Produzione di Gelatine e controllo del pellame: un`attività veterinaria

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Produzione di Gelatine e controllo del pellame: un`attività veterinaria
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Produzione di Gelatine e
controllo del pellame:
un’attività veterinaria “di nicchia”
V. Giaccone
R. Miotti Scapin
Università
di Padova
L. Vercellotti
M. Franchino
ASL 11 di Vercelli
M. Piumatti
A. Cacciatore
ASL 18 Bra (Cn)
La formazione del Veterinario spazia in
molti campi: da discipline di base quali la
fisica e la chimica, si arriva a quelle specialistiche, passando attraverso una nutrita serie di materie che forniscono al futuro professionista nozioni più o meno approfondite di fisiologia, patologia e zootecnica.
Nel nostro bagaglio culturale non mancano
certamente le conoscenze sugli aspetti igienico-sanitari che stanno alla base della produzione degli alimenti di origine animale,
visto che questo gruppo di discipline porta
ad interessanti sbocchi professionali. Nel
settore alimentare le produzioni oggi sono
ben normate e il veterinario che intende fare
dell’igiene degli alimenti la sua professione
è tenuto a conoscere a fondo le basi normative. Quasi mai, però, in Università abbiamo
ricevuto nozioni su aspetti “minori” dell’igiene degli alimenti, qual’è il controllo sulla
produzione delle gelatine animali, che in
base all’attuale legislazione comunitaria è
uno dei tanti compiti che spettano al veterinario igienista.
La scarsa conoscenza che si ha di tale settore produttivo è legata anche alla sua limitata
diffusione sul territorio nazionale: pensate
che a fronte di un migliaio di macelli e labo-
ratori di sezionamento carni, in Italia ci sono
solo due stabilimenti che producono gelatine animali.
Lo scopo di questa nota è di fare conoscere un po’ meglio questa realtà produttiva e
le criticità ad essa correlate.
Un po’ di storia
La storia delle gelatine animali si fonde
quasi indissolubilmente con quella dei collanti, che sino a non molti anni fa erano tutti
di origine naturale.
È probabile che già l’uomo di Neanderthal
conoscesse i collanti naturali, visto che li utilizzarono per fissare meglio i colori sulle
pittografie rupestri (reperti nelle grotte di
Lascaux, in Francia). Nell’antico Egitto del
1000 a.C. dalle pelli dei bovini fatte bollire
si ricavavano unguenti e collanti; indicazioni
analoghe troviamo per l’antica Babilonia.
Al di là dell’Atlantico, i Pellirosse producevano anch’essi una colla naturale, facendo
bollire le pelli (ovviamente) dei bisonti che
a quel tempo abbondavano. La cute di
bovino è rimasta la maggiore fonte di collanti naturali per tutto il Medioevo e fino al
1750, quando gli Inglesi brevettarono il
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primo processo produttivo di una colla di
pesce. La gelatina come prodotto alimentare, quindi, è conosciuta fin da quei
tempi, come un prodotto liquido a caldo
e solido a freddo: il termine, infatti, deriva
dal latino gelatus (solido, congelato).
Si deve però arrivare al 1800 perché la produzione di gelatine acquisti le caratteristiche di produzione industriale, con centinaia di piccoli laboratori di produzione.
Durante tutto il 1900 l’evoluzione e il processo produttivo sono rimasti costanti nel
tempo come pure le quantità prodotte,
fino al crollo del 1996. In quell’anno il settore produttivo entrò in profonda crisi: il
Ministero della Sanità bloccò le produzioni in ambedue gli stabilimenti italiani a
seguito delle indagini della magistratura
circa l’uso degli scarti di macellazione e
l’incombente crisi BSE. Le perdite economiche causate dal blocco delle produzioni furono notevoli e le conseguenze si
fecero sentire anche nelle industrie alimentari che utilizzano le gelatine.
