francesi risalgono rispettivamente al 1688 e al 1715, aggiungendosi a quello, preesistente, degli Esteri16, ma analoghe funzioni erano svolte, ad esempio, dall’Hofkriegsrat viennese e dall’Archivio segreto vaticano). La storia militare nasce dunque come intelligence, ossia ricerca ed elaborazione sistematica e statistica (con “memorie” e “monografie” di massima segrete) di qualunque tipo di informazioni (sociali, geografiche, tecniche) utili per elaborare i piani logistici e operativi di attacco, difesa e occupazione in rapporto ai possibili teatri e ambienti di guerra. “Militare” quanto all’interesse (focus) e al metodo, non quanto all’oggetto e alle fonti, era dunque una vera e propria historìa nel senso erodoteo, parente da un lato dell’antiquaria (come storia, documentaria ma soprattutto materiale, delle istituzioni e dottrine militari)17 e dall’altro dell’etnografia (che nel Novecento ha figliato due Gorgoni: a sinistra l’antropologia culturale, a destra la geopolitica). Specialisti della storia militare tecnica erano in genere ufficiali delle armi dotte e in particolare gli ingegneri cartografi (che nell’ultimo decennio abbiamo finalmente cominciato a studiare sul serio), ma anche, all’occorrenza, spie (“esploratori”), avventurieri ed ecclesiastici18. Questa attività, peritale e segreta, basata soprattutto sullo studio tecnico 16 Tradurre dépot con “archivio” è corretto, ma rischia di essere fuorviante: gli archivi militari europei di antico regime non erano infatti quei cimiteri dell’amministrazione che finirono poi per diventare, ma veri e propri think-tank, “arsenali intellettuali”, funzionali all’attività corrente di comando e indirizzo strategico. Recentemente Luigi Loreto ha reinterpretato il corpus cesariano sul presupposto - a dire il vero più logico che filologico - che la cohors praetoria fungesse non solo da stato maggiore di campagna, ma anche, appunto, da dépot permanente, con statuto giuridico misto di elementi pubblici e privati (“Le carte di Irzio, le carte di Cesare, Oppio e i servizi segreti”, nell’edizione da lui curata dei tre bella Alexandrinum, Africum e Hispaniense, Pseudo-Cesare, La lunga guerra civile, Milano, Rizzoli, 2001, pp. 7-41). Sarebbe il caso di circostanziare, approfondire e generalizzare questa interessante intuizione, che si collega all’altra, felicissima, di indagare non solo le matrici del pensiero strategico cesariano, ma anche la sua paideia politico-militare (Id., “pensare la guerra in Cesare. Teoria e prassi”, in Diego Poli, cur., La cultura in Cesare, Atti del Convegno internazionale di studi Macerata-Matelica, 30 aprile - 4 maggio 1990, Quaderni Linguistici e Pedagogici dell’Università di Macerata, V, 1990, Roma, Il Calamo, 1993, I, pp. 242-44). Torneremo sul punto più avanti, a proposito della nota opera di Luttwak sulla grand strategy romana nei primi secoli dell’impero. 17 Sul legame tra storia “erodotea” e antiquaria (in cui propriamente si inquadra la storia delle istituzioni militari) è d’obbligo il richiamo alla famosa lecture di Arnaldo Momigliano sull’“l’origine della ricerca antiquaria” (The Classical Foundations of Modern Historiography, The Regents of the University of California, 1990 = Le radici classiche della storiografia moderna. Sather Classical Lectures, Firenze, Sansoni, 1992, pp. 59-83. 18 Tale era l’abate Daniele Minutoli, peraltro ex-ufficiale svizzero, il quale scrisse, su incarico dell’ufficio topografico sabaudo (istituito nel 1738), un’inedita Rélation in sei volumi des Campagnes faites par S. M. et par ses Généraux avec des Corps Séparés dans les années 1742 et 1748 (Torino, Biblioteca Reale, Mss. Mil. 6 e Mil. 111). Suo omologo francese fu Alexandre Frédéric Jacques Masson de Pezay (1741-77), autore di una Histoire des campagnes de M. le M.al de Maillebois en Italie pendant les années 1745 et 1746 (Partis, Imprimerie royale, 1775, 4 tomi in 3 vol. in-4° più uno di Cartes ... et plans ...). Ma la guerra franco-sarda ispirò anche i famosi Principes de la guerre en montagne (1775) dell’ingegnere Pierre Joseph Bourcet de la Saigne (1700-1780) pubblicati postumi nel 1788 (Bourcet era nato del Pragelato prima della sua cessione alla Francia). Uno dei protagonisti di questo genere di attività, che durante l’antico regime si chiamava “esplorazione” (ossia spionaggio), è il poligrafo bolognese conte Luigi Ferdinando Marsigli, generale imperiale e pontificio e autore, fra l’altro, del celebre Stato militare dell’Imperio Ottomano, pubblicato in edizione bilingue (italiano e francese) ad Amsterdam nel 1732 (rist. an. Graz, Akademische Druck-u. Verlagsanstalt, 1972 a cura di Manfred Kramer e Richard F. Kreutel). Cfr. Jean Michel Thiriet, “Le renseignement aux XVIIe et XVIIIe siècles; le cas de Vienne et des Etats italiens”, in Bérenger, actes Coetquidan, cit., pp. 31-50; e V. Ilari, Piero Crociani e Ciro Paoletti, Bella Italia militar. Eserciti e marine nell’Italia prenapoleonica (1748-1792), Roma, USSME, 2000, pp. 25-45 (“lo sviluppo delle scienze militari nell’Italia del Settecento”). Grande storico militare professionale fu il conte Philippe Henri de Grimoard (17501815), impiegato nel cabinet du roi ed estensore dei piani di campagna del 1792, nonché autore di trattati di arte militare (1775), sull’impiego delle truppe leggere (1782) e sul servizio di stato maggiore generale (1809) e di relazioni sulla forza dell’esercito francese (1806) e la politica francese verso l’Austria. Fu anche storico delle campagne di Turenne (1780) e Gustavo Adolfo (1782) e delle operazioni francesi in Germania durante le guerre dei sette anni (1792) e della prima Coalizione (1808), biografo di Federico II (1788) e infine editore di carteggi (maresciallo di Richelieu, Gustavo Adolfo, 59 delle campagne e dei “precedenti”, era anche concettualmente ben distinta dalla memorialistica degli insider e dalla storia militare ufficiale19. Trattavano, a volte, le stesse informazioni, ma la prima era intelligence, l’altra soprattutto autodifesa e propaganda. La storia militare tecnica decadde nella seconda metà dell’Ottocento, quando si dette alla sfida posta dalla crescente complessità la risposta sbagliata, cioé la specializzazione, separando i servizi storici, cartografici e informativi. Spostata a livelli gerarchici sempre più elevati e distratti, l’unità di indirizzo decadde a mero coordinamento e infine scomparve, provocando un catastrofico divorzio tra ricerca informativa e ricerca storica e un corto circuito nel processo di consulenza strategica. Una volta esplosa l’unità dell’historìa, i servizi storici degli stati maggiori europei furono via via emarginati. Il processo si concluse generalmente dopo la seconda guerra mondiale, quando i servizi storici furono coerentemente con la funzione effettivamente svolta - trasferiti dal reparto operazioni al reparto propaganda20. La scomparsa della dimensione storica dell’intelligence strategica sembrò compensata dal contemporaneo fiorire di due nuovi tipi di storia militare, entrambi sanzionati da un certo riconoscimento accademico21. Il tipo più diffuso, e più facilmente accettato dall’accademia, era in realtà una mera specializzazione della storia “generale”. Ed essendo questa settorializzata per grandi epoche, poté nascere finalmente una storia militare “antica”, il cui punto di riferimento, per interesse e metodo, era però la storia antica e non la storia militare “universale”. Seguirono poi le corrispondenti storie militari medievale, moderna e contemporanea, del tutto indipendenti l’una dall’altra. La successiva divaricazione della storia “generale” nelle due grandi correnti della storia politica e della storia sociale, come la nascita di nuove prospettive storiche particolari (istituzionale, economica) ha semmai accresciuto la frammentazione delle storie specialistiche, che sono “militari” quanto al campo Federico II, Dumouriez, Maurizio di Sassonia, Campion, Vioménil, Bolingbrooke) e documenti (sulla spedizione di Minorca del 1756). 19 Il ministero della guerra del Regno Italico incaricò Ugo Foscolo, capitano di stato maggiore, di illustrare e annotare le opere militari di Montecuccoli e di compilare la storia dell’esercito cisalpino-italiano, e gli mollò pure la patata bollente di tradurre in italiano la relazione Berthier sulla battaglia di Marengo (naturalmente Foscolo si guardò bene dallo scrivere una sola riga delle tre opere commissionategli). Ma il compito di tenere il “diario istorico delle campagne” e di “comporre l’istoria militare delle operazioni dell’armata” era invece attribuito al Corpo topografico militare, essendo strettamente connesso con l’incarico di “formare piani e memorie sulle posizioni e linee militari e sui confini dello stato” (decreto 19 messidoro anno IX (8 luglio 1801) del comitato di governo provvisorio della Repubblica Cisalpina). Il Corpo, che aveva in carico il Deposito (Archivio) della Guerra, fu inizialmente diretto da un ingegnere svedese (A. C. Tibell) e poi da un napoletano (caposquadrone Antonio Campana). 20 Bisogna peraltro segnalare che già con la guerra di Corea gli Stati Uniti hanno rivitalizzato la funzione consultiva dei loro servizi storici, mediante la raccolta e l’analisi dell’“oral history”, ossia delle testimonianze rese “a caldo” dai comandanti e dai soldati subito dopo le missioni. Parte di questa documentazione è gradualmente resa pubblica. I servizi storici dell’esercito francese hanno cominciato ad applicare questa tecnica al contingente francese nella guerra del Golfo. Cfr. Frédéric Guelton, “L’historien et le stratège”, in Stratégique, n. 4/91, pp. 441-457. 21 Non si vuol certo ignorare che la maggioranza degli storici militari, almeno europei, deve lavorare suo malgrado al di fuori o ai margini dell’università; e che anche le poche cattedre europee di storia militare hanno quasi tutte subito vicende analoghe a quelle, famose, della cattedra berlinese di Hans Delbrueck (che scandalizzò solo perché i German-haters dell’accademia americana lo presentarono falsamente e strumentalmente come una vittima del militarismo tedesco), o meno note, della cacciata di Werner Hahlweg dall’università a seguito della soppressione postbellica delle cattedre tedesche di storia militare (ma pagò anche il prezzo di aver doverosamente servito la sua patria, prima in artiglieria sul fronte occidentale e poi nel dipartimento sviluppo e valutazione degli armamenti terrestri - Wa Pruef 2. Fu riammesso nel 1950 - l’anno della guerra di Corea, in cui fu deciso il riarmo tedesco - ma per la porta di servizio, riciclandolo come docente di storia olandese). Il pensiero di tali onorevoli esempi lenisce talora qualche amarezza, ma sarebbe alquanto ridicolo piangerci addosso perché non ci fanno baronetti come Oman, Hale, Liddell Hart, o i Beatles. Analizziamo piuttosto per quali motivi reali, oltre che ideologici, la prevenzione accademica contro la storia militare sia così radicata nell’Europa continentale e non nei paesi anglofoni. Non è infatti del tutto ingiustificato, a considerare l’attuale produzione italiana, il retropensiero degli storici e dei giuristi che storia e diritto “militari” stanno alla storia e al diritto come la musica militare sta alla musica... 60 di indagine, ma quanto a metodo e interesse sono in realtà storie politiche, sociali, istituzionali, economiche della guerra e delle istituzioni militari (nazionali e comparate). A questo tipo di storiografia militare si possono ascrivere Philippe Contamine e André Corvisier22 e quasi tutta la produzione universitaria italiana23. Naturalmente le storie militari specialistiche hanno ampliato il campo del sapere, ma la focalizzazione interna alle rispettive discipline storiche le rende di fatto difficilmente fruibili o integrabili da parte del pensiero strategico. Corrispondono infatti a quella che John J. Mearsheimer chiama selective history, osservando che ha scarsa influenza sul decisore24. In realtà lo influenza, ma negativamente, “vaccinandolo” anche rispetto alla storia dedicata al consilium principis. Il suo stesso sviluppo occulta e confonde infatti la questione epistemologica del rapporto tra storia e strategia, riducendola ad una insulsa questione di relazioni sociali tra università e stati maggiori, immancabilmente viziate dai reciproci pregiudizi e corporativismi. Diverso è il caso della storia militare “universale” (o per dir meglio, comparata), focalizzata sulle esigenze del pensiero strategico e del consilium principis, sviluppatasi all’interno della scienza strategica per influsso del modello delbruckiano, ma anche della scuola sociocognitiva americana. Essa è ora soprattutto americana e inglese, ma resta anche tedesca (Werner Hahlweg e Andreas Hillgrueber) e in Francia ha influito su Raymond Aron. In questo caso la questione epistemologica, anche se in genere non viene indicata con questo titolo, è ben presente e discussa25. Kaegi, che è uno storico sociale della guerra più che uno storico militare sociocognitivo, riserva alla storia dedicata, con una sfumatura polemica e pensando a Luttwak, l’aggettivo predictive26. E’ vero che talora la storia militare 22 Di Corvisier cfr. il Dictionnaire d’art et d’histoire militaire, Paris, P. U. F., 1988 e la voce “Militaire (Histoire”) in André Burguière (cur.), Dictionnaire des Sciences Historiques, Paris, P.U.F., 1986, pp. 463-471. 23 Cfr. V. Ilari, “Storia del pensiero, delle istituzioni e della storiografia militare”, in Piero Del Negro (cur.), Guida alla storia militare italiana, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1997, pp. 7-66. Un discorso a parte merita Piero Pieri, “padre” della storiografia militare italiana contemporanea e non a caso maestro di Giorgio Rochat, massimo esponente della storiografia politica delle istituzioni militari. Infatti le fascinazioni piemontesiste, risorgimentaliste e delbruckiane di Pieri erano pur sempre filtrate dalla sua indiscussa e totale appartenenza ad una tradizione accademica radicalmente refrattaria alla connotazione metodologica e politica della storiografia militare universale, cioé alla comparazione storica e al consilium principis (se non in riferimento - opportunista più che “organico” - al “principe collettivo” gramsciano, cioè il partito antagonista, visto dagli intellettuali italiani come vindice inconsapevole della rivoluzione giacobina incompiuta, tradita o perseguitata dal principe costituito, di volta in volta sabaudo, fascista o democristiano). 24 John J. Mearsheimer, Liddell Hart and the Weight of History, Cornell University 1988, Oxford, Brassey’s Defence Publishers, 1988, pp. 218-219. 25 Sull’influenza della storia militare sul pensiero strategico, per alcuni eccessiva e nefasta, per altri insufficiente, v., oltre a Kaegi e a Mearsheimer, la famosa lecture tenuta da Michael Howard il 18 ottobre 1961 (“The Use and Abuse of Military History”, ora in RUSI Journal, February 1993, pp. 26-30). Sul tema, v. anche Ernest R. May, “Lessons” of the Past: the Use and Misuse of History in American Foreign Policy, New York, Oxford U. P., 1975; Russell F. Weigley (ed-), New Dimensions in Military History, San Rafael, California, Presidio Press, 1975; Robert Higham, Robin and Jacob W. Kipp (eds.), International Commission for Military History: Acta No. 2, The Washington Meeting, August 1975, Manhattan, Kansas, Military Affairs Aerospace Historian Publishing, 1977; Jay Luvaas, “Military History: Is It Still Practicable?” (1982), in Parameters, Summer 1995, pp. 82-98; Manfred Messerschmidt, Klaus A. Maier, Werner Rahn e Bruno Thoss (cur.), Militaergeschichte. Probleme-Thesen-Wege, Im Auftrag des Militaergeschictlichen Forschungsamtes aus Anlass seines 25jaehrigen Bestehens, Stuttgart, Deutsche Verlangs-Anstalt, 1982; Martin van Creveld, “Thoughts on Military History”, in Journal of Contemporary History, Vol. 18 (1983), pp. 549-566: Raimondo Luraghi, “Storia militare e strategia globale”, in Strategia globale, N. S., n. 2, 1984, pp. 235-242; Richard E. Neustadt, Thinking in Time: The Uses of History for Decision-Makers, New York Free Press, 1986; V. Ilari, “Epistemologia della storia militare”, in corso di pubblicazione negli atti del II convegno nazionale di storia militare indetto dalla Commissione nazionale di storia militare e tenutosi a Roma, presso il CASD, il 28-29 ottobre 1999. 26 Kaegi, op. cit., p. 301. 61 universale si è abbandonata, se non alla profezia27, almeno alla previsione (forecasting)28 e alla ricerca induttiva di principi, regolarità, insegnamenti (lessons, predicaments). Ma la sua funzione propria, la sua ragion d’essere che la distingue dalla storia politica e sociale della guerra e delle istituzioni militari è di orientare l’analisi del presente e contribuire al processo decisionale. Sembra perciò più corretto definirla, come fa Mearsheimer, analytic history, per quanto sia scoraggiante doverne affidarne le fortune al comportamento razionale del decisore (“the policy maker behaves like the classic rational actor; he consciously turns to the past for help in understanding the present”). In realtà la storia, e non soltanto la storia militare, influenza sempre le decisioni; purtroppo lo fa generalmente nel modo peggiore, attraverso quel che Napoleone chiamava réminiscence29 e Mearsheimer omnipresent history, ossia una “forzatura del presente per conformarlo ad una determinata interpretazione del passato”. Interpretazione, occorre aggiungere, che è assai raramente originale, anzi quasi sempre doxastica, acritica ed emotiva, e perciò pericolosamente rigida e dogmatica. 3. Imitatio. Il digesto militare romano nella paideia cavalleresca E’ evidente che, a rigor di termini, la questione dell’influenza della storia militare antica sul pensiero strategico occidentale non si può porre, propriamente, prima della seconda metà dell’Ottocento, prima cioè della nascita della storia militare antica, sia come settore specialistico della storia antica, sia come parte della storia universale (analitica) dell’arte della guerra. Per i secoli precedenti la questione va dunque impostata in termini notevolmente diversi, indagando l’uso diretto (medievale) della letteratura militare classica e la sua rielaborazione (rinascimentale) come base per una letteratura militare moderna. Il Medioevo conobbe l’arte militare romana nello stesso modo in cui conobbe il diritto romano, vale a dire attraverso il filtro delle compilazioni militari e giuridiche imperiali. Sono stati censiti 331 manoscritti (incluse 85 traduzioni) di Vegezio, di cui 19 posteriori al 1500. Fu il primo trattato militare impresso (nel 1470 in Germania, nel 1473/5 a Utrecht), con 11-14 edizioni o riedizioni a stampa già prima del 1500. Quanto a fortuna, si potrebbe quasi dire che Vegezio fu il Jomini del Medioevo e ancora del primo Rinascimento30. Entrambi furono infatti apprezzati (soprattutto dai militari) per la comune chiarezza espositiva e fruibilità pratica. Ed entrambi furono, fatalmente, vittime del loro stesso successo, finendo a loro volta compendiati, digeriti, superati e infine dimenticati proprio dai loro epigoni ed imitatori. 27 L’epiteto di “profeta” ricorre spesso nella letteratura militare contemporanea, specie in riferimento ai sostenitori di questa o quella “arma decisiva” (Douhet e Mitchell “profeti” del potere aereo, Fuller ed Estienne dei carri armati) o ai futurologi militari (Ivan de Bloch profeta del “pacifismo tecnologico”: cfr. Nicola Labanca, in Rivista di storia contemporanea, 1991, 4, pp. 598-637). E’ interessante però riflettere, sulla scorta di Santo Mazzarino (Il pensiero storico classico, Roma-Bari, Laterza, 1974, II, 2, p. 348) che la “profezia” militare è più vicina alla concezione tucididea della storia (dove “ogni fatto ha in sé stesso il suo metro, anche se la conoscenza di esso potrà essere utile alle nostre decisioni future”) che alla concezione “epimenidea” (dove “il passato è responsabile rispetto al futuro, e la sua conoscenza consente la profezia”). 28 Yuri V. Chuyev e Yuri B. Mikhaylov, Forecasting in Military Affairs (Moscow, 1975, transl. by the Secretary of State Dept Canada, publ. under the auspices of the USAF), U.S. Government Printing Office, 1980; Trevor N. Dupuy, Numbers, Predictions & War. The Use of History to Evaluate and Predict the Outcome of Armed Conflict, Fairfax, Virginia, Hero Books, 1985. 29 30 Coutau-Bégarie, Traité, cit., p. 30 (“Sur le champ de bataille l’inspiration n’est le plus souvent qu’une réminiscence”). Più difficile trovare il Clausewitz della tradizione classica. Per la profondità e l’originalità della teoria, per la qualità e la durata dell’influsso esercitato (più sul pensiero politico che sul pensiero strategico e militare) e perfino per la sfortuna sul campo di battaglia, si penserebbe a Tucidide. 62 Ma il generale svizzero (1779-1869), passato nel 1813 dal servizio francese a quello russo, aveva della propria opera un’opinione opposta a quella dell’alto dignitario imperiale della prima metà del V secolo d. C.31, che si professava inferior rispetto alle sue fonti (Catone il Vecchio, Sallustio, Frontino, Celso e le costituzioni militari di Augusto, Traiano e Adriano). Non si proponeva infatti di fissare il Précis definitivo e perpetuo dell’arte della guerra, ma soltanto di compilare, senza ambizioni letterarie, regulae bellorum generales (riassunte in ERM, III, 26) e di “divulgare a vantaggio di Roma” quae apud diversos historicos et armorum docentes dispersa et involuta celantur (ERM, Pr. I). La compilazione militare (epitoma rei militaris) - inizialmente limitata al delectus e agli armorum exercitia (ERM, I) ed estesa poi su ordine imperiale anche al veteris militiae mos (II), alle artes terrestris proelii (III), alle machinae quibus obpugnabatur civitates vel defenduntur e ai navalis bellis praecepta (IV) - sembra con tutta evidenza complementare alla probabilmente coeva compilazione di iura e leges attuata nel 426-438 da Valentiniano III e Teodosio II32. L’epitoma, trattato militare ufficioso della pars Occidentis, fu recepita in Oriente nel 450, quando Flavio Eutropio la pubblicò a Costantinopoli. La mancanza di successive edizioni orientali si spiega con la combinazione tra l’abbandono del latino come lingua ufficiale dell’impero bizantino e con l’assorbimento dell’epitoma latina nelle due più ampie compilazioni di testi greci (Strategikon e Taktikà) ordinate da Maurizio (582-602) e Leone il Saggio (886-911). Accadde lo stesso al codice Teodosiano quando venne selettivamente rifuso nel nuovo testo unico giustinianeo, la cui mancata estensione all’Occidente assicurò appunto la sopravvivenza del codice precedente. Si tenga presente che Leone sostituì con un rifacimento greco (Basilikà) anche il Digestum latino della giurisprudenza romana fatto compilare da Giustiniano. In Occidente, al contrario, Vegezio fu, fino al 1300, l’autore “tecnico” più diffuso, con 312 manoscritti dal VII al XV secolo contro i 75 di Vitruvio33. Non sfuggiva agli eruditi medievali la 31 Sulla datazione dell’opera (e sulla committenza imperiale dei libri II-IV, attribuibile a Teodosio I, Onorio, Teodosio II o Valentiniano III), v. da ultimo Claudia Giuffrida Manmana (intr. e trad.), Flavio Vegezio Renato. Compendio delle istituzioni militari, Catania, Edizioni del Prisma, 1997, pp. 15-46, la quale, seguendo il criterio mazzariniano, propende per una datazione posteriore al 408 d. C., collocando l’opera “nell’età di Onorio” e Stilicone e mettendola in rapporto col “dibattito che in quegli anni impegnò gli intellettuali della corte orientale e occidentale e sortì nella vittoria del partito nazionalista in entrambe le parti dell’impero”. La datazione di Vegezio sotto Teodosio I sembra essere influenzata, in Mazzarino, dalla sua pregiudiziale svalutazione (e incomprensione) dell’epitoma, scritta “con l’ottimismo erudito di chi sciorina soluzioni impossibili, e sciupa nomi venerandi che ormai sono l’ombra di sé stessi” (La fine del mondo antico2, Milano, Rizzoli, 1999, p. 56). 32 Con la “legge delle citazioni” (che dava forza di legge ai pareri concordi dei cinque grandi nomi della giurisprudenza classica, il cosiddetto “tribunale dei morti”) e il Codex Theodosianus (che proseguiva le due precedenti collezioni sistematiche di leges imperiali, codici Ermogeniano e Gregoriano). L’ideologia imperiale associava strettamente arma et leges, che - secondo la celebre costituzione premessa al Novus Iustinianus Codex - erano, assieme, i pilastri della summa reipublicae tuitio. Non va dimenticato che anche il Corpus Iuris Civilis include, beninteso per gli aspetti giuridici, due tituli de re militari (D. 49, 16 e CI., 12, 35: v. però anche, su singoli istituti di diritto militare, i tituli CI, 12, 29-47; cfr. Vincenzo Giuffré, “Arrio Menandro e la letteratura de re militari”, in Labeo, 20, 1974, pp. 27-63). 33 Cfr. Richardot, Moyen Age, cit. pp. 195-198. Uno dei manoscritti francesi seguì le crociate in Terrasanta, tornando poi in Italia (Vat., Palat. lat. 909). Altri 5 figurano nel bottino di guerra preso a Pavia nel 1499 da Luigi XII. Dal IX al XV secolo l’opera figura in 44 biblioteche ecclesiastiche (inclusi 5 papi), 37 di sovrani e guerrieri e, nel XIV e XV, anche in 21 private, incluse quelle di Petrarca e Coluccio Salutati, dei condottieri Braccio da Montone e Antonio da Marsciano e delle famiglie Medici, Strozzi, Malatesta e Visconti. Pur non includendolo nel codice degli ordinamenti militari castigliani (segunda delle Siete Partidas) Alfonso X di Castiglia e Leon (1252-1284) attribuì formalmente ai precetti di Vegezio il valore di regole di cavalleria. Fino a tutto il XV secolo l’opera fu inoltre compendiata o citata da Sedulius Scotto (Kollectaneum), Rabano Mauro (De procinctu Romanae militiae), Giovanni da Salisbury (Policraticus), Tommaso d’Aquino (Summa Theologiae), Vincent de Beauvais (Speculum doctrinale, IX), Egidio Colonna, Pulcher Tractatus de materia belli, Philippe Elephant (Ethica, 1355), Giovanni da Legnano (De bello, de represaliis et de duello, 1360), Honoré Bovet (L’Arbre des Batailles, 1386/90; L’Apparition de Jehan de Meun, 1398), Christine de Pisan (Livre du corps de Policie, 1406/7; Livre des faits d’arme et de chevalerie, 1410), Antoine de la Sale, Jean de Bueil (Le Jouvencel, 1461/8), 63 filiazione di Vegezio da Frontino, né mancarono, almeno in età carolingia, critiche stilistiche e riserve sulla parziale obsolescenza dell’opera (quae tempore moderno in usu non sunt)34. Ma nel complesso la recezione era acritica e passiva: dalla dettagliata ricognizione di Richardot si ricava un solo autore che abbia sviluppato una riflessione originale prendendo spunto da Vegezio35. A differenza delle Institutiones legali di Giustiniano, quelle militari di Valentiniano III e Teodosio II non svolsero nel Medioevo una funzione critica - e nemmeno propriamente “didattica”, come sostiene Philippe Contamine36 - ma soltanto culturale e pedagogica. Nel XV secolo Epitoma e Strategemata formavano, con altri classici antichi (Cesare, Livio, Valerio Massimo) e moderni (L’Arbre des Batailles e Le Jouvencel), il normale percorso di lettura consigliato al giovane cavaliere (miles). Faticosamente germogliata nello studio medievale delle arti liberali, fino al Rinascimento l’idea di progresso rimase del tutto estranea alla scientia militaris, concetto esclusivamente pedagogico, nel senso che lo scopo dell’artem ediscere era il nutrimento intellettuale del doctus ad proelium, non il progresso scientifico. Avendo già spezzato e masticato per il lettore il pane della prudentia militaris, l’epitoma confaceva meglio dei testi “crudi” alla paideia cavalleresca37, radicandovi il mito che il segreto delle vittorie romane fosse la combinazione legionaria tra delectus, disciplina, triplex acies e castra. Proprio per la sua natura compilativa, dava infatti una visione statica e astorica del sapere militare, priva di antinomie, senza traccia dei contrasti e dissensi attraverso i quali si erano storicamente formate e consolidate le regulae generales (per non parlare delle ideologie soggiacenti). Lo stato parziale delle nostre conoscenze ci consente di cogliere la portata di questa intenzionale omissione del dibattito solo in riferimento a una questione tecnica come l’ordine di battaglia (l’epitoma menziona l’agmen quadratum, ma ne tace l’antinomia rispetto alla triplex acies, analoga a quella settecentesca tra ordine sottile e ordine profondo) e ad una questione politica come il sistema di reclutamento, che fu forse proprio all’origine della compilazione38. Fortunatamente possiamo mettere a confronto l’epitoma col de rebus bellicis (anteriore da una a tre generazioni), unica testimonianza superstite di quei promemoria privati e riservati, talora contenenti proposte e suggerimenti su questioni Flavio Biondo (Romae triumphantis libri, 1460), Denys le Chartreux (De vita militarium, XII), Thomas Malory (Le Morte Darthur), Pierre Choisnet (Le Rosier des guerres, 1481/2). La prima edizione a stampa, tedesca, risale al 1470. Dal 1487 Vegezio è pubblicato, con Frontino, Eliano e Modesto, nel Corpus veterum scriptorum de re militari. 34 Cfr. Richardot, Moyen Age, cit., pp. 31 e 76-77. 35 Jean de Meun, che metteva Vegezio a confronto con Cesare per criticare l’imprudenza di Corradino di Svevia alla battaglia di Tagliacozzo (1268). De Meun collegava inoltre la vittoria riportata a Muret (1213) da Simone di Montfort sul re d’Aragona agli esempi di Giuda Maccabeo e Goffredo di Buglione, traendone il principio che la superiorità militare non è funzione della quantità, ma della qualità delle forze (Cfr. Richardot, Moyen Age, cit., pp. 128-129). 36 Cfr. Philippe Contamine, La guerre au moyen age, Nouvelle Clio 24, Paris, P.U.F., 1980, pp. 353-364 (“didactique de l’art militaire”); Id., “The War Literature of the Late Middle Ages: the Treatises of Robert de Balsac and Béraud Stuart, Lord of Aubigny”, in Ch. T. Allmand (Ed.), War, Literature and Politics in the Late Middle Ages, Liverpool U. P., 1976. 37 Generalmente nel Trecento e nel Quattrocento res militaris veniva resa in vernacolo come chose de chevalerie (Ritterschafft) o de las batallas. Ma già Giovanni da Salisbury (Policraticus, 6, 19) classificava correttamente la res militaris fra le “arti”, sottinteso “meccaniche”. Questo scrupolo epistemologico è presente anche nella prima traduzione italiana di Vegezio, del fiorentino Bono Giamboni (circa 1286), intitolata Dell’Arte della guerra (Richardot, Moyen Age, cit., pp. 63-66, secondo il quale il titolo scelto da Giamboni avrebbe influenzato Machiavelli. In realtà furono gli editori del suo trattato del 1519 ad intitolarlo Arte della guerra: nelle sue lettere Machiavelli si riferisce ad un de re militari: cfr. Frédérique Verrier, “L’Art de la guerre machiavélien, “bréviaire” de l’humanisme militaire”, in Colson e Coutau-Bégarie, Pensée, cit., p. 57 nt. 36). 38 Uno degli elementi per la datazione è che l’epitoma non menziona, a proposito del delectus, il classico requisito della ingenuitas delle reclute, reso derogabile, propter rei publicae necessitas e contra hostiles impetus, dalla costituzione 13 aprile 406 di Onorio, Arcadio e Teodosio II (C. Th., VII, 13, 16) la quale stabiliva di aver riguardo all’idoneità fisica (vires) e non alla condizione giuridica (status personarum). Criterio richiamato quasi alla lettera in ERM, I, 5, 180-181. Cfr. Giuffrida Manmana, op. cit., pp. 37-38. 64 amministrative e finanziarie, che si usava indirizzare alle cancellerie imperiali, prassi ereditata dagli stati di antico regime e ben analizzata da Paolo Preto nel caso veneziano39. Il de rebus bellicis illumina la questione del reclutamento perché la collega giustamente con la pianificazione finanziaria dell’esercito, suggerendo di adottare l’ordinamento “a larga intelaiatura” (riducendo la ferma e trasformando una parte delle unità attive in unità di riserva da mobilitare solo in caso di necessità) allo scopo di poter recuperare risorse finanziarie per rifortificare le frontiere (limitum munitiones) e “meccanizzare” (bellicae machinae) l’esercito40, adottando inoltre la formazione falangitica (agmen quadratum), la più adatta ad affrontare la tattica insidiosa dei parti, considerati dal de rebus bellicis il nemico principale. 4. La translatio in Occidente della sapienza militare greco-bizantina Se si prescinde dalle traduzioni latine di Tucidide e Polibio (libri I-V) ad opera di Lorenzo Valla (1409-1457) e Nicolò Perotti, si può datare l’inizio formale dell’umanesimo militare al 1455, anno della traduzione latina, per conto del re di Napoli e Sicilia Alfonso I d’Aragona, della tattica di Eliano ad opera di Teodoro Gaza di Tessalonica (1400-1478), uno dei rifugiati bizantini accolti dal cardinal Bessarione e massimo diffusore della lingua e della cultura greca in Occidente41. La traduzione di Eliano fu inclusa nella prima collezione a stampa di testi militari antichi, impressa a Roma il 15 febbraio 1487 con l’onesto e limpido titolo Veteres scriptores de re militari42. La collezione, includente anche Vegezio, Frontino e il libellus de vocabulis rei militaris (Pseudo-Modesto43), ebbe numerose riedizioni, arricchite nel 1494 dalla traduzione latina di Onasandro fatta da Segundinus44. Era, quasi letteralmente, una bomba a scoppio ritardato, che, come vedremo, non mancò di esplodere in Fiandra cent’anni dopo, nel dicembre 1594, innescata dall’occhio febbrile di un miles eruditus che seppe trovare proprio in Eliano il sistema per falciare con le raffiche di moschetteria i tercios dei picchieri papisti. Circa nel 1490 Giano Lascaris (un altro rifugiato tessalonicese che, tra l’altro, insegnò il greco a Guillaume Budé) tradusse in latino il frammento polibiano, fino ad allora sconosciuto in Occidente, de 39 Cfr. Paolo Preto, I servizi segreti di Venezia, Milano, Il Saggiatore, 1994. Dello stesso autore v. anche Venezia e i turchi, Firenze, Sansoni, 1975. 40 L’elenco delle machinae, illustrate da picturae riprodotte in tre dei quattro codici pervenutici, include la sottocorazza di cotone e cuoio (thoracomachum), lo scudo chiodato (clipeocentrus), il giavellotto (iaculum) con penne direzionali, a punta (plumbatum mamillatum) o ad aculeo (plumbatum tribolatum), la torre mobile ossidionale (tichodifrum), il carro falcato (currodrepanum) e corazzato (clipeatum), il lanciasaette campale ruotato (ballista quadrirotis) e da fortezza (fulminalis), il ponte di otri gonfiati (ascogefyrum), la nave a ruote con motore animale (liburna). 41 Bibliografia esaustiva sulla tattica di Eliano e di Leone VI in Hahlweg, Die Heeresreform der Oranier und die Antike, Berlin, Junker und Duennhaupt Verlag, 1941 (rist. an. Osnabrueck, Biblio Verlag, 1987), pp. 302-307, che include anche gli estratti delle traduzioni latine di Eliano (Gaza, pp. 197-230) e Leone VI (pp. 250-55) incluse nel Kriegsbuch di Giovanni di Nassau. 42 Cfr. Jaehns, GdKW, 1, pp. 9, 247, 447. 43 E’ un estratto da Vegezio. “Modestus n’a jamais existé, il s’agit d’une mystification littéraire dévoilée par l’humaniste François de Maulde en 1580, redécouverte au XIXe siècle” (Richardot, Les éditions d’auteurs militaires antiques au XVeXVe siècles”, in Stratégique, 68, 1997, n. 4, p. 90). 44 Cfr. Richardot, Moyen Age, cit., pp. 41 e 187. Come osservava Jahns, GdKW, 1, pp. 91-92, Onasandro “hat kein system”; ma, diversamente dagli altri tactici antichi, assunse anche un rilievo politologico, perché in ambito cattolico fu strumentalmente contrapposto a Machiavelli. La traduzione italiana di Fabio Cotta fu pubblicata a Venezia nel 1546. L’editio princeps di Nicolaus Rigaltius comparve a Parigi nel 1598/9 e fu ristampata ad Heidelberg nel 1600 con un commento di Janus Gruterus e osservazioni di Aemilius Portus. 65 militia et castrorum metatione romane (VI, 19-42)45. Nell’aprile 1491 Lascaris vendette inoltre a Lorenzo de’ Medici il codice (Laur. gr. LV 4) contenente il corpus della letteratura militare grecobizantina, probabilmente proprio l’originale fatto redigere da Costantino VII Porfirogenito attorno al 950-59 e presumibilmente pervenuto alla biblioteca lascaride di Tessalonica a seguito del sacco di Costantinopoli del 120446 (proprio quello descritto in Baudolino, perpetrato, col cinico supporto navale veneziano, dai barbari crociati francesi e fiamminghi; che avrebbe dunque avuto, se non altro, il merito indiretto e inconsapevole di sottrarre lo scrigno della sapienza militare romano-cristiana d’Oriente al nuovo Impero romano-islamico47). 45 La traduzione lascaride fu pubblicata a Venezia nel 1529 (Liber ex Polybii historiis excerptus de militia Romanorum et castrorum metatione inventu Rarissimus a Iano Lascare in Latinam linguam translatus) e, con testo greco a fronte, a Basilea nel 1537 (Polybius, De Romanorum militia, et castrorum metatione liber, Basileae, per B. Lasinium et T. Platterum) assieme ad un trattato militare fiorentino, scelto probabilmente perché era l’unico in latino (Jacopo da Porcia, De re militari) già pubblicato a Venezia (Johannes Taccuinus) nel 1530. In precedenza erano noti soltanto i libri I-V di Polibio: ignorati nel Medioevo, già nel 1418-19 erano stati parzialmente compilati da Leonardo Bruni nei commentaria tria de primo Punico bello e nel 1450-54 tradotti in latino da Nicolò Perotti su incarico del papa Nicola V (traduzione stampata nel 1522 e 1530). In seguito la traduzione lascaride della militia romana fu tradotta in italiano da Bartolomeo Cavalcabò (1535) e Francesco Patrizi (1583) e parafrasata in francese da Fourquevaux (Bellay-Langey, Paris, 1548; 1553). Seguirono poi la nuova traduzione e parafrasi di Giusto Lipsio (1594-98) e infine l’edizione critica con traduzione latina dell’intero corpus polibiano di Isaac Casaubon (1605-09), utilizzata da Claude Saumaise (de re militari Romanorum, 1635, secretata per ragioni militari e stampata postuma nel 1657 da Georg Horn). Cfr. Arnaldo Momigliano, “Polybius’ Reappearence in Western Europe”, in Entretiens sur l’Antiquité classique, 20, 1973, pp. 347-372 (= Sesto Contributo, I, Roma, 1980, pp. 103-123 = Problèmes d’historiographie ancienne et moderne, Paris, Gallimard, 1983); Michel Dubuisson, “Polybe et la ‘militia romana’”, in Pensée, Actes Namur, pp. 1-23. 46 Cfr. Luigi Loreto, “Il generale e la biblioteca. La trattatistica militare greca da Democrito di Abdera ad Alessio I Comneno”, exc. da Giuseppe Cambiano et all. (cur.), Lo spazio letterario della Grecia antica, II. La ricezione e l’attualizzazione del testo, Salerno editrice, Roma, s. d. (ma 1997), pp. 563-589. Dal codice Laurenziano derivarono i codici romani Reginensis Gr. 88, Vallicellianus VII-1, Barberinianus Gr. 59, a loro volta ricopiati. Cfr. Alphonse Dain, “Luc Holste et la collection romaine des tacticiens grecs”, in REA, 71, 1969, pp. 338-353. Editio maior Hermann Koechly e Wilhelm Ruestow, Griechische Kriegsschriftsteller, Leipzig 1853-55, 3 voll. (rist. Osnabruck, Biblio Verlag, 1969). Degli stessi autori, cfr. Geschichte des griechichen Kriegswesens von der aeltesten Zeit bis auf Pyrrhos, Aarau, 1852. Cfr. F. Haase, “Ueber die griechischen und lateinischen Kriegsschriftsteller”, in Neue Jahrbuecher fuer Philosophie und Paedagogik, 14 Bd., H. 1, Leipzig, 1835; Id., De militarium scriptorum graecorum et latinorum omnium editione instituenda narratio, Berlin, 1847; W. Stavenhagen, “Ueber die altgriechische Militaer-Schriftstellerei”, in Die Militaerische Welt, H. 11, Wien, 1907; Alphonse Dain, Les strategistes byzantins, Travaux et Mémoires, Centre de Recherche d’histoire et civilisation byzantines, N. 2, 1967. Sui manoscritti militari classici all’inizio del Seicento, cfr. Gabriel Naudé, Syntagma de studio militari, Romae, 1637, pp. 518-25. 47 Ciò non toglie gli scambi reciproci tra la letteratura militare bizantina e islamica: cfr. W. Wuestenfend, Das Heerswesen der Muhammedaner und die arabische Uebersetzung der Taktik des Aelianus, Goettingen, 1880. Sull’attenzione riservata dal trattato di Leone al jihad e al modo di combattere islamico, v. Gilbert Dragon, “Byzance et le modèle islamique au Xe siècle. A propos des constitutions tactiques de l’empereur Léon VI”, in Académie des Inscriptions et des Belles Lettres, Comptes rendus des séances de l’année 1983, pp. 219-242. Né va dimenticato che il sultano si considerava successore legittimo (ex belli iure) degli imperatori romani (e come tale sovraordinato anche ai monarchi europei) e che la burocrazia centrale era cosmopolita e organizzata secondo il modello bizantino. Il fratello di Alberico Gentili, Scipione, tentò anche un raffronto tra le stesse istituzioni militari dei due imperi (De re militari Romana et Turcica, ext. in orat. Rectoralibus, Norimbergae, 1600). E’ appena il caso di ricordare che, fermato nel 1683 l’espansionismo ottomano in Europa, a riunificare le due partes imperii ci provarono prima l’asse austro-russo (appoggiato a Venezia dalla perdente ma lungimirante fazione dei Tron) e poi la Royal Navy e l’Indian Office, tallonati velleitariamente da francesi e tedeschi. Dopo la catastrofica iniziativa churchilliana di Gallipoli (che affrettò la brutale cancellazione del carattere “romano” e multiculturale di Costantinopoli: v. Philip Mansel, Constantinople 1453-1924, 1995) ci riuscirono, inizialmente contrastati dai sovietici, gli americani, con l’entrata della Turchia postkemalista nella NATO (1954) e poi con l’“allargamento” della NATO sino alla fascia critica delle guerre mondiali novecentesche, corrispondente all’antico limes danubiano dell’Impero romano (nel cui quadro si spiegano, come assestamento delle retrovie, le tragiche ma secondarie guerre di successione jugoslave 1991-2001, sostanzialmente operazioni di grande polizia militare occidentale). 66 La raccolta, che testimoniava forse l’intento di una terza compilazione, non realizzata, include in 405 fogli di 32 righe ventuno testi: tredici trattati militari bizantini (su un totale di almeno 24, più 16 parafrasi, riedizioni e antologie dal VI all’XI secolo) di cui 6 anteriori al VII secolo e 7 posteriori all’inizio del IX; cinque trattati classici anteriori alla prima metà del II secolo (Enea, Onasandro, Eliano, Arriano e Asclepiodoto), l’Ektaxis katà Alanon (dalla Bythinika) di Arriano, un testo di raccordo fra le due tradizioni, greca e bizantina (noto come Apparatus bellicus) e il VII libro dei kestoi di Giulio Africano48. Analogo sembra il corpus poliorcetico che raccoglie i trattati specialistici e narrazioni di assedi famosi estratti da 16 storici greci da Tucidide a Eusebio49. Come osserva Luigi Loreto, l’amputazione delle parti relative alla guerra navale dai trattati di tattica50 fa supporre una terza raccolta specifica, purtroppo non pervenutaci. Tuttavia la tripartizione veramente pertinente alla letteratura militare classica è quella fra strategetica, tactica e poliorcetica51. 48 Naudé elencava ben 25 auctores antiqui deperditi (Syntagma, cit., pp. 517-17); sommando solo i nomi più convincenti con i testi pervenutici, si arriva almeno a 21 scrittori greci dal V secolo a. C. al II d. C. (Democrito di Abdera, Enea, Pirro, Cinea, Alessandro II, Filippo V, Clearco, Pausania, Evangelo, Polibio, Eupolemo, Ificrate, Posidonio, Filone, Onasandro, Stratocle, Hermeias, Eliano, Arriano, Asclepiodoto, Polieno) oltre al VII libro dell’enciclopedia di Giulio Africano (sugli autori citati in El. I, 2 = Arr. I, 1, cfr. Hahlweg, HR, pp. 121-24). Coutau-Bégarie (Traité, cit., p. 151) ha ricavato da A. Dain, Les stratégistes byzantins, un “tableau simplifié et completé” delle corrispondenze fra i trattati. Si può ipotizzare che la taktika di Polibio (autore anche di un bellum Numantinum: Cic., fam., V, 12, 2) sia la prima commistione fra la tradizione greca e la variante latina iniziata dal de re militari catoniano (L. Poznanski ha proposto una restitutio del perduto testo polibiano sulla base del II libro delle storie: Les Etudes classiques, 46, 1978, pp. 205-212). C. M. Gilliver propone un elenco di “Roman military treatises” (The Roman Art of War, Charleston, S. C., Tempus Publishing, 1999, pp. 173-177) sia latini che greci, includendovi Catone, Asclepiodoto, Cincio Alimento, Vitruvio, Athenaeus Mechanicus (perì mechanematon), Cornelius Celsus, Plinio il Vecchio (de iaculatione equestri), Onasandro, Frontino, Pseudo-Igino (de munitionibus castrorum), Eliano, Erone di Alessandria (belopoeika e cheiroballistra), Apollodoro di Damasco (poliorketika), Arriano, Polieno, Tarruteno Paterno (de re militari), l’imperatore Giuliano (supposto autore dei mechanikoi) e Vegezio. (Ipotetica ricostruzione dell’ektaxis di Arriano on Gilliver, pp. 48 e 178-180). 49 Par. Suppl. gr. 607. Editio maior P. Wescher, Poliorcétique des Grecs. Traités théoriques - Récit historiques, Paris, Imprimerie Nationale, 1867. La lista degli scrittori greci (III a. C. - II d. C.) di artiglieria e poliorcetica include Enea (Enée le Tacticien, Poliorcétique XII, 4, texte établi par A. Dain, traduit et annoté par Anne Marie Bon, Les Belles Lettres, 1963), Bitone, Filone, Agesistrato, Ateneo, Erone e Apollodoro. Cfr. Paul Gédéon Joly de Maizeroy, Traité sur l’Art des Sièges, et des Machines des Anciens, où l’on trouvera des comparaisons de leurs méthodes avec celles des modernes, Paris, 1778; F. Lammert, “Die antike Poliorketik und ihr Weiterwirken”, in F. Miltner e L. Wickert (Hrsg.), Klio, Beitraege zur alten Geschichte, 31, 4, Lepzig, 1938; E. W. Marsden (Greek and Roman Artillery, Technical Treaties, Oxford, 1971 rist. 1991); Yvon Garlan (Recherches de poliorcétique grecque, Bibliothèque des Ecoles françaises d’Argènes et de Rome, fasc, 223, Paris, De Boccard, 1974) e J. G. Landels (Engineering in the Ancient World, London, Chatto & Windus, 1978 = Constable & Co. Ltd, 1997, pp. 198-217 “Principal Greek and Romans Writers”). 50 51 Cfr. K. K. Mueller, Eine griechische Schrift ueber Seekrieg, Wuerzburg, 1882. Già nel 1595 Giovanni di Nassau aveva osservato che la letteratura militare greca era formalmente suddivisa in tre generi: strategetica, tactica e poliorsetica (Hahlweg, HR, p. 125). La distinzione tra strategikà come parte generale (omnia quae a duce) e strategémata come parte speciale (si in specie eorum sunt) si legge in Frontino (proem. I), ma il passo si considera interpolato, probabilmente dallo stesso autore del IV libro, composto, diversamente dai primi tre, da exempla potius strategicon quam strategemata (cfr. Francesco Galli, Introduzione, traduzione e note a Frontino, Lecce, Argo, 1999, pp. 12 e 16). Secondo Colson (Collect. Moretus Plantin, cit., pp. 137-8) la lettura contrappositiva di strategémata e strategematika risale alle edizioni del 1731 (curante Francisco Oudendorpio, Lugduni Batavorum) e 1763 (Sexti Julii Frontini Strategematicon libri tres; Strategicon liber unus, emendabat Jos. Valart, Lutetiae). Anche Karl Theophil Guischardt (1724-1775) nel II volume delle Mémoires militaires sur les Grecs et les Romains (La Haye, 1758; Lyon, l760) sosteneva che gli studi dei greci non si erano limitati agli aspetti più superficiali della tattica che appaiono in Eliano e Arriano, ma riguardavano anche l’“art de commander des armées”, detta strategein o téchne strategiké; peraltro, a giudicare dalle epitome di Frontino e Polieno, il futuro aiutante di campo di Federico II inferiva che “loin de traiter en mathématiciens la science qu’ils appellaient celle de commander des armées, et de la soumettre au calcul, comme leur tactique, ils n’ont fait qu’amasser un grand nombre d’exemples et des faits, dont ils déduisoient les maximes” (cit. in Colson, p. 189). Non convince la tesi di Loreto (pp. 169-171) che alla distinzione concettuale corrispondesse quella fra due distinti generi letterari: troppo striminzita una strategika che annovererebbe, prima dell’Anonimus Byzantinus, soltanto il sofista Dionisidoro (Xen,, Mem., III, 1), Onasandro e il titolo attribuito ad Enea dalla Suda (Loreto vi aggiunge 67 La translatio dei graecorum militaria praecepta (Sall., Bell. iug., 85, 12) rientrava in un più ampio disegno di politica culturale dei rifugiati bizantini a Roma, Firenze e Venezia, impegnati nella diffusione della cultura e della stessa lingua greca in Occidente. Erano infatti del tutto coerenti col grande progetto geopolitico e militare di Lascaris, che per gran parte della sua vita continuò a perorare presso il papa, l’imperatore e il re di Francia la necessità di riconquistare Costantinopoli, una volta conclusa (nel 1492, con la presa di Granada) la Reconquista iberica. Effettivamente l’importazione del pensiero militare greco-bizantino servì alla guerra: ma non solo alla guerra contro il Turco che stava a cuore a Lascaris e che, a parte Lepanto, fu sostenuta dai soli veneziani (1499-1503, 1537-40 e 1570-73). Servì invece anche e soprattutto per le guerre che stavano a cuore ai monarchi cristiani, in primo luogo quelle per il controllo geopolitico del papato e del disgraziato Giardino delle Esperidi.52 5. Le guerre italiane tra umanesimo giuridico e umanesimo militare Non a caso una raccolta antiquaria di Flavio Biondo (1388-1463) si intitolava de militia et iurisprudentia (1460). Come l’umanesimo rese possibile l’usus modernus pandectarum53, così rese possibile lo studio critico del pensiero militare classico da cui nacque quello moderno (occidentale). l’Ipparchico senofonteo, ma la diversità del titolo è una forte obiezione formale). In realtà non ci si deve far trarre in errore dalla tassonomia scientifico-militare moderna, che assegna alla “strategia” uno statuto teoretico superiore alla “tattica”. Nella tradizione classica le opere a carattere teorico sembrano proprio quelle di taktika, mentre i termini strategika e stratetegematika sono sinonimi: siamo noi a percepirli come diversi, perché inconsciamente riduciamo gli “stratagemmi” alle sole “astuzie” e diamo loro il significato moralmente negativo che il termine assunse nella letteratura politica post tridentina e tacitista (cfr. ad es. Girolamo Frachetta, secondo il quale il principe doveva guerreggiare lealmente, senza ricorrere agli stratagemmi: il che avrebbe implicato rinunciare al vantaggio della sorpresa). Più fondata è la tesi di Loreto che la strategematika si sviluppa “su impulso di quella latina di Frontino dell’84-88 d. C.” (che il proem. I presenta appunto come innovativa, sia perché seleziona gli strategemata dalle precedenti raccolte di notabilia escerpiti dall’immensum corpum historiarum, sia perché li raggruppa in modo tematico). La lista include formalmente solo i nomi del medico Ermogene di Smirne e di Polieno (162 d. C.), ma la crestomazia strategematica connota anche varie moralia del corpus plutarcheo. La vera questione è il rapporto tra rubriche generali dei sottogeneri letterari (tattica, strategica, poliorcetica), teoria sofistica delle “arti” (téchnai) e i veri equivalenti classici dei concetti moderni (téchne basiliké = ars imperatoria, taktiké epistéme = scientia militaris e ratio vincendi). Eliano impiega il termine theoria, ma solo in età bizantina si affaccia l’inquadramento dell’arte militare nella categoria della scienza - e taktiké epistéme (Michele Psellos, Chronographia, 7, 16 (2, 100): Alphonse Dain, “La ‘Tactique’ de Nicéphore Ouranos”, in Collection d’études anciennes publiée sous le patronage de l’Association Guillaume Budé, Paris, 1937, pp. 40 ss.. Cfr. W. A. Oldfather e J. B. Titchener, “A note on the Lexicon militare”, in Classical Philology, 16, 1, Chicago, Ill., 1921). Si deve sottolineare che, in riferimento alla partizione di Marziano Capella (V sec. d. C.) delle artes, quella militare era inquadrata fra le arti servili, costituite ad opus corporis (e non in quelle liberali, costituite ad opus rationis). Nell’Arbor scientiae (1295) del catalano Raimondo Lullo (1233-1315) l’arte militare compare fra metallurgia, edilizia, tessitura, agricoltura, commercio e navigazione. Il vescovo Antonio Zara (Anatomia ingeniorum et scientiarum, Venetiis, 1615) classificava la Militia (pp. 286-328) in coda alle 15 “scientiae” che “imaginative cancellis coerceri” (distinte dalle 7 intellettuali e dalle 12 mnemoniche). Fra i politografi fece scuola Elias Reusner (Stratagematographia sive Thesaurus bellicus, Francofurti, 1609; 1661) che rubricò tutto lo scibile sulla guerra come ars strategematica, e la politica militare come administratio belli (concetto ripreso da Naudé, Syntagma, cit., pp. 430, 486: scientia duci necessaria est belli administrandi). L’idea di una discontinuità tra la tattica come arte del soldato e la strategia come arte del generale ricorre in Tacito (Hist., 3, 20) e Frontino (Strat., 4, 7, 4), ma in età moderna fu Paolo Giovio, sottolineando nel 1548 la statura eroica del condottiero, a rialzare lo statuto intellettuale delle scienze militari, distinguendo tra sapere pratico (exercitium) proprio del miles e lo studio proprio del capitano (Verrier, Les armes de Minerve, cit., p. 58, cfr. Gilliver, op. cit., p. 120). 52 Cfr. Guerre horrende de Italia. Tutte le guerre de Italia, comenzando da la venuta di Re carlo del Mille quattrocento novantaquatro, fin al giorno presente; nuovamente stampate in ottava rima e con diligentia corrette, Venezia, Gio. Ant. e Fratelli di Sabio, 1532, cit. in Verrier, Bréviaire, cit., p. 46, nt. 2. La studiosa francese osserva che le guerre d’Italia “firent de la péninsule l’école de guerre de l’Europe ” (p. 49). Della stessa autrice, che si dichiara “fortement influencée” dai famosi lavori di John Rigby Hale, cfr. Les armes de Minerve. L’Humanisme militaire dans l’Italie du XVIe siècles, Presses de l’Université de Paris-Sorbonne, 1997. 53 Cfr. Riccardo Orestano, Introduzione allo studio storico del diritto romano2, Torino, Giappichelli, 1963, pp. 138 ss. 68 L’umanesimo ne determinò dunque il percorso culturale e la forma intellettuale, ma non ne fu la causa storica. Nacque un pensiero militare nuovo perché nuova era la forma assunta dalla guerra nell’Europa del Rinascimento. L’umanesimo giuridico fu soprattutto francese perché serviva - come il mito della discendenza “troiana” diretta dei Valois (poi rivendicata anche dai Tudor)54 - ad affermare una sovranità originaria e non derivata rispetto al sacro imperatore “romano”55. E non a caso la polemica contro le tendenze storicizzanti e innovative dei culti, essenzialmente francesi (mos gallicus), fu sostenuta soprattutto da giureconsulti italiani, anch’essi per ragioni politiche schierati a difesa della tradizione dogmatica dei commentatori (indicata appunto come mos italicus). Ciò non significa che costoro fossero culturalmente arretrati: anzi la qualità dei loro argomenti, e in particolare di Alberico Gentili, dimostra che sotto molti aspetti essi erano anche più storicisti e “avanzati” della scuola culta. Diverso era il caso dell’umanesimo militare, meglio favorito dalla temperie politica delle libere repubbliche italiane che dalla tradizione cavalleresca radicata nelle grandi monarchie guerriere. Il primato italiano dell’umanesimo letterario si confermò perciò anche nel campo militare, dove operava un fondamentale fattore aggiuntivo, e cioè la polarizzazione italiana delle prime guerre per la supremazia in Europa (1494-1559), quattro delle quali furono appunto indicate anche formalmente come “italiane”. Non a caso la perdita del primato scientifico-militare italiano coincide con lo spostamento della conflittualità infraeuropea nelle Fiandre (1568-1648) e in Boemia e Germania (1618-1648). Solo in Francia lavorarono nel XVI secolo oltre un centinaio di ingegneri militari italiani e a scrittori italiani si debbono due terzi della trattatistica militare stampata in Europa prima del 1570. Ma la disunione politica, imputata da Machiavelli e Guicciardini al cattolicesimo e al papato, impedì all’Italia di diventare protagonista delle guerre combattute sul suo territorio e sempre perdute dalle leghe militari italiane56. E la disfida di Barletta e la logorroica polemica degli eruditi ciceroniani contro il sarcastico ossimoro erasmiano Italum bellacem57, non bastarono a riabilitare, nemmeno agli occhi degli stessi italiani, la nostra disastrosa immagine militare58. 54 Cfr. Frances Yates, The Valois Tapestries, The Warburg Institute, London, 1959; Id., Astrea. L’idea di Impero nel Cinquecento (1975), Torino, Einaudi, 1978. Rivendicare la discendenza “troiana” diretta (da Anchise) significava qualificarsi “cugini” dei Romani, i quali, secondo la mitografia augustea, discendevano da Enea: bastava sostenere che i troiani condotti da Enea nel Lazio non erano il totale dei profughi, ma soltanto uno dei gruppi in cui si erano separati dopo la partenza. L’implicazione politica era che le sovranità francese e inglese non erano subordinate, ma equiordinate a quella “romana”. L’osservazione plutarchea che l’Isola Ogigia era situata “a cinque giorni di navigazione dalla Britannia” ha costituito lo spunto anche della controversa ipotesi - avanzata nel 1992 dall’ingegnere nucleare Felice Vinci in base ad un confronto tra la geografia omerica e la geografia del Baltico - che la saga di Troia e di Ulisse sia di origine scandinava e che i toponimi baltici siano stati successivamente adattati dai Dori al loro nuovo insediamento mediterraneo (Vinci, Omero nel Baltico. Saggio sulla geografia omerica2, Roma, Fratelli Palombi, 2000). Sulla Britannia romana e l’Historia Augusta come temi della letteratura inglese, v. Francesco Viglione, L’Italia nel pensiero degli scrittori inglesi, Milano, Fratelli Bocca, 1947. 55 Cfr. Mazzarino, La fine, cit., p. 88 cfr. pp. 103 e 107. V. Ilari, L’interpretazione storica del diritto di guerra romano fra tradizione romanistica e giusnaturalismo, Milano, Giuffré, 1981, pp. 205-15 (“Respublica e imperium nell’Inghilterra elisabettiana”); Id., “’Ius civile’ e ‘ius extra rem publicam’ nel ‘de iure belli’ di Alberico Gentili”, in Studi Sassaresi, 8, Serie 3a, a.a. 1980-81 (ora in Studi in onore di Arnaldo Biscardi, 3, 1982, pp. 535-555). 56 Per un punto di vista insolitamente “nazionale” e attualizzante sulla seconda guerra italiana tra la soccombente Lega di Cognac (Francia e stati italiani) e l’imperatore Carlo V, cfr. Mario Troso, Italia! Italia! 1526-1530. La prima guerra d’indipendenza italiana, Parma, Ermanno Albertelli, 2001. Cfr. Frédérique Verrier, “Les guerres d’Italie dans l’Art de la guerre de Machiavel”, in Jean Balsamo (cur.), Passer les monts. Français en Italie - L’Italie en France (1494-1525), Xe Colloque de la Société française d’Etude du Seizième siècle, Paris, Honoré Champion, 1998, pp. 111-123. 57 Desiderio Erasmo da Rotterdam, Adagiorum Chiliades, s. v. “Myconius calvus”: “poetam non inscitis, sed facetius etiam per ironiam dixisse crispum, quam si calvum dixisset. Quod quidem etiam ipsum proverbium resipit de raris inventu: veluti siquis Scytham dicat eruditum, Italum bellacem, negotiatorem integrum, militem pium, aut Poenum fidum” (ed. 69 1571, p. 325). La polemica (incentrata su un rosario di esempi di valore militare italiani) fu condotta, con una Defensio pro Italia stampata a Roma nel 1535 e dedicata al papa Paolo III, dal curiale Pietro Corsi da Carpi, socio dell’Accademia romana già criticata da Erasmo nel precedente Dialogus Ciceronianus (cfr. la prefazione di Angiolo Gambaro alla moderna edizione bresciana del Dialogus, La Scuola, 1965, p. xcv). Nella Responsio (Opera Omnia, tomo X, col. 1749) Erasmo si appellava all’opinione di “alcuni eruditi” romani secondo la quale gli italiani eroici erano in realtà i discendenti dei Goti e di altre barbare nazioni, mentre i veri discendenti dei romani antichi erano “quelli piccoletti e malnati”. Appare forzata la tesi di Mazzarino (La fine, cit., pp. 90-91) che Erasmo, negando virtù guerriere agli Italiani, non avrebbe voluto “offenderli”, dal momento che per lui quelle virtù erano un disvalore (A proposito della scelta strategica di Attila di attaccare ad Occidente, motivata secondo Prisco dall’idea che fosse quello il fronte “più aspro” della guerra antiromana, Mazzarino - ivi p. 68 - riecheggia il giudizio erasmiano, sostenendo che la temibilità dell’Occidente non era data dai resti dell’esercito romano bensì dai guerrieri Goti). Circolò anche una lettera apocrifa di Erasmo a Corsi in cui il filologo prometteva di cambiare nella prossima edizione degli Adagia l’offensivo ossimoro Italum bellacem in Attalum bellacem se il curiale avesse ritirato la sua Defensio. Per quanto riguarda l’atteggiamento di Erasmo sul sacco di Roma, avvenuto lo stesso anno in cui fu composto il Ciceronianus, v. André Chastel, Il sacco di Roma (1527), Torino, Einaudi, 1983, pp. 117 ss. Com’è noto l’esaltazione del valore italiano è uno dei motivi delle biografie dedicate da Paolo Giovio (v. infra, nt. 121) ai condottieri italiani (Paolo Vitelli, Bartolomeo d’Alviano, Prospero Colonna, Muzio Attendolo Sforza, Gian Giacomo Trivulzio) e ai duchi di Mantova (Francesco Gonzaga) e Ferrara (Alfonso d’Este), accostati ai capitani generali spagnoli in Italia Consalvo di Cordova (il Gran Capitano) e Ferrante D’Avalos (il Marchese di Pescara). Trivulzio figura, assieme a Piero e Filippo Strozzi e ad Emanuele Filiberto di Savoia, nelle Vies des grandes capitaines étrangers et françois (1604) dedicate da Brantome (Pierre de Bourdeille, 1540-1614) alla reine Margot. La questione è approfondita da Naudé (Syntagma, cit., pp. 77-80): il valore degli antichi italici era proverbiale (Alessandro il Molosso contrapponeva infatti la propria spedizione contro i romani, veri uomini, a quella di Alessandro Magno contro i persiani “effemminati”), ma era decaduto per le incursioni barbariche, l’imperatorum a romanis pontificibus discessio e la pernicies factionum, che spinse le singulae Italiae civitates a volersi dichiarare sui iuris. Con la Compagnia di San Giorgio condotta da Alberico da Barbiano (1349-1406) arma per hoc tempus in manus Italorum penitus redierant (Leonardo Aretino, Historia de suis temporibus), ma “durò poco” perché con la spedizione di Carlo VIII haec rursus, aut inscitia, atque avaritia Principum, aut desuetudine ac ocio restincta concidisset. Ma secondo Naudé l’ossimoro di Erasmo non veritus fuerit: era infatti innegabile il valore delle italicae cohortes, dimostrato dalle Bande Nere di Giovanni de’ Medici e dai Tercios italiani in Fiandra. Dopo aver citato la classificazione dei vari stili di guerra delle singole città italiane fatta da Ortensio Lando (“Philalethes Polytopiensis”) nelle Forcianas quaestiones, Naudé aggiunge che gli italiani, purché sottoposti a dura disciplina, sono adatti a combattere sia per terra che per mare, specialmente in modo irregolare (palantes cursitant) e colpendo da lontano (eminus). Di ingegno versatile, facile se ad praeclara quaequis facinora componunt: ed eccellono nell’astuzia e nell’imbroglio del nemico. Nessun accenno a questi testi nella Crisi militare del Rinascimento di Piero Pieri né in Delbrueck (History of the Art of War, 4. The Dawn of Modern Warfare, trad. W. J. Renfroe, Lincoln and London, University of Nebraska Press, 1990, pp. 17-18 sui fratelli Vitelli e il duca Valentino creatori della prima fanteria regolare italiana, reclutata in Umbria e Romagna, e sulle ragioni socio-politiche e non razziali del suo mancato sviluppo). 58 Cfr. Ilari, “Italum Bellacem. Le tradizioni militari in Italia”, relazione presentata al IV Congresso della Società di Storia Militare “Identità nazionale e Forze Armate”, Reggia di Caserta, 25-27 settembre 1996. Società Italiana di Storia Militare, Quaderno 1996-1997, Napoli, ESI, 2001, pp. 181-218; Id., “La parata del 2 giugno. L’omaggio repubblicano all’esercito”, in Sergio Bertelli (cur.), Il Teatro del Potere. Scenari e rappresentazioni del politico tra Otto e Novecento, Roma, Carocci, 2000. pp. 195-220; Nicola Labanca, “Una storia immobile? Messaggi alle forze armate italiane per il 4 novembre (19452000)”, in Id. (cur.), “Commemorare la Grande Guerra. Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia”, Quaderni Forum, 14, 2000, n. 3-4, . Nei paesi anglofoni l’opinione negativa sulle performances militari italiane non fu modificata dalla tenace resistenza piemontese del 1792-96, dalle insorgenze antifrancesi del 1796-99, dai 500.000 volontari e coscritti italiani delle guerre napoleoniche e neppure dall’epopea nazionale e democratica del 1848-70 e del 1915-18 (v. i tentativi semiufficiali di dimostrare il contrario: Adriano Alberti, Testimonianze straniere sulla guerra italiana 1915-18, Roma, Ministero della Guerra, edito a cura del giornale “Le Forze Armate”, 1933-XI; Rudyard Kipling, La guerra nelle montagne. Impressioni del fronte italiano, Roma, ed. Rivista Militare, 1988), ma, significativamente, soltanto dall’ingiusta, brutale e controproducente “conquista dell’Impero” (1935-36), popolare negli Stati Uniti per il suo carattere antibritannico ma celebrata anche dall’imperialista britannico Liddell Hart come un capolavoro di logistica e arte militare. Gregory Hanlon ha di recente dedicato una geniale ricerca prosopografica all’ormai dimenticato caso internazionale della misteriosa scomparsa della virtus italica: ma l’esito assomiglia al finale di Picnic at Hanging Rock (The twilight of a military tradition: Italian aristocrats and European conflicts, 1560-1800, London, UCL Press, 1998). In realtà la spiegazione è semplice: poiché la guerra che dobbiamo far finta di combattere o prevenire non é mai la nostra, semplicemente non ci interessa. Il libro bellico oggi più letto dagli italiani (Quell’antica festa crudele di Franco Cardini, sei ristampe Mondadori nel 1995-2001) ben esprime il nostro modo di considerarla: un guazzabuglio soporifero senza né capo né coda, oppure una sarabanda mozzafiato per gli scaffali della biblioteca comunale, in cui non c’é mai tempo né voglia di soffermarsi su un pensiero - perché, in realtà, non ci aspettiamo che vi sia nulla da capire. Diverso il caso dei tedeschi: la guerra dei Trent’anni consolidò l’opinione che fossero imbelli, ma a partire da Federico II sono universalmente considerati eccellenti 70 Ma, prescindendo dal paradosso italiano (che attiene all’ordine politico e non a quello scientifico), il parallelo con gli sviluppi della scienza giuridica rinascimentale consente di mettere a fuoco le caratteristiche e la portata della contemporanea rivoluzione umanistica in campo militare. In entrambi i campi la nascita di una trattatistica originale non dipese da una rivalutazione del “nuovo” sull’“antico”, tema già ben presente nel XII secolo59, ma dal fatto che il Rinascimento “sconvolse” i concetti di “nuovo” e di “antico” riferendoli ad una nuova periodizzazione della storia basata sull’idea (già petrarchesca) di una “età di mezzo” prigioniera delle tenebrae. Il concetto, appunto rinascimentale, di moderno si contrappone frontalmente al medioevo cristiano, non all’antichità pagana: viene anzi definito, con Rabelais, come una restitutio di toutes les disciplines attraverso la cultura antecristiana60. La restitutio non fu “reverenza per il passato”! Gli umanisti studiavano per impegno politico e febbre intellettuale: erano uomini della prassi, spesso di guerra: non pii e benigni professori universitari ante litteram. Fecero dunque, senza scrupoli né rimorsi, una spietata e capillare purga ideologica: ogni autore antico restituito ne condannò a morte cento medievali. La rimozione dei dieci secoli precedenti fu totale e permanente proprio perché fu assai più radicale della blanda ed effimera “rivoluzione culturale” anticonfuciana pilotata dal Grande Timoniere61. La rivoluzione umanistica produsse infatti il regime “moderno”: lo stesso che oggi qualifichiamo “antico” perché fu abolito dalla Rivoluzione successiva, avvenuta non più sul registro della restitutio (nonostante le mode romanizzanti e grecizzanti del 1789-1815) bensì su quello del progresso. Donde l’ambiguità del pensiero controrivoluzionario, cattolico solo in senso strumentale, per contrasto con la Rivoluzione dei Lumi: ma in realtà laico e ateo, perché difensore dell’essenza neopagana dell’antico regime “moderno”. Ogni nazione dell’Europa rinascimentale produsse la propria declinazione politica della rivoluzione umanistica. In Italia essa impostò la discussione sulle “cagioni” interne dell’inclinatio romana, indicata ora in fattori interni (la corruzione della virtus repubblicana prodotta dal cesarismo oppure dal cristianesimo) ora esterni (la violenza irresistibile dei barbari) e sulla possibilità di una restitutio politica62. Ma nella letteratura tecnica la restitutio fu anzitutto critica filologica e storica delle fonti autoritative. A tal fine bisognava anzitutto ampliare e diversificare le fonti classiche effettivamente utilizzate. Ciò avvenne sia con le riedizioni dei testi pervenutici, sia decomponendo filologicamente i rispettivi digesti per restituire la trama dei testi cannibalizzati. Lo scopo era di incorporare nella trattatistica moderna l’intera tradizione latina e procedere ad una nuova e originale incorporazione di quella greco-ellenistica. soldati, malgrado le catastrofi del 1806, 1918 e 1945 e le magagne della Bundeswehr emerse negli anni Novanta, quasi peggiori delle nostre e delle francesi. Un altro celebre rovesciamento di prestigio militare è quello degli ebrei, avvenuto già prima della fondazione dello stato di Israele (lega di difesa ebraica in Palestina, Jewish Brigade ed epica insurrezione del ghetto di Varsavia. Durante la prima guerra mondiale gli ebrei tedeschi furono il gruppo sociale con la maggiore percentuale di decorati al valor militare. Cfr. pure M. S. Seligmann, “The First World War and the Undermining of the German-Jewish Identity as seen through American Diplomatic Documents”, in Bertrand Taithe e Tim Thornton, eds., War. Identities in Conflict 1300-2000, Thrupp Stroud, Gloucestershire, 1998, pp. 193-202). 59 Giovanni da Salisbury attribuisce a Bernardo, maestro della scuola di Chartres (su una cui vetrata del XIII secolo gli evangelisti sono raffigurati come nani sulle spalle dei grandi profeti), il concetto (riferito al rapporto tra Nuovo ed Antico Testamento) che “nos sumus sicut nanus positus super humeros gigantis” (e dunque vediamo più lontano di loro). Cfr. R. Klibanski, “Standing in the shoulders of giants”, in Isis, 26, 1936, 1, pp. 147-49 (cit. in Jacques Le Goff, Art. “Antico/moderno”, in Enciclopedia Einaudi, Torino, 1977, I, pp. 678-700). 60 Le Goff, op. cit., pp. 683-84. 61 Cfr. Parker, Rivoluzione, pp. 19-20: “Ma Antichi e Moderni erano unanimi nel disprezzare il millennio intercorso fra la caduta di Roma (476) e la presa di Costantinopoli (1453). Il medioevo veniva considerato completamente privo di esempi e di analogie interessanti”. 