IL MONUMENTO DA CAMERA I bronzetti della Collezione Sperati in

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IL MONUMENTO DA CAMERA I bronzetti della Collezione Sperati in
IL MONUMENTO DA CAMERA
I bronzetti della Collezione Sperati
in Palazzo Lascaris
IL MONUMENTO DA CAMERA
I bronzetti della Collezione Sperati
in Palazzo Lascaris a Torino
a cura di Maria Luisa Moncassoli Tibone
Contributi di:
Pier Luigi Berbotto
Giuliana Brugnelli Biraghi
Clara Palmas
Pier Massimo Prosio
IL MONUMENTO DA CAMERA
Ufficio di Presidenza:
Presidente: Roberto Cota
Vicepresidenti: Francesco Toselli, Lido Riba
Consiglieri segretari: Beppe Pozzo, Marco Botta, Alessandro
Di Benedetto
Direzione Comunicazione istituzionale dell’Assemblea regionale
Direttore: Luciano Conterno
Cura della mostra e del catalogo
Maria Luisa Moncassoli Tibone
Contributi in catalogo
Pier Luigi Berbotto, Giuliana Brugnelli Biraghi, Clara Palmas, Pier
Massimo Prosio
Curatori della Collezione
Michelangelo Fessia, Claudio Minnicelli
Musiche
Oto Perillo, con l’insieme vocale “Il sogno di Polifilo”
Settore Comunicazione e partecipazione dell’Assemblea regionale
Responsabile: Michelangelo Fessia
Scritte in mostra
Pier Luigi Berbotto
Settore Informazione dell’Assemblea regionale
Responsabile: Marina Ottavi
Allestimento
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Beltramo, Monica Zanzotto
Settore Relazioni esterne dell’Assemblea regionale
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Direzione Amministrazione e Personale
Direttore:Wally Montagnin
Ufficio Tecnico e Sicurezza
Claudio Minnicelli
Direzione Segreteria dell’Assemblea regionale
Direttore: Maria Rovero
Servizi generali operativi e sicurezza
Angelo Cappella, Carlo Greghi
Direzione Processo Legislativo
Direttore:Adriana Garabello
Coordinatore tecnico
Claudio Minnicelli
Collaborazione editoriale
Chiara Genisio, Gianni Boffa
Fotografie
Pino dell’Aquila, Carlo Devoti, Paolo Siccardi, Maria Luisa
Moncassoli Tibone
Grafica e Impaginazione
Manera,“Immagine & Comunicazione”
Si ringraziano per la cortese collaborazione
Marco Albera, Rosalba Belmondo, Rossana Bossù, Patrizia Bottardi,
Andrea Bruno, Piero Cazzola, Famiglia Calandra, Circolo degli
Artisti, Famiglia Conrieri, Gabriella Daghero, Famiglia Dal Bianco,
Gualtiero Dolce,Antonio Forchino, Funzionari GAM Torino, Enrico
Gastaldi, Giuseppe Luigi Marini, Gian Giorgio Massara, Germana
Mazza, Maurizio Micai, Michelangelo Miele, Eriberto Naddeo, Sergio
Noero, Alessandro Paolini, Vittorio Peracino, Adriana Peruccio,
Famiglia Rubino, Piera Savina, Grazia Tartaglini, Angelo Tibone,
Domenico Tibone, Bianca Vetrino, Paolo Vinai, Gianni Vurchio
Mostra e catalogo realizzati dal Consiglio regionale del Piemonte
Direzione Comunicazione Istituzionale dell’Assemblea regionale
FONDAZIONE PER IL LIBRO, LA MUSICA E LA CULTURA
Presidente: Mercedes Bresso, Presidente della Provincia di Torino
Vice Presidenti: Enzo Ghigo, Presidente della Giunta Regionale
del Piemonte, Sergio Chiamparino, Sindaco della Città di Torino
Segretario Generale: Rolando Picchioni
Comitato dei Garanti: Piero Bianucci, Pier Giovanni Castagnoli,
Lorenzo Mondo, Giuliano Soria
ARTIGIANO METROPOLITANO
Staff
Direttore Artistico: Enzo Biffi Gentili
Assistente di Direzione: Davide Paludetto
Assistente agli allestimenti: Massimiliano Montaruli
Amministrazione:Alessandro Dotta
Ufficio stampa e pubbliche relazioni: Daniela Lo Piccolo
Operatori professionali:Valentino Macri
Segreteria Generale: Daniela Icardi
Comitato tecnico scientifico
Presidente: Stefano Zecchi
Membri: Cristina Accornero, Roberto Albanese, Riccardo Bedrone,
Consolata Beraudo di Pralormo, Denise Biernaux, Rossana
Bossaglia, Francesca Comisso, Maria Pia Dal Bianco, Francesco
Drago, Pablo Echaurren,Antonio Forchino,Anne Leclercq, Daniela
Magnetti, Cristina Morozzi, Luisa Perlo, Isabella Ricci Massabò,
Paola Navone, Francesco Pernice, Roberto Sandri-Giachino, Carla
Enrica Spantigati, Maria Luisa Tibone, Mauro Volpiano
Comitato di coordinamento
Guido Bolatto, Marco Cavaletto, Luciano Conterno, Gaudenzio De
Paoli, Rita Marchiori, Anna Martina, Roberto Moisio, Patrizia
Picchi, Roberto Salvio,Alberto Vanelli, Carlo Viano
Consulenti
Progetto didattico
Anna Pironti
Ufficio stampa e Comunicazione
ThreeSixty
Coordinamento dell’immagine grafica
Bellissimo
Questo catalogo non è solo uno strumento indispensabile per conoscere al meglio la
mostra “Il monumento da camera”. È, insieme alla rassegna stessa, un omaggio alla
memoria della famiglia Sperati e un rinnovato ringraziamento per la donazione che
ha arricchito di opere artistiche la sede dell’Assemblea regionale piemontese.
Il felice itinerario che porta la“Collezione Sperati”sotto le volte di Palazzo Lascaris è noto.
Nel 1980 Luisa Sperati vedova Mezzalama decide di donare la raccolta ereditata dal
padre Emilio al Consiglio regionale. Un gesto di grande generosità quello della signora Luisa e, aggiungerei, d’affetto verso la comunità piemontese, quello di affidare all’istituzione una parte non marginale della propria storia famigliare, intrisa d’amore
per l’arte, di capacità artigianale d’altissimo livello, di sensibilità e buon gusto.