La crisi fu superata da un lato con l’emanazione di due Decreti Ministeriali destinati a
normare la produzione e dall’altro con l’adozione di severe norme interne che i produttori si erano nel frattempo imposte, tramite la loro associazione (GME Gelatine
Manufactures of Europe) operante fin dal
1974.
Anche la Food and Drug Adminsitration
statunitense, a fronte della serietà dei riscontri ottenuti, dovette rivedere il proprio
giudizio originario e riconoscere che i processi produttivi delle gelatine offrivano sufficienti garanzie di salubrità di prodotto,
anche nel caso di un’eventuale positività
per BSE.
In Italia la produzione delle gelatine è stata
normata specificatamente a partire dal
1996, ma già nella Direttiva 92/05/CEE (recepita dall’Italia col D. Lgs 30.12.1992 n.
537) all’articolo 2 si menzionano le gelatine
tra gli altri prodotti di origine animale.
Quella norma poneva, in verità, qualche
problema poiché ammetteva che le gelatine fossero prodotte con scarti di macellazione, cioè “prodotti di origine animale
non destinati al consumo umano diretto”,
così come puntualizzato dalla Circolare
n.6008/508/48 del maggio 2002 della
DGSPVAN.
Il problema è stato poi superato, visto che
oggi la produzione delle gelatine animali è
normata dal Regolamento CE n. 853/2004.
Dove possono essere presenti,
le gelatine?
In questa nota abbiamo sempre utilizzato
volutamente il termine gelatine e non gelatina perché, come si vedrà meglio appresso, da un unico processo si ottengono
diversi tipi di gelatina, tra cui anche la gelatina alimentare. Esistono infatti diversi
modi di utilizzazione delle gelatine.
È noto a tutti l’utilizzo che delle gelatine si
fa in campo alimentare, come agente di
rivestimento di preparazioni gastronomiche, costituente di caramelle gommose
o addensante in gelati e prodotti a base di
latte. Un altro settore alimentare nel quale
le gelatine trovano largo impiego è quello
delle bevande alcoliche, come chiarificatore dei vini e delle birre. La gelatina, infatti, precipitando ingloba le parti sospese
nei liquidi e, appunto, li chiarifica.
Un altro importante impiego è quello nelle
carni in scatola o in salumeria e, per finire,
le gelatine si possono impiegare come
valido sostituto dei grassi in preparazioni
alimentari a basso contenuto di lipidi.
Meno noto è l’uso che si fa delle gelatine in
campo farmaceutico per la preparazione
di capsule o di supposte, per l’allestimento di preparati solubili in acqua di sostanze liposolubili come, a esempio, le pastiglie effervescenti di vitamina A ed E. Si tratta in pratica di far adsorbire finissime goccioline oleose di vitamina a della gelatina,
che entra poi nella composizione di diverse compresse. In medicina di pronto intervento si usano le gelatine come espansori
di plasma (surrogati di volume) in pazienti
con ipovolemia. In odontoiatria e chirurgia
si usano spugnette di gelatina ad azione
antiemorragica, lasciate poi in situ per
essere riassorbite dai tessuti circostanti.
È ben conosciuto il ruolo che le gelatine
hanno in fotografia e radiologia, meno noto
l’uso che se ne fa anche per le fotografie
digitali: infatti per la stampa a getto d’inchiostro le fotografie risultano migliori se
stampate su carta rivestita da gelatina. Le
gelatine si trovano poi anche in molti altri
settori della vita quotidiana, come a esem10 / 442
pio nei detersivi e nei detergenti, nelle capocchie dei fiammiferi, nei concimi fogliari, nei bagni elettrolitici. E ancora, le gelatine sono essenziali per effettuare il restauro
di edifici o per condurre gli esami balistici,
in quanto simulano i tessuti umani e permettono di valutare meglio l’impatto che
un proiettile può avere nel corpo.
