Produzione di Gelatine e controllo del pellame: un`attività veterinaria
Transcript
Produzione di Gelatine e controllo del pellame: un`attività veterinaria
11-10-2007 12:57 Pagina 441 Produzione di Gelatine e controllo del pellame: un’attività veterinaria “di nicchia” V. Giaccone R. Miotti Scapin Università di Padova L. Vercellotti M. Franchino ASL 11 di Vercelli M. Piumatti A. Cacciatore ASL 18 Bra (Cn) La formazione del Veterinario spazia in molti campi: da discipline di base quali la fisica e la chimica, si arriva a quelle specialistiche, passando attraverso una nutrita serie di materie che forniscono al futuro professionista nozioni più o meno approfondite di fisiologia, patologia e zootecnica. Nel nostro bagaglio culturale non mancano certamente le conoscenze sugli aspetti igienico-sanitari che stanno alla base della produzione degli alimenti di origine animale, visto che questo gruppo di discipline porta ad interessanti sbocchi professionali. Nel settore alimentare le produzioni oggi sono ben normate e il veterinario che intende fare dell’igiene degli alimenti la sua professione è tenuto a conoscere a fondo le basi normative. Quasi mai, però, in Università abbiamo ricevuto nozioni su aspetti “minori” dell’igiene degli alimenti, qual’è il controllo sulla produzione delle gelatine animali, che in base all’attuale legislazione comunitaria è uno dei tanti compiti che spettano al veterinario igienista. La scarsa conoscenza che si ha di tale settore produttivo è legata anche alla sua limitata diffusione sul territorio nazionale: pensate che a fronte di un migliaio di macelli e labo- ratori di sezionamento carni, in Italia ci sono solo due stabilimenti che producono gelatine animali. Lo scopo di questa nota è di fare conoscere un po’ meglio questa realtà produttiva e le criticità ad essa correlate. Un po’ di storia La storia delle gelatine animali si fonde quasi indissolubilmente con quella dei collanti, che sino a non molti anni fa erano tutti di origine naturale. È probabile che già l’uomo di Neanderthal conoscesse i collanti naturali, visto che li utilizzarono per fissare meglio i colori sulle pittografie rupestri (reperti nelle grotte di Lascaux, in Francia). Nell’antico Egitto del 1000 a.C. dalle pelli dei bovini fatte bollire si ricavavano unguenti e collanti; indicazioni analoghe troviamo per l’antica Babilonia. Al di là dell’Atlantico, i Pellirosse producevano anch’essi una colla naturale, facendo bollire le pelli (ovviamente) dei bisonti che a quel tempo abbondavano. La cute di bovino è rimasta la maggiore fonte di collanti naturali per tutto il Medioevo e fino al 1750, quando gli Inglesi brevettarono il 10 / 441 Contributi scientifici 10_ottobre_2007_DEF.qxp 10_ottobre_2007_DEF.qxp 11-10-2007 12:57 Pagina 442 Contributi scientifici primo processo produttivo di una colla di pesce. La gelatina come prodotto alimentare, quindi, è conosciuta fin da quei tempi, come un prodotto liquido a caldo e solido a freddo: il termine, infatti, deriva dal latino gelatus (solido, congelato). Si deve però arrivare al 1800 perché la produzione di gelatine acquisti le caratteristiche di produzione industriale, con centinaia di piccoli laboratori di produzione. Durante tutto il 1900 l’evoluzione e il processo produttivo sono rimasti costanti nel tempo come pure le quantità prodotte, fino al crollo del 1996. In quell’anno il settore produttivo entrò in profonda crisi: il Ministero della Sanità bloccò le produzioni in ambedue gli stabilimenti italiani a seguito delle indagini della magistratura circa l’uso degli scarti di macellazione e l’incombente crisi BSE. Le perdite economiche causate dal blocco delle produzioni furono notevoli e le conseguenze si fecero sentire anche nelle industrie alimentari che utilizzano le gelatine. La crisi fu superata da un lato con l’emanazione di due Decreti Ministeriali destinati a normare la produzione e dall’altro con l’adozione di severe norme interne che i produttori si erano nel frattempo imposte, tramite la loro associazione (GME Gelatine Manufactures of Europe) operante fin dal 1974. Anche la Food and Drug Adminsitration statunitense, a fronte della serietà dei riscontri ottenuti, dovette rivedere il proprio giudizio originario e riconoscere che i processi produttivi delle gelatine offrivano sufficienti garanzie di salubrità di