Nell’atto della donazione è precisato che le opere devono essere “custodite ed ambientate” a Palazzo Lascaris. Da allora bronzetti e quadri sono una parte del Palazzo, una
sua componente inscindibile. È anche grazie a queste opere che la sede dell’Assemblea
regionale del Piemonte è più ricca non solo dal punto di vista squisitamente artistico,
ma anche storico.
La collezione infatti rappresenta nel suo insieme Torino e il Piemonte a cavallo tra
l’Ottocento ed il Novecento, proprio in quegli anni cruciali che segnano, nel bene e nel
male, lo sviluppo della regione nel secolo scorso.
Un Piemonte ed una Torino ancora legati alla tradizione, ma già protesi verso il futuro
con coraggio, con il coraggio di chi sa di rischiare, certo della propria capacità e volontà.
E vedendo le opere raccolte o “fuse” da Emilio Sperati nel suo laboratorio-officina di
Corso Regio Parco in Torino, è possibile cogliere in questa volontà, intrisa di curiosità e speranza, una forza che trae le sue energie, per il futuro, dal rispetto delle tradizioni del passato.
In questo senso la Collezione Sperati è molto significativa e particolare perché conserva
opere di uomini che ebbero fede nella propria città e nella propria terra.
Partendo da queste considerazioni e cogliendo l’opportunità delle mostre “Artigianometropolitano” per il centenario della grande Esposizione di Torino del 1902, l’Ufficio
di Presidenza ha deciso di offrire ai cittadini l’esposizione della Collezione Sperati in
un contesto ed in una ambientazione diversi da quelli della mostra permanente, visibile ai cittadini, associazioni e gruppi scolastici, nel contesto del progetto “Porte aperte a Palazzo Lascaris”.
Questa presentazione vuole collocare nella giusta luce - come merita - un piccolo tesoro lasciato in eredità alla comunità piemontese da una sensibile signora in ricordo
del padre artista.
ROBERTO COTA
Presidente del Consiglio regionale del Piemonte
IL PERCORSO DELLA MOSTRA
Il messaggio eroico
All’alba del secolo XX la monumentomania imperante, dopo aver dilagato per piazze e giardini, trova
un valido sbocco negli interni domestici. I fonditori
riducono drasticamente le dimensioni dei manufatti
in bronzo, privilegiando la cura del dettaglio. Per i
buoni borghesi fu motivo d’orgoglio poter esibire in
casa i bronzetti: un Arnaldo da Brescia, un
Michelangelo, un Alfonso Lamarmora, un
Bartolomeo Colleoni. Sono riproduzioni dell’opera
di artisti celebri: due o tre spanne d’altezza, per un
tributo alla moda e alla storia.
Nell’attualità storica
A Torino, proprio accanto agli edifici dell’Esposizione,
Davide Calandra aveva innalzato una figura equestre,
un’opera insigne per celebrare un principe e Casa
Savoia. Certo è che tanta maestria, e insieme quella del
fonditore Emilio Sperati, valsero al monumento il prestigiosissimo Premio degli Artisti. L’inaugurazione avvenne
a Torino il 7 maggio 1902. E da cento anni il principe
Amedeo di Savoia duca d’Aosta è lì, alto e bronzeo sul
destriero, a perpetuare il suo slancio eroico nell’aria
chiara del Valentino.Altri messaggi i bronzetti domestici
ci propongono: un corollario di glorie patrie.
L’eleganza del nudo
Al tramonto del classicismo, la tradizione del nudo
nella scultura sembra meno importante, confinata
nelle scuole delle Accademie. L’analisi del corpo femminile, maschile, infantile - ricompare con la scapigliatura, coglie nuove rappresentazioni nell’ambito del naturalismo, impreziosisce le immagini simboliste, anima le forme plastiche più vicine al
mondo liberty e crepuscolare. Con scrupolo realistico, garbata esibizione, e magari, sotto sotto, un sussurro di malizia.
Costumi esotici e tradizioni popolari
L’orientalismo è un fenomeno che conferisce alle
opere il fascino del raro, dell’esotico. Le bronzee raffigurazioni di un cammello, di una beduina portatrice
d’acqua, di una slitta e del suo vetturino in rassegnata
attesa portano, nell’aria un po’ greve degli interni
d’inizio secolo, l’alito caldo del deserto, o un brivido
di gelo dal cuore innevato della Santa Russia.Altri usi
e costumi vicini e lontani esprimono i bronzetti e
risvegliano l’interesse per le opere in scala ridotta dei
grandi scultori.
Uno sguardo all’infanzia
L’immagine dei bambini sollecita in modo vario
l’estro degli scultori. Protagonisti di precoci ingenue imprese, i piccoli personaggi sono amorosamente effigiati. Mostrano sempre una vitalità che il
bronzo imprigiona e poi restituisce, nella levità giocosa propria dei fanciulli, nella malizia trasgressiva
dei monelli, nella grazia malandrina e fuggevole di
uno scugnizzo o nel tenero raccoglimento della fanciulla in preghiera.
Il racconto animalistico
Lo scultore “animalier” aveva trionfato nella Francia del
secondo ottocento, percorrendo con le sue immagini
“fauves” i sentieri delle steppe, i deserti africani e asiatici, o rappresentando in chiave vicina il mondo domestico degli animali più mansueti. Ed ecco anche in Italia
comparire su mensole e caminetti cani e cavalli, leprotti e camosci o addirittura elefanti, a ricordo delle grandi ménagéries sovrane. Una fascinazione animalistica,
una creatività stupefacente nella sua verosimiglianza.
Il “monumento da studio”
Un bronzo da collezione si valuta anche per la funzione che ha avuto nell’ambiente dove è stato visto a
lungo. I “monumenti da studio”, un orologio e un
bronzetto sono appartenuti a due noti medici. Una
“Amazzone” di Davide Calandra fu donata dalla famiglia al medico di casa dottor Dal Bianco; un orologio
con la raffigurazione della Sapienza scandì l’orario
delle visite nello studio del professor Domenico
Tibone rettore magnifico dell’Università di Torino.
Il “monumento da tasca”
La medaglia è uno strumento di comunicazione
portatile d’alto artigianato - oggi attentamente collezionato - che nel caso di eventi importanti come
l’inaugurazione dei monumenti, è stato fortemente
celebrativo. Edoardo Rubino progettò la medaglia
per l’inaugurazione a Torino del monumento a
Vittorio Emanuele II nel 1899 con un bronzetto che
la collezione Sperati conserva. La moneta verrà
coniata in oro, argento, bronzo.