Di cosa sono fatte le gelatine
Le gelatine alimentari sono sia di origine
animale sia vegetale (come le pectine ricavate dalla frutta). In questa nota, per ovvi
motivi, ci occuperemo soltanto delle gelatine di origine animale. La produzione di
gelatine animali è attualmente disciplinata
dalla Sezione XIV dell’Allegato III del Reg.
853/2004, a partire dalle le materie da cui
possono provenire, vale a dire:
- ossa
- pelli di ruminanti d’allevamento
- pelli di suini, pollame,
selvaggina selvatica
- tendini e legamenti
- spine e pelli di pesce.
Sotto il profilo chimico centesimale la gelatina alimentare è composta per l’84-90%
da proteine e per l’8-15% da acqua; contiene circa l’1-2% di sali minerali.
Sui dieci amminoacidi essenziali per l’uomo ben nove sono presenti nelle gelatine.
Strutturalmente le gelatine sono composte
da una particolare proporzione di 18
amminoacidi che, legandosi in sequenza,
formano catene polipeptidiche di circa
1000 amminoacidi dando origine alla struttura primaria. Tre catene così formate si legano tra loro con una spirale verso sinistra
dando origine alla struttura secondaria;
questa spirale, a sua volta, si avvolge verso
destra in una struttura terziaria a tripla ellisse. Il risultato finale è una molecola di
forma bastoncellare detta protofibrilla, da
cui derivano le caratteristiche che ben conosciamo. Le gelatine sono, in pratica, un
derivato del collagene naturale che a sua
volta deriva da materie prime di origine
animale; questo derivato è in grado di
assorbire acqua (a freddo) aumentando di
volume fino a mille volte; in acqua bollente, invece, il composto si scioglie e successivamente, per raffreddamento, si solidifica, ma non diviene compatta, anzi,
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rimane elastica. L’età del bovino influisce
sulla percentuale di estraibilità del collagene dalla sua cute: secondo quanto sostengono Cole e Roberts (1997), infatti, quanto
più giovane è l’animale, tanto maggiore è la
quantità di collagene che si può ricuperare
dalla sua cute, sottoponendola a processo
termico a 45 °C. Per arrivare ad avere le
gelatine in polvere occorre degradare le
proteine delle materie prime di origine animale mediante un’idrolisi acida o alcalina,
poi facendole bollire in acqua si ottiene un
brodo che, attraverso varie fasi, viene purificato e desalificato, concentrato sotto
vuoto, disidratato e ridotto in polvere. Il
brodo che si ottiene durante la cottura in
acqua contiene diverse frazioni proteiche
che sono già state in parte idrolizzate.
L’estrazione di queste diverse parti non è
simultanea ma procede nel tempo e con la
cottura e, quindi, i brodi sono diversi tra di
loro. Siccome si procede fino ad esauri
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diversità dei brodi, da cui origineranno a
loro volta gelatine diverse per forza e solidità a seconda dei costituenti che li originano. Per misurare la forza delle gelatine si
usano i gradi Bloom dal nome di colui che
li ha ideati. In pratica si valuta la resistenza
alla penetrazione per 5 mm di un punzone
di metallo in un blocco di gelatina costituito per il 6,67% di polvere e che è stato a
stagionare per 17 ore a una data temperatura. Si tenga presente che la comune gelatina da cucina ha 110-150 gradi Bloom
mentre quella per l’industria fa segnare
200-220 gradi Bloom.
Le gelatine si potrebbero ricavare dalla
cute di una vasta gamma di animali e anche
di pesci. In pratica però la maggior parte
delle gelatine prodotte nel mondo è ricavato da cotenne di maiale, seguito da pelli
bovine (spaccatura), ossa e altro, come si
evince dai dati statistici risalenti al 2006 e
che si riportano in Tabella 1.