62 Gennaro Sasso, Niccolò Machiavelli, Bologna, Il Mulino, 1993, 2. La storiografia, pp. 47-167 (“Fra Impero romano e ‘presenti tempi’”). Cfr. ovviamente Mazzarino, La fine, cit., pp. 88 ss. 71 L’encomion historiae come unica certissima philosophia del giurista milanese Andrea Alciato63; il “mariage avec les lettres humaines” segnalato da Etienne Pasquier per gli studi giuridici64, erano applicabili anche al pensiero militare. Ma il mutamento giuridico era di importanza incomparabilmente maggiore, perché, a differenza del militare, doveva confrontarsi da un lato con una solida dogmatica scientifica, e dall’altro con una compiuta ideologia politica fondata sulle codificazioni imperiali (violentemente attaccata nel 1567 dall’Anti-Tribonien hotmaniano). Beninteso restavano le riserve logiche di Alberico Gentili (“propter varietatem, et contrarietatem exemplorum ... exempla, et facta expendenda sunt sua lance et, quasi pondera, sunt sua trutina conficienda”: de jure belli, I, 1) e sociologiche di Francesco Guicciardini (“quanto s’ingannano coloro che a ogni parola allegano e’ Romani! Bisognerebbe avere una città condizionata come era loro e poi governarsi secondo quello esempio; al quale a chi ha le qualità disproporzionate è tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che uno asino facesse el corso di un cavallo”: Ricordi, II, 110). Ma queste riserve erano coerenti con lo storicismo umanistico. Questo segnava appunto il superamento dell’exemplum medievale, avente senso in sé stesso solo perché estrapolato dal corso storico e riferito ad un sistema morale predeterminato. L’exemplum evolveva in “caso”, in aporia problematica: l’imitatio evolveva nel giudizio, l’uso paradigmatico in uso critico, l’ucronia nell’utopia65. 6. Restitutio e utopia nell’Arte della guerra di Machiavelli La letteratura militare rinascimentale66 non ebbe, nel complesso, la stessa profondità di quella giuridica e storico-politica coeva. Tuttavia, a differenza del Vom Kriege di Clausewitz, i sette libri 63 Alciato, nella premessa alle In P. C. Tacitum adnotationes. La lettera dedicatoria a Galeazzo Visconti è del 1517. Cfr. Orestano, op. cit., p. 186. Naturalmente la storia era per eccellenza quella romana, come già affermava Petrarca nell’Apologia contra cuiusdam anonymi Galli calumnias (“quid est enim aliud omnis historia quam Romana laus?”, cit. in Le Goff, op. cit., p. 681). Alciato si occupò anche di storia delle istituzioni militari (de re militari et militaribus officiis, Parisiis. 1651). 64 Pasq., Recherches, IX, 39. 65 Di questi concetti, propri della linguistica moderna, sono debitore a Karlheinz Stierle, “L’Histoire comme Exemple, l’Exemple comme Histoire. Contribution à la pragmatique et à la poétique des textes narratifs”, in Poétique, 1972, n. 10, pp. 176-198 (cortesemente segnalatomi da Francine Daenens). 66 Primi abbozzi di storia della trattatistica militare moderna sono in Gabriel Naudé (v. infra, §. 11) e in Paulus Ciesius, Meditationes de studio militari et bibliotheca militaris conscribenda, Rostock, 1716. Cfr. pure l’Essai sur l’historiographie militaire et sur les historiographes de France, ms. in 3 volumi del magistrato ex-giacobino François Xavier Audoin (17661837), autore di una Histoire de l’administration de la guerre (Paris, Firmin Didot frères, 1811, 4 voll.), di studi sul commercio marittimo e la guerra di corsa (Paris, an IX) e di altre due monografie inedite (Histoire des récompenses militaires e Annales militaires des femmes), anch’esse presentate per la candidatura (1811) all’Institut de France (nella lettera Audoin si definiva “historiographe militaire”: non fu eletto). La letteratura in argomento include H. F. Rumpf, Allgemeine Literatur der Kriegswissenschaften, Berlin, 1842; Mariano D’Ayala, Bibliografia militare italiana antica e moderna, Torino, 1854; Carlo Promis, Gl’ingegneri e gli scrittori militari bolognesi del XV e XVI secolo, in Miscellanea di Storia Italiana, IV Tomo, Torino 1863 (rist. an. Bologna, Arnaldo Forni, 1975); Th. Karcher, Les écrivains militaires de la France, London, 1866; J. Almirante, Bibliographia militar de Espana, Madrid, 1876; Max Jaehns, Geschichte der Kriegswissenschaften, 3 voll., R. Oldenburg, Muenchen u. Leipzig, 1889-91; J. Pohler, Bibliotheca historico-militaris, Kassel, 1895; Edouard Guillon, Nos écrivains militaires. Etudes de littérature et d’histoire militaire, première série, des origines à la Révolution, Paris, Librairie Plon, 1898 (deux. série, de la Révolution à nos jours, 1899); J. D. Cockle, A Bibliography of English Military Books up to 1642 and of Contemporary Foreign Works, London, 1900 (repr. 1957); G. Cavazzuti, Studi sulla letteratura politico-militare dall’assedio di Firenze alla guerra dei Trent’anni, Modena, 1905; Domenico Sticca, Gli scrittori militari italiani, Torino, 1912. Il contributo del Novecento è nettamente più frammentario, spesso collaterale ad altri interessi scientifici (ad esempio la storia del diritto internazionale, delle professioni tecniche, della cultura e formazione della classe dirigente, della formazione e trasmissione del testo), mentre quelli propriamente 72 machiavelliani dell’Arte della Guerra (stampati nel 1521 per Filippo Giunta) ebbero un successo immediato67, diventando un modello non solo nell’uso delle fonti classiche68 ma perfino nell’uso dei diagrammi, derivato dalla letteratura tecnica69. militari sono a “galleria di grandi autori nazionali” (es. Pieri) oppure limitati alla poliorcetica o a specifici ambienti culturali; segni indubbi di una complessiva perdita di interesse specifico per il militare e quindi di coscienza storica. Cfr. Piero Pieri, Guerra e politica negli scrittori italiani, Firenze, Ricciardi, 1955 (Milano, Mondadori, 1975); Henry J. Webb, Elizabethan Military Science. The Books and the Practice, Madison Milwakee London, Winsconsin Press, 1965; Anthony Bryce, A Bibliography of British Military History from the Roman Invasion to the Restoration 1660, London, Saur, 1981; Ilari, Piero Crociani e Ciro Paoletti, Bella Italia militar. Eserciti e Marine nell’Italia pre-napoleonica 1748-1792, USSME, Roma, pp. 25-45 (“lo sviluppo delle scienze militari nell’Italia del Settecento”). Cfr. pure gli articoli di E. Rocchi (“L’evoluzione del pensiero italiano nella scienza della guerra”, in Nuova Antologia, agosto 1900) e G. Bargilli sulla trattatistica militare italiana in genere e su autori particolari del XVI e XVII secolo (in Rivista Militare Italiana 1898, 1-2, pp. 492-513; 1899, 1, pp. 321-334; 1900, 4, pp. 2007-2022, 1902, pp. 293-307). Sulla diffusione in determinati ambienti culturali, cfr. infine Alfredo Terrone, Le cinquecentine della Biblioteca Militare Centrale, USSME, Roma, 1990 e Ilari, L’interpretazione, cit., pp. 189-204 (“Le opere ‘de bello’ nell’Amphitheatrum Legale di Agostino Fontana e la letteratura giuridica sulla guerra alla fine de1 XVII secolo”). Eccellente presentazione analitica dei 111 classici militari posseduti dalla biblioteca universitaria Moretus Plantin di Namur è il saggio di Bruno Colson, L’art de la guerre de Machiavel à Clausewitz, P. U. de Namur, 1998. Sulla poliorcetica moderna, cfr. Horst de la Croix, “The Literature on Fortification in Renaissance Italy”, in Technology and Culture, 4, 1963, pp. 30-50; Pietro Manzi, “Architetti e ingegneri militari dal secolo XVI al secolo XVIII. Saggio bio-bibliografico”, in Bollettino dell’Istituto storico e di cultura dell’Arma del genio, 40, 1974, pp. 15-72 e 205-66; 41, 1975, pp. 19-74 e 219-82; B. Bury, “Early writings in Fortification and Siegecraft, 1502-84”, in Fort, 13, 1985, pp. 5-48. 67 Cfr. Giuliano Procacci, “La fortuna dell’Arte della guerra del Machiavelli nella Francia del secolo XVI”, in Rivista storica italiana, 67, 1955, pp. 493 ss.; S. Anglo, “Machiavelli as a Military Authority: Some early Sources”, in Florence and Italy Renaissance Studies in Honour of Nicolai Rubinstein, London, 1988, pp. 321-334 (cit. in Verrier, “Bréviaire”, cit., p. 49). L’Arte fu l’unica grande opera di Machiavelli pubblicata durante la sua vita. Nel XVI secolo ebbe 21 edizioni. Solo nel primo trentennio (fino alla condanna tridentina) vi furono 8 riedizioni italiane (due fiorentine - del 1529 e 1552 - e sei veneziane - del 1537, 1540, 1541, 1546, 1551, 1552), le traduzioni spagnola (1536), francese (1546 Jean Charrier) e inglese (1560-1562) e i plagi di Salazar e Fourquevaux (“du Bellay-Langey”). L’inclusione nell’Index librorum prohibitorum di Paolo IV (1559) non impedì le edizioni clandestine, come quella londinese di John Wolf(e) del 1584-88 falsamente datata Piacenza, le ginevrine falsamente datate 1550 e la parigina del 1646 (George Livet, Guerre et paix de Machiavel à Hobbes, Paris, Librairie Armand Colin, 1972, pp. 40-41). Esaurita verso il 1670 la fase acuta del triplice ostracismo nazionalista (francese, inglese, spagnolo e papalino), culturale (tacitista) e teologico (sia cattolico che protestante), il Machiavelli militare tornò relativamente in auge (era letto da Cristina di Svezia e citato da Montecuccoli). Francesco Algarotti (lettere 8 e 9 sulla “Scienza militare del Segretario Fiorentino”, in Opere, IV, Livorno, 1764 = V, Venezia, 1791) arriva a farne addirittura l’inconfessato maestro di strategia di Federico II (bisogna comunque riconoscere che l’Antimachiavel federiciano mostra qualche indulgenza per i capitoli “militari” del Principe). Ma ancora nel 1775-78 l’inquisizione veneziana processava tre ufficiali capisquadra del Collegio militare di Verona non solo per aver diffuso “Volter”, ma anche per il “sospetto che si leggessero (le opere) ancora di Nicolò Machiavello” (v. Ilari, Bella Italia, cit., p. 180). In realtà a riparlare in Prussia del pensiero militare machiavelliano fu nel 1809 Clausewitz, approfittando di un saggio di Fichte su Machiavelli comparso nel primo numero della rivista Vesta di Koenigsberg (ed. italiana dei due saggi a cura di Gian Francesco Frigo, Sul principe di Machiavelli, Ferrara, Gallo editori, 1990). Nel 1815 fu pubblicata (ad Albany) la prima traduzione “americana” dell’Arte della guerra (quarta inglese) e nel 1839 quella russa. La prima analisi storico-militare del dialogo risale a Max Jaehns, che nella Geschichte der Kriegswissenschaften (Muenchen und Leipzig, 1889, 1, pp. 455-72, 700.02, 737-38, 749-50 e 779-81) attenuò i giudizi positivi espressi in due articoli precedenti (“Machiavelli und der Gedanke des allgemeinen Wehrpflicht”, in Koelnischer Zeitung, 1877, n. 108, pp. 110-15 e “Machiavelli als militarischer Technicher”, in Die Grenzboten fuer Politik, Literatur und Kunst, 13, Leipzig, 1881, pp. 553-58). 68 Nell’Arte della guerra sono menzionati solo Tucidide, Livio e Flavio Giuseppe, ma gli autori più largamente utilizzati sono Frontino, Vegezio e soprattutto Polibio, letto nelle traduzioni manoscritte di Perotti (libri I-V) e Lascaris (VI, 19-42). Quest’ultima era già stata menzionata poco prima del 1505 nel de urbe Roma di Bernardo Rucellai e poi nei Discorsi machiavelliani. Cfr. L. Arthur Burd, “Le fonti letterarie di Machiavelli nell’Arte della guerra”, in Atti della R. Accademia dei Lincei, 5a ser., Cl. di scienze morali, storiche e filologiche, 4, 1897, pp. 187-261; Mario Martelli, Machiavelli e gli storici antichi. Osservazioni su alcuni luoghi dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Roma, Salerno Editore, 1998; Id., “Note su Machiavelli”, in Interpres, 18, 1999, pp. 91-145. Sull’uso della militia romana di Polibio, v. J. H. Hexter, “Machiavelli and Polybius VI: The Mistery of the Missing Translation”, in Studies on the Renaissance, 3, 1956, pp. 75-96. Per le 11 corrispondenze con Vegezio, in particolare 3 nel II, 5 nel III, 1 nel VI e 2 nel VII libro (incluso quasi tutto ERM, III, 26, 1-31) v. Richardot, L’influence, cit., pp. 14-15. 73 La commissione tridentina incaricata di compilare l’Index librorum prohibitorum non aderì alla proposta avanzata nell’autunno 1562 dal duca d’Urbino Guidobaldo II di risparmiare almeno i Discorsi e l’Arte della guerra, sia pure in versione purgata70. Proprio nell’Arte Innocent Gentillet pescò ben 15 “consigli scellerati” e alla riprovazione morale aggiunse l’arma del ridicolo, paragonando l’autore a Formione, il filosofo peripatetico della corte di Antioco che pretendeva di istruire Annibale de imperatoris officio et de omni re militari71. Fu però la scuola delbruckiana, nel 1913-2072, a delegittimare davvero l’Arte della guerra. Non solo per le concezioni tattiche (ispirate, sia pure con qualche insufficiente correttivo, all’assurdo 69 Cfr. J. R. Hale, “A Humanistic Visual Aid. The Military Diagram in the Renaissance”, The Society for Renaissance Studies, Oxford U. P., 1988 (cit. in Verrier, Bréviaire, cit., p. 57 nt. 37). 70 Josef Macek, Machiavelli e il machiavellismo, Firenze, La Nuova Italia, 1980, p. 183. Per tutta la seconda metà del Cinquecento l’intera opera machiavelliana subì non solo la condanna teologica tridentina e la reazione culturale tacitista (cui appartiene il De robore bellico adversus Nicolaum Machiavellum del gesuita eugubino Tommaso Bozio, Roma, 1593), ma anche il violento attacco dell’opposizione nazionalista (“francogallica”) contro gli “italogalli” di Caterina de’ Medici. Ma entrambi gli ostracismi furono a loro volta contrastati dalle due Apologie parallele comparse all’inizio del Seicento, quella francese di Louis Machon (1600/10?) commissionata dal cardinal Richelieu e quella cattolica (rimasta manoscritta) del tedesco italofilo Kasper Schoppe (1576-1649), senza dubbio il più geniale stratega e operatore dell’intelligence e del warfare cattolici, il quale scelse di contrapporre Machiavelli ad avversari esterni e interni della Chiesa ritenuti ben più pericolosi del segretario fiorentino, ossia da un lato il nazionalismo eretico francese e olandese, dall’altro il tacitismo e la crescente invadenza gesuitica nella formazione della classe dirigente europea (la ratio studiorum gesuitica ribadiva infatti la condanna tridentina di Machiavelli). Cfr. Sergio Bertelli, Ribelli, libertini e ortodossi nella storiografia barocca, Firenze, La Nuova Italia, 1973, pp. 26 ss. (Schoppe) e 284-85 (Machon); Macek, cit., pp, 252 ss. (Schoppe) e 213 ss. (Machon). Le due Apologie spiegano, malgrado i 24 libelli antimachiavelliani comparsi dal 1610 al 1667, le due traduzioni dell’Arte della guerra comparse tra la pace di Anversa e la guerra dei Trent’Anni, la latina nel 1610 e la tedesca nel 1619. 71 Sul topos di Formione cfr. Cic., de orat., II, 75 ss. cfr. Stob., ecl., IV, 13, 58 p. 367 H e, più in generale, sulla mancanza di esperienza del comandante, IV, 13, 9 p. 349 H (Menandro, frg. 640 K). Gentillet traeva dall’Arte della guerra quindici esempi di consigli scellerati (cfr. Pamela D. Stewart, Innocent Gentillet e la sua polemica antimachiavellica, Firenze, La Nuova Italia, 1969, pp. 118 ss.). Brantome definiva Machiavelli “mauvais instruiseur en l’air” e contrapponeva all’Arte della guerra proprio il suo plagio francese, l’Instruction di Bellay-Langey (Fourquevaux). Anche Matteo Bandello metteva in ridicolo le pretese militari di Machiavelli, immaginando un suo comico e catastrofico tentativo di addestrare le Bande Nere di Giovanni dei Medici (cfr. Hale, War and Society in Renaissance Europe, London, Fontana, 1985 = Roma-Bari, Laterza, 1987, pp. 157-158, dove sono citati analoghi atteggiamenti di Aretino, Shakespeare e Robert Barrett, nonché la replica contenuta in un opuscolo di propaganda della schola militaris olandese di Siegen). Secondo Guicciardini anche Trivulzio irrideva la pretesa di apprendere la guerra sulle figurae quae ab hominibus rei bellicae imperitis in charta notantur (cit. in Naudé, Synt., cit., p. 505). Sull’opposto atteggiamento di Botero, Naudé e Puységur, v. infra, nt. 177. I mandarini organici alle corti europee del XVI-XVII secolo rovesciarono abilmente, pro domo eorum, il topos di Formione, con una torrenziale campagna pedagogica a favore della superiorità, in generale, delle Lettere sulle Armi (“utrum Arma Literis, an Armis Literae praestantiores sint”). Il de militum et doctorum praeferentia, di Cristoforo Lanfranchino, finì perfino nel tomo XVIII del Tractatus universi juris (Venetiis, 1584). La bibliografia su questa letteratura, molto interessante, è in Martin Lipenius, Bibliotheca realis juridica (rist. an. Hildesheim-New York, Georg Olms Verlag, 1970) s. v. “militia togata” e “militum paeferentia” e comprende opere di Enrico Breuleo (1593), Otto Filippo Zeuschliffer (1684), Goffredo Strauss (1679) e Nicola Cristiano Lyncker (1697). Cfr. Raffaele Puddu, Il soldato gentiluomo. Autoritratto di una società guerriera: la Spagna del Cinquecento, Bologna, Il Mulino, 1982, pp. 117ss.; Id., “Lettere e armi: il ritratto del guerriero tra Quattro e Cinquecento”, in G. Cerboni Baiardi et al. (curr.), Federico da Montefeltro. Lo Stato, le arti, la cultura, Roma, 1986, I cit. in Daniela Frigo, “Principe e capitano, pace e guerra: figure del ‘politico’ tra Cinque e Seicento”, in Fantoni (cur.), Il “Perfetto Capitano”, Roma, Bulzoni, 2001, pp. 286-289. 72 Cfr. Martin Hobhom, Machiavellis Renaissance der Kriegskunst, Berlin, 1913, 2 voll. Recensito negativamente da Eduard Fueter (Historische Zeischrift, 113, p. 578), Hobhom fu difeso dal suo maestro Delbrueck (Geschichte der Kriegskunst im Rahmen der politischen Geschichte, 4, 1920, pp. 121-142 = pp. 101-113 R.). Delbrueck fu a sua volta di stimolo a Piero Pieri (La guerra e la politica negli scrittori militari italiani, Milano-Napoli, Ricciardi, 1955, pp. 1-71 = Milano, Mondadori, 1975, pp. 11-62). 74 schieramento manipolare a scacchiera - quincunx - descritto in Livio VIII, 873) e strategiche (per la contraddittoria ambiguità tra guerra “corta e grossa” e cunctatio74) ma anche come fonte affidabile sulla prassi militare del primo Cinquecento (per gli errori sul sistema di reclutamento dei lanzichenecchi e sulla tattica svizzera)75. Introducendo l’Arte della guerra nella cultura americana76, Felix Gilbert segnalò l’ostacolo culturale alla comprensione dell’opera: “the student of this book - scrisse - will be astonished and perhaps disappointed because he will find in this book something very different from a ‘new’ modern theory”. Pur senza ricorrere al concetto-chiave di restitutio, Gilbert colse in modo ugualmente efficace che il disappunto era frutto della nostra idea illuministica di progresso (un’idea posteriore di almeno un secolo e mezzo a Machiavelli) e che il new rinascimentale era appunto (la riscoperta del)l’old classico. Ma non approfondì questa intuizione con un riesame puntuale delle idee militari di Machiavelli: accreditò invece la tesi “debole”, che l’importanza dell’opera fosse soprattutto politica, con l’implicito 73 Già Francesco Patrizi, La militia romana di Polibio, di Tito Livio e di Dionigi Alicarnaseo, Ferrara, 1583, p. 20 notava: “questo è uno de’ luoghi, che agli huomini di guerra de’ nostri tempi dà molto impaccio e difficoltà. Non sapendosi essi imaginare come i Principi ricevessero gli hastati negli intervalli: né come questi fra quelli si ritirassero, parendo loro impossibile che lo squadrone de’ loro esserciti, che è avanti, si possa né ritirare senza rompersi, né essere ricevuto dalla battaglia, o dal retroguardo. Et in questo pensiero dello impossibile entrano, pensando che le ordinanze romane stessero compartite come le loro, in avanguardo, battaglia, e retroguardo. I quali essi ordinano non a spalle l’uno dell’altro, ma dal canto: accioché essendo rotto l’avanguardo, nel ritirarsi o nel fuggire, non urti nella battaglia, e la disordini ... né meno dà fatica ... a’ nostri soldati, il ritirarsi ed il sottentrare” (Cit. in Piero Pieri, La guerra, cit., 1975, p. 35, nt. 1). 74 Pur ricordando la derisoria polemica machiavelliana contro le inconcludenti battaglie italiane “a zero morti” (ma questo è proprio uno degli obiettivi della RMA americana, imposto dalla cinica intolleranza contemporanea per la visibilità della morte e per le uccisioni dirette, mentre lo sterminio di massa, asettico e amilitare, è del tutto compatibile con la pretesa moralistica della buona coscienza e del sentimentalismo umanitario) Delbrueck biasimava soprattutto il mancato approfondimento dei due tipi di guerra da lui “scoperti” (Ermattung e Vernichtung). Pur riconoscendo che anche Machiavelli li intuiva, Delbrueck gli imputava di non metterli a confronto tra loro, anzi perorando in alcuni punti la “guerra corta e grossa” (battaglia decisiva per l’annientamento del nemico) e in altri - maggiormente influenzati dalle sue fonti classiche e dallo stile delle moderne guerre italiane - ripetendo i canoni della cunctatio vegeziana, consistente nel sistematico ricorso alla manovra (marce e accampamenti) e alla piccola guerra (equitatio), dando battaglia solo in caso di stretta necessità oppure di netta superiorità sul nemico. - Non per infierire vilmente contro un autore che ha già dato tanti dispiaceri ai suoi numerosi e operosi fratelli non riuscendo (neppure col napalm?) a dendrotomein il loro ranch californiano: ma se Victor Davis Hanson avesse sfogliato, non dico Ardant du Picq o Hobhom, ma almeno Delbrueck, invece di inveire in toni inconsapevolmente tolstoiani contro i crucchi “assurdi” e “amorali” che si occupano stupidamente dei fattori quantitativi e osservano la realtà dall’alto della loro “mongolfiera” erudita e militarista, avrebbe forse trovato nella preferenza machiavelliana per la guerra “corta e grossa” una conferma stimolante alla sua intuitiva e ingenua riscoperta del legame tra democrazia e preferenza per la “battaglia decisiva” - ovviamente meglio analizzato da Alexis de Tocqueville in riferimento proprio agli antenati di Hanson (ma spunti si possono cogliere già in Guibert). Naturalmente l’editoria italiana, regolata dalla legge di Gresham, non poteva mancare una tale perla (donde Hanson, L’arte occidentale della guerra. Descrizione di una battaglia nella Grecia classica, Milano, Mondadori, 1989 e successive ristampe economiche). 75 Cfr. da ultimo Bernard Wichet, “L’idée de milice et le modèle suisse dans la pensée de Machiavel”, in Jean Jacques Marchand (dir.), Niccolò Machiavelli politico storico letterato, Atti del convegno di Losanna, 27-30 settembre 1995, Lausanne, L’Age de l’Homme, 1995. 76 Come ricorda Gilbert, Thomas Jefferson possedeva una copia della traduzione inglese dell’Arte della guerra e la prima edizione americana risale al 1815 (Albany). Ma in realtà solo il dibattito tedesco del 1913-20 e la popolarità acquisita da Delbrueck fra i German-haters (in virtù della sua polemica contro lo Schlieffenplan) posero le condizioni per un inserimento di Machiavelli nell’arsenale intellettuale della democrazia forgiato nel 1941-43 dall’università di Princeton: inserimento reso possibile dalla raffinata mediazione culturale di Felix Gilbert (“Machiavelli: The Renaissance of the Art of War”, in Makers of Modern Strategy, ed. Earle 1943: ampliato nell’ed. Paret 1986, pp. 11-31, incluso in Niccolò Machiavelli e la vita culturale del suo tempo, Bologna, Il Mulino, 1969, pp. 192-229). Cfr. Coutau-Bégarie, Traité, cit., pp. 163-4. 75 che era irrilevante dal punto di vista militare77. Gilbert applicò dunque a Machiavelli la stessa castrazione reverenziale sperimentata con successo dagli stati maggiori jominiani nei confronti di Clausewitz: buoni entrambi per i filosofi78, non sunt cur legat miles79. Che fosse un’opera politica è ovvio. Ai contemporanei non sfuggivano gli impliciti della dedica (ad un consigliere mediceo) e della struttura espositiva, un immaginario dialogo ambientato nel cenacolo degli Orti Oricellari, fra il padron di casa, il potente e raffinato Cosimo Rucellai (che citava la traduzione lascaride del Polibio militare), tre giovani patrizi fiorentini80 e il romano Fabrizio Colonna (m. 1520), condottiero al servizio del papa e dei re d’Aragona, Francia e Spagna e preso in considerazione anche dal regime soderiniano durante la guerra di Pisa. Meno evidente era invece lo splendido artificio retorico (ben rilevato da Frédérique Verrier81) di attribuire proprio all’uomo d’arme e al condottiero di mercenari il pensiero astratto, con la rivalutazione dello stile di guerra romano (giudicato superiore al greco) e l’esaltazione della milizia civica, e proprio ai civili letterati il pensiero pratico, mettendo in bocca a costoro le correnti obiezioni doxastiche, di carattere logico e tecnologico. Prima fra tutte, l’obiezione dell’artiglieria, ossia, più in generale, la doxa dell’innovazione tecnologica che azzera il mondo precedente (senza tener conto che artiglierie, sistemi incendiari e mine si usavano anche nell’antichità: il salto qualitativo stava nell’aumento di potenza, e poi di precisione, gittata e produzione, prodotto non tanto dalla polvere da sparo quanto dalla combinazione capitalista82 con le applicazioni matematiche, fisiche e chimiche e lo sviluppo in parallelo delle scienze balistiche, metallurgiche, geodetiche e cartografiche, scandito dal ciclo prassi - teoria - scienza - arte). Nell’esordio del suo articolo Gilbert ricordava la polemica ariostea contro le armi da fuoco inventate dal diavolo. Ma l’accostamento è erroneo e fuorviante: l’ideologia cavalleresca espressa nell’Orlando furioso (1516) recriminava contro le armi da fuoco proprio perché si sentiva costretta a subirle passivamente, come pochi anni dopo avrebbe testimoniato l’impressione suscitata dalla morte di Baiardo e poi di Giovanni delle Bande Nere per ferita da falconetto83. Opposto era il punto di vista 77 Anche Pieri, influenzato da Hobhom e Delbrueck, tentò un salvataggio parziale del pensiero militare di Machiavelli, contrapponendo alla indifendibile concezione tattica - “prigionier(a) di una concezione astratta, che non capiva affatto il segreto delle grandi vittorie dei macedoni e dei romani” - lo “straordinario progresso” della “visione strategica”, espressa però non già nell’Arte della guerra ma nel Principe e nei Discorsi (op. cit., pp. 51 ss.). Analogo il giudizio di Folard (che considerava l’Arte un plagio pedestre di Vegezio ed esaltava i Discorsi e la Vita di Castruccio: cfr. Chagniot, “L’apport des Anciens dans l’oeuvre de Folard”, in Actes Namur, cit., p. 118) e Palmieri (Pieri, p. 121). 78 Cfr. M. Barbut, “En marge d’une lecture de Machiavel: L’Art de la guerre et la praxéologie mathématique”, in Annales E.S.C., 3, 1970, pp. 567-573; F. Gilbert, “Bernardo Rucellai and the Orti Oricellari: A Study on the Origin of Modern Political Thought”, in History: Choice and Commitment, Cambridge, Mass., Harvard U. P., 1977; Gennaro Sasso, Niccolò Machiavelli, Bologna, Il Mulino, 1993, I, pp. 623-646 (“Dall’Arte della guerra alla Vita di Castruccio”). Per ulteriore bibliografia v. Sergio Bertelli e Piero Innocenti, Bibliografia Machiavelliana, Verona, 1979 ed Emanuele Cutinelli Rendina, Introduzione a Machiavelli, Roma-Bari, Laterza, 1999, pp. 188-190. 79 Mi si perdoni la rozza parafrasi di un pensiero ben più profondo e complesso di Alberico Gentili, nel quinto dialogo de juris interpretibus (historia non est cur legat juris interpres). 80 Il banchiere Zanobi Buondelmonti e i letterati Luigi Alamanni e Giambattista Della Palla. Nel 1522, tre anni dopo l’immaginario dialogo sull’arte della guerra, furono esiliati per aver preso parte alla congiura di Buscoli contro il cardinale de’ Medici. Cfr. Maria Enrica Senesi, “Niccolò Machiavelli, l’Arte della guerra e i Medici”, in Interpres, 7, 1988; Denis Fachard, “Implicazioni politiche nell’Arte della guerra” (in Marchand, Atti Losanna, cit.). 81 Verrier, Bréviaire, cit., pp. 55 e 63-66. 82 Cfr. Jacob Mauvillon (1743-94), Essai sur l’influence de la poudre à canon dans l’art de la guerre moderne, Dessau, 1782: Lipsia, 1788; John Norris, Artillery: A History, Phoenix Mill, Sutton Publishing, 2000, pp. 54 ss. 83 La morte di Pierre Du Terrail (1476-1524), l’intrepido cavaliere Baiardo “senza macchia e senza paura” ucciso da un’anonima archibugiata a Romagnano Sesia mentre proteggeva la ritirata dell’esercito francese (“Loyal Serviteur”, sc. Jacques Goffrey, La très joieuse, plaisante et récreative histoire du gentil Seigneur de Bayard, 1527), non ebbe il risalto 76 machiavelliano, che andava a riscoprire fra i romani la guerra politica e decisiva repubblicana84 (con impiego di artiglieria campale) proprio per contrapporla alla guerra ludica cavalleresca85. All’obiezione di Alamanni sulla portata innovatrice dell’artiglieria, Colonna risponde assimilandola agli elefanti e ai carri falcati e citando la relativa formula di Vegezio (ERM, III, 24): si deve far passare quel che non si può fermare. Un secolo e mezzo dopo la tattica romana di lasciar passare carri e “leonfanti” negli intervalli è ricordata anche da Montecuccoli86. Fu proprio la difesa a cordone, senza riserve mobili per colpire di fianco le fragili colonne corazzate tedesche una volta penetrate nelle retrovie, a provocare la catastrofe anglofrancese del maggio 1940. Né aveva torto Colonna a far notare che l’artiglieria assorbiva enormi risorse finanziarie, rallentava i movimenti dell’armata ed era imprecisa e vulnerabile all’impeto nemico. Il suo errore era invece di sopravvalutarne l’efficacia ossidionale e sottovalutarne quella difensiva: la considerava, diremmo oggi, solo come moltiplicatore dell’urto e non come sostituto di forza (interdizione), e pertanto la riteneva più vantaggiosa per l’attaccante che per il difensore. Ma proprio per questo la integrava (già nel rapporto quantitativo standard con la fanteria mantenutosi fino alle guerre napoleoniche) nella sua ideale armata di milizia nazionale, organizzata “alla romana” proprio perché, all’opposto dei mercenari, doveva cercare, imporre e combattere la battaglia decisiva87. Del resto, come ricordava Montecuccoli, un secolo dopo Machiavelli l’idea della famosa artiglieria reggimentale (“pezzetti”) fu ispirata a Gustavo Adolfo proprio dalle baliste campali della legione cesariana88. Il torto di Machiavelli non era quindi di ignorare l’artiglieria, ma semmai di esagerarne conformisticamente la portata, vittima dell’opinione corrente (ripetuta ancora da Guicciardini) che il politico di quella di Giovanni de’ Medici (1498-1526). Quest’ultima, che ispirò forse la pagina di storia politica più elaborata nella letteratura italiana del Rinascimento, è stata appena riletta (privandola del suo spessore politico di dramma “nazionale” italiano e riducendola, appunto, nei termini antistorici e sentimentalistici della morale cavalleresca al tramonto) in un modesto film di spiriti deamicisiani (Ermanno Olmi, Il mestiere delle armi, 2001). 84 Arte, I, 5: dopo essersi a lungo soffermato sul carattere civico e non professionale dell’esercito e dei generali della Repubblica romana, Fabrizio dichiara di non considerarsi neppur lui un professionista: “e dico non aver mai usata la guerra per arte, perché l’arte mia è governare i miei sudditi e defendergli, e, per potergli defendere, amare la pace e saper fare la guerra. Ed il mio re (Ferdinando il Cattolico) non tanto mi premia e stima per intendermi io della guerra, quanto per sapere io ancora consigliarlo nella pace”. 85 Non diversamente dalla celebre contrapposizione leninista tra Igra (il torneo intercapitalista giocato nelle trincee della grande guerra) e Wojnà (la guerra vera, cioè l’imminente rivoluzione proletaria) Machiavelli denunciava la criminale mistificazione dell’ordalia cavalleresca, esemplata dal duello degli Orazi e dei Curiazi, dove la libertà e la sopravvivenza di due popoli erano irresponsabilmente affidati alla sorte (Discorsi, I, 22 e 23). Nella famosa pagina finale del II libro, Fabrizio Colonna attribuisce alla prevalenza del sistema repubblicano nell’occidente greco-romano il fatto che abbia prodotto un numero di “uomini eccellenti in guerra” molto superiore a quello dei condottieri africani e ancor più asiatici (dove il sistema politico dominante era la monarchia). 86 Raimondo Montecuccoli, Delle battaglie, Primo trattato, in Raimondo Luraghi (cur.), Le opere di Raimondo Montecuccoli, Roma, USSME, 1988, II, pp. 63 e 93 (sulla tecnica romana di spaventare gli elefanti col sistema del brulotto, mandando contro di loro maiali cosparsi di pece incendiata). Secondo Plutarco (Sull., 18, 6) a Cheronea “i carri falcati nemici arrivarino sull’obiettivo fiaccamente, come un proiettile privo di slancio, e i soldati romani, “battendo le mani e ridendo, chiesero il bis, come si usa nell’ippodromo durante le corse dei cavalli” (Giardina, Introduz. al de rebus bellicis, cit., p. xii). 87 Arte, III, cfr. Discorsi, II, 17. Cfr. C. Montezemolo, “Machiavelli e le armi da fuoco”, in Rivista d’artiglieria e genio, 1891, 4, pp. 87-118; J. R. Hale, “Gunpowder and the Renaissance: an essay in the history of ideas”, in C. H. Carter (ed.), From the Renaissance to the Counter Reformation: Essays in Honour of Garrett Mattingly, London, 1966, pp. 113-144. Non si dimentichi che la “cattiva pruova” della milizia fiorentina a Prato nel 1512 non fu certo dovuta all’artiglieria (Delbrueck ricorda che il nemico aveva solo 2 pezzi e uno scoppiò dopo pochi tiri). Sul rapporto tra armi da fuoco e declino dell’etica cavalleresca, con corretta interpretazione della posizione di Machiavelli, cfr. Puddu, Il soldato gentiluomo, cit., pp. 24-25. Dello stesso autore, e ancor più interessante, cfr. I nemici del re. Il racconto della guerra nella Spagna di Filippo II, Roma, Carocci, 2000. 88 Montecuccoli, op. cit., p. 43 L. 77 suo “impeto” avesse reso obsolete le fortificazioni. Quel che Machiavelli ignorava era che già nel 1515, quattro anni prima che scrivesse l’Arte della guerra, a Civitavecchia aveva esordito la cinta bastionata, la trace italienne89, che riequilibrava attacco e difesa. Ma il torto di non aver riflettuto abbastanza che offesa e difesa sono concetti polari e che la superiorità reciproca non può essere mai definitiva, è comune alla letteratura militarista e pacifista post-1945, percorsa dall’idea (basata su presupposti fattuali del tutto ipotetici e in realtà erronei) che il nucleare avesse finalmente realizzato lo strangelove dell’arma decisiva e “assoluta”. La critica storico-militare del dialogo machiavelliano si rivela ancor più angusta e miope dei tanti eruditi o moralisti che l’hanno crivellato. Attenta a dettagli inessenziali (ed emendabili senza mettere in questione la coerenza complessiva del sistema), non si accorge che è lo stesso Colonna a proclamare l’assoluta “inattualità” politica della sua armata ideale, ben più decisiva delle sue secondarie incoerenze tattiche. E proprio per la stessa ragione che sarà poi esposta da Guicciardini nel passo “antiromano” dei Ricordi citato in questo articolo; vale a dire che già nell’Italia del 1519, già nella Firenze medicea, prima ancora della conquista asburgica, non ci sono più le “condizioni” per un’armata nazionaldemocratica90. E’ dunque consapevolmente un’utopia e un’astrazione, l’armata ideale di Fabrizio: ma un’utopia che libera la mente dall’ucronia dell’exemplum, un’astrazione che, ripensandola da capo e rigorosamente, rifonda la prassi della guerra su basi nuove. Aver mostrato il condizionamento sociale della pianificazione militare sarebbe già una lezione sufficiente a giustificare l’importanza propriamente militare, e non soltanto filosofica, politica o anche strategica del dialogo. Ma v’è implicita una lezione molto più importante, ossia l’evoluzione metodologica che l’Arte della guerra fa compiere al pensiero militare. Questa lezione non si può cogliere se non si intende rettamente il concetto di restitutio dell’antico. Non solo non va confusa con l’imitatio, ma è proprio il suo opposto. E’ proprio la restitutio, come intelligenza critica del passato, l’unico modo possibile per liberare davvero il presente dalla tirannia del canovaccio tralatizio, per trasformare davvero il presente in modernità91. Fabrizio ne è consapevole: proclama infatti la qualità innovativa del suo approccio storico, quando, all’inizio del dialogo critica il suo illustre ospite per aver riempito l’Orto di piante rare, sol perché un tempo erano apprezzate dagli antichi: “quanto meglio arebbono fatto quelli, sia detto con pace di tutti, a cercare di somigliare agli antichi nelle cose forti e aspre, non nelle delicate e molli, e in quelle che facevano sotto il sole, non sotto l’ombra, e pigliare i modi della antichità vera e perfetta, non quelli della falsa e corrotta; perché, poi che questi studi piacquero ai miei Romani, la mia patria rovinò”. Ma per distinguere le cose “forti e aspre” dalle “delicate e molli” occorre, appunto, un criterio storico. E’ una strada concettualmente diversa da quella che, tre anni prima dell’Arte della guerra, 89 Cfr. Parker, Rivoluzione, cit., p. 22. Sulla trace italienne, cfr. cfr. John A. Lynn, “The trace italienne and the Growth of Armies: the French Case”, in The Journal of Military Studies, July 1991; Jean François Pernot, “La ‘trace italienne’: éléments et approches”, ibidem, pp. 31-50. Cfr. Leone Andrea Maggiorotti, Architetti e architetture militari, “L’opera del genio italiano all’estero”, Serie quarta, Roma, La Libreria dello stato, II, 1933; III, 1939: Bertrand Gille, Les ingénieurs de la Rénaissance, Paris, Hermann, 1964: Christopher Duffy, Siege Warfare. The Fortress in the Early Modern World 16941660, Routledge & Kegan Paul, 1979 (rist. London-New York, Routledge, 1996); M. H. Merriman, “Italian military engineers in Britain in the 1450s’”, in S. Tyarke (ed.), English Map-making 1500-1650. Historical Essay, London, 1983, pp. 57-67; Paolo Galluzzi, Gli ingegneri del Rinascimento da Brunelleschi a Leonardo da Vinci, Firenze, Giunti, 1996; Marino Viganò (cur.), Architetti e ingegneri militari italiani all’estero dal XV al XVIII secolo, Istituto Italiano dei Castelli (Roma), Livorno, Sillabe, 2 voll. 1994 e 1999. Sulla poliorcetica moderna, cfr. supra, nt. 62. 90 Arte, VII, 17. Cfr. Giorgio Barberi Squarotti, “L’Arte della guerra e l’azione impossibile”, in Lettere italiane, 20, 1968 (ora in Machiavelli o la scelta della letteratura, Roma, Bulzoni, 1987, pp. 231-262); Verrier, Bréviaire, cit., pp. 67-70. 91 Ciò sfugge a Verrier (Breviaire, cit., p. 58) quando - conformandosi acriticamente alla divulgazione pieriana delle pedanti osservazioni delbruckiane - suppone che i paralleli tra picca e sarissa e tra falange e quadrato svizzero “relevent plus d’un tic humaniste que d’une proposition concrète” e che tale “bric-à-brac antiquisant”, assente negli altri scritti militari machiavelliani (a carattere pratico), sia una mera ricaduta stilistica dei Discorsi. 78 Tommaso Moro aveva percorso in direzione della società senza guerra. Ma neppure lui poteva percorrerla senza l’aiuto, non dichiarato, dei classici92. E la qualità concettuale era la medesima: administration théorique (come l’Encyclopédie méthodique rubricava le voci sulle utopie), Staatsroman (come nel Settecento si rendeva in tedesco il concetto di utopia)93. Clausewitz scrisse, suo malgrado, per i posteri. Solo la nostra generazione - intellettualmente formata dalla guerra fredda - comincia, infatti, ad intenderlo davvero. Machiavelli poté invece insegnare ai suoi contemporanei l’uso critico delle fonti, una lezione che la successiva idea di progresso ci rende oggi difficile intendere. Ma i suoi imitatori militari non furono in grado di seguirlo sul terreno ben più complesso del loro uso “sintagmatico”94, consistente nel considerarle non solo come repertorio di “casi” problematici, ma anche come indizi di un coerente processo storico universale95. 7. La scuola veneziana dei “paralleli militari” tra Antico e Moderno L’idea di integrare, confrontare e rifare l’epitoma militare tralatizia è anteriore al dialogo machiavelliano e, se non gli è proprio del tutto estranea, è comunque inessenziale. Essa accomuna invece i primi trattati moderni, prodotti dalle corti ducali limitrofe a Venezia: non solo i due a carattere letterario - del riminese Roberto Valturio (1405-75)96 segretario di Sigismondo Pandolfo Malatesta (committente e dedicatario dell’opera) e del piacentino Antonio Cornazzano (1429-84) cortigiano estense97 - ma anche il modesto manuale pratico del molisano Battista de(lla) Valle98 di Venafro, ingegnere militare del duca d’Urbino, simile a quello composto nel 1516 da Filippo duca di Clèves (1456-1528), già comandante dell’artiglieria francese in Fiandra99 e di analoghi “precursori”100. 92 Mazzarino, PSC, cit., pp. 332 ss. (dove, magistralmente, l’“avvicinamento” tra Machiavelli e Moro prevale sulla “contrapposizione”). 93 Cfr. Bronislaw Baczko, Art. “Utopia”, in Enciclopedia Einaudi, Torino, 1981, 14, p. 871. 94 Cfr. Stierle, op. cit., p. 185. 95 Cfr. Gennaro Sasso, Machiavelli e gli Antichi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1988, pp. 67-118 (“Machiavelli e Polibio. Costituzioni, potenza, conquista”), 119-165 (“Machiavelli e Romolo”) e pp. 401-535 (“I detrattori, antichi e nuovi, di Roma”). 96 Cfr. Roberto Valturio, De re militari (in 12 libri), Veronae, Johannes ex Verona impressit, 1472. 97 Il trattato in versi, scritto nel 1476 e dedicato al duca di Ferrara Ercole d’Este, fu stampato postumo a Venezia (Opera belissima del arte militar del excellentissimo poeta miser Ant. Cornazzano in terza rima, per m. Christophoro Mondello) nel 1493, a Pesaro (Capitoli dell’arte militare, Per Hyeronimo Soncino) nel 1507 e ancora a Venezia nel 1518, 1526 e 1536. Nel 1558 fu pubblicata una traduzione spagnola. Cfr. le Instructions sur le fait de la guerre, extraictes des livres de Polybe, Frontin, Végèce, Cornazan, Machiavel et plusieurs autres bons auteurs, del barone di Fourquevaux (Raymond de Beccarie de Pavie), stampate a nome di Guillaume du Bellay signore di Langey (Parigi, Vascosan, 1548; 1553; Lione, B. Rigaud, 1592; trad. it. Venezia 1550; 1571). Bibliografia in Richardot, Stratégique, cit., p. 8. Adde Aldo A. Settia, “‘De re militari’: cultura bellica nelle corti emiliane prima di Leonardo e di Machiavelli”, in Le sedi della cultura nell’Emilia Romagna: l’epoca delle signorie, le corti, Federazione Casse di Risparmio delle Banche del Monte dell’Emilia Romagna, Milano, Silvana Editoriale, 1985, pp. 65-89; Annalisa Musso, “Del modo di regere e di regnare di Antonio Cornazzano”, in Schifanoia, 19, 1999, pp. 67-79. 98 Vallo. Libro continente appartenentie ad Capitanij: retenere et fortificare una Cita con bastioni, artificj de fuoco, polvere, et de espugnare una Cita con ponti, scale, argani, trombe, trenciere, artegliarie, cave, dare avisamenti senza misso alo amico, fare ordinanze, battaglioni. Et puncti de diffida con lo pingere. Opera molto utile con la esperientia de larte militare. Pubblicata a Venezia nel 1524, 1529, 1535, 1543, 1550 e 1558. La traduzione francese (Du faict de la guerre et art militaire) fu pubblicata a Lione nel 1529 e 1558. Nel 1620 fu compilato in tedesco, assieme ad altri autori, da G. Ruscelli (Kriegs und Archeley Kunst...). 99 Composta nel 1516, l’Instruction de toutes manières de guerroyer tant par terre que par mer et des choses y servantes, redigées par escript, par Messire Philippes duc de Clèves, comte de la Marche, et Seigneur de Ravestain, fu pubblicata a Parigi (Chez Guillaume Morel) nel 1558. Bibliografia in Richardot, Stratégique, cit., p. 8-9. 79 Innovando rispetto alla precedente letteratura militare fiorentina, incentrata quasi unicamente sulla questione politica dei mercenari e della milizia101, il trattato machiavelliano le attribuì una fama europea e un rilievo culturale del tutto sproporzionati alla loro reale qualità e alla marginale importanza geopolitica dello stato mediceo. Del resto dopo il 1530 anche la scuola militare fiorentina, sospetta al dominio mediceo per la sua connotazione repubblicana102, emigrò a Venezia, che esercitava sugli studi militari una duplice attrazione, politica ed editoriale. Il fattore politico, già presente negli “esaltatori fiorentini di Venezia”, Machiavelli e Rucellai103, emerge in modo più strettamente pertinente al militare dal magistrale studio di Ennio Concina104 sull’affermarsi a Venezia dell’idea di un “Marte razionale”. Il criterio emerge già nel nuovo modello di difesa territoriale (renovatio securitatis) varato nel 1517 e nel potenziamento delle forze terrestri (restitutio rei militaris) pianificato nel 1525 da Francesco Maria I della Rovere (1490-1538), capitano generale della Repubblica e, nel 1526, delle intere forze italiane. Infine il Piano per lo Stato da Terra presentato nel 1532 dal duca d’Urbino al senato veneziano prevedeva, secondo Concina, una “compiuta trasformazione del territorio in città forte”105. Senza collegarlo alla riforma militare veneziana, sir John Rigby Hale ha invece considerato decisivo il generale primato editoriale di Venezia, dove fu impressa circa la metà dei libri stampati in Italia prima del 1570106. Nel campo della letteratura moderna di argomento militare il primato veneziano fu ancor più accentuato, perché le 67 opere (di 44 autori) stampate a Venezia nel 1492-1570 (incluse 14 100 Oltre ai 4 autori citati, Jaehns elenca anche il trattato (a carattere cavalleresco) del giurista Paride Del Pozzo (P. De Puteo, Duello, libro de Ri, Imperaturi, Principi ... Napoli, 1471; 1518; Venezia, 1521; 1525; 1530; 1536; 1540; Sevilla, 1544; incluso nelle collezioni di trattati giuridici di Lione 1549 e Venezia, 1584), nonché Montius (Exercitiorum atque artis militaris collectanea, Mediolanum, 1509), Surget (Enchiridion disciplinae militaris, Parisii, 1511), de la Tour (Le guidon des guerres, Paris, 1514) e un Ferretus (Aureus tractatus de re et disciplina militari, Venetiae, 1515) non ricordato nell’elenco delle edizioni veneziane steso da Hale (v. infra nt. 104). 101 Oltre che in Machiavelli, la polemica contro i mercenari e il dibattito sulla milizia nazionale ricorre, in modo specifico o incidentale, in undici scrittori fiorentini del XV-XVI secolo, tra i quali Leonardo Bruni, Francesco Patrizi e Angelo Poliziano (Verrier, Bréviaire, cit., p. 61, nt. 47). 102 Cfr. C. C. Bayley, War and Society in Renaissance Florence. The ‘De Militia’ of Leonardo Bruni, University of Toronto Press, 1961; Sergio Bertelli, introduzioni all’Arte della guerra e scritti politici minori, Milano, Feltrinelli, 1961; V. Masiello, “Il piano socio-politico della riforma militare e il problema del consenso”, in Classi e stato in Machiavelli, Bari, Laterza, 1971; Gennaro Sasso, Machiavelli e gli Antichi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1988, 2, pp. 57-118 (“Machiavelli, Cesare Borgia, don Michelotto e la questione della milizia”); Id., Niccolò Machiavelli, Bologna, Il Mulino, 1993, 1, pp. 189-248 (“La questione dell’ordinanza”); Verrier, Bréviaire, cit., pp. 61-62, ntt. 46-47. 103 Cfr. Sasso, Machiavelli e gli antichi, cit., pp. 501 ss: (“il mito di Venezia”). 104 Ennio Concina, La macchina territoriale. La progettazione della difesa nel cinquecento veneto, Roma-Bari, Laterza, 1983, v. in particolare p. 25. Purtroppo M. E. Mallett e J. R. Hale non hanno potuto tener conto del prezioso saggio di Concina, apparso solo pochi mesi prima del loro famoso volume sulla storia militare veneziana (The Military Organization of a Renaissance State: Venice c. 1400 to 1617, Cambridge U. P. 1984). Il manoscritto dei Discorsi militari del duca d’Urbino fu tesaurizzato come un bene ereditario di famiglia e letto dal figlio Guidobaldo. L’opera fu infine stampata a Ferrara nel 1583 (cfr. J. R. Hale, “Printing and the military culture of Renaissance Venice”, in Medievalia et Humanistica, n. s. 7, 1977 = “Industria del libro e cultura militare a Venezia nel Rinascimento”, trad. di Girolamo Arnaldi, in Storia della cultura veneta dal primo Quattrocento al concilio di Trento, Venezia, Neri Pozza, s. d., 2, p. 279). 105 Concina, op. cit., p. 39. Sui Discorsi militari attribuiti a Della Rovere cfr. G. Bargilli, “Una disfida storica e i DM del duca d’Urbino”, in Rivista Militare Italiana, 47, 1902, 1, pp. 293-307. 106 Si tenga presente le dimensioni complessive della produzione libraria europea: 40.000 volumi nella seconda metà del XV secolo, 57.000 nel XVI, 250.000 nel XVII, 2 milioni nel XVIII. In campo militare l’impennata si verifica dopo il 1730. Cfr. David A. Kronick, A History of scientific and technical periodicals. The origins and development of the scientific and technological press 1665-1790, New York, The Scarecrow Press, 1962, p. 60. 80 già edite altrove) superano il totale di quelle stampate nello stesso periodo nel resto d’Europa (almeno 64, di cui 22 nel resto d’Italia, 14 in Inghilterra, 10 in Francia e 3 in Spagna)107. Peraltro solo 31 opere (di 27 autori) appartengono propriamente alle scienze militari: 17 sull’arte della guerra e 14 di carattere tecnico108. La mancanza di opere specifiche sulla guerra navale si spiega, secondo Hale, con la familiarità dell’argomento al pubblico veneziano, la “monotonia” (ossia l’applicazione di regole terrestri alle operazioni, prevalentemente litoranee e anfibie, delle flotte remiere) e, soprattutto, la mancanza di precedenti classici nella trattazione separata della guerra navale109. Di particolare interesse nella produzione veneziana è la collana di 13 storici greci110 pubblicata nel 1557-70 da Gabriel Giolito de Ferrari a cura del poligrafo aretino Tommaso Porcacchi (che si definiva “aristotelico”) e dei suoi amici (il fiorentino Remigio Nannini, Lodovico Dolce e Lodovico Domenichi). Infatti non soltanto l’editore sottolineava l’interesse militare della collezione di storici 107 Hale, op. ult. cit., pp. 245-88. Complessivamente Hale ha censito 145 libri militari pubblicati a Venezia da 66 diversi editori, corrispondenti però soltanto a 67 opere: 53 (di 46 autori con 31 editori) stampate a Venezia per la prima volta, con 48 nuove edizioni o ristampe e 4 traduzioni veneziane; 14 (incluse 4 traduzioni) apparse per la prima volta altrove, con 26 riedizioni, nuove edizioni e traduzioni veneziane. 108 I 16 autori delle 17 opere sull’arte della guerra (o disciplina militare) o sull’ufficio del capitano generale stampate a Venezia prima del 1570 sono i seguenti: Antonio Cornazzano 1493, Egidio Colonna 1498, Battista Della Valle 1524, Iacopo di Porcia 1530, Niccolò Machiavelli 1537, “Guillaume du Bellay” (in realtà Raymond de Fourquevaux) 1550 (ried. 1571), Girolamo Garimberti 1556, Alessandro Farra 1556, Domenicus Cyllenius 1559, Ascanio Centorio degli Hortensii 1558-61, Giovacchino da Coniano 1564, “Alfonso Adriano” (Aurelio Cicuta) 1566, Bernardino Rocca 1566 e 1570, Giovanni Matteo Cicogna 1568, Francesco Ferretti 1568 e Domenico Mora 1569. Altre 9 opere riguardano le fortificazioni e la poliorcetica (Giambattista Zanchi 1554, Pietro Cataneo 1554, Giacomo Lanteri 1557 e 1559, Girolamo Maggi 1564, Giacomo Fausto Castriotto 1564, Francesco Montemellino 1564, Domenico Mora 1567 e Galasso Alghisi 1570), 4 l’artiglieria (Niccolò Tartaglia 1537 e 1546, Vannuccio Biringuccio 1540 e Girolamo Ruscelli 1568) e 1 le piante di fortezze e campi di battaglia (Giulio Ballino 1565). Hale include nell’elenco altre 2 opere sull’“indole militare” (Antonio Brucioli 1526 e Giovanni Maria Memmo 1563), 3 di medicina militare (Leonardo Botallo 1564, Bartolomeo Maggio 1566 e Giovanni Rota 1566) e 2 di eloquenza militare (Remigio Nannini 1557 e Francesco Sansovino 1570), nonché 17 sulle leggi di guerra e il codice cavalleresco, 9 sui cavalli e l’equitazione e 2 sulla scherma. 109 Hale, op. cit., pp. 279-282. Ciò non esclude l’esistenza di manoscritti, come Le Galere Grosse veneziane (1593) di G. Giomo (Venezia, 1895) e Della militia maritima, scritto forse nel 1535 e comunque entro il 1553 dal patrizio Cristoforo Dal Canal (benché destinato alle stampe, fu pubblicato solo nel 1930 da Mario Nani Mocenigo). Il primo libro italiano esclusivamente dedicato alla guerra navale fu stampato a Roma nel 1614 (Pantero Pantera, L’Armata navale). Non si debbono però ignorare le storie militari delle campagne navali di Lepanto (Onorato Caetani, Ferrante Caracciolo, Giovanni Pietro Contarini, Gerolamo Diedo) e dell’Invencible Armada (Filippo Pigafetta, Discorso sopra l’Ordinanza dell’Armata Catolica e Petruccio Ubaldino, Commentario dell’Impresa fatta contra il Regno d’Inghilterra), né l’importante trattato giuridico del ravennate Giulio Ferretto, De jure et re navalii et de ipsius rei navalis et belli aquatici praeceptis legitimis liber (Venezia, 1579 = T. XII dei Tractatus universi juris, Venezia, 1584). La storia navale antica fu invece coltivata in Francia (Baysius, de re navali veterum, Lutetiae Parisiorum, 1499; Doletus, de re navali, Lugduni, 1537; Rivius, Historia navalis antiqua, Lugduni, 1633), Germania (Senftlebii Argo, sive variarum antiquarium navium Syva ?, Leipzig, 1642) e Olanda (Meibom, De fabrica triremium liber, Amsterdam, 1670). Johannes Scheffer, autore della prima edizione critica dei taktika di Arriano e Maurizio (Uppsala, 1664), scrisse anche due trattati di storia navale greca e romana (de militia navali veterum libri IV , Upsala 1654; Id., Opelius de fabrica triremium Meibomiana, Eleutherop. 1672). Cfr. anche i lavori del gesuita e matematico francese Paul Hoste (L’Art des Armées Navales e Théorie de la construction des vaisseaux, entrambi pubblicati a Lione nel 1697) su cui Michel Depeyre, “Le père Paul Hoste fondateur de la pensée navale moderne”, in Coutau-Bégarie (dir.), L’évolution de la pensée navale, Paris, FEDN, 1990, pp. 57-77: Id., Tactiques et stratégies navales de la France et du Royaume Uni de 1690 à 1815, Paris, ISC, Economica, 1998, pp. 58-60 e 65-66. (cit. in Colson, Collect. Moretus Plantin, cit., pp. 142-43). Il libro XIV e ultimo dell’Histoire de la milice françoise del padre Daniel (1721) è dedicato alla “milice françoise sur la mer”. Spunti in Ezio Ferrante, “L’eredità di Roma antica nel pensiero navale italiano”, in Rivista Marittima, 1980, n. 11, pp. 27-32. 110 Erodoto, Tucidide, Senofonte, Polibio, Diodoro Siculo, Dionigi d’Alicarnasso, Giuseppe, Plutarco, Appiano, Arriano, Appiano, Arriano nonché, in unico volume, Ditto Candiano et Darete Frigio della guerra troiana (1570). Cfr. Hale, op. cit., pp- 262 ss. 81 greci (“di tutte l’operationi che si leggono nell’historie qual sia maggiore, et di piu importanza essendo senza dubbio la guerra, perché da essa dependono gli stati, et gli imperi”), ma la corredava di 10 gioie militari, ossia “una raccolta di quasi tutte l’historie, fruttuosamente ordinata per beneficio di chi esercita la milizia”. L’idea delle gioie venne probabilmente nel 1564 a Porcacchi, il quale pensò di riunirvi tre antologie già pubblicate da Giolito nel 1557-58 e altre cinque già pubblicate da altri editori, assieme a due scritte da lui stesso come “chiavi” dell’intera collana, mantenendo la stessa veste tipografica adottata per le prime tre già stampate (in corsivo e in-4°, con indici tematici)111. Una delle 10 monografie previste (una traduzione dal francese sulla castrametazione romana)112 non poté essere acquistata da Giolito, e le gioie furono perciò soltanto nove: •tre antologie precedenti, una di Orationi militari raccolte da tutti gli historici antichi e moderni (Nannini, 1557) e due delle tre monografie (primo e terzo discorso di guerra) di Ascanio Centorio degli Hortensii sugli uffici di capitano generale e mastro di campo generale (1558); •le due “chiavi” di Porcacchi alla collana: Le cagioni delle guerre antiche (1564) e Paralleli o essempli simili cavati dagl’historici, accioche si vegga, come in ogni tempo le cose del mondo hanno riscontro, o fra loro, o con quelle de’ tempi antichi (1567); •tre discorsi sul governo della militia (antologie tematiche di arte militare) di Bernardino Rocca, sulla strategia terrestre e navale (Imprese, stratagemmi et errori militari, 1566) e sulla preparazione (come s’ha da provedere ... 1570) e impiego delle forze (del modo di vincere, 1570); •la riedizione dell’antologia di Domenico Mora sull’etica militare (Il soldato, 1570). L’elenco di Hale non include però né la storia militare antica113, né quella delle guerre moderne114 e neppure le traduzioni veneziane di classici115. Spicca tra queste, nel 1575, l’edizione palladiana, 111 Le nove gioie sono incluse in un recente elenco di 275 titoli di autori antichi e moderni considerati attinenti al tema del “perfetto capitano” e stampati in Italia dal 1493 al 1648 (Marcello Fantoni, cur., Il “Perfetto Capitano”, Immagini e realtà (secoli XV-XVIII), Atti del seminario di studi Georgetown University a Villa “Le Balze” - Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara 1995-1997, Roma, Bulzoni, 2001, pp. 491-508). Fantoni le considera giustamente come opere indipendenti, perché come tali erano state scritte: ma in realtà entravano nelle biblioteche come una serie coerente, come dimostra la vendita, nel 1773, della collezione completa proveniente dalla biblioteca di Joseph Smith, famoso console inglese a Venezia. 112 Si intendeva probabilmente acquistare la traduzione italiana (Discorso sopra la castrametatione et bagni antichi de i Greci et Romani, Bologna, 1558) delle ricerche antiquarie del lionese Guillaume du Choul, dedicate a Enrico II (Discours sur la castrametation et discipline militaire des Romains; Des bains et antiques exercitations grecques et romaines; De la religion des anciens Romains, riccamente illustrata con tavole tratte da documenti antichi, Lyon, 1535; Paris 1557; Wesel, 1672). L’opera fu infine stampata anche a Venezia, ma solo nel 1583 (per Altobello Salicato). L’autore affermava che “les Romains ont l’art de la guerre entre les mains”. 113 Cfr. Francesco Serdonati, De’ fatti d’arme de’ Romani, libri tre. Ne quali si tratta di tutte le battaglie et imprese fatte da Romani ..., In Venetia, Appresso Giordan Ziletti, 1572. Dello stesso autore, De vantaggi da pigliarsi da capitani di guerra contra i nemici superiori di cavalleria ..., In Roma, Appresso Carlo Vullietti, 1608. 114 Cfr. ad es. Niccolò degli Agostini sulla battaglia della Gera d’Adda (1521), Luis de Avila y Zuniga sulle campagne imperiali in Germania (1548), Alessandro Benedetti sulle battaglie di Fornovo di Taro e Novara (1549) ecc. 115 Questi ultimi sono però menzionati e discussi alle pp. 258-61. A Venezia furono pubblicate traduzioni italiane di Vitruvio (1511 fra Giocondo), Cesare (1517 Agostino Lurtica della Porta), Vegezio (1524 Tizzone Gaetano da Pafi), Polibio de militia romana (1536 anonima, con dedica al duca d’Urbino), Frontino (1543 Comin da Trino; 1574 Marc’Antonio Gandino), Onasandro (1546 Fabio Cotta), Nepote (1550 Nannini), Ammiano Marcellino (1550 Nannini), Senofonte (1550 Le guerre dei greci, Francesco di Soldo Strozzi, dedicato a Giovanni dei Medici, “lume della milizia”; 1588 Pietro Muselli), Polieno (1551 Lelio Carani; 1551 Nicolò Mutoni), Eliano (1551 Francesco Ferrosi; 1552 Francesco Robertelli), Polibio (1553 Domenichi), Curzio Rufo (1558 Porcacchi), Appiano (1554-59 Dolce; 1584 Alessandro 82 riccamente illustrata e dedicata a Carlo V, dei commentari di Cesare, che allora venivano paradossalmente letti in funzione misoromana dalla storiografia ugonotta e monarcomaca, che usava le digressioni etnografiche del de bello Gallico per costruire una coscienza nazionale “francogallica”116. Nell’introduzione Andrea Palladio (1508-80) “riassunse splendidamente - secondo Hale117 - il nesso fra lo studio della storia antica e della guerra moderna”, suscitato in lui dall’insegnamento del suo patrono Giangiorgio Trissino (1478-1550), autore del poema Italia liberata dai Goti (Roma 1547-48). Palladio vi dava, inoltre, conto del suo rifiuto di occuparsi di architettura militare, sostenendo che nessuna fortificazione poteva essere abbastanza solida da resistere a lungo contro un nemico davvero deciso e che la migliore difesa non riposava su mura e bastioni ma sulla bontà dell’ordinamento militare. Il migliore restava a suo avviso quello romano, non messo in questione dalle armi da fuoco118. Al cenacolo romano del vicentino Trissino appartenevano anche l’udinese Francesco Robertelli (1516-67), filologo e filosofo aristotelico e Filippo Pigafetta (1533-1603) traduttori rispettivamente di Eliano (1552) e Leone VI (1561; 1586; 1602), nonché il filosofo neoplatonico Francesco Patrizi da Cherso (1529-97) autore di famosi Paralleli tra l’arte militare antica e moderna119 e due uomini di Braccio), Leone VI (1561, 1586, 1602 Filippo Pigafetta) e Livio (1562, con dedica al marchese di Pescara, capitano generale della Cesarea Maiestà in Italia). Altre traduzioni italiane apparvero a Firenze (Appiano di Alessandro Braccese, 1519; Eliano di Lelio Carani 1552) e Napoli (Leone VI di Alessandro Napoletano 1612). Nel 1546 Jean Charrier pubblicò a Parigi, in uno stesso volume, le traduzioni francesi di Machiavelli e Onasandro. Elenco completo di tutte le edizioni europee in Philippe Richardot, “Les éditions d’auteurs militaires antiques au XVe-XVIe siècle”, in Stratégique, 68, 1997, n. 4 (sintetizzato in Coutau-Bégarie, Traité, cit., pp. 157-9). 116 La selezione bibliografica di Luigi Loreto (Pensare, cit., p. 240 nt. 6) risale fino a Jaehns (Caesar’s Kommentarien und ihre literarische und kriegswissenschaftliche Folgewirkung, Beihefte zum Militaer-Wochenblatt 7., 1883; Id., GdKW, 1, pp. 448-50) e ai due Napoleone, il III (ricordato per la campagna di scavi volta all’individuazione topografica dei campi di battaglia cesariani, oltre che per l’Histoire de Jules César, Paris, 1865/66) e il I (per il suo Précis de la guerre en César. Ecrit par M. Marchand, à l’ile de Sainte Helène, sous la dictée de l’Empereur, Paris, 1836; ed. B. Bravo, Napoli, 1984). Ma spiccano nella letteratura precedente le Observations sur les moyens de faire la guerre de Julius Caesar di Montaigne (Essais, II, 34) e i commenti cesariani del filosofo antiscolastico Pierre de la Ramée (1515-72), perito nella strage di San Bartolomeo (De militia Caesaris, 1559), di Clement Edmonds (Observations upon the Five First Bookes of Caesar’s Commentaires, 1600, 1604, 1609) e di quattro uomini di guerra, il maresciallo di Francia Pietro Strozzi (1510-58) ucciso all’assedio di Thionville (citato da Montaigne e autore anche di una traduzione greca di Cesare), l’ugonotto Enrico I duca di Rohan (1579-1638) (Le parfait capitain. Autrement dit l’abregé des guerres de Gaule des commentaires de Caesar, Paris, 1636), il cattolico Giulio Cesare Brancaccio e il maresciallo di Puységur (citt. infra). Sui commenti cinquecenteschi a Cesare, cfr. Verrier, Les Armes de Minerve, cit., pp. 94, 106 e 209. George Huppert (L’idée de l’histoire parfaite, Paris, Flammarion, 1973 pp. 38 ss., ripreso da Pierre Chaunu, Histoire science sociale, CDI e SEDES, 1974, trad. it. La durata, lo spazio e l’uomo nell’epoca moderna, Napoli, Liguori, 1983, p. 31) sottolinea l’influenza dell’etnografia cesariana divulgata da Gabriello Simeoni (1509-75: Livre I de César renouvelé par des observations militaires, Paris, 1558) sulle Recherches ... de la France (1560) di Etienne Pasquier (1529-1615), “il primo vero libro di storia dedicato al passato della Francia”, in particolare sulla decisione politica di far cominciare la storia della Francia con i Galli, anziché coi Franchi o i Troiani. Sull’uso “misoromano” del bellum Gallicum e sull’ideologia nazionalista della storiografia francese del Cinquecento cfr. Bertelli, Ribelli, cit., pp. 221-245 (“Romani e Francogalli”). Su Ramo, cfr. Guido Oldini, La disputa del metodo nel Ramo e sul ramismo, Firenze, Le Lettere, 1997. 117 Hale, op. cit., pp. 265-66. Cfr. Id., “Andrea Palladio, Polybius and Julius Caesar”, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 40, 1977, pp. 240-255. 118 Per confutare il pregiudizio che i soldati moderni fossero troppo rozzi e ignoranti per essere addestrati e schierati secondo le regole romane, Palladio organizzò una dimostrazione pratica con le reclute dell’“ordinanza da mar” (Hale, op. cit., p. 266). 119 Patrizi, La militia romana di Polibio, Tito Livio e di Dionigi Alicarnaseo, da F. P. dichiarata e con varie figure illustrata, la quale a pieno intesa, non solo darà altrui stupore de’ suoi buoni ordini e disciplina, ma ancora in paragone farà chiaro quanto la moderna sia difettosa et imperfetta, In Ferrara, O. Mammarelli, 1583; Id., Paralleli militari di F. P. ne’ quali si fa paragone delle Milizie antiche, in tutte le parti loro, con le moderne, 2 voll., In Roma, Appresso Luigi Zanetto, 1594 e 1595. 83 guerra, l’ingegnere friulano Mario Savorgnan conte di Belgrado e il capitano vicentino Valerio Chieregato, entrambi scrittori militari120 Gioie giolitiane e cenacolo trissinian-palladiano formavano dunque una vera e propria “scuola” veneziana dei confronti militari tra antichi e moderni, non solo anteriore, ma anche più ricca e complessa di quella olandese. Agli autori già citati (i letterati Porcacchi, Patrizi e Nannini, i militari Centorio, Rocca, Mora, Savorgnan, Chieregato) va aggiunto l’importante Domenico Cyllaenus, de vetere et recentiore scientia militare, omnium bellorum generum terrestria perinde ac navalia (Venetiis, 1559). 8. Scipio, A Greater than Hannibal A giudicare dalla prime pepite riportateci dal seminario ferrarese diretto da Marcello Fantoni, i confronti militari italiani del XVI-XVII secolo potrebbero rappresentare un nuovo Eldorado della storia militare comparata. Non erano infatti generici, ma tematici, analitici e pratici: discutevano ad esempio se il principe dovesse comandare direttamente oppure delegare il comando121, se il capitano dovesse rischiare la vita in mezzo ai soldati (come Cesare seppe fare al momento del bisogno) oppure risparmiarsi (secondo il dictum di Scipione, che la madre l’aveva “fatto capitano, e non soldato”)122. Il confronto non era poi a senso unico: poteva consistere anche nell’analizzare con criteri moderni un episodio della storia antica, come la battaglia di Farsalo123 o la “bataglia di Scipione in Africa”124, o rivisitare temi della storiografia classica come i confronti militari tra popoli (romani e macedoni, romani e cartaginesi) e grandi capitani antichi, rimettendo in discussione il famoso primato di Annibale rispetto ad Alessandro e Cesare. Com’è noto a lanciare le moderne sillogi di vite paradigmatiche furono gli Elogia virorum bellica virtute e le Vite degli uomini illustri (Firenze, 1548 e 1549) del medico comasco Paolo Giovio (14831552), il quale stimava l’homo novus Narsete superiore ad Alessandro, eroicizzava una grande famiglia italiana (Duodecim Vicecomitum Mediolanensium vitae, Parisiis, 1549, che reca sul frontespizio il famoso stemma del Biscione) e paragonava il blocco del castello di Milano (1521-23) attuato da Prospero Colonna, comandante degli imperiali, all’assedio cesariano di Alesia125. 120 Savorgnano, Arte militare terrestre e maritima secondo la ragione et’uso de’ più valorosi capitani antichi e moderni, già descritta e divisa in quattro libri ..., In Venezia, S. Combi, 1595 e 1599; G. Zorzi, “Un vicentino alla corte di Paolo secondo: Chiarighino Chiericati e il suo Trattatello della milizia”, in Nuovo archivio veneto, n. s. 30, 1915, pp. 369-434. Fu Chieregato a organizzare, nel 1570, le milizie paesane dalmate (craine). 121 Frigo, op. cit., pp. 294-297; cfr. Lucio Ceva, “Il comando degli eserciti in Europa fra Età di mezzo e Restaurazione”, in Rivista storica italiana, 98, 1986, 2, pp. 463-499. 122 Front., Strat., 4, 7, 4; Tac., Hist., 3, 20; Montecuccoli, op. cit., pp. 98-99. 123 Cfr. ad es. l’analisi della battaglia di Farsalo fatta dal capitano piacentino Giovan Antonio Levo, riorganizzatore delle milizie paesane piemontese e portoghese (Discorso intorno alcune proposte fattele da alcune persone illustri nelle contrarie opinioni di Cesare et Pompeo nel afrontare e nel far combattere i loro esserciti nella giornata di Farsaglia, In Torino, Appresso Girolamo Ferina, 1571). Cfr. le critiche di Folard a Cesare per l’imprecisa descrizione del proprio ordine di battaglia (Nouvelles découvertes, pp. 299-300 e 352-3), interpretata come ordine obliquo da Puységur (Art de la guerre par principes et règles, Paris, 1748) in base a Front., Strat., II, 3, 22 (Colson, Coll. Moretus Plantin, cit., p. 151). Bibliografia in Loreto, Il piano di guerra dei pompeiani e di Cesare dopo Farsalo (giugno-ottobre 48 a. C.). Uno studio sulla grande strategia della guerra civile, Amsterdam, Adolf M. Hakkert Editore, 1994. 124 125 Savorgnano, Arte militare terrestre e marittima, cit. (Jaehns, GdKW, 1, pp. 455 ss.). Colson, Collect. Moretus-Plantin, cit., p. 22. Gli Elogi furono pubblicati a Firenze (Torrentino) nel 1554 nella traduzione di Ludovico Domenichi. Vite ed Elogia furono ripubblicati insieme a Basilea, 1575-77. Cfr. Verrier, Les Armes de Minerve, cit., pp. 58-62. Sulle altre traduzioni di Domenichi delle monografie di Giovio relative a condottieri italiani e spagnoli, pubblicate a Venezia nel 1549 (Giacomo Muzio Attendolo Sforza) e a Firenze nel 1551 (Marchese di Pescara), 1552 (Gran Capitano: riunita con la precedente nell’ed. Bari, Laterza, 1931) e 1553 (Alfonso d’Este), v. supra, nt. 53. 84 Nel 1551 apparve a Venezia la traduzione del Discorso sopra i fatti di Annibale di Guglielmo Guilleo126. Ma la vittoria di Carlo V, la riforma tridentina e il tacitismo rendevano politicamente impegnativo sostenere il primato annibalico, nei paesi cattolici e imperiali per l’ovvia sfumatura anticesariana, e in tutta Europa perché il paradigma annibalico evocava non tanto il confronto liviano con Scipione, quanto il tema polibiano, ripreso da Machiavelli, della crudeltà come virtù politica. Esemplata appunto dal condottiero cartaginese, costretto ad essere crudele non perché tale fosse la sua indole, ma per la necessità di tenere insieme un esercito multinazionale127. Ovviamente una questione così delicata non poteva sfuggire alla revisione tacitista, attuata nel 1575 da Francesco Bocchi128 assegnando il primato a Cesare sui capitani antichi e a questi ultimi sui moderni (Carlo Magno, Consalvo di Cordova, Giovanni dei Medici e Carlo V). Il dibattito sul primato dei capitani antichi e l’edizione palladiana dei commentari cesariani stimolarono il famoso compendio del napoletano Giulio Cesare Brancaccio129, ma anche l’iconografia130, l’emblematica e la trattatistica politica. Naturalmente era facile contestare il primato 126 Gugliemo Guilleo, Discorso ... sopra i fatti di Annibale. Nel quale dimostrandosi lui essere stato nel valor dell’arme superiore a tutti gli altri Capitani, si descrive generalmente l’ufficio di perfetto capitano; tradotto per il Dolce, In Vinegia, Appresso gabriel Giolito de’ Ferrari, 1551. 127 Cfr. Pol., IX, 23, 4; Mach., Princ., 17; Disc., III, 21: Mazzarino, PSC, II, 2, pp. 330 e 402-03 nt. 521. Sulla contrarietas tra gli esempi di philanthropia antichi (Epaminonda, Dionigi, Pompeo, Pelopida graziato dal popolo tebano) e moderni (Edoardo principe di Galles, Scanderbeg, Corrado di Svevia) e l’ondivago atteggiamento di Alessandro (la cui famosa generosità verso i vinti non gli impedisce di vendicarsi ferocemente dei valorosi difensori di Gaza) Montaigne costruì proprio l’essai iniziale (Par divers moyens on arrive à pareille fin). Cfr. Stierle, op. cit., pp. 193-195. Sulla convenienza strategica di non distruggere interamente il nemico (esemplata da Lucullo verso Mitridate) v. Montecuccoli, op. cit., pp. 108-109. 