PERSONAGGI D’ALTRI TEMPI
LUISA
racconto di Pier Luigi Berbotto
C’è un momento della giornata che lei predilige in
assoluto. Un momento di cui solo lei, Luisa, può sentirsi incontrastata padrona: quando il pomeriggio non è
più pomeriggio ma è ancora troppo presto per chiamarlo sera. Possono essere le cinque, le sei, anche le
sette, secondo la stagione. L’importante è quella luce
tutta particolare che filtra dai vetri e che, col rimpianto del giorno in fuga, sembra portare l’annuncio di
nuove delizie. Queste delizie, per Luisa, s’identificano
nella casa al momento deserta. Papà ancora al lavoro.
La mamma a far la spola tra le sue associazioni culturali, i suoi tè, le sue accademie. E lei libera di aggirarsi tra
le pareti domestiche, di riprendere il colloquio con i
suoi specialissimi amici.
Già, perché Luisa non è più nell’età di giocare con le
bambole. Ma non ancora in quella per pensare agli
amori.A dire il vero, qualcuna delle sue amiche già ci
pensa e ne sussurra con le altre, tra mille risatine, e
ammiccamenti, e toccatine di gomito. Luisa, però, non
ne ha bisogno. Per lei ci sono questi dorati crepuscoli nella casa torinese. E c’è questa folta corte di personaggi che le si stringono intorno, e che mai la faranno sentire sola.
Non sono che piccole, curiose sculture - antichi guerrieri piuttosto che animali, ed effigi della storia che si
contrappongono a vivaci figurette muliebri e infantili ad adornare nicchie e mensole, tavoli e vetrine della
grande sala e del salotto, debordando pure nel corridoio d’ingresso, nella biblioteca e nelle camere da
letto. Praticamente tutto l’appartamento ne è invaso.
Ma tanta quantità, lungi dal tediare o dall’opprimere,
pare fatta per rallegrare, per accendere la fantasia. Ed
è così che entra in gioco la luce del crepuscolo.
Perché, dalle finestre che guardano ad occidente,
sugli ippocastani del corso, a quest’ora non entrano
più raggi, ma come uno spolverio d’ambra o di fuoco
che si spalma sul bronzo delle statue e gli infonde un
brivido di vita.
Così, ogni giorno, Luisa assiste al miracolo. E scherza col Bambino sul cavallo a dondolo, riassesta il
manto alla Donna che allatta sul cammello.
Conforta il vecchio esausto sulla Slitta. Assume,
davanti ad Arnaldo da Brescia, la sua stessa posa
oracolare. S’incanta davanti al gesto della Giovane
con una spina piantata nel piede, e quasi vorrebbe
essere lei a levargliela, ma con mano leggera, senza
farle male...
Quanto dura tutto questo? Giusto il tempo che quel
pulviscolo esaurisca la sua carica, e l’agonia del giorno ceda alla notte. Allora le statuette riprendono la
loro fissità impassibile. E non resta che attendere il
ritorno di papà Emilio, fonditore nonché scultore in
proprio, che di quei bronzi, pur se firmati da altri, è il
vero, insuperato artefice.
Di tanto in tanto da mensole e nicchie ne scompare
un esemplare, prontamente rimpiazzato da un dipinto. Sono scambi che papà Emilio ama fare con i suoi
amici pittori: io ti do un mio bronzetto, tu mi dai un
tuo quadro. E così anche le pareti di casa si infittiscono di tele. Parecchi di questi artisti sfilano sotto gli
occhi attenti di Luisa, quando vengono a trovare
papà. Ci sono vecchi suoi compagni di Brera, esponenti di quella Scapigliatura milanese che tenne
banco come movimento vivo e anticonformista. Ma
questi preferiscono rinchiudersi con lui nel suo laboratorio al numero 36 di corso Regio Parco, là dove
domina la scritta, invero altisonante:
FONDERIA ARTISTICA
PER MONUMENTI EQUESTRI
E STATUE COLOSSALI
DEL CAVALIER EMILIO SPERATI
G. Grande, Ritratto del Cav. Uff. E. Sperati
1921. Olio, cm. 49x54.
Chi, invece, preferisce i più comodi sofà del salotto
di casa è un pittore già in là negli anni, che abita in
provincia, dalle parti di Biella. Arriva di buon mattino, un po’ greve e ansimante, e si abbandona tra i
cuscini invocando un caffè “come Dio comanda”.
Papà lo chiama confidenzialmente Lorenzo, ma
Luisa sa che è il famoso maestro Delleani, autore di
paesaggi di una bellezza “da togliere il fiato” (tale è
l’opinione paterna).
Un altro pittore è tra gli assidui di casa. Si chiama
Cesare Ferro e, pur essendo un ritrattista affermato,
ha poco più di vent’anni. Sarà per la giovane età, ma,
a differenza di Delleani, a Luisa non incute sogge1
L. Delleani,
Parte rustica
del Santuario
d’Oropa.
1894. Olio,
cm. 30x45.
L. Delleali,
La fossa di
Morozzo.
1894. Olio,
cm. 30x45.
2
zione. Anzi. Papà sembra stimarlo molto:“È un allievo di Giacomo Grosso” dice di lui, con una punta
d’invidia. E la sua stima si è spinta al punto di commissionargli un ritratto della figlia. Così Luisa si è
trovata a posare davanti al suo cavalletto, con lo
sguardo del pittore appuntato sui propri tratti, a
scandagliarne la pur minima vibrazione, il più fugace trasalimento. Oh, se le sue amiche - Amalia,
Carolina... - fossero state lì a vedere: sai le esclamazioni smorzate, i sorrisetti... Invece, nello studio,
c’erano loro due soli, ed estremamente laconici. Lui,
soprattutto: la cui timidezza altro non gli consentiva
che quelle occhiate morbide, quei silenzi vaghi ma
protratti all’infinito. La sua mano, il suo tocco, tenevano il posto delle parole. E il viso che ha saputo
donarle è qui sulla tela ancor fresca di colori: velato
di una dolcezza assorta, di una malinconia che
l’adolescenza riesce appena a stemperare...
Una volta, a prendere il tè dalla mamma, è venuto
anche un poeta. Giovane lui pure, come il pittore
Ferro, ma più sulle sue, magro e asciutto in quell’abito di foggia elegante. Insomma, un damerino. Lo chiamavano tutti l’Avvocato, anche se, in realtà, pare frequenti solo la facoltà di Legge, in via Po, e sia ancor
lontano dal laurearsi. Dicono che le sue poesie, tuttora inedite, siano bellissime. La mamma doveva averlo
conosciuto alla Società di Cultura e, attenta com’è alle
nuove promesse dell’arte, non ci aveva pensato due
volte a estendergli un invito.