Tabella 1 - Produzione mondiale di gelatine ripartita per fonti di materie prime
Tabella 2 - Produzione europea* di gelatine ripartita per fonti di materie prime
Tabella 3 - Produzione di gelatina animale nei principali paesi europei*
mento della materia prima, ne consegue la
L’Europa è uno dei produttori leader; da
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sola, in quell’anno, ha prodotto 119.800
tonnellate di gelatina (v. Tabella 2).
In tale contesto la produzione italiana è risultata pari a 7.900 tonnellate (v. Tabella 3).
È indispensabile precisare qui che con il
termine spaccatura si intende quello strato
ricco di collagene, ma molto sottile della
cute di bovino, posto in posizione intermedia tra cute vera e propria e ipoderma.
Soffermiamoci a considerare questo particolare aspetto produttivo. Sotto il profilo
sanitario, le pelli bovine, in quanto sottoprodotto della macellazione e non rifiuto
speciale, seguono il destino delle carni.
Di conseguenza, come loro possibile destinazione potremo avere:
a) libera commercializzazione se provenienti da animali che hanno superato favorevolmente la visita ante e post mortem;
b) commercializzazione condizionata, in
base all’esito degli approfondimenti veterinari post mortem nei casi dubbi o in
applicazione delle norme specifiche sulla prevenzione del rischio specifico BSE
nei casi previsti dalla legislazione vigente. Di conseguenza, in questa seconda
evenienza, le pelli potranno essere destinate a:
1. libera commercializzazione se l’esito
post mortem è completamente favorevole;
2. alla categoria III dei rifiuti speciali se con
esito batteriologico sfavorevole e, se testato, il capo bovino è risultato negativo
al test BSE;
3. alla categoria I dei rifiuti speciali se il capo bovino è risultato positivo al test BSE.
Anche per gli animali in macellazione differita valgono gli stessi criteri. Quando presumibilmente gli accertamenti diagnostici
richiedono più di 24 ore, le pelli sono conservate a parte, in vincolo, refrigerate.
Le pelli in uscita dallo stabilimento di macellazione (vedremo più avanti come) hanno come destinazione alternativamente un
centro di raccolta o una conceria. Per inciso ricordiamo che il Reg. CE n. 852/2004
(Capitolo I, art. 1) non si applica “ai centri
di raccolta e alle concerie che rientrano
nella definizione di impresa del settore alimentare solo perché trattano materie
prime per la produzione di gelatine o di
collagene”. In altre parole, mentre nel ma-
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cello le pelli sono sottoposte allo stesso rigore riservato alle carni (identificazione, tracciabilità, movimentazione), quando esse
arrivano al centro di raccolta o alla conceria tutte le indicazioni sulla rintracciabilità
del prodotto vanno perse.
Come arrivano le pelli al centro di raccolta
o alla conceria? Quali processi subiscono?
È un altro aspetto interessante del nostro
percorso sulla produzione di gelatine.
Le pelli escono dal macello scortate da idonea documentazione commerciale attestante l’idoneità delle stesse, in quanto provenienti da animali sani alla visita ante e
post mortem. Possono essere fresche, cioè
provenienti da animali macellati in giornata
o nelle 24 ore precedenti, ovvero refrigerate negli altri casi. Nel primo caso il mezzo
di trasporto non necessita di particolari cautele; nel secondo il veicolo deve essere
almeno coibentato per i tragitti brevi, altrimenti deve essere dotato di apparecchio
refrigeratore, comunque sempre approvati
dal Servizio Veterinario competente per territorio. Qualunque ne sia la destinazione,
le pelli vengono salate e conservate a temperatura ambiente anche per molti mesi.
La destinazione finale è comunque una
conceria, dove arrivano delle pelli rinsecchite e scortate solo da documenti commerciali.
In conceria le pelli subiscono un processo
di rinvenimento (tecnicamente si parla di
“rinverdire”) attraverso una serie di 6-8
lavaggi in acqua fredda addizionata con
latte di calce, entro grandi contenitori detti
“bottali”. Con questi trattamenti le pelli ritornano morbide e facilmente si ottiene il
distacco dei peli; inoltre con pH superiore
a 11 sono facilitate le ulteriori operazioni di
concia.