128 Francesco Bocchi, Discorso di F. B. fiorentino. A chi de’ maggiori Guerrieri, che insino à questo tempo sono stati, si dee la maggioranza attribuire, In Fiorenza, Appresso Giorgio Marescotti, 1573. Bocchi è autore anche di un’analoga dissertazione (1580) sul primato relativo tra “armi e lettere” e di una inedita polemica antimachiavelliana (cfr. R. De Mattei, “Una inedita ‘Risposta’ al Machiavelli di Francersco Bocchi”, in Archivio Storico Italiano, 124, 1966, pp. 3-30; cit. in Macek, op. cit., p. 184). 129 Il Brancatio autore del compendio cesariano pubblicato a Venezia nel 1582 (della vera disciplina et arte militare sopra i Comentari di Giulio Cesare, da lui ridotti in compendio per commodità de’ soldati, In Venetia, Vittorio Baldini, 1582; Aldo, 1585) è quasi certamente Giulio Cesare Brancaccio e non, come generalmente si scrive, il più giovane Lelio (1560-1637), maestro di campo della fanteria italiana in Francia, che nel 1610 pubblicò ad Anversa un trattato di organica (I carichi militari o Fucina di Marte). Cfr. Almirante, op. cit., pp. 88-89; Anna C. Simoni, “Soldier’s Tale. Observations on Italian military books published at Antwerp in the early 17th Century”, in Denis V. Reydi (ed.), The Italian Book 14651800, London, The British Library (Studies in the History of the Book), 1993, pp. 255-390. L’autrice cita, oltre al libro di Brancaccio, quelli dei maestri di campo Pompeo Giustiniano (Della guerra di Fiandra, 1609) e Lodovico Melzo (Regole militari ... sopra il governo e servitio della cavalleria, 1611). Ma ad Anversa fu pubblicato nel 1617 anche il Theatro militare del milanese Flaminio Della Croce). 130 L’uso di temi militari classici nell’iconografia rinascimentale (es. Trionfo di Cesare di Andrea Mantegna, 1480-92, Hampton Court) è opportunamente segnalato da Loreto, Art. Krieg, in Neue Pauly, Rezeption und Wissenschaftsgeschichte (Stuttgart-Weimar, Verlag J. B. Metzler), Bd. 14 (2000), coll. 1113-14. Ma gli specialisti di storia antica e medievale si meraviglieranno a considerare quanto rara e frammentaria sia, per l’età moderna e contemporanea, l’analisi scientifica dell’emblematica e dell’iconografia bellica e militare. Una tappa a mio avviso importante è stata segnata nel 1981 dal colloquio internazionale di Clermont Ferrand, i cui atti sono stati però pubblicati solo nel 1985 dalla Facoltà di Lettere e scienze umane di quell’università (La bataille l’armée la gloire 1747-1781, a cura di Paul Viallaneix e Jean Ehrard, 2 voll., in particolare II, pp. 507 ss. “images de la guerre”). Per l’Italia si deve oggi salutare come un buon auspicio la felice riunione dei contributi di Roberto Sabbadini, Richard E. Schade, Elisabeth Oy-Marra, Raffaele Tamalio, Jerzy Miziolek, Joanna Woods-Marsden e Susanne E. L. Probst nel recente volume collettivo sul Perfetto capitano curato da Fantoni. Purtroppo l’accostamento critico alla rappresentazione artistica del tema bellico avviene in Italia solo dal lato, abbastanza scontato, dei rarissimi specialisti di iconografia, con minima eco tra gli storici e scarsa tra i sociologi dell’arte, della letteratura e della cinematografia, per non parlare dell’assoluta refrattarietà della nostra letteratura storico-militare, che non sembra neppure avvedersi della questione. La responsabilità va a mio avviso imputata anche e forse soprattutto 85 annibalico sulla scorta letteraria della celebre investitura di Scipione fatta cavallerescamente, dopo la sconfitta, dallo stesso condottiero cartaginese (Liv. XXXV, 14, sulla fittizia testimonianza di Acilio, accolta come autentica, sia pure con lieve imbarazzo, da Liddell Hart131). Senza entrare nel merito, Giovanni Botero (1544-1617) andò ancor più oltre, sostituendo Annibale con Scipione nella triade dei grandi capitani antichi proposti ad esempio a ciascuno dei tre principi sabaudi di cui era precettore132. Nel 1926 Liddell Hart sviluppò nel XVI capitolo del suo libro su Scipione le ragioni per cui lo considerava superiore ad Alessandro e A Greater than Napoleon133. Nel VII bollò come “gelosia senile” l’opposizione di Fabio Massimo al piano di sbarco in Africa e celebrò Scipione come il classico straniero in patria, troppo grande per i suoi meschini compatrioti, paragonando l’ingratitudine dell’oligarchia romana a quella dei politicanti inglesi dell’epoca della regina Anna verso il duca di Marlborough, il famoso compagno d’arme di Eugenio di Savoia nonché antenato di Winston Churchill134. Il contrasto Temporeggiatore-Africano era letto in modo opposto dalla politografia tacitiana, in particolare dal rodigino Girolamo Frachetta (1558-1620), organico all’oligarchia patrizia veneziana che si riconosceva nel senato romano e temeva la dittatura più del moderno Cartaginese di Costantinopoli. Frachetta subordinava infatti la “prudenza militare” a quella “civile”, assegnando a quest’ultima di “consulare, & deliberare se sia espediente di far guerra, ò pace” e limitando il compito della “Scienza militare” a “reggere prudentemente la guerra già risoluta”.135 Discendeva da tale impostazione all’involontario, ma non per questo meno colpevole, depistaggio operato dai maniaci di militaria, che declassano in ogni paese, ma particolarmente in Italia, l’interesse intellettuale e lo stesso decoro sociale degli studi militari. 131 A Greater than Napoleon. Scipio Africanus, London, William Blackwood & Sons, 1926 (Scipione Africano, Milano, Rizzoli, 1981, p. 191). Con maggiore prudenza la citazione liddellhartiana fu ripresa dal generale Francesco Saverio Grazioli, Scipione l’Africano, Torino, UTET, 1941, p. 160. L’analisi tecnico-militare di Grazioli non sfigura nel confronto con quella liddellhartiana. Senza commentare il parallelo con Napoleone istituito dall’autore inglese, considera Annibale il “maestro di tattica dei Romani” (p. 153) echeggiando qui il topos classico dell’addestramento involontario del nemico sconfitto, e Scipione l’inventore della manovra e il “precursore” di Cesare (che fa “toccare all’arte militare romana il vertice della parabola”, p. 182). Forse con eco spengleriana Grazioli accenna ad una contrapposizione Asia-Europa, facendo di Alessandro e Scipione i campioni di due stili contrapposti, “orientale” e “occidentale” dell’arte della guerra (p. 165: idea peraltro solo enunciata, senza il minimo abbozzo di approfondimento). Lo vede come l’“imperialista” illuminato e non militarista (anche Liddell Hart enfatizza il ruolo culturale di Scipione, fino a farne però il campione dell’ellenismo universalista, quasi un britannico ante litteram, contrapponendolo alla rozza e malvagia romanità). Per Grazioli ovviamente Scipione è solo uno dei “grandi Italiani” (questo il titolo della collana di biografie in cui compare il saggio) e non sa trattenersi dal parrocchiale e bislacco accostamento a Garibaldi (p. 168). Su Grazioli cfr. Luigi Emilio Longo, Francesco Saverio Grazioli, Roma, USSME, 1989. Replicando (nel 1933) alla relazione ufficiale austriaca sulla grande guerra, che aveva sottolineato l’incapacità del comando supremo italiano di approfittare dell’iniziale debolezza austriaca, il generale Adriano Alberti (Testimonianze, cit., pp. 63-65) ricordava che anche Annibale, nonostante la vittoria di Canne, era rimasto “una quindicina d’anni a logorarsi in Italia” non potendo rischiare tutto con un attacco a posizioni potentemente fortificate come Roma o il campo di Fabio. E aggiungeva che l’esempio di Alessandro non era pertinente, perché i suoi avversari non erano un “popolo in armi”, bensì “masse non legate da alcun vincolo spirituale, pronte perciò a dissolversi al primo insuccesso” (argomento un po’ zoppo, se si pensa al carattere multietnico dell’esercito austro-ungarico e alla sua dissoluzione finale). 132 Cfr. Pierpaolo Merlin, “Tra storia e ‘institutio’: principe e capitano nel pensiero di Giovanni Botero”, in Fantoni, Il Perfetto, cit., p. 313. 133 Liddell Hart, op. cit., pp. 217ss. 134 Liddell Hart, op. cit., p. 86 ss. (paragonò inoltre il campo d’addestramento in Sicilia al campo di Shorncliffe organizzato nel 1803 dal generale John Moore. Ma Scipione preparava le truppe allo sbarco in Africa, mentre Moore le preparava a fermare sul bagnasciuga la descente en Angleterre strombazzata dal Primo Console e dissuasa dalla Royal Navy, più potente della flotta cartaginese, che era stata già sacrificata alla voragine senza fondo dell’erronea competizione terrestre coi romani, imposta dal clan dei Barca). 135 Frachetta era autore di un trattato sul Principe (Roma 1597, Venezia 1599) e di una crestomazia (Seminario de Governi di stato e di guerra, Venezia, 1613; 1624; 1647, Parigi 1648, Ginevra 1648 e 1658), che include 8.000 massime 86 costituzionale (“architettonica”) anziché militare del problema, anche un’interpretazione militare di Scipione esattamente opposta a quella liddellhartiana. Frachetta esemplava infatti nei due generali romani, il vecchio e il giovane, gli opposti stili di guerra già chiari a Machiavelli, cunctatio e “corta & grossa”, difensiva e offensiva: modi (sia pure imperfetti) di cogliere la polarità intuita da Clausewitz e poi teorizzata da Delbrueck (Ermattung/Vernichtungsstrategie) e Liddell Hart (indirect/direct approach). Ma in questo modo la figura di Scipione mutava di segno, perché se il vecchio saggio era il Cunctator per antonomasia, al giovane imprudente conveniva necessariamente proprio lo stile di guerra aborrito dal capitano inglese. Andava a finire che il Ghost of The Monster136 era proprio Scipione: del resto il suo epigono, beffando l’Ammiragliato con la finta dell’Armée d’Angleterre, dell’Escadre de Brest e degli United Irishmen, non avrebbe forse liquidata la moderna curia romana e doppiato la Sicilia per sbarcare in Africa, con l’idea di colpire la giugulare della Nuova Cartagine? Plachiamo lo spettro di sir Basil con un’autorevole citazione a suo favore. Coniando il concetto di “diversione” con un geniale collegamento tra storia militare e flebotomia137, Montecuccoli considerava infatti l’offensiva indiretta di Scipione in Africa (studiata su Liv. XXVIII-XXX) “la più celebre diversione che si legga”, paragonandola con l’analoga campagna da lui condotta nel 1656 contro gli svedesi (“io dissi all’ora che ‘l modo di avvicinarsi alla Fionia era l’allontanarsene; che la via più breve d’entrarci era girar 50 leghe all’intorno; e che la porta non era né Mittelfahrt, né Halsen, ma la Pomerania”)138. Montecuccoli non mancava ovviamente, come poi anche Liddell Hart e Grazioli, di citare i famosi ozi di Capua, rimproverando ad Annibale il mancato sfruttamento del successo di Canne, ma senza tentare di approfondirne le ragioni139. 9. Pugna Cannensis sulla spiaggia fiamminga? Verso la fine del Cinquecento il confronto tra Annibale e Scipione interessò anche lo stato maggiore delle Brigate internazionali protestanti ingaggiate dalle Province Unite contro la Spagna cattolica. Diversamente dai politografi italiani il breve trattato di Guglielmo Luigi di Nassau sulla storia militare della seconda guerra punica140 rivalutava Annibale: non solo però perché era il più famoso nemico dei politiche di cui 400 relative alla “ragion di guerra”. Cfr. Frigo, op. cit., pp. 293 e 300. Bibl. in Bozza, op. cit., pp. 79-81, 90 e 121-122. 136 E’ appena il caso di avvertire che Ghost non va tradotto “spirito”, come fanno in genere i pii traduttori militari italiani, incapaci di rivolgere pensieri irriguardosi nei confronti del babbu corso del Risorgimento italiano. Il quale è però ancora per gli inglesi, almeno per quelli sinceri e veraci, “The Monster” per antonomasia; e negli anni Trenta era ancora l’unico, senza i nipotini Hitler e Stalin. Liddell Hart intendeva proprio “spettro”, forse con voluta allusione al famoso incipit del Manifesto di Marx. Quanto al fatto che Scipione facesse di testa sua, infischiandosene dei parrucconi in laticlavio, ciò non poteva che renderlo ancor più simpatico ai britannici, il cui Empire fu appunto costruito da privati cum et sine imperio, se si vuole pirati e avventurieri. 137 “Giusta la regola de’ medici, che di colà dove soverchio gli umori concorrono, sogliono derivare e divellere” (Della guerra col Turco in Ungheria, I, 49, 3: ed. Luraghi, cit., II, p. 307). 138 Mont., ibidem, 50-51, pp. 309-309 L.). Nel concetto di “diversione” Montecuccoli (ibidem, 54, p. 311 L.) assorbe anche quella che oggi definiamo “dimostrazione”, ossia “sta(re) in marce continue per attrarre l’oste di fuora de’ suoi posti e assalirlo; o per consumarlo nelle marce alle quali egli non è avvezzo; o per abbondar sempre di nuove vittovaglie” (esemplato da Caes., BC, III). 139 140 Mont., Battaglie, primo, p. 103 L.; Liddell Hart, op. cit., p. 223. Annibal et Scipion ou les grands capitaines, avec les ordres et plans de bataille et les annotations, discours et remarques politiques et militaires, Den Haag, 1675. Fu apprezzato dal principe di Ligne (Jaehns, Gesch. d. Kriegswissensch., cit., II, pp. 878-9; Hahlweg, Heeresreform, cit., p. 17 nt. 26) e dal cavaliere di Folard, il quale tuttavia gli rimprovera di non aver compreso l’importanza decisiva delle colonne formate da Scipione a Zama (Oltre ai Commentaires 87 romani, ma perché li aveva ripetutamente sconfitti e infine quasi annientati. Nel resoconto polibiano di Canne (III, 112-116) - assai più chiaro e “militare” di quello liviano - Luigi di Nassau, generale di Frisia, si infiammò all’idea di aver trovato il segreto della battaglia decisiva. Tre secoli prima del grande stato maggiore tedesco, pensò infatti di ripetere la pugna Cannensis per distruggere l’intera Armata spagnola di Fiandra, come accennò in una lettera del 1595 al cugino e conlega maior Maurizio principe d’Orange (1567-1625), figlio di Guglielmo il Taciturno (1533-84) e suo successore quale stathouder e capitano generale delle Province Unite141. L’idea di un piano Schlieffen ante litteram, per giunta applicato quasi al medesimo fronte del 1914, è talmente ghiotta che si empatizza con la delusione di Luigi difronte alla prosaica realtà. Lungi dal condividere le intemperanze del temerario cugino, risulta che Maurizio citava invece il dictum (trasmesso da Vegezio a Machiavelli) che si deve dare battaglia solo in caso di forza maggiore oppure di schiacciante superiorità sul nemico142. Nella primavera del 1593, quando l’ottuagenario comandante spagnolo Peter von Mansfeld cercò ripetutamente di provocarlo a battaglia, il principe si comportò proprio come Fabio Massimo Verrucosus nei confronti delle sfide di Annibale143. La grande quantità ed efficacia delle fortificazioni e la costante insufficienza dei fondi (che produceva continui ammutinamenti delle truppe spagnole per il mancato pagamento del soldo) imponevano senza alternative la guerra d’usura e ad entrambi gli avversari la delbrueckiana Ermattungsstrategie. In una sola occasione, il 24 gennaio 1597 a Tournhout, Maurizio prese l’iniziativa di attaccare una forza nemica di 5.000 uomini: fu però un attacco di sorpresa, più un colpo di mano che una battaglia, deciso a favore degli olandesi dalla sola cavalleria sostenuta da 300 moschettieri inglesi (i quali fra l’altro presero alle spalle il Tercio de Napoles comandato dal marchese di Trevico)144. In origine la reputazione militare di Maurizio derivava dalle numerose città importanti strappate agli spagnoli nel 1590-91 (ma con la sorpresa o con mezzi più politici che militari). L’entrata nel pantheon dei grandi capitani gli fu però assicurata dalla battaglia di Nieuwpoort del 2 luglio 1600, in cui distrusse il nerbo delle forze mobili spagnole (ma erano pur sempre solo 2.500-4.000 uomini, sia pure l’aliquota veterana). Guardando da grande distanza, sembra a prima vista proprio la famosa Kesselschlacht sognata da Schlieffen, perché gli spagnoli, attirati in un terreno frammentato dall’alta marea e dalle attività agricole, finirono tra il fuoco incrociato della flotta olandese e dei 6 cannoni piazzati al piede delle dune e serviti da marinai sbarcati dalle navi. Ma la realtà era che l’operazione fu imposta a Maurizio, contro il suo parere e fra le sue proteste, dagli stati generali olandesi, ai quali non premeva affatto sloggiare il nemico dalle Fiandre Occidentali, ma soltanto far cessare la devastante guerra di corsa esercitata dagli armatori delle uniche due città costiere in mano spagnola, Nieuwpoort e Dunquerque. sur Polybe, cfr. l’Histoire de Scipion l’Africain, pour servir de suite aux Hommes illustres de Plutarque per l’abbé Séran de La Tour, avec les observations de M. le chevalier de Folard sur la bataille de Zama, A Paris, chez Didot, 1738). 141 Cfr. Werner Hahlweg, “Ludwig von Nassau und die Cannae-problem”, in Nassauische Annalen, 71, 1960, pp. 237242. Parker sottolinea che il rapporto di forza tra protestanti e spagnoli in Fiandra (40.000 a 70.000) era analogo a quello dei cartaginesi e dei romani a Canne, ma non tiene conto che le guarnigioni delle numerose piazzeforti e fortezze riducevano il massimo delle forze mobili a non oltre 10-15.000 uomini per parte. 142 E non solo Maurizio, ma lo stesso Guglielmo Luigi, in una lettera del 1607 al cugino, richiamandosi espressamente a Quinto Fabio Massimo (cfr. Delbrueck, GdKK, 4, p. 307 R.). 143 Sir Charles Oman, A History of the Art of War in the Sixteenth Century, 1937 (rist. an. Greenhill Books, London Presidio Press, California, 1987), pp. 571 e 573. Cornelis Schulten, “Une nouvelle approche de Maurice de Nassau (15671625)”, in Mélanges André Corvisier, Le soldat, la stratégie, la mort, Paris, Economica, 1989, pp. 42-53, rivede molte interpretazioni tralatizie ma infondate, inclusa la tesi di un interesse dello stathouder per gli scrittori militari antichi: Schulten osserva (pp. 49-50) che questa tesi, diffusa da Hahlweg, si trovava già esposta in un manuale per gli ufficiali olandesi del 1843. 144 Oman, op. cit., pp. 578-583: cfr. A. Koyen, “De slag op Tielenheide (1597) in het kader van de 80jarige oorlog”, in Taxandria, 55, n. s., 1983, p. 42 (cit. in Parker, La rivoluzione, cit., p. 74 nt. 47). 88 Convinti che l’ammutinamento dei veterani impedisse all’arciduca Alberto di soccorrere la città, gli stati generali ordinarono al principe di radunare 13.000 uomini nella Zelanda e, traghettato l’estuario della Schelda, marciare lungo la costa, sostenuto dal supporto logistico e di fuoco della flotta. Lo stesso Maurizio rimase sorpreso apprendendo che in realtà, placati i veterani, l’Arciduca stava marciando in soccorso della piazza marittima con 10.000 uomini. Il generale inglese Francis Vere, luogotenente del principe, comandante a Nieuwpoort dell’avanguardia (che subì il grosso delle perdite olandesi), autore di commentaries delle guerra fiamminga e fonte principale di Oman, dipinge un ritratto non proprio lusinghiero di Maurizio. Invece di attendere l’attacco nemico su posizioni predisposte, oppure di marciare decisamente contro l’arciduca, il principe mandò a sbarrargli il passo appena 2.500 uomini, che furono inutilmente sacrificati. Essi non impedirono infatti agli spagnoli di raggiungere la spiaggia a Nord di Nieuwpoort, tagliando agli olandesi la ritirata su Ostenda e costringendoli a combattere a fronte rovesciato, con le spalle alla città e stretti fra le dune e la spiaggia. E gli avvenimenti seguenti, con lo spostamento dello scontro più aspro dalla spiaggia alle dune e il finale collasso della cavalleria spagnola che provocò il panico e la rotta della fanteria, furono determinati più dall’alta marea che dall’azione di comando del principe. Questi rimase padrone del campo ma non inseguì l’arciduca (neppure il presidio olandese di Ostenda mosse un dito per catturarlo) e, furioso con gli Stati Generali, rinunciò all’assedio e si ritirò145. L’iniziativa passò allora agli spagnoli, i quali avanzarono lungo la costa e migliorarono la loro linea difensiva conquistando Ostenda, la “nuova Troia”146, al prezzo però di un duro assedio (1601-04) che logorò entrambi gli eserciti portando alla lunga tregua del 1607, rotta nel 1621 quando la guerra dei Trent’anni divampò dalla Boemia alla Germania e risvegliò anche i vulcani italiano e fiammingo. 10. Precetti greci per la fanteria moderna Già Turnhout, ma soprattutto Nieuwpoort, misero alla prova nuove tattiche di impiego dei moschettieri. Analoghe a quelle ideate già trent’anni prima in Giappone dal “primo unificatore” Oda Nobunaga (1534-82)147, in Europa furono sviluppate dagli ugonotti durante le guerre civili148 francesi e 145 Cfr. Oman, op. cit., pp. 584-603 (“Nieuport, July 2, 1600”); B. Cox, Van dem tocht in Vlaenderen. De logistiek van Nieuwpoort, 1600, Zutpehn, 1986 (cit. in Parker, La rivoluzione, cit., p. 74 nt. 47). Montecuccoli (Battaglie primo e secondo, pp. 21 e 591 L.) sostiene che il principe fece bruciare le scialuppe per mettere i suoi uomini “in necessità di vincere o morire”. E trae dallo schieramento olandese a Nieuwpoort anche la massima “metter tutta la cavalleria da un lato, se l’altro è assicurato dal sito” (p. 596 L.). 146 Cfr. H. Haestens, La nouvelle Troie, ou mémorable histoire du siège d’Ostende, le plus signalé qu’on ait vu en l’Europe, Leiden, 1615 (cit. in Parker, La rivoluzione, cit., p. 74 nt. 47). 147 Cfr. Parker, Rivoluzione, cit., pp. 236 e 253-4 nt. 79, in base a D. M. Brown, “The Impact of Firearms on Japanese Warfare 1543-98”, in The Far East Quarterly, 7, 1948, pp. 236-53. I moschetti giapponesi, derivati da quelli portoghesi importati nel 1543, erano detti Tanegashima, perché fabbricati nell’omonima Isola, già famosa per la produzione di spade e altre armi bianche. All’opposto degli europei, i giapponesi puntarono a migliorare la precisione a scapito della celerità di tiro. Si può ipotizzare che la tattica giapponese di impiego dei moschettieri sia derivata da quella degli arcieri e balestrieri, un tipo di fanteria che in Europa era meno frequentemente impiegato. Non risulta (almeno per ora) che la missione gesuitica in Giappone abbia avuto parte in questo sviluppo dell’arte militare giapponese, né che la missione alla corte papale effettuata nel 1582-90 via Acapulco e la Spagna dai quattro messaggeri dei “tre daymio cristiani” abbia riesportato in Europa il sistema Nobunaga (che assicurò la sua vittoria nel 1575). Nel 1576-79 Nobunaga costruì inoltre, ad Azuchi, il primo castello giapponese in grado di resistere all’artiglieria, dove i fortini esterni alla cinta di pietra supplivano ai bastioni, rivellini, frecce e opere a corno della trace italienne e il torrione centrale a sette piani fungeva da rudimentale “cavaliere” (cfr. Duffy, Siege Warfare, cit., pp. 237-46). Bibliografia in Anthony Briant, Sekigahara 1600. The Final Struggle for Power, Campaign Series No. 40, London, Osprey, 1995, pp. 93-94. 148 E’ l’opinione di H. Schwartz, Gefechtsformen der Infanterie in Europa durch 800 Jahre, Muenchen, 1977, p. 149, adesivamente riportata da Schulten, op. cit., p. 48. 89 perfezionate da Luigi di Nassau, i cui regolamenti furono poi riesportati in Francia149 e nei paesi protestanti dagli ufficiali di quelle nazioni congedati nel 1607 dall’esercito olandese. Ulteriormente migliorato nel 1630 da Gustavo Adolfo150, il nuovo sistema portò alla definitiva abolizione della picca e all’adozione dello schieramento lineare (ordre mince). La novità stava nel fatto che, accelerando mediante un accorgimento tattico il ritmo di fuoco delle linee di moschetteria, queste ultime divenivano finalmente competitive con gli arcieri151 ed erano in grado di affrontare la cavalleria senza la protezione dei quadrati di picchieri152. La circostanza fortuita che spiega l’insolito interesse accademico per questa riforma militare è che l’accorgimento tattico fu suggerito a Luigi di Nassau (come scrisse a Maurizio da Groningen l’8 dicembre 1594)153 dalla lettura della tattica di Eliano. Frutto di un erudito come Lipsio e non di un militare come Luigi di Nassau, l’opera scritta da Eliano per Traiano non andava a spiegargli quel che l’imperatore sapeva già e meglio per conto suo, vale a dire l’ordo e le manovre (immutationes, conversiones, inflexiones, evolutiones e restitutiones) delle legioni, ma quel che conosceva solo vagamente, ossia il modo di combattere dei due tipi di falange (macedone e lacedemone), incluso il 149 Louis de Montgommery, Seigneur de Corbouson, La milice françoise reduite à l’ancien ordre et discipline militaire des legions ... à l’imitation des Romains et des Macedoniens, Rouen, 1603; Paris, 1610. Anche il Sieur du Praissac (Discours et questions militaires, Paris, 1614; 1638; Rouen, 1625; trad. ingl. I. Cruso, The Art of Warre, or military discourses by the Lord of Praissac, Cambridge, 1639) perorava il ritorno alle legioni (Jaehns, GdKW, 2, pp. 934-5). Il sistema olandese fu diffuso anche da J. de Billion (Les principes de l’art militaire, Lyon, 1613; trad. ted. Basel 1613; Instructions militaires, Lyon, 1617). Il padre Gabriel Daniel S. J. (1649-1728), storico ufficiale della Francia (1713) e delle sue forze armate (Histoire de la milice françoise ... jusqu’à la fin du règne de Louis XIV, 2 voll., Paris, chez Jean Baptiste Coignard, 1721; Amsterdam, 1724), riteneva che l’ordine moderno fosse in sostanza quello romano (2, p. 601). Cfr. Hahlweg, HR, cit., pp. 165-72; John A. Lynn, “Tactical Evolution in the French Army 1560-1660”, cit. in Parker, Rivoluzione, cit., p. 74 nt. 45. 150 Cfr., con ulteriore bibliografia, Hahlweg, HR, pp. 140 ss.; Guenther E. Rothenberg, “Maurice of Nassau, Gustavus Adolphus, Raimondo Montecuccoli and the ‘Military Revolution’ of the Seventeenth Century”, in Paret (ed.), Makers, cit., pp. 32-45; George Mac Munn, Adolphe le Lion du Nord, 1594-1632, Paris, Payot, 1935; Theodor Ayrault Dodge, Gustavus Adolphus, 1895 (rist. an. Greenhill Books e Stackpole Books, Pennsylvania, 1996). Il suo precettore Jean Skytte gli fece leggere Cesare, Frontino, Vegezio e Lipsio: suo istruttore militare era Jacques de la Gardies, che aveva servito sotto Maurizio. 151 Delbrueck (GdKK, 4, p. 40 R.) ricorda che l’Institution de la discipline militaire au Royaume de France (Lyon, 1559, I, 10, p. 46) raccomandava di tornare all’arco, che a differenza del moschetto non dipendeva da micce e polvere, si poteva usare anche sotto la pioggia ed era più rapido ed efficace contro la cavalleria. Tesi analoghe furono sostenute in Inghilterra nel 1590 da sir John Smythe (aggiungendo che il tiro poteva essere effettuato contemporaneamente da tutte le file di arcieri), ma Barwick obiettava che l’arco richiede speciali e rare qualità fisiche, che la fatica rallenta il tiro e indebolisce l’effetto del colpo e che anche la corda dell’arco teme l’umidità (Charles Longman, Badmington Archery Book, London, 1894, cit. in Delbrueck). Delbrueck ricorda inoltre che l’arco fu impiegato nel 1616 dai veneziani contro gli austriaci, nel 1627 dagli inglesi sotto La Rochelle e nel 1730 dagli ussari sassoni, nonché dalla cavalleria ausiliaria russa (calmucchi, baschiri e tungus) ancora nel 1807 e 1813. 152 Per un chiaro inquadramento del problema tecnico, cfr. Delbrueck, HAW, 4, pp. 147-153 (con excursus sulla questione degli intervalli tra ranghi e file nei quadrati dei picchieri alle pp. 163-68). Sulle riforme olandesi, cfr. pp. 155-163 (dove riprende Jaehns, su vari punti più illuminante dei successivi studi di Hahlweg e Parker). Su Gustavo Adofo, v. pp. 173-183. 153 L’Aia, Koninklijke Huisarchef, MS. A22-1XE-79. Riprod. in Hahlweg, HR., pp. 255-264; Parker, Rivoluzione, cit., p. 36. Discussione in Hahlweg, “Aspekte und Probleme der Reform des niederlandische Kriegswesens unter Prinz Moritz von Oranien”, in Bijdragen en Mededelingen betrefende de geschiedenis der Nederlanden, 86, 1971, pp. 171-172. Nella biblioteca di Maurizio, comprendente 402 opere in 432 tomi, figuravano due traduzioni di Eliano, la francese di Nicolaus Wolkir (Paris, 1536) e la latina di Francesco Robertelli (De militaribus ordinibus instituendis more Graecorum liber, Venetiis, 1552), nonchè la traduzione latina di Leone dedicata a Carlo VIII d’Inghilterra (John Cheke, Leonis imperatoris De bellico apparatu liber, Basileae, 1554). Scettici sull’effettiva applicazione in battaglia dell’evolutio chorica sono Hale (War and Society in Renaissance Europe 1450-1620, London, Fontana, 1985 = Guerra e società nell’Europa del Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1987, pp. 57-58: “un pieno complemento di sottufficiali e formazioni idealmente lineari furono realizzati probabilmente solo in piazza d’armi”) e Jean Chagniot, Critique du concept, cit., p. 28. 90 cosiddetto choreus (“coreografia”, girotondo)154 compiuto dalla fanteria leggera155 attorno ai quadrati degli opliti per bersagliare il nemico di missilia a getto continuo. Fu proprio il carattere antiquario dell’opera a renderla attuale nei Paesi Bassi di fine Cinquecento. Solo nel 1599 l’edizione completa di Casaubon rese noto anche il frammento in cui Polibio, confrontati i due sistemi, proclama la legione superiore alla falange (XVIII, 28-32). I moderni quadrati di picchieri assomigliavano più alla falange che alla legione, ma nel 1534 il termine “legione” era stato ufficialmente adottato in Francia per indicare le 7 grandi unità di fanteria provinciale156 e veniva usato come equivalente latino del tercio spagnolo157. Poter riprendere un elemento tattico direttamente dai greci, senza passare per la modifica romana, aveva un duplice vantaggio. Uno pratico, perché l’armamento moderno assomigliava più a quello dei greci che dei romani158; ma anche uno politico, perchè, imitando la fanteria greca, i protestanti potevano marcare la loro differenza di stile coi “nuovi romani” papisti e imperialisti159. L’interesse specifico per Eliano stava nell’accurata descrizione dei tre tipi di contromarcia greco, macedone ed ellenistico160 mediante i quali si poteva assicurare un getto continuo di armi da lancio, funzionalmente analoghe a quelle da sparo. Luigi pensò di disporre i moschettieri in file di 10 (ridotti poi a 6 da Gustavo Adolfo) addestrate a sparare una dopo l’altra, sfilando lateralmente dopo lo sparo per passare in coda, ricaricare l’arma, avanzare e sparare di nuovo161. Assistito dal segretario van Reyd 154 Detto anche del moto degli astri, ma applicabile anche alle righe di ballerine che scendono le scale precedendo o seguendo la Diva e sfilando ai lati per passare in coda e ricominciare. 155 Secondo Eliano il choreus era detto anche evolutio persica o cretensis (Hahlweg, HR, pp. 70-71). Cfr. J. G. P. Best, Thracian Peltasts and their Influence on Greek Warfare (Studies of the Dutch Archaeological and Historical Society, 1), Groningen, Wolters Noordhoff, 1969. 156 Sulle 7 legioni provinciali di 6.000 uomini istituite da Francesco I nel 1534 e sulle proposte di riforma esposte nel 1548 da Raymond de Beccarie de Pavie, marchese di Fourquevaux (1508-74) e attribuite a Guillaume Du Bellay, v. Philippe Contamine, “Naissance de l’infanterie française”, in Quatrième centenaire de la bataille de Coutras, Pau, 1988, pp. 63-88 e Id., “La première modernité”, in André Corvisier (dir.), Histoire militaire de la France, I. Des origines à 1715, Paris, P. U. F., 1992 (Quadrige 1997, pp. 250-56. Sulla Legione Feltria, ossia la milizia di 5.000 uomini istituita nel marzo 1533 dal duca d’Urbino nel Montefeltro appena recuperato, cfr. Ilari, “La difesa dello stato e la creazione delle milizie contadine nell’Italia del XVI secolo”, in Studi storico-militari 1989, Roma, USSME, 1990, p. 31. 157 Cfr. René Quatrefages, Los Tercios, Coleccion ediciones Ejército, Madrid, SP-EME, 1983: Juan Loménez Martin, Tercios de Flandes, Madrid, Falcata Ibérica, 1999. 158 Nel suo commento cesariano (Le Parfait Capitaine), il duca di Rohan sottolineava che le armi moderne, sia offensive (spada, picca e moschetto) sia difensive (pot = morione o zuccotto, corazza e tassettes = braccialetti o maniche), assomigliavano più a quelle dei greci che dei romani. Cfr. Hahlweg, Heeresreform, cit., p. 24 nt. 58. 159 Come ha osservato Loreto (“Il generale e la biblioteca”, cit., p. 563) il frontespizio della prima versione inglese della traduzione latina di Eliano (The Tactiks of Aelian, or art of embattailing an army after ye grecian manner, London, 1616, di John Bingham, ufficiale inglese al servizio olandese) mostra Alessandro, in atto di porgere la propria spada a Maurizio d’Orange. L’emblema suggerisce l’idea di una traditio diretta del primato della bellica virtus dai “greci” (includendovi macedoni e Oriente ellenistico) al comandante supremo dell’Armata protestante. 160 W. Reinhard, “Humanismus und Militarismus. Antike-Rezepption und Kriegshandwerk in der oranischen Heeresreform”, in Krieg und Frieden im Horizont der Renaissancehumanismus, Waernheim, 1986, pp. 195 ss. (cit. in Parker, Rivoluzione, cit., p. 72 nt. 38). 161 La formazione ottimale (un battaglione di 500 moschetti) aveva pertanto l’effetto di una rudimentale mitragliatrice in grado di sparare 50 colpi ogni venti secondi (con gittata utile di 50-100 metri, percorribili dal nemico in uno o due minuti). Occorre inoltre aggiungere che i colpi erano diluiti su un fronte di almeno 30 metri, e che nel corso della battaglia le raffiche si diradavano necessariamente per via delle armi inceppate e dei soldati man mano colpiti dal nemico). Inoltre la nuova fanteria imponeva oneri economici assai maggiori della vecchia. Non solo perché i moschetti e la polvere costavano più delle picche ed erano meno resistenti, ma anche perché l’addestramento imponeva di arruolare solo mercenari e mantenerli anche in tempo di pace, con l’effetto che all’incremento quantitativo del capitale (costo dei moschetti), corrispondeva in realtà una maggiore intensità di manodopera e una minore intensità di capitale, anche per la necessità di aumentare il numero dei battaglioni per poter saturare il fronte di battaglia (lungo in genere 1 a 3 chilometri) e mantenere 91 e dal colonnello Cornput, il 19 ottobre 1595 Luigi effettuò anche un esperimento pratico, organizzando un proelium ludicum fra 60 moderni piccheri e 40 pedites muniti romano scuto ritu antiquo: e secondo il duca di Rohan avrebbe avanzato la proposta, respinta però da Maurizio, di adottare lo scudo162. La “coreografia” (choreus, corloghen) dei moschettieri richiedeva una sincronizzazione precisa dei movimenti e di conseguenza un minuzioso regolamento e un continuo addestramento163 in formazione di 500 uomini (battaglione), fino a rendere automatica l’esecuzione dei movimenti. Tra l’altro questa pratica fece comprendere meglio la ragione della particolare insistenza dei trattati militari antichi sull’addestramento continuo non solo dei tyrones ma anche dei veterani164. Hahlweg ha repertoriato 28 opere, pubblicate fra il 1600 e il 1691, sul maneggio delle armi e l’addestramento della fanteria (schola militaris, tyrocinium militare, waffenhandlung) secondo il sistema olandese: 16 in tedesco165, 4 in inglese166, 3 in olandese167, altrettante in francese168, una in italiano e una in latino169; più altre 6 relative alla cavalleria in italiano170, tedesco171, inglese172 e latino173. riserve e opere fisse d’appoggio (cascinali fortificati, teste di ponte ecc.). Senza contare che lo schieramento lineare era molto più vulnerabile dei vecchi quadrati di picchieri all’aggiramento d’ala, per cui riduceva l’autonomia di impiego della cavalleria, occorrendo tenerla a custodia dei fianchi (nonché addestrare uomini e cavalli a combattere in cooperazione con la fanteria). 162 Cfr. diario di Anthonius Duyck (Hahlweg, HR, pp. 132-34) e lettera del 16 luglio 1595 di Sandolin a Lipsio (Jaehns, GdKW, 2, 880: su Rohan, ivi, p. 951). Cfr. Hobhom, op. cit., 2, p. 452 e Delbrueck, HAW, 4, pp. 159 e 169 nt. 12. In ogni modo quasi tutte le fanterie rinascimentali avevano la specialità dei Rundtartschiere (rondolero, rondachier, rondolier, rotelliere) armati di spada, corsaletto e scudo rotondo (rotella) corrispondente al clipeus romano. Sull’analogo esperimento di Palladio, v. supra, nt. 114. 163 La bozza del regolamento olandese (Kriegsbuch) fu stesa nel 1599 dal fratello di Luigi, conte Giovanni di Nassau. Rimaneggiata e migliorata dal Generalquartiermeister, il matematico Simon Stevin (1570-1635), e dal primo direttore della schola militaris, il capitano Johann Jakob von Wallhausen (1580-1627) di Danzica, fu infine pubblicata nel 1607 ad Amsterdam, e subito seguita da un gran numero di riedizioni, traduzioni e parafrasi in Francia, Germania, Inghilterra e Svizzera (Hahlweg, HR, pp. 54 ss., testi pp. 230-301; Id., Die Heeresreform der Oranien: das ‘Kriegsbuch’ des Grafen Johann von Nassau Siegen, Wiesbaden, 1973). Cfr. Cornelius Schulten, “Une nouvelle approche de Maurice de Nassau (1567-1635)”, in Mélanges André Corvisier. Le soldat, la stratégie, la mort, Paris, Economica, 1989. 164 Delbrueck (HAW, 4, p. 159) ricorda che l’accorgimento di impartire i comandi indicando anzitutto in quale direzione effettuare la manovra richiesta (es. “Rechts / Lings um - kertt euch” e non “Kertt euch - um R./L.”) fu ripreso da Eliano (es. “Ad hastam / ad scutum - immuta). 165 Pubblicate nel 1600 (an. Kassel), 1607 (Wilhelm Dilich, Kassel), 1615 (Jacob von Wallhausen, Oppenheim: 1617, Hanau), 1616 (Conrad Koeler, Danzica; an. Francoforte), 1618 (A. von Breen, L’Aia), 1620 (P. Isselburg, Norimberga), 1623 (an. Danzica), 1644 (A. Konrad Lavater, Zurigo), 1662 (an.), 1664 (W. Backhausen, Marburg), 1666 (Sigmund Berndt. Marburg), 1668 (G. A. Boeckler, Francoforte), 1675 (J. Boxel, L’Aia), 1681 (Ch. Klinger, Lipsia) e 1691 (Christian Neubauer, Francoforte). Cfr. Hahlweg, HR, pp. 140-190 e 310-313. 166 E. Davies, Londra 1619; W. Neade, Londra 1625; sir Thomas Kellie, Pallas armata, Edinburgo 1627; H. Hexham, Londra 1637. Hahlweg, HR, pp. 173-83; Jaehns, GdKW, 1, 735 ss. Manca in elenco William Barriffe, Military discipline, London, 1639. 167 J. de Ghein, L’Aia 1607 (trad. fr. e ted. ivi 1607-08); E. Reyd, Arnehm 1633; L. Paan, Leeuwarden 1682-84. 168 J. de Billon (Lione 1613; 1617; trad. ted. Basilea 1613); L. de Montgommery (Rouen 1603; Parigi 1610); du Praissac (Parigi, 1614, 1618, 1638; Rouen 1625; trad. ingl. Cambridge, 1639). 169 Flaminio Della Croce milanese, Theatro militare, Anversa 1617 e J. Jacob von Wallhausen, Alphabetum pro tyrone pedestri oder der Soldaten zu Fuss ihr A.B.C., Frankfurt a. M., 1615 (Kuenstliche Picquen-Handlung, Hanau, 1617). 170 Il governo della cavalleria leggera, del generale di origine albanese Giorgio Basta (m. 1607), Venezia 1612; Regole militari sopra il governo e servizio della cavalleria, del maestro di campo milanese Lodovico Melzo, Anversa 1611 (trad. fr. 1615, ted. Francoforte 1643: Simoni, op. cit., pp. 279-85) e Universale instruttione per servitio della cavalleria in tutte l’occorrenze di guerra, del colonnello modenese Bartolomeo Pellicciari, Venezia 1617, 1632; trad. ted. Lucas Jonnis, Francoforte 1616 (Jaehns, GdKW, 2, p. 1035; Hahlweg, HR, pp. 183-87). Sono omessi il Compendio dell’heroica arte di cavalleria (Venezia, 1599) del capitano pontificio Alessandro Massari Tiburtino e De Vantaggi da pigliarsi da capitani in guerra contra nemici superiori di cavalleria (Roma, Carlo Vullietti, 1608) di Francesco Serdonati. Fra i trattati di cavalleria Naudé cita solo G. Basta, L. Melzo, F. Della Croce e J. Jacob von Wallhausen (Syntagma, cit., p. 538). 92 11. Scholae militares, ratio studiorum e bibliotheca militaris L’addestramento sistematico degli eserciti moderni fu accompagnato dai primi tentativi di accentrare e regolarizzare la formazione, non solo militare, ma anche politica e religiosa, della classe dirigente. Anche in questo campo vi fu un doppio primato italiano. Nella Terraferma veneta e nei Ducati padani sorsero infatti, per iniziativa civica e/o ducale, le accademie nobiliari di Verona (1565), Rovigo (1595), Padova (Delia: 1600) e Parma (1601), cui seguirono Udine (1609), Treviso (1610), Vicenza e Modena (1626), Brescia (1632) e infine Venezia (1654)174, dove l’educazione umanistica e religiosa era subordinata all’educazione di classe (danza, scherma, equitazione) e militare (maneggio delle armi e rudimenti di aritmetica e fortificazione). Il fenomeno fu però bilanciato negli altri paesi cattolici dai collegi gesuitici, i primi 33 fondati dallo stesso Ignazio di Loyola fra il 1545 e il 1556 (anno della sua morte), saliti a 293 nel 1607, 578 nel 1679 e 669 nel 1749175. Nei Discours politiques et militaires (Basilea, 1587) il condottiero ugonotto François de La Noue (1531-91) chiese al re di prendere a proprio carico l’istruzione di 2.000 gentiluomini. Effettivamente sotto Enrico IV varie accademie militari sorsero nel faubourg Saint-Germain, tra il Pré-aux-Clercs e la spianata di Grenelle adatta agli esercizi militari: ma fu ancora una volta la famiglia d’Orange a promuovere le iniziative più famose, dirette a formare i quadri superiori dell’armata protestante. Nel 1606 Henri de La Tour duca di Bouillon (1555-1623), cognato di Maurizio di Nassau, creò presso l’accademia protestante di Sédan l’académie des exercises e nel 1617 Giovanni VII di Nassau Siegen istituì a Siegen, sotto la direzione di Wallhausen, una Kriegs - und Ritterschule, frequentata nel 1618 anche da Cartesio. Nel 1616 Philippe Duplessis Mornay (1549-1623), governatore di Saumur, la cittadina dell’Anjou sede delle assemblee ugonotte del 1595 e 1611, vi aperse l’académie d’équitation, nazionalizzata nel 1636 da Richelieu (académie royale des exercises de guerre)176. 171 J. Jacobi von Wallhausen, Kriegskunst zu Pferd, darinnen gelehren werden die initia et fundamenta der Cavallerie aller vier Theilen: Als Lantzierers, Kuerassierers, Carbiners und Dragons, Francoforte 1615 (Ritterkunst, Hanau 1617). Sulla cavalleria olandese cfr. Hahlweg, HR, pp. 101-112. Hahlweg omette per evidenti ragioni cronologiche François de La Noue (La cavalerie française et italienne, Ginevra, 1643), ma anche i trattati di equitazione coevi di Loehneys (Della cavalleria. Bericht von Allem, was zur Reiterei gehoerig, Remlingen, 1624) e Tapia y Salcedo (Exercicios de la gineta, Madrid, 1643). 172 Capitano J. Cruse, Militarie instructions for the cavallerie or rules and directions for the service of horse, collected out of divers forrain authors ancient and modern and rectified and supplied according to the present practise of the lowcountries warres, Cambridge (Jaenhs, GdKW, 2, pp. 871-2). Su Arriano come fonte per l’addestramento della cavalleria, cfr. Paul Gédéon Joly de Maizeroy, Tableau général de la cavalerie grecque, Paris, 1781 e ora Ann Hyland, Training the Roman Cavalry: From Arrian’s Ars Tactica, Stroud, Gloucestershire, 1993 (lo studio, peraltro eccellente, ignora purtroppo la letteratura anteriore alla metà del Novecento, inclusi L. E. Nolan, Cavalry: Its History and Tactics3, London, 1860 e G. T. Denison, A History of Cavalry from the earliest times2, London, 1913). 173 Hermann Hugo S. J., De militia equestri antiqua et nova ad regem Philippum libri quinque, Anversa 1630, forse complementare alle due opere del compatriota Lipsio (Jaehns, GdKW, 2, pp. 1057 ss.; Hahlweg, HR, p. 187). 174 Cfr. Vittorio Leschi, Gli istituti di educazione e di formazione per ufficiali negli stati preunitari, Roma, USSME, 1994, 1, pp. 172-182 (Venezia), 320-27 (Modena) e 368-76 (Parma), acribioso lavoro su fonti archivistiche locali che tuttavia (a significativa testimonianza dell’ignoranza reciproca esistente in Italia tra storia militare “tecnica” e storia sociale delle istituzioni militari) ignora candidamente Hale, “Military Academies on the Venetian Terraferma in the Early Seventeenth Century”, in Studi Veneziani, 1973, pp. 273-296 e l’intera letteratura sulla formazione della classe dirigente. 175 Cfr. Gian Paolo Brizzi, La formazione della classe dirigente nel Sei-Settecento, Bologna, Il Mulino, 1976, p. 20; Id. e. a., Università, principe, gesuiti. La politica farnesiana dell’istruzione a Parma e Piacenza (1545-1622), Centro studi “Europa delle corti”, Roma, Bulzoni, 1980 (a riprova dell’osservazione fatta nella nota precedente per Leschi, invano si cercherebbe qui menzione delle accademie e scuole militari italiane). 176 Jaehns, GdKW, 2, pp. 563 ss.e 1022 ss.; L. Plathner, Graf Johann von Nassau und die erste Kriegsschule. Ein Beitrag zur Kenntnis des Kriegswesens um die Wende des 16. Jahrhunderts, Berlin, 1913, pp. 81 ss.; Hahlweg, HR, p. 148; L. J. Meteyer, L’académie protestante de Saumur, Paris, 1933; Gerhard Oestreich, “Eine Kritik des deutschen Wehrwesens am 93 Roma, nel frattempo, si preparava a modo suo allo scontro globale col mondo protestante, forgiando i quadri della Militia Christi nei 7 collegi istituiti nel 1552-1603 (germanico, greco, inglese, maronita, romano, scozzese, gregoriano), completati nel 1627 dal collegio De propaganda fide, e supportati dalle rispettive biblioteche, dalla Tipografia vaticana (1587) e dalla biblioteca Ambrosiana di Milano (1607). Voluto dal nuovo generale della Compagnia di Gesù Claudio Acquaviva (1581-1615) il Collegio Romano, centro di formazione dei quadri superiori gesuiti, fu inaugurato il 28 ottobre 1584 da Gregorio XIII. La Ratio studiorum del 1599 prevedeva quattro ordini di insegnamento di base (grammatica, umanità, retorica e dialettica), affiancati da corsi speciali di lingue, matematica, teologia e filosofia177. La Bibliotheca selecta178 compilata dal gesuita mantovano Antonio Possevino (1533/4-1611) includeva un elenchus di 123 opere de re militari aut ad eam spectantia. Naturalmente era esclusa l’Arte della guerra di Machiavelli e compreso il Soldato cristiano, scritto nel 1569 dallo stesso Possevino per ordine di Pio V in occasione della spedizione in Francia del contingente ausiliario pontificio. La lista abbondava in opere di carattere giuridico e teologico, soprattutto di padri e dottori della Chiesa, mentre quelle di carattere tattico, strategico o tecnico erano solo 20: •2 sezioni di enciclopedie (Iul. Afr. VII e Isid., Etym. XVIII); •10 scriptores veteres (Polibio, Cesare, Onasandro, Frontino, Eliano, Polieno, Vegezio, Maurizio, Leone VI e Urbicio); •8 scriptores moderni: tre anteriori a Machiavelli (Valturio, Cornazzano e Della Valle) e tre posteriori (Ferretti179, Brancaccio e Fiammelli180), oltre al matematico Tartaglia e al filologo fiammingo Lipsio Ciò non toglie che nel corso del Seicento i gesuiti, almeno i francesi, abbiano dato un notevole contributo alle scienze militari, dall’architettura (padri Gabriel Fournier e Bourdin) all’idrografia (Fournier) all’ingegneria e all’arte militare navali (Paul Hoste) alla storia delle istituzioni militari Vorabend des Dreissigjaehrigen Kriegen”, in Nassauische Annalen, 70, 1959, pp. 227-235; Norbert Konrad, Ritterakademien der fruehen Neuzeit: Bildung als Standesprivileg im 16. und 17. Jahrhundert, Goettingen, 1983; Hale, War Studies, capp. 8 e 10; Id., Guerra e società, cit. pp. 156-157 (dove mette in rapporto le scuole militari con la diffusione dei soldatini e dei giochi di guerra); Parker, op. cit., pp. 38 e 74 nt. 45; Corvisier, HMF, I, cit., p. 335; Id., “Formation des militaires” in Dictionnaire d’art et d’histoire militaire, cit., pp. 318-319. Cfr. E. de la Barre Duparcq, L’art de la guerre pendant les guerres de religion, Paris, Dumaine, 1864; Robert J. Knecht, The French Civil Wars, Harlow, Essex, Pearson Education Ltd, 2000. Nelle scuole protestanti Flavio Giuseppe era utilizzato come manuale di tattica (Coutau-Bégarie, Traité, cit., p. 158). 177 Bertelli, Ribelli, cit., pp. 31 e 126-27. 178 Bibliotheca selecta de ratione studiorum, Romae, 1593; Venetiis 1603, tom. I, lib. V, cap. 6, ff. 208-211 (elenchus aliquorum qui scripsere de re militari aut ad eam spectantia). Bibliografia su Possevino in Bozza, Scrittori, cit., pp. 77-79. Cfr. A. P. Farrel, The Jesuit Code of Liberal Education. Development and Scope of the Ratio Studiorum, Milwaukee, The Bruce Publishing Co., 1938 (cit. in Brizzi, Form. cit., p. 57 nt. 35). 179 180 Francesco Ferretti, Dell’osservanza militare, Venezia, 1568; Dialoghi notturni, Ancona, 1608. Sul fiorentino Giovan Francesco Fiammelli cfr. Ilari, L’interpretazione, cit., pp. 215-21. Dotato di diretta esperienza militare, si definiva “matematico teorico e pratico” e fu uno dei tramiti tra la scuola galileiana e l’ordine degli Scolopi fondato da Giuseppe Calasanzio, al quale fu marginalmente affiliato. Scrisse almeno cinque trattati militari, pubblicati a Roma fra il 1602 e il 1606, i primi 4 da Luigi Zannetti e il quinto da Carlo Vullietti. Il primo (Il Principe cristiano guerriero) era dedicato al cardinale Alessandro dei Medici, legato presso Enrico IV di Francia, che nel settembre 1603 ottenne la riapertura dei collegi gesuiti in Francia. Gli altri erano: Modo di ben mettere in ordinanza gli eserciti; Il principe difeso, nel quale si tratta di fortificazione, oppugnazione, e propugnazione, o difesa; La riga matematica; Quesiti militari fatti all’autore in diversi tempo, da diversi principi ... e da lui risoluti con esempi ...). Più famoso di Fiammelli era il capitano senese Imperiale Cinuzzi, membro delle Accademie degli Arditi e degli Intronati (La vera militare disciplina antica e moderna, tre libri, Siena, app. Silvestro Marchetti, 1604; ivi, Bonetti, 1620). Cfr. G. Bargilli, “Il capitano Imperiale Cinuzzi e l’opera sua”, in Rivista Militare Italiana, 44 (1899), 1, pp. 321-324. 94 (Hermann Hugo, Iohann Anton Waltrin e Gabriel Daniel). Anche lo stile di guerra cattolico, che vedeva la guerra come giudizio divino e gestum Dei per homines e perciò subordinava gli aspetti tecnici e materiali a quelli morali e spirituali, toccò il trionfo l’8 novembre 1620, quando l’ardente carmelitano spagnolo padre Domingo de Jesus Maria (Ruzola, 1559-1630), ispirato dalla visione mariana, convinse il riluttante consiglio di guerra cattolico a dare battaglia contro l’armata protestante boema181. Sollecitato dagli amici a completare la sua bibliographia politica con una militare, Gabriel Naudé (1600-53) vi dedicò un capitolo del suo syntagma de studio militari, scritto a Rieti nel 1636182. Il medico ateo e libertino, ammiratore di Machiavelli, autore del primo trattato sul colpo di stato e bibliotecario del cardinal Mazarino, riconosceva la propria imperizia militare183, ma si sentiva legittimato a trattare de recta bellorum administratione in base alla sola lectio dei classici antichi, come avevano già fatto prima di lui altri politografi, in particolare Elia Reusner184. Tra i testi rilevanti, anzitutto la storia antica, sorta di archivio segreto da cui si poteva secretas cogitationes et imperiorum arcana ... expiscare185. Poi le biografie dei grandi condottieri - che imparano spesso l’un l’altro, come il sultano Selim I Yavuz (1512-20) dai commentari cesariani - e infine gli auctores de re militari, inclusi greci, romani e 271 recentiores, classificati in sette categorie: •25 antiqui deperditi, pp. 514-17; 181 Alla vittoria della Montagna Bianca, più “cattolica” di Lepanto e più rilevante anche dal punto di vista strategico e storico, furono dedicate varie chiese, tra cui quella romana di Santa Maria della Vittoria, nella cui sacrestia sono ancor oggi conservati grandi dipinti della battaglia (parziali riproduzioni in Olivier Chaline, La bataille de la Montagne Blanche. Un mystique chez les guerriers, Paris, Editions Noesis, 1999). La seconda guerra mondiale consigliò la chiusura della chiesa al pubblico, rimasta poi definitiva. Quella chiusura, unita alla concessione del patronato dell’Immacolata ai militari americani cattolici, avvenuta ad istanza del cardinale Francis Joseph Spellman l’8 maggio 1942 (lo stesso giorno in cui la U. S. Navy vinse la battaglia del Mar dei Coralli), sembra quasi simboleggiare una sorta di translatio imperii (la terza della storia), compiuta da Pio XII, indubbiamente il più grande stratega cattolico del Novecento (si consideri che il patronato fu concesso quando gli Stati Uniti erano ancora in guerra con l’Italia, e che la proposta dell’ordinario militare italiano di proclamare la Virgo Fidelis patrona dei Carabinieri, avanzata l’11 novembre 1948, tre mesi dopo la fallita insurrezione comunista, fu accolta l’11 novembre 1949, sette mesi dopo l’entrata dell’Italia nel Patto Atlantico). 182 Syntagma de studio militari ad illustrissimum iuvenem Ludovicum ex comitibus Guidiis a Balneo, Romae, ex Typographia Iacobi Facciotti, 1637, lib. II Ducis Officium, cap. IV, pp. 513-14; Naudaei Bibliographia militaris, Jenae, 1683, inclusa in Thomas Crenius, De eruditione comparanda, Leyden, 1699. Naudé, Bibliographia politica a cura di D. Bianco, Roma, Bulzoni, 1997. 183 Synt., Auctor Benevolo Lectori: “nec acies unquam vidissem, nec castra, nec hostem, ac ne quidem gladium apte cingere, aut educere de vagina possem”. Secondo Naudé la scientia belli administrandi (o militaris) si può acquisire (comparare) in due soli modi, experientia et lectione (pp. 504 e 507-8). Prestato un lip homage all’autorità di Aristotele e Cicerone (che, in riferimento alla medicina, all’oratoria e all’ars imperatoria anteponevano la pratica alla teoria), Naudé vi contrapponerva l’opinione di Botero, che giudicava la lectio rerum militarium superiore all’esperienza; e, significativamente, non citava l’exemplum di Formione (v. supra, nt. 67). Bisogna però osservare che, nonostante il carattere tendenzialmente omnicomprensivo attribuito all’administratio belli dalla letteratura politologica, questa in realtà tratta soltanto le dimensioni morali, giuridiche e politiche, astenendosi dall’affrontare la condotta tecnica della guerra (belli gerendi ratio, Naudé p. 512). Fu invece il maresciallo di Puységur (1655-1743), che era stato capo di stato maggiore (maréchal général des logis) del maresciallo di Luxembourg, a sostenere la tesi paradossale di un’autosufficienza assoluta dello studio teorico, proponendosi di dimostrare che “sans guerre, sans troupes, sans armée, sans etre obligé de sortir de chez soi, par l’étude seule, avec un peu de géometrie et de géographie, on peut apprendre toute la théorie de la guerre de campagne” (Art de la guerre par principe et règles, Paris, 1748, I, p. 2). 184 Stratagematographia sive Thesaurus Bellicus, docens quomodo Bello justi et legitime suscipi, recte et prudenter administrari, commode et sapienter confici debeant: ex latissimo et laetissimo Historiarum campo Herculeo labore erutus ab Elia Reusnero Leorino, Histor. in Illustri Solana Profess. Pub. Cum ejusdem Synopsi et gemino Indice locupletissimo, altero Historiarum, altero Rerum memorabilium, Francofurti, Prestat apud Johannem Andream, et Wolfgangi Endteri Junioris haeredes (1609) 1661. 185 Synt., cit., p. 509. 95 •manoscritti greci, arabi, latini e volgari in bibliothecis latentis, pp. 518-25; •antiqui editi, pp. 525-31; •17 recentiores qui scripserunt de militia antiquorum in se tantummodo spectata186, pp. 531-33; •21 tum de veteri, et nova inter se collatis187, pp. 533-35; •233 ac demum de nostra et eius partibus singulis eo ordine dispositi quae nos in hoc syntagmate observavimus188, pp. 535-45; •exqualibus laudantur praesertim a ducibus compositi, pp. 545-50. 12. Lipsio, Casaubon e Salmasio: dal commento all’explicatio storica Pur essendosi formato al collegio gesuitico di Colonia ed aver a lungo soggiornato a Roma, Giusto Lipsio (1547-1606) aveva avuto una lunga parentesi protestante, come docente di lettere latine prima (1573-75) all’università luterana di Iena e poi (1579-90) a quella calvinista di Leida, fondata nel 1575 da Guglielmo d’Orange per premiare l’eroica resistenza della città durante l’assedio spagnolo. Qui nel 1583-84 Lipsio ebbe fra i suoi allievi Maurizio di Nassau e nel 1589 pubblicò i Politicorum sive civilis doctrina libri sex, di impronta tacitista e neostoica, premiati da una gratifica dagli stati generali. Il libro V (de militari prudentia) enuncia vari criteri politici di organizzazione militare (preferenza dei soldati nazionali sui mercenari e della fanteria sulla cavalleria, ordinamento misto basato su forze permanenti di mestiere e milizia di riserva - milites perpetui e subsidiarii) e sostiene che l’arte della guerra va appresa studiando gli storici e che la disciplina perfetta si può trovare tornando alla scienza militare dei romani. Tornato al cattolicesimo nel 1591 e chiamato dall’università cattolica di Lovanio (pur mantenendo contatti epistolari con gli ambienti riformati e con lo stesso stato maggiore olandese), Lipsio vi scrisse 186 1. Petrus Ramus (lib. de moribus vet. Gallorum; comment. ad Caes.); 2. Reinardus Senior comes Solmensis; 3. Samuel Petitus (lib. VIII legum Acticarum); 4. Nicolaus Cragius (Rep.Laced. III, tab. XII); 5. Meursius (de Cecropia seu Arce Athen.); 6. Kyrianus Stroza (ad Arist. polit., I); 7. Iacobus Fater Stapenlensis (Hecatonia, leges Socratis et Platonis de militia retulit); 8. Iustus Lipsius; 9. Franciscus Patricius; 10. Ioannes Antonius Waltrinus S. J. (de re militari veterum Romanorum lib. VII); 11. Henricus Saviles anglus; 12. Albericus Gentili (de militia Romana, sic); 13. Robertus Valturius; 14. Franciscus Ferretti; 15. Roasius; 16. Claudius Salmasius; 17. Barnaba Brissonius (lib. IV formularum qui totum de militaribus est). 187 1. Patricius (Paralleli); 2. Hermannus Hugo S.J.; 3. Domenicus Cyllenius; 4. Auctor Florentinus politicae damnatae (Machiavelli); 5. Ludovicus Regius (lib. IX de vicissitudine rerum instituit militiae romanae cum moderna); 6. Alexander Sardus (de moribus et ritis gentium lib. III); 7. Polidorus Vergilius (adagiorum liber de inventoribus rerum seu proverbia); 8. Aegidius card. Columna (sententiarum); 9. Petrus de Gregorius alias Tholosanus (lib. XI Reipublicae qui est de militari cura; lib. XXV sintaxeos admirabilis); 10. Adamus Contzen (lib. X Politicorum de perfecta Reipublicae forma); 11. Antonius Zara (Anatomia ingeniorum et scientiarum, Sect. 2a, memb. XV de Militia); 12. M. A. Petilius iur.cons. Neapolitanus (lib. IX Exarchiae, sive de exteriori principe munere); 13. Carolus Scribanius (Politicus Christianus libri II); 14. Justus Lipsius; 15. Hugo Sempilius (libb. II et V de mathematica disciplina, ubi catalogum addit, auctorum qui de militari arte scripserunt; sed tam confuse, negligenterque concinnatum, ut eo non magis lector iuvari possit, quam si editus numquam fuisset); 16. Ioannes Baptista Donius (in magno opere suo philologico, titulo de militia fecisse); 17. Erricus Rohanus (qui nunc in Tellina valle sub Christianissimo Rege castrorum preaefectus); 18. Guillaume du Bellay de Langey; 19. Imperiale Cinuzzi (de disciplina militari antiqua et moderna); 20. Achille Tarducci; 21. Ruggero de Loria. 188 L’elenco include 42 autori di opere a carattere generale (di cui 35 veram rationem continentes e 7 literarum meditationibus similia), 11 di miscellanee, 6 di trattati sui privilegi dei milites e sulla cavalleria, 10 sul reclutamento, 15 sull’oplomachia e i tornei, 5 sulla milizia equestre, 8 sulla milizia cristiana, 7 sull’addestramento delle reclute, 9 di esempi, 2 sull’eloquenza militare, 7 di matematica, 16 d’artiglieria, 32 di architettura militare, 6 sugli assedi, 10 sulla tattica della fanteria, 26 di teologia e diritto bellico, 11 di medicina militare e 10 di diritto amministrativo militare. Naudé (p. 545) giustifica la mancata menzione degli auctores di naumachia perché le battaglie navali loco tantum differunt da quelle terrestri. 96 le prime due opere, entrambe in cinque libri, di una prevista trilogia sull’ordinamento (militia), l’artiglieria (poliorceticon) e le grandi battaglie (triumphi) dei romani, pubblicate ad Anversa nel 1595 e 1596 per i tipi di Moretus e Pantin189. Dedicato al futuro Filippo III di Spagna, il de militia romana è un commento a Polibio (VI, 19-42), con un confronto finale in cui si proclama la superiorità del sistema romano su quello moderno. I primi 4 libri riguardano reclutamento, ordinamento, armamento, addestramento e tattica della legione, il quinto (de disciplina) la castrametazione e la vita al campo. Il Poliorceticon - un dialogo tra Lipsio e i consiglieri del vescovo di Liegi, ambientato nel giugno 1591 al castello di Seraing sulla Mosa - espone i sistemi antichi di blocco e di attacco immediato oppure regolare delle piazze190. I temi trattati da Lipsio erano maturi: nel 1596-1601 furono infatti pubblicati, a Colonia, Heidelberg e Venezia, altri due saggi analoghi sulla fanteria e uno sull’artiglieria e castrametazione romane191, e lo stesso Lipsio fu completato da saggi giuridico-militari192 e dal citato commento ad Arriano sulla cavalleria del gesuita Hermann Hugo (De militia equestri antiqua et nova ad regem Philippum libri quinque, Anversa, 1630), anch’esso articolato in cinque libri, come la militia e il poliorcetikon del compatriota Lipsio. La redazione dei previsti triumphi fu forse sconsigliata dalla recente pubblicazione (Hanau, 1599) del De Armis Romanis libri duo di Alberico Gentili (1552-1608). Docente di jus civile a Oxford dal 1581, Gentili vi aveva pubblicato nel 1590 (in margine al primo abbozzo del de jure belli) un’analisi storico-giuridica delle causae di ciascuna guerra romana, tutte considerate (sulla falsariga di Lact., Inst., 4, 9) pretestuose e aggressive (De injustitia bellica Romanorum Actio). Il I libro del De Armis Romanis era appunto l’Actio del 1590, mentre il II conteneva una posteriore Defensio, de justitia bellica Romanorum, dove, seguendo lo stesso schema, gli argomenti del I libro erano puntualmente controbattuti e rovesciati a favore dei romani193. 189 Terminati il 15 marzo 1594, i De militia Romana libri quinque. Commentarius ad Polybium, ebbero due edizioni, entrambe di 1.500 copie, nel 1595 e 1598 (aucta varie et castigata, con 28 illustrazioni, ristampata individualmente nel 1602 e 1616 e nel tomo III dell’opera omnia, 1614; 1637). Il Poliorceticon, sive de machinis, tormentis, telis libri quinque, ebbe quattro edizioni nel 1596, 1599, 1605-06 e 1625 (tutte riviste, corrette e accresciute). Critiche di Hobhom, op. cit., 2, pp. 401 ss. 190 Cfr. Delbrueck, op. cit., 4, p. 156; Colson, Coll. Moretus-Plantin, cit., pp. 50-56. Su Lipsio v. Gerhard Oestreich, “Justus Lipsius als theoretischer des neuzeitlichen Machtstaates”, in Historische Zeitschrift, 181, 1956. Bibliografia in M. Laureys e. a. (Eds.), The World of Justus Lipsius: A Contribution Towards His Intellectual Biography, Bruxelles-Rome, 1998. 191 Iohann Antonius Waltrinus S.J., De re militari Romanorum libri VII, Coloniae, 1597; Henricus Savilius, De militia romana, Heidelberg, 1601; Achille Tarducci, Delle machine ordinate et quartieri antichi et moderni come quelli da questi possono essere imitati senza punto alterare la soldatesca de’ nostri tempi (aggiuntivi dal medesimo le fattioni occose nell’Ongaria vicino a Vanice nel 1597 e la battaglia di Transilvania contro il Valacio, Venezia, 1601). Le illustrazioni di Lipsio oscurarono il precedente Giovanni Franco, Gl’ordini della milizia romana tratti da Polibio in figure di rame, Venezia 1573, ma furono a loro volta soppiantate da quelle di Wilhelm Dilich (1571-1655), già topografo e storico ufficiale del landgravio Maurizio d’Assia, passato nel 1625 al servizio sassone quale ingegnere (Iconismus militiae veteris et recentioris, 1645; Krieges-Schule, Francoforte, 1689 ; Jaehns, GdKW, pp. 907 ss., 1047 ss., 1047; Colson, Moretus Plantin, cit., pp. 154-57). 192 Vincenzo Contarini (m. 1617), De frumentaria Romanorum largitione liber, in quo ea praecipue, quae sunt a J. Lipsio cum in electis, tum in admirandos de eadem prodita examinantur. Ejusdem de militari Romanorum stipendio (Venetiis, 1609; Vesaliae 1669); Tullius Crispoldi, Casus militares, Romae, 1635; A. Alciatus, De re militari et militaribus officiis, Parisiis, 1651; van Passenrode, Der Gryken und Romeynen Krygshandel, Lugd. Batavorum, 1656; Olaus Ackermann, De iure militari ad Suecanas Romanasque leges accommodato, Upsalae 1673. 193 Rist. Hanau 1612; Venezia 1737 (Polienus, Thesaurus Antiquitatum, t. I); Napoli, 1780 (Opera juridica selectiora, I, pp. 375-538). Cfr. Ilari, L’interpretazione, cit., pp. 2-3 nt. 3 e 71-72. Il tema fu poi ripreso dal monarchico inglese Arthur Duck (1580-1648) nel De usu et authoritate iuris civilis Romanorum in dominiis Principum Christianorum (Londra 1648; 1653; Lugduni Batavorum 1654; I, I, 2-11) secondo cui “Romani per socios bellorum causas quaerebant”. L’enfatica condanna dell’ingiustizia bellica dei romani e in particolare dell’invasione della Bretagna (citando Tac., Agric., 30, dove il comandante britanno Galgacus chiama i romani raptores orbis terrarum) è però sottilmente strumentale alla difesa del diritto romano, la cui introduzione in Inghilterra è considerata una ricaduta positiva della conquista. Anche Folard, 97 Se a Lipsio, considerato l’erede di Erasmo, fu consentito di mettere il frutto della sua erudizione a disposizione di entrambi i belligeranti delle Fiandre, il contributo di altri filologi fiamminghi e francesi alla restitutio militare sembra maggiormente vincolato dalla committenza pubblica. Non se ne hanno indizi per le prime edizioni critiche di Vegezio (Stewech, Anversa 1585)194, Polieno (Casaubon, Lione 1589) e Onasandro (Regault, Parigi 1598)195. Ma lo stesso Isacco Casaubon (1599-1614) accenna, in una lettera a Giuseppe Giusto Scaligero196, che l’edizione critica di Polibio - pubblicata nel 1606-07 assieme ad nuova traduzione latina197 - gli era stata ordinata dall’alto. Non necessariamente dal re Enrico IV (che non leggeva il greco); piuttosto da Maximilien de Béthune, duca di Sully (1559-1641). Stavolta infatti l’interesse del committente non sembra di carattere militare, ma politico. Nel Polibio di Casaubon (“non quidem integrum, sed qualem tamen nemo adhuc vidit”) si cercavano infatti scientia civilis e imperatorius stilus: e soprattutto tornavano alla luce gli excerpta polibiani de legationibus, funzionali alla stesura segreta del grande progetto di pax Europaea ideato da Sully198. ammiratore dei greci, considerava ingiuste le guerre dei romani (Commentaires sur Polybe, Paris, 1727, 2, pp. 124-158: cfr. Jean Chagniot, Le Chevalier de Folard. La stratégie de l’incertitude, Monaco-Paris, Editions du Rocher, 1997, pp. 199-204; Id., in Actes Namur, cit., p. 116). 194 Testo stabilito dall’umanista olandese Godeschanus Steewech (1557-88), pubblicato da Plantin assieme ad un commento e ad una lettera del filologo fiammingo François de Moulde (1556-96) e a coniectanea di Steewech su Frontino. Il libro fu ripubblicato a Leida nel 1607 da Peter Schrijver, assieme ad un commento di Moulde ad Eliano e ad altri testi (Aulo Gellio, Catone, Polibio, Igino, Modesto, Rufo e il de rebus bellicis) col titolo V. inl. Fl. Vegetii Renati ... aliorumque aliquot ceterum De re militari liber. Accedunt Frontini stratagematibus eiusdem auctoris alia opuscula / omnia emendatius, quaedam nunc primum edita à Petro Scriverio: cum commentarius aut notis God. Stewechii & Fr. Modii, Lugduni Batavorum: ex officina Plantiniana Raphelengii, 1606-1607; Lugduni Batavorum, apud Samuelem Luchtmans, 1731 curante Francisco Oudendorpio (cfr. Colson, Collect. Moretus Plantin, cit., pp. 25-27 e 136-38). 195 Nicolaus Rigaltius, Onosandrou Strategikos. Onosandri Strategicus. Sive de imperatoris institutione. Accessit Ourbikiou Epitédeuma, Paris 1598/9. Nel 1600 e 1604-05 l’opera fu riedita ad Heidelberg (Commelin) con commentarius di Ianus Gruterus e breves observationes di Aemilius Portus. Infine l’umanista liegese Jean Chokier de Surlet (1571-1655), cattolico, tacitista e sodale di Lipsio, incluse l’edizione e la traduzione di Regault, corredate di proprie “dissertazioni politiche” su Onasandro, nel Thesaurus politicorum aphorismorum (Romae 1611; Maguntii 1613; 1619; Frankfurt 1615: senza il testo greco Liegi 1643 e Colonia 1649, 1653 e 1687). L’idea di Surlet di contrapporre Onasandro a Machiavelli come maestro di scienza strategica si rintraccia anche nella ratio studiorum di Possevino. L’accostamento tra i due autori era del resto già implicito nella pubblicazione congiunta delle traduzioni francesi dell’Arte della guerra e dello Strategikos di Jehan Charrier (Paris, 1546: “oeuvres tres utilz & necessaires a tous Roys, Princes, Republiques, Seigneurs, Capitaines, gentilz-hommes & autres suivans les armes”). Qyella di Regault era la terza traduzione latina dopo quelle di Segundinus (1494) e Camerarius (1595). Le traduzioni cinquecentesche in volgare sono le seguenti: 1524 (o 1538) tedesca (anonima); 1546 italiana (Fabio Cotta) e prima francese (Charrier); 1563 inglese (Peter Whythenorn); 1567 spagnola (Diego Gracian); 1593 seconda francese (Blaise de Vigenère, pubblicata nel 1605). Cfr. Oldfather, op. cit., p. 355-58: riserve in Peters, op. cit, p. 254-55. 196 Lettera a Scaligero n. 466 ed. Th. J. Almemloveen (Rotterdam, 1709) cit. in G. F. Brussich, Isaac Casaubon, Polibio, Palermo, 1990 (cfr. Dubuisson, Polybe, cit., p. 18). 197 La traduzione katà podas di Casaubon, ripubblicata separatamente nel 1610, era più affidabile di quella di Lipsio, le cui cognizioni di greco erano appena sufficienti per una parafrasi (Dubuisson, Polybe, cit., pp. 19-22). Ciò non toglie che Scioppio criticasse tutti i tre massimi eruditi dell’epoca sua, rimproverando a Lipsio i solecismi e a Casaubon e Scaligero i barbarismi (Bertelli, Ribelli, cit., p. 28). 198 Le Grand Dessein fu pubblicato nel 1662, nell’edizione postuma delle Economies Royales di Sully, che lo attribuì a Enrico IV. Il piano era ispirato a tre principi politici: a) prevenzione dei conflitti interni (mediante riequilibrio dei differenziali di potenza e risoluzione arbitrale delle controversie); b) istituzioni sovranazionali (consiglio anfizionico di 40 membri indipendenti, con decisioni a maggioranza e con poteri arbitrali e coercitivi sostenuti da un esercito federale); c) individuazione di un nemico esterno (ovviamente il Turco). Si prevedeva la ristrutturazione dell’Europa in quindici Stati sovrani di uguale potenza e ricchezza (sei monarchie ereditarie, cinque elettive e quattro repubbliche). Gli excerpta polibiani furono tenuti presenti anche nel Nouveau Cynée, ou Discours des Occasions et Moyens d’établir une paix générale et la liberté du commerce pour toute le monde (1623) di Emeryc Crucé (1590-1648) che prevedeva un’Assemblea permanente degli Stati, non limitata all’Europa ma estesa anche al Gran Mongolo, agli imperatori della Cina e del Giappone e ai sovrani della Persia e dei Tartari, incaricata di far regnare la pace nel mondo mediante l’arbitrato e di reprimere ogni turbativa anche con l’uso della forza. 