Appena entrato in salotto, e presentato agli altri ospiti - il nome, Luisa non lo capì bene: qualcosa come
Guido Losano, o Gondrano... -, l’Avvocato si era guardato intorno, e non la smetteva di fissare questo o
quel soprammobile, questo o quel capo d’arredo: dal
caminetto alle sedie damascate, dai frutti sotto le campane di vetro a un certo scrigno fatto di gusci di conchiglie, a un mosaico un po’ rudimentale che ritrae
un angolo di laguna veneziana, per poi soffermarsi
con marcata insistenza sul grande lampadario centra-
le. Era stato, quello, l’unico momento in cui egli sembrò sorridere. Poi si era chiuso in se stesso, e per tutta
la durata del tè nessuno lo udì proferir parola.
Passano i giorni, e del poeta non si hanno più notizie:
come se fosse letteralmente scomparso, ingoiato dalla
sua stessa magrezza. Finché oggi, dopo pranzo, la
mamma estrae dalla borsa alcuni fogli manoscritti e li
dispiega sulla tovaglia:
“Sapete quell’avvocato... Mi ha fatto avere per posta
questi suoi versi. S’intitolano L’amica di nonna
Speranza.A me sembrano... semplicemente sublimi!”
E si mette a leggere, con la sua bella voce tutta nuances e chiaroscuri. Lì per lì Luisa non vorrebbe sentire:
a lei di quello zerbinotto con la puzza sotto il naso
non importa un bel niente, e ancor meno delle sue
poesie “sublimi”. Ma, d’un tratto, certe parole la obbligano a far mente locale:
... il caminetto un po’ tetro, le scatole senza confetti,
i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro,
un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve...
E poi, ancora:
...Venezia ritratta a mosaici, gli acquerelli un po’scialbi...
per culminare con:
...il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone
e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto...
“Ma, buon Dio, questa è casa nostra!” esclama Luisa
balzando in piedi. E prosegue con foga, rivolta a padre
e madre:“C’è proprio tutto: il caminetto e le campane di vetro. E il mosaico di Venezia. E lo scrigno di
conchiglie. E il grande lampadario a gocce... Come si
permette, quello, di appropriarsi delle nostre cose? E
di dire che sono di pessimo gusto?”
Quindi, piantati in asso i genitori allibiti, corre di là,
nel salotto, a controllare. Sì, sembra davvero la materializzazione dei versi di quel tale. Come ci avesse
fatto la fotografia. Con una vistosa lacuna, però: i bronzetti. Dei bronzetti, nei versi, non c’è traccia. Parla, sì,
dei busti di Alfieri e di Napoleone: ma quelli non sono
di bronzo. Che non li abbia notati, quel giorno?
Impossibile: così numerosi e incombenti, neanche a
un cieco potrebbero sfuggire. Ma se invece... - e a
poco a poco l’ipotesi, nel prendere corpo, attenua il
dispetto, lo volge in sollievo - ... se invece li avesse
ben visti, e gli fossero piaciuti, ecco che non avrebbe
più potuto accomunarli con le altre cose, che certo
non dovevano andargli a genio (e, detto tra noi, non
senza ragione!), e allora non gli restava che cancellarli dal quadro, salvarli da quel contesto di mediocrità...
Sì, forse è stato davvero così. E, nel resto della sua
lunga vita, ogni volta che Luisa avrà a tornare sulle
poesie di Guido Gozzano, mai potrà dimenticare le
buone cose di pessimo gusto, e quell’omissione che,
per lei, varrà più di un’apoteosi.
Il martedì e il venerdì, tuttavia, le sue fantasiose solitudini di fine pomeriggio subiscono uno strappo.Alle
cinque e trenta in punto, preceduta da una lunga
scampanellata, si presenta la vecchia e arzilla signorina Martinengo per la rituale lezione di piano. Una
consuetudine cui Luisa si accosta con non eccessivo
entusiasmo ma neppure di malavoglia. È buona
norma, di questi tempi, che le ragazze di buona famiglia sappiano suonare con sufficiente disinvoltura
Prima carezza e Petit montagnard. Luisa, anzi, è ben
più avanti: sotto la guida inflessibile della signorina
sta già affrontando le sonatine del Clementi.
Ed eccola, oggi, sbizzarrirsi nell’allegro della Prima,
mentre la maestra, alle sue spalle, scandisce con vigore sergentesco:“Uno... due... tre... quattro...”. L’occhio
insegue le note sul pentagramma, e le mani, sui tasti,
fanno miracoli.Anche la signorina, pur senza mostrarlo, ha da essere soddisfatta. Ma d’un tratto, quando la
musica si apre a un nuovo tema particolarmente
gioioso, è come se la festa dei suoni non salisse più
dalle corde dello strumento ma direttamente dai
bronzetti investiti da quella corrente armonica: ciascuno a cantare la propria nota: la Testa di saraceno
con la gravità di un si bemolle, lo Scugnizzo di
Medardo Rosso con l’allegria di un fa... Subissata dal
fenomeno, Luisa non sa più dove guardare: il respiro
si fa rotto, mentre il cuore le martella in petto, e le
mani inevitabilmente s’inceppano sulla tastiera.
“Luisa... Ma... che ti succede?” si allarma la maestra.
“I bronzetti...sono loro a suonare!”farfuglia in un soffio.
L’altra non può che mostrarsi perplessa. Che c’entrano
i bronzetti? Una cosa, comunque, le è chiara: che
l’eccessiva sensibilità musicale della ragazza va creandole qualche problema. Sicché per oggi conviene troncare la lezione.
“Ti piacciono così tanto le tue statuine?” domanda,
immettendo nel tono tutta la dolcezza di cui è capace.
“Tantissimo” è la risposta ancora ansimante.
“Perché, allora, non me le fai vedere da vicino?”
E Luisa, di buon grado, scivola dallo sgabello del piano
e si avvia a mostrare i suoi tesori. Che, a quanto pare,
riscuotono presso l’insegnante un certo successo.
“Bello, questo... Carino, quest’altro... E tu, quale
preferisci?” Luisa non ha esitazioni: punta subito
l’indice sulla Ragazza con una spina nel piede.
La signorina Martinengo guarda, e senza scampo
l’occhio le cade sulla coscia femminile rigogliosamente scoperta. Cerca quindi riparo in un’altra direzione: ma è fatale che le si pari davanti la carnalità
trionfante della Schiava firmata da Giacomo Ginotti.