prodotto, anche nel caso di un’eventuale positività per BSE. In Italia la produzione delle gelatine è stata normata specificatamente a partire dal 1996, ma già nella Direttiva 92/05/CEE (recepita dall’Italia col D. Lgs 30.12.1992 n. 537) all’articolo 2 si menzionano le gelatine tra gli altri prodotti di origine animale. Quella norma poneva, in verità, qualche problema poiché ammetteva che le gelatine fossero prodotte con scarti di macellazione, cioè “prodotti di origine animale non destinati al consumo umano diretto”, così come puntualizzato dalla Circolare n.6008/508/48 del maggio 2002 della DGSPVAN. Il problema è stato poi superato, visto che oggi la produzione delle gelatine animali è normata dal Regolamento CE n. 853/2004. Dove possono essere presenti, le gelatine? In questa nota abbiamo sempre utilizzato volutamente il termine gelatine e non gelatina perché, come si vedrà meglio appresso, da un unico processo si ottengono diversi tipi di gelatina, tra cui anche la gelatina alimentare. Esistono infatti diversi modi di utilizzazione delle gelatine. È noto a tutti l’utilizzo che delle gelatine si fa in campo alimentare, come agente di rivestimento di preparazioni gastronomiche, costituente di caramelle gommose o addensante in gelati e prodotti a base di latte. Un altro settore alimentare nel quale le gelatine trovano largo impiego è quello delle bevande alcoliche, come chiarificatore dei vini e delle birre. La gelatina, infatti, precipitando ingloba le parti sospese nei liquidi e, appunto, li chiarifica. Un altro importante impiego è quello nelle carni in scatola o in salumeria e, per finire, le gelatine si possono impiegare come valido sostituto dei grassi in preparazioni alimentari a basso contenuto di lipidi. Meno noto è l’uso che si fa delle gelatine in campo farmaceutico per la preparazione di capsule o di supposte, per l’allestimento di preparati solubili in acqua di sostanze liposolubili come, a esempio, le pastiglie effervescenti di vitamina A ed E. Si tratta in pratica di far adsorbire finissime goccioline oleose di vitamina a della gelatina, che entra poi nella composizione di diverse compresse. In medicina di pronto intervento si usano le gelatine come espansori di plasma (surrogati di volume) in pazienti con ipovolemia. In odontoiatria e chirurgia si usano spugnette di gelatina ad azione antiemorragica, lasciate poi in situ per essere riassorbite dai tessuti circostanti. È ben conosciuto il ruolo che le gelatine hanno in fotografia e radiologia, meno noto l’uso che se ne fa anche per le fotografie digitali: infatti per la stampa a getto d’inchiostro le fotografie risultano migliori se stampate su carta rivestita da gelatina. Le gelatine si trovano poi anche in molti altri settori della vita quotidiana, come a esem10 / 442 pio nei detersivi e nei detergenti, nelle capocchie dei fiammiferi, nei concimi fogliari, nei bagni elettrolitici. E ancora, le gelatine sono essenziali per effettuare il restauro di edifici o per condurre gli esami balistici, in quanto simulano i tessuti umani e permettono di valutare meglio l’impatto che un proiettile può avere nel corpo. Di cosa sono fatte le gelatine Le gelatine alimentari sono sia di origine animale sia vegetale (come le pectine ricavate dalla frutta). In questa nota, per ovvi motivi, ci occuperemo soltanto delle gelatine di origine animale. La produzione di gelatine animali è attualmente disciplinata dalla Sezione XIV dell’Allegato III del Reg. 853/2004, a partire dalle le materie da cui possono provenire, vale a dire: - ossa - pelli di ruminanti d’allevamento - pelli di suini, pollame, selvaggina selvatica - tendini e legamenti - spine e pelli di pesce. Sotto il profilo chimico centesimale la gelatina alimentare è composta per l’84-90% da proteine e per l’8-15% da acqua; contiene circa l’1-2% di sali minerali. Sui dieci amminoacidi essenziali per l’uomo ben nove sono presenti nelle gelatine. Strutturalmente le gelatine sono composte da una particolare proporzione di 18 amminoacidi che, legandosi in sequenza, formano catene polipeptidiche di circa 1000 amminoacidi dando origine alla struttura primaria. Tre catene così formate si legano tra loro con una spirale verso sinistra dando origine alla struttura secondaria; questa spirale, a sua volta, si avvolge verso destra in una struttura terziaria a tripla