98 Esplicita è la committenza pubblica, da parte di Luigi di Nassau ai professori di greco di Leida (Johannes Meursius Sr.) e Franeker (Sixtus Argerius) delle edizioni critiche di Leone ed Eliano, con traduzione latina, pubblicate a Leiden rispettivamente nel 1612 e 1613. Furono inoltre promosse traduzioni in volgare dei classici militari antichi: quella francese di Vegezio (de la milice romaine, Francoforte 1616) dichiara nel titolo di essere stata stampata aux frais di Wallhausen. Altrettanto non si può dire per le traduzioni di Eliano in inglese (John Bingham, The tactiks of Aelian, 1616)199 e francese (la seconda dopo quella del 1536: An., De l’ordonnance des anciennes bandes et armées grecques conformement à l’ordre estably par Philippe et Alexandre-le-Grand, Paris, 1611). La successiva traduzione francese di Eliano e Polibio è dedicata a Luigi XIII (Louis de Machault, seigneur de Romaincourt, La milice des Grecs et des Romains traduite en français du grec d’Aelian et de Polybe et dediée au roi, Paris, 1615)200. Il duca Enrico di Rohan (1579-1638) tornò invece al commento cesariano (Le parfait capitaine, Paris, 1631; 1636), messo poi a confronto con Leone dal conte Maiolino Bisaccioni (Sensi civili ... sopra il perfetto capitano di H.D.R. e sopra la tactica di Leone imperadore, Venezia, 1642; Messina, 1660). Succeduto nel 1625 al defunto cugino Maurizio d’Orange, il nuovo stathouder Federico Enrico di Nassau commissionò al suo protetto Claude Saumaise (1588-1635) un compendio dell’arte militare romana, più breve ma più originale della prolissa parafrasi polibiana di Lipsio, ad uso pratico e riservato dello stato maggiore protestante. Borgognone e ugonotto, già allievo di Casaubon a Parigi e avvocato a Digione, Salmasio aveva dovuto espatriare durante l’ultima guerra civile, compensato però da una prestigiosa cattedra leidense. Benché autore di 140 libri (di cui 60 inediti) il “principe dei commentatori” si trovò di fronte alla difficoltà di passare dal puro commento di un testo già costruito ad un inquadramento sistematico originale e innovativo, nonché di prendere in considerazione anche fonti inedite o trascurate. L’opera, pur non rifinita per la morte dell’autore201 fu celermente completata grazie al celebre erudito provenzale Nicolas Claude Fabri de Peiresc (1580-1637), il quale mobilitò a favore dell’amico la sua vasta rete di corrispondenti, procurandogli anche vari manoscritti, considerati più affidabili delle edizioni a stampa202. E’ importante sottolineare che, nonostante e anzi proprio grazie alla sua finalità pratica, il De re militari Romanorum di Salmasio rappresenta la prima vera indagine storica, e non più soltanto erudita, sul sistema militare romano. Il continuo ricorso al confronto critico tra fonti molteplici non mira soltanto a risolvere singoli punti oscuri, ma a impostare un’explicatio generale, basata sullo “storicizzamento” del sistema militare romano. La svolta metodologica è data appunto dall’idea che per poterlo confrontare (davvero e utilmente) con i moderni sistemi europei bisogna anzitutto cogliere la sua mutatio interna203. Inoltre, indagando le differenze tra la legione delle guerre puniche e quella 199 Cfr. Hahlweg, HR, pp. 175-78. 200 Cfr. Jaehns, GdKW, 2, p. 871; Hahlweg, HR, pp. 171-2. 201 Segretata per ragioni militari, l’opera fu pubblicata postuma nel 1657 a Leida da Georg Horn (Cl. Salmasii De re militari Romanorum liber, opus posthumum, Apud Iohannem Elsevirium, Lugduni Batavorum, 1657) e inserita da J. G. Grevius nel Thesaurus antiquitatum Romanorum, X, 1389 ss. Cfr. Colson, Coll. Moretus-Plantin, cit., pp. 80-85. Cfr. J. H. Boecler, Comparatio militiae veteris et hodiernae, Dissert. 2, 1670, p. 1245 ss. Bibliographia historico-politicaphilologica curiosa, Germanopoli, 1677; James Turner, Pallas Armata: Military Essayes of the Ancient Grecian, Roman and Modern Art of War, London, 1683. 202 Cfr. Agnès Bresson, “Guerre moderne et érudition: Peiresc et le traité de la milice de Saumaise (1635-37)”, in Histoire, économie, société, 1992, 2, pp. 187-196: Id., edizione di Peiresc, Lettres à Claude Saumaise et à son entourage (1620-37), Firenze, Olschki, 1992 (cit. in Colson, ibidem). 203 Salm., DRMR, 1: “In Explicanda Re Militari Romanorum qui utilem et efficacem ponere operam cupit, curare studio intentiore debet ut videat non quid distet ab hodierna populis Europaeis usitata, sed in primis quaerere illum oportet an et à semetipsa aliquando discrepaverit, id est an Romana ipsa à Romana diversa fuerit et pro temporibus variaverit”. 99 dell’età cesariana, Salmasio le mette in parallelo, se non in rapporto, con il mutamento costituzionale, un tema che si innerverà poi da Harrington e Montesquieu sino a John R. Seeley e Otto Hintze204. 13. L’arte militare nella quérelle des Anciens et des Modernes Naturalmente anche la letteratura militare del Settecento contiene qualche eco della famosa quérelle des anciens et des modernes iniziata nell’Académie Royale e proseguita e diffusa nei grandi salotti parigini: secondo Chagniot i dialoghi folardiani tra Regolo e Tallard e tra Arato e Richelieu sono ad esempio un calco evidente205 dai Dialogues des morts di Fontenelle, autore dell’intervento più importante nella disputa, altrimenti marginale, tra Perrault e Boileau206. Ma, all’opposto di Fontenelle, come poi anche di Montesquieu, in Folard “presque toujours la comparaison tourne au désavantage des modernes”. 204 Otto Hintze (1861-1940), Staatsverfassung und Heeresverfassung, 1906 (Stato ed Esercito, Palermo, Flaccovio, 1991). Cfr. Luigi Loreto, “SV e HV antiche in Otto Hintze”, in Quaderni di storia, 39, gennaio-giugno 1994, pp. 127-163; Id., “Proprietà della terra, costituzione ed esercito a Roma. James Harrington e la fine della Repubblica nella prima metà del II secolo a. C.”, in Bullettino dell’Istituto di diritto romano, 96/7 (1995/6), pp. 395-454; Id., Guerra e libertà nella Repubblica romana. John R. Seeley e le radici intellettuali della Roman Revolution, Roma, L’Erma di Bretschneider, 1999. 205 Chagniot, Atti Namur, cit., p. 120. Anche Federico II scrisse nel 1773 un dialogue des morts tra il principe Eugenio, Marlborough e il principe di Liechtenstein. 206 Com’è noto la quérelle des anciens et des modernes designa in senso stretto soltanto la meschina disputa intercorsa nel 1687-90 tra due cortigiani, il letterato Charles Perrault (1628-1703), alto funzionario delle finanze e membro del comitato per le pubbliche iscrizioni (in seguito divenuto Académie des inscriptions et des Belles Lettres), e Nicolas Boileau “Despreaux” (1636-1711), insignito nel 1677, assieme con Racine, del titolo ufficiale di “storiografo di Francia”. La disputa ebbe origine dalla presentazione all’Académie de France, il 27 gennaio 1687, del Siècle de Louis le Grand, un poemaccio fin troppo politicamente corretto in cui Perrault paragonava il roi Soleil ad Augusto e che fu attaccato da Boileau e Racine con l’arma del ridicolo. Perrault parò la micidiale stoccata buttando la faccenda sul pedante, con i Parallèles des Anciens et des Modernes (1688-97). A dare spessore alla disputa fu l’intervento, a sostegno dell’amico Perrault, di un personaggio del calibro di Bernard de Boviet de Fontenelle (1657-1757) - futuro segretario (1699) dell’Accademia reale delle scienze e già celebre per la sua parafrasi (1683) dei Nekrikoì diàlogoi di Luciano di Samosata la cui famosa Digression sur les Anciens et les Modernes (1688) indusse Boileau a chiudere formalmente la disputa. Ovviamente nei salotti letterari, come quelli della marchesa di Lambert e delle signore de Tencin, Geoffrin e Dupin, si continuò a discutere all’infinito di parità o superità reciproca tra Antichi e Moderni, ma né la questione né gli argomenti erano nuovi. La questione del progresso intellettuale per accumulo di conoscenze era già presente in Rabelais, Ramo, Postel; mentre già con Bodin (Methodus ad facilem historiarum cognitionem, 1572) e soprattutto con Bacone (Novum Organum, 1620; De dignitate et augmentis scientiarum, 1623) si affaccia l’idea che la superiorità dei moderni risieda in una differenza qualitativa nei metodi di apprendimento, questione approfondita da Thomas Burnet (Panegyric of Modern Learning, in Comparison of the Ancient) e William Temple (An Essay upon on the Ancient and Modern Learning) negli stessi anni della quérelle Perrault-Boileau. Solo più tardi, a partire dagli anni 1730, comincia però a prendere corpo una visione progressista della storia universale, dove al progresso scientifico corrisponde quello sociale e della stessa natura umana: nascono da qui il cosmopolitismo pacifista dell’Abbé de Saint Pierre (Observations sur le progrès continuel de la raison universelle, 1737), di Turgot (Réflexions sur l’histoire des progrès de l’esprit humain, 1749: Des progrès successifs de l’esprit humain e Avantages que le christianisme a procurés au genre humain, 1750), di David Hume (On the Balance of Power, 1752), l’ottimismo sociale del marchese di Chastelloux (De la felicité publique, 1772), di Sébastien Mercier (L’an 2440, Amsterdam, 1770), di Adam Smith (Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, 1776), di Servan (Discours sur le progrès des connaissances humaines, 1782), cui corrispondono nel pensiero filosofico le tesi di Herder (Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit, 1784), Kant (Idee einer Universalgeschichte von den kosmopolitischen Standpunkt, 1784), Condorcet (Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain, 179394), nuovamente Herder (Briefe zur Befoerderung des Humanitaet, 1793-97). Cfr. Le Goff, op. cit., pp. 684-685. Id., Art. “Progresso/reazione”, in Enciclopedia Einaudi, 1980, pp. 207-209; A. H. Rigault, Histoire de la quérelle des Anciens et des Modernes, Paris, 1856; Chantal Grell, Le Dix-huitième siècle et l’Antiquité en France 1680-1789, Oxford, Voltaire Foundation, 1995; Marc Bélissa, Fraternité universelle et intéret national (1713-1795), les cosmopolitiques du droit des gens, Paris, Editions Kimé, 1998. 100 In realtà non soltanto la letteratura tecnica prodotta dalle “armi dotte” (artiglieria, genio e marina), ma anche i trattati sull’impiego delle “armi di mischia” (fanteria e cavalleria) si erano emancipati, già dalla metà del Seicento, dall’idea rinascimentale di restitutio207. Lo si vede bene nelle due opere militari più importanti prodotte dall’età di Luigi XIV, dovute a due importanti collaboratori del maresciallo di Lussemburgo (1628-95). Le memorie di Feuquières208 e il trattato di Puységur209, pubblicati emtrambi postumi nel 1730 e 1748, differiscono anche per il diverso atteggiamento nei confronti della storia militare antica, ignorata da Feuquières e letta invece da Puységur alla maniera di Montesquieu210, per estrarne principi e regole - in particolare dal raffronto tra Turenne e Cesare e dallo studio comparato delle battaglie di Noerdlingen (1645) e di Farsalo (48 a. C.). Anche il gesuita padre Daniel, storico ufficiale della Francia e delle sue istituzioni militari211, aveva incluso nel libro II dell’Histoire de la milice françoise una Comparaison de l’art militaire d’autrefois et de l’ancienne milice, avec l’art militaire et la milice de notre tems. Da buon erudito, il padre concedeva che erano stati i greci e i romani ad aver ridotto la guerra in arte (II, 595) e che l’ordinanza moderna era in sostanza quella romana (II, 601) ma contestava la tesi di Lipsio che gli ordinamenti antichi fossero in generale superiori a quelli moderni, sostenendo che le riforme militari di Luigi il Grande avevano parificato la disciplina francese a quella greca e romana. Ma due cicli trentennali (1618-48 e 1672-1713) di guerre mondiali212 testimoniavano contro l’efficacia offensiva e dunque risolutiva dei sistemi moderni, basati sul continuo perfezionamento delle 207 Thierry Widemann, “Référence antique et ‘raison stratégique’ au XVIIIe siècle”, in Atti Namur, cit., pp. 147-56. 208 Il brigadiere Antoine-Manassès du Pas, marquis de Feuquières (1648-1711), era nipote di Manassè du Pas (15901640), il famoso diplomatico che aveva negoziato l’alleanza con Gustavo Adolfo di Svezia e i principi tedeschi e accreditato i sospetti di tradimento dello stesso Wallenstein. Legato al duca di Lussemburgo dalla comune ma pericolosa passione per l’occultismo, che li condusse entrambi a farsi truffare da Le Sage e ad essere implicati, nel 1680, nell’affaire des poisons, il brigadiere di Feuquières fu scagionato dall’inchiesta, ma incontrò nuovi guai a causa del suo carattere rancoroso: già isolato nell’ambiente militare fin dal 1695, nel 1701 cadde in disgrazia per un intrigo di corte e alla vigilia della morte dovette scrivere una lettera di sottomissione al re, raccomandandogli il figlio. L’accurato resoconto delle 33 battaglie cui aveva preso parte agli ordini del duca fu pubblicato soltanto nel 1730 dal fratello Jules de Feuquières, col titolo Mémoires sur la guerre où l’on a rassemblé les maximes les plus nécessaires dans les opérations de l’art militaire (Mémoires contenant ses maximes sur la guerre et application des exemples aux maximes), 2 voll., Amsterdam, F. Chauvignon, 1730 (rist. 1731, 1734, 1735 e 1736: nella quinta edizione compare una Notice biografica sull’autore; Londres, P. Dunoyer, 1736). L’opera è generalmente considerata il primo trattato militare veramente importante pubblicato in Francia, ma proprio per questo suscitò anche notevole imbarazzo (Voltaire, nel Siècle de Louis XIV, riassume il giudizio ufficiale: “officier consommé dans l’art de la guerre, et excellent guide s’il est critique trop sévère”). Federico II lo faceva leggere a mensa, durante i pasti dei cadetti (Delbrueck, GdKK, 4, p. 310 R.). Cfr. L. Davigo, L’écriture sur la guerre au temps de Louis XIV. Le marquis de Feuquière, Mémoire de maitrise, Université de Nantes, ms. 1994. P. Rouillet, Le maréchal de Luxembourg, tacticien ou stratège?, Mémoire de DEA, Université de Nantes, ms., 1997. Cfr. Pieri, SMI, pp. 113-14, 128 e 214. 209 Jacques François de Chastenet, marchese de Puységur (1655-1743), fu spesso consultato da Luigi XIV nei suoi consigli di guerra e fu capo di stato maggiore (maréchal général des logis) del duca di Lussemburgo, Il suo trattato (Art de la guerre par principes et par règles) fu pubblicato postumo dal figlio (Paris 1748; 1749 2 voll.). Il compendio fattone nel 1752 dal barone di Traverse fu tradotto in tedesco (Faesch, Leipzig 1753) e italiano (Napoli 1753). Cfr. ; Colson, Collect. Moretus Plantin, cit., pp. 145-51. 210 Le Considérations sur les causes de la grandeur des Romains et de leur décadence sono del 1734. Cfr. Francesco Gentile, L’‘esprit classique’ nel pensiero di Montesquieu, Padova, Cedam, 1965. 211 Gabriel Daniel S. J. (1649-1728), Histoire de la milice françoise ... jusqu’à la fin du règne de Louis XIV, 2 voll., Paris, chez Jean Baptiste Coignard, 1721 (Amsterdam 1724). 212 Sono le prime guerre mondiali moderne non solo e non tanto perché furono combattute anche nelle colonie americane, ma perché la posta in gioco delle guerre civili, religiose e nazionali europee, al di là delle cause e delle motivazioni particolari, non era una mera supremazia ideologica e materiale in uno spazio geopolitico chiuso (come si trattava per le guerre asiatiche coeve) ma l’acquisizione di quote determinanti nel complessivo assalto europeo alle risorse mondiali e al governo del processo storico. Cfr. Paul Kennedy, The Rise and Fall of the Great Powers, Random House, 1987. 101 armi da fuoco e su un consumo esponenziale di risorse che moltiplicavano i vantaggi della difensiva e paralizzavano i piani imperialisti. Le guerre di Successione, poi quella dei Sette anni, misero sotto accusa l’“ordine moderno”, o “sottile”, cui né la baionetta, né lo sviluppo della cartografia militare, della logistica, dell’arte ossidionale e della “piccola guerra” parallela alle operazioni principali213 avevano saputo restituire un carattere decisivo. Fino al 1793 la questione della guerra decisiva fu impostata nel modo sbagliato, ossia come una questione puramente tecnica o tecnologica. La prassi del 1756-63 suggerì di cercare la decisione non con la battaglia ma attraverso la grande manovra operativa sull’intero teatro di campagna (grande tactique, partie sublime), ignota alla trattatistica greco-romana e concettualizzata dalla cosiddetta scuola “geometrica” di Henry Lloyd e Georg Tempelhof, sistematizzata ed estremizzata nel 1799 da Buelow214. Ma inizialmente i riformisti cercarono la soluzione addirittura al mero livello tattico, ossia mutando il carattere della battaglia da difensivo e statico a offensivo e dinamico mediante l’attacco su più colonne cooperanti (ordine profondo) e l’avvolgimento d’ala (ordine obliquo). Un mutamento che sarebbe stato però in latente contraddizione con le vere determinanti - sociali, economiche e politiche della settecentesca guerra d’usura. A Poltava, nel 1709, la colonna Loewenhaupt aveva sfondato la prima linea russa, ma era stata poi annientata dall’artiglieria nemica, provocando la catastrofe svedese. Proprio per questo nel 1715 il cavaliere de Folard, un intrepido capitano delle guerre del Re Sole, scelse il re di Svezia quale dedicatario di un traité sur la colonne che echeggiava il tema eroico della “furia francese”. Fra il 1724 e il 1730 il commento tecnico per la nuova traduzione francese di Polibio dell’erudito maurista dom Thuillier dette modo all’oscuro capitano di riprendere e diffondere le idee che gli stavano a cuore, benché la franchezza dei suoi giudizi, l’invalidità fisica e la bizzarria del carattere finissero per attirargli crudeli ritorsioni 215. 213 Come l’arditismo della guerra 1914-18 e il cosiddetto “terrorismo internazionale” odierno, la piccola guerra di pianura, di montagna e di frontiera militare dei secoli XVI-XVIII era un sottoprodotto compensativo della cunctatio, cioè della guerra d’usura e del carattere non decisivo del confronto militare complessivo. Per questo i principi etici, giuridici e operativi della guerra regolare europea erano rovesciati in quella irregolare. Sulla prassi e la teoria della piccola guerra nel Settecento cfr. Werner Hahlweg, Krieg ohne Fronten, Stuttgart-Berlin, W. Kohlmanner GmbH, 1968 (Storia della guerriglia, Milano, Feltrinelli, 1973, pp. 29-38). 214 Heinrich Dietrich von Buelow (1757-1807), Geist des neuern Kriegssystem, 1799 (trad. ingl. London 1806); Neue Taktik der Neuern, wie sie seyn sollte, 1805; Histoire de la campagne de 1800 en Allemagne et en Italie, Paris, 1804; Der Feldzug von 1805, militaerisch-politisch betrachtet, Leipzig, (auf Kosten des Verfassers), 1806. Cfr. Carl von Clausewitz, “Bemerkungen ueber die reine und angewandte Strategie des Herrn von Buelow”, in Neue Bellona, 9, 1805; Jaehns, GdKW, 3, pp. 2133-45; Delbrueck, GdKK, 4, pp. 388 ss. R.; R. Strausz-Hupé, Geopolitics: The Struggle for Space and Power, New York, 1942, pp. 14-21; R. R. Palmer, “Buelow”, in Makers of Modern Strategy, 1986, pp. 113-19; Azar Gat, The Origins of Military Thought, from the Enlightenment to Clausewitz, Oxford, Clarendon Press, 1989. Buelow sottolineava che, a giudicare dalla tabula Peutingeriana, le carte di cui disponevano i generali romani segnavano soltanto due punti cardinali (est ed ovest). Nel saggio del 1806, che gli valse l’internamento a Riga, scrisse che Austerlitz era la “moderna Azio” perché consegnava a Napoleone l’unione imperiale dell’Europa continentale. 215 Iniziata la carriera militare nel 1688 alla testa di un reparto irregolare, distintosi in imprese disperate, ferito e mutilato a Malplaquet, catturato nel 1710, Jean Charles de Folard (1669-1752) ottenne di essere ricevuto dal principe Eugenio e di conversare con lui di arte militare. Decorato della croce di San Luigi, nel 1715 indirizzò un manoscritto (Traité de la colonne, Bibliothèque SHAT, n. 75726) al re Carlo XII di Svezia, che nel 1716 volle riceverlo a corte. Dal 1719 Folard si dedicò ai suoi lavori letterari, incoraggiato dalla congregazione benedettina di Saint Maur (la quale, come ha osservato lo storico militare svizzero Daniel Reichel, anteponeva i greci ai romani, preferiti invece dai gesuiti). Pur non conoscendo il greco, Folard aveva inizialmente pensato di scrivere un commento militare di Senofonte, ma scelse poi Polibio, che gli consentiva di comparare greci e romani (Nouvelles Découvertes sur la guerre dans una dissertation sur Polybe, Bruxelles, F. Foppeus, 1724). Questo saggio valse a Folard la collaborazione alla nuova traduzione francese di Polibio intrapresa dal maurista Dom Vicent Thuillier, il quale intendeva sostituire quella, insoddisfacente, fatta nel 1648 dal regio storiografo Pierre du Ryer (L’Histoire de Polybe, nouvellement traduite du grec par Dom. Vincent de Thuillier &c., avec un commentaire ou un corps de science militaires, enrichi de notes critiques, où toutes les grandes parties de la guerre sont expliquées, demonstrées et representées en figures par M. de Folard, chevalier de l’ordre de Saint Louis, Paris, 6 voll. 102 Nel saggio del 1715 Folard riprese l’idea della restitutio (“les Romains ont tout trouvé, il n’y a qu’à faire revivre leurs inventions”), fino a proporre di trasformare le brigate (raggruppamenti tattici occasionali) in legioni (unità organiche permanenti). Vi dichiarò inoltre che l’idea della colonna gli era stata suggerita da un lungo studio dei classici. Ma lo fece solo “pour (s)e mettre au couvert”, come confessò poi in una lettera del 1725 al principe transilvano Francesco II Racoczy216. Aggiunse che solo dopo aver “imaginées” le sue colonne (peraltro “fort différentes” dagli ordini greci e romani) si era accorto che anche Tucidide e Polibio accennavano a qualcosa di simile. E ammise divertito di aver “le plus souvent” attribuito a greci e romani “bien des choses qu’ils n’ont jamais pensées ni pratiqueés” e che invano si cercherebbero nelle fonti classiche. Secondo Jean Chagniot217 Folard le usava come una “banca dati”: e Polibio come tela da ricamo. Nel giugno 1734, rispondendo agli ansiosi quesiti postigli dall’amico Belle-Isle, rinchiuso nel campo trincerato sotto Philipstadt, gli citava l’infausto esempio di Cleomene III sotto Sellasia (222 a. C.) dissuadendo dal tentare la battaglia su due fronti contro l’esercito di soccorso nemico: Cesare c’era riuscito ad Alesia, ma i galli di Vercingetorige erano avversari meno potenti degli imperiali condotti dal principe Eugenio218. Folard stimava infatti che la difesa delle piazze fosse intrinsecamente superiore all’attacco: e, argomentando dal caso di Masada, deduceva una superiorità dei popoli orientali sui greci e i romani219. Per lui, del resto, non ve’era aspetto dell’arte occidentale della guerra che non fosse stato importato dall’Oriente (Comment., I, préface, p. xxiii). Sostenitore della colonna, della picca, del combattimento offensivo, Folard intuiva nondimeno, pur non avendone concetti precisi, che la manovra era superiore allo scontro diretto, come la “manière de bien établir la guerre”220 lo era alla pura tattica. Leuttra e Mantinea gli davano lo spunto per celebrare l’attacco in ordine obliquo di Epaminonda: ma, per non dover imputare il disastro romano di Canne all’ordine chiuso adottato da Varrone, era costretto a metterne sotto accusa la strategia e ad elogiare dunque, con Vegezio, la cunctatio di Fabio Massimo. Preferiva i piccoli eserciti ai grandi: questi, proprio per le loro dimensioni, non potevano sfuggirsi l’un l’altro ed erano perciò inevitabilmente 1727-30; 8 voll. 1753 e 1774: trad. ted. Vienna 1760). Thuillier pagò un prezzo: non tanto per le critiche erudite del gesuita Le Jay alle disinvolte interpretazioni lessicali di Folard, quanto perché la pubblicazione, prevista in 8 volumi, dovette interrompersi al sesto a seguito di formale diffida del ministero della guerra nei confronti del linguacciuto eroe di guerra. I nemici del cavaliere tentarono di triturarlo col “ridicolo”, cui l’amico conte di Belle Isle-dovette sottrarlo nel 1732 mettendolo sotto chiave nel suo castello di Bizy. Benché fortuito e non preordinato, l’impiego delle colonne da parte dei duchi di Coigny e di Broglie nelle battaglie di Parma e Guastalla (1734) rialzò in parte il credito di Folard, le cui pagine su Zama (Observations sur la bataille de Zama) furono ristampate dall’abate Seran de la Tour nella sua Histoire de Scipion l’Africain (Paris, chez Didot, 1738). 216 SHAT, Mémoires et Réconnaissances, 2480 (4), fol. 83. 217 Chagniot, “Le mépris du feu, ou le facteur national dans la pensée de Folard et de ses disciples”, in Mélanges Corvisier, cit., pp. 118-27; Id., Le Chevalier de Folard. La stratégie de l’incertitude, Monaco-Paris, Editions du Rocher, 1997; Id., “L’Apport des Anciens dans l’oeuvre de Folard”, in Atti Namur, cit., pp. 111-24; Lee Kennett, “The Chevalier de Folard and the Cult of Antiquity”, in Soldiers-Statesmen of the Age of the Enlightenment, Actes du colloque international d’histoire militaire, Washington, 1982, Manhattan, Kansas, 1984, pp. 17-22. Cfr. Pieri, SMI, pp. 114-15, 121, 128-9, 134, 314; Colson, Collect. Moretus Plantin, cit., pp. 152-62. 218 Più calzante della battaglia di Alesia era infatti quella di Torino del 1706, dove, in circostanze simili, Eugenio aveva schiacciato l’esercito gallo-ispano. Ma l’erudito pessimismo di Folard fu smentito dalla realtà, perché l’originale sistema di circonvallazione adottato da Berwick disorientò Eugenio, almeno a detta del suo ingegnere e architetto Lucas Hildebrand, inducendolo a temporeggiare. Così il 27 luglio la città si arrese, sotto gli occhi dell’impotente Armata imperiale, al maresciallo d’Asfeld, subentrato in comando a Berwick, ucciso da una cannonata il 12 giugno 1734. 219 Le formazioni irregolari miste a piedi e a cavallo sarebbero mutuate dai galli: i Bastarni ausiliari di Perseo, l’esempio di Ariovisto imitato da Cesare a Farsalo. 220 Folard non lo aveva letto direttamente in Frontino (de constituendo statu belli) ma in una citazione di Montecuccoli (Della guerra col Turco in Ungheria, I, 47, 1; 2, p. 304 L.) che gli pareva sospetta, non essendosi accorto che era semplicemente il titolo di un capitolo (I, 3) degli Strategemata: pensava infatti fosse quello di un’altra opera di Frontino, a lui sconosciuta, che si era anche messo a cercare ... (cfr. Colson, Collect. Moretus Plantin, cit., p. 159). 103 costretti a giocarsi la vittoria in un unico scontro brutale, deciso infine dal fato; quelli erano invece fatti per la vera arte militare, come Cesare e Turenne avevano dimostrato nelle campagne di Ilerda e del 1674-75, già messe a confronto da Puységur. Non mancava la tipica polemica del profeta inascoltato contro i grossi papaveri dello stato maggiore. Solo un capo politico come Amilcare Barca poteva davvero capire la guerra, non dei militari puri come Spendio e Matho, condottieri dei mercenari ribelli221. Per la stessa ragione Folard preferiva gli storici antichi agli scrittori di tattica, perché gli uni mettevano le questioni militari in rapporto con la politica, mentre gli altri, con tutto il loro supponente specialismo, toglievano ai fatti spessore, concatenazione e significato. Ne dipendeva anche il giudizio folardiano su Machiavelli: negativo sull’Arte della guerra, plagio scadente di Vegezio; entusiastico invece sui Discorsi e la Vita di Castruccio. La fama di Folard fu postuma e di breve durata. Ad assicurargliela non furono le sue opere, troppo dispersive, ma una sintesi purgata fatta estrarre da Federico II e le riflessioni del suo estimatore e corrispondente Maurizio di Sassonia. Queste ultime furono composte in tredici nottate di febbre nel dicembre 1732, riviste nel 1740 e fatte circolare dal conte di Friesen dopo la morte dell’autore (1750)222. Tombeur de femmes, il bel “maresciallo generale” ci teneva a far sapere che si portava appresso la traduzione di Onasandro. In realtà di classici masticava poco o niente, preferendo ragionare di suo; ma una stampa del 1790 inventa l’eroe di Fontenoy a lezione da Folard223. Maurizio gli dedicò un eroico colpo di mano compiuto a Praga la notte sul 26 novembre 1741, e nel 1742 non smentì di aver ispirato un Traité des Légions che proponeva di riordinare la fanteria francese su 30 “legioni” pluriarma224. Ma dal fronte gli scriveva di non farsi illusioni sulla fanteria moderna: anni di drill mettevano ufficiali e truppa in grado di sostenere la tiroiterie, ma pochissimi avevano il fegato di attaccare in colonna. A Fontenoy fu lui stesso a infliggere un duro colpo a Folard, disarticolando con la cavalleria e infine annientando con la riserva la disperata colonna angloannoveriana. E ne trasse anche la lezione, scrivendogli che “les Anglais (avaient) démontré l’inanité de cette fameuse tactique” (e poi, ancora: “laissons-là la colonne d’Epaminondas et toutes les colonnes du monde”)225. Ma tutto, in battaglia, dipende dalle circostanze: l’11 ottobre 1746 a Rocoux, grazie ad una schiacciante superiorità numerica, l’assalto delle colonne interarma (“divisions”) di Maurizio travolse la sottile linea anglo-olandese226. Morto Folard (1752) il re di Prussia fece pubblicare, con propria prefazione anonima, la sinossi dei principi tattici folardiani composta per suo ordine, nel 1740, dal colonnello del genio von Seers, 221 Cfr. Luigi Loreto, La grande insurrezione libica contro Cartagine del 241-237 a. C. Una storia politica e militare, Collection de l’Ecole Française de Rome n. 211, 1995. 222 Ma bisognò attendere lo scoppio della nuova guerra per vederle stampate: Hermann-Maurice de Saxe (1696-1750), Les Reveries ou Mémoires sur la guerre de Maurice, comte de Saxe, duc de Courlande et de Semigalle, par M. de Bonneville, A La Haye, chez Pierre Gosse junior 1756; La Haye Mannheim, J. Drieux, 1756; Mes Reveries ou Mémoires sur l’art de la guerre ..., par l’abbé Piron, Amsterdam, Arkstée et Merkus, 1757, 2 voll. in-4°; Edition portative des Réveries ... éd. par le chevalier de Viols, Dresde, aux dépenses de l’éditeur, 1757. 223 par Desfontaines et Moret. V. in Revue internationale d’histoire militaire, 1985, n. 61, cit. in Jean-Pierre Bois, “Maurice de Saxe. Le reve au service de la guerre”, in Atti Namur, cit., p. 125. 224 A. de Ricouart, conte d’Héronville de Claye, Mémoire sur l’Infanterie ou Traité des Légions, composé (suivant l’exemple des Romains) par M. le maréchal comte de Saxe, La Haye, A. Gibert, 1753. 225 Gran parte delle lettere del maresciallo furono pubblicate nel 1794 dal conte Philippe Henri de Grimoard (1750-1815), Lettres et Mémoires choisis parmi les papiers originaux du maréchal de Saxe, Paris, an II, 5 voll. in-8°. 226 86. Reed Browning, The War of the Austrian Succession, Stroud, Gloucestershire, Alan Sutton Publ. Ltd, 1994, pp. 282- 104 lasciando credere di esserne egli stesso l’autore227. Seguì nel 1754 il compendio folardiano del brigadiere Chabo(t), esponente della corrente riformista dell’esercito francese228 come il barone di Me(s)nil Durand che nel 1755 pubblicò un progetto di ordinamento falangitico229. E nel 1756 furono finalmente stampate le memorie del maresciallo di Sassonia230. Perché Federico II fece pubblicare la compilazione folardiana fatta dal suo stato maggiore? Forse volle far circolare quelle critiche pungenti ai generali francesi, né poteva dispiacergli la stroncatura del Machiavelli militare, contro la quale polemizzò più tardi il lezioso letterato massone che Voltaire chiamava “il caro cigno di Padova”231. Forse pensò di approfittarne proprio per pronunciarsi indirettamente, attraverso la censura, contro la teoria della colonna e l’enfasi sulla storia militare antica. Il re di Prussia voleva infatti essere il protagonista di quella moderna: insegnò quale superiorità diano al difensore, se ben sfruttati, la guerra d’attrito, l’artiglieria, l’ordine sottile, la militarizzazione del paese. L’analogia corrente con Epaminonda, quella postuma (e oggi più famosa) con Pericle, non implicano che si fosse realmente ispirato al loro esempio. I classici li leggeva, sia pure in francese: ma apprezzava più la filosofia che la storia militare, in particolare il de officiis e Marco Aurelio, suo compagno inseparabile durante la guerra dei Sette anni. Considerava scorretto usare Cesare come un maestro della guerra d’usura: sostenne che i suoi commentari aggiungevano ben poco alla lezione tratta dalla moderna “guerra di panduri”. Per Federico fu comunque controproducente evocare lo spirito di Folard, sia pure per emendarlo: finì infatti per accreditare il personaggio, e, indirettamente, anche l’importanza concettuale della storia militare antica, fino a far credere ai philosophes di poter insegnare ai generali come dovevano combattere232. Scoppiata la guerra, nell’ottobre 1756 anche Voltaire volle mettere al servizio della 227 Esprit du chevalier de Folard, tiré de ses commentaires sur l’Histoire de Polybe par main de maitre (Berlin, Chrétien Frederic Woss, 8°) (pour l’usage d’un officier, Leipzig, 1761; Berlin, 1764). “Par main de maitre” fu interpretata come una discreta allusione al fatto che il testo fosse stato scritto personalmente da Federico, al quale va comunque attribuita la responsabilità scientifica dell’operetta. La prefazione affermava che “Folard avait enfoui des diamants au milieu du fumier; nous les avons retiré. On a fait main basse sur le système des colonnes; on n’a conservé que les manoeuvres de guerre, dont il donne une description juste, la critique sage qu’il emploie sur certains généraux français, certaines règles de tactique, des exemples de défenses singulières et ingénieuses, et quelques projets qui fournissent matière à des réflexions plus utiles que ces projets memes”. 228 Brigadiere di cavalleria Chabo(t) de La Serre (1715-80), maestro di campo dei Volontaires royaux: Abregé des commentaires de M. de Folard, sur l’histoire de Polybe, par M*** mestre de camp de cavalerie (Paris, chez la veuve Gandouin, chez Giffart, chez David l’ainé, chez Jombert, chez Durand, 1754, 3 voll.; ill.; in-4°. Index; Paris, 1757). L’Abrégé include un Traité de la colonne e un Traité de l’attaque et de la défense des places des Anciens. Promosso in seguito tenente generale, “Chabo le Balafré” divenne uno dei più stretti collaboratori del duca di Choiseul , ministro della guerra e redasse varie memorie sulla riorganizzazione dell’esercito (Colson, Collect. Moretus Plantin, cit, p. 153). 229 François-Jean de Graindorge d’Orgeville, baron de Me(s)nil-Durand (1729-99), Projet d’un ordre français en tactique, ou la phalange coupée et doublée soutenue par le mélange des armes, proposé comme système général, Paris, 1755, in-4°. 230 Primo commentatore e biografo di Maurizio fu Jean Baptiste D’Amarzit de Sahuguet baron d’Espagnac, Supplément aux Reveries, ou Mémoires sur la guerre, de M. le maréchal de Saxe, pubblicato in appendice alla riedizione di un proprio Essai sur la Science de la guerre, (1751), La Haye, P. Gosse, 1757; Histoire de Maurice comte de Saxe (1773). Altro commento si deve ad uno dei primi editori delle Reveries, il bizzarro inventore militare, oriundo fiorentino, Zacharie de Pazzi de Bonneville (1710-71), Esprit des loix de la tactique du maréchal de Saxe, contenant plusieurs nouveaux systèmes & de nouvelles découvertes sur l’art de la guerre, commenté par Monsieur de Bonneville ... A La Haye: chez Pierre Gosse junior, 1762, 2 t. en 1 vol.: ill.; in-4°. (Colson, Collect. Moretus Plantin, cit., pp. 170-72). 231 Francesco Algarotti (1712-64, Discorsi militari, Venezia, 1763: Livorno, 1764; Venezia, Palese, 1791-94, tomo V) polemizza con le critiche di Folard all’Arte della guerra di Machiavelli. Altri tre discorsi sono dedicati a temi di storia militare antica (la scienza militare di Virgilio, la battaglia di Zama e la progettata spedizione di Giulio Cesare contro i Parti). Le critiche folardiane furono invece riprese nel 1761 dal marchese Palmieri (Pieri, SMI, p. 121). 232 Ma Diderot e D’Alembert furono comunque più prudenti dell’Enciclopedia Einaudi, che ha assegnato le voci Armi e Guerra a Clemente Ancona. Gli articoli Armée e Guerre dell’Encyclopédie (1751-72) sono opera di Guillaume Leblond (1704-1781), insegnante di matematica (Colson, Collect. Moretus Plantin, cit., pp. 205-06 e 209) 105 patria la sua cultura classica. Suggerì infatti a Luigi XV, tramite il duca di Richelieu, di impiegare contro i prussiani un moderno carro falcato di sua progettazione. Per non sentirsi da meno, lui “imbattacarte” pacifista, del rozzo monaco che con un po’ di zolfo e salnitro aveva “cambiato l’arte della guerra in tutto questo sporco mondo”, ne costruì anche un modellino, consegnato al “prefetto dei carri” marchese di Florian per sottoporlo al ministro d’Argenson. Voltaire reiterò vanamente i suoi appelli sino al luglio 1757, non mancando, dopo la sconfitta di Rossbach, di atteggiarsi a profeta inascoltato. Rispolverò il progetto dei “carri di Tomiride” con la guerra russo-turca: il 26 febbraio 1769 ne inviò il disegno alla zarina, che gli assicurò gentilmente di volerne far costruire e collaudare in sua presenza due prototipi, pur trasmettendogli il parere negativo dei suoi generali, secondo i quali i carri non erano efficaci contro i turchi, dal momento che essi non combattevano in ordine chiuso233. Ma l’entusiasmo postumo per Folard declinò dopo le critiche rivoltegli da Charles Théophile Guischardt (1724-75). Nato a Magdeburgo da una famiglia di rifugiati ugonotti, con un’eccellente formazione filologica e appassionato di storia militare antica ma bocciato ad un concorso universitario olandese, nel 1758, dopo una modesta e breve esperienza militare nell’esercito olandese e poi in un contingente minore della Reichsarmee, Guischardt aveva finalmente potuto pubblicare all’Aia i suoi studi sulla tattica e la poliorcetica greco-romane, corredati da un’analisi del bellum Africanum di Irzio e da proprie traduzioni di Enea, Onasandro e Arriano (taktika e ektaxis)234. Dedicata allo stathouder Guglielmo V d’Orange, i cui “glorieux ancetres avaient fait revivre en Europe l’art de la guerre des Anciens”, l’opera emendava i Commentaires a Polibio degli errori filologici di Folard e degli errori tecnico-militari di dom Thuillier, senza però rinunciare al punto di vista tecnico e dando inoltre la preferenza, fra gli autori antichi, a quelli con diretta esperienza militare (Tucidide, Senofonte, Polibio, Cesare, Onasandro e Arriano)235. La risonanza dell’opera, e specialmente l’interpretazione antifolardiana di Canne come una vittoria dell’ordine sottile (la mobile mezzaluna di Annibale) sull’ordine profondo (la pesante falange di Varrone), gli valse la presentazione al re di Prussia, il quale lo accolse fra i suoi aides de camps à la suite236. Terminata la guerra, il colonnello “Quintus Icilius” dedicò a Federico II altri 4 volumi di studi militari antichi237, inclusa un’analisi innovativa - fondata sulle nuove acquisizioni della cartografia scientifica - della campagna cesariana di Spagna, già esaminata da Puységur e considerata come uno dei capolavori dell’arte militare. Ma l’introduzione approfondiva, per dirla con espressione crociana, 233 Voltaire, Corréspondance, éd. Th Besterman, Paris, IV (1978), V (1980), IX (1985) e X (1986); J. Cazes, “Voltaire inventeur des tanks”, in Mercure de France, 138, 15 fév.-15 mars 1920, pp. 405-14; G. Hemerdinger, “Voltaire et son chariot de guerre”, in Revue d’Artillerie, 1934, 587-607 (citt. in Giardina, Introduzione al de rebus bellicis, cit., pp. ix-xv). Sulla scorta di Plutarco e Vegezio, Voltaire non si nascondeva che i carri erano assai poco temibili, soprattutto contro i moderni “cavalli di Frisia”: ma sosteneva che almeno la prima volta sarebbero stati efficaci, come “sorpresa tecnologica”. 234 Mémoires militaires sur les Grecs et les Romains avec une dissertation sur l’attaque et la défense des places des Anciens: la traduction d’Onosander et de la tactique d’Arrien et l’analyse de la campagne de Jules Cesar en Afrique, La Haye, Pierre de Hondt, 1758, 2 voll. in-8°; Lyon, chez Jean-Marie Bruyset, 1760 (la dissertation e le traduzioni sono incluse nel vol. II). 235 Colson, Collect. Moretus Plantin, cit., pp. 186-190. 236 Il riconoscimento fu però accompagnato da una punta di beffarda cattiveria, perché il sovrano, fattosi dire da Guischardt chi fosse, a suo avviso, “il miglior aide-de-camp di Giulio Cesare”, lo ribatezzò ufficialmente con quel nome, ossia “Quinto Icilio”. Così il re lo usava per porre sé stesso al livello del più grande capitano dell’antichità. Secondo JeanJacques Langendorf (“L’humanisme de l’officier frédéricien et post-frédéricien”, in Atti Namur, cit., pp. 176-80) Guischardt subì una sorta di involuzione morale, non solo per le estorsioni e le frodi di cui si macchiò durante la guerra dei Sette anni, ma anche per aver “cambiato opinione” per compiacere il suo padrone, in cuor suo odiato, se intanto raccoglieva segretamente documenti che ne offuscavano la gloria guerriera. Fu però meno scaltro della polizia prussiana e meno longevo di Federico, che, alla morte di Quinto Icilio, nel 1775, ne fece sequestrare e distruggere tutte le carte. 237 “Quintus Icilius”, Mémoires critiques et historiques sur plusieurs points d’histoire militaire (Berlin, 1768, 4 voll.; Paris e Strasbourg, 1774). 106 “quel ch’era morto” da quel che “era ancora vivo” nell’esperienza militare antica, compiacendo la tesi federiciana che i progressi delle armi da fuoco avevano reso del tutto obsoleto ogni tentativo di imitazione della tattica antica. Non però lo studio critico della complessiva esperienza militare classica, preziosa per la meditazione e la formazione. Malgrado la difesa di Folard fatta dal fiammingo Robert de Lo-Looz238 e vari suoi epigoni italiani239, negli anni 1770 il modello classico non fu più invocato dai sostenitori dell’ordre profond. L’idea di Folard fu così sostituita da un preciso modello tattico, esposto nel 1774 da Menil Durand aggiornando le proprie proposte giovanili del 1755, che si proponeva di combinare fuoco e urto, facendo precedere l’attacco delle colonne da una preparazione d’artiglieria, peraltro di breve durata240. Grazie all’appoggio del duca di Broglie (1718-1804), che si piccava di aver applicato l’attacco in colonna nella battaglia di Bergen del 13 aprile 1759, nel 1778 Menil-Durand ottenne di poter “testare” il suo sistema al campo di manovra di Vaissieux, presso Bayeux, con l’impiego di ben 30.000 uomini. La valutazione dell’esperimento fu controversa: i sostenitori dell’ordine profondo proposero addirittura di sostituire il fucile con la picca, a favore della quale si pronunciarono poi anche il conte di Lippe e il suo giovane scolaro Scharnhorst241. Prevalsero però i sostenitori dell’ordine moderno, ben difeso dal già famoso colonnello Guibert242. 238 Robert de Lo-Looz, Recherches d’antiquités militaires avec la défense du chevalier de Folard contre les allégations insérées dans les Mémoires militaires (di Guischardt) sur les Grecs et les Romains, Paris, 1770 (Chagniot, in Actes Namur, cit., p. 124). 239 Sono il marchese Giuseppe Palmieri (1721-93), Riflessioni critiche sull’arte della guerra, 1761; Alonso Sanchez de Luna duca di Sant’Arpino, Della milizia greca, e romana, Napoli, Simoniana, 1763 e il generale Pietro Ignazio Asinari cavaliere di Bernezzo, detto “il marchese di Brézé”, Observations historiques et critiques sur les commentaires de Folard et de la Cavalerie, Torino, 1772. L’intuizione felice di Palmieri era di reimpostare la questione tattica (“ordini” sottile/profondo) in termini funzionali (“armi” difensive/offensive ossia distruttive/risolutive). Ma proprio tale approccio gli impediva di accorgersi che il potenziamento moderno delle armi distruttive era anche un salto di qualità, convincendolo invece che i principi di impiego estratti dalla panoplia antica fossero applicabili anche alla moderna. Le due formazioni tattiche dell’antichità, falange e legione (ossia ordine “chiuso” e “fallato”), erano funzione dei due diversi tipi di armi d’assalto, la picca (sarissa) e la spada (gladio). Convinto erroneamente che anche le legioni cannensi fossero armate di spada (anziché di lancia) Palmieri riteneva assurda la decisione di Varrone di combattere in ordine chiuso. Quanto alla cavalleria moderna, Palmieri considerava positivo aver abbandonato la pistola e la conseguente tattica del “caracollo” (analogo al chorlogen olandese), ma sbagliato averla dotata di lancia. Infatti l’ordine chiuso (falangitico) non era adatto alle grandi formazioni di cavalleria, perché veniva presto rotto dalle asperità del terreno: bisognava invece impiegarla in ordine “fallato”, armandola dunque di sciabola. Cfr. Pieri, SMI, pp. 114-129; Rodolfo Guiscardo, “Dal Palmieri al Marselli: attualità della sociologia militare meridionale”, in Atti del convegno su Il pensiero di studiosi di cose militari meridionali in epoca risorgimentale, Società di Storia Patria di Terra di Lavoro, USSME e Rivista Militare, Roma, 1978 (=La sociologia militare meridionale 1761-1899, La Buona Stampa, Napoli, 1979, pp. 15-24); Anna Maria Rao, “Esercito e società a Napoli”, in Studi storici, 28, 1987, n. 3, pp. 623-78. 240 Me(s)nil-Durand., Fragments de Tactique, Paris, 1774, 2 voll. in-4°, planches. 241 Cfr. colonnello dei dragoni Scott, Manuel du citoyen armé de la pique, par un militaire ami de la liberté, Paris, chez Buisson, 1792, X-73 pages et 2 planches, citato da E. de La Barre du Parcq, Histoire de l’art de la guerre, Paris, 1864, 2, pp. 341-42 e da Pieri, Scrittori militari italiani, cit., p. 134 nt. 2. Secondo Jahns (GdKW, 3, p. 2588, l’idea di Menil Durand anticipava il tipo di combattimento che avrebbe caratterizzato poi le guerre del 1792-1815. Ma Paddy Griffith dimostra che il largo ricorso delle Armate rivoluzionarie al fuoco di interdizione e preparazione e all’attacco in colonna, lungi dall’essere frutto di una nuova concezione generale, fu il risultato della cattiva qualità della fanteria francese, improvvisata e soggetta al panico, che imponeva di evitare una prolungata esposizione alla fucileria nemica (The Art of War of Revolutionary France 1789-1802, London Greenhill Books - Pennsylvania, Stackpole Books, 1998 pp. 175 ss). 242 Jacques Antoine Hippolythe conte de Guibert (1743-90), Défense su système de guerre moderne, ou refutation complète du système de M. de Mesnil Durand, Neufchatel, 1779, 2 voll., in-8° (cfr. il suo precedente Essai général de tactique, precedé d’un Discours sur l’état actuel de la politique & de la science militaire en Europe, à Londres, chez les libraires associés, 1773; trad. ted. Dresda 1774; ing. Londra 1781). Replica di Menil-Durand, Collection de discours, pièces er mémoires pour achever d’instruire la grande affaire de la tactique et donner les derniers éclaircissements sur l’ordre français, Amsterdam, 1780, 2 voll. in-8°. 107 Guibert separava la questione della storia militare antica dalla quérelle des Anciens et des Modernes. Non si trattava di mettersi contro la moda del momento, esasperata poi nel decennio rivoluzionario: gli sembrava pacifico che i modelli etico-politici del classicismo fossero superiori alla moderna senescenza. Ma le questioni militari andavano trattate su un altro piano. Nella sua iconoclastia antifedericiana, Berenhorst contrapponeva la miseria morale della guerra tecnologica alla virtus della guerra eroica, ma archiviava il falso problema con un vero giudizio storico, quello appunto della frattura irrimediabile prodotta dalla modernità243. Un tema, quello della guerra “posteroica”, che fu ripreso nel 1813 da Benjamin Constant244 e tornato di moda nel terzo dopoguerra del Novecento245. Ma intanto si era avviata una nuova fase di studio propriamente storico della storia militare antica, i cui protagonisti, diversamente dal Seicento, riunivano in sé sia le competenze militari (che erano mancate a Lipsio e Salmasio) che l’adeguata formazione filologica (di cui era privo Folard). Tra costoro furono il citato Guischardt, Turpin de Crissé246 e un manipolo di altri traduttori247 e 243 Georg Heinrich von Berenhorst, già aiutante di campo di Federico II, Betrachtungen ueber die Kriegskunst, ueber ihre Fortschritte ihre Widersprueche und ihre Zuverlaessigkeit, 2 voll., pubblicate anonime nel 1797-98 (Leipzig, 1827). Cfr. Langendorf, op. cit., pp. 171-80 244 Henri-Benjamin Constant de Rebecque (1767-1830), De l’esprit de conquete et de l’usurpation dans leurs rapports avec la civilisation européenne3, Paris, Le Normant et H. Nicolle, 1814 (cit. in Colson, Atti Namur, p. 213). Su Constant cfr. Alessandro Colombo, “Guerra e commercio: alle radici di un’utopia”, in Relazioni internazionali, 4 N. S., n. 14, giugno 1991, pp. 86-94. 245 L’espressione “guerra posteroica” è usata da Luttwak, in esclusivo e ingenuo riferimento alla guerra tecnologica, con campagne militari simili a quelle di disinfestazione. E’ però merito di Martin van Creveld (The Transformation if War. The Most Radical Reinterpretation of Armed Conflict Since Clausewitz, New York-London., The Free Press, 1991) aver afferrato la questione in modo più penetrante, collegando la guerra posteroica alla “unpolitical war”, che, a suo avviso, sarebbe combattuta realmente per la (e non solo in nome della) “giustizia”, “religione” e “sopravvivenza”. Ma questa pretesa guerra “ideologica”, “astratta” dai normali “interessi”, è in realtà la guerra “assoluta” di Clausewitz, la Wojnà di Lenin: cioè la guerra più “politica” di tutte, a patto di usare l’aggettivo nel significato forte (schmittiano). Dove la posta in gioco è talmente radicale da non poter più essere governata secondo la logica della “politica” in senso debole (clausewitziano: ossia la Kabinettspolitik). E di cui Tolstoi ha afferrato, in modo letterariamente insuperato, il senso “posteroico”, nella formidabile pagina di Guerra e pace sulla guerra partigiana interpretata con la metafora dei duellanti, uno dei quali all’improvviso si accorge che non si tratta di una stupida questione d’onore, ma della pelle: e, gettata la spada, afferra il bastone e picchia, picchia, picchia ... finché il disgusto e la pietà non prendono in lui il sopravvento sull’odio e la paura. Vengono in mente i Desastres de la guerra di Goya (specialmente Las mujeres dan prueba de valor); la porcellana tirolese che allude all’insurrezione del 1809 rappresentando le contadine col cappellone di paglia che ridono mostrando la roncola affilata al soldato francese (o forse bavarese, italico...) legato all’albero; la rozza stampa russa del 1812, con la donna che infierisce a zoccolate sul cranio zampillante del mancato stupratore francese, dalla cui bocca disperata e morente esce, sfottente, il fumetto “pitié, pitié madame...”. 246 Generale di cavalleria Lancelot Turpin conte de Crissé (1716-1795), già autore di un fortunato Essai sur l’art de la guerre (Paris, 1754, 2 voll. in-4°, tradotto in tedesco, inglese e russo: Jaehns, GdKW, 4, pp. 2054-57) e di Commentaires sur les mémoires de Montecuccoli (Paris, 1769, voll. in-4°; Amsterdam, 1770, 3 voll. in-8°), si volse più tardi agli studi classici con i Commentaires sur les institutions militaires de Végèce (Montargis, Imprimerie De Lequatre, 1779) e i Commentaires de César, avec des notes historiques, critiques et militaires (Montargis, 1785, 3 voll. in-8°; Amsterdam, 1787 trad. di N. F. de Wailly). 247 Nel Settecento apparvero nuove traduzioni di Polieno (Dom Lobineau, 1739), Vegezio (Bourdon de Sigrais, 1743: cavalier de Bongars, 1772), Onasandro (barone di Zur-Lauben 1754, 1757, 1762; Guischardt, 1758), Enea (Beausobre, 1757), Eliano (Bourchaud de Bussy, 1757), Leone (Joly de M. 1770), Frontino (an. 1772), Ipparchico di Senofonte (Joly de M. 1785) 108 commentartori248; ma il più fecondo fu certo Paul Gédéon Joly de Maizeroy (1719-80), fiorito tra il 1763 e membro dell’Académie Royale des Inscriptions et Belles Lettres249. A lui si deve, com’è noto, l’introduzione del termine “strategia” nel moderno vocabolario militare250. Nell’edizione di Leone (1770), impiegò per la prima volta l’aggettivo “stratégique” (ricalcato da “tactique”) invece di “tactique supérieure” o “grande tactique” (le “parties sublimes” di Maurizio di Sassonia). Nella Théorie del 1777, a p. 2, Joly scrisse che “la conduite de la guerre est la science du général, que les Grecs nommaient stratégie (strategia), science profonde, vaste, sublime, qui en renferme beaucoup d’autres mais dont la base fondamentale est la tactique”. L’unico vantaggio di chiamare “strategia” la condotta delle campagne era di accorciare l’analoga titolatura dei trattati a cavallo tra Cinque e Seicento, ossia “(officium del) perfetto capitano (generale)”. Ma nel tardo Settecento rifletteva il punto di vista dei generali, che si consideravano per definizione gli specialisti della guerra. Ma il termine era e resta infelice e tautologico, perché oblitera la questione scientifica (ossia lo statuto epistemologico dell’arte della guerra). E, insinuando che la guerra sia l’officium del generale, limita in realtà l’officium del sovrano, come se la guerra potesse essere separata e contrapposta alla politica. Insomma un vero e disastroso regresso, rispetto al concetto cesariano di ratio vincendi, al concetto di administratio belli coniato dalla politografia secentesca. Ma un regresso che affondava radici sempre più profonde nella proliferazione degli stati maggiori, nell’interventismo politico delle élites militari, come, d’altra parte, nella crescente smilitarizzazione del pensiero politico e dei sistemi costituzionali occidentali. Nella vasta letteratura prodotta dai veterani postnapoleonici non mancò neppure l’ennesima perorazione a favore della legione, delle armi bianche, della colonna d’assalto, dei reparti celeri di cavalleria e fanti leggeri. Di originale, il generale del genio Rogniat vi aggiunse una speciale attenzione per i campi trincerati, sollecitata sia da Lipsio, che conosceva e criticava, sia da suoi diretti rilievi topografici che ebbe occasione di fare durante la guerra Peninsulare (1808-12). Gli piacque spingersi 248 Carlet de la Rozière, Les Stratagèmes de guerre, 1756; Jean-Jacques de Beausobre, Commentaire sur la défense des places d’Aeneas le Tacticien, Amsterdam, 1757, 2 tomi; Jean-Henry Maubert de Gouvest, Mémoires militaires sur les Anciens, ou idée précise de tout ce que les Anciens ont écrit relativement à l’art militaire, Bruxelles, s. e., 1762; Andreu de Bilistein, Institutions militaires pour la France ou le Végèce français, 1779; Volcmar, Histoire de la Tactique des Romains, Breslau, 1780; Nast e Roesch, Roemische Kriegsalterthuemer, Halle, 1782. 249 Oltre ai tre Mémoires sur la Science Militaire des Anciens pubblicati nei Récueils dell’Académie, la bibliografia essenziale include dieci opere principali: A) Essais militaires, Paris, 1763 in-8°; Nancy 1767 in-8°, trad. ingl. Th, Mant, 1771 in-8°; B) Traité des Stratagèmes permis à la guerre, ou remarques sur Polyen et Frontin, avec des observations sur les batailles de Pharsale et d’Arbelle, Metz, 1765, in-8°; C) Cours de Tactique théorique, pratique et historique, qui applique les exemples aux préceptes, développe les maximes des plus habiles généraux et rapporte les faits les plus intéressants et les plus utiles avec la description de plusieurs batailles anciennes (e moderne), 2 voll., 23 planches, Paris, 1766; 1776 in-8° (trad. ted. del conte di Bruehl, Strasburgo, 1771-72, 3 vol. 8°); integrato da altre due opere: Traité de Tactique pour servir de supplément au Cours (de tactique), 2 voll. on-8°, 15 pl. e La Tactique discutée et réduite à ses véritables principes, pur servir de suite et de Conclusion au Cours de Tactique &c., Paris, 1773 in-8°. Cfr., nel Journal Encyclopédique, le observations del cavaliere di Chastelloux e la replica di Joly. D) Mémoire sur les opinions que partagent les militaires, suivi du Traité des armes défensives, Nancy, 1767, in-8°, 8 planches. E) Institutions militaires de l’empereur Léon le Philosophe, trad. en français avec des notes et des observations: suivies d’une Dissertation sur le feu grégeois, 2 voll.; in-8°, Paris, 1770; 1778; 2 voll.; in-8°; 14 planches. F) Traité des Armes, et de l’Ordonnance de l’infanterie, Paris, 1776, in-8°. G) Théorie de la guerre, où l’on expose la consititution et la formation de l’infanterie et de la cavalerie, &c., Nancy e Lausanne, 1777, in-8°. H) Traité sur l’Art des Sièges, et des Machines des Anciens, où l’on trouvera des comparaisons de leurs méthodes avec celles des modernes, Paris, 1778, in-8°, 6 planches. I) Tableau général de la cavalerie grecque, précédé d’un Mémoire sur la guerre considérée comme science, Paris, 1781, in-4°. L) Mélanges concernant différents Mémoires sur le choix d’un ordre de tactique, la grande manoeuvre &c., et une traduction du Traité du général de Cavalerie de Xénophon, Paris, 1785, in-8°. 250 Sulla diffusione del termine nella letteratura militare europea cfr. ovviamente l’informatissimo Coutau-Bégarie, Traité, cit., pp. 60 ss. 109 fino ai dettagli, come i nomi romaneggianti che proponeva per le nuove legioni francesi: L’Invincible, La Vertueuse, La Fidèle ... 251 Ovviamente fu Clausewitz, nel libro II del Vom Kriege, dedicato alla “teoria della guerra”, a dar finalmente uno spessore epistemologico al rapporto tra pensiero strategico e storia militare antica. Nel capitolo sugli “esempi storici” (VI), in cui citava Scharnhorst e Feuquières, distingueva le funzioni logiche (deduttiva e induttiva) dell’esempio da quelle puramente retoriche (esplicativa e applicativa) e impostava una teoria storicista del loro “abuso”, contrapponendo il maggior “valore istruttivo e pratico” della storia militare “più moderna” rispetto ai “periodi più remoti, apparten(enti) ad un complesso di concezioni sorpassate, e quindi ad altra specie di condotta di guerra” 252. 14. La Grand Strategy dell’Impero romano In questa sede sarebbe impossibile (e anche pleonastico) addentrarsi nei successivi sviluppi della storia militare come settore specializzato della storia antica, che a me pare soprattutto storia politica e sociale delle istituzioni militari, anche quando affronta questioni di arte militare antica. Mi limiterò ad osservare che - conclusa all’inizio del Novecento la fase pionieristica comune, con i fondamentali contributi specialistici di Johannes Kromayer, Georg Veith e Friedrich Lammert - la crescente diversificazione degli interessi e dei metodi di ricerca ha generalmente privato la storia militare comparata della qualificazione o della possibilità pratica di acquisire risultati originali nella ricerca di base antichista (ma anche medievista e modernista). Ciò ha riprodotto, in forme nuove, la duplicità di prospettive (filologica e tecnica) secentesca, riunite solo brevemente, nella seconda metà del Settecento, dalla stagione dei militari eruditi (Guischardt, Joly, Turpin). Per rendersi conto degli effetti di questa divaricazione delle prospettive, basti confrontare Stilicone e The Grand Strategy of the Roman Empire. Tra le grandi opere di Mazzarino, Stilicone è quello più irritante per lo storico militare, il quale ben si avvede di trovarsi difronte ad un contributo fondamentale per la storia militare. Ma l’autore non vi bada, abbandonandosi invece alla voluttà filologica, con il tratto “amilitare” caratteristico della generazione che ha vissuto la “morte della patria”. Grand strategy, concetto che Liddell Hart sostituì nel 1967 a quello da lui usato nel 1932 di way in warfare253, è un calco, benché forse più istintivo che meditato, da grande tactique; non da Great War. 251 Generale Joseph Rogniat (1776-1840), Considérations sur l’art de la guerre, Paris, 1816; 1817; 1820; Bruxelles, Petit, 1838. Il volume è corredato da 19 lunghe note dedicate agli antichi. Ma il senso complessivo dell’opera era una polemica contro il suo vecchio condottiero. Da Sant’Elena Napoleone si immeschinì a rispondergli puntigliosamente con 28 Notes sur les ‘Considérations sur l’art de la guerre’ (Correspondance de Napoléon I, publiée par ordre de l’empereur Napoléon III, Paris, Plon et Dumaine, 31, 1870, pp. 302-42) anche se concordava con Rogniat su alcuni punti di storia antica, come ne interpnel suo Précis de guerres de Jules César (Correspondance, 32, pp. 26-31). Rogniat non si fece scappare il suo quarto d’ora di celebrità: replicò subito con una Réponse aux notes critiques de Napoléon, sur l’ouvrage intitulé Considérations sur l’art de la guerre, Paris, Anselin et Pochard, 1823). Cfr. Bruno Colson, “La place des Anciens dans les Considérations sur l’Art de la guerre du général Rogniat (1816)”, in Atti Namur, cit., pp. 187-226. 252 “Il modo meraviglioso - aggiungeva - con cui Roma combatté Cartagine nella seconda guerra punica, attaccando in Spagna ed in Africa mentre Annibale non era ancora vinto in Italia, può divenire per noi oggetto di considerazioni molto istruttive, poiché i rapporti generali degli Stati e dei loro eserciti, sui quali si fondava l’efficacia di questa difesa indiretta, sono ancora sufficientemente conosciuti. Ma più noi penetriamo nei particolari, allontanandoci dai rapporti generali, tanto meno possiamo scegliere i modelli e i dati di esperienza nei tempi lontani: giacché non ci è possibile apprezzarne sufficientemente gli avvenimenti, né applicare i risultati di questo apprezzamento ai nostri fini, dato il cambiamento completo avvenuto nei mezzi” (trad. USSME 1942, ed. Mondadori 1990, con Introduzione di Carlo Jean, Milano, 1997, pp. 168-69). 253 Cfr. Loreto, Il piano di guerra dei Pompeiani e di Cesare dopo Farsalo (giugno-ottobre 48 a. C.). Uno studio sulla grande strategia della guerra civile, Amsterdam, Adolf M. Hakkert Editore, 1994, pp. 10-12 e p. 58-59 ntt. 38 e 43 (su Arther Ferrill, che dopo Luttwak ha applicato il concetto di grande strategia all’impero romano). Cfr. Id., “La convenienza 110 La grandezza è dunque riferita, anche in senso figurato, alle dimensioni spaziali e al livello gerarchico delle decisioni strategiche: ma non alla loro portata storica. Perciò l’aggettivo grand aggiunge nuovi equivoci epistemologici a quelli già impliciti nel sostantivo coniato da Joly de Maizeroy ed entrato, tramite Jomini, nell’uso moderno (non solo militare). Liddell Hart spiega obscurum per obscurium, chiosando che grand strategy significa “policy in war”. Ma restano più efficaci e pregnanti i classici concetti di Welt- e Machtpolitik, oggi rimessi in circolo da Paul Kennedy. La mentalità geopolitica del Novecento254, che trasuda anche dal concetto di grand strategy, induce a credere che dalla carta dell’Impero (ossia dalla sua rappresentazione) se ne possa inferire la “psicologia”, l’“inconscio”; e dunque la vera natura e il manifest destiny. Pronostici analoghi sono propri dell’intelligence operativa, che dalle informazioni sulla situazione operativa, tarate su un ipotetico tasso di errori e inganni ostili, deve scommettere sulle intenzioni del nemico e prevedere gli sviluppi successivi. Ma l’intelligence operativa è solo una componente dell’intelligence. Per poter ridurre l’azzardo della scommessa non basta conoscere i mezzi di cui il nemico si è dotato o potrebbe dotarsi: occorre scandagliare il suo animo, penetrare nella sua mente. Difficilmente lo scarto delle culture lo consente: ma conoscere quel che accade nel praetorium del nemico è più importante che osservare il deserto dagli avamposti di Forte Bastiany. Se non potessimo applicare categorie moderne alla storia antica, sarebbe del tutto insensato occuparsene. Non è questo il rilievo giusto da muovere al controverso saggio di Luttwak Il suo limite è di aver cercato di inferire la grande strategia romana mediante la sola archeologia, ossia l’equivalente storiografico dell’intelligence operativa. Certamente dalla periferia si può dedurre la forma del centro, mentre non sempre è possibile il contrario. Ma sul centro dell’impero romano abbiamo più informazioni affidabili di quante ne avessero i sovietologi occidentali sul Cremlino (come del resto si vede dai pronostici di Luttwak in The Grand Strategy of the Soviet Union). Accanto, e prima, del limes, occorreva studiare il praetorium. La sua storia istituzionale, il suo modo di pensare, di funzionare, di processare le informazioni e prendere le decisioni. Va tuttavia riconosciuto che la formula della grand strategy ha consentito di reintrodurre la storia militare antica (almeno nella forma debole di “settore militare dell’antichistica”) nell’orizzonte della storia militare comparata. Ma la condizione perché ciò potesse avvenire é stato il mutamento di identità prodotto in Occidente dalla seconda vittoria sulla Germania, col declinare del sentimento di appartenenza nazionale e il riemergere di temi apocalittici, come l’analogia tra gli Stati Uniti “custodians of the history” o ennesima quarta monarchia danielina - e l’Impero romano. Il saggio di Luttwak prende senso solo dalla premessa: “we, like the Romans ...” 15. Per una storia attuale del pensiero strategico classico Come si è visto, se la storiografia e la letteratura militare classica furono all’origine del moderno pensiero militare occidentale, esercitarono in seguito un’influenza sempre più marginale ed episodica, venendo in genere richiamate solo per conferire maggiore autorità alle posizioni anticonformiste. Non si può escludere che in futuro si possa ripetere in forme nuove una qualche rivoluzione militare “umanista”, simile a quella verificatasi nell’Europa rinascimentale. Ma in ogni modo la precondizione necessaria è l’iniziativa di un moderno Giano Lascaris che sappia non solo trafugare dalle biblioteche universitarie lo “spirito” del pensiero strategico classico, ma anche “tradurlo” e “venderlo” nel linguaggio e nel raggio di interessi del pensiero strategico contemporaneo. di perdere una guerra. La continuità della grande strategia cartaginese 290-238 a. C.”, in Yann Le Bohec (Ed.), La Première Guerre Punique. Autour de l’Oeuvre de M. H. Fantar, Lyon, Diffusion De Boccard (Paris), 2001; Arther Ferrill. 254 Cfr. Ilari, ‘Fortuna’ e genesi della geopolitica (ms. settembre 1994), in corso di pubblicazione a cura di Marco Antonsich nei Quaderni del dottorato di ricerca in Geografia Politica delle università di Trieste (DSP) e Napoli (IGP “F. Compagna”). 111 La scarsa influenza non è stata infatti determinata dal pregiudizio della rivoluzione militare, ossia dal fatto che lo scarto qualitativo tra il combattimento antico e moderno, determinato dalla polvere da sparo e complicazioni successive, sia stato considerato una condanna senza appello alla definitiva archiviazione: al massimo l’argomento è servito a giustificare a posteriori un’esclusione che nasceva da altre ragioni. Del resto nessuna delle rivoluzioni militari successive, nemmeno quella nucleare e la RMA, ha segnato cesure epocali nella circolazione e trasmissione della letteratura strategica anteriore: semmai hanno contribuito a storicizzarla, favorendo la nascita e lo sviluppo di una storia critica del pensiero strategico moderno e contemporaneo. Determinante è stata invece la difficoltà pratica di applicare anche al pensiero strategico, oltre che alle forme materiali di guerra, l’idea di una continuità (sviluppo) militare dal mondo antico al mondo occidentale. Nel caso delle forme materiali, infatti, si possono applicare agli eventi del passato gli schemi interpretativi moderni (in ciò consiste appunto il metodo positivista); mentre nel caso delle forme intellettuali si registra uno scarto culturale che ormai i moderni scrittori di strategia non sono in grado di interpretare. La riprova sta nella scarsissima circolazione e influenza della grande storia comparata delle scienze militari pubblicata da Max Jaehns nel 1889-91255. Si è preferito invece limitare lo studio comparato del pensiero strategico agli ultimi due secoli256, risalendo al massimo alla rivoluzione militare rinascimentale, ma senza approfondire in modo adeguato il suo rapporto con l’uso moderno del pensiero militare antico. The Making of Strategy, un saggio collettivo sulla storia delle strategie nazionali (Rulers, States, and War) curato da Williamson Murray, MacGregor Knox e Alvin Bernstein (Cambridge U. P., 1994) sceglie come punto di partenza del suo oggetto il 1558. Ma, se non altro, premette ai sedici studi relativi a varie esperienze nazionali europee ed extraeuropee, altri due (di Donald Kagan e Alvin H. Bernstein) sulle strategie nazionali ateniese e romana durante la guerra del Peloponneso e la seconda guerra Punica. Makers of Modern Strategy - il famoso contributo delle discipline umanistiche dell’università di Princeton allo sforzo bellico degli Stati Uniti, risalente al 1941-43 e curato da Edward Mead Earle reca invece come sottotitolo From Machiavelli to Hitler (nel rifacimento curato nel 1986 da Peter Paret, uno dei maggiori storici di Clausewitz, Hitler fu sostituito da Nuclear Age). Può darsi che sull’esclusione della tradizione classica abbiano influito fattori casuali, ad esempio non aver sottomano un antichista idoneo o collaborativo257. Quanto meno, però, il suo contributo non fu ritenuto 255 Max Jaehns, Geschichte der Kriegswissenschaften vornehmlich in Deutschland, 3 voll., Muenchen e Leipzig, 188991. La sterminata opera fu resa possibile dalla ricchissima biblioteca militare raccolta dall’autore. Purtroppo, malgrado la ristampa anastatica nella Bibliotheca Rerum Militarium della Biblio Verlag di Osnabruck, resta di difficile reperibilità al di fuori della Germania. Perfino Raymond Aron (Penser la guerre, Clausewitz. II: L’age planétaire, Paris, Editions Gallimard, 1976) si limita a citarlo in bibliografia (p. 349). L’opera non è menzionata nella voce “Jahns (Massimiliano)” dell’Enciclopedia militare (Milano, Il Popolo d’Italia, 1932, IV, p. 439) né in Makers of Modern Strategy (1943). In quest’ultima Jaehns compare a p. 95 (ed. 1986), peraltro “muto” e solo in coppia con Delbrueck. Diversamente da quest’ultimo, Jaehns è ignorato anche dal Dictionnaire d’art et d’histoire militaires di André Corvisier (Paris, PUF, 1988), dal Dictionnaire de stratégie militaire di Chaliand e Blin (Paris, Perrin, 1998) e dal Dictionary of Military and Naval Quotations del colonnello dei marines Robert Debs Heinl, U.S. Naval Institute, Annapolis, Maryland, 1966. L’International Military and Defense Encyclopedia in sei volumi della Brassey’s (1992), curata dal famoso colonnello americano Trevor N. Dupuy, raddrizza il torto omettendo pure Delbrueck. 256 Cfr. Friedrich Wilhelm Ruestow, Die Feldherrnkunst des 19. Jahrhunderts, 2 vol., 3a ed. Zurigo 1877-78 (trad. francese Savin de Larclause, L’art militaire au XIXe siècle. Stratégie, histoire militaire); J. L. Wallach, Kriegstheorien. Ihre Entwicklung im 19. und 20. Jahrhundert, Frankfurt a. Main, 1972. 