Meglio dunque tornare alla Spina nel piede... E lei,
che nella vita si è sempre trovata più a suo agio con
minime e biscrome che non con le lusinghe del
nudo, tenta qualche impacciata obiezione:
“Sì, ma... così nature... così osé...”
Luisa la guarda senza capire:
“Perché osé, se è tanto bella?”
Ma già, nell’altra, sugli interessi estetici prevale il
O.Tabacchi, Bagnante. La spina nel piede.
Bronzo, altezza cm. 36.
piglio della precettrice:
“Non devi attaccarti troppo agli oggetti di casa,visto che
un giorno dovrai lasciarli.Pensa a quando te ne andrai di
qui, per farti una casa tua propria, col tuo sposo...”
La reazione di Luisa scatta immediata:
“Io non lascerò mai i miei bronzetti. Piuttosto rinuncio a sposarmi!”
E sul volto le è apparsa la stessa intensità pensosa, la
stessa malinconia che seppe rendere, nel ritratto,
Cesare Ferro.
Ma un giorno, sì, li lasciò. Un giorno di molti e molti
anni dopo - era il 1980 - quando, nella sua avanzata,
lucidissima vecchiaia, la signora Luisa Sperati vedova
3
Mezzalama si decise al grande passo. Le forze le venivano ormai meno, il commiato lo sentiva imminente.
Che ne sarebbe stato, dopo la sua “dipartita”, dei bronzetti? Stipati in qualche solaio a coprirsi di polvere, di
ragnatele? O mortificati in tanti anonimi, irrecuperabili rivoli di elargizioni infruttuose? Entrambe le alternative le mettevano i brividi addosso. No, occorreva pensare a una particolare destinazione per quel centinaio
di piccole sculture che il padre aveva amorevolmente
raccolto e in gran parte fuso, e per quegli altrettanti
quadri che ne impreziosivano la casa.Una destinazione
che preservasse il tutto dalla dispersione o dalla rovina, facendone beneficiare l’intera collettività.
E che cosa, meglio del Consiglio Regionale del
Piemonte, avrebbe fatto al caso suo? Quali spazi,
meglio di palazzo Lascaris da poco restituito ai suoi
secenteschi splendori,potevano ospitare,e valorizzare,
il suo piccolo patrimonio di bellezze e suggestioni?
Così avvenne la donazione. Non sappiamo se l’età tardissima e le precarie condizioni di salute le abbiano
consentito di presenziare alla cerimonia. Ma ci piace
immaginare che le cose siano andate veramente così:
la sala gremita e plaudente, gli immancabili discorsi
d’occasione, le protocollari carte da firmare... E lei,
tutta in ghingheri, che risponde ai convenevoli: c’è
pure da bere una sorta di rosolio che, nell’emozione
dell’attimo, le va per traverso, la costringe a tossire.
Poi, se Dio vuole, la cerimonia ha termine, non resta
che uscire. E Luisa, prima di lasciare la prestigiosa
sede, non rinuncia a voltarsi ancora una volta verso i
bronzetti. O meglio, verso le casse ove questi giacciono imballati, in attesa che “altre” mani li estraggano,
“altri” occhi trovino loro un’adeguata collocazione.
Ma questo, ormai, poco conta. L’importante è che la
loro salvezza sia assicurata. Che il ricordo di papà
Emilio resti impresso nelle loro forme. E che quassù,
al piano nobile di palazzo Lascaris, nella luce radente
di ogni crepuscolo, ciascuno di essi ritrovi la sua verità, il suo palpito di vita.
4
Emilio Sperati, Gina bimba allo studio
(la figlia Luisa giovinetta). Bronzo.
PERSONAGGI D’ALTRI TEMPI
GUIDO
racconto di Pier Massimo Prosio
Nel 1902 Guido Gozzano aveva 19 anni. Studente
assai poco modello, dopo essersene venuto via dal
Cavour ove l’anno precedente era stato bocciato si
stava preparando per gli esami di ammissione alla
terza liceo frequentando una scuola privata, l’Istituto
Ricaldone. Ma c’erano tante cose che l’interessavano
più che la scuola! Per esempio scrivere poesie, anche
se per adesso non pubblicava ancora i suoi versi che
solo a pochi amici e parenti faceva leggere; oppure
andare in bicicletta, ad Agliè tra i prati ed i campi
respirando l’aria fresca delle montagne ma anche a
Torino lungo i viali ombreggiati dai platani o tra il
verde del Valentino; o, ancora, frequentare quel nuovo
circolo che da poco era sorto in città, in via delle
Finanze, la Società di Cultura ove si riunivano tante
persone intelligenti e colte, e dove si potevano trovare tanti libri, ma non quelli noiosi della scuola.
Ma per fortuna, quel giorno le scuole erano chiuse.
Era il giorno dell’inaugurazione del monumento al
Principe Amedeo, l’opera di Davide Calandra uno
degli eventi più significativi di quella Esposizione
Internazionale d’Arte decorativa moderna che di lì a
poco si sarebbe aperta al Valentino. Erano arrivati a
Torino insieme ai sovrani anche il Presidente del
Consiglio Zanardelli, l’onorevole Giolitti, varie personalità. Una limpida e odorosa giornata abbracciava la
città, la primavera pareva essersi risvegliata quel mattino stesso ancora stupita della sua bellezza tenuta
per tanti mesi nascosta.
Camminando lungo il corso Vittorio Emanuele, Guido
si guardava attorno; il corso era splendido di luce e di
colori, la sua corona di platani frondosi, i balconi
agghindati di bandiere e gagliardetti. Insolito il movi-
mento per le strade. Gli parve che addirittura Vittorio
Emanuele II dall’altissimo monumento sbirciasse di
sotto incuriosito di tutto quel viavai, del frenetico traffico per la sua tranquilla città.Mentre camminava udiva
da distante squilli di fanfare, rullo di tamburi; seguì la
folla che si muoveva verso il Valentino. Gruppi di soldati si stavano dirigendo alle loro postazioni.