Ciò che più ci deve interessare, ai fini della
nostra trattazione, è che al termine di questo processo di rinvenimento le pelli possono rigonfiarsi fino a raggiungere quasi
dieci volte lo spessore iniziale.
Diventa agevole, a questo punto, effettuare le ulteriori manovre meccanizzate di separazione, che dividono la cute in tre strati distinti:
- il derma o “primo fiore”
- lo strato intermedio o “spaccatura”
- l’ipoderma o “crosta”.
Lo strato intermedio (spaccatura) a diffe-
renza degli altri due non è utilizzabile in
conceria, per cui diventa materia prima per
la produzione delle gelatine alimentari. Infatti, accompagnate sempre da un documento commerciale integrato dalla dicitura
“pelli provenienti da animali riconosciuti
idonei al consumo umano alla visita ante e
post mortem”, queste parti della cute giungono allo stabilimento alimentare per la
produzione delle gelatine. In altri termini,
un sottoprodotto della macellazione, uscito temporaneamente dal circuito della
produzione alimentare, vi rientra almeno in
parte. Di conseguenza, torna a essere vincolante la necessità di tracciare il loro percorso, che si presenta lungo e contraddistinto in differenti fasi.
Il flusso produttivo che si svolge all’interno
di queste aziende può essere schematizzato come abbiamo riportato, per funzionalità, nelle Figure 1 e 2.
Figura 1 - Diagramma di flusso della prima
fase di processo (preparazione)
Taglio spaccature in pezzi
(20 x 30 cm circa)
Bagno in latte di calce
a pH 12,5 per 90-140 gg.
Travaso in “aspi” di lavaggio
con acqua per 24-48 ore
Acidificazione con HCl
(pH verso neutralità)
Lavaggio con acqua
per eliminare HCl in eccesso
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Figura 2 - Diagramma di flusso della
seconda fase di processo (di estrazione)
Cottura in “tini” con acqua
demineralizzata per 4-5 ore a 50 °C
per 4-6 volte a T° crescenti fino
a ebollizione ed esaurimento
materia prima
Centrifugazione del “brodo”
Filtrazione
(su filtri a farina fossile e a cartoni)
Riduzione salinità
(su resine a scambio ionico
= riduzione delle ceneri)
Concentrazione prima
per ultrafiltrazione (su membrana)
poi termica, con evaporatori
a cascata e sottovuoto
Sterilizzazione (con vapore
alimentare a 138-140 °C per 4 sec)
Raffreddamento ed estrusione
(si ha lo stato di gel)
Al termine di questo complesso processo
produttivo, che per certi aspetti potrebbe
romanticamente ricordare la preparazione
di una pozione stregata, si ottiene una
gelatina che è ancora un semilavorato, in
quanto la gelatina dovrà essere ancora
macinata, setacciata, mescolata fino a ottenere le caratteristiche richieste dal committente. Per la produzione di gelatine a partire dalle cotenne di maiale, la procedura è
meno complessa e più breve. È previsto,
infatti, che nella Fase 1 le cotenne, oppor-
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tunamente dimensionate, siano poste a
maturare in ambiente acido costituito da
una soluzione acquosa di acido solforico a
pH 1 per 24-48 ore; segue un lavaggio con
soluzioni tamponanti per ridurne l’acidità,
quindi si passa direttamente alla Fase 2.