257 Già nel 1941 gli Stati Uniti avevano però una solida tradizione di storia militare classica. A prescindere dal riferimento a Caio Duilio (in cui si può forse supporre una certa sfumatura antibritannica) nella prima sala del museo dei marines, si 112 indispensabile in un’opera incentrata non già sulla comparazione storica tra case-studies ma sulla storia di una tradizione letteraria che comincia - indubbiamente, nonostante due o tre immediati “precursori” italiani e francesi - con l’Arte della guerra di Machiavelli. Che, dopo Jaehns, non si sia finora sentito il bisogno di mettere a fuoco in modo autonomo e specifico il pensiero strategico classico costituisce la più ultimativa messa in mora delle rozze comparazioni sociologizzanti tra case studies estrapolati arbitrariamente da diverse epoche storiche. Tale uso prescientifico del concetto di evoluzione dimostra in definitiva che si ignora il problema della continuità perché si ignora quello di frattura e “rivoluzione”. Diviene così impossibile render veramente conto anche di evoluzioni semantiche ben conosciute, come quella della famiglia lessicale di strategia. Non è infatti sufficiente il confronto tra l’uso antico e l’uso moderno consolidatosi fra il 1771 e il 1810258; occorre anche rendere conto delle ragioni e delle implicazioni dell’abbandono e della riscoperta di questo contenitore teoretico, indagando le locuzioni moderne surrogate dalla scienza militare del Rinascimento e dell’antico regime (es. politica militare, governo della milizia, ufficio del capitano generale). La moderna letteratura militare e strategica, sviluppatasi tra il XVI e il XVIII secolo, aveva - almeno in qualche caso - le capacità filologiche per interpretare le fonti classiche; ma non possedeva nei loro confronti la distanza critica e psicologica richiesta da una “storia del pensiero”. Non ne avvertiva neppure la necessità, perché l’apparente corrispondenza del lessico moderno e classico, combinata con l’uso moderno del latino, occultava gli scarti semantici e concettuali, ossia proprio gli indizi e le “spie” che orientano lo storico del pensiero. Questo usus modernus rerum militarium esprimeva certo un’ideologia della continuità: ma il suo esito paradossale era l’occultamento del problema scientifico e della questione teorica, rendendo in definitiva inutile e ridondante lo studio dell’antico. In seguito, se è aumentata la necessaria distanza critica dalla tradizione, si sono affievolite le capacità filologiche, mentre l’accumularsi di una nuova tradizione moderna, messa alla prova dalle guerre della Rivoluzione e dell’Impero francese (1792-1815) e già consolidata con Clausewitz (1780-1832) e Jomini (1779-1869), ha posto compiti più urgenti e fondamentali alla storia interna del pensiero strategico. Non che la storia militare antica sia stata del tutto lasciata agli antichisti259. Ma le basi culturali degli scrittori di strategia e degli storici militari contemporanei, sufficienti per la comparazione evenemenziale, non erano in genere adeguate al compito di attraversare una diversa costellazione del pensiero. E’ significativo, ad esempio, che Basil Henry Liddell Hart (1895-1970), pur avendo attinto correttamente dalla storia antica l’esempio di Scipione Africano, abbia preferito avventurarsi nell’interpretazione del Sunzi Bingfa (“i principi della guerra del Maestro Sun”) anziché delle coeve collezioni greche di strategemata. A prima vista sembra paradossale, perché gli antichi stratagemmi cinesi sono certo più distanti di quelli greci dal pensiero strategico occidentale: ma proprio per questo, all’opposto della filologia classica, la sinologia occidentale non possiede ancora l’autorevolezza sociale e la diffusione culturale necessarie per scoraggiare le disinvolte incursioni attualizzanti. Il merito culturale di Liddell Hart non va disconosciuto né sottovalutato: sono state la sua prefazione e la sua revisione della traduzione di Samuel B. Griffith a mettere in grado il pensiero strategico occidentale di includere tra le sue fonti il thesaurus della scuola cinese di strategia (bing jia). Ma il costo è consistito nell’occidentalizzione e in definitiva nella banalizzazione del pensiero cinese, al quale sono stati pensi alla traduzione di Enea Tattico, Asclepiodoto e Onasandro pubblicata nel 1923 dall’Illinois Greek Club (LondonCambridge, Massachussets, 1962). 258 Coutau Bégarie, Traité, cit., pp. 55-61. 259 Sulla divaricazione delle due tradizioni cfr. Loreto, Art. Krieg, cit., coll. 1110-18. 113 attribuiti molti concetti che si debbono in realtà al pregiudizio del revisore e al suo intento di rafforzare con un tocco di esotismo il proprio arsenale argomentativo260. Negli ultimi tre decenni si sono consolidate filologia analitica e storiografia critica del pensiero strategico moderno e contemporaneo. Altrettanto non si è ancora verificato per quello antico e medievale, malgrado le ricerche etimologiche e semantiche sul vocabolario militare classico261 e i recenti tentativi di morfologia della trattatistica militare262 e di tessitura di un digesto sistematico e finalmente completo delle fonti relative all’arte romana e bizantina della guerra263. 260 La migliore divulgazione occidentale dell’arte militare cinese restano ancor oggi i due volumi del gesuita tolonese Joseph Amiot (1718-94). Il primo, pubblicato nel 1772 col titolo L’Art militaire des chinois e poi incluso come VII volume delle Mémoires concernant l’histoire, les sciences, les moeurs, les usages &c. des chinois (par les missionnaires de Pékin, Paris, chez Nyon, 1776-91, 15 voll.), contiene la traduzione dei 4 classici cinesi più antichi (Sun Zi, Wu Zi, Sima Fa e parte di Lu Tao) e di un’opera sulla condotta delle truppe commissionata dall’imperatore Yong Teheng. Il secondo è un Supplément (Mémoires, VIII) riccamente illustrato su ordini di battaglia, castrametazione, macchine e navi da guerra. Il tenente generale di Puységur, figlio ed editore postumo del maresciallo, criticò la traduzione di vari termini militari cinesi, proponendo emendamenti razionalizzanti che l’editore non volle apportare, difendendo il lavoro filologico di Amiot. La passione settecentesca per l’Oriente si ritrova anche nell’edizione londinese (White, 1783) e nelle traduzioni inglese (Davy) e francese (Louis Mathieu Langlès, Paris 1787) di un trattato persiano di Abu Taleb al Hosseini sulle istituzioni politiche e militari di Tamerlano (1336-1405), pretesa traduzione di un originale mongolo non altrimenti noto; nonché negli studi di Vojeu de Brunem (ripresi da Zaccaria de Pazzi de Bonneville) sulle guerre e gli eserciti cinesi del Seicento e di André de Claustre (ripresi nei Discorsi militari di Algarotti) sul re di Persia Thamas Kouli Khan (Nadir Sha), assassinato nel 1747 (cfr. Colson, Collect. Moretus Plantin, cit., pp. 172 e 198-203). In armonia con la teoria generale del cammino solare della civiltà, Folard credeva addirittura di provare che l’intera scienza militare occidentale, dall’ordine di battaglia alla cosiddetta “trace italienne”, era un perfezionamento di preesistenti sistemi orientali (Commentaires sur Polybe, I, préf., p. xxiii; III, pp. 2-7; IV, pp. 151-53; Chagniot, in Atti Namur, cit., p. 123). Nel 1860 il Sunzi Bingfa fu tradotto in russo (seconda edizione nel 1889). Nel 1905 Calthorp stampò a Tokio la prima traduzione inglese. Seguì nel 1910 quella del sinologo Giles e nel 1911 la traduzione tedesca di Bruno Navarra (Das Buch vom Krieg. Der Militaer Klassiker der Chinesen). Nel 1940 la traduzione di Giles fu pubblicata negli Stati Uniti (a cura di Thomas R. Phillips, Roats of Strategy, Westport, Conn., Greenwood Press). Seguì nel 1958 una terza traduzione russa e nel 1962 la Casa Cinese di Edizioni di Shangai pubblicò un testo parziale, tradotto in italiano da Huang Jialin col titolo L’Arte della guerra di Sun Zi commentata dagli undici commentatori della Dinastia Song. Infine, nel 1963 uscì la nuova inglese di Griffith con prefazione di Liddell Hart (trad. it. L’arte della guerra, Milano, Il Borghese, 1965). Da incompetente, resto colpito dalla macroscopica differenza, al limite dell’irriconoscibilità, fra quest’ultima traduzione e quella diretta dal cinese (Renato Padoan, L’arte della guerra. Tattiche e strategie nell’antica Cina, Milano, Sugarco, 1980). Sono comparse in italiano anche le edizioni di Thomas Cleary, The Art of War, Boston & Shaftesbury, Shambala, 1988 (L’arte della guerra, Roma, Ubaldini Editore, 1990) e Ralph D. Sawyer, The Complete Art of War, Boulder, Colorado, Westview Press, 1996 (Sun Tzu - Sun Pin, L’arte della guerra e i metodi militari, Vicenza, Neri Pozza, 1999, con un saggio introduttivo di Alessandro Corneli). Corneli aveva in precedenza pubblicato una versione italiana della traduzione inglese di L. Giles (Sun Tzu on the Art of War, London, 1910) e di un saggio di Krzystof Gawlikowski (riunite ne L’arte della guerra, Napoli, Alfredo Guida, 1988: ristampandolo nel 1998 l’editore sui è involontariamente dato la zappa sui piedi, sottolineando che era “il libro preferito di uomini politici come Massimo D’Alema”. Indubbiamente è stato l’ultimo Feldherr italiano nel bellum Kosovaricum, ma nel trambusto preelettorale sul suo comodino dev’essersi verificata qualche confusione tra Sunzi e I Ching). Nel 1995 l’USSME ha ristampato, con prefazione di Raimondo Luraghi e titolo abbreviato (Sun Zi, L’Arte della guerra), la traduzione di Huang Jialin (1962). La coeva diffusione francese si deve all’ISC e in particolare a Valérie Niquet, eccellente traduttrice e acuta commentatrice dei classici cinesi e in particolare di Sun Zi (Paris, Economica, 1988, con introduzione di Maurice Prestat). Ma un decisivo salto di qualità nell’interpretazione di Su Zi si deve a Michael I. Handel, Sun Tzu and Clausewitz: The Art of War and On War Compared, Strategic Studies Institute, U. S. Army War College, 1991. Sull’assunto della “contemporaneità” cronologica, Godfrey Hutchinson lo confronta invece con Senofonte (Xenophon and the Art of Command, London, Greenhill Books - Pennsylvania, Stackpole Books, 2000). 261 Cfr. ad esempio Everett L. Wheeler, “Stratagem and the Vocabulary of Military Trickery”, Leyde, Brill, Mnemosyne Supplement 108, 1988 (cit. in Couteau Bégarie, Traité, cit., p. 55) sui sostantivi, aggettivi e verbi derivati dalla locuzione verbale (stratòs agein) che indica la “condotta dell’esercito” (strategòs, strategikòs, strategikà, stratégema, strategéo), ossia il piano di guerra e la manovra (con enfasi sul principio della “sorpresa”, vista talora come lo scopo essenziale e caratterizzante dello stratégema) distinta dall’arte (téchne taktiké) dello schieramento (stiches, acies) e del combattimento. Cfr. comunque già Friedrich Lammert, “Strategémata”, in RE/PW 2. R. 7 Hbbd. 1931, pp. 174 ss. 262 Tale si definisce, giustamente, il saggio di Loreto cit. supra a nt. 32, che lo candida oggettivamente, assieme al complesso dei suoi studi storico-militari, specialmente quelli cesariani, quale potenziale futuro autore del desiderato 114 Ma queste sono, per quanto indispensabili e meritorie, soltanto alcune precondizioni per una storia vera e propria (diremmo “mazzariniana”, per spessore, per eleganza e dunque per influenza culturale) del pensiero strategico classico. Quest’ultima, basata non solo sulle fonti letterarie ma anche su quelle archeologiche e iconografiche, dovrebbe mettere al centro dell’indagine la storia interna ed esterna dei concetti e dei principi, ad esempio: •il confronto tra la classificazione giuridica e la classificazione strategica delle forme di guerra; •il rapporto tra victoria, caedes, philanthropia (clementia), debellatio, deditio; •il rapporto tra imperium e consilium, anche alla luce della storia esterna dell’alto comando e dello stato maggiore (cohors praetoria) nel mondo antico; •il ruolo delle scienze militari classiche nella tassonomia delle arti liberali e nella teoria della paideia e la storia della redazione dei digesti militari greci e latini, e le corrispondenze ed equivalenze concettuali tra pensiero classico e pensiero moderno (ad es. quella, già segnalata da Loreto, tra strategia in senso moderno e nova ratio vincendi cesariana264); •il rapporto tra strategika e geographia, indirettamente segnalato dagli studi di Liddell Hart e Santo Mazzarino su Scipione Africano e Stilicone e di Edward N. Luttwak sul sistema difensivo imperiale; •la decantazione, la circolazione e lo sviluppo delle topiche relative alla tactica, alla strategika, all’arte navale, alla poliorcetica, all’organica, alla logistica, con l’idea di progresso, perfezionamento e decadenza dell’arte militare e delle virtù guerriere; Pensiero strategico classico. Ma il saggio contiene una “spia” del pregiudizio accademico. Perfino Loreto non sa infatti negarsi la fatua voluttà di citare in exergue da Un generale in biblioteca (1953) di Italo Calvino. Ossimoro efficace, non c’è dubbio: ma efficace da noi, oggi; non ovunque nel mondo né sempre nella storia. E rivelatore: ma non della pretesa incultura dei generali (qui expendendi sunt sua lance), bensì della catastrofica incapacità delle biblioteche e dei sapienti di creare cultura. E mi includo nella lista, come risulta da questa testimonianza autobiografica, che annoto qui per il futuro storico del pensiero militare italiano di fine Novecento. Disperato per lo stato catastrofico delle nostre biblioteche militari pubbliche, nel 1987 avanzai, tramite il generale Carlo Jean, fondatore e primo direttore del Centro Militare di Studi Strategici del ministero della Difesa (v. Ilari, Gli studi strategici in Italia. Storia, relazione introduttiva per il convegno del 26 settembre 2001 indetto presso il CASD dalla Facoltà “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze) la candida proposta di mandare regolarmente i nostri addetti militari a Washington (ben quattro) ad acquistare libri nel Military Bookshop del Pentagono, cui allora si poteva accedere anche dall’esterno, dalla stazione Pentagon della metropolitana. Jean ne parlò col presidente della Repubblica Francesco Cossiga, cultore di intelligence e massimo custode della sapienza strategica della prima Repubblica (1946-93), il quale se ne mostrò entusiasta ma, ovviamente, non fece nulla di concreto. A livelli gerarchici assai più bassi fui alla fine bruscamente invitato a non rompere, dato che gli addetti militari erano già oberati e stressati dai ricevimenti di gala e non potevano perdere tempo in scemenze. La reprimenda (per non usare il noto termine da caserma) mi fece bene: improvvisamente mi vidi la scena dei nostri addetti militari che si aggiravano nella libreria ed ebbi la lucida percezione di essere davvero Er-mattung (nell’assonanza romanesca). Poi trassi le conseguenze e passai al fai-da-te, approfittando di ogni viaggio a Washington di amici e studenti per mandarli a Pentagon con un mandato in bianco ad acquistare, finché al Pentagono qualcuno altrettanto vispo si accorse del valore aggiunto informativo che aveva la selezione ed esposizione dei libri militari, e pensò bene di chiudere l’accesso esterno alla libreria. Resta per ora libero quello alla Libreria Militare italiana, sita in località segreta in una grande città padana, su un lato del quadrilatero formato da una famosa basilica, una vecchia casema napoleonica e un convento usato in varie epoche come batteria d’assedio, ospedale militare e infine come università. Naturalmente la soglia non è mai stata varcata, in quattro anni, da alcun ufficiale italiano in servizio attivo, ad eccezione di un capitano dei carabinieri con tendenze culturali anomale. 263 Cfr. Carlo Maria Mazzucchi, Memorie romane di storia militare 29 a. C. - 1078 d. C., in corso di pubblicazione (per cortese anticipazione dell’A.). Cfr. anche le edizioni tematiche di Onasandro (in greco) e Senofonte (in inglese) fatte da Werner Peters (Untersuchungen zu Onasander, Diss., Phil. Fak. der Rheinischen Friedrich-Wilhelms- Universitaet, Bonn, Heinr. Trapp oHG, 1972) e Godfrey Hutchinson (Xenophon and the Art of Command, London-Pennsylvania, Greenhille Books-Stackpole Books, 2000). 264 Loreto, Farsalo, cit., p. 9. 115 •l’uso dell’exemplum strategico, in particolare di quello “nazionale” che si ricava dai famosi “confronti” militari (tra i Romani e Alessandro, tra i Romani e i Cartaginesi ...) la graduatoria dei “grandi capitani”, con l’eccellenza riconosciuta ad Annibale, la topica dell’“addestramento involontario del nemico più debole” (“imparare dalla sconfitta”). E l’indagine dovrebbe abbandonare il metodo positivista fin qui seguito dalla storia militare antica, sostituendolo con un atteggiamento più storicista. Non si tratta certo di rinunciare ad impiegare le topiche e i concetti moderni, che vanno messi costantemente a confronto con gli equivalenti funzionali propri del sistema di pensiero esaminato, in modo da far risaltare le eventuali lacune e le differenze di approccio. Ma occorre rovesciare l’intento della ricerca, passando dall’enfasi evoluzionista sulla continuità e sulla struttura comune tra antico e moderno (cioé sulle analogie, corrispondenze ed equivalenze semantiche) all’individuazione e interpretazione delle specificità e delle differenze. Uno studio condotto con tale criterio arricchirebbe non soltanto la conoscenza del mondo antico, ma anche la critica del moderno pensiero strategico occidentale. Bisognerebbe, in altri termini, mettere in grado il pensiero strategico classico di poter svolgere, a vantaggio di quello occidentale contemporaneo, la stessa funzione critica svolta dallo studio scientifico dei “modi di guerra asiatici”. Il modo di guerra asiatico meglio studiato e approfondito in occidente fu, di volta in volta, il persiano, il partico, il germanico, il mongolo, l’arabo, l’ottomano e, nel Novecento, il nipponico e il sovietico265. Conclusa la guerra fredda (cioè la terza guerra mondiale del Novecento), l’attenzione si comincia a spostare - anche per influsso del dibattito sui “nuovi nemici” dell’Occidente e sul Clash of Civilizations266 - sugli altri modi di guerra asiatici, anzitutto il cinese267 e l’islamico268, ma senza rinunciare a tener d’occhio anche quelli ormai occidentalizzati, come il nipponico269 e l’indiano270. 265 Il tema è oggetto di una letteratura molto vasta, esauritasi ovviamente con la debellatio geopolitica dell’URSS, ma non per questo priva di interesse storico e di attualità, almeno come lezione di metodo comparativo e di analisi teoretica. I migliori contributi sul pensiero militare marxista sono non a caso di Werner Hahlweg, lo storico dell’Oranienreform noto ovunque tranne che in Italia (dove ci fu bisogno della luttuosa allucinazione guerrigliera di Giangiacomo Feltrinelli per poter conoscere, nel 1973, almeno Krieg ohne Fronten, 1968, da cui dipese la scelta di Hahlweg per redigere la voce “Guerriglia” nell’Enciclopedia del Novecento, Milano, 1979, 3, pp. 484-493). Tra i suoi lavori ricordiamo “Lenin und Clausewitz”. Ein Beitrag zur politischen Ideengeschichte des 20. Jahrhunderts”, in Archiv fuer Kulturgeschichte, 36, 1954, pp. 40-59 e 357-387; Lenins Rueckkehr nach Russlands 1917, Leiden, 1957; Der Friede von Brest-Litowsk, Duesseldorf, 1971; “Sozialismus und Militaewissenschaft bei Friedruich Engels”, in Friedrich Engels 1820-1970, Hannover, 1971, pp. 63-71; “Marx und Engels und die Probleme des Militaerwesens”, in Allgemeine Schweizerische Militaerzeitschrift, Jg. 1975, p. 126; “Theoretische Grundlagen der modernen Guerrilla und des Terrorismus”, in R. von Tophoven (Hrsg.), Politik durch Gewalt. Guerrilla und Terrorismus heute, Bonn, 1976, pp. 13-29. Nel campo della strategia comparata e storia del pensiero strategico sovietico darei però la palma a Julian Lider, analista dell’Istituto Svedese di Affari Internazionali, in particolare per il fondamentale On the Nature of War, Saxon House, 1979 e per Military Force. An Analysis of Marxist-Leninist Concepts, Swedish Studies in International Relations, SIIA, Farnborough, Hants (UK), Gower Publishing Company, 1981. Da segnalare che il metodo comparativo impiegato da Lider presenta notevoli analogie con quello applicato da Robert Gilpin agli studi di international political economy. Cfr. inoltre i due saggi del GERSS (Groupe d’études et de recherches sur la stratégie soviétique) costituito presso la FEDN, Les Fondements doctrinaux de la stratégie soviétique e La stratégie soviétique de crise (collection Les Sept Epées, Paris, 1979 e 1986). Cfr. infine Bernard Semmel (ed.), Marxism and the Science of War, New York, Oxford U. P., 1981; Derek Leebaert (ed.), Soviet Military Thinking, Center for Science and International Affairs, Harvard University, London, George Allen & Unwin, 1981; Harriet Fast Scott e William F. Scott (ed.), The Soviet Art of War. Doctrine, Strategy and Tactics, Boulder, Colorado, Westview Press, 1982. In particolare sul ruolo della storia militare nel pensiero strategico sovietico, cfr. Kent D. Lee, “Strategy and History: the Soviet Approach to Military History and Its Implications for Military Strategy”, in Journal of Soviet Military Studies, No. 3, September 1990, pp. 409-445. Sulla storia del pensiero militare marxista cfr. inoltre Martin Berger, Engels, Armies and Revolution: The Revolutionary Tactics of Classical Marxism, Hamden, Conn., Archon Books, 1977. Sulla “grand strategy” sovietica, dopo lo sfortunato saggio di Luttwak, v. quello splendido di Condoleezza Rice, “The Evolution of Soviet Grand Strategy”, in Paul Kennedy (Ed.), Grand Strategies in War and Peace, New Haven and London, Yale U. P., 1991, pp. 145-165. 266 Samuel P. Huntington, The Clash of Civilization and the Remaking of World Order, 1996 (Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Milano, Garzanti, 1997, 2000. Più in concreto, cfr. Zalmay Khalilzad e Ian O. Lesser (eds.), 116 Diversamente dall’epoca di Lascaris, oggi lo studio del “modo di guerra” classico non servirebbe a preparare nuove “crociate” occidentali: a moderare, semmai, quelle che purtroppo si indovinano sotto il crescente interesse per i “modi di guerra” cinese ed islamico. Nessun uso pratico o “difensivo”, dunque, della storia militare antica. A meno che, a forza di sfruculiarli coi nostri film, war-games271 e reenactments antico-romani272 ... una di queste notti di Halloween falangi e legioni, carri falcati ed elefanti, catapulte e catafratti non escano davvero dagli inferi per andare a spargere il sale sulle rovine di Hollywood e Cinecittà. Sources of Conflict in the 21st Century. Regional Futures and U. S. Strategy, RAND, Project Air Force 1998 (50th Year RAND A National Resource, 1948-1998). 267 Cfr. Scott A. Boormam, The Protracted Game. A Weich’i Interpretation of Maoist Revolutionary Strategy, New York, Oxford U. P., 1969 (Gli scacchi di Mao, a cura di Orazio Pugliese, Rimini, Guaraldi, 1973); Krzystof Gawalikowski (cur.), Il classico dei mutamenti (Sanshiliu ji) (Giorgio Casacchia, trad. e cur., I 36 stratagemmi. L’arte cinese di vincere, Napoli, Guida editori, 1990); Ralph D. Sawyer, One Hundred Unorthodox Strategies, Westview Press, 1996 (Cento strategie non ortodosse. La sintesi definitiva della scienza militare cinese, Vicenza, Neri Pozza, 2000); General Tao Hanzhang (1986), Sun Tzu’s Art of War. The Modern Chinese Interpretation, New York, Sterling Publishing Company, 2000; Thomas Cleary, The Book of Leadership and Strategy, 1990 (Il libro del comando e della strategia. Le lezioni dei maestri cinesi, Milano, Mondadori, 1997); Fabio Mini, L’altra strategia. I classici del pensiero militare cinese dalla guerra al marketing, Milano, Franco Angeli, 1998. Arthur Waldron, “Chinese strategy from the fourteenth to the seventeenth centuries”, in The Making of Strategy, cit. nel testo, pp. 85-114. V. anche “Empire chinois et sa tradition stratégique (L’)”, in Chaliand et Blin, Dictionnaire, cit., pp. 199-208. 268 Su quest’ultima cfr. in particolare Jean-Paul Charnay, L’Islam et la guerre, Paris, Fayard, 1986; Valeria F. Piacentini (cur.), Il pensiero militare nel mondo musulmano, CeMiSS, Milano, Franco Angeli, 1996; James Turner Johnson, The Holy War Idea in Western and Islamic Traditions, The Pennsylvania State U. P., 1997. 269 Cfr. Jean Esmein, 1/2+ Un demi plus. Etudes sur la défense du Japon hier et aujourd’hui, Les Cahiers de la FEDN, N. 25, Paris, s. d. (ma 1983); Thomas Cleary, The Japanese Art of War, 1991 (L’arte giapponese della guerra) e Miyamoto Musashi, Gorin-no-sho (Il libro dei Cinque anelli), entrambi pubblicati nel 1993 da Mondadori. L’inconsueta frequenza delle traduzioni italiane di opere sulla strategia cinese e giapponese non dipende da una miracolosa illuminazione della nostra editoria, graniticamente refrattaria al sapere militare, ma semplicemente del fatto che alcuni di questi testi possono essere considerati anche come una sorta di “tassa” sulla frustrazione e la timidezza, lasciando intendere di fornire “chiavi” sapienziali di successo sociale. 270 Cfr. Jean-Alphonse Bernard e Michel Pochoy, L’ambition de l’Inde, FEDN, Paris, 1988. 271 Cfr. ad esempio Mark Healy, Cannae 216 B. C. Hannibal Smashes Rome’s Army, Campaign Series No. 36, London, Osprey, 1994 (rist. 1997). 272 Cfr. ad esempio I legionari romani nelle fotoricostruzioni di Daniel Peterson, Fotografare la storia, Parma, Ermanno Albertelli Editore, 1992, con foto concesse da varie associazioni di reenactement, in particolare Legio VI Victrix (Coorte romana di Opladen), Legio X Gemina (Gemina Project), Legio XIII Gemina Martia Victrix (cofondata dall’‘optio’ Steve Breely), Legio XX Valeria Victrix (Ermine Street Guard), Milites Litoris Saxoni, Legio XXI Rapax e Ala II Flavia. Un forte romano è stato ricostruito a The Lunt, Baginton, vicino a Coventry, da militari dei Royal Engineers per uno studio archeologico relativo al tasso di deterioramento di queste opere di difesa (ibidem, p. 42). L’eccellente The Roman War Machine (Gloucestershire, Alan Sutton Publ. Ltd, 1994, 1997) di John Peddie è illustrato da numerose fotoricostruzioni dell’Ermine Street Guard. 117 5. CLAUSEWITZ IN ITALIA con Luciano Bozzo e Giampiero Giacomello273 (Agosto 2010) «Solo la unilaterale e povera cultura degli ordinari studiosi di filosofia, il loro inintelligente specialismo, il provincialismo, per così dire, del costume loro, li tengono indifferenti e lontani da libri come questo del Clausewitz, che essi stimano di argomento a loro estraneo o inferiore, laddove in effetto contengono indagini che entrano, e in modo così concreto, nel vivo di taluni problemi filosofici e ne promuovono le soluzioni, venendo a rischiarare con ciò gli altri problemi tutti». Benedetto Croce, Azione, successo, giudizio, 1934, p. 267. La letteratura militare e gli studi clausewitziani Per quanto sommari, gli studi sulla prima campagna napoleonica d’Italia (Der Feldzug von 1796 in Italien274) e sulla campagna del 1799 in Italia e in Svizzera, come pure il breve saggio del 1828 su un Piano di guerra contro la Francia275, dimostrano che Clausewitz ha studiato il problema strategico italiano in modo più approfondito di quanto gli strateghi italiani abbiano studiato la sua opera276. Secondo il severo ma corretto giudizio di John Gooch, in sintesi l’Italia “disregarded” Clausewitz.277 Secondo Brian Sullivan, l’Italia si è sempre attenuta alla “strategy of decisive weight”278, tentando di far valere il suo potere di coalizione tra le vere Grandi Potenze. Ciò non significa che il Vom Kriege sia inutile per governi ben consapevoli di essere irrilevanti circa la decisione e gli scopi 273 Questa è la traduzione italiana, con ampliamenti e modifiche, di un saggio scritto in inglese nel luglio 2010 per un volume collettivo (Clausewitz in the 21st Century) curato dal prof. Reiner Pommerin per il Cinquantenario della Clausewitz Gesellschaft. L’originale inglese è stato discusso con Luigi Loreto, uno dei maggiori storici militari della nostra generazione, e comunicato in anteprima al prof. Gian Enrico Rusconi, il maggiore specialista italiano di Clausewitz, e ai generali Carlo Jean and Fabio Mini, gli scrittori militari provenienti dalla FFAA italiane più famosi all’inizio del XXI secolo. 274 C. v. Clausewitz, Interlassene Werke, IV, 342. Questo saggio non è stato ancora tradotto in italiano. Trad. francese di Jean Colin, La campagne d’Italie, Paris, 1901 Paris, Pocket, 1999, con prefazione di Gérard Chaliand). 275 V. Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1962, p. 788. Pure Benedetto Croce, nel saggio di cui tratteremo più avanti, sottolineava il giudizio strategico di Clausewitz “nei rispetti dell’Italia, il giudicarla un ‘antemurale della Germania’, e perciò da avervi sempre una mano sopra” (p. 267: citando il saggio pubblicato in Karl Schwartz, Leben des Generals Carl von Clausewitz und der Frau Marie von Clausewitz, geb. Gräfin von Brühl mit Briefen, Aufsätzen, Tagebüchern und anderen Schriftstücken, Berlin, Dümmler, 1878, II, p. 412; rist. Ferd. Dümmlers Verlags-Buchhandlung, 2008; Biblio Bazaar 2010). 276 Questa fu a sua volta influenzata da Machiavelli, ma pure da Montecuccoli, come sostiene Raimondo Luraghi, “Il Pensiero e l’Azione di Raimondo Montecuccoli” in Andrea Pini (cur.), Raimondo Montecuccoli: Teoria, Pratica Militare, Politica e Cultura Nell’Europa del Seicento, Atti del Convegno (a cura di Andrea Pini), Modena, 4-5 October 2002, pp.19-30. 277 John Gooch, “Clausewitz disregarded: Italian military thought and doctrine, 1815-1943”, in Journal of Strategic Studies, Vol. 9, Issue 2&3, June 1986 , p. 303–324. 278 Brian R. Sullivan, “The strategy of the decisive weight: Italy, 1882-1922”, in Williamson Murray, MacGregor Knox, Alvin Bernstein (Eds.), The Making of Strategy. Rulers, State, War, Cambridge, Cambridge U. P., 1994, pp. 307 ss. 118 delle guerre ma convinti di saper prevedere il campo vincente o almeno di sapersi barcamenare per ottenere il massimo dal potente alleato. Nel Capitolo IX del Libro Ottavo si trova infatti una lezione profonda e sempre attuale sulle guerre di coalizione279. Da un altro punto di vista, l’esempio italiano può essere citato a sostegno della teoria clausewitziana dell’importanza del fattore morale, dimostrando “the disastrous consequences that can attend the use of force as the principal tool of national strategy without the union of people, military and government that Clausewitz described as necessary for the successful prosecution of war”280. Naturalmente gli statisti e capi militari italiani non sono certo gli unici ad aver pianificato e combattuto le loro guerre senza tributare al Vom Kriege più di un mero omaggio formale. “The American military experience of the past 25 years clearly demonstrates the need for the senior military leadership to move away from the concept of war as a problem in management and organization, back to the study of war on its higher levels as an art and a problem of leadership in which the role of intuition is paramount”281. Michael Handel scriveva queste ingenue parole (riferite al Vietnam e a McNamara), nel 1986, quando l’ammiraglio William Owens stava “lifting the fog of war”282 e preparando la riedizione Americana del Blitzkrieg, cioè del modo di imporsi sul nemico tanto rapidamente da liberarsi da ogni “volontà avversa” e da ogni frizione materiale, politica o morale. Non si tratta di un errore. Il compito dei militari, in ogni epoca e in ogni paese, è ovviamente di tentare di limitare la guerra “ad un’unica soluzioni, o in decisioni sia pur multiple ma simultanee”. Per quanto difficilmente, un tale obiettivo può effettivamente essere conseguito, sia pure in termini temporanei e relativi. Tuttavia, come avverte Clausewitz, ridurre la guerra ad un’unica soluzione è soltanto una delle tre condizioni necessarie per raggiungere la “perfezione in guerra”. Le altre due sono che “la guerra consista in un atto completamente isolato, improvviso, in alcun modo connesso con la storia precedente degli stati belligeranti”, e che “contenga in sé stessa la soluzione perfetta e completa, non influenzata dalla previsione della situazione politica che deve succederle” (I, 1, 6). L’errore è agire come se la prima condizione, tecnicamente possible, possa fare a meno delle altre due, storicamente impossibili. La forza non può surrogare la politica. Adattando alla strategia l’acuto principio antistoricista teorizzato da Alberico Gentili circa la giurisprudenza (historia non est cur legat juris interpres283), si può dire Vom Kriege non est cur legat miles. In ogni epoca e tempo il compito dei militari è pianificare, combattere e “vincere” le 279 V. V. Ilari, “Guerre di coalizione e operazioni combinate”, in N. Ronzitti (Ed.), Comando e controllo nelle Forze di pace e nelle coalizione militari : Contributo alla riforma della Carta delle Nazioni Unite, Milano, Angeli, 1999 (www.scribd.com/doc/10972013/Coalizioni). Questo è uno dei punti del Vom Kriege maggiormente ignorato; per esempio, secondo Franco Apicella, un generale italiano che pure ha servitor a lungo in comandi e stati maggiori internazionali, Clausewitz non avrebbe mai esaminato la questione dell’unità di comando. V. Apicella’s “A proposito dell’unità di comando”, 28 Agosto 2002, in www.paginedidifesa.it). 280 Sullivan, op. cit., p. 307. D’altra parte, come sostiene tra il serio e il faceto il generale Jean, il “Peacekeeping all’italiana”, così apprezzato (almeno secondo quello che la stampa italiana racconta all’opinione pubblica interna) nelle recenti operazioni internazionali, e che si riallaccia alla tradizione italiana della “Commedia dell’arte” e dell’“arte di arrangiarsi”, può essere visto come naturaliter Clausewitziano (parafrasando Molière, di essere “Clausewitziano senza saperlo”; o il famoso dictum di Antonio Gramsci “l’operaio è filosofo senza saperlo”). Molto diversa l’analisi di Piero Ignazi, Giampiero Giacomello e Fabrizio Coticchia. Italy’s Military Operations Abroad: Just Don’t Call It War, Palgrave, Basingstoke and New York, 2011. 281 Michael I. Handel (Ed.), Clausewitz and Modern strategy, London and New York, Frank Cass, 1986, Introduction, p. 9. Admiral Bill Owens with Edward Offley, Lifting the Fog of War, Baltimore, Johns Hopkins Press, 2001. Secondo gli Autori, il Network Centric Warfare, ‘this new revolution [in Military Affairs] challenges the hoary dictums about the fog and friction of war”. 282 283 V. il suo V dialogus de juris interpretibus. 119 guerre, non di comprendere la guerra. Pianificare richiede numeri, non incertezza, combattere e vincere (almeno per come sono viste da una poltrona) richiede dottrine, non fortuna o genio. Di fronte al Vom Kriege, gli stati maggiori debbono per forza esclamare “Dio non gioca a dadi!”, come fece Einstein di fronte al principio di indeterminazione di Heinsenberg. La reazione di Jomini alla frizione di Clausewitz assomiglia a quella di Bertrand Russell ai teoremi di incompletezza di Kurt Gödel284. La letteratura militare occidentale dev’essere per forza jominiana, pensare la guerra come calcolabile e prevedibile, semplicemente perché il suo approccio è necessariamente pratico, soggettivo e autoreferenziale. La questione non riguarda la guerra, ma il modo di farla, l’ “arte della guerra”, la “strategia”, cioè l’ufficio e l’arte del Capitano Generale, ossia quel che Wilhelm Rüstow chiamava Feldherrnkunst285. Forse sarebbe stato diverso se la letteratura militare occidentale si fosse sviluppata muovendo dall’idea di “ratio belli”286 piuttosto che di “ars belli”. In tal caso il concetto occidentale di strategia si sarebbe maggiormente avvicinato a quello cinese di Zhan lüe xue (战略学) o celue (战略)287. Ma fatto sta che il Vom Kriege è l’unico libro occidentale che cerca di comprendere quella che Clausewitz chiamava la “natura” della guerra. Alcuni dei suoi detrattori, infatti, credono di metterlo in soffitta sostenendo che la natura della guerra sia “cambiata”288. Tuttavia l’idea che la guerra nucleare o asimmetrica289 non siano semplici variazioni camaleontiche, ma archetipi completamente 284 Pure Clausewitz applicava al suo campo di studi un diverso approccio logico, basato sulle cosiddette “coppie filosofiche” (opposizioni concettuali o dicotomie). V. Raymond Aron, Clausewitz: Philosopher of War, London, Routledge & Kegan Paul, 1983 (trad. dall’originale tedesco, 1980), II, pp. 89-173. 285 Per la letteratura sul Perfetto Capitano Generale v. Marcello Fantoni (Ed.), Il "Perfetto Capitano". Immagini e realtà (secoli XV-XVII), Roma, Bulzoni, 2001. 286 Come osserva Luigi Loreto, l’equivalente del nostro “strategia”, ma pure del nostro “stile di guerra”, sono in Cesare ratio et consilium (BG 1, 40, 8-9; BC 1, 72, 2). Belli ratio significa “condotta delle operazioni”; nova vincendi ratio, alia ratio, haec ratio (novus genus pugnae) ”un nuovo modo di combattere o di vincere” (“Pensare la guerra in Cesare”, in Diego Poli (Ed.), La cultura in Cesare, Roma, 1993, I, pp. 239-343). Caesar, BC, 1, haec tum ratio (dimicandi) nostros perturbant, insuetos huius generis pugna). Tuttavia in due passi delle Historiae di Tacito ratio sembra implicare la “logica” della guerra: obstabat ratio belli (Hist. 4, 63): ulcisci ratio belli (Hist. 3, 51). In Cicerone e Livio, soprattutto nella forma ratio belli gerendi, indica al tempo stesso la causa (o il pretesto) della guerra e il modo in cui è combattuta (as ratio belli bene gerendi, belli administratio). Abbastanza sorprendentemente, questa espressione non si è sviluppata dalla letteratura sulla “Ragion di Stato”, con la ben nota definizione della guerra come ultima ratio regum. Francesco Guicciardini la usa nel significato di “ragione per fare la guerra”: “Perduto il castello, confesso che mutata fuit ratio belli gerendi” (Lettera CLXXXII al Protonotario Gambara, Piacenza, 9 Nov. 1520). 287 Tra i suoi meriti per la cultura militare italiana, il general Fabio Mini, già addetto militare a Beijing, ha quello di aver importato in Italia gli attuali studi internazionali sul pensiero strategico cinese. V. il suo L'altra strategia. I classici del pensiero militare cinese dalla guerra al marketing, Angeli, Milano, 1998. Id., La Guerra dopo la guerra, Soldati, burocrati e mercenari nell´epoca della pace virtuale , Torino, Einaudi, 2003; Id. Guerra senza limiti, (LEG 2001) la sua traduzione italiana del lavoro dei colonnelli cinesi Qiao Liang and Wang Xiangsui che erano così Clausewitziani nella loro analisi della guerra del Golfo (1991) e così “orientali” nella loro profezia circa la guerra asimmetrica e il terrorismo. 288 I. Duyvesteyn and J. Angstrom (Eds.), Rethinking the Nature of War, Frank Cass, London 2005. Il più importante tra I “Kaldoriani” italiani è Nicola Labanca, (Guerre vecchie, guerre nuove. Comprendere I conflitti armati contemporanei, Pearson Paravia Bruno Mondadori, 2009). Invece, da una prospettiva Schmittiana, il concetto di “nuove guerre” appare una ingénue mistificazione dell’“Imperial peace enforcing”, e la “novità” non riguarda la supposta “natura” della guerra, ma il sostanziale spostamento degli effettivi e formali Poteri di Guerra dagli Stati nazionali al Presidente degli Stati Uniti, agente quale imperatore universale Romano (V. Ilari, “Debellare superbos”, in Palomar, VIII, No. 3, july 2008, pp. 6-76, and online in www.scribd.com). 289 Raymond Aron considerava naturaliter Clausewitziana la strategia di Mao Zedong nella guerra civile cinese (Penser la guerre, Clausewitz, Gallimard, Paris, 1976, II, pp. 96-116). Sulla continuità camaleontica v. pure Hew Strachan e Andreas Herbert-Rothe (Eds), Clausewitz in the twenty-first century, Oxford U. P., 2007 (in particolare gli articoli di Christopher Daase e Antulio J. Echevarria II sulle piccole guerre e la natura della Guerra al Terrore). In genere gli scrittori italiani sono più cauti circa il “meme” asimmetrico. V. Alessandro Colombo, “Asymmetrical 120 differenti, è forse meno sostenibile dell’idea di Stalin che Clausewitz, in quanto “rappresentante dell’epoca della guerra industriale”, fosse divenuto obsoleto nella nuova era della “guerra di macchine”290. La fisica e la matematica non hanno ancora trovato il modo di incorporare le complicazioni introdotte da Heisenberg e Gödel in una “teoria unificata del tutto”, ma esse hanno nondimeno rivoluzionato la ricerca e la tecnologia. Nulla di analogo è invece avvenuto per Clausewitz; né poteva avvenire. Il sapere militare, “Jominiano” e “geometrico” per definizione, è un’opera collettiva affascinante e drammatica, un fiume di conoscenza che evolve e si rinnova incessantemente. Ma non è scienza. Non, come scrisse curiosamente Clausewitz, perché la scienza si eserciterebbe su “material inanimate” e l’arte della guerra “contro una forza viva e reattiva” (II, 3, 4), ma semplicemente perché il sapere militare è relativo a particolari condizioni storiche, e non può generare conoscenza cumulativa al di là della sua epoca. Soltanto gli effetti delle guerre particolari sono cumulative, come sono, su una minore scala di tempo, i miglioramenti delle tecnologie militari (in definitiva perché questi dipendono dal progresso scientifico). Cumulativa è la storia: le storie sono soltanto ripetitive. Sì, la letteratura militare ama sfogliare le storie estraendone argomenti per sostenere o abbellire le dottrine. Sì, l’espressione “rivoluzione negli affari militari” (RMA) coniata dall’ammiraglio Owens è un imprestito da una famosa interpretazioni dell’arte della guerra del Rinascimento proposta nel 1956 da Michael Roberts, rifiutata da John Rigby Hale e rivista nel 1988 da Geoffrey Parker291. Sì, studiare le esperienza americane contro le guerriglie di Aguinaldo and Pancho Villa e imparare dal film di Gillo Pontecorvo sulla battaglia di Algeri era parte della preparazione dell’Esercito americano per la guerra dell’Iraq. Sì, l’ideologia e l’auto-rappresentazione di questa guerra sono state forse in parte influenzate dalle affermazioni di Victor Davis Hanson sulle origini ateniesi dello stile di guerra occidentale292. Sì, nei Sette Pilastri della Saggezza, Lawrence of Arabia ci ammonisce che "con 2000 anni di esempi dietro di noi non abbiamo scuse se non siamo capaci di combattere bene"293. Ma nel campo di Marte non siamo “nani sulle spalle dei giganti”. Clausewitz ci ammonisce che gli esempi storici possono essere ingannevoli (II, 6), che principi, regole e precetti tratti dalla storia militare dovrebbero essere letti solo per l’auto-educazione (II, 2, 27), che Warfare or Asymmetrical Society? The Changing Form of War and the Collapse of International Society”, in Gobicchi A. (cur.), Globalization, Armed Conflicts and Security, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004; Stefano Ruzza, “Il rapporto fra guerra ed asimmetria”, in Walter Coralluzzo e Marina Nuciari (cur.), Conflitti asimmetrici. Un approccio multidisciplinare, Aracne Editrice, Roma 2006, pp. 35-78; Loris Rizzi e Ruggero Cucchini, Asimmetria e trasformazione della guerra. Spazio, tempo ed energia nel nuovo contesto bellico (in Informazioni della Difesa, n. 5/2007, pp. 32-37: Loris Rizzi, Asymmetric War or post–Westphalian War? War beyond the state, in www.archive.sgir.eu. Ferruccio Botti, “Clausewitz e la guerra asimmetrica”, in Rivista Militare, n. 5/2004, pp. 12-21. Id., “Dalla strategia aerea alla strategia spaziale: parte 2a Tra Clausewitz e Jomini: spunti per una teoria della guerra spaziale”, in Informazioni della Difesa, n. 5, settembre-ottobre, 2000, pp. 42-49,e,più in generale, il suo L'arte militare del 2000 - uomini e strategie tra XIX e XX secolo, Roma, Rivista Militare, 1998. Nel film di Robert Redford Lions for Lambs (2007), durante un briefing in Afghanistan, il tenente colonnello Falco (Peter Berg) dice: "Remember your von Clausewitz: 'Never engage the same enemy for too long or he will ...'", "adapt to your tactics", completes another soldier (da Wikipedia, “Carl von Clausewitz (…) in popular culture”). 290 J. Stalin, Works, Vol. 16, Red Star Press Ltd., London, 1986 (Risposta alla lettera del 30 gennaio dal Col.Professor Rasin on Clausewitz e le questioni della guerra e dell’arte della guerra, 23 febbraio 1946). 291 V. V. Ilari, “Imitatio, restitutio, utopia: la storia militare antica nel pensiero strategico moderno”, in Marta Sordi (cur.), Guerra e diritto nel mondo greco e romano, Milano, Vita e Pensiero, 2002, p. 269-381. 292 Per una penetrante dissezione dell’approccio di Hanson, derivato da sir John Keegan, v. Luigi Loreto, Per la storia militare del mondo antico. Prospettive retrospettive, Jovene, Napoli, 2006, pp. 191-99. 293 Nel film Lawrence of Arabia (1962), il generale Allenby (Jack Hawkins) rinfaccia a T. E. Lawrence (Peter O’Toole) che "I fight like Clausewitz, you fight like (Maurice de) Saxe". Al che Lawrence risponde: "We should do very well indeed, shouldn't we?" (v. Wikipedia, “Carl von Clausewitz (…) in popular culture”). 121 regole avulse dai fattori morali “non sono soltanto fatte per idioti, ma sono idiote di per sé” (III, 3). Sì, Clausewitz fallì la prova sul campo, il giorno dopo Waterloo. Ma Jomini sentenziò che la Russia avrebbe vinto la guerra di Crimea; e, per preservare i suoi eterni principi, avrebbe voluto fermare la corsa agli armamenti, come Giosuè il carro del sole. Clausewitz si illudeva di essere capace “di stirare molte pieghe nel cervello di strateghi e statisti”. In ciò fallì, come Wilhelm Rüstow scriveva già nel 1857294. Ma ebbe successo nel suo obiettivo subordinato, “almeno dimostrare l’oggetto dell’azione, e il punto reale che si deve considerare in guerra” (Introduzione del 1827). Quel che Scharnhorst e Gneisenau chiesero a lui non era di discutere le loro idee, ma di educare alla guerra i philosophes – un compito davvero difficile con una tribù guerriera e sanguinaria come quella295. E ciò fu esattamente quel che Clausewitz fece, sia pure postumo. Passò dalla sagata alla togata militia, giubilato dai suoi colleghi e ben accolto dai savants, a cominciare da Johann Wilhelm von Archenholz. Se i Clausewitziani sembrano, nell’ambito delle dottrine militari, altrettanti Savonarola pugnanti e predicanti dal pulpito, franc-penseurs senza influenza sugli stati maggiori, essi hanno in compenso un vantaggio come storici militari. L’outillage intellectuel derivante dal Vom Kriege funziona meglio per scrivere la storia di una guerra che per combatterla. Il punto “culminante” o fatale di una guerra può essere individuate più facilmente post che ante eventum: Clausewitz comprese forse subito [ευθίς, eythís] che la vittoria di Smolensk era il punto culminante della campagne di Russia del 1812, come Tucidide ci dice di aver compreso la magnitudine dell’incipiente guerra del Peloponneso? Ma questo concetto del punto culminante è una chiave potente nelle mani dello storico. Trafalgar, ad esempio, può essere interpretata, come genialmente suggerì Alfred Thayer Mahan, il vero “punto culminante” dell’intera guerra mondiale del 1792-1815 – per quanto a lungo quest’ultima sia in seguito proseguita. La teoria del punto culminante è uno degli aspetti per cui la storia può essere definita, come ci ha insegnato Santo Mazzarino, il più grande storico italiano del secolo scorso, “una profezia sul passato” 296. In secondo luogo, il Vom Kriege non è solo un capitolo della storia del pensiero militare, ma pure un’utile introduzione a questa sofisticata disciplina. Non tanto per il breve passaggio in cui Clausewitz traccia origine e sviluppo del pensiero militare (II, 2, 1-11)297, ma soprattutto per le sue fondamentali lezioni sulla logica della letteratura militare e sui suoi limiti intrinseci, specie quelle che si trovano nel Secondo libro del Vom Kriege, definito da Aron “une sorte de commentaire méthodologique ou épistémologique de l’oeuvre entière”298. 294 Wilhelm Rüstow, Die Feldherrnkunst des neunzehnten Jahrnundents: Zum Selbstudium und für den Unterricht an höheren Militärschulen, Zürich, Druck und Verlag von Friedrich Schulthess, 1857, p. 507: Clausewitz wird viel genannt, ist aber wenig gelesen." (“C. is frequently quoted but seldom read”). 295 Come Voltaire, che antagonizza poeticamente Guibert (La Tactique et autres pièces fugitives, Genève, 1774), ma, geloso della truce gloria di Berthold Schwarz nell’arte di uccidere, è impaziente di travolgere i turchi nelle aperte pianure ucraine con I carri falcati che ha genialmente richiamato in vita (G. Hemerdinger, “Voltaire et son chariot de guerre”, in Revue d’artillerie, 1934, pp. 587-607, cit. in Andrea Giardina, Introduzione al ‘de rebus bellicis’, Mondadori Milano, 1989, pp. ix-xv: Ilari, Imitatio, p. 360). 296 S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, Laterza, Roma-Bari, 1974, I, p. 5, in riferimento a Epimenide che “profetava sul passato” (εµαντεύετο περὶ τῶν γεγονότον). 297 Infatti, per quanto acute, le osservazioni di Clausewitz a questo proposito non sono nuove. L’influenza reciproca tra tattica e fortificazione, ad esempio, fu sviluppata in modo ben più ampio e preciso da un contemporaneo francese di Clausewitz, il comandante Jean-Baptiste Imbert, in uno studio su Vauban pubblicato nel 1835 (Communauté de principes entre la tactique et la fortification, démontrée à l’aide du dessin des « travaux de l’attaque, par le Maréchal de Vauban », Paris, Anselin, 1835). 298 Raymond Aron, Penser la guerre: Clausewitz, Gallimard, Paris, 1976, I, pp. 285 ss. Secondo Stefano Bernini, “se la Filosofia della guerra non è ancora una disciplina definita, l’epistemologia della guerra è un terreno completamente incolto, fatta eccezione del Secondo libro Della Guerra, peraltro il meno noto del trattato” (Filosofia della guerra: un 122 La storia militare e la storia del pensiero militare non sono gli unici campi di studio fertilizzati dal Vom Kriege. Lo sono pure la filosofia e la teoria politica, la psicanalisi e la germanistica: e queste sono propriamente le discipline nel cui ambito Clausewitz è stato preso in considerazione in Italia, compensando la scarsa o nulla attenzione riservatagli dalla nostra letteratura militare. Questa è pure la ragione per cui i saggi italiani su Clausewitz, sorprendentemente numerosi, restano complessivamente avulsi dalla corrente internazionale degli studi clausewitziani, caratterizzati da un approccio storico militare. Gli studi italiani formano quello che Sesto Empirico chiamava una αµέθοδος ίλη [améthodos hyle, “una foresta senza sentieri”]299. Formano un fiume limaccioso, ma nel quale si trovano pagliuzze d’oro. I migliori sono “aspetti di un altro lavoro, di un’altra prassi intellettuale”, per prendere in prestito la definizione usata da Luciano Canfora per inquadrare dal punto di vista epistemologico la prima letteratura greca sulla storia e la geografia300. Ciò significa che essi hanno origine e circolano solo all’interno della propria disciplina, ignorando ed essendo ignorati dal resto. Almeno, però, queste sono letture originali. Ma l’améthodos hyle è formato soprattutto da ingenue escursioni che sforano abbastanza il diritto di libero esame. Alcuni possono valere come note personali che segnano un progresso nell’auto-educazione, ma spesso l’autore si concede un intento divulgativo circa il Vom Kriege, convinto, essendo il primo ad occuparsene nella ristretta cerchia dei suoi amici e colleghi, di esserlo pure nel suo proprio paese, se non addirittura nella sua generazione. La recezione di Clausewitz in Italia (1875-1942)301 Non si trova menzione di Clausewitz né nella bibliografia militare italiana di Mariano d’Ayala (1854)302 né nel primo importante trattato di arte militare pubblicato in Italia solo due anni dopo la comparsa del Vom Kriege: scritto da Luigi Blanch (1784-1872)303, il trattato era influenzato approccio epistemologico, www.sintesidialettica.it). L’Autore contrappone il razionalismo “assiomatico” di Jomini a quello “empirico” di Clausewitz. V. pure V. Ilari, “Il problema epistemologico delle scienze militari. Una presentazione critica del saggio di Benedetto Croce sul ‘Vom Kriege’ di Clausewitz”, in Strategia Globale, 1984, n. 2, pp. 171-180. 299 “Ma sarebbe questo, poi, un ‘limite’? La storia può apparire, all’uomo classico, come un améthodos hyle; e tuttavia essa ha un metodo e un senso, per gli storici greci e romani, metodo e senso diversi secondo le varie epoche e i vari autori (…) Il fascino degli storici classici è forse in ciò: ch’essi considerano l’améthodos hyle, dominata dalla fortuna e dalla virtù, e tuttavia sanno darle, sempre, un significato ed un’anima” (Mazzarino, Il Pensiero, II2, pp. 37677). 300 Luciano Canfora, Il viaggio di Artemidoro. Vita e avventure di un grande esploratore del’antichità, Rizzoli, Milano, 2010, p. 9. 301 Questo paragrafo si basa su Ferruccio Botti e V. Ilari, Il pensiero militare italiano dal primo al secondo dopoguerra (1919-1949), Rome, USSME, 1985, pp. 289-95. V. pure l’articolo di John Gooch citato sopra e Botti, “À la recherche de Clausewitz en Italie: souvent cité, peu applique”, in Stratégique, n. 78-79, 2-3, 2000, pp. 141-167. Molto altro sui Clausewitziani italiani del XIX secolo si trova in altre monumentali opere sul pensiero militare italiano del nostro caro amico Botti (Il pensiero militare e navale italiano dalla rivoluzione francese alla prima guerra mondiale (1789-1915), 3 vols., I (1789-1848), II (1848-1870), III (1870-1915), tomo I (la guerra terrestre e i problemi dell'esercito), tomo II (la guerra marittima), Rome, USSME, 1995, 2000, 2006 and 2010. (pp. 1120 + 1192 + 1120 +908). V. pure le sue “Note sul pensiero militare italiano dalla fine del secolo XIX all'inizio della 1a guerra mondiale”, in Studi storico-militari 1985, pp. 11-124, 1986, pp. 51-208. Id., “Note biografiche e bibliografiche sugli scrittori militari e navali della prima metà del secolo XIX”, in Studi Storico Militari, 1995, Roma, USSME, 1998, pp. 1-102. Voce: Italiens (Théoriciens), in Thierry de Montbrial e Jean Klein Dictionnaire de Stratégie, Paris, Presses Universitaires de France, 2000, pp. 320-323. 302 303 Mariano d’Ayala, Bibliografia militare italiana, Torino, Stamperia Reale, 1854. Luigi Blanch (Della scienza militare considerata nei suoi rapporti con le altre scienze e col sistema sociale, 1834; 1869; 1939). V. Luigi Parenti, “Luigi Blanch e la sua ‘scienza militare’”, in Studi Storici, Anno 35, No. 3 (luglio settembre 1994), pp. 705-740. Andrea Zambelli (La guerra, 1839). 123 piuttosto da Jomini, i cui libri cominciarono ad essere tradotti in italiano già dal 1816304. E si osservi che la traduzione non era indispensabile, perché a quell’epoca il francese era ben conosciuto in tutta Italia, e non solo in Piemonte305. Il Vom Kriege era stato tradotto in francese già nel 1849-52 (dal maggiore belga Jean N. Neuens) e nel 1853 era stato stampato il Commentaire sur le traité de la guerre de Clausewitz da Edouard Nicolas de La Barre Duparcq (il quale pubblicò nel 1860 un trattato ispirato soprattutto a Blanch306, il cui Della scienza fu a sua volta tradotto in francese). Non dipese dunque da una barriera linguistica il fatto che Clausewitz sia stato quasi ignorato in Italia durante il Risorgimento. Nel 1860 Carlo De Cristoforis (1824-1859), il secondo dopo Blanch tra i più importanti scrittori militari del Risorgimento, citò Clausewitz diciassette volte, pur senza includere il Vom Kriege nella lista dei volume consultati (una quarantina). De Cristoforis, tuttavia, non prese nulla da Clausewitz, essendo in realtà ossessionato dal principio della massa, che era convinto di aver scoperto per primo307. Benché Wilhelm Rüstow abbia comandato una delle divisioni garibaldine nel 1860308, non sembra aver esportato il Vom Kriege tra i democratici italiani del Risorgimento. Tuttavia nel 1883 il generale garibaldino Antonio Gandolfi citò il Vom Kriege per respingere le critiche pedanti rivolte all’Eroe dei Due Mondi dagli ufficiali dell’esercito regolare, i quali ne mettevano in dubbio le qualità militari, svalutando come secondarie e irregolari le operazioni e le truppe da lui comandate309. Com’è noto, fu la guerra Franco-Prussiana ad assicurare la fortuna del Vom Kriege. Nel 1873 fu tradotto per la prima volta in inglese, e nel 1875 Niccola Marselli (1832-1899), un ufficiale italiano educato nei circoli hegeliani di Napoli, approfondì le tesi di Clausewitz sui fattori morali. Abbandonate le iniziali posizioni idealiste e convertito al positivismo, Marselli dissentiva dall’idea 304 L'arte della guerra: Estratto di una nuova istoria militare delle guerre della rivoluzione di Francia del Barone Jomini,. Tenente generale, ajutante di campo di S. M. l’Imperatore di tutte le Russie, Prima edizione italiana coll' originale a fronte, Napoli, 1816. Vita politica e militare di Napoleone, raccontata da lui medesimo al tribunale di Cesare, Alessandro e Federico, Livorno, tip. Vignozzi, 1829. Sunto dell’arte della guerra o nuovo quadro analitico delle principali combinazioni della strategia, della grande tattica e della politica militare, del Barone de Jomini, Generale in capo Ajutante Generale di S. M. l’Imperatore di tutte le Russie, prima traduzione dal francese fatta sull’ultima edizione di Parigi 1838, considerabilmente accresciuta, C[arlo] B[ertini], Napoli, dalla Stamperia dell’Iride, 1855. Il Précis fu ristampato nel 1864 ad Agrigento, ma bisognò attendere addirittura il 2008 per una nuova traduzione (Sommario dell’arte della guerra, 1837/1838, ed. Rivista Militare), interrotta dalla morte del Colonnello Botti, che poté tradurre e commentare solo i primi tre capitoli. 305 In uno studio del 1830 sull’Armata sarda. approfondito e piuttosto benevolo, l’anonimo autore francese scriveva: “toutes les écoles (d’artillerie) sont à l’arsenal, où il y a une Bibliothèque bien dotée et assez fournie d’ouvrages militaires, mais peu fréquentée” (“Notice sur l’Etat Militaire de la Sardaigne”, in Bulletin des Sciences Militaires, VIII, janvier-juin 1830, N. 150, p. 372). Il progresso odierno è che le biblioteche militari italiane, non riuscendo ad attirare lettori, hanno direttamente eliminato i libri (possono farlo legalmente perché i libri in dotazione al ministero della Difesa non sono considerati “beni culturali”, bensì “materiale di consumo” che può dunque essere dichiarato “fuori uso” e venir eliminato chiamando la Croce Rossa, che si finanzia con la carta da macero. Ego te baptizo carpam). 306 Duparcq, Histoire de l’art de la guerre avant l’usage de la poudre, Paris, Ch. Tanera, 1860. The book includes (pp. 297-307) an essay of Blanch on the works of Duparcq (originally published in the monthly Diorama di Napoli) in which its Commentaire on Clausewitz is obviously mentioned. 307 Carlo De Cristoforis, Che cosa sia la guerra, 1860; 1894; 1925. 308 V. Carlo Moos, “Streiflichter auf Wilhelm Rüstow Beziehungen zu Italien”, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 1985, a. 65, pp. 342-404. “Wilhelm Rüstow, Garibaldi stratega e l’ambiente zurighese”, in Garibaldi Generale della Libertà. Atti del Convegno internazionale (Roma 29-31 maggio 1982), Ministero della Difesa – Comitato storico per lo studio della figura e dell’opera militare del generale Giuseppe Garibaldi, Roma, USSME, 1984, pp. 235-294. 309 A. Gandolfi, “Garibaldi Generale”, in Nuova Antologia, XXXIX (1883), pp. 385-408. V. Piero Del Negro, “Garibaldi e la guerriglia”, in Aldo A. Mola (Ed.), Garibaldi generale della libertà, USSME, 1984, pp. 103-130. 124 che fosse impossibile creare una completa teoria della guerra e proclamava la sua fede in una scienza positiva della guerra310. Nondimeno egli criticava il dottrinarismo di Jomini e ammirava Clausewitz al punto di volerlo considerare a tutti i costi un inconsapevole precursore del positivismo. Malgrado l’influenza prussiana sull’Esercito italiano311 e la partecipazione italiana alla Triplice Alleanza, il tentativo di Marselli di introdurre il Vom Kriege nella cultura militare nazionale era troppo forzato e superficiale per avere successo. Neppure i marxisti italiani prestarono la minima attenzione alle letture clausewitziane di Marx ed Engels, suggerite loro da Franz Mehring (18461919). Ci volle mezzo secolo perché una nuova ondata di interesse per il Vom Kriege raggiungesse la cultura italiana. E ciò accadde alla vigilia della guerra d’Etiopia e della tragica alleanza con la Germania nazista. Nel 1925 il colonnello Emilio Canevari (1892-1966), un brillante ufficiale viterbese caduto in disgrazia durante la “Riconquista” della Libia, cominciò una nuova vita come pubblicista, curando assieme a Giuseppe Prezzolini (1882-1982) un’antologia (Marte) di grandi capitani e scrittori militari. In seguito Canevari divenne (con lo pseudonimo di “Maurizio Claremoris”) il commentatore militare de Il Regime Fascista, il giornale di Roberto Farinacci (1892-1945) e nel 1930 pubblicò Clausewitz e la guerra odierna. Ci vollero però quattro anni perché un detenuto politico come Antonio Gramsci (1891-1937) potesse leggere una recensione del libro. Annotò in uno dei suoi quaderni, con una punta di pedante malignità a proposito della [scarsa] “cultura degli ufficiali” italiani, che il Vom Kriege non era stato ancora tradotto in italiano312, che l’unico libro in circolazione in Italia era quello di Canevari, e che l’ammiraglio Sirianni, in un articolo, aveva sistematicamente storpiato il cognome del generale prussiano scrivendo «Clausenwitz»313. Nondimeno la voce “Clausewitz” dell’Enciclopedia Italiana, scritta nel 1931 dal generale Alberto Baldini, direttore di Esercito e Nazione, è chiara, analitica e sostenute da un’ottima bibliografia internazionale e italiana, inclusi i libri di Marselli and Canevari314. Non c’è alcuna prova che il libro di Canevari abbia occasionato il breve saggio su Clausewitz scritto alla fine del 1933 da Benedetto Croce (1866-1952)315. Il filosofo, del resto, non cita 310 Niccola Marselli, La guerra e la sua storia, 1875. 311 Cfr. Georg Christoph Berger Waldenegg, “Die deutsche ‘Nationale Mentalität’ aus Sicht Italienischer Militärs, 1866-1876. Beschreibung, Rezeption, Schlussfolgerungen”, in Militär-geschichtliche Mitteilungen, 1991, n. 2, pp. 81106. Id., Die Neuordnung des Italienischen Heeres zwischen 1866 und 1876: Preussen als Modell, Heidelberg, Winter, 1992. E’ da notare che Clausewitz non è mai citato nell’archivio del capitano di stato maggiore e poi generale Giuseppe Govone, che fu addetto militare a Berlino e firmò l’alleanza prusso-italiana nel 1866. Marco Scardigli, Lo scrittoio del generale. La romanzesca epopea risorgimentale del gen. Govone, Torino, Utet, 2006. 312 In realtà l’affermazione non era esatta, considerando gli excerpta dal Vom Kriege scelti e tradotti dal colonnello Oete Blatto (Della guerra. Pagine scelte, trad. di A. Beria e W. Müller, Torino, Schioppo, 1930). 313 Passato e presente, Einaudi, Torino, 1954, p. 128. Gramsci citò Clausewitz pure a proposito dell’attacco che si esaurisce progredendo (Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo stato moderno, Einaudi, Torino, 1955, p. 153). Il nome è storpiato pure (in “Clausevitz”) nella breve e assai deludente voce dedicata al generale prussiano nella semiufficiale Enciclopedia Militare (Il Popolo d’Italia, Roma 1930, III, p. 87). 314 Nell’Enciclopedia Italiana, Treccani, Roma, 1931, X, p. 550. Sulle voci militari dell’Enciclopedia Treccani, v. Botti e Ilari, Il pensiero, cit., pp. 295-305 . 315 Croce, «Azione, successo e giudizio: note in margine al Vom Kriege», in Atti dell’Accademia di Scienze morali e politiche della Società reale di Napoli, LVI, 1934, pp. 152-163 (=Revue de Métaphysique et de Morale, XLII, 1935, pp. 247-258). Da una cartolina postale indirizzata a Corrado Chelazzi (ASSR Incarti della biblioteca, 913/1933-34: v. Benedetto Croce in Senato, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002: Lettere a Giovanni Castellano 1908-1949, Istituto Italiano di Studi Storici, 1985. ASR, LVI, 1934, pp. 152-163) risulta che Croce lo scrisse in due giorni (27 e 28 dicembre 1933). In seguito lo inserì negli Ultimi Saggi (Bari, Laterza, 1935, pp. 266-279). Il saggio su Clausewitz fu ristampato nel 1984 in Strategia globale No. 2, con una nota di Ilari (“Il problema epistemologico delle scienze 125 Canevari: aveva infatti una conoscenza diretta e migliore del Vom Kriege (nella 5a edizione tedesca del 1905) e della letteratura relativa316. Croce concordava con Roques circa l’influenza di Machiavelli su Clausewitz, e rifiutava invece il supposto imprinting hegeliano317. La contrapposizione tra l’“erudizione da ufficiale di stato maggiore” (“Generalstabs-Gelehrsamkeit”) e “la forza del pensiero naturale” (“kräftlige natürliche Denken”) tracciata da Clausewitz nel suo studio sulla campagne di Russia, richiamava alla mente di Croce il quadro impareggiabile del Consiglio di guerra alleato alla vigilia di Austerlitz, in cui Tolstoi contrappone il sonno dell’Eroe Kutusov alla fatua esposizione del piano di operazioni fatto dal generale austriaco Kalckreuth (“tutto energico e sicuro nei suoi marschiren, attackiren”). Secondo Croce, “quel che il Clausewitz viene determinando circa il rapporto di teoria e pratica rispetto alla guerra è il medesimo di quel che accade per ogni altro oggetto: poniamo (per prendere un caso lontano) nella poesia”. Ma è impossibile riassumere un saggio così denso. Croce scrisse inoltre due note sulla citazione di Alessandro Manzoni fatta da Clausewitz318 e sull’influenza dell’estetica kantiana sul Vom Kriege 319 . Benché Canevari si possa considerare un autore di spicco, considerata la modestia del pensiero militare italiano tra le due guerre, non c’era nulla di originale nel suo approccio al Vom Kriege, tutto dominato dallo sfruttamento di Clausewitz come l’Eroe Völkisch di Tauroggen fatto dalla pubblicistica militare del III Reich; uno schema propagandistico in cui comunque il primato spettava a Gneisenau [interpretato da Horst Kaspar in Kolberg, il film girato nel 1944 da Veit Harlan] e il genio militare era riferito allo Stato Maggiore tedesco come entità collettiva320. Quel che Hew Strachan scrive di Walter Malmsten Schering, “the leading academic commentator of Clausewitz in Nazi Germany”, e del generale Friedrich von Cochenhausen, il principale propagandista della Reichswehr e poi della Wehrmacht, può essere detto pure di Canevari. Lui pure, come i due tedeschi, pensava che “absolute war was an ideal construct, not a reality”, e aveva qualche difficoltà a maneggiare la nuova parola d’ordine della “guerra totale”321. Infatti nel numero di dicembre 1937 de La Vita Italiana Canevari polemizzò contro il tentativo fatto dal filosofo Julius militari”, pp. 171 ff.). Aron non cita il saggio di Croce nel suo Clausewitz del 1976, ma nei suoi Memories (p. 666 dell’edizione italiana) rivela di essere stato stimolato a scrivere su Clausewitz dall’aspra osservazione di Croce che abbiamo citato in epigrafe al presente studio. 316 Nel saggio sono citati solo K. Schwartz, Leben des Generals…, Berlin, Dümmler, 1878, 2 vols. e P. E. A. Roques, Le général de Clausewitz, Sa vie et sa théorie de la guerre, d’après des documents inédits, Paris, Berger-Levrault, 1912; ma nelle cartoline pure E. Palat, La politique de la guerre d’après Clausewitz, Paris, Lavauzelle, 1922, e R. von Caemmerer, Clausewitz, Berlin, Betet-Narbon, 1905, 2 voll. 317 Supposto dal colonnello Creuzinger, Hegels Einfluss auf Clausewitz, 1911. 318 Un ricordo dei “Promessi sposi” in una lettera del Clausewitz (paragone tra la peste di Milano e l’epidemia di colera in Polonia), in La Critica, XXXII, N. 5 (III serie a. VIII) 20.9.1934, pp. 399-400 (= Pagine sparse, III, pp. 2423), 319 B. Croce, Riscontri tra l'arte della guerra e le arti belle nel Clausewitz, in Quaderni della "Critica", n. 2, agosto 1945, Noterelle di estetica, VII, p. 105. 320 V. Canevari, Lo Stato maggiore germanico da Federico il Grande a Hitler, Mondadori, Milano, 1942. Cfr. Milivoj G. Lazarević, Od Šarnhorsta do Šlifena: sto godina Prusko-Nemačkog đeneralštaba, Geca Kon, 1936 (Serbian translation of Friedrich von Cochenhausen, Von Scharnhorst zu Schlieffen 1806-1906: 100 Jahre preussisch-deutsche Generalstab, Auf Veranlassg d. Reichswehrministeriums, Berlin, 1933); Karl fon Klauzevic: O ratu, Geca Kon, 1939; 1940. Clausewitz, Carl von. O Ratu. Trans. Milivoj Lazarevic, ed. Lt Col Zdavko Serucar and Professor Stevan Menciger. Yugoslav military publishing house, 1951. 321 Hew Strachan, “Clausewitz and the Dialectic of War”, in Strachan and Andreas Herbert-Rothe (Eds), Clausewitz in the twenty-first century, Oxford U. P., 2007. P. M. Baldwin, “Clausewitz in Nazi-German”, in Journal of Contemporary History, SAGE, London and Beverly Hills, Vol. 16, 1981, pp. 5-26. Jehuda L. Wallach, “Misperceptions of Clausewitz' on war by the German military”, in Journal of Strategic Studies, Vol. 9, Issue 2&3, June 1986 , p. 213 – 239. 126 Evola di fondare lo stato totalitario mescolando il Begriff des Politischen di Carl Schmitt e la guerra totale teorizzata da Erich Ludendorff. Secondo il rude colonnello viterbese, questi erano tutti “Begriffi” di professori tedeschi, che Hitler non prendeva sul serio. Durante la Seconda guerra mondiale la vecchie traduzione inglese del Vom Kriege fu ristampata im Gran Bretagna, e una nuova fu pubblicata negli Stati Uniti, come pure tre selezioni, un commentario e uno studio di West Point su Jomini, Clausewitz and Schlieffen. Inoltre I curatori di Makers of Modern Strategy (pubblicato dall’Università di Princeton) commissionarono il capitolo su Clausewitz a un vero specialista, lo storico ebreo tedesco Hans Rothfels (1891-1976)322. Questi embrionali studi su Clausewitz erano parte della mobilitazione intellettuale dell’Occidente contro l’Asse. Le traduzioni che negli stessi anni uscirono in Italia erano invece solo parte di una superficiale e propagandistica germanizzazione dell’esercito italiano, in contrappunto al mutamento avvenuto nel 1941 nella politica estera italiana, che abbandonava il criterio della “guerra parallela” per abbracciare quello della “guerra dell’Asse”. Sospettato di aver ispirato la requisitoria di Farinacci che nel dicembre 1940 costrinse il maresciallo Badoglio a dimettersi, Canevari fu riabilitato dal nuovo capo di stato maggiore generale, maresciallo Cavallero, il quale lo aggiunse al generale e senatore Ambrogio Bollati (18711950), capo dell’Ufficio storico dell’esercito, per tradurre il Vom Kriege. Bollati era esperto nel campo, avendo già tradotto Hindenburg, von Bernardi and Falkenhayn, come pure vari documenti dell’archivio di stato tedesco e dell’Archivio di guerra austriaco323. Abbastanza paradossalmente, sembra che nell’archivio dell’Ufficio storico non ci siano documenti circa questa importante traduzione: secondo la tradizione orale dell’Ufficio storico, il vero traduttore sarebbe stato in realtà un professore universitario e Bollati e Canevari si sarebbero limitati soltanto a rivedere la terminologia militare. Sorprendentemente, la lista Googlebooks delle edizioni di Clausewitz pubblicate in tutte le lingue durante la Seconda Guerra Mondiale non include la traduzione dell’Ufficio storico italiano, forse perché non circolò al di fuori dello stato maggiore dell’Esercito. La lista include però altre due traduzioni parziali pubblicate da Le Monnier nel 1942 e da Sansoni nel 1943324. Sono però mere edizioni italiane di opuscoli propagandistici pubblicati nel Terzo Reich (nella lista Google ne sono elencati otto, lunghi da 48 a 199 pagine, con titoli come Brevier, Kathechismus, Grundgedanken ecc.). Contributi italiani alla Clausewitz-Renaissance La disgrazia politica di Clausewitz toccò il fondo quando Hitler battezzò col nome del generale prussiano il piano disperato di difendere Berlino. Fu Werner Hahlweg (1912-89), con la sua edizione critica del 1952 e la sua breve biografia del 1957325, a restituirlo alla tranquillità degli studi 322 Hans Rothfels, Carl von Clausewitz: Politik und Krieg, Berlin, Dümmlers Verlag, 1920. “Clausewitz” pp. 93–113 in The Makers of Modern Strategy edited by Edward Mead Earle, Gordon A. Craig & Felix Gilbert, Princeton, N.J.: Princeton University Press, 1943. 