I tramvai erano tutti imbandierati, e alle fermate si
vuotavano di un gran numero di persone che allegre
e rumorose andavano a trovar posto lungo il percor-
L’inaugurazione della 1a Esposizione Internazionale
di Arti Decorative. Pasquino, anno XLVII.
so che avrebbe seguito il corteo reale: piazza Castello,
via Roma, corso Vittorio Emanuele, corso Massimo
d’Azeglio. Si vedevano piccoli gruppi famigliari composti e dignitosi nei loro abiti da festa, vecchi militari
con lustrini e decorazioni in mostra, impiegati in
completo scuro, operai, studenti chiassosi ed irrequieti per il giorno di vacanza. Lungo i bordi della
strada una folla sempre più fitta e festosa si veniva
accalcando, plotoni di militari erano disposti in doppia fila per annunciare con le fanfare il passaggio
delle autorità.
In corso Massimo d’Azeglio scorse da distante una
tenda biancheggiare, era quella che copriva
l’inauguranda scultura. Guido si portò verso il piccolo palco che era stato apprestato lì presso per accogliere le autorità. Era arrivato giusto in tempo per
vedere scoprire il monumento dedicato al duca
d’Aosta. Un grido di stupore compiaciuto ed un lungo
battimani fece seguito al disvelamento della imponente statua equestre. Ebbero inizio i discorsi ufficiali: “Maestà! Altezze Reali! Non meno che nel granito e
nel bronzo la Storia con la sua alata eloquenza tramanderà alle genti future le gloriose pagine riflettenti il principe Amedeo…”. Ma Guido non aveva orecchi né occhi per quei signori impettiti che pronunciavano quelle parole altisonanti. Ed invece girava lo
sguardo intorno a sé dal palco delle autorità al parco
del Valentino. Chi sarà mai stata quella bella signora
sul palco con la veletta e il gran cappello bianco che
le cadeva obliquo sul volto? E quella giovane donna
che camminava pensosa per una delle allée del parco,
con quel tailleur color cammello dai grossi bottoni di
velluto, un cappello da amazzone con piuma e nastro:
gli parve che passando accanto al monumento si fermasse come incuriosita poi con un sorriso si allontanasse perdendosi nei sentieri sinuosi. Guido immaginò con improvvisa fantasia di scortare quella bella
signora per le meraviglie dell’Esposizione, di farle da
cicerone. Una promenade con una bella donna accan5
1902 Tramways a Torino:“Linea dei Viali”.
to per il Valentino, il fatato malioso parco torinese:
poteva pensarsi qualcosa di più bello?
La cerimonia finì che era quasi l’una. Per tornare a
casa prese un tram. Nel maggio 1902 i Gozzano abitavano in via Montecuccoli 3, un piccolo alloggio che
a differenza della casa natale di Guido in via Bertolotti
2 descritta da Francesco Pastonchi, non sappiamo
come fosse. Lui, il poeta, non ne fa alcun cenno, come
del resto ignora del tutto, nei suoi scritti, le abitazioni
torinesi mentre quelle di Agliè sono amorosamente
raffigurate e ripercorse. Forse perché, queste, di
Torino, erano così smorte e scure in confronto a quelle solatie e gioiose del paese canavesano; forse perché queste erano le case della vita grigia e dimessa di
tutti i giorni con le sue banalità e le sue tristezze (proprio in via Montecuccoli sarà stilato l’atto di vendita
del Meleto, con gran dolore di Guido) e quindi era
meglio che non entrassero nel dominio fatato della
poesia. Non facciamo però molta fatica ad immaginarcela, la casa di via Montecuccoli. Un alloggio
6
alquanto tetro, silenzioso, un po’ triste, abitato solo
dalla madre e da Guido (il padre, era morto due anni
prima). Ci sarà stato un salotto in cui la madre riceveva i pochi visitatori, una stanza con sofà e vecchie
poltrone, una specchiera, le pareti tappezzate. La
mamma di Guido, Diodata, aveva un certo gusto per
l’arredamento, e aveva stipato di oggetti la stanza con
quella paura del vuoto tipica delle case borghesi di
inizio secolo: le statuine sul caminetto accanto al vaso
e all’orologio, i soprammobili allineati sulla mensola,
le stampe polverose appese con bella simmetria, le
miniature un po’ sbiadite, alcune scure fotografie di
avi e parenti lontani. Una raccolta insomma di quelle
buone cose di pessimo gusto che pochi anni dopo il
poeta doveva immortalare nella sua lirica.
E ci saranno stati in quella stanza, possiamo agevolmente supporre, delle étagères, dei ripiani, delle consolles, su cui avranno fatto bella mostra di sé alcuni
bronzetti che Guido, naturalmente, vedeva sempre,
ma con quella indifferenza che provocano le cose
che quotidianamente abbiamo sotto gli occhi. Ma
quel giorno, quel giorno di festa e di primavera, li
osservò con uno sguardo nuovo.
Tornato dalla inaugurazione del monumento al
Principe Amedeo, la sua attenzione fu presa proprio
da un bronzetto di Davide Calandra. Quell’ardito
cavaliere settecentesco dritto ed impettito come il
suo cavallo che porta in mano uno stendardo. Cosa
sarà stato: un dragone forse? Guido non era molto
edotto nella storia, neppure in quella sabauda. Ma ciò
che lo attraeva di quella statuetta era piuttosto il fascino del passato che vi leggeva, la poesia del tempo che
fu. Gli sarebbe piaciuto vederlo all’opera quel soldato, in mezzo ai suoi commilitoni, tra i suoi superiori,
durante le battaglie; ma di più gli sarebbe piaciuto
vedere e conoscere la società che lo circondava.
Poter entrare non visto in un palazzo nobile torinese,
magari anche in quello del re, (chi sarà stato il re al
tempo di quel dragone? forse Vittorio Amedeo III?) e
seguire come un invisibile folletto i discorsi delle
belle dame immerse nell’immenso guardinfante, le
alte acconciature imbiancate da una nuvola di poudre, un vezzoso nastro nero a cingere un collo di
cigno! Anche a Guido aveva fatto una certa impressione il gigantesco monumento equestre del principe
Amedeo appena inaugurato al Valentino; anche se
forse era per il suo gusto un po’ troppo ufficiale,
solenne, severo: come dire? scarso di sogno, di quel
sogno della storia che già intravedeva come un privi-
Davide Calandra, Dragone del Re.
Bronzo, altezza cm. 64.
legiato sito della sua fantasia. In questo senso più gli
erano consoni i romanzi e racconti storici del fratello
di Davide, Edoardo, quei libri così legati alla terra e
all’animo piemontesi che gli avevano provocato una
vibrazione di simpatia e di rimpianto, un soprassalto
di orgoglio amoroso per la storia della sua terra.