ellisse. Il risultato finale è una molecola di forma bastoncellare detta protofibrilla, da cui derivano le caratteristiche che ben conosciamo. Le gelatine sono, in pratica, un derivato del collagene naturale che a sua volta deriva da materie prime di origine animale; questo derivato è in grado di assorbire acqua (a freddo) aumentando di volume fino a mille volte; in acqua bollente, invece, il composto si scioglie e successivamente, per raffreddamento, si solidifica, ma non diviene compatta, anzi, 10_ottobre_2007_DEF.qxp 11-10-2007 12:57 rimane elastica. L’età del bovino influisce sulla percentuale di estraibilità del collagene dalla sua cute: secondo quanto sostengono Cole e Roberts (1997), infatti, quanto più giovane è l’animale, tanto maggiore è la quantità di collagene che si può ricuperare dalla sua cute, sottoponendola a processo termico a 45 °C. Per arrivare ad avere le gelatine in polvere occorre degradare le proteine delle materie prime di origine animale mediante un’idrolisi acida o alcalina, poi facendole bollire in acqua si ottiene un brodo che, attraverso varie fasi, viene purificato e desalificato, concentrato sotto vuoto, disidratato e ridotto in polvere. Il brodo che si ottiene durante la cottura in acqua contiene diverse frazioni proteiche che sono già state in parte idrolizzate. L’estrazione di queste diverse parti non è simultanea ma procede nel tempo e con la cottura e, quindi, i brodi sono diversi tra di loro. Siccome si procede fino ad esauri Pagina 443 diversità dei brodi, da cui origineranno a loro volta gelatine diverse per forza e solidità a seconda dei costituenti che li originano. Per misurare la forza delle gelatine si usano i gradi Bloom dal nome di colui che li ha ideati. In pratica si valuta la resistenza alla penetrazione per 5 mm di un punzone di metallo in un blocco di gelatina costituito per il 6,67% di polvere e che è stato a stagionare per 17 ore a una data temperatura. Si tenga presente che la comune gelatina da cucina ha 110-150 gradi Bloom mentre quella per l’industria fa segnare 200-220 gradi Bloom. Le gelatine si potrebbero ricavare dalla cute di una vasta gamma di animali e anche di pesci. In pratica però la maggior parte delle gelatine prodotte nel mondo è ricavato da cotenne di maiale, seguito da pelli bovine (spaccatura), ossa e altro, come si evince dai dati statistici risalenti al 2006 e che si riportano in Tabella 1. Tabella 1 - Produzione mondiale di gelatine ripartita per fonti di materie prime Tabella 2 - Produzione europea* di gelatine ripartita per fonti di materie prime Tabella 3 - Produzione di gelatina animale nei principali paesi europei* mento della materia prima, ne consegue la L’Europa è uno dei produttori leader; da 10 / 443 sola, in quell’anno, ha prodotto 119.800 tonnellate di gelatina (v. Tabella 2). In tale contesto la produzione italiana è risultata pari a 7.900 tonnellate (v. Tabella 3). È indispensabile precisare qui che con il termine spaccatura si intende quello strato ricco di collagene, ma molto sottile della cute di bovino, posto in posizione intermedia tra cute vera e propria e ipoderma. Soffermiamoci a considerare questo particolare aspetto produttivo. Sotto il profilo sanitario, le pelli bovine, in quanto sottoprodotto della macellazione e non rifiuto speciale, seguono il destino delle carni. Di conseguenza, come loro possibile destinazione potremo avere: a) libera commercializzazione se provenienti da animali che hanno superato favorevolmente la visita ante e post mortem; b) commercializzazione condizionata, in base all’esito degli approfondimenti veterinari post mortem nei casi dubbi o in applicazione delle norme specifiche sulla prevenzione del rischio specifico BSE nei casi previsti dalla legislazione vigente. Di conseguenza, in questa seconda evenienza, le pelli potranno essere destinate a: 1. libera commercializzazione se l’esito post mortem è completamente favorevole; 2. alla categoria III dei rifiuti speciali se con esito batteriologico sfavorevole e, se testato, il capo bovino è risultato negativo al test BSE; 3. alla categoria I dei rifiuti speciali se il capo bovino è risultato positivo al test BSE. Anche per gli animali in macellazione differita valgono gli stessi criteri. Quando presumibilmente gli accertamenti diagnostici richiedono più di 24 ore, le pelli sono