323 Bollati fu pure autore di uno dei famosi libri (quello sull’intervento italiano nella guerra civile spagnola) scomparsi dal catalogo Einaudi dopo la caduta del fascismo (Vittorio Messori, «Il giallo dei libri scomparsi», Corsera 11 luglio 1998). 324 La guerra (Vom Kriege), pagine scelte, Firenze, Felice Le Monnier, 1942, 190 pp., trad. di Luigi Cosenza e Giuseppe Moscardelli. Pensieri sulla guerra, Firenze, Sansoni, 1943, 107 pp. trad. di Giacinto Cardona (rist. da Editoriale Opportunity Book, Milano, 1995). Luigi Cosenza (1905-1984), un ingegnere e architetto napoletano, fu in seguito esponente del Partito comunista e le sue arringhe in consiglio comunale contro la speculazione edilizia durante l’amministrazione Laurina sono uno dei pezzi forti del film di Francesco Rosi Le mani sulla città. Moscardelli, un colonnello dell’esercito, fu poi docente di storia militare all’Accademia di Modena. 325 W. Hahlweg, Clausewitz, Soldat–Politiker–Denker, Göttingen, Münsterschmidt Verlag, 1957, 1969. 127 militari. Nel 1954 Gerhard Ritter (1888-1966) ricostruì la genesi del pensiero Clausewitziano in una prospettiva storica, e nel 1961 il general Ulrich de Maizière (1912-2006), il padre della Bundeswehr, fondò la Clausewitz-Gesellschaft. Inizialmente, tuttavia, la riattuatizzazione del Vom Kriege fu limitata agli studiosi tedeschi, come dimostra l’applicazione antologica all’era nucleare fatta da Gerd Stamp, un asso della Luftwaffe che a quell’epoca lavorava per la NATO. Nel 1963, peraltro, Carl Schmitt (1888-1985) richiamò ancora una volta Clausewitz alla tragedia storica tedesca, col suo micidiale paragone tra la ribellione del generale York a Tauroggen nel 1812 e quelle di de Gaulle nel 1940 e di Salan nel 1962326 e la sua critica del “prussianesimo” Clausewitziano327. In questo albore di studi, quando fuori della Germania solo Peter Paret lavorava su Clausewitz in modo originale328, fu Piero Pieri a divulgare di nuovo il Vom Kriege nell’Italia postbellica oltre la cerchia degli studiosi in uniforme. Il suo studio del 1955 sugli scrittori militari italiani è incentrato soprattutto sulle connessioni tra guerra e politica, ma nel capitolo su Marselli è discussa pure l’epistemologia clausewitziana della scienza militare329. Nella sua Storia militare del Risorgimento (1962) Pieri citava, se non altro, alcuni principi clausewitziani, come “l’attacco si esaurisce progredendo” o “il risultato è proporzionato al rischio”, a proposito del piani sardi del 1848 e della cautela di Garibaldi alla battaglia di Velletri. Inoltre riassumeva in quattro pagine (157-160) le idee fondamentali del Vom Kriege, per criticare Blanch and De Cristoforis330. Clausewitz è citato pure nella storia della guerra civile Americana di Raimondo Luraghi, uno dei più importanti contributi italiani alla storia militare, pubblicato nel 1966331. Per quanto jominiano fosse il vertice militare dell’esercito unionista, e in particolare i generali Mahan e Halleck, secondo Luraghi l’assetto del comando era “clausewitziano”, considerate la supremazia dell’autorità politica che lo caratterizzava rispetto all’alto comando sudista. Luraghi riporta tuttavia con riserva la tesi secondo la quale Lincoln sarebbe stato tra i pochi americani ad aver letto il Vom Kriege332. Nondimeno l’autore lo tiene presente nel giudicare alcuni comandanti, come McClellan (lontano da Clausewitz per la sua preoccupazione di evitare rischi) e Grant (la cui cura per la logistica rammenta a Luraghi i passi del Vom Kriege in cui si dice che la guerra è un atto del commercio tra gli uomini e la battaglia è il pagamento in contanti): Grant a Pittsburg Landing gli sembra poi incarnare il genio della guerra clausewitziano. 326 Schmitt’s Theorie des Partisanen. Zwischenbemerkung zum Begriff des Politischen (1963) provoked a passionate response of Raymond Aron (1905-1983), Penser la guerre, Clausewitz, Gallimard, Paris, 1976, II (“L’âge planétaire”), pp. 210-222. Ilari, “Riflessioni critiche sulla teoria politica della guerra di popolo”, in Memorie storiche militari 1982, USSME, Rome, 1983, pp. 107-172. 327 Clausewitz als politischer Denker. Bemerkungen und Hinweise. Beck, Munchen, 1967, in "Der Staat", N. 4, anno 1967, pp. 479 – 502. 328 Peter Paret, “Clausewitz. A Bibliographic Survey”, in World Politics, Vol. 17, No. 2, Jan. 1965, pp. 272-285. Id., “Education, Politics, and War in the Life of Clausewitz”, in Journal of the History of Ideas, Vol. 29, No. 3 (Jul. - Sep., 1968), pp. 394-408. 329 Piero Pieri, Guerra e politica negli scrittori italiani, Firenze, Riccardo Riccardi Editore, 1955; Milano, Mondadori, 1975.V. pure Id., “Il rapporto tra guerra e politica dal Clausewitz a noi”, in Relazioni al X Congresso internazionale di scienze storiche, Firenze, 1955, I, pp. 277-339. 330 Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Einaudi, Torino, 1962, p. 134 (people’s war), 151, 157-60, 205, 425, 582-85. See also, Pieri, “Orientamenti per lo studio di una Storia delle dottrine militari”, in Atti del I Convegno nazionale di storia militare (Roma 17-19 marzo 1969), Roma, Ministero della Difesa, 1969, pp. 123-171. 331 Raimondo Luraghi, Storia della guerra civile americana, Torino, Einaudi, 1966. Luraghi, già valoroso comandante di banda partigiana durante la Resistenza, criticava l’azione di John Brown ad Harper’s Ferry sulla base dei precetti di Carlo Bianco di Saint Jorioz, uno scrittore militare del Risorgimento, che Luraghi chiama “il Clausewitz della guerriglia” (p. 132). 332 On the point see Bassford, Cl. in English, cit., p. 50. 128 Negli anni Sessanta, Ernesto Ragionieri (1926-75)333 e Clemente Ancona334 rimediarono al silenzio dei marxisti italiani sulle letture clausewitziane di Marx e Lenin, e Filippo Gaja, direttore di Maquis, l’unica rivista militare della sinistra italiana, pubblicò la traduzione integrale delle note di Lenin al Vom Kriege335. Nel 1966 furono inoltre tradotti in italiano Staatskunst und Kriegshandwerk di Gerard Ritter336 e Clausewitz im Atomzeitalter di Gerd Stamp. Da notare, peraltro, che sulla copertina di quest’ultimo il nome del generale prussiano è storpiato in “Clausewizt”, un errore che evidentemente l’editore considerava accettabile da parte del lettore italiano, se pure fosse stato in grado di accorgersene!337 Nondimeno fu proprio un mensile di divulgazione storica a pubblicare uno splendido bonsai clausewitziano di Lucio Ceva338. Nel 1969 fu tradotto in italiano Politik und Strategie dell’ammiraglio Ruge (della Bundesmarine) (18941985)339, mentre la traduzioni del potpourri di André Glucksman340 e di Krieg ohne Fronten di Werner Hahlweg341 furono ricadute estemporanee delle ossessioni rivoluzionarie di Giangiacomo Feltrinelli. Questa prima ondata di rinnovata attenzione per Clausewitz nell’Italia postbellica culminò nel 1970 con la ristampa in edizione economica, da parte di una casa editrice importante come la Mondadori, della traduzione del Vom Kriege fatta dall’Ufficio storico nel 1942, che in tal modo, per la prima volta, ebbe una vera circolazione in Italia342. Un secolo dopo la guerra franco-prussiana, che assicurò la fama del Vom Kriege, una nuova disfatta occidentale, quella degli Stati Uniti in Vietnam, assicurò la definitiva fondazione degli studi Clausewitziani. Proprio nel 1976 furono infatti pubblicati la nuova traduzione inglese di Paret e Michael Howard, I due fondamentali saggi di Paret e Aron e un novo saggio di un allievo di Hahlweg343. 333 Ernesto Ragionieri, “Franz Mehring”, in Studi Storici, I, 2 (genn.–marzo 1960), pp. 410-423. 334 Clemente Ancona, “L’influenza del ‘Vom Kriege’ di Clausewitz sul pensiero marxista da Marx a Lenin”, in Rivista storica del socialismo, 1965, pp. 129-154. Benché Hahlweg avesse già discusso questo punto (“Lenin und Clausewitz”, in Archiv für Kulturgeschichte, XXXVI, 1955, 1 and 3), il saggio di Ancona fu ristampato in tedesco (Günther Dill, Ed., Clausewitz in Perspektive, 1980) e discusso a fondo nel volume di Olaf Rose on the Clausewitzian reception in Russia e Unione Sovietica (1995). Non essendoci evidentemente candidati più qualificati, fu Ancona a redigere il capitolo militare della Storia d’Italia Einaudi (“Milizie e condottieri”. Storia d’Italia Einaudi. I documenti. V. Einaudi. Torino. 1973) e la voce “Guerra” dell’Enciclopedia Einaudi (6, 1979, pp. 996-1018, un pastiche di teoria dei giochi e pseudo-marxismo). 335 Lenin, Note al libro di Von Clausewitz “Sulla guerra e la condotta della guerra”, Edizioni del Maquis, Classici del Marxismo N. 5, Milano, 1970, integral edition not included in Opere complete. Ristampa in Lenin, L’arte dell’insurrezione, Gwynplaine, Camerano (AN), 2010. V. pure Enea Cerquetti, “Le guerre del Risorgimento italiano negli scritti di Marx ed Engels”, in Trimestre, 1984, nn. 1-2, pp. 77-120. 336 Ritter, I militari e la politica nella Germania moderna, Torino, Einaudi, 1966, I, pp. 57 ss. . 337 Clausewizt (sic) nell’era atomica, Milano, Longanesi, 1966 (peraltro ristampato nel 1982 in forma corretta dallo stesso editore). V. Leonardo Tricarico, “Considerazioni su ‘La guerra’ di von Clausewitz”, in Rivista Aeronautica, 1967, n. 11, pp. 1985-89. 338 Lucio Ceva, “Napoleone a Tavolino (Il Grande Clausewitz è ancora attuale?)”, in Storia Illustrata, reprinted in Scuola di Guerra Aerea (Ed.), Letture scelte di dottrina e strategia, 2a ed. (128), October 1981, pp. 109-116. 339 Friedrich O. Ruge, Politica e strategia. Pensiero politico e azione politica, Firenze, Sansoni, 1969. 340 André Glucksman, Il discorso della guerra, Milano, Feltrinelli, 1969. 341 Werner Hahlweg, Storia della guerriglia: tattica e strategia della guerra senza fronti, Milano, Feltrinelli, 1973. 342 Clausewitz, Della guerra: con una cronologia della vita dell'autore e dei suoi tempi, un'antologia critica e una bibliografia / bibliografia a cura di Edmondo Aroldi, Milano, Mondadori, 1970, 441 p. 343 Wilhelm von Schramm, Clausewitz. Leben und Werk, Esslingen, Bechtle, 1976. See Id,, Clausewitz. General und Philosoph, Heyne, Munich, 1982; Paret, Clausewitz and the State (Princeton U. P.); Aron (Penser la guerre, Clausewitz, 2 voll., Gallimard: German translation, Propyläen, Frankfurt a. M., 1981). M. Mori, Aron interprete di Clausewitz, Torino, Einaudi, Exc. from Rivista di filosofia, No. 6, Oct. 1976. pp. 532-540. Howard Clausewitz, Oxford 129 Già nel 1974, guardando con una certa ammirazione all’educazione militare di massa della Germania Est, il colonnello Rodolfo Guiscardo aveva introdotto il culto nazionalista di Clausewitz344. Nel 1975 un gruppuscolo maoista incluse il capitolo sul Volksbewaffnung in un “manuale di resistenza popolare in caso di colpo di stato”345. Dal 1976 Luigi Bonanate cominciò a citare il Vom Kriege nei suoi saggi sul sistema internazionale346 e le riviste militari italiane fecero eco alla moda clausewitziana che cominciava a diffondersi nei corsi della NATO347. Fu però solo nel 1978 che l’allora tenente colonnello Carlo Jean, grazie alla sua forte personalità, propose davvero il Vom Kriege all’attenzione della sua coorte di colleghi348. Fu l’inizio di un processo cultural che nel corso di un decennio portò alla nascita del Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS).349. Jean iniziò pure la sua parallela carriera accademica curando due volumi collettivi (Il pensiero strategico and La guerra nel pensiero politico), entrambi pubblicati dalla Franco Angeli nel 1985 e 1987. Nel 1985 il tenente colonnello Ferruccio Botti, inizialmente in coppia con Ilari, cominciò la sua ricerca per sistematizzare la letteratura militare italiana350. A proposito della recezione italiana del Vom Kriege (pp. 288 ss.), gli autori misero in risalto la sua ambiguità politica, derivante dal fatto che, pur affermando la supremazia della politica, per la prima volta trapiantava la teoria della guerra dalla letteratura sulla ragion di stato alla letteratura militare, fondando così una nuova visione “strategica”, se non proprio decisamente militarista, della politica, legittimando i decisori a subordinare la “logica politica” alla “grammatica militare”351. Nel 1989 la Rivista Militare, allora diretta dal colonnello Piergiorgio Franzosi (un alpino come be Jean!) ristampò l’edizione Mondadori del Vom Kriege, con il saggio di Jean del 1978 come introduzione: e Mondadori mantenne in seguito questa struttura nelle successive ristampe. Nel 1990-93 Franzosi U. P., 1983; Paret (Ed.), Makers of Modern Strategy, Princeton U. P., 1986, pp. 186-213; Michael I. Handel (Ed.), Clausewitz and Modern Strategy, London, Frank Cass, 1986. 344 R. Guiscardo, Forze armate e democrazia: da Clausewitz all'esercito di popolo, Bari, De Donato, 1974 345 Vincenzo Calò (Ed.), In caso di golpe. Manuale teorico-pratico per il cittadino, di resistenza totale e di guerra di popolo, di guerriglia e di controguerriglia, “scritti di Clausewitz, Mao Tse-tung, il manuale del maggiore von Dach, testi delle Special Forces”, Stella Rossa, Roma, Savelli, 1975. 346 Luigi Bonanate, Teoria politica e relazioni internazionali, Edizioni di Comunità, 1976; Id. (ed.), Politica internazionale, La Nuova Italia, Firenze, 1979; Guerra e pace: due secoli di storia del pensiero politico, Milano, Angeli, 1994. La guerra, Roma-Bari, Laterza, 2005. See also S. Martina, La guerra come oggetto scientifico: Karl von Clausewitz: uno studio sul pensiero clausewitziano dagli scritti minori al Vom Kriege, tesi di laurea, Un. di Torino, SP, rel. Bonanate, a. a. 1989/90. 347 Antonio Pelliccia, Clausewitz e la strategia politico-militare sovietica, Roma, Centro Cft A.M., 1976. Ugo Tarantini, “Clausewitz nell’era nucleare”, in Rivista Militare, 1977, N. 2, pp. 11-16. 348 Carlo Jean, “Teoria della guerra e pensiero strategico del generale Carl von Clausewitz”, in Rivista Militare, 1978, n. 3, pp. 40-50 (=usato come introduzione a Della Guerra, Rivista Militare, 1989, e successive ristampe Mondadori. Trad. come Carl von Clausewitz’s Theory of War and Strategic Thought, Roma, Ed. Rivista Militare, 1989). 349 Jean fu sostenuto da qualche giovane accademico, che insaporì queste iniziative con un ingenuo patriottismo, e un’idea megalomaniaca di prussianizzare l’esercito italiano, scimmiottando Scharnhorst & Gneisenau. Il generale Jean sorrise, lo stato maggiore italiano neppure se ne accorse. V. V. Ilari, “Gli studi strategici in Italia”, in cui si taccia, inter alia, la storia del CeMiSS e dell’inserimento degli studi strategici e della storia militare nelle università italiane (online nel suto www.scribd.com col titolo “strategic studies in Italy”). 350 Botti and Ilari, Il pensiero militare italiano dal primo al secondo dopoguerra 1919-1949, USSME, Roma, 1985. See also Botti, “Da Clausewitz a Douhet alla ricerca dell'arma assoluta. Wells, Ader e Douhet: chi fu il primo?”, in Rivista Aeronautica, 1985, Nos. 1 (8), 4 (pp. 28), 6 (22); “Clausewitz e la strategia marittima, in Rivista Marittima, CXVIII, 1985, No. 2, pp. 80-88. 351 Tracciando la storia dell’espressione “global strategy”, Ilari sottolineava le sue implicazioni militariste (in Jean, Ed., Il pensiero strategico, 1985, pp. 21-63). 130 pubblicò inoltre nove articoli su Clausewitzian del colonnello Patrizio Flavio Quinzio352, dei generali Vittorio Bernard353 e Giulio Primicerj354 e di altri autori355. In quegli anni comparvero pure guide “clausewitziane” per amministratori e uomini d’affari356. La diffusione del pensiero di Carl Schmitt nella cultura di sinistra italiana trainò pure un certo interesse per Clausewitz nell’ambito degli studi di scienza politica e filosofia. L’inizio si può far risalire al 1981, quando fu tradotta in italiano Theorie des Partisanen357. Seguirono poi studi specifici di Umberto Curi 358, Pier Franco Taboni359, Luciano Guerzoni360, Massimo Mori361, Ettore Passerin d’Entrèves362, Michele Barbieri363, Loris Rizzi364, Anna Loretoni365, Gianfranco Frigo366, 352 Patrizio Flavio Quinzio, “Clausewitz: politica e guerra. Per una edizione a fascioli del `Della Guerra”, in Rivista militare 1990, pp.48-55. 353 Bernard, Vittorio. "La preparazione culturale dei capi militari nel pensiero di Clausewitz," in Rivista Militare 1990, pp 2-9 354 Giulio Primicerj (lui pure un alpino!), “La vita e le opere di Karl von C.”, “C. nel quarantennio di pace della Germania guglielmina”, “C., il piano Schlieffen e la prima guerra mondiale”, “C. negli anni di Weimar”, “C., Ludendorff e il Fuhrer del Terzo Reich” (in Rivista Militare, 1990, No. 6, pp. 116-129; 1992 No. 1, pp. 81-91; 1992 No. 3, pp. 104-120; 1992, n. 6, pp. 122-134; 1993 No. 1, pp. 98-114). 355 E. Vad, “Commiato da Clausewitz? Il nuovo pensiero nella politica di sicurezza” and E. Wagemann, "Ritorno a Clausewitz!", in Rivisita militare, 1991 No. 3, pp.20-36. See also Admiral Falco Accame, “Il Vietnam, Clausewitz, Freud: appunti per una teoria della strategia”, in Punto critico, No. 10, (11 March b1988), pp. 116-132. 356 Mario Unnia, Della guerra aziendale: Clausewitz riletto dal manager: come sopravvivere e fare carriera nelle ristrutturazioni aziendali, Milano, Edizioni dell'Olifante, 1983; Antonio Bomberini, Lezioni di cultura strategica e psicologica dei mercati per managers e traders: una rilettura critica de L'arte della guerra di Sun Tzu e de Il libro dei cinque anelli di Miyamoto Musashi in compagnia del Della guerra di Carl Von Clausewitz, Desenzano del Garda, Borsari, 2003. 357 Teoria del partigiano. Note complementari al concetto di politico, Milano, Il Saggiatore, 1981. In 2005, Adelphi ha pubblicato una nuova edizione della citati traduzione (di Antonio De Martinis), con un leggero cambiamento del titolo (Teoria del partigiano. Integrazione al concetto di politico) e con un saggio di Franco Volpi (1952-2009), un importante specialista italiano di Heidegger. 358 Umberto Curi, Della guerra, Arsenale Editrice, Venezia, 1982; Pensare la guerra, Dedalo, Bari, 1985 (reprinted with addenda in 1999); Polemos. Filosofia come guerra, Torino, Bollati Boringhieri, 2000. 359 Pier Franco Taboni, “Filosofia e filosofie della guerra”, in Il Pensiero, N. S. XXIV-XXV, 1983-84; Id., “Violenza in Clausewitz”, in Hermeneutica, No. 4, 1985. Id., Clausewitz. La filosofia tra guerra e rivoluzione. Urbino, Quattroventi, 1990. 360 Luciano Guerzoni, “Politica e guerra. Indissolubili?”, in Bozze, (Bari, Dedalo), 1985, n. 1-2, pp. 9-46. Francesco Lamendola, Clausewitz mostra che per l’Occidente guerra e politica sono inseparabili, www.scribd.com (2010). 361 Mario Mori, La ragione delle armi. Guerra e conflitto nella filosofia classica tedesca (1770-1830), Milano, Il Saggiatore, 1984. 362 Ettore Passerin d’Entrèves, Guerra e riforme. La Prussia e il problema nazionale tedesco prima del 1848, Il Mulino, Bologna, 1985, pp. 37-50 (critics to Mori, nt. 20). 363 Michele Barbieri, “Clausewitz. Restaurazione della politica in guerra e politica delle armi”, in Scritti per Mario Delle Piane, Napoli, ESI, 1986; Id. “La politica in Clausewitz”, in Studi Senesi, C, 1988, Suppl. II, “Il problema Clausewitz: la letteratura monografica negli ultimi decenni”, in Archivio di storia della cultura, V, 1992, pp. 261-312. Id., Per un’estetica della politica: il primo Goethe, 1996. 364 Loris Rizzi, Clausewitz. L’arte militare nell’età nucleare, Milano, Rizzoli, 1987, a precise and exhaustive compterendu of the international Clausewitzian studies and their impact on the debate about the nuclear dissuasion. 365 A. Loretoni,”C. von C.: La sicurezza dello Stato”, in Quaderni Forum, 1989; “C. von C.: la teoria politica della guerra moderna”, ne Il Pensiero politico, XXV, 1991, 3, pp. 376-396; Teorie della pace. Teorie della guerra , Pisa, ETS, 2005. According to her, the Clausewitzian political realism, insofar as it is based on structure rather than on experience, differs from neo-classic realism (as exempled by Morgenthau) and is more congruent with the neo-realism of Kenneth Waltz and the Rousseauvian internationalism. 131 Federico Dalpane367. Nel 1988 Mori, Barbieri, Rizzi, Loretoni, Jean e Luciano Bozzo tennero un seminario su Clausewitz nelle scienze politiche e filosofiche al Forum sulla Pace e la Guerra di Firenze368. Altri studiosi italiani scopersero il Vom Kriege attraverso Aron369. Nel 1993 Nicola Labanca curò una traduzione italiana (abbreviata per imposizione dell’editore) del Makers of Modern Strategy curato nel 1986 da Peter Paret370 e Angelo Panebianco quella di Philosophers of War and Peace (1978) di W. B. Gallie (1912-1998)371. Mentre i filosofi italiani torturavano il Vom Kriege, i saggi di Christopher Bassford e Olof Rose sulla sua recezione in inglese (1994) e russo (1995)372 ispirarono Andrea Molinari, un candidato all’effimero dottorato di ricerca in storia militare promosso dalle università di Torino, Padova e Cattolica di Milano, a proporre nel 1996 un progetto di ricerca sulla recezione di Clausewitz in Italia. Il consiglio del dottorato lo respinse a maggioranza, con la motivazione che l’argomento esulava dall’approccio italiano alla storia militare, considerata esclusivamente parte della storia politica e sociale. Occasionalmente, qualche reperto del dibattito internazionale sulla strategia e la storia militare raggiunge pure l’Italia, ma come relitti gettati dalle onde e raccolti sulla spiaggia dai nativi indagatori. Quando ciò avviene, gli editori italiani applicano immancabilmente la legge di Gresham373. Di conseguenza nessuno dei fondamentali contributi agli studi clausewitziani pubblicati nell’ultimo decennio del secolo scorso374 e nel primo del presente375 è stato pubblicato in 366 Ed. della Lettera su Machiavelli (1809) di Clausewitz in appendice al saggio di Fichte, Gallo, Ferrara 1990, pp. 121-8. 367 Federico Dalpane, “C. von C.: osservazioni sugli scritti ‘minori’", in Scienza & Politica, No. 13, 1995, pp. 71-90; Id. “Incertezza, azione e decisione in C. von C.”, in Teoria politica, XIV,1998, No. 2, pp. 145-157; Id., Guerra e incertezza, Clueb, Bologna, 2001. 368 «Quaderni Forum» n. 1 (Carl von Clausewitz: lo stato e la guerra ), Seminario di studio Villa La Bicocca, 13 febbraio 1988. V. pure Pier Paolo Portinaro, “Carl von Clausewitz”, in Bruno Bongiovanni e Luciano Guerci (Ed.), L'albero della rivoluzione. Le interpretazioni della Rivoluzione Francese, Torino, Einaudi, 1989, pp. 113-116. 369 Rinaldo Falcioni, “Politica e guerra da Clausewitz ad Aron”, in Il Mulino, 1984, n. 4, pp. 577-602. It. transl. (Mondadori) of the Memoires of Aron (1905-1983), with a preface of Alberto Ronchey. It. Ed. by Carlo Maria Santoro (1935-2002) of Aron Sur Clausewitz (Bruxelles, 1987: Il Mulino, Bologna 1991). See Jean and Rusconi in A. Campi (Ed.), Pensare la politica. Saggi su Raymond Aron, Roma, Ideazione, 2005. 370 Nicola Labanca, “I due Makers of modern strategy”, in Peter Paret (cur.), Guerra e strategia nell'età contemporanea, Genova, Marietti, 1992, pp. 7-32 371 W. B. Gallie, Filosofie di pace e di guerra. Kant, Clausewitz, Marx, Engels, Tolstoi, Bologna, Il Mulino, 1993 (Cambridge, 1978). 372 Christopher Bassford, Clausewitz in English. The Reception of Clausewitz in Britain and America 1815-1945, Oxford U. P. 1994; Olaf Rose, Carl von Clausewitz. Zur Wirkungsgeschichte seines Werkes in Russland und den Sowjetunion 1836 bis 1994, Monaco, Oldenbourg Verlag, 1995. . 373 Naturalmente ci sono eccezioni, come la LEG di Gorizia che si è affidata alla consulenza di uno specialista come il generale Mini; ma non abbastanza da colmare la lacuna. Ad esempio, malgrado le sua importanti critiche alla condotta della War on Terror, James S. Corum è conosciuto in Italia solo per il suo studio del 1992 sulle origini del Blitzkrieg, tradotto e prefato da Mini nel 2004 (Le origini del Blitzkrieg: Hans von Seeckt e la riforma militare tedesca : 1919-1933, LEG, Gorizia 2004). 374 Azar Gat, The origins of military thought: from enlightenment to Clausewitz, Oxford, Clarendon, 1989. Kurt Guss, Krieg als Gestalt. Psychologie und Pädagogik bei Carl von Clausewitz, 1990; Dietmar Schössler (Carl von Clausewitz, Rowohlt, Reinbeck bei Homburg, 1991; Handel, Sun Tzu and Clausewitz: The Art of War and On War Compared, Strategic Studies Institute, U. S. Army War College, 1991. Alan Beyerchen, “Clausewitz, Nonlinearity, and the Unpredictability of War”, in International Security, Vol. 17, No. 3 (Winter, 1992-1993), pp. 59-90 1991 Martin van Creveld The Transformation of War (New York, Free Press, 1991). K. M. French, a Marine Officer and former van Creveld student at Quantico, graduated himself with an interesting commentary (Clausewitz vs the Scholar: Martin van Creveld’s Expanded Theory of War). Peter Paret, Understanding war: essays on Clausewitz and the history of military 132 Italia, con le uniche eccezioni di alcuni saggi di Andreas Herberg-Rothe376, della scolastica biografia di Clausewitz scritta da Hew Strachan377, e di due icone filosofiche come La guerre dans les sociétés modernes di Julien Freund (1923-1993)378 e Achever Clausewitz di René Girard379. I libri italiani dell’ultimo decennio in cui si tratta di Clausewitz sono due manuali di studi strategici, di Jean380 e di Giacomello-Badialetti381, un trattato sistematico dell’ammiraglio Sanfelice382, un’edizione ulteriormente ridotta del Vom Kriege383, ed excerpta in due antologie di scrittori politici384 e militari385. Inoltre, Marco Menicocci ha riciclato inconsapevolmente la vecchie tesi dell’influenza hegeliana sul Vom Kriege che era stata confutata da Roques e Croce386; Massimiliano Guareschi ha rovesciato la formula della Fortsetzung facendo leva su Foucault e Guattari387; Gian Mario Bravo ha citato Clausewitz in una breve storia del militarismo e del power, Princeton U. P., 1993. Lt Colonel Barry D. Watts, Clausewitzian Friction and Future War, McNair Paper 52, Institute for National Strategic Studies, 1996. Gert de Nooy (Ed.), The Clausewitzian dictum and the future of the Western military strategy, The Hague, London, Boston, Kluwer International (Nijhoff Law Specials 31), 1997. Emmanuel Terray, Clausewitz, Paris, Fayard, 1999. 375 V. p. e. Andreas Herberg-Rothe (Das Rätsel Clausewitz. Politische Theorie des Krieges im Widerstreit, Fink Verlag, 2001; Clausewitz – Strategie denken, Munich, 2003; Herfried Münkler, Clausewitz’ Theorie des Krieges, Nomos Verlags, 2003; David J. Lonsdale, The nature of war in the Information Age: Clausewitzian future, London and New York, Frank Cass, 2004. Ralf Kulla (Politische Macht und politische Gewalt. Krieg, Gewaltfreiheit und Demokratie in Anschluss an Hannah Arendt und Carl von Clausewitz, Homburg, Verlag Dr. Kovač, 2005; Beatrice Heuser (Clausewitz lesen! Eine Einführung, Oldembourg Verlag 2005; Hew Strachan and Andreas Herberg-Rothe (Eds.), Clausewitz in the Twenty-First Century (Oxford U. P. 2007. 376 Andreas Herberg-Rothe, “Opposizioni nella teoria politica della guerra di Clausewitz”, in Scienza & Politica, 9, n. 19, Trento 1998, pp. 23–45. Of the same Author, “Clausewitz eller Nietzsche”, in Res Publica No. 54, Stockholm, March 2002, pp. 17–22; Clausewitz oder Nietzsche: Sul mutamento di paradigma nella teoria politica della guerra, in Merkur, n. 623, March 2001. 377 Carl von Clausewitz’s On War. A Biography (A Book That Shook the World), Atlantic Monthly Press, 2007, trad. it. Roma, Newton Compton, 2007. 378 J. Freund, “Guerra e politica da Carl von Clausewitz a Raymond Aron”, in Id., La guerra nelle società moderne (1991), Lungro di Cosenza, Marco Ed., 2007, pp. 81-94. 379 Achever Clausewitz (2007), il cui titolo evoca l’idea di dargli il colpo di grazia piuttosto che di completarlo (Ital. transl. Girard, Portando Clausewitz all’estremo. Conversazione con Benoît Chantre, a cura di Giuseppe Fornari, Milano, Adelphi, 2008). 380 Carlo Jean, Guerra, strategia e sicurezza, (1997-2000); Id., Manuale di studi strategici, (2004, 2008), entrambi pubblicati da Laterza (Roma-Bari). 381 Giampiero Giacomello and Col. Gianmarco Badialetti, Manuale di studi strategici. Da Sun Tzu alle “nuove guerre”, Milano, Vita e Pensiero, 2009. 382 Ferdinando Sanfelice di Monteforte, Il dibattito strategico, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010. 383 Clausewitz, Della Guerra, Milano, Rizzoli, BUR (“Pillole”), 2009, pp. 121. 384 Carlo Galli, Guerra, Roma-Bari, Laterza, 2004. 385 Gastone Breccia (Ed.); L’arte della guerra da Sun Zu a Clausewitz, Torino, Einaudi, 2009, pp. cxxxvi-vii. Dopo averci informati di essere stato deluso dal Vom Kriege all’epoca in cui voleva fare un gioco di guerra ispirato alla Storia della guerra civile Americana di Raimondo Luraghi, Breccia sostiene che “è senza dubbio sbagliato considerare (Clausewitz and Jomini) due poli opposti del pensiero militare del XIX secolo”. 386 387 Pubblicato il 20 ottobre 2002 in www.recensionifilosifiche.it. Massimiliano Guareschi, Ribaltare Clausewitz. La guerra in Michel Foucault e Deleuze-Guattari, Roma, Centro di Studi e Iniziative per la Riforma dello Stato, 2005. 133 pacifismo che culmina nel magistero imperituro di Norberto Bobbio388 e Paolo Ceola in un saggio sulla guerra contemporanea come “labirinto”389. Secondo Antonino Drago e Francesco Pezzullo il frequente ricorso di Clausewitz alla doppia negazione tradisce la debolezza logica delle sue definizioni390. Nel 2010, infine, la Fondazione Farefuturo ha inaugurato la sua nuova rivista pubblicando il saggio del 1967 di Carl Schmitt su Clausewitz come pensatore politico391. I contributi italiani più originali Come si vede, le interpretazioni italiane di Clausewitz riguardano le scienze politiche e filosofiche piuttosto che gli studi strategici o la storia militare e il loro standard qualitativo ha subito un declino nell’ultimo decennio. Tuttavia, a nostro giudizio, alcuni contributi meritano attenzione da parte della comunità internazionale degli studiosi di Clausewitz. Il migliore è ancora il saggio di Gian Enrico Rusconi sul collasso dell’equilibrio europeo nel 1914, nel quale egli difende, contro Delbrück and Liddell Hart, la razionalità clausewitziana del Piano Schlieffen, e attribuisce la responsabilità dello scoppio della guerra più al governo che allo stato maggiore tedesco392. Nel 1999 Rusconi ha dato un nuovo e più ampio contributo393. Non solo con una biografia di Clausewitz ben più dettagliata e penetrante di quella di Strachan, ma con una approfondita analisi del Vom Kriege, in cui mette in risalto non solo idee e metodi, ma le ragioni storiche della sua fortuna e del suo fato. Correggendo la visione Schmittiana per Prussianesimo di Clausewitz, Rusconi analizza la “sindrome prussiana” che voleva rafforzare la Germania senza minare l’equilibrio europeo, e che perciò era assolutamente incompatibile col sovversivismo hitleriano. Infine gli dobbiamo una nuova traduzione delle parti fondamentali del Vom Kriege, con un’ampia ed eccellente introduzione394. Originale è pure il paragone tra i Sette Classici della strategia cinese e il Vom Kriege fatto nel 1998 dal generale Fabio Mini. A suo giudizio, analizzato da un punto di vista orientale, l’opposizione tra le eredità jominiana e clausewitziana scompare ed è paradossalmente proprio quest’ultima a caratterizzare il modo occidentale di fare la guerra. Mini è infatti convinto che, malgrado l’apparenza contraria, sia stato proprio Clausewitz ad influenzare l’approccio meccanico, statico e impersonale che caratterizza lo stile occidentale di guerra in contrasto con la tradizione orientale, più flessibile, dinamica e attenta al fattore umano. L’autore ne trae riprova dalla storia 388 Gian Mario Bravo, “Dall'arte della guerra alle armi per la pace: da Machiavelli a Erasmo, ovvero, da Clausewitz a Bobbio”, in Vincenzo Ferrari (Ed.), Filosofia giuridica della guerra e della pace. Atti del XXV congresso della Società italiana di filosofia del diritto, Milano, Franco Angeli, 2008, pp. 493-510. 389 Paolo Ceola, Il Labirinto. Saggi sulla guerra contemporanea, Napoli, Liguori, 2002. Id., Armi e democrazia. Per una teoria riformista della guerra, Biella, 2006. 390 Drago Antonino, and Pezzullo Francesco, “Logica e strategia. Analisi della teoria di K. von Clausewitz”, Teoria Politica 16 (2000), pp.164-174. 391 C. Schmitt, “Clausewitz come pensatore politico. Osservazioni e riferimenti”, in Rivista di Politica, I, 1, 2010, pp. 93-111, with G. Maschke’s complementary notes (112-19), transl. by Luigi Cimmino (see his “Il limite del Clausewitz "politico", in L'Indipendente, 20 March 2005) 392 Gian Enrico Rusconi, Rischio 1914. Come si decide una guerra, Bologna, Il Mulino, 1987 (v. il capitolo “Clausewitz è caduto sulla Marna?”, pp. 147-164). 393 Gian Enrico Rusconi, Clausewitz il Prussiano. La politica della guerra nell’equilibrio europeo, Torino, Einaudi, 1999. 394 Clausewitz, Della guerra, Einaudi, Torino, 2009, 250 pp. Newly (but only partially) translated and commented by Gian Enrico Rusconi. 134 della strategia giapponese, vincente nella guerra del 1904-05 perché ispirata ai classici cinesi e disastrosa nella seconda guerra mondiale perché divenuta “clausewitziana”395. Altri buoni testi italiani includono il paragone (dovuto ad Alessandro Colombo nel 2006) tra le diverse concezioni di “guerra limitata” che ricorrono in Grozio e in Clausewitz396, e un saggio di Jean (2002) che interpreta la guerra al terrore come “confronto di forze” e “scontro di volontà”, in cui la posta in gioco è il fattore morale (“conquistare i cuori e le menti”)397. Non meno importanti sono, nel campo della storia militare, le applicazioni di categorie clausewitziane fatte da Luigi Loreto, soprattutto nel suo saggio del 1993 su Cesare, in cui, ad esempio, impiega il concetto di frizione per interpretare il VI libro del Bellum Gallicum e il III del Bellum Civile come “i libri del casus”398. Gli dobbiamo, in 2007, un capolavoro della storiografia militare italiana (The Great Strategy of Rome in the First Punic War)399, la cui genialità aggrava il peccato Liddell-Hartiano. Possa il Cielo perdonarlo! 395 Fabio Mini, L’altra strategia, Franco Angeli, Milano, 1998. Stessa idea in Gastone Breccia, lui pure un “Sunziista” (“Adieu Herr von Clausewitz”, in Limes 6/2006). 396 Alessandro Colombo, La guerra ineguale. Pace e violenza nel tramonto della società internazionale, Bologna, Il Mulino, 2006. 397 Jean, “Clausewitz and bin Laden”, in Lucia Annunziata and Marta Dassù (Eds.). Conflicts in 21st Century, Rome, Aspen Institute Italia, 2002, pp. 151-163. Quoted by Paolo Della Sala, in Guanaca e-book 42 (http://lapulcedivoltaire.blogosfere.it). 398 399 Pensare la guerra in Cesare, I, cit., pp. 271-72. Luigi Loreto, La grande strategia di Roma nell’età della prima guerra punica. L’inizio di un paradosso, Jovene, Napoli, 2007. 135 6. LOMONACO, FOSCOLO, TIBELL. Storia militare di un suicidio filosofico "Negli ultimi tempi era divenuto triste e quasi insocievole. Morì filosoficamente. Si levò all'ora solita, stamane, 1 settembre 1810: scrisse una lettera al fratello; si vestì degli abiti da festa; uscì di casa e si recò al caffè del Barilotto, dove bevve un bicchiere di vino, e quando fu su la riva del Navigliaccio presso San Lanfranco, luogo molto solitario, si tuffò nella corrente, in quel giorno rapidissima. Un soldato cercò di salvare il suicida, ma lottò invano contro le onde, e per poco non fu inghiottito anche lui.". Nella lettera spiegava di aver voluto così sventare il piano dei suoi nemici di svergognarlo durante gli imminenti esami pubblici della scuola militare di Pavia, dov'era professore. E concludeva: "Col fato non lice dar di cozzo. Se vissi sempre indipendente e glorioso, voglio morire più indipendente e gloriosissimo". Montalbano Jonico, paese natale di Francesco Lomonaco, ha da poco celebrato il bicentenario del suicidio del suo più illustre concittadino (dopo il fondatore dell'Alfa Romeo). E John Anthony Davis, nel suo recente studio sull'Italia meridionale nelle rivoluzioni europee (Naples and Napoleon, Oxford U. P., 2006), ha dedicato un'acuta analisi (p. 97) all'opera più nota di Lomonaco, il Rapporto al Cittadino Carnot sulla catastrofe napoletana, famoso per l’allegato coi nomi dei 122 “martiri repubblicani” [scritto in esilio a Parigi nel 1799 e pubblicato a Milano nell'agosto 1800; poi Osanna 1990; Lacaita 1999], mettendo in risalto le differenze col Saggio di Vincenzo Cuoco, pubblicato un anno più tardi. Benché Giuseppe Laterza l'abbia ora incluso tra i "martiri meridionali", in realtà i guai di Lomonaco non venivano dalla politica. Figlio di un illuminista, direttore di un giornale e traduttore di Mably, condannato a morte dai borbonici, rifugiato a Parigi, poi a Ginevra e infine a Milano, era divenuto bibliotecario a Brera e poi medico militare. Come tale ebbe occasione di curare Ugo Foscolo e più tardi conobbe pure Alessandro Manzoni. Nel 1800 la sua requisitoria contro il Direttorio traditore dei patrioti napoletani era cacio sui maccheroni del Primo Console; nel 1801 non era stato toccato dalla purga contro gli esuli napoletani nella Cisalpina; e nel 1805, con tutto il suo repubblicanesimo, l'avevano ammesso ad omaggiare Napoleone Imperatore dei Francesi e Re d'Italia. Pure socialmente non era messo male: il suo saggio sulla Sensibilità, ispirato a Condillac, era trendy nel 1801; Manzoni diciassettenne, impressionato dalle autocommiserazioni di quel cespuglio butterato, gli dedicò un sonetto sulla vita di Dante, che Lomonaco, atteggiandosi a novello Ghibellin fuggiasco, mise poi ad esergo alla sua biografia dell'Alighieri, prima di altre 22 "Vite di eccellenti italiani" pubblicate nel 1802. Il posto di professore di storia e geografia (1.920 lire annue, non male) al Ghislieri, appena trasformato in "scuola militare", l'aveva ottenuto nel 1805, tramite Manzoni e Vincenzo Monti, grazie a una collezione di 23 "Vite de' famosi capitani d'Italia" (1804-05), inclusi 7 brevi "paragoni" tra coppie di biografati che valsero all'autore il titolo di "Plutarco d'Italia", e la fama di "storico militare", tanto che nell'edizione postuma delle sue Opere, Lugano 1831-37, fu pure attribuito a lui il saggio "Della virtù militare e delle sue vicende presso le antiche e moderne nazioni", in realtà di un altro esule, il calabrese, Bruno Galiano, lui pure professore (di lettere) a Pavia (ma era stato licenziato nel settembre 1805 a seguito di un alterco notturno col capitano polacco addetto alla disciplina interna). I guai di Lomonaco cominciarono nel marzo 1806, col ritorno a Milano di Ugo Foscolo, finalmente congedato. Incaricato da Napoleone di far tradurre in italiano il travagliato commentario del maresciallo Berthier sulla battaglia di Marengo per adottarlo come libro di testo alla scuola militare di Modena, il ministro della guerra Caffarelli colse due piccioni con una fava affidando il compito a Foscolo. Il 13 luglio il "poeta-soldato" ne accennava enfaticamente a Pindemonte: “il povero Ugo scrive non iniussa; carte topografiche, evoluzioni di battaglie antiche e moderne, passaggi delle Alpi moderni comparati agli antichi. Però mi sto con Claviero, Gibbon, Polibio e Livio alla mano, e 136 con un libro che vi è ancora ignoto: ‘Commentari di Napoleone’; scritti o dettati da lui. Il principe Eugenio li fa tradurre e mi hanno eletto a ciò, per non uscire di letterato e militare. Eccomi dunque traduttore con tutte le potenze dell’anima, per onore della divisa Italiana e della lingua nostra militare; ma s’io tradurrò e commenterò totis viribus, avrò pari studio e pari forza per preservarmi immacolato di adulazioni”. Armamentario fuor di luogo per un incarico tanto modesto come la traduzione di qualche pagina di propaganda: per non parlare dell’idea balzana di poter commentare in proprio la battaglia su cui, mistificando, lo stesso imperatore aveva costruito la propria glorificazione. Forse proprio per questo nessuno gli fece fretta e Napoleone, come spesso accadeva, dimenticò di aver ordinato la traduzione. Forse Lomonaco lo prese come un torto? Forse fu il risentimento a fargli sbagliare, nel settembre 1806, l'enfasi del suo Discorso inaugurale dei corsi di Pavia? Lo giocò infatti tutto su una rievocazione di Machiavelli, Bruno, Campanella e Vico anziché sulla palingenesi napoleonica, il che spiacque in alto loco, tanto che il governatore della scuola, Psalidi, fu invitato a richiamare il professore. Durante il suo soggiorno a Brescia, nel giugno-settembre 1807, Foscolo gliene combinò poi una peggiore mettendosi in capo di commentare le opere di Montecuccoli, senza rispettare la prelazione di Lomonaco, il quale aveva incluso la biografia del condottiero nelle Vite di Eccellenti e un suo Elogio (opera di Agostino Paradisi) nelle Vite dei capitani. L'idea del commento gli fu forse suggerita dal presidente del consiglio legislativo, il conte Estorre Martinengo Colleoni, già ufficiale del genio prussiano e cultore di studi militari (fortificò Brescia, inventò una macchina incendiaria per difesa portuale e nel 1806 pubblicò un opuscolo sulla Milizia equestre). Nella dedica spudorata del 12 novembre 1807 a Caffarelli, “amico alle lettere ed estimatore degl’ingegni”, Foscolo scriveva: “Piaccia all’Eccellenza Vostra di risguardare questa edizione come una emanazione delle vostre liberali intenzioni, e come offerta leale di un militare, che non ha scritto mai, né dedicato verun libro per procacciarsi favore”. Appunto. Il 27 maggio 1808, contestualmente all’uscita del I volume, Foscolo ottenne infatti il richiamo in servizio sedentario a mezzo stipendio. Che s'ha da fa pe' campa'. Il 23 luglio scriveva a Mario Pietri: “io m’affretto dietro al secondo volume de Montecuccoli e mi pare mill’anni d’uscirne”. Nel gennaio 1809 Lomonaco se lo vide arrivare a Pavia, professore di eloquenza. “Da gran tempo – scriveva Foscolo all’amico Naranzi – io tentava di scansarmi dalla schiavitù della milizia; non mi pento di aver militato; mi pento bensì grandemente del tempo rapito agli studi. Ho varcati i trent’anni, e bisogna ormai ch’io pensi più alla quiete ed alle lettere che alle armi e ai ricami delle divise soldatesche”. Commentare Montecuccoli gli aveva ormai dischiuso gli arcani della strategia: un ingegno come il suo doveva dar ora al mondo la Storia dell’arte della guerra. “Per giungere ai principi e fissare la loro validità” intendeva “risalire per la scala di tutti i fatti, di tutti i tempi e di tutti gli agenti; paragonare il sistema di tutti i popoli dominatori ed il genio dei celebri capitani, onde scoprire le cause generali che influirono alle conquiste; finalmente esaminare sotto quali apparenze e con quali effetti queste cause generali agiscono ai nostri giorni”. Da tali altezze sublimi vide acutamente che la sconfitta di Sacile del 16 aprile 1809 e la ritirata strategica del viceré non reclamavano il suo brando. Certo, dichiarò più tardi, “se le faccende avessero peggiorato, io non avrei patito di starmi tranquillo nella pubblica calamità; e rivestita la divisa, avrei militato anche io, pagato o no, a piedi o a cavallo, capitano o soldato”. Ma, dal momento che sulla Raab non c’era bisogno di lui e che le cattedre d’eloquenza furono soppresse, attese finalmente a scrivere il II volume del Montecuccoli, uscito alla fine dell’anno. Sarà stato questo trombone che gli passeggiava declamando sui piedi, a indurre Lomonaco a prendere la funesta decisione di pubblicare, nel 1809, i Discorsi letterari e filosofici (ora Morano, Napoli, 1992)? Certo la rovina se l'attirò da solo, col vittimismo moraleggiante e rancoroso del loser, che, sentendosi incapace di competere per le donne e il potere, pretende di ottenerli denunciandoli come vizio. Le donne, il levantino le sfruttava senza scrupoli; il lucano le malediceva in segreto (Delle Femmine, Calice, Rionero, 2002). Quanto al potere, quello campò di rendita sul suicidio di Jacopo Ortis, l'altro si tolse dai piedi da solo. Milano non sarà mai beatamente spudorata 137 come la Roma di Onofrio Sordi nel Marchese del Grillo, ma livida e vendicativa come Peyton Place: quel pochissimo che già c'era da bere si legò al dito le criptiche allusioni a miserabili storie di corna. Dopo un violento attacco del Giornale italiano, il volume fu sequestrato dalla polizia. Lomonaco fu però difeso dal ministro della guerra e un’inchiesta interna tra i suoi allievi si espresse in termini vivamente elogiativi. In seguito il direttore degli studi propose più volte di concedere gratifiche e riconoscimenti al professore, giudicato il migliore della scuola e l’unico ad averle dato lustro con le sue pubblicazioni di “storia militare”. Il suicidio spianò la strada alle ambizioni storico-militari del Vate. Sfumate le nozze con una facoltosa contessina comasca sorella di un caduto, nel 1810 le sue critiche alle moderne traduzioni di Omero provocarono la celebre rottura con Monti e un periodo di disgrazia. Pose mano, allora, alla dimenticata traduzione del commentario di Marengo: trenta paginette, pubblicate nel 1811 dalla Stamperia Reale, che gli valsero l’incarico, datogli dal ministro Fontanelli, di compilare la storia dell’esercito cisalpino–italiano. “Ma ciò – scrisse poi Zanoli – non sortì effetto, e per essere andato Foscolo in Toscana nel 1813 (rectius nell’agosto 1812), e poi per aver palesato la strana ambizione di aver titolo d’istoriografo dell’esercito, siccome lo ebbe inutilmente del regno Monti Vincenzo”. Nell’ottobre 1813, appresa a Firenze la notizia di Lipsia, Foscolo tornò a Milano, riprendendo servizio quale capitano: non però al fronte, ma a disposizione del ministero della guerra, impiegato per la propaganda a favore dell’arruolamento dei volontari. Redigere proclami era in fondo l’incarico più confacente al letterato che confondeva la storia con l’“esortazione alle storie”. Il 26 aprile 1814 Pino, nuovo comandante nominale dell’esercito, lo promosse capobattaglione per aver sottratto il generale Peyri al linciaggio durante i tumulti del 20. Foscolo andò poi a Genova da Lord Bentinck a portargli una copia del Montecuccoli e un assurdo progetto per far ribellare le truppe italiane accantonate tra Bergamo e Brescia e chiamare gli inglesi a scacciare gli austriaci. Gli fu in seguito rimproverato di non aver disdegnato le lusinghe del maresciallo Bellegarde che gli offriva la direzione di una rivista né la speranza, delusa, di ottenere la pensione per sé e per il fratello Giulio, tenente del 3° cacciatori a cavallo. Gli va tuttavia riconosciuto di essere infine partito in esilio il 31 marzo 1815, per non prestare il giuramento all’imperatore Francesco I richiesto agli ufficiali ex-italiani. Nel 1816 comparve la prima tragedia di Manzoni, "Il Conte di Carmagnola", ispirata dalla biografia scritta da Lomonaco: mezzo secolo dopo Manzoni dedicò all'amico un commosso ricordo, pubblicato però solo nel 1876 sul Corriere della Sera. Di Foscolo e Lomonaco, come "storici militari", parliamo oggi solo perché a Milano, per prezioso contrappunto, ne capitò allora uno vero. Era uno svedese, Gustaf Wilhelm af Tibell (1778-1832), che aveva fondato l'"Accademia" (nel senso di salotto culturale) militare di Stoccolma e che fu poi ministro della guerra del suo paese (il ritratto ricorda il generale del film Il pranzo di Babette). A Milano, nel 1801-02, Tibell fondò sia il Deposito della guerra e il corpo degli ingegneri topografi, sia un cenacolo analogo a quello svedese e la prima rivista militare italiana (il Giornale dell'Accademia militare italiana). Era davvero di altissimo livello tecnico-scientifico e perciò fu un miracolo se tra quegli zulù durò addirittura più di un anno (dall'aprile 1802 al giugno 1803) con 883 copie vendute. Sulla rivista Tibell tracciò in modo chiaro lo statuto epistemologico e il metodo della storia militare professionale e scientifica, nata dalle "memorie militari" allegate alle carte topografiche e caratterizzata dall'intento di "rendere conto in una maniera molto particolareggiata delle operazioni militari" per servire all'elaborazione e alla critica della scienza e della dottrina militare. Finalmente nel luglio 1803 Tibell comprese che razza di gente aveva davanti e se ne tornò in Svezia. Ovviamente la scuola militare di Milano finì intitolata non a lui, l'unico che se lo sarebbe meritato, ma a Pietro Teulié, un avvocaticchio giacobino con tanto di orecchino, disastroso sia come sindacalista degli antemarcia sia come ministro della guerra cisalpino-italico, che nel 1807 si fece stupidamente ammazzare da una cannonata mentre, ubriaco come una cucuzza, inveiva a cavalcioni di una batteria contro le mura di Kolberg [difesa da Gneisenau, interpretato da Horst Kaspar nel famoso film di Veit Harlan del 1944]. 138 Creando un contesto culturale, Tibell poté spremere qualche stilla di pensiero militare perfino dagli ufficiali italiani, almeno da qualche giovane più dotato, ma non riuscì a impiantare una scuola italiana, tanto meno a promuovere una storiografia militare nazionale. Poteva riuscirci se fosse rimasto a Milano più a lungo? C’è da dubitarne. Non ne esistevano infatti né i presupposti politici né le condizioni culturali. Una storia militare scientifica presuppone l’indipendenza, la piena sovranità del Principe. Uno stato semplicemente autonomo, privo del ius belli ac pacis; uno stato maggiore puramente esecutivo, senza la responsabilità del piano generale di campagna, non producono storia scientifica, ma soltanto ideologia e propaganda. La storia come istorìa e intelligence è incompatibile con la dipendenza, perché la smaschera, delegittimando l’ordine costituito. Una classe dirigente selezionata dallo straniero per svolgere un ruolo subalterno e non nazionale, avverte istintivamente il rischio di essere radicalmente delegittimata da una visione scientifica e oggettiva dei rapporti politico-militari e finisce sempre, senza averne magari piena coscienza, per respingere ed espellere il corpo estraneo, come avvenne puntualmente con Tibell. Nessuno tentò di trattenerlo o di proseguire al suo posto l’azione culturale intrapresa e che, solleticando effimere vanità di vedersi pubblicati sul Giornale o ricevuti dall’accademia, dovette suscitare nella massa dei dirigenti militari italiani (traîneurs de sabre, ex-avvocati politicanti o al massimo geometri e ragionieri in uniforme) rabbiose ansie da confronto. Non stupisce perciò che il suo nome sia stato cancellato non solo dalla memoria ufficiale, ma perfino dai ricordi di chi occasionalmente e distrattamente collaborò con lui. Quanto alla cultura nazionale, essa era ancor più intrinsecamente refrattaria del governo e dello stato maggiore italiani alla storia militare scientifica. Continuava infatti, come nell’antico regime, a coniugare universalismo e particolarismo, il mondo commisurato al municipio: dove l’unico tocco davvero moderno era la sostituzione del cosmopolitismo borghese all’umanesimo. Centrale era perciò, nella cultura politica italiana, la questione costituzionale, non quella della sovranità: non l’impossibile conquista di un potere indipendente, ma la concreta ripartizione di quello delegato. L’esercito nazionale era percepito in modo puramente sociale, da un lato come onere, dall’altro come parte della classe dirigente: non come lo strumento di un disegno politico; che non c’era e non si voleva. E la storia militare passava quindi da una funzione critica ad una funzione ideologica, dal reparto operazioni al reparto propaganda. Da Tibell, appunto, a Foscolo. Opere di Lomonaco: Rapporto al cittadino Carnot, (1801), Analisi della sensibilità, delle sue leggi e delle sue diverse modificazioni considerate relativamente alla morale ed alla politica (1801); Vite degli eccellenti italiani (1802); Vite de'famosi capitani d'Italia coll'aggiunta dell'"Elogio di Raimondo Montecuccoli", scritto da Agostino Paradisi (1804-05); Discorso augurale (1805); Discorsi letterarj e filosofici : aggiuntavi la risposta ad una critica anonima (1809). Queste ristampate in Opere di F. L., Tip. Ruggia, Lugano 1831-37, 9 voll. Edizioni recenti: I Condottieri (A. Barion, Milano, 1937); Rapporto (Osanna, Venosa, 1990; P. Lacaita, Manduria, 1999); Discorsi (Morano, Napoli, 1992); Delle Femmine (Calice, Rionero in Vulture, 2002). Bibliografia: Pietro Borraro (cur.), F. L. un giacobino del Sud, atti del 2. Convegno nazionale di storiografia lucana : Montalbano Jonico - Matera, 10-14 settembre 1970, Galatina, Congedo, 1976. P.A. De Lisio, Per F. L., Napoli, 1975. Nunzio Campagna, Un ideologo italiano: F. L., Milano, Marzorati, 1986. F. De Vincenzis (cur.), La misura dello sguardo. F. L. e il pensiero europeo, Napoli, Osanna Venosa, 2002. Michele Giuseppe Scaccuto, "Eresie" su F. L., Firenze, Atheneum Maremmi, 2004. Antonio Di Chicco, F. L., Patriota, letterato, filosofo, Giuseppe Laterza, 2010 (Profili di martiri meridionali). Leonardo Selvaggi, F. L., Prospettiva editrice, 2010. 139 7. GENESI DELA PRIMA BIBLIOGRAFIA MILITARE ITALIANA (Agosto 2011) 1. La bibliografia militare antica e moderna di Gabriel Naudé (1637) A giudicare dai repertori redatti nell'Ottocento, si può stimare che nei tre secoli precedenti siano stati pubblicati in Europa oltre diecimila trattati e monografie di arte, storia e scienze militari. Forse la più antica bibliografia militare è l'elenchus di 123 opere de re militari aut ad eam spectantia incluso nella Bibliotheca selecta del gesuita mantovano Antonio Possevino (1533/4-1611)400. Naturalmente era esclusa l’Arte della guerra di Machiavelli e compreso il Soldato cristiano, scritto nel 1569 dallo stesso Possevino per ordine di Pio V in occasione della spedizione in Francia del contingente ausiliario pontificio. La lista abbondava in opere di carattere giuridico e teologico, soprattutto di padri e dottori della Chiesa, mentre quelle di carattere tattico, strategico o tecnico erano solo 20: • 2 sezioni di enciclopedie (Iul. Afr. VII e Isid., Etym. XVIII); • 10 scriptores veteres (Polibio, Cesare, Onasandro, Frontino, Eliano, Polieno, Vegezio, Maurizio, Leone VI e Urbicio); • 8 scriptores moderni: tre anteriori a Machiavelli (Valturio, Cornazzano e Della Valle) e tre posteriori (Ferretti, Brancaccio e Fiammelli), oltre al matematico Tartaglia e al filologo fiammingo Lipsio. Il primo censimento dei manoscritti e delle opere a stampa di argomento militare si deve però a Gabriel Naudé (1600-1653). Sollecitato dagli amici a completare la sua bibliographia politica con una militare, il bibliotecario del cardinal Mazzarino vi dedicò un capitolo del Syntagma de studio militari, scritto a Rieti nel 1636 e stampato a Roma nel 1637401. Il medico ateo e libertino, ammiratore di Machiavelli e autore del primo trattato sul colpo di stato, preveniva l'obiezione di incompetenza, affrontando nella lettera al benigno lettore402 il rapporto tra erudizione ed esperienza e sostenendo che la lectio dei classici antichi dava per sé sola una sufficiente legittimazione a trattare de recta bellorum administratione, come del resto avevano già fatto prima di lui altri politografi, in particolare Elia 400 Bibliotheca selecta de ratione studiorum, Romae, 1593; Venetiis 1603, tom. I, lib. V, cap. 6, ff. 208-211 (elenchus aliquorum qui scripsere de re militari aut ad eam spectantia). Bibliografia su Possevino in Bozza, Scrittori, cit., pp. 77-79. Cfr. A. P. Farrel, The Jesuit Code of Liberal Education. Development and Scope of the Ratio Studiorum, Milwaukee, The Bruce Publishing Co., 1938 (cit. in Gian Paolo Brizzi, La formazione della classe dirigente nel Sei-Settecento, Bologna, Il Mulino, 1976, p. 57 nt. 35). 401 Syntagma de studio militari ad illustrissimum iuvenem Ludovicum ex comitibus Guidiis a Balneo, Romae, ex Typographia Iacobi Facciotti, 1637, lib. II Ducis Officium, cap. IV, pp. 513-14; Naudaei Bibliographia militaris, Jenae, 1683, inclusa in Thomas Crenius, De eruditione comparanda, Leyden, 1699. Naudé, Bibliographia politica a cura di D. Bianco, Roma, Bulzoni, 1997. 402 Synt., Auctor Benevolo Lectori: “nec acies unquam vidissem, nec castra, nec hostem, ac ne quidem gladium apte cingere, aut educere de vagina possem”. Secondo Naudé la scientia belli administrandi (o militaris) si può acquisire (comparare) in due soli modi, experientia et lectione (pp. 504 e 507-8). Prestato un lip homage all’autorità di Aristotele e Cicerone (che, in riferimento alla medicina, all’oratoria e all’ars imperatoria anteponevano la pratica alla teoria), Naudé vi contrapponeva l’opinione di Botero, che giudicava la lectio rerum militarium superiore all’esperienza; e, significativamente, non citava l’exemplum di Formione. Bisogna però osservare che, nonostante il carattere tendenzialmente omnicomprensivo attribuito all’administratio belli dalla letteratura politologica, questa in realtà tratta soltanto le dimensioni morali, giuridiche e politiche, astenendosi dall’affrontare la condotta tecnica della guerra (belli gerendi ratio, Naudé p. 512). Fu invece il maresciallo di Puységur (1655-1743), che era stato capo di stato maggiore (maréchal général des logis) del maresciallo di Luxembourg, a sostenere la tesi paradossale di un’autosufficienza assoluta dello studio teorico, proponendosi di dimostrare che “sans guerre, sans troupes, sans armée, sans être obligé de sortir de chez soi, par l’étude seule, avec un peu de géometrie et de géographie, on peut apprendre toute la théorie de la guerre de campagne” (Art de la guerre par principe et règles, Paris, 1748, I, p. 2). 140 Reusner403. Pur non citandola esplicitamente, Naudé evocava qui la "questione di Formione" che percorre in definitiva tutta la storia della trattatistica e della storiografia militare, dovute in massima parte ad autori estranei alla milizia (specialmente ecclesiastici), e perciò vulnerabili al paragone col peripatetico, ridicolizzato da Cicerone, che pretendeva di dare lezioni de imperatoris officio et de omni re militari ad Annibale404 e il cui fantasma popolava i complessi di inferiorità di Machiavelli impietosamente sfruculiati da Matteo Bandello405. Tra i testi rilevanti, Naudé includeva anzitutto la storia antica, sorta di archivio segreto da cui si poteva secretas cogitationes et imperiorum arcana ... expiscare406. Poi le biografie dei grandi condottieri - che imparano spesso l’un l’altro, come il sultano Selim I Yavuz (1512-20) dai commentari cesariani - e infine gli auctores de re militari, inclusi greci, romani e 271 recentiores, classificati in sette categorie: • 25 antiqui deperditi, pp. 514-17; • manoscritti greci, arabi, latini e volgari in bibliothecis latentis, pp. 518-25; • antiqui editi, pp. 525-31; • 17 recentiores qui scripserunt de militia antiquorum in se tantummodo spectata407, pp. 531-33; • 21 tum de veteri, et nova inter se collatis408, pp. 533-35; 403 Stratagematographia sive Thesaurus Bellicus, docens quomodo Bello justi et legitime suscipi, recte et prudenter administrari, commode et sapienter confici debeant: ex latissimo et laetissimo Historiarum campo Herculeo labore erutus ab Elia Reusnero Leorino, Histor. in Illustri Solana Profess. Pub. Cum ejusdem Synopsi et gemino Indice locupletissimo, altero Historiarum, altero Rerum memorabilium, Francofurti, Prestat apud Johannem Andream, et Wolfgangi Endteri Junioris haeredes (1609) 1661. 404 Cicero, De oratore, II. 18.75-76 e II. 19.77, 254, 256. L'episodio di Formione è messo in bocca a Quinto Lutazio Catulo Cesare (149-87 a. C.), che nel 102 fu console con Mario, al quale dovette cedere la gloria della vittoria di Vercelli (commemorata dal Tempio della Dea Fortuna o Monumentum Catuli, presso l'odierno Largo di Torre Argentina). Ricchissimo e di cultura greca, fu poeta, oratore e, pare, autore di una storia della sua campagna contro i Cimbri scritta nello stile di Senofonte. Geloso di Mario e passato perciò con Sulla, già suo luogotenente nella campagna cimbrica, morì infine suicida come Annibale. 405 Nella lettera del 4 aprile 1526 a Guicciardini in cui, raccontandogli di esser stato richiesto dal papa Clemente VII di un parere sulle fortificazioni di Firenze, Machiavelli gli esprime il timore di far la figura di "quel Greco con Annibale". E proprio quel paragone è richiamato da Matteo Bandello nella Novella I.40, in cui il povero Niccolò fallisce, sotto lo sguardo ironico di Giovanni delle Bande Nere, la dimostrazione pratica dell'ordinanza teorizzata nell'Arte della Guerra. Cfr. Frédérique Verrier, "Machiavelli e Fabrizio Colonna nell'arte della guerra: il polemologo sdoppiato", in JeanJacques Marchand (cur.), Machiavelli politico, storico, letterato: Atti del Convegno di Losanna, 27-30 settembre 1995, Roma, Salerno Editrice, 1996, p. 184. Robert Fredona, "Liberate diuturna cura Italiam. Hannibal in the Tought of Niccolò Machiavelli", in David S, Peterson with Daniel E. Bornstein (Eds), Florence and Beyond. Culture, Society and Politics in Renaissance Italy, Essays in Honour of John M. Najemy, Centre for Reformation and Renaissance Studies, Victoria University in the University of Toronto, Toronto, Ontario, 2008, pp. 430-31. 406 Syntagma, cit., p. 509. 407 1. Petrus Ramus (lib. de moribus vet. Gallorum; comment. ad Caes.); 2. Reinardus Senior comes Solmensis; 3. Samuel Petitus (lib. VIII legum Acticarum); 4. Nicolaus Cragius (Rep.Laced. III, tab. XII); 5. Meursius (de Cecropia seu Arce Athen.); 6. Kyrianus Stroza (ad Arist. polit., I); 7. Iacobus Fater Stapenlensis (Hecatonia, leges Socratis et Platonis de militia retulit); 8. Iustus Lipsius; 9. Franciscus Patricius; 10. Ioannes Antonius Waltrinus S. J. (de re militari veterum Romanorum lib. VII); 11. Henricus Saviles anglus; 12. Albericus Gentili (de militia Romana, sic); 13. Robertus Valturius; 14. Franciscus Ferretti; 15. Roasius; 16. Claudius Salmasius; 17. Barnaba Brissonius (lib. IV formularum qui totum de militaribus est). 408 1. Patricius (Paralleli); 2. Hermannus Hugo S.J.; 3. Domenicus Cyllenius; 4. Auctor Florentinus politicae damnatae (Machiavelli); 5. Ludovicus Regius (lib. IX de vicissitudine rerum instituit militiae romanae cum moderna); 6. Alexander Sardus (de moribus et ritis gentium lib. III); 7. Polidorus Vergilius (adagiorum liber de inventoribus rerum seu proverbia); 8. Aegidius card. Columna (sententiarum); 9. Petrus de Gregorius alias Tholosanus (lib. XI Reipublicae qui est de militari cura; lib. XXV sintaxeos admirabilis); 10. Adamus Contzen (lib. X Politicorum de perfecta Reipublicae forma); 11. Antonius Zara (Anatomia ingeniorum et scientiarum, Sect. 2a, memb. XV de Militia); 12. M. A. Petilius iur.cons. Neapolitanus (lib. IX Exarchiae, sive de exteriori principe munere); 13. Carolus Scribanius (Politicus Christianus libri II); 14. Justus Lipsius; 15. Hugo Sempilius (libb. II et V de mathematica disciplina, ubi catalogum addit, auctorum qui de 141 • 233 ac demum de nostra et eius partibus singulis eo ordine dispositi quae nos in hoc syntagmate observavimus409, pp. 535-45; • exqualibus laudantur praesertim a ducibus compositi, pp. 545-50. 2. L'elenco delle bibliografie militari redatto da Petzholdt nel 1857 Quasi in risposta alla perorazione di Edouard de la Barre Duparcq (1819-94) per una guida bibliografica alla letteratura militare410, il celebre bibliotecario Julius Petzholdt (1812-1891) pubblicò nel 1857 un elenco delle bibliografie militari, che si apriva con le due di Naudé (il Syntagma del 1637 e la Bibliographia militaris, stampata postuma nel 1683). A parte un opuscolo di sei pagine pubblicato a Londra nel 1659 (Bibliotheca Militum or the Souldiers publick Library), tutte le altre sono successive al 1703 e, senza tener conto dei supplementi e delle riedizioni, il totale arriva a 148: 24 a carattere generale, 9 aggiornamenti e il resto a carattere particolare, tra cui 29 di artiglieria e genio, 21 di geografia e cartografia e 5 di marina, più 23 cataloghi di biblioteche militari centrali o reggimentali e 14 di librai. Quelle pubblicate nel Settecento sono 39, di cui sette generali, a cominciare dall'Entwurf einer Soldaten-Bibliothec di Johann Tobias Wagner (Lipsia, 1724, di 424 pagine). Seguono quelle di Jean Michel de Loen (1743), Ferdinand Friedrich von Nicolai (1765) e Johann W. von Bourscheid (1781-82), il catalogo del libraio Walther (1783) e le due incluse nelle opere enciclopediche di scienza e arte militare pubblicate rispettivamente da Gottfried Erich Rosenthal (Encyclopädie der Kriegswissenschaften, 1794-1803) e dal futuro generale dell'artiglieria sassone von Hoyer (Geschichte der Kriegskunst, 1797-1800). Autore di innumerevoli opere, Johann Gottfried von Hoyer (1767-1848) pubblicò nel 1809 una introduzione allo studio della storia militare per i giovani ufficiali411 e nel 1829-40 una nuova bibliografia aggiornata412. Il catalogo del libraio di Dresda Conrad Salomon Walther (1738-1805), aggiornato sino al 1799, era articolato in sedici rubriche: tattica e arte della guerra; artiglieria; mine; genio; fanteria; cavalleria; truppe leggere; stratagemmi; regolamenti; diritto militare; commissariato; medicina; marina e idrografia; scherma: storia militare e miscellanea. I fratelli Walther pubblicarono pure, nel 1803, una rassegna del principe de Ligne di 347 opere militari da lui possedute (Catalogue raisonné de la bibliothèqe du prince de Ligne). militari arte scripserunt; sed tam confuse, negligenterque concinnatum, ut eo non magis lector iuvari possit, quam si editus numquam fuisset); 16. Ioannes Baptista Donius (in magno opere suo philologico, titulo de militia fecisse); 17. Erricus Rohanus (qui nunc in Tellina valle sub Christianissimo Rege castrorum preaefectus); 18. Guillaume du Bellay de Langey; 19. Imperiale Cinuzzi (de disciplina militari antiqua et moderna); 20. Achille Tarducci; 21. Ruggero de Loria. 409 L’elenco include 42 autori di opere a carattere generale (di cui 35 veram rationem continentes e 7 literarum meditationibus similia), 11 di miscellanee, 6 di trattati sui privilegi dei milites e sulla cavalleria, 10 sul reclutamento, 15 sull’oplomachia e i tornei, 5 sulla milizia equestre, 8 sulla milizia cristiana, 7 sull’addestramento delle reclute, 9 di esempi, 2 sull’eloquenza militare, 7 di matematica, 16 d’artiglieria, 32 di architettura militare, 6 sugli assedi, 10 sulla tattica della fanteria, 26 di teologia e diritto bellico, 11 di medicina militare e 10 di diritto amministrativo militare. Naudé (p. 545) giustifica la mancata menzione degli auctores di naumachia perché le battaglie navali loco tantum differunt da quelle terrestri. 410 Edouard De La Barre Duparcq, "Des Sources Bibliographiques Militaires", dans le Spectateur Militaire, 2e Série, 31e Année, XV juillet-septembre 1856, pp. 380-408. 411 J. G. Von Hoyer, Versuch junge Offiziers zum Studium der Kriesgeschichte aufzumuntern, Tübingen, in der F. H. Cotta'schen Buchhandlung, 1809. 412 J. G. Von Hoyer, "historische Übersicht der Militair-Literatur", in Hermes, oder kritisches Jahrbuch der Literatur. Leipzig. 33. Band 1829 (Erster Abscnitt), 34. Band 1830 (Zweiter Abschnitt: "Vom Jahre 1740 bis auf die neuesten Zeiten", pp. 301-51); 35. Band 1831 (Dritter Abschnitt: "Die Kriegsgeschichte seit dem Jahre 1740", pp. 199-261). Id., Litteratur der Kriegswissenschaften und Kriegsgeschichte, Berlin, Herbig, 1831; Bd 2, Nebst Fortsetzung von 18311840, Berlin, Herbig, 1840. 142 Delle altre bibliografie settecentesche, due riguardano la letteratura militare antica (1708 e 1780)413: dieci l'architettura militare e le fortificazioni (la prima, di Leonhard Christian Sturm, nel 1703), sei l'artiglieria, quattro la geografia, tre rispettivamente la matematica militare (1754 Le Blond), la medicina (1764 Baldinger) e la marina (1793 Röding) e una la letteratura militare degli ultimi quindici anni del secolo (Ersch, 1795-1807). Tra le speciali, Petzholdt omette quella degli scrittori spagnoli pubblicata nel 1760 a Madrid da don Vicente García de la Huerta (1734-87). Le bibliografie del 1800-1830 sono 55, contro 54 del 1831-57. Rispetto al secolo precedente aumentano le generali (11 e 6), gli aggiornamenti (1 e 5), le cartografiche (8 e 9), le marittime (2 e 2) e i cataloghi di biblioteche (8 e 13) e librerie (6 e 8) specializzate. Compaiono inoltre le nazionali italiane (2 e 2), mentre diminuiscono quelle di artiglieria e genio (8 e 3). In compenso troviamo nel 1813 la bibliografia di Johann Samuel Ersch (1766-1828) sulle applicazioni militari delle scienze matematiche, fisiche e meccaniche, aggiornata nel 1828 da Franz Wilhelm Schweigger-Seidl (17951838). E inoltre una bibliografia anonima di economia militare (Lipsia, 1826), una di cavalleria e ippologia del barone Friedrich Wilhelm von Bismarck (1783-1860) e una sui tornei e la cavalleria medievale (di F. A Frenzel, 1850). Una delle bibliografie ottocentesche più interessanti è il catalogo sistematico e cronologico di 10.806 opere redatto dal tenente prussiano Heinrich Friedrich Rumpf (Littérature universelle des sciences militaires) e pubblicato a Berlino in due volumi nel 1824-25. L'opera, la più ampia apparsa fino ad allora, era suddivisa in otto parti: letteratura delle scienze militari; storia delle scienze militari; autori greci e romani; enciclopedie: arte militare in generale; armi; amministrazione; tattica. Nel 1850 un altro ufficiale prussiano, il capitano Arwied von Witzleben, pubblicò una bibliografia militare tedesca dell'"ultimo secolo", cioè successiva al 1750. Petzholdt non cita la Biblioteca marítima española raccolta in due enormi volumi da don Martín Fernandez de Navarrete y Ximenez de Tejada (1765-1844), ufficiale di marina, storico della nautica e delle esplorazioni geografiche e infine direttore dell'Accademia di storia. Quest'opera fu pubblicata postuma nel 1851, "de real órden". 3. La catalogazione sistematica della letteratura militare moderna Luigi Loreto è l'unico autore che abbia affrontato in modo rigoroso la complessa questione dei sottogeneri in cui sembra in parte articolarsi la letteratura militare antica414. Il problema è aggravato in questo caso dalla scarsità dei testi pervenutici, ma riguarda pure la letteratura militare moderna e contemporanea, perché la formazione e l'evoluzione dei sottogeneri dipende da una molteplicità di fattori culturali e sociali, come dimostrano i primi tentativi di ricostruire la genesi del pensiero militare occidentale415. I sottogeneri tralatizi della letteratura militare moderna, diversi dall'antica e dalla contemporanea, appaiono già abbastanza stabilizzati nella seconda metà del Cinquecento, con un ripartizione di massima fra i trattati di arte o disciplina militare, i trattati di politica ("ragion di guerra", administratio belli e officio del capitano generale), i trattati tecnici e le opere di storia militare. 