Nota a Corte di cassazione, I Sez. Civile, 14 giugno 2012, n. 9772 a

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Nota a Corte di cassazione, I Sez. Civile, 14 giugno 2012, n. 9772 a
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Nota a Corte di cassazione, I Sez. Civile, 14 giugno 2012, n. 9772
a cura di Laura Messina
L’ordinanza con cui viene dichiarata inammissibile la class action di cui all’art. 140 bis
del Codice del Consumo non ha carattere di definitività e di decisorietà e non è,
pertanto, ricorribile in Cassazione.
L’azione collettiva risarcitoria è disciplinata dall’art 140 bis del “Codice del consumo” ed è stata
oggetto di diverse modifiche nel tempo fra cui, da ultimo, ad opera del decreto legge sulle
“liberalizzazioni”. Nella disciplina originaria, essa consisteva in un’azione giudiziale di gruppo,
attivabile da associazioni rappresentative di consumatori ed utenti nei confronti delle imprese
per specifici illeciti contrattuali ed extracontrattuali, volta ad ottenere dal giudice una pronuncia
di accertamento della lesione degli interessi di una determinata categoria di persone ed il loro
diritto ad un risarcimento.
L’articolo 49 della legge n. 99 del 2009 ha complessivamente riformato la disciplina dell'azione
di classe, oggetto - come accennato - di ulteriore recente modifica.
Le finalità dell’istituto sono state individuate dalla legge 99 nella tutela dei diritti di una pluralità
di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica
(“diritti individuali omogenei”); può trattarsi di danni derivanti dalla violazione di diritti
contrattuali o di diritti comunque spettanti al consumatore finale del prodotto (a prescindere da
un rapporto contrattuale), da comportamenti anticoncorrenziali o da pratiche commerciali
scorrette.
La legittimazione ad agire in giudizio viene riconosciuta ai singoli cittadini-consumatori, anche
mediante associazioni cui diano mandato o comitati cui partecipino. È prevista la possibilità per
altri consumatori di aderire all’azione di classe ma l’adesione comporta la rinuncia a ogni azione
restitutoria o risarcitoria individualmente intrapresa.
In caso di accoglimento della domanda, il procedimento si conclude con la sentenza di
condanna alla liquidazione, in via equitativa, delle somme dovute a coloro che hanno aderito
all’azione ovvero con la definizione di un criterio omogeneo di calcolo per la suddetta
liquidazione.
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L’esigenza di una più chiara definizione delle situazioni giuridiche tutelabili attraverso il nuovo
istituto e di una più precisa individuazione del soggetto legittimato a stare in giudizio, nonché il
tema dell’irretroattività dell’istituto, hanno in particolare costituito oggetto di ampio dibattito
nel corso dell’esame parlamentare, emergendo anche nei pareri resi dagli organi parlamentari
competenti.
In relazione ad alcune di tali tematiche è intervenuto il decreto legge n. 1 del 2012 in materia di
liberalizzazioni che ha ulteriormente novellato la disciplina dell'azione di classe prevista dall'art.
140-bis del Codice del consumo.
Preliminarmente il decreto interviene a sostituire il limitante requisito dell’identità del diritto,
che inficiava sensibilmente la possibile formazione di una ampia classe di aderenti ad una class
action, con il più adeguato concetto di omogeneità. Come si legge nella relazione illustrativa “si
è inteso porre rimedio ad una previsione che, come del resto segnalato dalla dottrina più accorta, rischiava di
risultare di difficile applicazione e, dunque, in definitiva, contraria alla stessa ratio legis. Ciò perchè il requisito
della identità del diritto, ad una interpretazione rigorosa, può rivelarsi, nei fatti, di ardua configurabilità: si
pensi al caso del fallimento di una banca d’affari: ogni consumatore, avendo sottoscritto titoli in tempi diversi,
investendo somme diverse, sarebbe titolare di una situazione soggettiva unica e irripetibile”. A ciò si aggiunga
che la novella prevede: a) l'estensione agli interessi collettivi dell'ambito della tutela attuabile
attraverso l’azione di classe, interessi attorno ai quali era costruito il modello dell’azione
collettiva risarcitoria prima della riforma del 2009; b) la definizione dell’oggetto dell’azione di
classe ovvero “l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle
restituzioni in favore degli utenti consumatori”; c) l'estensione della tutela risarcitoria anche agli
utenti finali di un determinato "servizio", indipendentemente da un diretto rapporto
contrattuale; d) la possibile adesione all'azione anche a mezzo PEC (posta elettronica
certiticata) e fax; e) nel caso di successo dell'azione di classe ma senza determinazione del
quantum del risarcimento una specifica disciplina che introduce un termine di 90 giorni per
raggiungere un'accordo sull'entità del risarcimento e in mancanza, su istanza di parte, il possibile
intervento diretto del giudice che liquida personalmente le somme agli aderenti all'azione.