conservate a parte, in vincolo, refrigerate. Le pelli in uscita dallo stabilimento di macellazione (vedremo più avanti come) hanno come destinazione alternativamente un centro di raccolta o una conceria. Per inciso ricordiamo che il Reg. CE n. 852/2004 (Capitolo I, art. 1) non si applica “ai centri di raccolta e alle concerie che rientrano nella definizione di impresa del settore alimentare solo perché trattano materie prime per la produzione di gelatine o di collagene”. In altre parole, mentre nel ma- 10_ottobre_2007_DEF.qxp 11-10-2007 12:57 Pagina 444 Contributi scientifici cello le pelli sono sottoposte allo stesso rigore riservato alle carni (identificazione, tracciabilità, movimentazione), quando esse arrivano al centro di raccolta o alla conceria tutte le indicazioni sulla rintracciabilità del prodotto vanno perse. Come arrivano le pelli al centro di raccolta o alla conceria? Quali processi subiscono? È un altro aspetto interessante del nostro percorso sulla produzione di gelatine. Le pelli escono dal macello scortate da idonea documentazione commerciale attestante l’idoneità delle stesse, in quanto provenienti da animali sani alla visita ante e post mortem. Possono essere fresche, cioè provenienti da animali macellati in giornata o nelle 24 ore precedenti, ovvero refrigerate negli altri casi. Nel primo caso il mezzo di trasporto non necessita di particolari cautele; nel secondo il veicolo deve essere almeno coibentato per i tragitti brevi, altrimenti deve essere dotato di apparecchio refrigeratore, comunque sempre approvati dal Servizio Veterinario competente per territorio. Qualunque ne sia la destinazione, le pelli vengono salate e conservate a temperatura ambiente anche per molti mesi. La destinazione finale è comunque una conceria, dove arrivano delle pelli rinsecchite e scortate solo da documenti commerciali. In conceria le pelli subiscono un processo di rinvenimento (tecnicamente si parla di “rinverdire”) attraverso una serie di 6-8 lavaggi in acqua fredda addizionata con latte di calce, entro grandi contenitori detti “bottali”. Con questi trattamenti le pelli ritornano morbide e facilmente si ottiene il distacco dei peli; inoltre con pH superiore a 11 sono facilitate le ulteriori operazioni di concia. Ciò che più ci deve interessare, ai fini della nostra trattazione, è che al termine di questo processo di rinvenimento le pelli possono rigonfiarsi fino a raggiungere quasi dieci volte lo spessore iniziale. Diventa agevole, a questo punto, effettuare le ulteriori manovre meccanizzate di separazione, che dividono la cute in tre strati distinti: - il derma o “primo fiore” - lo strato intermedio o “spaccatura” - l’ipoderma o “crosta”. Lo strato intermedio (spaccatura) a diffe- renza degli altri due non è utilizzabile in conceria, per cui diventa materia prima per la produzione delle gelatine alimentari. Infatti, accompagnate sempre da un documento commerciale integrato dalla dicitura “pelli provenienti da animali riconosciuti idonei al consumo umano alla visita ante e post mortem”, queste parti della cute giungono allo stabilimento alimentare per la produzione delle gelatine. In altri termini, un sottoprodotto della macellazione, uscito temporaneamente dal circuito della produzione alimentare, vi rientra almeno in parte. Di conseguenza, torna a essere vincolante la necessità di tracciare il loro percorso, che si presenta lungo e contraddistinto in differenti fasi. Il flusso produttivo che si svolge all’interno di queste aziende può essere schematizzato come abbiamo riportato, per funzionalità, nelle Figure 1 e 2. Figura 1 - Diagramma di flusso della prima fase di processo (preparazione) Taglio spaccature in pezzi (20 x 30 cm circa) Bagno in latte di calce a pH 12,5 per 90-140 gg. Travaso in “aspi” di lavaggio con acqua per 24-48 ore Acidificazione con HCl (pH verso neutralità) Lavaggio con acqua per eliminare HCl in eccesso 10 / 444 Figura 2 - Diagramma di flusso della seconda fase di processo (di estrazione) Cottura in “tini” con acqua demineralizzata per 4-5 ore a 50 °C per 4-6 volte a T° crescenti fino a ebollizione ed esaurimento materia prima Centrifugazione del “brodo” Filtrazione (su filtri a farina fossile e a cartoni) Riduzione salinità (su resine a scambio ionico = riduzione delle ceneri) Concentrazione prima per ultrafiltrazione (su