Funzioni del
veterinario igienista e aspetti
di normativa
L’industria delle gelatine alimentari è a tutti
gli effetti un’impresa alimentare che opera
“a valle della produzione primaria”, secondo il concetto sancito dal Reg. CE n. 852/
2004, ed è pertanto soggetta a quanto previsto dai Regolamenti comunitari che formano il “pacchetto igiene”. L’Operatore del
Settore Alimentare (OSA) responsabile di
produzione ha l’obbligo di fare rispettare,
all’interno dell’azienda, quanto previsto dai
Reg. CE n. 852/2004 e n. 853/2004, a partire dalla messa in opera di un efficace programma HACCP per l’autocontrollo interno.
Alla gelatina alimentare si applica anche
uno specifico criterio di sicurezza alimentare previsto dal Reg. CE n. 2073/2005.
L’OSA dovrà studiare le caratteristiche fisico-chimiche del suo prodotto e gli aspetti
del processo produttivo assumendosi la
responsabilità che fino a fine vita commerciale la gelatina mantenga una carica estremamente bassa di Salmonella : il batterio
dovrà infatti risultare regolarmente assente
in ben 5 unità campionarie, ciascuna del
peso di 25 g. Non sono previsti, invece,
specifici criteri di igiene di processo; da
questo punto di vista sarà quindi l’equipe
di autocontrollo che stila il manuale HACCP
a individuarli, autonomamente.
Dal punto di vista della composizione chimica, l’OSA dovrà rispettare i parametri riportati dal Reg. CE n. 853/2004 che prescrivono il seguente tenore massimo di residui:
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Ai sensi del D.M. 27 febbraio 1996 n. 209
che disciplina l’uso degli additivi alimentari e dei coloranti negli alimenti destinati a
consumo umano, va ricordato che la gelatina alimentare non è considerata un additivo alimentare. È specificato al comma 3
dell’art 14 del citato decreto, che esclude
dalla definizione di additivo alimentare
una serie di composti tra cui anche il plasma sanguigno, le proteine idrolizzate e
loro sali, le proteine del latte e il glutine.
Non rispondono a verità le affermazioni
che leggiamo su alcuni siti Internet (soprattutto quelli destinati a vegetariani e vegani)
nei quali si afferma che la gelatina animale
è un additivo alimentare e che porta il
numero E441. Nella lista degli additivi alimentari del D.M. n.209/1996 è previsto
l’E440 (le pectine), ma non l’E441 che quindi per l’Italia non esiste come additivo alimentare. È opportuno, invece, annotare
che nella gelatina alimentare come prodotto destinato a consumo umano possono
essere aggiunti alcuni additivi alimentari
veri, a effetto antimicrobico:
- acido benzoico e benzoati (fino a un
massimo di 1.000 mg/kg)
- acido sorbico e sorbati (fino a un massimo di 500 mg/kg)
- anidride solforosa e solfiti (fino a un massimo di 50 mg/kg espresso come SO2).
Fino a qualche anno fa era permessa l’aggiunta gomma di konjak e del glucomannano di konjak a delle speciali “coppette di
gelatina” destinate a fare da contenitore per
altri alimenti e poi essere consumate anch’esse, fino a un massimo di 10 g/kg, singolarmente o in combinazione. Tuttavia, con la
Decisione della Commissione CE 27 marzo
2002 sono stati temporaneamente sospesi:
a) l’impiego dell’additivo E 425 konjak nei
dolciumi a base di sostanze gelatinose,
ivi comprese le coppette di gelatina,
b) l’immissione sul mercato dei suddetti
prodotti alimentari, contenenti l’additivo vietato,
c) l’importazione verso l’Unione dei prodotti dolciari contenenti l’additivo sopra citato.
Le misure precauzionali adottate dalla Commissione rispondono alle segnalazioni pervenute alla Commissione stessa, secondo
le quali “le coppette di gelatina contenenti l’additivo E 425 konjak espongono gli es10 / 445
seri umani a un rischio mortale, a causa delle caratteristiche fisico-chimiche del konjak”.