Nella sentenza in commento la Corte di Cassazione affronta il tema della natura della ordinanza
che dichiara la inammissibilità dell’azione di classe di cui all’art 140 bis del Codice del Consumo,
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affermando che la stessa non può assumere il carattere della definitività né della decisorietà e
non è quindi ricorribile innanzi la Suprema Corte.
L'ordinanza di inammissibilità ex art.140 bis cod. cons., infatti, inibisce esclusivamente la tutela
giurisdizionale in una determinata forma di un diritto, che resta comunque tutelabile nelle
forme ordinarie.
Si tratta, secondo la Corte di Cassazione, di provvedimento analogo a quello di rigetto della
“domanda d'ingiunzione”, e cioè un provvedimento che “non pregiudica la riproposizione della
domanda anche in via ordinaria" e, che, quindi, non è ricorribile per cassazione neppure ai sensi
dell'art.111 Cost., in quanto insuscettibile di passare in cosa giudicata (Cass., Sez. un., 19 aprile
2010 n. 9216; Cass., 3', 29 settembre 2005 n. 19130).
La Corte non manca di sottolineare che la dottrina ha rilevato che il provvedimento in
questione può avere contenuto decisorio, come nell'ipotesi di inammissibilità per manifesta
infondatezza e, tuttavia, anche in tali casi, manca del requisito della definitività perchè anche
nell'ipotesi di declaratoria di manifesta infondatezza della domanda, lo stesso soggetto, pur in
assenza di elementi sopravvenuti, può proporre una nuova istanza, sia deducendo nuove prove,
sia allegando nuovi fatti quantunque già esistenti, sia, più semplicemente, meglio strutturando la
domanda, anche solo in punto di diritto.
Del resto, il provvedimento impugnato nel giudizio conclusosi con la sentenza in commento,
essendo fondato su una delibazione sommaria, non può assumere la stabilità del giudicato
sostanziale e non produce l'efficacia preclusiva del dedotto e del deducibile.
Pertanto, l'ordinanza di inammissibilità ex art.140 bis cod. cons. non implica alcuna decisione
definitiva nè sull'esistenza del diritto risarcitorio rivendicato dal suo titolare nè sulla possibilità
di farlo altrimenti valere in giudizio, talchè va esclusa l'ammissibilità del ricorso per cassazione,
salvo per quel che attiene al capo riguardante la pronuncia sulle spese e sulla pubblicità.
La sentenza della Corte di Cassazione in commento, pur concludendosi con una pronuncia di
rito, sembra aderire implicitamente alle argomentazioni dal giudice di merito in ordine alla
inammissibilità della class action di cui all’art. 140 bis del Codice del Consumo qualora la detta
azione abbia la finalità di contestare le clausole illegittime inserite da un istituto di credito nei
contratti di conto corrente.
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La Corte territoriale aveva, infatti, osservato che l’azione di classe di cui all’art. 140 bis del
D.Lgs. 206/2005 (Codice del Consumo) ha natura risarcitoria, per cui non può essere in ogni
caso introdotta semplicemente per contestare la sussistenza del diritto della banca di inserire e
far valere, nel rapporto di conto corrente, clausole istitutive delle nuove commissioni, di cui si
chiedeva l’accertamento di illegittimità o illiceità.
Nella specie, trattavasi di clausole che, ad avviso della parte proponente, avrebbero riprodotto
sostanzialmente le "vecchie" commissioni di massimo scoperto, vietate dalla Legge n.2 del
2009, art.2 bis, giungendo di fatto a realizzare una pratica commerciale scorretta e, più in
generale, un comportamento anticoncorrenziale derivante dalla loro contemporanea adozione
da parte di tutti i più importanti istituti di credito.
Secondo la Corte territoriale l'azione di classe può essere, tuttavia, proposta solo al fine di
ottenere un risarcimento ovvero una restituzione e, pertanto, esclusivamente in esito al
verificarsi di un pregiudizio effettivo - patrimoniale o, al limite, anche non patrimoniale suscettibile di riparazione mediante pronuncia di condanna al pagamento di una somma, liquida
o liquidabile, di denaro. Al contrario, nel caso di specie, risultava l’insussistenza di un danno
risarcibile - derivante dalla mancata applicazione delle clausole contrattuali contestate;
insussistenza peraltro ammessa in fatto dello stesso proponente l’azione di cui al richiamato art.
140 bis. il quale aveva dichiaratamente introdotto (con sostanziale finalità di mero
accertamento) un'azione risarcitoria proprio con riguardo ad una situazione di applicazione
soltanto eventuale e futura delle nuove commissioni di conto corrente.
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