membrana) poi termica, con evaporatori a cascata e sottovuoto Sterilizzazione (con vapore alimentare a 138-140 °C per 4 sec) Raffreddamento ed estrusione (si ha lo stato di gel) Al termine di questo complesso processo produttivo, che per certi aspetti potrebbe romanticamente ricordare la preparazione di una pozione stregata, si ottiene una gelatina che è ancora un semilavorato, in quanto la gelatina dovrà essere ancora macinata, setacciata, mescolata fino a ottenere le caratteristiche richieste dal committente. Per la produzione di gelatine a partire dalle cotenne di maiale, la procedura è meno complessa e più breve. È previsto, infatti, che nella Fase 1 le cotenne, oppor- 10_ottobre_2007_DEF.qxp 11-10-2007 12:57 tunamente dimensionate, siano poste a maturare in ambiente acido costituito da una soluzione acquosa di acido solforico a pH 1 per 24-48 ore; segue un lavaggio con soluzioni tamponanti per ridurne l’acidità, quindi si passa direttamente alla Fase 2. Funzioni del veterinario igienista e aspetti di normativa L’industria delle gelatine alimentari è a tutti gli effetti un’impresa alimentare che opera “a valle della produzione primaria”, secondo il concetto sancito dal Reg. CE n. 852/ 2004, ed è pertanto soggetta a quanto previsto dai Regolamenti comunitari che formano il “pacchetto igiene”. L’Operatore del Settore Alimentare (OSA) responsabile di produzione ha l’obbligo di fare rispettare, all’interno dell’azienda, quanto previsto dai Reg. CE n. 852/2004 e n. 853/2004, a partire dalla messa in opera di un efficace programma HACCP per l’autocontrollo interno. Alla gelatina alimentare si applica anche uno specifico criterio di sicurezza alimentare previsto dal Reg. CE n. 2073/2005. L’OSA dovrà studiare le caratteristiche fisico-chimiche del suo prodotto e gli aspetti del processo produttivo assumendosi la responsabilità che fino a fine vita commerciale la gelatina mantenga una carica estremamente bassa di Salmonella : il batterio dovrà infatti risultare regolarmente assente in ben 5 unità campionarie, ciascuna del peso di 25 g. Non sono previsti, invece, specifici criteri di igiene di processo; da questo punto di vista sarà quindi l’equipe di autocontrollo che stila il manuale HACCP a individuarli, autonomamente. Dal punto di vista della composizione chimica, l’OSA dovrà rispettare i parametri riportati dal Reg. CE n. 853/2004 che prescrivono il seguente tenore massimo di residui: Pagina 445 Ai sensi del D.M. 27 febbraio 1996 n. 209 che disciplina l’uso degli additivi alimentari e dei coloranti negli alimenti destinati a consumo umano, va ricordato che la gelatina alimentare non è considerata un additivo alimentare. È specificato al comma 3 dell’art 14 del citato decreto, che esclude dalla definizione di additivo alimentare una serie di composti tra cui anche il plasma sanguigno, le proteine idrolizzate e loro sali, le proteine del latte e il glutine. Non rispondono a verità le affermazioni che leggiamo su alcuni siti Internet (soprattutto quelli destinati a vegetariani e vegani) nei quali si afferma che la gelatina animale è un additivo alimentare e che porta il numero E441. Nella lista degli additivi alimentari del D.M. n.209/1996 è previsto l’E440 (le pectine), ma non l’E441 che quindi per l’Italia non esiste come additivo alimentare. È opportuno, invece, annotare che nella gelatina alimentare come prodotto destinato a consumo umano possono essere aggiunti alcuni additivi alimentari veri, a effetto antimicrobico: - acido benzoico e benzoati (fino a un massimo di 1.000 mg/kg) - acido sorbico e sorbati (fino a un massimo di 500 mg/kg) - anidride solforosa e solfiti (fino a un massimo di 50 mg/kg espresso come SO2). Fino a qualche anno fa era permessa l’aggiunta gomma di konjak e del glucomannano di konjak a delle speciali “coppette di gelatina” destinate a fare da contenitore per altri alimenti e poi essere consumate anch’esse, fino a un massimo di 10 g/kg, singolarmente o in combinazione. Tuttavia, con la Decisione della Commissione CE 27 marzo 2002 sono stati temporaneamente sospesi: a) l’impiego dell’additivo E 425 konjak nei dolciumi a base di sostanze gelatinose, ivi comprese le coppette di gelatina, b) l’immissione sul mercato dei suddetti prodotti alimentari, contenenti l’additivo vietato, c) l’importazione verso l’Unione dei prodotti dolciari