Il Settecento era un’epoca assai suggestiva. Ma il secolo che più lo attraeva era l’Ottocento, il tempo del
Risorgimento. Non certo per motivi patriottici, ma
per quell’incanto di un’epoca passata e trascorsa ma
non così lontana che non ne fosse rimasto qualche
ricordo, magari anche soltanto una fievole eco, nella
vita di ogni giorno, che non ne cogliesse cenni di
nostalgia nei libri che leggeva, tra le vie e le piazze
della sua città, nei discorsi degli stessi parenti. Il
tempo del re Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele, di
Massimo d’Azeglio: diciamo, per indicare un anno, il
1850. Ed ecco, proprio un altro piccolo gruppo in
bronzo ben disposto su un tavolino rappresentava
Carlo Alberto con alcuni soldati in Torino. Era evidentemente il modello del monumento del Marochetti di
piazza Carlo Alberto, quel monumento così familiare
a Guido, la statua equestre del re circondata da quattro soldati. Che a lui non faceva affatto venire in
mente episodi di guerra, epiche battaglie, scontri
cruenti sul campo, ma lontani tranquilli interni di
case o angoli della sua città rivestiti dei tratti favolosi
del passato.
I salotti onusti di soprammobili e le pareti coperte di
quadretti e stampe; le donne con i capelli divisi simmetricamente sulla fronte e le fanciulle dai vestiti lunghi che toccano terra; le belle signore che passeggiano sotto i portici di Po osservate dall’occhio attento
e galante degli ufficiali; i caffè Fiorio e Nazionale
rumorosi e frequentati da giovani e patrioti e artisti e
sfaccendati che attendevano le notizie che erano ogni
giorno apportatrici di speranze delusioni entusiasmi
recriminazioni… Sì era questo forse il tempo che più
ammaliava la fantasia del giovane Guido.
Ignoto (o L. Bistolfi?), Nudo reclinato.
Bronzo, altezza cm. 35.
Ancora un bronzetto c’era in quella stanza, piccolo,
nascosto quasi schiacciato dai gonfi vasi che correvano sulla mensola del camino. Non vi aveva sino ad
allora fatto molto caso, ma adesso si avvicinò per
osservarlo meglio. Si trattava di una figurina femminile nuda che accosciata nascondeva la testa come per
un esercizio ginnico, o forse per un momento di
malinconia. Non si vedeva il volto della giovane
donna. Guido pensò, chissà perché? che fosse quello
della bella e giovane signora che aveva visto poco
prima passeggiare per i sentieri del Valentino.
L’autore era ignoto ma egli istintivamente lo accostava all’opera di uno scultore casalese che non conosceva personalmente, ma di cui aveva sentito parlare
con accenti molto elogiativi. In realtà Bistolfi era noto
soprattutto per i monumenti sepolcrali e Guido non
poteva certo sospettare che sarebbe stato proprio
Bistolfi, che egli considerava il possibile autore di
quella statuina, ad apprestargli il monumento tombale: quel giorno lieto di maggio non era ancora turbato dall’ombra fredda della Signora vestita di nulla. E
Bistolfi era per lui in quei giorni, soprattutto l’autore
del manifesto che era stato affisso in vari luoghi della
città ed era diventato il simbolo dell’Esposizione che
stava per aprire i battenti. Le quattro fanciulle biancovestite che con passo di danza parevano posarsi
come calando lievemente dal cielo su quel prato fiorito di primavera; e che con lo svolazzare dei loro candidi veli formavano la magica parola: Ars. C’era in
quella vaporosa e aerea immagine una vena di poesia
che incantava Guido tutte le volte che s’imbatteva nel
manifesto che era stato affisso nei più eleganti negozi della città. E questo nudino assorto e raccolto nel
suo gesto di riflessione e di malinconia, pur così
diverso, gli parve tenere anch’esso qualcosa della
femminilità musicale e sognante di quelle figure.
Il dragone fiero in sella al suo destriero; la nuda pensosa e distante come una deità pagana; il re con la sua
piccola guardia di soldati. Quelle statuine lo affascinavano con l’intensità di un presagio e di una promessa. Andò alla finestra e la aprì. Una lama di luce
trasversalmente andò a posarsi proprio sui tre bronzetti che gli parvero, sopraggiunti da quella nuova
vibrazione, assumere un nuovo aspetto, come volessero dirgli qualcosa. Che cosa?
7
Gli edifici dell’esposizione del 1902 sono progettati
dall’Architetto Raimondo d’Aronco che assume “la
responsabilità della formazione dei progetti, la direzione dei lavori, la liquidazione e demolizione a
opera compiuta nonché per la sovrintendenza dell’ordinamento di tutto quanto concerne
l’esposizione e gli espositori”.
Per la parte artistica è coadiuvato dagli ing. (sic, ndr.)
Vacchetta e Rigotti. “A testimonianza della grande
importanza attribuita dal comitato artistico alla
decorazione è la nomina di una nuova commissione (...) con l’incarico di esaminare i progetti”.
(A.A.V.V.
Torino 1902 Le Arti Decorative Internazionali del
nuovo secolo Milano 1994). La rivista “Memorie di un
architetto” pubblicava i progetti presentati al concor-
8
dama abbigliata alla moderna, ornata da un lungo boa
rosso, in atto di affiggere o indicare il manifesto dei
festeggiamenti predisposti durante l’Esposizione.
Nel secondo affiche, opera di Leonardo Bistolfi, quattro giovani fanciulle, atteggiate alla danza e vestite di
veli si muovono fra nastri che formano la parola ARS.
Secondo quello che i francesi chiamarono stile
“nouille” il famoso scultore, organizzatore della manifestazione e animatore della rivista che l’aveva preparata e sostenuta, offriva, con un elegantissimo dipinto,
una prima suggestiva immagine liberty.
AL TEMPO DELL’“ARTE NOVA”
L’ESPOSIZIONE AL VALENTINO
Torino, maggio 1902
Il trionfo dell’arte borghese si ebbe
nella
Esposizione internazionale d’arte decorativa
moderna che inaugurava questa nuova dizione in
sostituzione del termine arte applicata all’industria.
Era la proposta per una nuova “estetica della via,
della casa, della stanza”; si ammettevano solo prodotti originali che venivano vagliati da una
Commissione artistica presieduta dal Duca d’Aosta.
A spese degli espositori erano i trasporti, gli imballaggi delle merci, delle quali era consentita la vendita.
Si assegnarono molti premi:
- al miglior progetto di casa moderna (da pigione,
villa...)