413 Ernst Salomon Cyprian (1663-1745), "De claris scriptoribus veteris Rei Militaris" (1708), nei Selecta Programmata, pp. 21-26. Jeremias Wöldicke (1736-87), Index Bibliothecae militaris Scriptorum veterum graeco-latinorum (Soroe, 1782). 414 Cfr. Luigi Loreto, “Il generale e la biblioteca. La trattatistica militare greca da Democrito di Abdera ad Alessio I Comneno”, exc. da Giuseppe Cambiano et all. (cur.), Lo spazio letterario della Grecia antica, II. La ricezione e l’attualizzazione del testo, Salerno editrice, Roma, s. d. (ma 1997), pp. 563-589. 415 Azar Gat, The development of military thought: the nineteenth century, Oxford University Press, Oxford, 1992. A history of military thought: from the Enlightenment to the Cold War, Oxford University Press, Oxford, 2001. Christophe Wasinski, Rendre la guerre possible. La construction du sens commun stratégique, Université Libre de Bruxelles. Bruxelles, 2010. 143 Queste ultime si articolano a loro volta in storia delle guerre, biografie e storia delle istituzioni militari, e solo a cavallo tra Sette e Ottocento si sviluppa la storia militare in senso professionale, prodotta dagli uffici topografici degli stati maggiori416, intesa come studio sistematico delle campagne e diretta all'elaborazione di piani di campagna, dottrine d'impiego delle forze e principi strategici. La letteratura tecnica era formata da due apporti, distinti ma pure relativamente combinati e sinergici: quello della pratica di guerra e quello della fisica e matematica applicata alla meccanica e alla chimica di uso militare. Si sviluppano così i sottogeneri dell'architettura militare e della fortificazione (non del tutto coincidenti), dell'artiglieria (costruzione, balistica e pirotecnica), della navigazione, della cartografia, della meccanica di precisione (compasso, telescopio), che a loro volta favoriscono un approccio "geometrico" alla tattica417. Altri settori specifici, empirici, erano quelli dell'ippologia (allevamento, ippiatria, equitazione), dell'oplomachia, del diritto militare e di guerra, dell'eloquenza militare, delle scienze cavalleresche (inclusi "emblemi" e "imprese"), della medicina (e specialmente della cura delle ferite d'arma da fuoco e della profilassi igienica) e infine dell'"economia" (amministrazione) militare. Buona parte delle opere e più ancora degli autori (che spesso praticano più sottogeneri e li intrecciano nelle singole opere) è però troppo eclettica per lasciarsi inquadrare senza problemi in questa embrionale classificazione. Attorno all'alveo centrale degli autori omogenei alle tradizioni corporative e perciò integrati nei generi letterari definiti, scorre infatti il flusso lutulento degli irregolari, tra cui talora si incontrano gli innovatori. Per tutti costoro le pur necessarie categorie sistematiche sono veri e propri letti di Procuste. Studiare la genesi, lo sviluppo, la confluenza e l'esaurimento dei generi e sottogeneri letterari richiede un approccio filologico. E' tuttavia l'unico modo di penetrare davvero a fondo nella intima coerenza di un campo del sapere. L'approccio dogmatico, pur con tutti i suoi meriti didattici, alla fine si avvita in pseudo questioni (ad esempio se la guerra sia arte o scienza) e concetti inutili (come i "principi della guerra", che variano da paese a paese, da epoca a epoca e da autore a autore e servono solo a sgranare il rosario della pedanteria). Del resto la sistematica amatoriale degli armchair generals non può competere con quella professionale della filosofia tedesca, la quale non ha infatti mancato di sistematizzare pure lo scibile militare, rubricandolo sotto il concetto di "scienza/e della guerra" (Kriegswissenschaft/en). Nel 1815 il filosofo sassone Wilhelm Traugott Krug (1770-1842), già autore di una famosa Enciclopedia sistematica delle scienze, individuò dodici scienze militari, a loro volta riunite per tre in sottogruppi. Armamento, addestramento, logistica, fortificazione, tattica e strategia formavano le scienze militari "principali" (Militärische Hauptwissenschaften), e i sottogruppi "materiale" e "formale": e le prime quattro venivano ribattezzate con curiosi neologismi greci (Hopletik, Stratiotik, Paraskeuastik e Periteichistik). Meno banale è invece la classificazione delle scienze ausiliarie (Militärische Hülfwissenschaften), a loro volta divise nei sottogruppi, "grafico" e "storico". Il primo include iconografia (Kriegszeichenlehre o Militärgraphik), geografia e statistica militare. Acuta e originale è poi la tripartizione della storia 416 V. Ilari, "La storia militare tra topografia e retorica: Gustav Wilhelm af Tibell (1772-1832) e Ugo Foscolo (17781827)", rielaborazione (online su scribd) del capitolo 17 della Storia Militare del Regno Italico 1801-1814, Roma, 2004, vol. I, tomo I, pp. 407-435. Cfr. pure Id., "Lomonaco, Tibell e Foscolo. Storia militare di un suicidio filosofico", in Risk, N. 15, 2010, pp. 64-69. Il modello era la rivista Mémorial topographique et historique rédigé au dépôt de la guerre, e divisa in due sezioni, la I topografica e la II storico-militare. Le prime sette annate furono pubblicate tra il 1802 (I) e il 1810 (VII) e le pubblicazioni ripresero solo nel 1825 (VIII), mantenendosi però ancora saltuarie. Nel N. 2 Historique del 1803 la rivista pubblicò una "Notice sur les principaux Historiens, anciens et modernes, considérés militairement. Suivie d'un Catalogue alphabétiques des Auteurs cités dans la Notice, Avec indication des meilleures éditions", pp. 42122. 417 Jean-Baptiste Imbert, Communauté de principes entre la tactique et la fortification, démontrée à l’aide du dessin des « travaux de l’attaque, par le Maréchal de Vauban », Paris, Imeert, 1823; Anselin, 1835. 144 militare in storia delle guerre, dell'arte della guerra e dei guerrieri (Kriegsgeschichte, Kriegskunstgeschichte, Kriegergeschichte)418. Diversa è la questione della formazione degli ufficiali, perché qui l'esigenza non è più quella solo scientifica di classificare o rubricare la reale produzione per studiare la genesi del pensiero, bensì quella pratica di stabilire un percorso di studi in uno specifico contesto istituzionale e culturale. Il tema accomuna la ratio studiorum dei gesuiti alla funzione pedagogica dell'enciclopedismo illuminista. Così non stupisce lo spazio dedicato nell'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert alle voci "Ecole militaire" (con riferimento alla nuova istituzione francese) e "Etudes Militaires", nel quale è riprodotto un articolo del celebre artigliere e ingegnere Guillaume Le Blond (1704-81) sulla formazione matematica degli ufficiali comparso sul Mercure de France dell'agosto 1754419. 4. Se mille libri vi sembran pochi ... Tre cataloghi di biblioteche militari del primo Ottocento Dopo la guerra del 1812-15, gli Stati Uniti decisero di aggiornare e accrescere la loro cultura militare, e perciò inviarono in Europa, con il compito di acquistare i migliori libri militari, il colonnello brevettato William McRee (1788-1833) e il maggiore brevettato Sylvanus Thayer (17851872), in seguito divenuto brigadiere e passato alla storia come "The Father of West Point". La missione terminò nel 1817, e il primo catalogo della biblioteca dell'Accademia Militare, redatto nell'agosto 1822420, censiva 909 volumi e 45 carte geografiche, per oltre due terzi in francese. I volumi strettamente militari erano però solo 443, suddivisi in cinque sezioni: Engineering and Fortification (64), Military Art and Tactics (71), Artillery, Infantry, Cavalry and Military Regulations (134), Campaigns, Military History and Memoirs (115) e Architecture, Bridges, Canals, Prospective and Topography (59). Il resto della biblioteca era ripartito in sei sezioni: Mathematics and Navigation (78), Natural Philosophy (84), Chemistry, Mineralogy, Natural History and Arts (27), Geography (81), History, Biographies and Travels (123) e Miscellaneous (128). Questo apparato, striminzito ma essenziale, funzionò davvero come food for brain. Nel 1856, trascorsa una generazione, un primo lotto di 134 volumi militari pubblicati negli Stati Uniti era in vendita in una libreria londinese, che pubblicava l'annuncio sulla semi-ufficiale rivista Hart's Army List421. Tra questi libri c'erano due traduzioni di Jomini, le due riviste militari fondate da Benjamin Homans, i trattati di fortificazione di Dennis Hart Mahan (1802-71) e quelli di artiglieria di Alfred Mordecai (1804-87), nonché il primo scritto di George Brinton McClellan (1826-85), il futuro comandante dell'Armata del Potomac, che a quell'epoca si trovava in Crimea come osservatore. 418 Ueber die Nothwendigkeit des Studiums der Kriegswissenschaften aut teutschen Universitäten, Leipzig bei Wilhelm Rein, 1814. System der Kriegswissenschaften und ihren Literatur enzyklopädische dargestellt nebst zwei militärischpolitischen Abhandlungen, Leipzig, bei Wilhelm Rein, 1815. "Versuch einer systematischen Enzyklopädie der Kriegswissenschaften nebst zwei militärisch-politischen Abhandlungen", in Enzyklopädische und vermischte Schriften vom D. Wilhelm Traugott Krug, Leipzig, bei Georg Wigand, 1845, I, pp. 377-428. 419 "Plan des différentes matières qu'on doit enseigner dans une Ecole de Mathématique Militaire", dans le Mercure de France, Aôut 1754, pp. 46-60. Rip. dans l'Article "Etudes Militaires", de l'Encyclopédie ou Dictionnaire Universel raisonné des connaissances humaines, mis en ordre par M. [Fortunato Bartolomeo] De Felice, T. XVII, Yverdon, 1772, pp. 490-494. V. aussi l'Article "Ecole Militaire, ibidem, XV, pp. 200-212 420 The Earlierst Printed Catalogue of Books in the United States Military Academy Library, (s. l. né a.), foreword by Dr. Sidney Forman, Librarian, USMA, e ristampa del Catalogue of Books in the Library of the Military Academy, August 1822, Printed by Ward M. Gazlay, Newburg, N. Y. 421 A List of Books of Military Art and Science Published in the United States of America for sale by Trübner & Co., in The New Annual Army List and Militia List, for 1856 (being the seventeenth annual volume) by Major Henry G. Hart, London, John Murray, 1856. 145 Del resto i mille libri di West Point non erano poi così pochi a confronto col patrimonio delle biblioteche militari tedesche. Nel 1834 quella di Monaco422 ne aveva 4.870, di cui 2.366 "ausiliari" e 2.503 propriamente militari. Le sezioni militari erano: Ordinamento (79), Regolamenti (186), Tattica (123), Guerriglia (56), Artiglieria (153), Genio, distinto tra "arte delle costruzioni di guerra" (117) e "guerra di fortezza" (45), Servizio di stato maggiore (30), Geografia militare, topografia e analisi del terreno (54), Arte della guerra e strategia (224), Storia militare e biografie (1.100), Uniformi (15). I settori ausiliari più cospicui erano la storia politica (525), la matematica (461), la geografia (371), la politica (187), la pedagogia (179), il diritto comune e militare (108), la storia e le scienze naturali (88), l'ippologia e veterinaria (63), la medicina (42): e inoltre ginnastica (52), atlanti (50), enciclopedie e vocabolari (127), annuari e almanacchi (32) e miscellanee (81). Il pezzo forte della biblioteca di Monaco erano però le riviste: ben 120, di cui 31 militari e il resto tecniche, scientifiche, giuridiche e politiche. Nel 1834 Adolph von Gironcourt pubblicò un repertorio sistematico di tutti gli articoli comparsi a partire dall'anno 1800 su 31 riviste militari: 23 tedesche, 6 francesi e 2 inglesi423. Il titanico repertorio, che non comprendeva però le riviste militari americane, ebbe una seconda edizione nel 1837, l'anno in cui uscì, a Napoli, il primo numero della prima rivista militare italiana (l'Antologia Militare, soppressa nel 1845 per motivi politici). Secondo Cesare Cantù la più antica rivista militare era stata quella pubblicata a Breslavia a cura di Georg Dietrich von der Gröben (1725-92) [10 volumi col titolo Versuch einer Kriegsbibliothek dal 175a al 1772 e altri 10 col titolo Neue Kriegsbibliothek dal 1774 al 1781]: nel 1842, senza contare le russe [né le americane] gliene risultavano trentadue: 12 francesi, 4 inglesi, 4 prussiane, 2 svedesi, 2 belghe e le restanti a Napoli e in Sassonia, Hannover, Assia Darmstadt, Danimarca e Svizzera424. Ancora nel 1851, la biblioteca della prestigiosa Scuola generale di guerra prussiana possedeva meno di 7.000 volumi425, di cui solo tremila militari, grosso modo metà di storia e metà di "scienza" militare, quest'ultima ripartita in modo meno convincente dell'analoga sezione bavarese; Catalogo della Biblioteca della Scuola Generale di Guerra prussiana nel 1851 Sezioni ausiliarie Op. Sezioni militari Op 15 VIII. Kriegswissenschaften I. Encyclopaedie (A.1-15). II. Literaturgeschichte (A. 25-163). III. Naturwissenschaften (A). IV. Philosophie (A. 800-1220). V. Mathematik (A. 1250-3660). VI. Geschichte (B. 1-9320). VII. Geographie und Reisen . XI. Philologie (G. 1-5340). XII. Theologie. Kirchengeschichte H XIII. Jurisprudenz. Staatswisse.n XIV. Medicin (K. 1-150) Miscellen (K. 170-200) 72 231 159 699 1.750 156 620 44 115 9 4 0. Kriegskunst, Allgemeinen 1. Organisation u. Adm. 2. Waffenlehre 3. Taktik ( 61 Inf., 53 Cav.) 4. Terrainlehre (48 Mil.geogr) 5. Strategie ( 22 Kleiner Krieg) 6 A. Artillerie 6 B. Genie 6 C. Generalstab 6 D. Marine IX. Kriegsgeschichte E. 1-6204 X. Kriegergeschichte F. 1-3860 1. Kriegergeschichte 2. Armee und Regt geschichte 3. Zeitschriften 227 342 38 194 69 125 234 367 12 33 1.055 143 84 81 422 Catalog über die im Königlich Bayer'schen Haupt-Conservatorium der Armee befindlichen gedrücken Werke. München, 1834. I u. II Supplement 1844-55. 423 Repertorium der Militär-Journalistik des 19ten Jahrhuderts bis zum Jahre 1837. Sachlich geordnet vom A. von Gironcourt, 2. Auflage, Kassel, Krieger, 1837. Gironcourt aveva pubblicato pure un saggio Ueber den Einfluss der Wissenschaften auf das Militair, Kassel, Bohme, 1827. 424 Cesare Cantù, "Di Cose Militari", in Rivista Europea. Giornale di scienze, lettere, arti e varietà, Milano, V, 1842, III, p. 9. 425 Katalog der Bibliothek und Kartensammlung der königlichen Allgemeinen Kriegsschule, Gedruckt bei A. W. Schade, Berlin, 1851. 146 Totale delle 11 Sezioni ausiliarie 3.874 Tot. Opere delle Sezioni militari 3.004 Inoltre: 33 Manuscripte, 85 Cartone, 1060 Karte 5. L'apporto italiano alla letteratura militare moderna L'epoca, durata cinque secoli, della competizione globale tra gli Stati nazionali europei, ebbe inizio con le "horrende guerre d'Italia" del 1494-1559. Il paradosso italiano della decadenza politica e della supremazia culturale ha un riflesso militare: all'ossimoro erasmiano dell'Italum bellacem (Adagia, 1508)426 corrisponde l'indubbio primato italiano nell'arte di fortificare (tracé italien o à l'italienne). Quest'epoca, poi interpretata dagli storici militari come "crisi militare italiana" (Piero Pieri, 1934) e prima fase della "rivoluzione militare" (Michael Roberts, 1956 e Noel Geoffry Parker, 1988), è stata anche l'incunabolo dei Makers of modern strategy (Princeton, 1942) e della letteratura militare occidentale. E quest'ultima ha avuto in Machiavelli, per la sua interpretazione attualizzante del canone tralaticio di Vegezio, il suo primo nome di spicco. Il primato italiano è evidente pure nel rinnovamento della terminologia militare e nella letteratura militare del Cinquecento e del primo Seicento: italiani i primi scrittori (a cominciare da Egidio Colonna, contemporaneo di Dante, e dai quattrocenteschi Caterina da Pizzano, Paride Dal Pozzo, Roberto Valturio e Mariano di Jacopo Taccola); italiane le prime e migliori edizioni e traduzioni in volgare di classici militari greci e latini, italiani i tre quarti dei primi trattati moderni. Nel 1851, sepolta come voce "Auteurs militaires" del monumentale Dictionnaire de l'Armée de terre (I, pp. 438-568) del generale Bardin (1774-1841), apparve una curiosa bibliografia universale dei 550 autori che avevano scritto dell'arte militare in genere o particolarmente della fanteria: l'elenco include 40 italiani e 25 classici, tra cui Cicerone e Niceforo Foca.... Una tabella finale (p. 566) calcolava però un totale di 1.005 autori propriamente militari, esclusi storici, memorialisti e autori di trattati collaterali (Bardin menziona espressamente ippologia ed equitazione, ma probabilmente intendeva escludere pure medicina, scherma, geometria, geografia), così ripartiti per grandi epoche e per lingua: Lingua Tedesco Inglese Spagnolo/Port. Francese Greco Olandese Italiano Latino Russo/Polacco Svedese/Danese TOTALI Ante 1500 6 9 2 3 7 27 1500-1700 81 25 23 75 3 16 50 2 1 1 277 1700-1770 54 13 9 79 1 1 10 3 8 178 1770-1839 143 51 8 274 2 5 17 10 13 523 Totale 278 89 40 434 15 24 80 9 14 22 1005 Con 147 edizioni di trattati moderni e 26 di traduzioni di classici antichi censite da John Rigby Hale (1923-1999), l'editoria veneziana del Cinquecento conferma il suo assoluto primato europeo anche nel campo della letteratura militare. Ma con le guerre contro i turchi e gli eretici, e con le armi dello spirito apprestate dai gesuiti, è Roma ad avere, a cavallo del Seicento, il primato dell'editoria militare e degli avvisi a stampa delle vittorie imperiali, vere "corrispondenze dal fronte in tempo reale". L'accurata bibliografia militare redatta nel 1900 da Maurice James Draffen Cockle 426 Erasmo, Adagiorum Chiliades, s. v. “Myconius calvus”, Venetiis, 1571, p. 325. 147 e relativa alle opere stampate fino al 1642, censisce 245 libri di autori italiani su un totale di 460 non inglesi; e 12 traduzioni dall'italiano su 166 opere militari in inglese. Da notare che la prevalenza italiana è massima nell'architettura militare (50 su 71), assoluta nell'arte militare (91 su 157), nell'artiglieria (23 su 43) e nella scherma (12 su 21) e relativa nella cavalleria e mascalcia (16 su 36; ma sono comunque italiani 4 dei 5 trattati sull'impiego tattico della cavalleria e mancano dall'elenco altri 2 trattati italiani di mascalcia). Il repertorio di 253 trattati di architettura, geometria e meccanica militare stampati dal 1473 al 1799, redatto da Jorge Galindo nel 2000, ne indica 69 italiani contro 76 francesi, 74 spagnoli, 12 tedeschi, 11 olandesi, 6 portoghesi, 4 inglesi e 1 polacco. Con 24 trattati contro due (uno tedesco e uno francese) l'Italia ha il monopolio assoluto di questa produzione fra il 1473 (Valturio) e il 1577 (Marchese). Nell'ultimo ventennio del Cinquecento e nel primo decennio del Seicento, cioè durante la generazione delle guerre di Fiandra e d'Ungheria, produce ancora la maggior parte dei trattati (21 su 38, contro 7 spagnoli, 5 francesi, 4 tedeschi e 1 inglese). Dal 1611 al 1650 scende a un terzo (14 su 34, contro 11 francesi, 10 spagnoli, 4 olandesi, 3 tedeschi, 1 inglese e 1 polacco). Nella seconda metà del Seicento si riduce a meno di un decimo (5 su 55, a parità con l'Olanda, contro 26 spagnoli, 15 francesi, 2 portoghesi e 2 tedeschi). Meno attendibili sono le proporzioni che si ricavano per il Settecento, perché Galindo include appena due trattati italiani (Capra 1717 e Achielli 1725) contro 42 francesi, 30 spagnoli e 8 di altri paesi: tralasciando però autori importanti come Carlo Borgo, Ignazio Bertola, Giovanni Andrea Bozzolino e Alessandro Papacino d'Antoni, e molti altri minori come Giovanni Chiappetti, Ercole Corazzi, Angelo Cortenovis, Francesco Cristiani, Giovanni Izzo ecc. In realtà resta ancora più utile, per valutare l'incidenza degli italiani nell'architettura militare, la vecchia bibliografia di Luigi Marini (1810), la quale include tutti gli autori europei che anche marginalmente abbiano trattato di fortificazione permanente. Anche togliendo Machiavelli, incluso per reverentiam, restano nel suo elenco 37 autori per il Cinquecento, di cui 28 italiani contro 9 di altre nazioni (tre apparsi nel 1556, 1580 e 1589 e sei fra il 1594 e il 1598). Nella prima metà del Seicento il rapporto si riequilibra, con 26 su 70 (sempre in maggioranza relativa rispetto a 18 francesi, 14 tedeschi, 6 olandesi, 5 spagnoli e 1 inglese), ma già nella seconda metà, in cui compaiono i grandi Vauban e Coehorn, gli italiani perdono il primato qualitativo, e la stessa incidenza quantitativa dei nuovi autori scende a 19 su 108, al terzo posto dopo tedeschi (38) e francesi (29). Nel Settecento l'Italia conta ancora una ventina di nuovi autori, ma nessuno di spicco. Questo primato cinquecentesco si riflette ovviamente sulla genesi del lessico militare moderno, il quale, come ben risulta dagli studi di Piero Del Negro427, ha in gran parte una matrice italiana. Ci sembra quindi quasi naturale che ancora a metà settecento le lingue straniere insegnate nell'Ecole Royale Militaire di Parigi fossero il tedesco e l'italiano. Ma lo scopo non era di far leggere in originale i classici militari del passato: la giustificazione che ne dava l'Encyclopédie era ormai semplicemente "que les armées françoises se portent le plus souvent en Allemagne ou en Italie"428. La ragione principale di questo declino è che dalla seconda metà del Seicento le scienze militari, e perciò la relativa letteratura, vengono sempre più condizionate dalla committenza sovrana e dalla creazione di centri di studio, con annessi archivi e biblioteche, analoghi ai dépôts des cartes et plans francesi, con l'effetto di riequilibrare la produzione francese, inglese, spagnola e tedesca rispetto a quella italiana. Quest'ultima produce però ancora non solo illustri generali e architetti militari al 427 Piero Del Negro, "Una lingua per la guerra: il Rinascimento militare italiano", in Walter Barberis (cur.), Storia d'Italia. Annali 18. Guerra e pace, Torino, Einaudi, 2002, pp. 299-336. Id., "La rivoluzione militare e la lingua italiana in Europa tra il basso Medioevo e la prima età moderna", in Furio Brugnolo, Vincenzo Orioles (a cura di), Eteroglossia e plurilinguismo letterario. I. L'Italiano in Europa, Roma, Il Calamo, 2002, pp. 41-49. 428 Encyclopédie, cit., Yverdon, 1771, XVIII, p. 205. 148 servizio delle grandi potenze ma anche autori di rilievo europeo come Raimondo Montecuccoli e Luigi Ferdinando Marsigli, senza contare il corpus di opere dedicate allo studio delle campagne del principe Eugenio di Savoia. Dai controlli che ho effettuato sul Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane (OPAC SBN) per la mia nuova bibliografia degli scrittori militari italiani dell'età moderna, risulta che quasi metà delle seimila opere non si trova in Italia. Quasi tutte sono invece presenti negli Stati Uniti, da dove, grazie a google books, gran parte di quei libri arriva direttamente sui nostri PC. Eppure nel 1822 la West Point Library possedeva solo sei opere italiane: l'Arte della guerra di Machiavelli (in inglese), le Memorie di Montecuccoli (in francese), le Réflexions sur les préjugés militaires del marchese di Brezé (Giovacchino Argentero di Bersezio, 1727-96), la Storia della guerra d'indipendenza americana (in francese e in inglese) di Carlo Botta (1766-1837), il Sistema universale dei principi del diritto marittimo d’Europa (in inglese) di Domenico Alberto Azuni (1749-1827) e la Carta di Napoli di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni (1736-1812). Senza contare l'opera omnia di Machiavelli e Guicciardini e l'ex-suddito sabaudo Pierre Joseph Bourcet (1700-1780), di cui West Point possedeva i Mémoires historiques sur la guerre que les Francais ont contenue en Allemagne depuis 1757 jusqu'en 1762. Nel citato catalogo 1837 della biblioteca militare centrale bavarese, figurano però 48 scrittori militari italiani, di cui 44 dei secoli precedenti: Basta, Bentivoglio, Bonamici, Bourcet, Brancaccio (Lelio), Busca, Campana, Capobianco, Caravelli, Cataneo, Centorio, Cicogna, Cinuzzi, Cognazzo (Jacopo de), Della Croce, Ferrari (Guido), Ferretti, Gentilini, Giovine, Gualdo Priorato, Guicciardini, Izzo, Lorini, Machiavelli, Marchi, Marsigli, Marzioli, Melzo, Montecuccoli, Palmieri, Papacino, Patrizi, Pellicciari, Rocca, Ruscelli, Sanvitale, Sardi, Sesti, Silva, Tartaglia, Theti, Ulloa, Vignola, Wacquier de la Barthe. 6. Le prime bibliografie militari italiane (1797-1854) I primi studi embrionali sulla letteratura militare italiana germogliarono nel clima ideologico dell'Italia giacobina e napoleonica, e il frutto più noto è certamente la splendida edizione foscoliana, in 170 copie numerate, delle Opere di Montecuccoli (1807-08)429. Nel 1803 apparve a Torino, nelle Memorie dell'Accademia Reale delle scienze, una "Notizia de' principali scrittori di arte militare italiani"430, del conte Galeani Napione, in cui venivano citati i Discorsi Militari di Algarotti, le Memorie di Alessandro Maffei, L'Elogio di Montecuccoli di Paradisi, i dizionari militari del padre d'Aquino e di Antonio Soliani e le opere, di fama internazionale, del generale d'artiglieria Papacino d'Antoni. La biografia di quest'ultimo, scritta nel 1791 da Prospero Balbo e ripubblicata nelle citate Memorie (XV, 1805, p. 345), conteneva in calce una breve bibliografia d'artiglieria. Nel 1803 fu ristampata Milano la seconda edizione, ampliata, della Breve Biblioteca di architettura militare pubblicata già nel 1797 da Paolo Emilio Guarnieri (1740), un veneziano trasferitosi a Milano come impiegato governativo [membro della Società Patriottica e autore di 429 Opere di Raimondo Montecuccoli illlustrate da Ugo Foscolo. Tomo primo (-secondo). Milano, per Luigi Mussi, 1807-1808. 2°, ritr., ed. di 170 esemplari, con dedica al generale Augusto Caffarelli, ministro della guerra del Regno d'Italia. Milano. Ritratto di Montecuccoli intagliato da Rosaspina, Il tomo I contiene: Avvertimenti dell'Illustratore, Elogio del conte Agostino Paradisi, Aforismi dell'arte bellica e Considerazioni dell'Editore. Il tomo II comprende Commentari delle Guerre d'Ungheria Libri due; Il sistema dell'arte bellica; Cinque Lettere inedite; Considerazioni dell'Editore. [BNCF- Pal. 8. 1. 6. 9 Es. XXXIX al signor Domenico Artaria di Mannheim, firma autografa di Ugo Foscolo]. Opere di Raimondo Montecuccoli annotate da Ugo Foscolo e corrette, accresciute e illustrate da Giuseppe Grassi, Torino, Tip. Economica, 1852, pp. 591. Ristampa BiblioBazaar, 2010, pp. 594. Contiene l'Elogio di Agostino Paradisi (pp. 17-61), le Memorie (65-310), gli Aforismi (313-506) e L'Ungheria nell'anno 1673 (pp. 509-65). 430 "Notizia de' principali scrittori di arte militare italiani", nelle Memorie dell'Accademia delle Scienze di Torino, Litt. et B. Ar., t. XIII, 1803, pp. 446-464. 149 scritti sull'agricoltura e di un anonimo Diario milanese, fu in seguito direttore generale delle poste della Repubblica Italiana e socio dell'Accademia dei Georgofili]. L'opera, dedicata a Melzi, elenca in 120 pagine, in ordine alfabetico, 120 scrittori italiani (inclusi Galileo, Leonardo, Machiavelli e Montecuccoli) e 189 stranieri (incluso Pietro il Grande, per la sua traduzione in russo del Vignola). E' inoltre corredata da un indice delle materie (pp. 121-29) e da un glossario ("Poliglotta", sic: pp. 130-40) e preceduta da una prolissa e involuta introduzione indirizzata in data del 18 aprile 1801 al figlio Filippo Enea, ingegnere collegiato di Milano. Questa contiene un abbozzo di bibliografia militare generale, o per meglio dire un affastellamento disordinato di sommarie citazioni rubricate sotto diciotto etichette, tra cui "opere su vari soggetti militari" e "seguono altre cose". L'opera di Guarnieri ebbe poca fortuna, non tanto per i suoi limiti, quanto perché fu pochi anni dopo sostituita dalla citata Biblioteca istorico-critica di fortificazione permanente dell'architetto romano Luigi Marini (1768-1838). Quest'ultima fu pubblicata a Roma nel 1810 come seconda parte dei Prolegomeni alla splendida edizione critica del trattato di Francesco De Marchi (1504-76), definito "principe degli architetti militari italiani". Marini liquida il precursore asserendo che la bibliografia di Guarnieri "non contiene che poche ed inesatte notizie de' semplici titoli", il che non è poi generalmente vero, anche se certamente Guarnieri si astiene, non avendone la competenza, dai confronti e dalle discussioni che arricchiscono le voci di Marini. Generalmente inviso e ridicolizzato, Guarnieri dovette la sua fortuna alla protezione di Melzi d'Eril, vicepresidente della Repubblica italiana e poi cancelliere guardasigilli del regno d'Italia. Pure Marini, però, dovette farsi raccomandare da Melzi per ottenere che Napoleone accettasse la dedica della Biblioteca, che lo qualifica "imperatore e re d'Italia, protettore della Polonia e mediatore della Svizzera". Un contributo altrettanto importante è quello del matematico dalmata Simone Stratico (17331824), docente di nautica a Padova e poi a Pavia, autore di un Vocabolario di marina in tre lingue (pubblicato nel 1813, due anni dopo la prima sconfitta navale di Lissa!) e di una Bibliografia di marina nelle varie lingue dell'Europa (pubblicata, ormai nonagenario!, nel 1823). Nel 1817, lo stesso anno in cui il "padre di West Point" tornava a casa coi preziosi bauli dei libri militari europei, un analogo elenco di libri per la biblioteca del nuovo stato maggiore sabaudo veniva steso da un "homme d'autrefois". Il catalogo431 predisposto da Giuseppe Enrico Costa de Beauregard (1762-1824), nel suo nuovo ufficio di quartiermastro generale e direttore della scuola dei cadetti, comincia con tredici scrittori militari greci e latini, tra cui troviamo Quinto Curzio, Velleio Patercolo, Cornelio Nepote e Plutarco, ma non i pur immancabili Onasandro e Leone il Filosofo. Seguono 47 storici o memorialisti, 38 tra manuali, regolamenti e trattati tecnico-militari, 33 geografi e 21 carte di battaglie e assedi avvenuti negli stati sabaudi di Terraferma. Tra gli autori italiani manca Machiavelli (mentre è citato il plagiario "Dubellai") e gli altri sono due condottieri (Montecuccoli e il principe Eugenio) e quattro geografi (Borgonio, Boscovich, Bourcet e Rizzi Zannoni). Se la minestra era quella, si capisce perché gli ufficiali piemontesi avessero fama di frequentare le biblioteche meno della media dei loro colleghi europei. In realtà la colpa non pare fosse delle scarse dotazioni librarie. Secondo una dettagliata e assai penetrante "Notice sur l'Etat militaire de la Sardaigne" pubblicata a puntate nel Bulletin des Sciences Militaires del 1830, all'Arsenale "il y [avait] une bibliothèque bien dotée et assez fournie d'ouvrages militaires, mais peu fréquentée"432. 431 "Catalogue raisonné de livres propres à composer la Bibliothèque de l'Etat-Major Général", nei Mêlanges tirés d'une portefeuille militaire, Turin, chez Pierre Joseph Pic, 1817, pp. 7-54. 432 "Notice sur l'Etat Militaire de la Sardaigne", Bulletin des Sciences Militaires, 1830, VIII, N. 150, p. 372. L'autore, che scrive di aver prestato servizio a Torino durante l'Impero napoleonico, potrebbe essere forse l'artigliere Gaspard Herman Cotty (1772-1839). 150 Le guerre napoleoniche spostarono tra l'Esagono e il resto d'Europa pure una gran quantità di libri militari. Non stupisce di trovare tra i cataloghi postbellici in vendita nelle librerie private, anche quello della maggiore libreria editrice napoletana433, sita nella strada del Salvatore, di Baldassarre Borel, nato a Napoli da padre francese e socio di Carlo Bompard. Quattro anni dopo, con decreto del 10 novembre 1822 da Verona, re Ferdinando impose un dazio sull'importazione di libri e giornali esteri: i volumi in-8, in-4 e in folio erano gravati da 3, 6 e 9 carlini. A seguito di ciò "il commercio librario morì", i prezzi dei libri esteri raddoppiarono e Borel, "che aveva 160 corrispondenti a Parigi, si ridusse a uno solo"434. Malgrado tutto si riformò, nel clima meno repressivo degli anni Trenta, un piccolo nucleo di ufficiali colti, benché autodidatti e periferici rispetto alle reti e ai flussi principali di formazione del pensiero militare. Abbiamo già accennato all'Antologia Militare (1835-46) dei fratelli Girolamo e Antonio Calà Ulloa, il primo periodico militare italiano, ispirato all'autorevolissimo Spectateur Militaire fondato a Parigi dal generale Jean Maximilien Lamarque (1770-1832), che aveva servito nell'Armée de Naples all'epoca di Murat e che non mancò di riservare attenzione alla nuova pubblicistica militare italiana435. Nel 1841 il capitano del genio napoletano Mariano d'Ayala (1808-1877) pubblicò in appendice ad un Dizionario militare francese-italiano un primo abbozzo di bibliografia militare italiana, sfuggito al censimento di Petzholdt, basato sullo spoglio sistematico delle quattro biblioteche militari di Napoli (dell'Officio Topografico, del Collegio Militare, del Genio e dell'Artiglieria), oltre che delle quattro maggiori (Borbonica, Universitaria, Brancacciana e dei Filippini). La matrice ideologica di questa impresa certosina non era però, come nel resto d'Europa, di contribuire allo sviluppo della scienza militare, ma solo di dimostrare l'antica eccellenza nazionale e perorare la rigenerazione della virtù militare italiana cominciata da Napoleone. La principale occupazione dei militari italiani, in gran parte reduci napoleonici, era infatti di covare rancori corporativi nei confronti dei governi reazionari che pure li avevano incautamente amnistiati e riammessi436; e pure i pochi colti inclinavano al pregiudizio triviale che le guerre napoleoniche avessero tolto ogni utilità non solo pratica ma pure scientifica a tutta la letteratura militare anteriore agli anni Settanta del Settecento. Proprio a Napoli quest'idea aveva trovato un'argomentazione "sociologica" in Luigi Blanch (1784-1872), i cui Discorsi della Scienza militare, pubblicati nel 1832-34 e ristampati nel 1842437, ebbero una certa risonanza europea grazie alla rivista di Lamarque. Una nota militare dell'autorevolissimo Cesare Cantù (1804-95), pubblicata sulla Rivista Europea del 1842438, esordiva con una citazione del conte de Guibert (1743-90): "che, di tutte le scienze ... la militare è quella ... su cui più si scrisse, e dove minore è il numero delle opere da potersi consultare". "Conseguenza - spiegava Cantù - degli essenziali mutamenti e dei rapidi progressi di essa, nella quale tutta l'esperienza degli antichi andò perduta col primo sparo del cannone". In tal modo, senza averne coscienza, il pensiero militare del Risorgimento s'incamminava sulla strada opposta a quella seguita tre secoli prima dal Rinascimento italiano e 433 Catalogue de livres militaires (en langues française et italienne), qui se trouvent chez Borel, libraire à Naples, 1818. 434 "Condizione economica delle lettere", in Rivista Europea: Nuova serie del Ricoglitore italiano e straniero, Anno I, Parte II, vedova di A. F. Stella e Giacomo figlio, 1838, p. 149. 435 "Notice Bibliographique des Ouvrages Militaires publiées en Italie de 1822 à 1829", in Bulletin des Sciences Militaires VII 1829, pp. 340 - 343. 436 V. Ilari, "La storiografia militare dell'Italia napoleonica" (2010), per la Rivista Italiana di studi napoleonici. 437 I nove Discorsi della Scienza Militare furono pubblicati nella rivista Il Progresso, edita a Napoli da Giuseppe Ricciardi (voll. I-III del 1832-33 e V-IX del 1833-34) e poi in volume (Napoli, Tip. Porcelli, 1834), con aggiunti gli interventi dei maggiori Cianciulli e Ferrari e di Emanuele Rocco. Una ristampa con correzioni ebbe luogo nel 1842 (Napoli, Dufrène). Nuova edizione, a cura di Amedeo Giannini, nel 1910 (Bari, Giuseppe Laterza e Figli). 438 Cesare Cantù, "Di Cose Militari", in Rivista Europea. Giornale di scienze, lettere, arti e varietà, Milano, V, 1842, III, pp. 5-62. 151 dalla Rivoluzione militare, operata proprio attraverso la restitutio filologia dell'arte militare greca e romana e la sua applicazione modernizzante439. Nel romantico 1848, l'anno delle rivoluzioni democratiche e della prima guerra d'indipendenza italiana, fu la rivista dei Royal Engineers a pubblicare una lista di trattatisti italiani di fortificazione, attribuita a Elizabeth Holmes, una famosa poetessa, figlia di un patriota irlandese, moglie di un alto funzionario amministrativo del Foreign Office e madre di un giovane diplomatico in servizio alla legazione a Napoli440. La lista era stata comunque inviata alla rivista dal maggiore Joseph Ellison Portlock (1794-1864), già affermato geologo e futuro generale, che nel 1858 pubblicò una traduzione inglese delle Lezioni di strategia scritte nel 1836 da un altro famoso ufficiale del genio napoletano, Francesco Sponzilli (1796-1865), che nelle vicende del 1848 si mantenne fedele al re e divenne poi per questo inviso agli ufficiali fedeli alla costituzione che trovarono rifugio a Torino. Furono proprio due esuli napoletani, i fratelli Carlo e Luigi Mezzacapo, a rivitalizzare la cultura militare piemontese dando vita alla Rivista Militare italiana, unico sopravvissuto dei numerosi periodici militari del Risorgimento. Tra gli esuli c'era pure d'Ayala, che nel 1854 pubblicò a Torino (nella Stamperia Reale) la prima e finora unica Bibliografia militare italiana. Un'opera imponente di 500 pagine, che rubrica non soltanto trattati e monografie, ma anche un gran numero di regolamenti a stampa e di manoscritti. Le notizie sono ovviamente tratte in parte dallo spoglio sistematico delle numerose bibliografie generali e locali di scrittori italiani, in primo luogo quelle del modenese Girolamo Tiraboschi (1731-1794) e del bresciano Giammaria Mazzucchelli (17071765), con gli apporti preziosi del padre somasco Jacopo Maria Paitoni (1710-1774) sulle traduzioni italiane di classici, del padovano Antonio Marsand (1765-1842) sui manoscritti italiani a Parigi. La parte sui trattati di fortificazione è ripresa integralmente dal Marini (con qualche errore e talora in modo incompleto), tenendo pure conto del Guarnieri e delle prime ricerche dell'architetto torinese Carlo Promis [ma le più importanti uscirono dopo la pubblicazione della Bibliografia Militare Italiana: poco aggiunse poi a questi autori la bibliografia degli scrittori italiani di fortificazione pubblicata nel 1866 dal capitano degli zappatori Elia Catanzariti441]. Ma d'Ayala aveva svolto pure ricerche dirette nelle principali biblioteche delle città in cui aveva soggiornato durante l'esilio, e a Torino si era potuto avvalere della raccolta avviata nel 1830, anche commissionando copie di circa 500 manoscritti esistenti in altre città, dal generale Cesare Basilio Girolamo di Saluzzo conte di Monesiglio e Cervignasco (1778-1853), gran maestro dell'artiglieria, governatore dei principi reali, presidente della commissione per la pubblica istruzione e soprattutto miglior bibliotecario che studioso, a giudicare dai Ricordi militari degli stati sardi (Torino 1853). La Biblioteca "Saluzziana", accreditata di 17.000 opere a stampa o manoscritte, fu ereditata dal duca di Genova, ossia dal principe Ferdinando di Savoia-Genova (1822-1855), figlio di Carlo Alberto e fratello di Vittorio Emanuele II442, e fu acquisita un secolo dopo (nel 1952) dalla Biblioteca Reale di Torino. 439 V. Ilari, Imitatio, Restitutio, Utopia: la Storia Militare Antica nel pensiero strategico moderno, in Marta Sordi (cur.), Guerra e diritto nel mondo greco e romano. Contributi dell’Istituto di Storia Antica , XXVIII, Milano, Vita e Pensiero, 2002, pp. 269-381. 440 Mrs. G[eorge] Lenox Conyngham [born Elizabeth Holmes, a Romantic poetess], "List of Italian Authors on Military Science, communicated by Major Portlock R. E., F. R. S.", and published as "Paper 11" in the First Number of the [Engineers] Corps papers, and memoirs on military subjects: compiled [by Captain John Williams] from contributions of the officers of the Royal engineers and the East India Company's engineers, London, John Weale, 1848, pp. 62-67. 441 Elia Catanzariti, Gli scrittori italiani che dettarono sulle fortificazioni dalle origini ai tempi presenti, TorinoFirenze, G. Cassone, 1866. 442 Cantù, "Biblioteca Saluzzo", in Rivista Europea. Giornale di scienze, lettere, arti e varietà, Milano, V, 1842, III, pp. 33-36. Mariano d'Ayala, "Biblioteca Militare del Duca di Genova in Torino" [ora Fondo Saluzzo della Biblioteca Reale di Torino], In Rivista Enciclopedica italiana, Torino, UTET, 1855, IV, pp. 342-356. 152 La Bibliografia di d'Ayala, estesa sino al 1854, è articolata, con criteri abbastanza discutibili, in sette parti: I "su le arti militari in genere" (p. 1); II "architettura militare e assedii" (p. 81); III "dell'artiglieria e sue ordinanze" (p. 135). IV "marineria e sue ordinanze" (p. 167), V "medicina militare, arti e ordini cavallereschi" (187). VI "letteratura militare" (p. 217) e VII "legislazione, amministrazione lessicografia e poligrafia militare" (p. 368), più "aggiunte" di testi avanzati (p. 387) e infine (p. 411) un "indice generale degli autori" (in cui sono indicate le parti in cui sono inclusi, spesso più di una, ma non le pagine). Ciò complica la ricerca, sia mescolando testi assolutamente eterogenei come i trattati di fortificazione e le narrazioni (non di rado in versi!) di assedi, oppure testi di diritto bellico con regolamenti amministrativi, trattati di medicina e codici cavallereschi; sia smembrando la produzione di molti autori nell'intento di riordinarla "per materia". Pecche certo irritanti, ma che pure debbono farci riflettere, perché sono indice non di sciatteria o dell'incapacità di pensare le cose fino in fondo, ma di una visione escatologica del Risorgimento come ricapitolazione, compresenza e compimento di dieci secoli di storia "nazionale". Non senza sviste e lacune, e al tempo stresso inutilmente ridondante di opere decisamente prive di interesse storico militare, la Bibliografia Militare Italiana resta nondimeno la prima bibliografia militare nazionale estesa su un periodo di quasi quattro secoli. Migliore è certamente la Bibliografía Militar de España (Madrid 1876) del brigadiere del genio José Almirante y Torroella (1823-1894), più accurata nelle trascrizioni dei frontespizi e soprattutto organizzata per autore in ordine alfabetico. Gli autori sono poi richiamati in un chiaro e logico "Registro por materias" (pp. 929988). Ancor più precisa è la citata bibliografia inglese di Cockle, che adotta però il criterio cronologico per i testi in lingua inglese e lo combina diabolicamente col criterio per materia per i testi in altre lingue. Altra buona bibliografia militare nazionale fu il Diccionario bibliographico militar portuguez (1891) di Francisco Augusto Martins de Carvalho (1844-1921), mentre Nos écrivains militares (Paris 1898-99) di Edouard Gullion (1849) è solo un saggio informativo e abbastanza superficiale. Alla fine dell'Ottocento comparvero infine, entrambe in Germania, le due ultime bibliografie militari internazionali, la Bibliotheca historico-militaris (Kassel 1887-89) di Johann Pohler, oggetto di due ristampe anastatiche parziali americane (Burt Franklin New York 1962 e Kessinger Publishing Photocopy Edition 2009) e la Geschichte der Kriegswissenschaften di Max Jähns (München u. Leipzig, 1889-91). Quest'ultima, che si ferma all'anno 1800 ed è stata ristampata in anastatica nel 1971, andava alle stesse sul mercato antiquario finché non è stata messa online da google books come gran parte degli altri volumi citati in questo articolo. Utili complementi sono la citata bibliografia di Cockle, limitata però al 1642, e la Bibliography of guns and shooting (London 1896) di "Wirt Gerrare" (William Oliver Greener). Bibliografia sugli scrittori militari italiani Almirante [y Torroella], José (1823-1894), Bibliografia militar de España, Imprenta y Fundición de Manuel Tello, Madrid, 1876. Barberis, Walter, Le armi del Principe, Torino, Einaudi, 1988. Bardin, Etienne-Alexandre (1774-1841), s. v. "Auteur militaire", dans Dictionnaire de l'Armée de Terre, ou Recherches historiques sur l'art et les usages militaires des anciens et des modernes, par le général Bardin, ouvrage terminé sous la direction du général Oudinot de Reggio, Paris, J. Corréard, 1851, I, pp. 438-568 Bargilli, G., articoli sulla trattatistica militare italiana in genere e su autori particolari del XVI e XVII secolo in Rivista Militare Italiana 1898, 1-2, pp. 492-513; 1899, 1, pp. 321-334; 1900, 4, pp. 2007-2022, 1902, pp. 293-307. Berenger, Jean, cur., La révolution militaire en Europe (XVe - XVIIIe siècles). 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[Complessivamente Hale ha censito 145 libri militari pubblicati a Venezia da 66 diversi editori, corrispondenti però soltanto a 67 opere: 53 (di 46 autori con 31 editori) stampate a Venezia per la prima volta, con 48 nuove edizioni o ristampe e 4 traduzioni veneziane; 14 (incluse 4 traduzioni) apparse per la prima volta altrove, con 26 riedizioni, nuove edizioni e traduzioni veneziane. I 16 autori delle 17 opere sull’arte della guerra (o disciplina militare) o sull’ufficio del capitano generale stampate a Venezia prima del 1570 sono i seguenti: Antonio Cornazzano 1493, Egidio Colonna 1498, Battista Della Valle 1524, Iacopo di Porcia 1530, Niccolò Machiavelli 1537, “Guillaume du Bellay” (in realtà Raymond de Fourquevaux) 1550 (ried. 1571), Girolamo Garimberti 1556, Alessandro Farra 1556, Dominicus Cyllaenius 1559, Ascanio Centorio degli Hortensii 1558-61, Giovacchino da Coniano 1564, “Alfonso Adriano” (Aurelio Cicuta) 1566, Bernardino Rocca 1566 e 1570, Giovanni Matteo Cicogna 1568, Francesco Ferretti 1568 e Domenico Mora 1569. Altre 9 opere riguardano le fortificazioni e la poliorcetica (Giambattista Zanchi 1554, 155 Pietro Cataneo 1554, Giacomo Lanteri 1557 e 1559, Girolamo Maggi 1564, Giacomo Fusto Castriotto 1564, Francesco Montemellino 1564, Domenico Mora 1567 e Galasso Alghisi 1570), 4 l’artiglieria (Niccolò Tartaglia 1537 e 1546, Vannuccio Biringucci 1540 e Girolamo Ruscelli 1568) e 1 le piante di fortezze e campi di battaglia (Giulio Ballino 1565). Hale include nell’elenco altre 2 opere sull’“indole militare” (Antonio Brucioli 1526 e Giovanni Maria Memmo 1563), 3 di medicina militare (Leonardo Botallo 1564, Bartolomeo Maggio 1566 e Giovanni Rota 1566) e 2 di eloquenza militare (Remigio Nannini 1557 e Francesco Sansovino 1570), nonché 17 sulle leggi di guerra e il codice cavalleresco, 9 sui cavalli e l’equitazione e 2 sulla scherma. L’elenco di Hale non include però né la storia militare antica (v. ad es. Francesco Serdonati), né quella delle guerre moderne443 e neppure le traduzioni veneziane di classici444.]. Hale, Sir John Rigby (1923-1999), "Andrea Palladius, Polybius and Julius Caesar", in Journal of the Warburg and Courtland Institutes, 40 (1977), pp. 240-255. Hanlon, Gregory, The Twilight of a Military Tradition. Italian Aristocrats and European Conflicts, 1560-1800, UCL Press, London, 1998. Huth, Frederick Henry (1844-1918), Works on Horses and Equitation. A Bibliographical record on hippology. London, Bernard Quaritch, 1887. Jähns, Max (1837-1900), Geschichte der Kriegswissenschaften, vornehmlich in Deutschland, 3 voll., Druck und Verlag R. Oldenbourg, München und Leipzig, 1889-91. Zweite Abteilung: XVII. und XVIII: Jahrhundert bis zum Auftreten Friedrichs des Grossen 1749. 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A Venezia furono pubblicate traduzioni italiane di Vitruvio (1511 fra Giocondo), Cesare (1517 Agostino Lurtica della Porta), Vegezio (1524 Tizzone Gaetano da Pofi), Polibio de militia romana (1536 anonima, con dedica al duca d’Urbino), Frontino (1543 Comin da Trino; 1574 Marc’Antonio Gandino), Onasandro (1546 Fabio Cotta), Nepote (1550 Nannini), Ammiano Marcellino (1550 Nannini), Senofonte (1550 Le guerre dei greci, Francesco di Soldo Strozzi, dedicato a Giovanni dei Medici, “lume della milizia”; 1588 Pietro Muselli), Polieno (1551 Lelio Carani; 1551 Nicolò Mutoni), Eliano (1551 Francesco Ferrosi; 1552 Francesco Robertelli), Polibio (1553 Domenichi), Curzio Rufo (1558 Porcacchi), Appiano (1554-59 Dolce; 1584 Alessandro Braccesi), Leone VI (1561, 1586, 1602 Filippo Pigafetta) e Livio (1562, con dedica al marchese di Pescara, capitano generale della Cesarea Maiestà in Italia). Altre traduzioni italiane apparvero a Firenze (Appiano di Alessandro Braccesi, 1519; Eliano di Lelio Carani 1552) e Napoli (Leone VI di Alessandro Napoletano 1612). Nel 1546 Jean Charrier pubblicò a Parigi, in uno stesso volume, le traduzioni francesi di Machiavelli e Onasandro. Elenco completo di tutte le edizioni europee in Philippe Richardot, “Les éditions d’auteurs militaires antiques au XVe-XVIe siècle”, in Stratégique, 68, 1997, n. 4. 156 Maffei, Scipione, Osservazioni letterarie che possono servir di continuazione al Giornale de' letterati d'Italia, Verona, per Jacopo Vallarsi, 1738, T. II, pp. 152-158 [lista di 54 opere militari ignorate nel T. III Della Eloquenza Italiana di mons. Giusto Fontanini, 1736]. Maggiorotti, Leone Andrea, Architetti e architetture militari, "L'opera del genio italiano all'estero", Serie quarta, Roma, La Libreria dello stato, II, 1933; III, 1939. Manzi, Pietro, “Architetti e ingegneri militari dal secolo XVI al secolo XVIII. 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Disposto per Giovanni Gabriello Cressonnier, Librajo Parigino. In Parigi, Presso Giov. Gabriello Cressonnier, M. DCC. LXXIV. T. I, pp. 118-126 (Architettura Militare NN. 1397-1415. Arte Militare NN. 1416-1497). Catalogue des livres de la bibliothèque de feu Monseigneur le Maréchal Duc d'Estrées (1660-1737), A Paris, Chez Jacques Guerin, M. DCC. XL, Tome Premier, Hydrographie et Navigaion NN. 8262-8320. Art Militaire NN. 86528757. Fortification NN. 8758-8798. Artillerie et Pyrotechnie NN. 8799-8838. Catalogue des livres de la Bibliothèque de feu Mr A. M. H. Boulard (1754-1825), Redigée par L. F. Gaudefroy et J. A. Bleuet, Anciens Libraires, Première Partie, contenant la Théologie, la Jurisprudence, et les Sciences et Arts, Paris, 1828, Marine NN. 4818-4828. Art Militaire NN. 4829-4877. Colson, Bruno, L’art de la guerre de Machiavel à Clausewitz, P. U. de Namur, 1998 (presentazione analitica dei 111 classici militari posseduti dalla biblioteca universitaria Moretus Plantin di Namur). 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Storia della strategia. Storia e strategia sono concetti vaghi, oscuri, inflazionati e variamente associati. La combinazione più evidente è "storia della strategia", che può significare il tentativo di individuare e inseguire un concetto universale attraverso le molteplici forme in cui si è manifestato nei vari contesti linguistici e culturali. Ma anche, in senso più specifico, storia del particolare sostantivo, e del corrispondente genere letterario, in cui si è espressa e sviluppata la specifica cultura occidentale della guerra. In terzo luogo "storia della strategia", integrata da un aggettivo specificativo (ad esempio "giapponese", "nucleare", "contemporanea") può indicare la storia di una particolare concatenazione (nazionale, operativa, epocale) di percezioni e decisioni. Bisogna osservare che queste sarebbero ancora storie di primo livello, cioè meramente ricostruttive e narrative: una base necessaria, ma di per sé sola incapace di proporre interpretazioni e giudizi storici in senso compiuto. Per questo occorrerebbe un lavoro ulteriore, e cioè indagare in quale misura e in quale direzione una determinata idea generale della guerra possa condizionare la condotta strategica e stabilire col tempo costanti e stili che predeterminano a loro volta le percezioni e le decisioni. Pur coi meriti dei manuali delle università di Princeton e di Cambridge curati dagli americani Peter Paret (1924)445, Williamson Murray446 e Victor Davis Hanson (1953)447, la migliore storia del pensiero strategico resta certo quella dell'israeliano Azar Gat (1959)448, Interessante, specie per il metodo, è tuttavia pure il recente saggio del belga Christophe Wasinski, il quale si è proposto di indagare il modo in cui si è costruito "il senso comune strategico", ossia la convinzione sociale e transnazionale che la politica sia in grado di governare la guerra. Malgrado un certo sfoggio di erudizione sociologica e l'immancabile minestra riscaldata di V. D. Hanson sulla falange oplitica, il saggio ricostruisce poi abbastanza bene la genesi del pensiero strategico occidentale e i suoi rapporti con la storia militare e la geopolitica449. Lo stile di guerra occidentale (militarista, soggettivo) è anche il prodotto di una accentuata autonomia istituzionale del militare rispetto al politico: ciò ha infatti spinto il pensiero militare ad anteporre la riflessione ("jominiana") sulla condotta delle operazioni (warfare) e dunque sull'officium e l'arte del capitano generale [indicati dopo il 1771 col vocabolo greco "strategia"] alla riflessione ("clausewitziana") sulla struttura oggettiva della guerra e dunque sul rapporto di polarità tra gli avversari. Una prospettiva che pure avrebbe potuto essere sviluppata partendo dall'idea di 445 Peter Paret and Felix Gilbert (Eds), Makers of modern strategy: from Machiavelli to the nuclear age, Princeton University Press, Princeton, 1986. 446 Williamson Murray, MacGregor Knox, Alvin Bernstein (Eds.), The Making of Strategy. Rulers, State, War, Cambridge, Cambridge U. P., 1994 447 Victor Davis Hanson (Ed.), Makers of ancient strategy: from the Persian wars to the fall of Rome, Princeton University Press, Princeton, 2010. 448 Azar Gat, The development of military thought: the nineteenth century, Oxford University Press, Oxford, 1992. A history of military thought: from the Enlightenment to the Cold War, Oxford University Press, Oxford, 2001. 449 Christophe Wasinski, Rendre la guerre possible. La construction du sens commun stratégique, Université Libre de Bruxelles. Bruxelles, 2010. Di un certo interesse pure l'antologia di otto scrittori militari "minori" dal 1548 al 1816 curata da Beatrice Hauser, The Strategy Makers: Thoughts on War and Society from Machiavelli to Clausewitz, Praeger Security International, ABC Clio, Greenwood Publisher, 2010 162 ratio belli ("misura", "rapporto") che ricorre incidentalmente nella letteratura classica (specie in Cesare)450. 2. La reinterpretazione della storia civile da una prospettiva strategica Storia e strategia possono inoltre venir combinate reciprocamente come aggettivi qualificativi l'uno dell'altro. In tal modo è possibile mettere a fuoco e confrontare una visione strategica oppure astrategica della storia e una visione storica oppure astorica della strategia. La prima questione investe il grado di consapevolezza, da parte dello storico, del potenziale bellico della sua ricerca, anche se verte su campi apparentemente lontanissimi dalla guerra, come la scienza, la religione, l'arte, la filosofia. Un possibile studio implicato da questa particolare questione riguarda la genesi della letteratura militare e strategica come costola della storiografia, e la graduale conquista di un proprio statuto metodologico e scientifico, anche in contrapposizione con le scienze storiche e in confronto col parallelo sviluppo della geografia, della politica e dell'economia. Altro aspetto sono le differenti deformazioni che la "storia civile" subisce a seconda che il ricercatore tenga conto o meno della latente dimensione strategica del suo oggetto di studio (un'epopea nazionale come un sistema economico, il progresso scientifico come una visione artistica o religiosa). Prendiamo ad esempio l'interpretazione delle rivoluzioni nazionali e delle guerre di indipendenza e di liberazione: laddove la storia nazionale tende a riflettere il punto di vista delle nuove classi dirigenti e a interpretarle perciò come autobiografia collettiva, la storia strategica tende a spostare l'enfasi sul contesto internazionale e sui fattori e attori esterni451. Il colto lettore sentirà qui evocata la polemica sul concetto di "rivoluzione passiva" (coniato da Vincenzo Cuoco a proposito della Repubblica Napoletana del 1799, instaurata dalle baionette francesi più che dall'élite "patriottica"); oppure l'osservazione di John Robert Seeley (1834-95) che la grande storiografia whig (ma poi, in forme diverse, anche la successiva storiografia liberal) riduceva la storia inglese alla storia del parlamentarismo e della legislazione, di fatto ignorando il contemporaneo sviluppo dell’Impero britannico452. Questioni ricorrenti, ad esempio, nell'attuale dibattito sull'atteggiamento che l'Occidente dovrebbe osservare di fronte alla cosiddetta "primavera araba", dove chi guarda agli sviluppi interni caldeggia l'"apertura di credito", mentre chi considera gli effetti geopolitici globali perora un attendismo ostile e pessimista. 3. La storia militare come "strategoteca" delle strategia. L'approccio storico alla strategia appare meno problematico; ma solo prima facie. Più da vicino, infatti, mette in questione la natura, lo scopo e il valore cognitivo (euristico, predittivo) della storia in genere e della storia militare in particolare e l'incidenza che l'immagine del passato (specie se rozza e viscerale) esercita sulla percezione e sulla decisione strategica. Ho affrontato questi temi in vari precedenti studi ai quali rinvio453, limitandomi qui a richiamare solo alcune riflessioni generali. 450 V, Ilari, "Imitatio, Restitutio, Utopia: la storia militare antica nel pensiero strategico moderno", in Marta Sordi (cur.), Guerra e diritto nel mondo greco e romano, Milano, Vita e Pensiero, 2002, p. 269-381. . [online su scribd]. 451 Cfr. V. Ilari, v. "Esercito", in Luigi Mascilli Migliorini (cur.), Italia napoleonica. Dizionario critico, UTET, Torino, 2011, pp. 231-32. Id., "La storiografia militare dell'Italia napoleonica", in Rivista Italiana di studi napoleonici (in corso di pubblicazione). 452 R. Seeley, "Tendency in English History", in The Expansion of England, Two Courses of Lectures (1883), London, Macmillan and Co, 1911, pp. 1-18. Luigi Loreto, Guerra e libertà nella Repubblica romana. John R. Seeley e le radici intellettuali della Roman Revolution, Roma, L’Erma di Bretschneider, 1999. 453 V. Ilari, “La storiografia militare italiana: riflessioni critiche su strutture, ruolo e prospettive”, in La storiografia militare italiana negli ultimi venti anni, Atti del convegno di Lucca, ottobre 1984, Centro interuniversitario di studi e 163 La prima introduzione critica allo studio della guerra è il Syntagma de studio militari, pubblicato a Roma el 1637 da Gabriel Naudé, il famoso teorico del colpo di stato, nonché bibliotecario del cardinal Mazarino, medico ateo, libertino e cripto-machiavelliano. Sottolineando la propria inesperienza militare, Naudé equiparava experientia e lectio come due modi indipendenti ma equivalenti di acquisire (comparare) la scientia belli administrandi (pp. 504 e 507-8). E, contro l'autorità di Aristotele e Cicerone, i quali anteponevano la pratica alla teoria in riferimento alla medicina, all’oratoria e all’ars imperatoria, opponeva la tesi paradossale di Giovanni Botero (1544-1617), il quale giudicava la lectio rerum militarium superiore all’esperienza454. Occorre tuttavia osservare che, nonostante il carattere tendenzialmente omnicomprensivo attribuito all’administratio belli dalla letteratura sulla ragion di stato e di guerra, questa in realtà tratta soltanto delle dimensioni morali, giuridiche e politiche, astenendosi dall’affrontare la condotta tecnica della guerra (belli gerendi ratio, Naudé p. 512). Fu invece il maresciallo di Puységur (1655-1743), già capo di stato maggiore (maréchal général des logis) del maresciallo di Luxembourg, sostenitore dell'autosufficienza assoluta dello studio teorico, essendosi proposto di dimostrare che “sans guerre, sans troupes, sans armée, sans être obligé de sortir de chez soi, par l’étude seule, avec un peu de géometrie et de géographie, on peut apprendre toute la théorie de la guerre de campagne”455. Considerando che un buon due terzi della letteratura militare sono opera di pingui e (apparentemente) inoffensivi ecclesiastici o professori universitari, che le grandi epopee rivoluzionarie sono state provocate da autodidatti in borghese o in tonaca, e - soprattutto - che l'esperimento sul campo differisce da quello scientifico perché non è replicabile, o si da ragione a Puységur oppure si mandano al macero intere biblioteche. La soluzione di compromesso, praticata dagli stati maggiori in tempo di pace, è di supplire alla non replicabilità degli esperimenti con la media delle esperienze, ricavata dallo studio professionale della storia militare, di cui fanno parte Übung, Kriegsspiele, staff ride e re-enactement456. La strategia, dice Clausewitz, non è scienza deduttiva, ma induttiva; non trova i suoi principi "in astratto", ma li ricava dall'esperienza. E siccome non può esperire il futuro, esperisce il passato, ossia la storia militare457, attraverso la ricostruzione di eventi e l'individuazione dei fattori qualificanti. Altrove Clausewitz sfuma o contraddice la fiducia sulla possibilità pratica di imparare dalla storia: ma qui probabilmente stava pensando alla sua stessa esperienza (la Strategie del 1804, basata sullo studio comparato delle campagne) o forse alle memorie di stato maggiore che si ricerche storico-militari, Milano, Franco Angeli, 1985, pp. 158-76: ID., “Guerra e storiografia”, in Carlo Jean (cur.), La guerra nel pensiero politico, Milano, Franco Angeli, 1987, pp. 223-258; Id., “La storia militare: disciplina specialistica o specifica?”, in Michele Nones (cur.), L’insegnamento della storia militare in Italia, Atti del seminario di Roma, 4 dicembre 1987, Società di storia militare, Genova, Compagnia dei Librai, 1989, pp. 77-94; ID., “Storia del pensiero, delle istituzioni e della storiografia militare”, in Piero Del Negro (cur.), Guida alla storia militare italiana, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1997, pp. 7-16. "Epistemologia della storia militare", in Acta del II convegno nazionale di storia militare, Roma, Centro Alti Studi Difesa, 28-29 ottobre 1999, Roma, Commissione Italiana di Storia Militare, 2001, pp. 47-70. [online su scribd]. 454 Auctor Benevolo Lectori: “nec acies unquam vidissem, nec castra, nec hostem, ac ne quidem gladium apte cingere, aut educere de vagina possem”. Syntagma de studio militari ad illustrissimum iuvenem Ludovicum ex comitibus Guidiis a Balneo, Romae, ex Typographia Iacobi Facciotti, 1637, lib. II Ducis Officium, cap. IV, pp. 513-14; Naudaei Bibliographia militaris, Jenae, 1683, inclusa in Thomas Crenius, De eruditione comparanda, Leyden, 1699. Naudé, Bibliographia politica a cura di D. Bianco, Roma, Bulzoni, 1997. 455 Art de la guerre par principe et règles, Paris, 1748, I, p. 2 456 David Ian Hall, "The Modern Model of the Battlefield Tour and Staff Ride: Post-1815 Prussian and German Traditions", in The Quarterly Journal, pp. 93-101. William Glenn Robertson, The Staff Ride, Center of Military History, U. S. Army, Washington, 1987. [entrambi online]. 457 Vom Kriege, II, 2, 37. 164 redigevano all'epoca sua458. Jomini (autore di studi sulle campagne del 1792-1815 più analitici di quelli corrispondenti di Clausewitz) assevera con enfatica superficialità la funzione scientifica della storia militare. Simili banalità abbondano nella letteratura strategica, dove la storia militare diventa una ghiotta "stratégothèque universelle"459, ignorando il caveat clausewitziano sui pericoli degli exempla historica (II, 6). In realtà lo studio critico della storia, quale che sia la specializzazione, non nasce ex ante, ma ex post: non dal successo, ma dalla sconfitta. La condizione, necessaria ma non sufficiente, per "learn the lesson", è aver perso. «Quando si parte il gioco della zara, colui che perde si riman dolente, repetendo le volte, e tristo impara»460. Beninteso a condizione che la sconfitta non sia definitiva e senza appello: così si spiega perché dopo il 1945 l'Europa abbia smesso di studiare la storia militare461 mentre gli Stati Uniti l'hanno scoperta dopo il Vietnam, reagendo con una svolta epocale della loro cultura militare, in precedenza basata sulla tradizione jominiana e sulle teorie manageriali (analoghe al "metodismo" e all'"elemento geometrico" di cui ai capitoli II, 4 e III, 15 del Vom Kriege). La svolta si è concretizzata nella creazione del Training and Doctrine Command di Fort Leavenworth e nei primi fondamentali studi di storia comparata dei fattori determinanti (logistica, comando, tecnologia) commissionati a Martin van Creveld (1946)462. 4. Potenziale strategico della storia 458 V. Ilari, "La storia militare tra topografia e retorica: Gustav Wilhelm af Tibell (1772-1832) e Ugo Foscolo (17781827)", rielaborazione (online su scribd) del capitolo 17 della Storia Militare del Regno Italico 1801-1814, Roma, 2004, vol. 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Suivie d'un Catalogue alphabétiques des Auteurs cités dans la Notice, Avec indication des meilleures éditions", pp. 42122. 459 Lucien Poirier (Les voix de la stratégie, Paris, Fayard, 1985, pp. 26 ss. 460 Dante, Purgatorio, VI, 1-3. 461 Con l'eccezione forse della Gran Bretagna, a giudicare da uno studio citato da David Ian Hall (The Role of Military History in Officer Education in Great Britain, the United States of America and Germany in Twentieth Century. Report commissioned by the Ministry of Defence, U. K., and produced by the Department of War Studies, King's College, London, October 1983-84). 462 Nell'ambio dell'esercito americano lo studio e l'insegnamento della storia militare è organizzato su tre livelli; per scopi generali, a Fort McNair, sede del chief of military history dell'esercito; per scopi professionali (e non solo per la formazione degli ufficiali ma soprattutto per l'elaborazione della dottrina tattica, organica e logistica) a Fort Leavenworth, sede del TRADOC; e per scopi strategici alle Carlisle Barracks, sede della scuola di guerra. Manuali regolano le "military history operations" e le specifiche ricerche corrispondenti alle varie funzioni all'esercito. Speciali centri elaborano i rapporti dal campo ("lessons learned") e la storia orale e fanno rivivere, aggiornati e potenziati dalle nuove capacità tecnologiche, i sistemi di studio inventati dallo stato maggiore prussiano, i giochi di guerra e i viaggi di stato maggiore sui campi di battaglia ("staff ride"). Struttura sui generis, senza equivalenti negli eserciti europei, a parte le sezioni dei reparti propaganda preposte alle commemorazioni ufficiali (larve tra le rovine di quelle fervide fucine della scienza militare che furono il Dépôt de la guerre creato da Colbert e i suoi analoghi istituti europei). Il frutto di questa poderosa macchina per lo studio professionale e strategico della storia è un'imponente produzione editoriale (in notevole parte accessibile gratuitamente online) che affronta i tempi più scottanti, con militare franchezza, senza riguardi né reticenze. Colpisce ad esempio che l'esercito abbia riassunto il suo punto di vista (assai critico e autocritico) sulle esperienze fatte in Iraq e Afghanistan chiamandole "The Long War" (ossia "La guerra di lunga durata"), senza curarsi che possa essere interpretata come una critica implicita al nome ideologico di "War on Terror" scelto dalla Casa Bianca e ratificato dal Congresso. 165 In terzo luogo, la visione strategica della storia rende possibile valutarla come una componente delle "forze morali" (sotto forma di tradizione, memoria, identità, costruzione del "nemico"). La qualificazione legale o giudiziaria di eventi passati, da cui derivano responsabilità, diritti soggettivi, limiti alla libertà di espressione, è sempre entrata tra le cause e le modalità delle guerre e tra gli articoli dei trattati di pace. Il richiamo ai "diritti storici" in merito alle controversie territoriali; la questione delle scuse ufficiali per i crimini di guerra giapponesi463; il riconoscimento formale da parte della Turchia, come condizione per la sua ammissione nella Comunità Europea, del carattere di genocidio dei massacri degli armeni; la repressione penale del negazionismo; le polemiche sul revisionismo e sul carattere tendenzioso dei testi scolastici di storia; sono tutti esempi recenti e attuali del ruolo politico e perfino militare che può essere attribuito alla rappresentazione del passato e del fatto che quest'ultima diventa in misura crescente uno dei fronti principali delle guerre potenziali. Uno di questi fronti, vale a dire il contenzioso territoriale tra Giappone e Corea del Sud relativo all'antico regno di Koguryo, è stato oggetto di un recente saggio di Terence Roherig, professore di National Security Affairs all'US Naval War College di Newport, che lo ha rubricato sotto il titolo "History as a Strategic Weapon"464. Polemizzando contro la teoria, ripresa nel 2006 da John Mearsheimer e Steven Walt, che la politica estera americana sarebbe eccessivamente influenzata dalla "lobby ebraica", una tesi di dottorato presso la Naval Postgraduate School di Monterey considera invece la storia messianica di Israele "as a strategic asset to the United States"465. Questo non significa certo che processi complessi, controversi e di lungo termine come l'interpretazione escatologica della Shoa e l'affermazione, nel diritto internazionale, dei principi di retroattività e non prescrittibilità dei crimini di guerra e contro la pace, l'umanità e la democrazia possano in alcun modo essere interpretati (magari sul filo di Carl Schmitt) come esempi di intenzionale "strategia della storia". Del resto non solo la Russia, ma neppure gli Stati Uniti hanno ancora ratificato il trattato di Roma del 17 luglio 1998 che istituisce la Corte penale internazionale, mentre Israele, come la Cina, non l'ha neppure firmato; segno che questa iniziativa, pur essendo uno sviluppo dei principi giuridici di Norimberga, non asseconda gli interessi americani e israeliani e risponde piuttosto all'utopia di programmatico ripudio della sovranità e della politica che informa l'ordinamento antistatuale e pan-amministrativo dell'Europa. Nondimeno la corte penale internazionale, se da un lato pone nuovi vincoli alla politica, dall'altro offre un'opportunità alla strategia, come dimostra il caso dell'incriminazione di Gheddafi, certo apprezzata da chi si oppone ad una soluzione negoziata della guerra civile libica e teme lo sganciamento dei partner trascinati loro malgrado ad un intervento non condiviso e con ogni evidenza mal calcolato dagli stessi promotori. In definitiva il principio ispiratore della corte criminale dell'Aia è Fiat justitia, et pereat mundus, che esprime la ribellione idealista contro il cinismo e il relativismo etico dei realisti. Ma la proclamazione di un nuovo principio etico è pur sempre, a suo modo, una strategia di guerra. Non a caso la frase, ignota al mondo classico, compare per la prima volta nei Loci communes di Filippo Melantone (1497-1560), stampati nel 1521, lo stesso anno dell'Arte della guerra di Machiavelli. 463 Jane W. Yamazaki, Japanese Apologies for Word War II. A rhetorical study, Routledge Comtemporary Japan series, New York, Routledge, 2006 464 Terence Roherig, "History as a Strategic Weapon. The Korean and Chinese Struggle over Koguryo", in Seung Ham Yang, Yeon Sik Choi, and Jong Kun Choi (eds), Korean Studies in the World: Democracy, Peace, Prosperity, and Culture, Seoul, Jimoondang, 2008. 