contenenti l’additivo sopra citato. Le misure precauzionali adottate dalla Commissione rispondono alle segnalazioni pervenute alla Commissione stessa, secondo le quali “le coppette di gelatina contenenti l’additivo E 425 konjak espongono gli es10 / 445 seri umani a un rischio mortale, a causa delle caratteristiche fisico-chimiche del konjak”. Il rischio è dato essenzialmente dalla possibile occlusione fisica delle vie respiratorie, se il prodotto è inalato accidentalmente. A titolo di completezza annotiamo che la gomma di konjak e il glucomannano di konjak sono composti che si ricavano dalla radice tuberosa di una pianta originaria del Sudest asiatico, ma coltivata anche in Europa (Amorphophallus konjak). Il principio funzionale su cui ci si basa è appunto il glucomannano, un macrocolloide idrofilo che messo a contatto con l’acqua l’assorbe aumentando fino a 60 volte il suo peso originario. Per quanto riguarda il veterinario ufficiale, il suo compito essenziale è, come sempre, quello di verificare che l’OSA rispetti quanto gli è imposto dai Regolamenti comunitari che gli competono e che abbiamo elencato sopra. In pratica, l’attività di verifica del veterinario ufficiale nelle industrie che producono gelatine alimentari dovrà vertere principalmente sul controllo: - delle materie prime e della loro documentazione, - del processo produttivo, con particolare riguardo al raggiungimento e al mantenimento del valore di pH di 12,5 durante la Fase 1 e del trattamento termico durante la Fase 2 - delle modalità di conservazione del semilavorato e del prodotto finito e relativa marchiatura (sui contenitori deve esserci la dizione: “gelatina destinata al consumo umano” nel caso ricorrano gli estremi) nonché sulla tracciabilità e rintracciabilità delle produzioni e sulle condizioni igienico- sanitarie dello stabilimento e delle lavorazioni. Le gelatine animali possono essere ricavate, come abbiamo scritto sopra, dalla cute e da altre parti del corpo di più specie animali. Esistono analisi che possono metterci in grado di distinguere l’origine della specie di una gelatina? La risposta è sì, nonostante sia un prodotto alimentare che supera trattamenti chimici e termici tali da inattivare buona parte dei componenti naturali originari che permetterebbero un più agevole riconoscimento di specie. 10_ottobre_2007_DEF.qxp 11-10-2007 12:57 Pagina 446 Contributi scientifici In Giappone Hidaka e Liu (2003) hanno studiato un test chimico relativamente semplice, basato sugli effetti che possono avere gelatine di differente origine sulla precipitazione del fosfato di calcio. In pratica la prova riesce a distinguere fra loro la gelatina di ossa bovine da quella di cotenna di maiale valutando il differente tempo di induzione del calo del pH. Il limite di sensibilità del metodo è pari a 0,5 mg/ml per la gelatina di bovino e di 2,0 mg/ml per quella di maiale. In Iran Nemati e coll. (2004) hanno invece sviluppato un test che permette di distinguere la gelatina di bovino da quella di suino valutando la quantità dei macroelementi dei due materiali, determi- nata con metodo HPLC. I risultati ottenuti dagli autori iraniani hanno permesso di accertare che la metodica è efficace come sistema di differenziazione di specie. Ancora più di recente, in Francia Venien e Le vieux (2005) hanno invece sperimentato un sistema di riconoscimento di specie basato su una reazione immunoenzimatica competitiva indiretta (ELISA) utilizzando anticorpi policlonali. Il limite di sensibilità del metodo analitico proposto dagli autori francesi è particolarmente basso: 8% di gelatina bovina in gelatina di maiale. Al termine di questa veloce e sommaria panoramica sul mondo delle gelatine non sfugge certamente quali 10 / 446 siano le professionalità e competenze che i Veterinari Ufficiali debbono mettere in campo ogni giorno per garantire la sicurezza degli alimenti di origine animale, anche della gelatina e, soprattutto, quali siano i nuovi compiti che una moderna classe veterinaria deve saper svolgere. Un sentito e sincero ringraziamento al Dr. Chafic Abou-Mrad, Qualità Manager dello stabilimento ITALGELATINE di Santa Vittoria d’Alba, per la cortesia e la competenza con la quale ci ha condotti attraverso il mondo della produzione delle gelatine. La bibliografia è disponibile sul sito www.ilprogressoveterinario.it