Il rischio è dato essenzialmente dalla possibile occlusione fisica delle vie respiratorie, se il prodotto è inalato accidentalmente. A titolo di completezza annotiamo che
la gomma di konjak e il glucomannano di
konjak sono composti che si ricavano dalla
radice tuberosa di una pianta originaria del
Sudest asiatico, ma coltivata anche in Europa (Amorphophallus konjak).
Il principio funzionale su cui ci si basa è
appunto il glucomannano, un macrocolloide idrofilo che messo a contatto con l’acqua l’assorbe aumentando fino a 60 volte il
suo peso originario.
Per quanto riguarda il veterinario ufficiale, il
suo compito essenziale è, come sempre,
quello di verificare che l’OSA rispetti
quanto gli è imposto dai Regolamenti comunitari che gli competono e che abbiamo elencato sopra.
In pratica, l’attività di verifica del veterinario
ufficiale nelle industrie che producono gelatine alimentari dovrà vertere principalmente sul controllo:
- delle materie prime e della loro documentazione,
- del processo produttivo, con particolare riguardo al raggiungimento e al mantenimento del valore di pH di 12,5 durante la Fase 1 e del trattamento termico
durante la Fase 2
- delle modalità di conservazione del semilavorato e del prodotto finito e relativa marchiatura (sui contenitori deve
esserci la dizione: “gelatina destinata al
consumo umano” nel caso ricorrano gli
estremi) nonché sulla tracciabilità e rintracciabilità delle produzioni e sulle
condizioni igienico- sanitarie dello stabilimento e delle lavorazioni.
Le gelatine animali possono essere ricavate, come abbiamo scritto sopra, dalla cute
e da altre parti del corpo di più specie animali. Esistono analisi che possono metterci
in grado di distinguere l’origine della specie di una gelatina?
La risposta è sì, nonostante sia un prodotto
alimentare che supera trattamenti chimici e
termici tali da inattivare buona parte dei
componenti naturali originari che permetterebbero un più agevole riconoscimento
di specie.
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In Giappone Hidaka e Liu (2003) hanno studiato un test chimico relativamente semplice, basato sugli effetti che possono avere gelatine di differente origine sulla precipitazione del fosfato di calcio. In pratica la
prova riesce a distinguere fra loro la gelatina di ossa bovine da quella di cotenna di
maiale valutando il differente tempo di induzione del calo del pH. Il limite di sensibilità del metodo è pari a 0,5 mg/ml per la
gelatina di bovino e di 2,0 mg/ml per quella di maiale. In Iran Nemati e coll. (2004)
hanno invece sviluppato un test che permette di distinguere la gelatina di bovino
da quella di suino valutando la quantità dei
macroelementi dei due materiali, determi-
nata con metodo HPLC. I risultati ottenuti
dagli autori iraniani hanno permesso di accertare che la metodica è efficace come
sistema di differenziazione di specie.
Ancora più di recente, in Francia Venien e
Le vieux (2005) hanno invece sperimentato
un sistema di riconoscimento di specie
basato su una reazione immunoenzimatica
competitiva indiretta (ELISA) utilizzando
anticorpi policlonali.
Il limite di sensibilità del metodo analitico
proposto dagli autori francesi è particolarmente basso: 8% di gelatina bovina in gelatina di maiale. Al termine di questa veloce e sommaria panoramica sul mondo
delle gelatine non sfugge certamente quali
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siano le professionalità e competenze che
i Veterinari Ufficiali debbono mettere in
campo ogni giorno per garantire la sicurezza degli alimenti di origine animale, anche
della gelatina e, soprattutto, quali siano i
nuovi compiti che una moderna classe veterinaria deve saper svolgere.
Un sentito e sincero ringraziamento al Dr.
Chafic Abou-Mrad, Qualità Manager dello
stabilimento ITALGELATINE di Santa Vittoria d’Alba, per la cortesia e la competenza
con la quale ci ha condotti attraverso il
mondo della produzione delle gelatine.
La bibliografia è disponibile sul sito
www.ilprogressoveterinario.it