465 Keith R. Williams (Captain, U. S. Army), "Moral Support, Strategic Reasoning or Domestic Policy: America's continua Support to Israel", Thesis, Naval Postgraduate School, Monterey, California, december 2007, online. 166 Processare i dittatori466 e le guerre può soddisfare, oppure offendere, questo o quel modo di intendere la giustizia, ma non sopprime né la politica né la strategia: al contrario offre all'una nuove opportunità e all'altra un nuovo ambiente operativo, sostituendo la violenza aristocratica della spada e della scure con quella plebea della gogna e della forca. Portare la storia in tribunale trasforma infatti persone ed eventi in icone morali ben più efficacemente della "storia monumentale"467. La serie virtualmente illimitata di processi garantita dal sistema allestisce in definitiva un catartico "teatro della memoria", costruito sul ricordo traumatico, per sua natura resistente a ogni forma di significazione468. Così il passato dilaga nel presente; non già nel senso critico del "passatopresente", ma in quello del "passato che non vuole passare"469, e che viene addirittura proclamato "il prezzo della colpa"470. E così, per parafrasare la famosa esclamazione di Marx, "il morto afferra il vivo!"471. 5. La memoria pubblica come arma strategica Howard Zinn (1922-2010) ha intitolato uno dei suoi ultimi libri History is A Weapon. Autore della famosa reinterpretazione della storia degli Stati Uniti dal punto di vista delle masse e delle minoranze, e attivista della contestazione universitaria, Zinn si riferiva ovviamente alla storia critica, che ha avuto un ruolo centrale nelle grandi rivoluzioni sociali del Novecento. Considerata dal punto di vista del suo potenziale strategico, la storia critica non è però veramente un'arma o un modo di combattere a sé stante, ma solo un tipo speciale di munizione da propaganda (oltre tutto assai costoso, difficile da maneggiare e di dubbia efficacia). 466 Sul tema v. un altro interessante contributo di T. Roherig, The Prosecution of Former Military Leaders in Newly Democratic Nations: The Cases of Argentina, Greece, and South Korea, Jefferson, NC: McFarland Press, 2002. 467 Interessante l'interpretazione della memoria della Shoa nella categoria nicciana della "storia monumentale" fatta da Stefano Levi della Torre, "La Shoa tra storia e memoria", in David Bidusso, Enrica Collotti Pischel e Raffaella Scardi (cur.), Identità e storia degli Ebrei, Milano, FrancoAngeli, 2000, pp. 154-55: "La memoria di ciò che è accaduto ne sancisce l'immanenza, la possibilità che si rinnovi oggi, in ogni momento della vita e della storia. Qui vediamo la forma paradigmatica: ciò che è stato come paradigma di ciò che può essere. E' quel tipo di memoria che F. Nietzsche in Sull'utilità e il danno della storia per la vita designa come 'storia monumentale' (...) La memoria paradigmatica agisce per analogia; risponde alla domanda: di quale evento fondante (preso a paradigma) un evento attuale è 'immagine e somiglianza'?" [Il riferimento è a Vom Nutzen und Nachteil der Historie für das Leben, 1874, seconda delle Unzeitgemässe Betrachtungen]. Sulle contraddizioni nella fabbrica della memoria pubblica nell'Italia contemporanea, v. V. Ilari, Inventarsi una patria, Roma, Ideazione, 1997, e Giovanni de Luna, La Repubblica del Dolore, Milano, Feltrinelli, 2011. 468 Jean François Lyotard (1924-1998), Le Postmoderne expliqué aux enfants, Paris, Galilée, 1986. 469 Questo il titolo dell'articolo pubblicato da Ernst Nolte sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung del 6 giugno 1986 e che dette origine all'Historikerstreit del 1986-89 (Konrad H. Jarausch, "Removing the Nazi stain? The quarrel of the historians", in German Studies Review, 1988 May, 11(2), pp. 285-301; Hans-Ulrich Wehler, Entsorgung der deutschen Vergangenheit? Ein polemischer Essay zum "Historikerstreit", Monaco, C.H. Beck, 1988). 470 471 Ian Buruma, Il prezzo della colpa. Germania e Giappone: il passato che non passa, Milano, Garzanti, 1994. Si tratta di una massima di diritto successorio sancita da vari statuti medievali in Germania, in Francia e in parte anche in Italia ("mortuus sasit vivum", "Der Todte erbt den Lebendigen"; v. ad es. Le mort saisit le vif, hoc est de translatione possessionis ex defuncto in superstitem, Venetiis, 1555 del magistrato francese André Tiraqueau, 14881558). Carlo Marx la cita, in francese, nella prefazione alla prima edizione tedesca del Capitale (1867), a chiusura del passo sulle conseguenze politiche e sociali doppiamente sofferte dall'Europa continentale rispetto all'Inghilterra, non solo per la rivoluzione capitalista ma pure per essere questa ancora incompleta, e cioè per il persistere di modi di produzione obsoleti. L'espressione forma pure il titolo di due romanzi francesi, pubblicati nel 1925 da Georges Lecomte (1867-1958) e nel 1942 da Henri Troyat (1911-2007) 167 Esiste nondimeno un'"arma storica"472 vera e propria, distinta e autonoma dalla guerra psicologica: è la memoria pubblica, che non solo produce i suoi effetti ope legis, ma, a differenza della propaganda, produce effetti permanenti e definitivi, di modo che il suo impiego è irrevocabile e a doppio taglio, come quello dell'arma nucleare. La storia critica, come la tragedia, guarda al passato per scatenare il futuro, e dunque ha per scopo di liberarsi da esso e dalla coazione a ripeterlo nell'unico modo possibile, che è di rendergli ragione, ossia di superarlo spiegandolo. All'opposto, la memoria pubblica, come il processo, guarda al passato per controllare il futuro, e ha dunque per scopo di mantenere il presente inchiodato al passato. La differenza tra questi due tipi di storia non sta tanto nel metodo, ma nelle necessità contrapposte dei due archetipi del progresso storico. Prometeo brandisce la critica, Urano la memoria, affrontandosi nel perenne conflitto "tra il vecchio che non vuol morire e il nuovo che vuol vivere"473. Lotta disuguale anche sotto il profilo etico, tra la forza naturale e il diritto positivo, tra la "critica delle armi"474 e la maledizione di Edipo. Parentis olim siquis impia manu senile guttur fregerit475; empia la mano parricida, dice Orazio meglio di Freud e di Pasolini. 6. Affinità retorica tra strategia e storiografia Finora il tema dell'arma storica non è emerso nella letteratura strategica. Certo, sulla rete si incontrano espressioni come "strategia della storia" e "uso strategico della storia", ma oltre ad essere assai poco frequenti e quasi solo in inglese, si riferiscono per lo più alle contraddizioni della teodicea ("discharging God from the strategy of history or reducing His Providence"), ad un particolare tipo di giochi (questo è praticamente l'unico significato in cui ricorre la frase italiana "strategia della storia"), all'anamnesi medica ("strategy of medical history-taking") o alla raccolta statistica di indicatori fisici per l'ottimizzazione delle riserve energetiche ("history matching in reservoir simulation") e le ricerche di mercato ("history as a strategic marketing tool", "strategy of history production simulation"). Per il resto troviamo solo "strategy of history writing / teaching", "stratégie de l'histoire de l'art"476 e infine i seminari di "Grand Strategy of History" organizzati dai "Nation Rebuilders". Questa magra incursione online ci ha un po' allontanato dall'accezione militare di strategia, non semplice teoria e prassi dell'azione pianificata, ma pure metodo per imporre la propria volontà ad un avversario in condizione di contrapporsi e interagire. Se togliamo il riferimento alla "volontà avversa", e cioè il carattere di "polarità" individuato da Clausewitz477, otteniamo infatti l'accezione 472 Espressione intraducibile in inglese perché "historic(al) warfare" e "historic weapon" indicano correntemente una periodizzazione, in contrapposizione a "pre-historic" e a "modern" (che significa "attuale, odierno"). 473 Antonio Gramsci, Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo stato moderno, Torino, Einaudi, 1955, p. 262: "Si potrebbe aggiungere che, in un certo senso, il conflitto tra "Stato e Chiesa" simbolizza il conflitto tra ogni sistema di idee cristallizzate, che rappresentano una fase passata della storia, e le necessità pratiche attuali. Lotta tra conservazione e rivoluzione, ecc., tra il passato e il nuovo pensiero, tra il vecchio che non vuol morire e il nuovo che vuol vivere, ecc.". 474 "L'arma della critica non può certamente sostituire la critica delle armi" (Carlo Marx, Introduzione a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, 1844). 475 Quinto Orazio Flacco, Epodon, Ode III ad Moecenatem, vv . 1.2. 476 Titolo del Tomo 586, 1996, della Revue critique (fondata nel 1946 da Georges Bataille). 477 Più precisamente, Clausewitz (Vom Kriege, II, 3, 3) fa consistere nella "soluzione sanguinosa" la specificità della guerra rispetto agli altri "conflitti di grandi interessi" politici e commerciali. E fa consistere la specificità dell'"arte della guerra" rispetto sia alle "arti meccaniche" che alle "arti liberali" nel fatto che non opera su un oggetto "inerte" (come la "materia") o almeno "passivo" (come lo "spirito" e i "sentimenti") , ma su un oggetto "vivente e reagente", ossia l'Antagonista. 168 inflazionata di "strategia" che da alcuni decenni è entrata nel vocabolario delle scienze aziendali ed economiche. Sarebbe utile estenderla per analogia pure alle scienze storiche? Certamente no, perché la strategia della ricerca storica è già ricompresa nella teoria del metodo storico e nella filosofia della storia. Prima di far ritorno all'aspro campo di Marte, indugiamo però ancora un poco sotto le materne fronde di Clio. L'affinità tra strategia e storiografia discende nell'ovvia constatazione che sono entrambe generi letterari: e pure strettamente imparentati, se si considera la funzione di incunabolo che la storiografia ha avuto nei confronti della strategia, come del resto di tutte le altre scienze umane (diritto, politica, economia) che si sono man mano costituite in autonomi generi letterari anteriormente alla strategia (il cui statuto epistemologico resta tuttora indefinito, perché si è incagliato sulla futile quérelle tra "arte" o "scienza" e sulla questione, del tutto fuorviante, dei cosiddetti "principi della guerra"). In quanto generi letterari, tutte le scienze umane sono dunque analizzabili con le categorie della retorica. Questo della retorica è, o almeno dovrebbe essere, un ambiente familiare per il pensiero strategico occidentale... Fu infatti venticinque secoli fa, quando Victor Davis Hanson, oplita tra gli opliti, forgiava la democrazia a Salamina, che la locuzione con cui retori e sofisti indicavano l'arte di disporre gli argomenti in un discorso (téchne taktiké) fu presa in prestito per indicare l'arte di disporre gli opliti in falange e la falange sul terreno. E poi, come dimenticare quel Formione, il peripatetico che pretendeva di dare lezioni de imperatoris officio et de omni re militari ad Annibale478 e il cui fantasma popolava i complessi di inferiorità di Machiavelli479 e degli odierni armchair generals? Oppure il gesuita tolonese père Joseph-Marie Amiot (1718-1793), insigne sinologo, astronomo, musicologo e filologo, morto di crepacuore alla notizia dell'esecuzione di Luigi XVI, e autore, tra l'altro, della prima (e forse ancora la più affidabile) traduzione occidentale dei classici militari cinesi480? 478 Cicero, De oratore, II. 18.75-76 e II. 19.77, 254, 256. L'episodio di Formione è messo in bocca a Quinto Lutazio Catulo Cesare (149-87 a. C.), che nel 102 fu console con Mario, al quale dovette cedere la gloria della vittoria di Vercelli (commemorata dal Tempio della Dea Fortuna o Monumentum Catuli, presso l'odierna Largo di Torre Argentina). Ricchissimo e di cultura greca, fu poeta, oratore e, pare, autore di una storia della sua campagna contro i Cimbri scritta nello stile di Senofonte. Geloso di Mario e passato perciò con Sulla, già suo luogotenente nella campagna cimbrica, morì infine suicida come Annibale. 479 Nella lettera del 4 aprile 1526 a Guicciardini in cui, raccontandogli di esser stato richiesto dal papa Clemente VII di un parere sulle fortificazioni di Firenze, Machiavelli gli esprime il timore di far la figura di "quel Greco con Annibale". E proprio quel paragone è richiamato da Matteo Bandello nella Novella I.40, in cui il povero Niccolò fallisce, sotto lo sguardo ironico di Giovanni delle Bande Nere, la dimostrazione pratica dell'ordinanza teorizzata nell'Arte della Guerra. Cfr. Frédérique Verrier, "Machiavelli e Fabrizio Colonna nell'arte della guerra: il polemologo sdoppiato", in JeanJacques Marchand (cur.), Machiavelli politico, storico, letterato: Atti del Convegno di Losanna, 27-30 settembre 1995, Roma, Salerno Editrice, 1996, p. 184. Robert Fredona, "Liberate diuturna cura Italiam. Hannibal in the Tought of Niccolò Machiavelli", in David S, Peterson with Daniel E. Bornstein (Eds), Florence and Beyond. Culture, Society and Politics in Renaissance Italy, Essays in Honour of John M. Najemy, Centre for Reformation and Renaissance Studies, Victoria University in the University of Toronto, Toronto, Ontario, 2008, pp. 430-31. 480 Amiot scrisse in merito due opere. La prima, pubblicata nel 1772 col titolo L’Art militaire des chinois e inclusa come VII volume delle Mémoires concernant l’histoire, les sciences, les moeurs, les usages &c. des chinois (par les missionnaires de Pékin, Paris, chez Nyon, 1776-91, 15 voll.), contiene la traduzione dei 4 classici cinesi più antichi (Sun Zi, Wu Zi, Sima Fa e parte di Lu Tao) e di un’opera sulla condotta delle truppe commissionata dall’imperatore Yong Teheng. La seconda opera è un Supplément (Mémoires, VIII) riccamente illustrato su ordini di battaglia, castrametazione, macchine e navi da guerra. Il tenente generale di Puységur, figlio ed editore postumo del maresciallo, criticò la traduzione di vari termini militari cinesi, proponendo emendamenti razionalizzanti che l’editore non volle apportare, difendendo il lavoro filologico di Amiot. Nel 1860 il Sunzi Bingfa fu tradotto in russo (seconda edizione nel 1889). Nel 1905 Calthorp stampò a Tokio la prima traduzione inglese. Seguì nel 1910 quella del sinologo Giles e nel 1911 la traduzione tedesca di Bruno Navarra (Das Buch vom Krieg. Der Militaer Klassiker der Chinesen). Nel 1940 la traduzione di Giles fu pubblicata negli Stati Uniti (a cura di Thomas R. Phillips, Roats of Strategy, Westport, Conn., Greenwood Press). Seguì nel 1958 una 169 De te fabula narratur. Retori e sofisti odierni (comunicatori, psicologi, sociologi, pagati a peso d'oro) non sbattono forse dietro la lavagna, con le orecchie d'asino, i loro scolaretti gallonati, ignari dei polverosi tomi di eloquenza militare, a cominciare dalla raccolta di Orationi Militari pubblicata a Venezia nel 1560 dal domenicano Remigio Nannini (1521-1581)? Non si tratta solo di discorsi e proclami alle truppe e ai civili, o di messaggi al nemico (come la troppo ambigua risposta giapponese alla distruzione di Hiroshima che provocò pure quella di Nagasaki). Vi rientra infatti pure il modo (del resto oggetto di minuziose normative) di redigere gli ordini e i rapporti, che riguarda non solo gli effetti immediati, ma pure e soprattutto gli effetti postumi, che possono essere anche di carattere giudiziario. A questo proposito Liddell Hart racconta, asserendo l'autenticità dell'episodio, di un generale francese del 1918, che, avendo dato allo stupefatto capo di stato maggiore l'ordine scritto di difendere la linea perduta il giorno prima, gli avrebbe spiegato a voce, con un sorriso d'intesa, che era "pour l'histoire", ossia per precostituirsi una pezza d'appoggio in caso di corte marziale481. 7. Trappole retoriche della letteratura strategica Quello della retorica è davvero un campo minato. Gli intrepidi lettori che fossero giunti fino a questo punto, sappiano che adesso faranno un giro sulla ruota panoramica. La vista è splendida, ma nella tasca del sedile anteriore troveranno il sacchetto per il mal di mare. Abbordare la retorica significa infatti oggi dover fare i conti con la "metastoria" di Hayden White (1928), secondo la quale il discorso storico è predeterminato dalla struttura retorica, e riducibile a quattro modelli essenziali. Questi, esemplificati da quattro coppie parallele di grandi storici e filosofi della storia, si ricavano dalle "affinità elettive" fra cinque categorie della retorica, ossia i tropi (metafora, metonimia, sineddoche e ironia), i modi, gli intrecci (romanzo, tragedia, commedia, satira), gli argomenti e infine le implicazioni ideologiche (anarchica, radicale, conservatrice, liberale)482. terza traduzione russa e nel 1962 la Casa Cinese di Edizioni di Shangai pubblicò un testo parziale, tradotto in italiano da Huang Jialin col titolo L’Arte della guerra di Sun Zi commentata dagli undici commentatori della Dinastia Song. Infine, nel 1963 uscì la nuova inglese di Griffith con prefazione di Liddell Hart (trad. it. L’arte della guerra, Milano, Il Borghese, 1965). Da incompetente, resto colpito dalla macroscopica differenza, al limite dell’irriconoscibilità, fra quest’ultima traduzione e quella diretta dal cinese (Renato Padoan, L’arte della guerra. Tattiche e strategie nell’antica Cina, Milano, Sugarco, 1980). Sono comparse in italiano anche le edizioni di Thomas Cleary, The Art of War, Boston & Shaftesbury, Shambala, 1988 (L’arte della guerra, Roma, Ubaldini Editore, 1990) e Ralph D. Sawyer, The Complete Art of War, Boulder, Colorado, Westview Press, 1996 (Sun Tzu - Sun Pin, L’arte della guerra e i metodi militari, Vicenza, Neri Pozza, 1999, con un saggio introduttivo di Alessandro Corneli). Corneli aveva in precedenza pubblicato una versione italiana della traduzione inglese di L. Giles (Sun Tzu on the Art of War, London, 1910) e di un saggio di Krzystof Gawlikowski (riunite ne L’arte della guerra, Napoli, Alfredo Guida, 1988: ristampandolo nel 1998 l’editore sui è involontariamente dato la zappa sui piedi, sottolineando che era “il libro preferito di uomini politici come Massimo D’Alema”. Indubbiamente è stato l’ultimo Feldherr italiano nel bellum Kosovaricum, ma nel trambusto preelettorale sul suo comodino dev’essersi verificata qualche confusione tra Sunzi e I Ching). Nel 1995 l’USSME ha ristampato, con prefazione di Raimondo Luraghi e titolo abbreviato (Sun Zi, L’Arte della guerra), la traduzione di Huang Jialin (1962). La coeva diffusione francese si deve all’ISC e in particolare a Valérie Niquet, eccellente traduttrice e acuta commentatrice dei classici cinesi e in particolare di Sun Zi (Paris, Economica, 1988, con introduzione di Maurice Prestat). Ma un decisivo salto di qualità nell’interpretazione di Su Zi si deve a Michael I. Handel, Sun Tzu and Clausewitz: The Art of War and On War Compared, Strategic Studies Institute, U. S. Army War College, 1991. Sull’assunto della “contemporaneità” cronologica, Godfrey Hutchinson lo confronta invece con Senofonte (Xenophon and the Art of Command, London, Greenhill Books - Pennsylvania, Stackpole Books, 2000). 481 482 nel suo saggio postumo, pubblicato dal figlio, Why dont we learn from history, Hayden White, Metahistory: The Historical Imagination in Nineteenth-Century Europe, Johns Hopkins University, Baltimore, 1973. 170 Trope Mode Emplotm ent Argumen t Ideology Historia n Philosop her Metapho r Representatio nal Romance Formist Anarchist Michelet Nietzsche Metony my Reductionist Tragedy Mechanic ist Radical Tocquev ille Marx Synecdo che Integrative Comedy Organicist Conservat ive Ranke Hegel Irony Negational Satire Contextua list Liberal Burckha rdt Croce Mi imbattei in Metahistory nel 1978, quando fu pubblicato in italiano. Avevo trent'anni, ci scrissi sopra un saggio per Renovatio di Baget-Bozzo ("Tristi Tropi") e più tardi provai a riciclarlo in un grisbi della Banda Jean, ma il giovane e spietato curatore, Luciano Bozzo, tagliò la tabella che ora ho recuperato da Wikipedia. Liberatomi faticosamente dal tetraedro di Jung (Tipi psicologici) mi lasciai risucchiare in quello di White: ripudiai la commedia conservatrice impressa da mio padre sulla mia adolescenza e tuffai voluttuosamente la mia gioventù nel romance anarchico. Poi la mia pinguedine nella satira liberale e ora la mia canizie rancorosa nella tragedia radicale. Per quanto intellettualmente stimolante, la tavola delle affinità elettive ha avuto poca fortuna non solo nella ricerca storica, ma pure nella storia e nella teoria della storiografia. Con ogni probabilità ciascuna delle altre scienze umane reagirebbe con maggiore veemenza contro un Procuste che pretendesse di friggerle sulla diabolica griglia di White. Sarebbe però certo possibile raffrontare quattro coppie parallele di strateghi e di scrittori di strategia, magari ripartendo dai celebri raffronti tra grandi capitani (Annibale e Scipione, Cesare e Alessandro...) o dalle analogie col passato che condizionano l'auto-rappresentazione della realtà (Schlieffen che studia Canne, Liddell Hart che proietta sui Boches lo spettro di Napoleone, Hitler che pensa a Cartagine483, Patton che si sente la reincarnazione di Annibale, Vittorio Emanuele III che nell'estate del 1943 riflette sul mutamento di fronte compiuto dai suoi antenati nel settembre 1703 ... e il miserabile Occidente contemporaneo in cerca di decenza tra Nuova Roma e Nuovi Hitler). Sono le “historical traps for strategists”, esemplate dalla “Schlieffen’s obsession with Hannibal’s tactics at the battle of Cannae”, e alle quali alludeva già Napoleone quando parlava di "réminiscence"484. Nella sua magistrale stroncatura di Liddell Hart, John Mearsheimer le definisce "omnipresent history"485, ossia una “forzatura del presente per conformarlo ad una determinata 483 Luigi Loreto, L'idea di Cartagine nel pensiero storico tedesco da Weimar allo "Jahr 0", in Studi Storici, 41, 2000, p. 104. Cfr. Id., La grande strategia di Roma nell'età della prima guerra punica (ca. 273-ca. 229 a.C.): l'inizio di un paradosso, Napoli, Jovene, 2007. 484 Walter Emil Kaegi, Jr., “The Crisis in Military Historiography”, in Armed Forces and Society, Vol. 7, No. 2, Winter 1981, pp. 299-316 485 John J. Mearsheimer, Liddell Hart and the Weight of History, Cornell University 1988, Oxford, Brassey’s Defence Publishers, 1988, pp. 218-219. Sull’influenza della storia militare sul pensiero strategico, per alcuni eccessiva e nefasta, per altri insufficiente, v., oltre a Kaegi e a Mearsheimer, la famosa lecture tenuta da Michael Howard il 18 ottobre 1961 (“The Use and Abuse of Military History”, ora in RUSI Journal, February 1993, pp. 26-30). Sul tema, v. anche Ernest R. May, “Lessons” of the Past: the Use and Misuse of History in American Foreign Policy, New York, Oxford U. P., 1975; Russell F. Weigley (ed-), New Dimensions in Military History, San Rafael, California, Presidio Press, 1975; Robert Higham, Robin and Jacob W. Kipp (eds.), International Commission for Military History: Acta No. 2, The Washington Meeting, August 1975, Manhattan, Kansas, Military Affairs Aerospace Historian Publishing, 1977; Jay Luvaas, “Military History: Is It Still Practicable?” (1982), in Parameters, Summer 1995, pp. 82-98; Manfred Messerschmidt, Klaus A. Maier, Werner Rahn e Bruno Thoss (cur.), Militaergeschichte. Probleme-Thesen-Wege, Im Auftrag des Militaergeschictlichen Forschungsamtes aus Anlass seines 25jaehrigen Bestehens, Stuttgart, Deutsche Verlangs-Anstalt, 1982; Martin van Creveld, “Thoughts on Military History”, in Journal of Contemporary History, Vol. 18 (1983), pp. 549-566: Raimondo 171 interpretazione del passato”; una delle insidie peggiori, perché neppure sospettate, che condizionano negativamente il processo decisionale, e specie nella sua fase finale e di maggiore responsabilità. 8. Strategia del fine storia Oltre che una salutare lezione sull'attendibilità storica delle carte di stato maggiore, l'immersione della strategia nella retorica è però anche un bagno di Sigfrido nel sangue di drago. Infatti la stessa strategia militare consiste in definitiva nella costruzione di un discorso persuasivo o dissuasivo, anche se questo risultato viene in guerra raggiunto attraverso una serie di dimostrazioni di violenza e distruzione fisica realmente o potenzialmente compulsivi. Il destinatario del messaggio non è solo l'Altro (il nemico), ma anche e soprattutto il Terzo (la nazione o la coalizione che sostiene lo sforzo bellico e i neutrali che osservano gli eventi in funzione dei loro interessi). Come osserva Lucio Caracciolo in America vs America 486, il doppio impasse in cui si è impantanata la guerra al terrore intrapresa dagli Stati Uniti dopo l'attacco delle Due Torri, ha dato credito all'idea del generale Petreus che in definitiva ciò che conta non è tanto vincere quanto convincere di aver vinto. Raramente le guerre (almeno quelle degli ultimi sei secoli) finiscono infatti con una vittoria schiacciante e con la damnatio memoriae del vinto. Nella maggior parte dei casi il risultato consente a entrambe le parti di proclamarsi vincitori, ai partner minori di una coalizione perdente di passare tra i vincitori, agli sconfitti di scrivere sui (propri) monumenti "mancò la fortuna, non il valore". Il caso di Petreus è però alquanto diverso, perché si riferisce alle guerre "asimmetriche". Queste (come scrive Carlo Jean in questo stesso volume), sono caratterizzate da un Davide destinato necessariamente a vincere o perire perché si gioca tutto e da un Golia destinato quasi certamente a perdere perché si gioca solo la faccia. Essendo meno coinvolto, Golia ha in compenso il vantaggio di potersi sganciare in tempo salvando, se non la faccia, almeno la memoria e il giudizio. Non si tratta di una triviale questione di propaganda, ma di produrre realmente una sequenza complessa e coerente di eventi pensati in funzione del loro futuro e permanente effetto narrativo, tale da persistere nel tempo e radicare un giudizio storico oggettivo e condiviso. Non quindi una falsa storia, e nemmeno una storia virtuale, o revisionista, o una contro-storia dei vinti: ma una storia vera, equilibrata e obiettiva, in cui persino una sconfitta definitiva che sia stata lucidamente prevista e governata con generosità e lungimiranza davvero strategica può col tempo essere riconsiderata una vittoria morale. Ad esempio la relazione tra Lady Edwina Mountbatten e Jawaharlal Nehru giova paradossalmente alla memoria dell'Impero Britannico; infatti non a caso è stato il governo indiano a vietare un film sul famoso triangolo, che nella prospettiva indiana avrebbe infangato non l'ultimo governatore generale inglese, ma il padre della patria487. Merita ogni onore il patriottico senso di responsabilità e di rispetto della propria funzione dimostrato dall'esercito americano pubblicando già nel 2011, mentre inizia il controverso ritiro Luraghi, “Storia militare e strategia globale”, in Strategia globale, N. S., n. 2, 1984, pp. 235-242; Richard E. Neustadt, Thinking in Time: The Uses of History for Decision-Makers, New York Free Press, 1986. 486 487 Lucio Caracciolo, America vs America, Roma-Bari, Laterza, 2011. Il film Indian Summer, tratto dal libro omonimo di Alex von Tunzelmann (Indian Summer: The Secret History of The End of an Empire, McClelland and Stewart, Toronto, Ontario, 2007 e con altri editori nel 2008, 2009 e 2011) e prodotto dalla Universal, era stato affidato a Joe Wright, già regista di Orgoglio e Pregiudizio e Espiazione, il quale aveva voluto come consulente storico il biografo ufficiale di Nehru, MJ Akbar, secondo il quale tra il Pandit e Lady Edwina vi sarebbe stata solo un'amicizia, di cui Lord Mountbatten era orgoglioso. 172 dall'Afghanistan, una serie di studi sul modo in cui sono terminate le precedenti guerre degli Stati Uniti e si cerca di por fine a quella in corso488. Il migliore, se non l'unico esempio di strategia vincente del fine storia è senza dubbio quella attuata in Marocco dal generale alsaziano Hubert Lyautey (1854-1934). La ragione del successo fu di averla pensata e condotta fin dall'inizio dell'avventura. Nella sua visione del protettorato non c’era posto per l’immigrazione francese, per l’amministrazione diretta, per l’esproprio e l’umiliazione dei marocchini, per le forzature reclamate dalla politica interna francese. Considerava il protettorato “affaire de générations”, non per assimilare i marocchini, ma per radicare, sulla prassi quotidiana dell’interesse comune, un’amicizia durevole tra due popoli diversi destinati presto o tardi a separarsi. Ragionava come MacArthur: non si trattava solo di “rispettare” le istituzioni religiose, sociali, e politiche, ma di fondare proprio su di esse il consenso alla politica dell’alto commissario (e in primo luogo sul sultano, capo politico e religioso come l’imperatore del Giappone). «Quelli che combattevano ieri contro di noi – diceva Lyautey - sono oggi i fondamentali alleati nell’opera di pacificazione»489. Non basta però capire l'importanza di costruire coi fatti una memoria onorevole del fine storia, bisogna poterci riuscire. Nonostante lo spessore morale e intellettuale e il profondo patriottismo del Generale de Gaulle, la strategia del fine guerra algerino non ha preservato l'onore della Francia dalla perenne ignominia della sua sconfitta. La ragione stava nel peccato originale (evitato in Marocco grazie a Lyautey) di aver voluto colonizzare l'Algeria, fino a volerla trasformare in territorio metropolitano. Nel 2003, in vista dell'intervento in Iraq, l'esercito americano ristudiò le sue passate controguerriglie, da Aguinaldo a Pancho Villa a Sandino, e organizzò cineforum sulla Battaglia di Algeri. Ma nessuno pensò di studiare MacArthur e Lyautey. Questo significa che, con tutta la retorica del nation-building, il retropensiero con cui si accingevano a esportare la democrazia era quello dei pied-noirs e dei coup de torchon. Anche i nemici dell'America, candidati alla sconfitta come quelli dei Romani, possono, anche da morti, e per secoli, proseguire la lotta con altri mezzi. In definitiva farsi prendere vivi, come Aguinaldo, Goering, Mussolini, Saddam, Milosevic, Mladic, scredita perché manifesta una mancanza di coerenza, una condivisione implicita del sistema di valori del nemico e un riconoscimento della sua vittoria. Cadere con le armi in pugno, come Allende e come sembra tentare Gheddafi, o suicidarsi come Annibale, Hitler e Mishima, è un estremo tentativo, non sempre e non del tutto illusorio, di negare al nemico l'ultima parola e proiettare il proprio spirito sul futuro; quattro secoli dopo fu Settimio Severo a restaurare la supposta tomba di Annibale490. Specularmente, giustiziare chi, senz'essersi arreso, era stato o poteva essere preso vivo, come 488 Col. Matthew Moten (Ed.), Between War and Peace. How America Ends Its Wars, New York, Free Press, A Division of Simon & Schuster, 2011. Fra i contributi citiamo in particolare: Conrad C. Crane, "Exerting Air Pressure and Globalizing Containment: War Termination in Korea" (pp. 237-258); Col. Gian P. Gentile, "Ending rthe Lost War", (pp. 259-280); George C. Herring, "The Cold war: Ending by Inadvertence", (pp. 281-301); Andrew J. Bacevich, "United States in Iraq: Terminating an Interminable War", (pp. 302-322). Gli altri articoli riguardano le vittorie di Yorktown, Plattsburg 1814, guerra coi Seminole, col Messico, Civile, "300 years War", Batangas Philippine war, Offensiva Mosa Argonne, fine guerra in Europa e in Asia 489 490 Gen. Durosoy, Lyautey 1854-1934, Maréchal de France, Paris, Lavauzelle, 1984. Anche se Livio nega implicitamente al suicidio di Annibale il carattere strategico di una prosecuzione della guerra con altri mezzi [tentata un secolo dopo da Mitriate], mettendogli in bocca banali parole stoiche: "Liberiamo il popolo romano dalla sua angustia, se esso trova che duri troppo l'attesa della morte di un vecchio. Né grande né gloriosa è la vittoria che riporterà Flaminino su un uomo inerme e tradito. Basterà questo giorno a dimostrare quanto sia mutata l'indole dei Romani. I loro avi misero sull'avviso il re Pirro, loro nemico insediato con un esercito in Italia, che si guardasse dal veleno. Questi di oggi, invece, istigano... a uccidere a tradimento un ospite". Poi, "dopo avere imprecato contro la vita... e invocato gli dei ospitali a testimoni della fiducia violata dal re, vuotò la tazza". 173 Andreas Hofer, Omar al Mukhtar, Che Guevara e Usama bin Ladin, è un segno di timore e di rispetto, e implicitamente certifica la rinuncia del vincitore all'ultima parola. La memoria del fine guerra è infatti la prosecuzione della guerra con altri mezzi, e qui l'arma decisiva è l'arte, tanto quella oggettiva dell'evento, quanto quella soggettiva della sua rappresentazione. La vittoria di Golia può sopravvivere, come quella di Tito e Vespasiano sopravvisse per secoli a Masada grazie a Flavio Giuseppe; ma la vittoria di Davide buca le generazioni attraverso capolavori come il Primo Libro di Samuele o La Battaglia di Algeri. Come dice Lucio Caracciolo, Petreus ha posto le condizioni tattiche di un decente fine storia: per quelle strategiche ci vorrebbe un nuovo Flavio Giuseppe. Perché non scegliere un italiano, purché del calibro di Gillo Pontecorvo o della mezza dozzina di geniali "avventurieri della penna" che nel tardo Seicento costruirono con raffinata abilità non solo le danze ma pure la storia del Re Sole, ultima ratio regum più potente e permanente dell'artiglieria? 9. Strategia della storia speculativa E' dunque possibile una "strategia della storia"? E come negarlo? Forse che le guerre non si fanno per incidere sui processi storici, accelerandoli, frenandoli o modificandoli? Forse che non sono una combinazione di interpretazioni del presente e di previsioni e scommesse probabilistiche sul futuro? E' di tutta evidenza che tutte le guerre sono "inutili stragi": ma è di altrettanto irrefutabile evidenza che contribuiscono a determinare il "processo storico" - come abbiamo battezzato il segmento a noi più familiare dell'evoluzione biologica (cinquemila anni terrestri su tre miliardi, a quanto pare). Vi sono state e vi sono varie interpretazioni sulla direzione di questo processo: religiose e scientifiche, apocalittiche e utopiche, ottimiste e pessimiste, reazionarie e progressiste. Oggi sono i bibliotecari a fregiarsi del titolo di "custodians of history": ma fu pure il titolo di un discorso, a suo tempo famoso, pronunciato il 20 settembre 1962 da Adlai Stevenson (1900-1965) alle Nazioni Unite, per richiamarle alla responsabilità di preservare la pace e promuovere la giustizia491. In polemica con Benedetto Croce, che [in una "Postilla" comparsa nella Critica del 20 marzo 1933] s'indignava per la "vile" acquiescenza alle presunte tendenze del mondo (che allora sembrava, come adesso, "andare a destra"), Antonio Gramsci fece un'osservazione più acuta, ossia che la formula "il mondo va verso ..." è "essenzialmente una formula politica, di azione politica" per "convincere della ineluttabilità della propria azione e ottenere il consenso passivo per la sua esplicazione". Sintomo di "demoralizzazione", la formula "in sé non significa nulla" ma "intanto è comoda l'espressione del mondo corpulento che va in qualche parte. Si tratta di una previsione che non è altro che un giudizio sul presente, interpretato nel modo più facilonesco, per rafforzare un determinato programma d'azione con la suggestione degli imbecilli e dei pavidi"492. I rivoluzionari temono l'effetto tutt'altro che energetico, ma paralizzante che in genere viene indotto dalla convinzione di conoscere la direzione della storia. Se il destino è manifesto, perché prendere d'assalto il cielo? E' così che le nazioni, come la gente, vivono la loro primavera e la loro estate, leggendo divertite, senza pensare che le riguardi, l'agghiacciante lampo finale di Macbeth e Santa Teresa di Lisieux sulla "favola senza senso, raccontata da un idiota"493. Forse i rivoluzionari sono appunto i pochi che si accorgono in anticipo dell'insensatezza, in una stagione della vita in cui hanno ancora le forze vitali per reagire. Come reagire, allora, se non forzando volontaristicamente 491 Adlai Ewing Stevenson II (1900-1962), "Custodians of History: Devotion to Peace and Justice", Speech at the United Nations, 20 September 1962. Vital Speeches of the Day; 10/15/62, Vol. 29 Issue 1, p10. 492 493 Antonio Gramsci, Passato e presente, Einaudi, 1954, pp. 27-28. "It is a tale Told by an idiot, full of sound and fury, Signifying nothing". Shakespeare, Macbeth Atto V, Scena 5, vv. 19-28. 174 la razionalità della storia e la "viltade" dei contemporanei? Se non col pari, la scommessa, la scala di Giacobbe, il superomismo, il titanismo, l'inferno qui e subito se non dev'essere paradiso? Se la storia è razionale o provvidenziale, deve avere non solo un fine, ma pure una fine. Per la generazione di Flavio Giuseppe il fine e la fine si incarnarono in Tito Flavio Vespasiano. Conforme all'antica profezia, veniva dalla Giudea, risanava i ciechi e gli storpi, e dopo il quasi contemporaneo incendio del Campidoglio e del Tempio di Gerusalemme chiuse il Tempio di Giano. La generazione precedente aveva visto con Virgilio che il fine e la fine delle guerre e della storia erano l'imperium sine fine, nello spazio come nel tempo494. Come dunque stupirsi se per i funesti trotzkisti del Sessantotto americano, sciaguratamente arrivati al potere negli anni Novanta, il fine e la fine hanno potuto incarnarsi in un "santo bevitore", poi taumaturgo di sé stesso e "cristiano rinato"? L'analogia tra i due imperatori del 69-79 e del 2001-2008 è ovviamente solo un artificio letterario per trattenere l'annoiato lettore e certo nulla toglie al ragionato scetticismo di Lucio Caracciolo circa il preteso carattere imperiale della vittoria conseguita dalla potenza anglo-americana contro il suo ultimo antagonista globale dopo la Spagna, la Francia e la Germania. Inoltre, a differenza delle tre precedenti, la quarta vittoria non è stata inclusiva del vinto e non è detto che possa diventarlo in futuro. Volendo però ancora arpeggiare un momento sull'analogia tra Romani e Americani, si può aggiungere che la trasformazione da impero territoriale e relativo a impero globale e universale è appena agli inizi e potrebbe essere arrestata se la Cina fosse infine costretta a trasformarsi, contro il proprio interesse e la propria volontà, in ennesimo antagonista globale dell'Occidente. D'altra parte l'implosione non basta da sola a determinare la fine di un sistema, finché non ci sono altri attori in grado di approfittarne. Se è per questo i dieci secoli di Roma sono stati una serie di continue crisi e implosioni senza alternative, rispetto alle quali l'attuale crisi strategica e finanziaria degli Stati Uniti pare davvero secondaria. Anzi, proprio la crisi può diventare un'assicurazione sulla vita. Come insegnano Paperino e la storia dell'Inghilterra dal 1914 al 1947, il modo migliore in cui un debitore può costringere i creditori a mantenerlo, è diventare il loro maggior debitore insolvibile. Certo, se il creditore è unico e potente, come Zio Paperone o Zio Sam, il debitore insolvibile subisce l'esproprio (come John Maynard Keynes previde fin dal 1916 a proposito della successione americana nell'Impero britannico, esito inevitabile della "guerra civile" europea, "la plus monumentale ânerie que le monde ait jamais faite" come Lyautey la giudicava nel 1914). Però se i creditori sono una folla e il più grosso al dunque può essere preso a pugni (come è il caso della Cina), non sarà il debitore a trascorrere le sue notti rigirandosi nel letto. Quanto alle guerre, poi, pure i romani, vinte quelle mondiali, non solo hanno intensificato le civili, ma hanno perso la maggior parte delle regionali, insieme con un bel po' di aquile e perfino un paio d'imperatori, da Carre a Teutoburgo a Ctesifonte ad Adrianopoli. E, a parte il sale e le lacrime di Scipione sulle rovine di Cartagine, non le hanno neppure chiuse con un fine storia decente, se nel Libro I de Armis Romanis (1599) Alberico Gentili (1552-1608) poteva esercitarsi a dimostrare che erano state tutte ingiuste (salvo confutarlo nel Libro II, de iustitia bellica Romanorum)495. 494 V. Ilari, s. v. "Imperium", in Enciclopedia Virgiliana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 1991, pp. 927-28. 495 Alberici Gentilis J. C. Clarissimi, Professoris regii, De Armis Romanis libri duo, Nunc primum in lucem editi, ad Illustrissimum Comitem Essexie, Archimaresciallum Angliae [discussione della "justitia" di ciascuna guerra dell'Antica Roma, riunendo gli argomenti a favore e quelli contrari in due Actiones separate, corrispondenti ai due libri dell'opera]. Hanoviae, apud Guilielmum Antonium, 1599. Hanoviae, apud haeredes Guilielmi Antonii, 1612, in-8, pp. 284. [Ayala, p. 283. Cockle N. 586]. Benedict Kingsbury, Benjamin Straumann and David Lupher, The Wars of the Romans: A Critical Edition and Translation of de Armis Romanis, Oxford U. P. 2011. Diego Panizza, "Alberico Gentili's de Armis Romanis: the Roman Model of the Just Empire", in The Roman Foundations, cit., pp. 53-84. David Lupher, "The De 175 D'accordo, ma a che serve in pratica questa lettura imperiale del destino americano se non a dar modo allo scozzese Niall Ferguson (1964) di montare in cattedra496? (ripetendo la lezione impartita nel 1898 da Rudyard Kipling quando, arrotando i denti, dette agli ex-Ribelli il benvenuto nel club dei portatori bianchi di fardelli neri). Beh, l'analogia tra la pax Romana e la pax Americana qualche spunto di riflessione lo fornisce, se non altro sulla posizione e sul destino dell'Europa, che evoca sul piano politico il giudizio sallustiano sui Greci ["essi nella loro patria perdettero la libertà; come possono dare precetti d’impero?"] e sul piano militare la condizione giuridica dei Socii italici [quibus milites in terra Italia Romani imperare solent]497. Come i soldati americani varcarono due volte l'Atlantico per liberare l'Europa dal giogo tedesco e ci restarono per preservarla da quello sovietico, così i legionari romani varcarono due volte lo Ionio per liberare la Grecia dal giogo macedone. Nel 196 a. C., durante i giochi istmici di Corinto dedicati a Poseidone, Tito Quinzio Flaminino, il filellenico vincitore di Cinocefale, restituì solennemente la libertà ai Greci. Nel successivo mezzo secolo, fino alla distruzione di Corinto e alla trasformazione in provincia romana (146), la Grecia dovette scegliere tra la strategia di Licorta, lo stratega della Lega Achea che appoggiò la disastrosa revanche macedone, e quella del figlio Polibio, l'ipparco della Lega mandato in ostaggio a Roma dopo la sconfitta di Pidna (168): il quale, spiegando ai Greci le istituzioni dei Romani, dette a questi ultimi, con concetti greci, la coscienza e l'ideologia del loro sistema costituzionale e del loro ruolo geopolitico. Forse la Grecia del 2011 non sarà la Pidna dell'Euro, ma certo non basta un Niall Ferguson a fare un Polibio. Davvero non si potrà dire di noi Graecia capta ferum victorem cepit, et artes intulit agresti Latio (Orazio, Epist.. Il, 1, 156). In realtà le leggi del processo storico, le tendenze del mondo, i destini manifesti e le analogie coi Romani non riguardano la strategia, ma la filosofia della storia, o, per essere più precisi, la filosofia "speculativa" della storia, che indaga l'eventuale significato della storia umana (e che si distingue dalla filosofia "critica" della storia, ossia la teoria della storiografia). Tuttavia la strategia è sempre condizionata dalla filosofia della storia. Quella sovietica, ad esempio, era dedotta "scientificamente" dai principi del marxismo-leninismo, e l'equivalente accade di fatto per le implicazioni militari del messianismo americano. Lucio Caracciolo bolla come "astrategico" l'"uso della forza" da parte degli Stati Uniti in quanto funzionale a "fini politico-ideologici" anziché "strategico-geopolitici"498, ma questa distinzione non persuade, perché la strategia non può essere, per definizione, fine a sé se stessa e la geopolitica scientifica (come quella di Limes e Heartland, le riviste dirette da Caracciolo) non è meno ideologica del marxismo-leninismo e del messianismo. (Detto questo, l'unica idea su cui tutti gli europei concordano è che gli americani sembrano elefanti in un negozio di cristalleria; in ciò confermando di ragionare come i Greci rispetto ai Romani e come Venere rispetto a Marte). 10. Strategia della storia critica. Armis Romanis and the Exemplum of Roman Imperialism", pp. 85-100. Il I libro è costituito dalla dissertazione De iniustitia bellica Romanorum actio, già pubblicata nel 1590(Oxonii, Josephus Barnesius Typographus, pp. 17) 496 Niall Ferguson, Colossus: the price of America's empire, The Penguin Press, New York, 2004, p. 301: "American neoimperialists like to quote Kipling's "White Mans Burden," written in 1899 to encourage President McKinley's empire-building efforts in the Philippines. But its language — indeed the entire nineteenth- century lexicon of imperialism - is irrevocably the language of a bygone age. Though I have warned against the dangers of imperial denial, I do not mean to say that the existence of an American empire should instead be proclaimed from the rooftop of the Capitol (...) The United States has good reasons to play the role of liberal empire". 497 V. Ilari, Gli Italici nelle strutture militari romane, Milano, Giuffré, 1974. Id., "Debellare superbos", In Massimo de Leonardis (cur.), La NATO e le nuove sfide per la forza militare e la diplomazia, Atti del convegno di Milano, 18-19 ottobre 2006, UCSC, Bologna, Monduzzi, 2007, ora in Debellare superbos, raccolta di scritti 2003-2008 online su scribd. 498 Caracciolo, America, cit., pp. 92 ss. 176 L'altro aspetto comune alla strategia e alla filosofia della storia riguarda la predizione del futuro. In definitiva cos'altro ci aspettiamo dall'esercizio di queste discipline se non di farci conoscere quel che accadrà o che potrebbe accadere, per limitare i danni e sfruttare i vantaggi? E la storia non è forse un "viaggio nel tempo"? Il lettore più benevolo si è accorto fin dal secondo capoverso che tutto questo scritto è una futile passeggiata fra le nuvole: e nel caso improbabile che abbia avuto la pazienza di arrivare fin qui, vede ora spalancarsi un abisso di quanti, superstringhe, orologi cosmici e frecce del tempo. Nella vana speranza di trattenere il mio Dante, lo condurrò su un altro balcone, apparentemente più solido e rassicurante, mostrandogli nell'infinito firmamento di google i 2,2 milioni di citazioni che si ottengono cercando "forecasting methods and applications", i 14,5 milioni corrispondenti a "strategic forecasting" e i 23,3 evocati da "intelligence forecasting corp". D'accordo, sarà il caso di restringere, e va meglio (64.500) con "forecasting theory": ma "historic forecasting", "forecasting in history", "forecasting in strategy", "forecasting in intelligence" fruttano quattro miseri pugni di mosche (rispettivamente 260, 254, 35 e 27). La voce "Forecasting" di Wikipedia elenca ventuno metodi o gruppi di metodi matematici di previsione, di cui nove basati su statistiche storiche e sei su stime soggettive di probabilità, che a loro volta riflettono l'esperienza storica di chi viene consultato. La strategia militare, come quella finanziaria, aziendale, ecc., non può prescindere dalla previsione matematica, e quest'ultima si fonda in misura crescente sull'interazione tra informatica e ricerca "storica", intesa come raccolta statistica di dati seriali, inclusi quelli relativi al comportamento umano, ora tracciabile e analizzabile in estensioni apparentemente illimitate. Albert-László Barabási ha dedicato uno splendido libro (Lampi)499 alla perdita della privacy e al Panopticon liberaldemocratico, che è anche un inno alla mancanza di prevedibilità su cui poggiano in definitiva la libertà e la responsabilità umana. In filigrana Barabási racconta la grande jacquerie ungherese del 1514 scatenata dalla decisione di un papa italiano di bandire una crociata per allontanare da Roma un pericoloso rivale. Esito paradossale di una concatenazione casuale e assolutamente imprevedibile; eppure presagito da un saggio Laocoonte ungherese che si era invano opposto alla pessima idea di riconquistare Costantinopoli con un esercito reclutato tra le vittime dell'ingiustizia feudale. Il discorso pronunciato da István Telegdi nel palazzo reale di Buda il 24 marzo 1514, ricorda il sonno, presago dell'imminente sconfitta, dell'eroe Kutusov mentre, la vigilia di Austerlitz, fingeva di ascoltare la brillante esposizione del piano di battaglia fatto dal generale austriaco Kalkreuth. Anche questo, forse, soltanto un artificio letterario di chi, come Tolstoi e i grandi italiani che si compiacquero di questo passo (Croce500 e Sciascia501), ama contrapporre dimostrazione e intuizione. Sopprimere l'incertezza non è più il sogno, ma il pomo luccicante ora alla portata della strategia; il trionfo postumo e definitivo del barone Jomini sul would-be prussiano. Ma assieme alle nebbie, svanisce il genio della guerra. Quanto più accuratamente pianifica il futuro, tanto più la strategia diviene rigida e dimentica il dictum di von Moltke il vecchio (1800-1891), il vincitore di Sadowa e Sedan, che "nessun piano sopravvive al contatto col nemico" e "la strategia è un sistema di espedienti"502. Osservazione più profonda di quanto appaia. Sopprimere l'incertezza - in origine mediante la sola superiorità schiacciante dele forze, poi mediante anche la contrazione dei tempi 499 Albert-László Barabási, Lampi. La trama nascosta che guida la nostra vita, Einaudi,Torino, 2011. 500 Croce, «Azione, successo e giudizio: note in margine al Vom Kriege», in Atti dell’Accademia di Scienze morali e politiche della Società reale di Napoli, LVI, 1934, pp. 152-163 (=Revue de Métaphysique et de Morale, XLII, 1935, pp. 247-258). 501 502 Leonardo Sciascia, L'Affaire Moro, Sellerio, Palermo, 1978. Helmuth Graf von Moltke, Militärische Werke. vol. 2, part 2., pp. 33-40. Hughes, Daniel J. (ed.) Moltke on the Art of War: selected writings. (1993). Presidio Press: New York, New York, pp. 45-47. 177 combinata con la previsione matematica - significa infatti sopprimere la guerra, perché un nemico incapace di reagire e contrapporsi può essere un reo oppure un capro espiatorio, ma non certo un nemico. Se la guerra è collisione d'imperi, l'unico modo di sopprimerla è l'impero universale. Avrebbe una sua logica che oggi, dopo cinque secoli di collisioni, riappaiano in forme nuove e a scala globale Pax Augusta e Tōngtiān dìguó (Celeste Impero). Nel Proemio dello Strategikos (§. 4) Onasandro suggerisce che in tempo di pace imperiale discutere di arte del comando sia più un passatempo per vecchi generali a riposo che una scuola per bravi comandanti503. Niente più guerra, niente più strategia, niente più soldati. Le parole restano, per tradizione e per inerzia, ma in contesto imperiale significano altro: repressione, previsione, gendarmi. Di strategia, e non di semplice statistica predittiva, ha bisogno chi si prepara ad evocare e affrontare un vero nemico. Non chi teme l'imprevisto e l'incertezza, ma chi vi confida. Non chi ha occupato tutto lo spazio, ma chi l'ha ceduto per guadagnare tempo. Non chi ha vinto la posta, ma chi vuole rimetterla in gioco. Colui che decide davvero la guerra è in definitiva chi si sente messo con le spalle al muro e, pur riluttante, sceglie di difendersi. Non è il caso di antiglobalismo e fondamentalismo islamico, movimenti intra-imperiali di testimonianza identitaria o messianica, come lo furono verso Roma il cristianesimo e le guerre giudaiche. L'unico candidato virtuale al ruolo strategico di difensore resta la Cina. E' il virtuale antagonismo della Cina (ancora ben lontano però dal diventare effettivamente potenziale) a mantenere socchiusa la porta del Tempio di Giano, a giustificare una riflessione attuale sulla strategia. Come abbiamo visto, una strategia della storia speculativa finisce per subordinarsi o meglio confondersi con la filosofia della storia e ridursi così a previsione statistica. Il paradosso clausewitziano che la forma originaria e più forte di guerra è la difesa, vale pure per la storia. La storia critica è infatti anzitutto una difesa e una liberazione dalla storia speculativa e dalle forme più pericolose e devastanti di storia, ossia l'archetipo, lo stereotipo, la memoria. L'unica strategia della storia possibile è dunque non una profezia sul futuro, ma sul passato, come matrice del presente. E cioè un uso critico della storia non per prevedere il futuro, ma per intendere il presente. 503 V. da ultimo l'ottima edizione con testo a fronte di Corrado Petrocelli, Il generale. Manuale per l'esercizio del comando, Bari, Edizioni Dedalo, 2008, p. 22-25. 178 Agosto 2011 179 Virgilio Ilari Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Virgilio Ilari (Roma, 2 novembre 1948) è uno storico e accademico italiano. Laureato in giurisprudenza. Autore di volumi, saggi e articoli di carattere politico-giuridico e storico-militare. Assistente incaricato dal 1972, è stato poi assistente ordinario e infine professore associato di storia del diritto romano presso le università di Siena, Roma ("La Sapienza") e Macerata. Dal 1989 al 2010 è stato professore associato di storia delle istituzioni militari e dei sistemi di sicurezza all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ha collaborato con l'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, con l'Istituto Affari Internazionali e con varie riviste come Renovatio diretta da Gianni Baget Bozzo, L'Europa diretta da Angelo Magliano, la Rivista Militare durante la direzione del colonnello Piergiorgio Franzosi, Politica Militare e Strategia Globale dirette da Edgardo Sogno, e infine Limes, Ideazione, Palomar e Liberal/Risk, nonché con il Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS) e con il Centro Alti Studi Difesa (CASD) durante la direzione e la presidenza del generale Carlo Jean e ha firmato numerosi lavori insieme a insigni storici militari come Ferruccio Botti, Antonio Sema e Piero Crociani. Dal 1997 al 2001 è stato consulente della Commissione bicamerale di inchiesta sul terrorismo e le stragi durante la presidenza del senatore Giovanni Pellegrino. È stato presidente della Società Italiana di Storia Militare dal 2004 al 2008 e di nuovo per il triennio 2010-12, nonché presidente dell'Associazione Amici della Biblioteca Militare Italiana dal 2008 al 2010. 180 Monografie • Gli Italici nelle strutture militari romane, Milano, Giuffré, 1974 • Le Forze Armate tra politica e potere, Firenze, Vallecchi, 1979 • Guerra e diritto nel mondo antico, Milano, Giuffré, 1980 • L'interpretazione storica del diritto di guerra romano fra tradizione romanistica e giusnaturalismo, Milano, Giuffré, 1981. • La Comunità di Roccagiovine dal XVII secolo alla Repubblica Romana del 1849 nei documenti dell'Archivio di Stato di Roma, Comune di Roccagiovine, 1985. • Il pensiero militare italiano dal primo al secondo dopoguerra 1919-49, USSME, Roma, 1985 (con Ferruccio Botti). • L'Esercito pontificio nel 18º secolo fino alle riforme del 1792-93, USSME, Roma, 1986. • Marte in Orbace. Guerra, esercito e milizia nella concezione fascista della nazione, Ancona, Nuove Ricerche, 1988 (con Antonio Sema). • Studi strategici e militari nelle università italiane (con R. Luraghi, M. Nones e P. Ungari), Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS), Roma, ed. Rivista Militare, 1990. • Storia del servizio militare in Italia, Roma, CeMiSS-Rivista Militare, 1989-92. • Storia militare della Prima Repubblica 1943-93, Ancona, Nuove Ricerche, 1994 (ora Invorio, Widerholdt Frères, 2009), • Il generale col monocolo. Giovanni de Lorenzo 1907-1973, Ancona, Nuove Ricerche, 1995. • Tra i Borbone e gli Asburgo. Eserciti e marine nelle guerre italiane del primo settecento (1701-32), Ancona, Nuove Ricerche, 1996 (con Giancarlo Boeri e Ciro Paoletti). • Clausewitz 1780-1832, Nuove ricerche, Ancona, 1997. • La Corona di Lombardia. Guerre ed eserciti nell'Italia del medio Settecento (1733-63), Ancona, Nuove Ricerche, 1997 (con Giancarlo Boeri e Ciro Paoletti) • Inventarsi una patria, Ideazione, Roma, 1997. • La guerra delle Alpi 1792-96, USSME, Roma, 2000 (con Piero Crociani e Ciro Paoletti). • Bella Italia Militar. Eserciti e Marine nell'Italia prenapoleonica 1748-96, USSME, Roma, 2000 (con Piero Crociani e Ciro Paoletti). • Guerra civile, Roma, Ideazione, 2001. • Storia militare dell'Italia giacobina 1796-1802, Roma, USSME, 2001 (con Piero Crociani e Ciro Paoletti). • Lineamenti storici dell'Ordine Militare d'Italia (con Flavio Carbone), Roma, Gruppo Decorati dell'OMI, 2003. • Storia militare del Regno Italico 1802-1814, Roma, USSME, 2004 (con Piero Crociani e Ciro Paoletti). • Storia militare del Regno murattiano (1806-1815), Invorio, Widerholdt Frères, 2008 (con Piero Crociani e Giancarlo Boeri) • Il Regno di Sardegna nelle guerre napoleoniche e le legioni anglo-italiane: (1799-1815), Invorio, Widerholdt Freres, 2008 (con Piero Crociani e Stefano Ales) • Dizionario biografico dell'Armata sarda. Seimila biografie (1799-1821) con la storia dell'ordine militare di Savoia e l'elenco dei primi decorati, Invorio, Widerholdt Frères, 2008 (con Davide Shamà) • Le Due Sicilie nelle guerre napoleoniche (1800-1815), Roma, USSME, 2008 (con Piero Crociani e Giancarlo Boeri). • Scrittori Militari Italiani del XV-XVIII Secolo, Roma, Litos 2011 (pure integralmente online su scribd e internet archive). 181 Principali Articoli e saggi • "Tristi tropi. Verso un nuovo storicismo", in Renovatio, XIII, 3, 1978, pp. 382-417. • "Riflessioni sul rapporto fra strategia e politica", in Rivista Militare, 1980, N. 1, p. 92-99. • "La strategia", in Rivista Militare, 1980, N. 6; p. 2-9. • "Ius civile" e "ius extra rempublicam" nel "de iure belli" di Alberico Gentili, in 'Studi Sassaresi, vol. VIII Serie III, 1980, p. 1-20. • "Il campo di studio della politica militare e il suo sviluppo in Italia", in ‘'Politica Militare, vol. III N. 8, 1981, p. 25-34. • "Military Studies in Italy: A Historical Introduction to the Problem". In Trend in Strategic Studies, Turin, 9-12 December, Centro Manlio Brosio, Torino, Vallardi, 1982, p. 41-45. • Gli studi militari in Italia, in ‘'Rivista Militare, 1982, N. 2; p. 13-24. • "Riflessioni critiche sulla teoria politica della guerra di popolo", in Memorie storiche militari 1982, Roma, USSME, 1983, p. 107-172. • "Studi, seminari e convegni. Rassegna", rubrica in La Rivista Italiana di Strategia Globale, vol. 1-5 del 1984-85; 1983 (N. 1 pp. 113-131). 1º trimestre 1984 (N. 2, pp. 151-165). 2º trimestre 1984 (N. 3, pp. 209-220). 3º trimestre 1984 (N. 4, pp. 209-222). 4º trimestre 1984 (N. 5 - pp. 231-248). • "Libri e articoli pubblicati in Italia nel 1983-84", rubrica in La Rivista Italiana di Strategia Globale, vol. 1-5 del 1984-85;N. 1 (pp. 132-142), N. 2 (p. 166). N. 3 (pp. 221-228). N. 4 (pp. 223-237). N. 5 (pp. 259-268). • "Il problema epistemologico delle scienze militari. Una presentazione critica del saggio di Benedetto Croce sul "Vom Kriege" di Clausewitz", in La Rivista Italiana di Strategia Globale, vol. 2, 1984, p. 171-179. • "Cultura universitaria e cultura militare", in Rivista Militare, 1984, p. 96-108. • "Gli studi strategici in Italia. Bilancio di un triennio", in ‘'La Rivista Italiana di Strategia Globale, vol. 5, 1985, p. 259-268. • "Operazioni belliche (storia)", in Enciclopedia del Diritto, Milano, Giuffré, 1985, vol. XXX, p. 253-268. • voce "imperium", in Enciclopedia Virgiliana, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1985, II, pp. 927-28. • "Politica e strategia globale", in Carlo Jean (cur.), Il pensiero strategico, Milano, Angeli, 1985, p. 21-63. • "Italy", in Luc Reychler e R. Rudney (eds), ‘'Directory Guide of European Security and Defense Research, Leuven U. P. - Pergamon Brassey's, 1985, p. 181-205. • "Ius belli - tou polémou nomos": étude sémantique de la terminologie du droit de la guerre, in Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano Vittorio Scialoja, vol. LXXXVIII (3ª S. XXVII), 1985, p. 159-179. • "Concetto difensivo e dottrina militare dell'Italia nel dopoguerra", in Maurizio Cremasco (cur.), Lo strumento militare italiano. Problemi e Prospettive, Milano, Franco Angeli, 1986, p. 73-124. • Notizie bibliografiche, in Rivista Militare 1985, N. 1 pp. 156-8. N. 2 pp. 158-160. N. 6 pp. 153-4. • "Guerra e storiografia", in Carlo Jean (cur.), La guerra nel pensiero politico, Milano, Franco Angeli, 1987, p. 223-255. • "La storiografia militare italiana. Riflessioni critiche su strutture, ruolo e prospettive", in Giorgio Rochat (cur.), La storiografia militare italiana negli ultimi venti anni, Milano, Franco Angeli, 1987. p. 158-176. • "Trattato internazionale (diritto romano)", in Enciclopedia del diritto, Milano, Giuffré, 1987, vol. XLIV, p. 1335-1350. 182 • • • • • • • • • • • • • • • • • • • "Cultura militare e cultura universitaria per gli ufficiali italiani dal dopoguerra a oggi", in Giuseppe Caforio e Piero Del Negro (cur.), Ufficiali e società, Milano, Franco Angeli, 1988, p. 465-502. "La storia militare: disciplina specialistica o specifica?", in Michele Nones (cur.). L'insegnamento della storia militare in Italia (atti del seminario tenutosi a Roma il 4 dicembre 1987), Genova, Compagnia dei Librai, 1989, p. 77-93. "Interior and exterior lines of operations". In T. N. Dupuy (ed.), ‘'International Military and Defense Encyclopedia, London, Brassey's Defence Publishers, 1992, vol. 3, p. 1330-1335. "Initiative in War", in T. N. Dupuy (ed.), International Military and Defense Encyclopedia, London, Brassey's Defence Publishers, 1992, vol. 3, p. 1265-1267. "Aspetti militari e sociali dell'espansione e del dominio romano nelle province orientali" (recensione di Benjamin Isaac, The Limits of Empire. The Roman Army and the East, Oxford, Clarendon Press, 1990), in Index. Quaderni Camerti di studi romanistici, vol. 20, 1992, p. 520-526. "Das Ende eines Mythos. Interpretationen und politische Praxis des italienischen Widerstands in der Debatte der fruehen neunziger Jahre", in P. Bettelheim, R. Streibel (Hg), Tabu und Geschichte. Zur Kultur des kollektiven Erinnerns, Wien, Picus Verlag, 1994, p. 129-174.(in italiano online su scribd) "Fortuna e genesi della geopolitica", in Marco Antonsich e M. Pagnini (cur), Quaderni del dottorato di ricerca in geografia politica, Università di Trieste e di Napoli, 1995, p. 1-40. (online su scribd) "Storia del pensiero, delle istituzioni e della storiografia militare", in Piero Del Negro (cur.), Guida alla storia militare italiana, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1997, pp. 7-66. "Guerre di coalizione e operazioni combinate", in Natalino Ronzitti (cur.), Comando e controllo nelle Forze di pace e nelle coalizione militari : Contributo alla riforma della Carta delle Nazioni Unite, Milano, Angeli. (online su scribd) "La parata del 2 giugno. L'omaggio repubblicano all'esercito", in Sergio Bertelli (cur.), Il Teatro del Potere. Scenari e rappresentazioni del politico fra Otto e Novecento, Roma, Carocci, 2000, p. 195-222. (online su scribd) "La cultura della guerra", in Palomar L'Italia un alleato "fedele". In Massimo De Leonardis (cur.), La nuova NATO: i membri, le strutture, i compiti, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 111-120. Epistemologia della storia militare, in Acta del II convegno nazionale di storia militare, Roma, Centro Alti Studi Difesa, 28-29 ottobre 1999, Roma, Commissione Italiana di Storia Militare, 2001, p. 47-70. (online su scribd) Imitatio, restitutio, utopia: la storia militare antica nel pensiero strategico moderno, in Marta Sordi (cur.), ‘'Guerra e diritto nel mondo greco e romano, Milano, Vita e Pensiero, 2002, p. 269-381. (online su scribd) "La virtù militare degli italiani", in Ideazione, 2002, N. 6 ("L'Italia globale"), pp. 140-157. Gli italiani in Spagna (analisi della memorialistica), in Vittorio Scotti Douglas (cur.), Gli italiani in Spagna nella guerra napoleonica (1807-1813). I fatti, i testoimoni, l'eredità, Novi Ligure, 22-24 ottobre 2004, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2006, p. 161-190. (online su scribd) Le Truppe italiane in Spagna, in Vittorio Scotti Douglas (cur.), Gli italiani in Spagna nella guerra napoleonica (1807-1813). I fatti, i testoimoni, l'eredità, Novi Ligure, 22-24 ottobre 2004, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2006, p. 449-481. Guerra universale, in Massimo De Leonardis e Gianluca Pastori (cur.), Le nuove sfide per la forza militare e la diplomazia: il ruolo della NATO, Bologna, Monduzzi, 2008, p. 49-66. (pure in Palomar 2008 e online su scribd in Debellare superbos) "Il Gouerno della caualleria leggera", in Rivista di Cavalleria, maggio 2011. 183 • • "Esercito", in Luigi Mascilli Migliorini (cur.), Italia napoleonica. Dizionario critico, Torino UTET, 2011, pp. 233-250. . Clausewitz in Italy, (con Luciano Bozzo e Giampiero Giacomello), in Reiner Pommerin (Hsg), Clausewitz goes global. Carl von Clausewitz in the 21st Century, Clausewitz Gesellschaft, Berlin, Carola Hartmann Miles Verlag, 2011, pp. 173-202. Recenti articoli per Risk (2010-2011) • • • • • • La festa di San Napoleone (2010) San Fyodor Fyodorovich Ushakov, patrono delle forze nucleari russe (2010) Lomonaco, Foscolo, Tibell: Storia militare di un suicidio filosofico (2010) La bibliografia militare di Mariano d'Ayala (2011) Gabriel de Luez Barone di Aramon (2011) Fulminati dal Giove gallico (2011) Pubblicazioni solo online (scribd, internet archive) • • • • Il 31° leggero (con Bruno Pauvert e Piero Crociani) 2011 27e et 28e Division Militaire (con Piero Crociani) 2010 La Marina Ligure di Napoleone (con Piero Crociani) 2011 I Carabinieri Raccolte di scritti online (scribd e archive) • Debellare superbos (scritti 2001-2010) su Risk • Ermattung. Combat pour l'histoire militaire dans un pays réfractaire (2011) Online, In attesa di pubblicazione • "La storiografia militare dell'Italia napoleonica" (2010), per la Rivista Italiana di studi napoleonici • "Roman Seapower", per la Rivista Marittima • "Genesi della prima bibliografia militare italiana", per Giovanni Brizzi (2011) • "Strategia della storia" (in un volume collettivo curato da Luciano Bozzo) (1011) COLLEGAMENTO col sito scribd Collezioni di Virgilio Ilari ====Letteratura Militare XVI-XX secolo==== * ''Francesco Algarotti Military Speeches" http://www.scribd.com/my_document_collections/2759502 * ''Raimondo Montecuccoli's Works http://www.scribd.com/my_document_collections/2750149 * ''Italian military writers of 16th and 17th Centuries 184 http://www.scribd.com/my_document_collections/2741977 '' * ''Antologia Militare. The First Italian Military Review. Naples 1835-1846 http://www.scribd.com/my_document_collections/2741571'' * ''Military Bibliographies up to 1850 collected by Virgilio Ilari http://www.scribd.com/my_document_collections/2741356'' ====Storia Militare italiana==== * "The Royal Army and Navy of the Two Siciles" http://www.scribd.com/my_document_collections/2750147 *''Virgilio Ilari and Piero Crociani - Military History of the Napoleonic Italy'' * ''Virgilio Ilari's 2000-2010 Works'' * ''Italian Society for Military History - Quaderni SISM'' ====Uniformi e distintivi italiani==== * ''Uniforms of the Sicilian Army 1745 http://www.scribd.com/document_collections/2628008'' * ''Quinto Cenni Italian Jacobine Republics Legions 1796-97 http://www.scribd.com/document_collections/2628006'' * ''Quinto Cenni's Modenese Troops in 18th and 19th Century http://www.scribd.com/document_collections/2628003'' * ''PAPAL ARMY UNIFORMS FROM VINKHUIJZEN COLLECTION http://www.scribd.com/document_collections/2478208'' * ''Quinto Cenni's Military History of Republic of Genoa http://www.scribd.com/document_collections/2478207'' ====Forze Armate Estere – Russia, ex-URSS, Germania est==== * ''Soviet Army http://www.scribd.com/document_collections/2491012'' * ''Russian Armed Forces 2009 http://www.scribd.com/document_collections/2491007'' * ''Ukraina Armed Forces 2010 http://www.scribd.com/document_collections/2490202'' * ''Baltic States Military History http://www.scribd.com/document_collections/2490200'' * ''East German Military http://www.scribd.com/document_collections/2490193'' ====Forze Armate Estere – Medio Oriente, Caucaso e Asia Centrale==== * ''Egyptian Armed Forces 2010 http://www.scribd.com/document_collections/2676700'' * ''Israel Defense Forces Tsahal 2009 http://www.scribd.com/document_collections/2491021'' * ''Caucasian Armies 2009 http://www.scribd.com/document_collections/2491006'' * ''Turkish Armed Forces http://www.scribd.com/document_collections/2491004'' * ''Central Asia Armies 2010 http://www.scribd.com/document_collections/2644701'' * ''Gulf Arab Armies 2009 http://www.scribd.com/document_collections/2491043'' * ''Pakistan Defense 2009 http://www.scribd.com/document_collections/2491037'' * ''Iran Armed Forces 2009 http://www.scribd.com/document_collections/2491030'' * ''Iraq Armed Forces 2009 http://www.scribd.com/document_collections/2491027'' ====Forze Armate Estere – Estremo Oriente, Asia del Sud-Est e Pacifico==== * ''People's Liberation Army http://www.scribd.com/document_collections/2598723'' * ''Republic of China Defense and Military History http://www.scribd.com/document_collections/2592518'' * ''Japanese Military History http://www.scribd.com/document_collections/2499999'' * ''Sri Lanka Armed Forces 2009 http://www.scribd.com/document_collections/2491034'' * ''Royal Thai Armed Forces 2009 http://www.scribd.com/document_collections/2491032'' * ''South Vietnam Armed Forces http://www.scribd.com/document_collections/2490198'' ====Forze Armate Estere – Africa==== * ''Virgilio Ilari's African Military History http://www.scribd.com/document_collections/2478200'' 185 ====Forze Armate estere – America Latina==== * ''Military History of Mexico http://www.scribd.com/document_collections/2481493'' * ''Armed Forces Central America Caribbean http://www.scribd.com/document_collections/2481504'' * ''Armed Forces of Honduras http://www.scribd.com/document_collections/2481497'' * ''Armed Forces of Ecuador http://www.scribd.com/document_collections/2481500'' * ''Military History of Venezuela http://www.scribd.com/document_collections/2481495'' * ''Military History of Peru http://www.scribd.com/document_collections/2481492'' * ''Armed Forces of Chile 2010 http://www.scribd.com/document_collections/2480612'' * ''Brazilian Military History http://www.scribd.com/document_collections/2479848'' * ''Virgilio Ilaris's Argentina Military History http://www.scribd.com/document_collections/2478202'' 186 187 188 189 190 191 192 193 194 195 196 197 198 199