- al miglior complesso decorativo di un appartamento di lusso composto di almeno tre stanze di diversa
destinazione
- al miglior complesso di un appartamento economico
- alla migliore stanza di lusso
- alla migliore stanza economica
Vale la pena di dare uno sguardo complessivo ai materiali esposti, in una rilettura del catalogo.
Alla decorazione pittorica e plastica s’affiancava la
serie degli infissi, ceramiche e laterizi, vetri e mosaici;
per gli interni si proponevano stoffe, tappeti, galloni,
tovaglierie, pizzi, ricami, stuoie e lavori in vimini;
carte da parati, cuoi e succedanei.
Si proponevano armi e accessori; apparecchi per
riscaldamento e per illuminazione; e quindi mobili,
arredi.. ma anche oreficerie, monete, medaglie e i prodotti raffinati delle arti grafiche: ex-libris, tessere, fregi
per iniziali, caratteri da stampa, francobolli, marche da
bollo, cartoline, carte valori, biglietti di banca, carte da
Una lunga gestazione
Charles Van Der Stappen, Trionfo da tavola
Les quatre périodes du jour. Bronzo. 1898 circa.
Musées royaux d’Art et d’Histoire. Bruxelles.
giuoco, stampe decorative e illustrazioni di libri. Un
settore occupava l’arte della rilegatura. Era stata prevista inizialmente una sezione di abiti, poi soppressa
per ragioni pratiche.
Nella sezione della casa e della via si presentavano
progetti di edifici e delle loro parti, piazze, porticati,
cavalcavia e passerelle.
Per la decorazione esterna della casa e della via vi
erano progetti e modelli di inferriate, ringhiere, roste,
cancelli, cancellate, chiusure di porte, tira campanelli... e ancora fontane, abbeveratoi, candelabri, lampioni, fanali, lanterne, colonne luminose, edifici di decenza, chioschi, quadri di pubblicità, insegne, pensiline,
tende, sedili pubblici, facciate di botteghe, cassette
postali, orologi.
Nel primo affiche, G.B. Carpanetto rappresentava una
Votata dalla Sezione di architettura del Circolo degli
Artisti per l’autunno l899, l’Esposizione avrebbe
dovuto realizzarsi nel l901, ma il clima difficile dopo
il regicidio e l’intento di presentare la mostra contemporaneamente alla Prima Quadriennale d’Arte,
organizzata dalla Società Promotrice di Belle Arti, ne
avevano fatto rimandare l’apertura alla primavera
del 1902.
Nella rassegna non si ammisero imitazioni degli stili
del passato: di qui l’assoluta originalità del nuovo
messaggio floreale e decorativo.
Fra le presenze italiane di rilievo ricordiamo Galileo
Chini, Cometti, Bugatti, Ceruti; per le vetrate artistiche
G. Beltrami; per il ferro battuto Mazzucotelli; per
l’oreficeria Musy padre e figlio,Valabrega per i mobili...
All’Italia andarono 12 dei 68 diplomi d’onore; e 9
delle 78 medaglie d’oro.
L’Esposizione si chiuse con un bilancio in attivo: gli
azionisti riebbero quasi il 40 per cento delle somme
versate. Discreta fu l’affluenza del pubblico, anche se
molto rimase invenduto. Durante l’estate il biglietto
di ingresso fu diminuito di prezzo.
Articoli favorevoli all’Esposizione comparvero su
importanti riviste europee: The Studio, Gazette de
9
Beaux Arts...
Così, mentre la Torino teatrale del secondo Ottocento
sfumava e il mondo della celluloide si faceva avanti,
trionfava, per il nuovo consumismo, l’arte ‘moderna’
decorativa,un’arte per la vita,all’insegna del quotidiano.
“Torino si muove, dietro di lei cammina l’Italia scrisse di quei primi anni del secolo XX Augusto Monti
- pullulano le società anonime. La liretta di carta fa
aggio sull’oro.Tornano a circolare i gialli marenghini d’oro. La corsa alla ricchezza? no, piuttosto all’agiatezza dei nonni: le nuove ricchezze tornano in
case dove ci sono mobili vecchi, libri, ricordi”. È questo un messaggio borghese che abbiamo raccolto, nel
fare questa mostra di bronzetti da camera e che speriamo possa essere utile a questa nostra vita, nonostante
il tanto progresso, così difficile e degradata.
Una rassegna di presenze internazionali
Darmstadt, novembre 1902. Un anno dopo la grande
esposizione tedesca che aveva presentato il rinnovamento dello stile delle arti applicate,Alexander Koch,
il critico che aveva dedicato alla colonia degli artisti
all’esposizione di Darmstadt un volume circostanziato,
ricco di 500 illustrazioni fuori testo a colori, compone
il brano di apertura ad un nuovo libro sulla Esposizione
di Torino il cui carattere internazionale nella valorizzazione delle arti applicate sembrava aver superato le
premesse tedesche. Uscirono così due edizioni del
volume per un ricordo durevole: quella francese si
affiancò in parallelo a quella tedesca. Destinata “ai letterati di ogni ordine amici delle arti, agli artisti ed a
tutti coloro che si occupano di arti industriali nelle
nazioni civili”, tendeva a trarre importanti lezioni
dallo straordinario evento torinese ed a fornire, con le
ricche immagini, tanti “modelli” da consultare.
Posta sotto l’alto protettorato del giovane sovrano
d‘Italia Vittorio Emanuele III e con la presidenza
d’onore di S.A.R. il Duca d’Aosta, la mostra torinese
10
aveva, nel volume diretto dal Koch con i testi di
Georg Fuchs e F.H.Newberry, un capitolo significativo di “prime impressioni”. Derivate dal dichiarato
soggiorno di tre settimane a Torino, rilevavano proprio in apertura la straordinaria organizzazione degli
“amici torinesi” e la loro capacità affermata di offrire “cose per molti aspetti ammirabili”. Fin da quel
momento si notava che Torino aveva realizzato un
notevole progresso nell’organizzazione di una esposizione d’arte industriale, profittando degli insegnamenti della meritoria mostra di Darmstadt. Si affermava che le prossime rassegne, a partire da quella di
Monaco del 1904, avrebbero dovuto tener conto dei
principi stabiliti a Torino.
Ma dopo l’Esposizione Universale di Parigi del 1900 e
la già citata di Darmstadt del 1901 tutto sommato non
si scopriva molto di nuovo a Torino. La sezione tedesca
vi presentava il quadro più rinnovato e originale: bandito il carattere di esposizione bazar, edificata sui grandi piani del signor Berlepsch di Monaco, l’esposizione
tedesca era una sequenza di sale piccole e grandi, ciascuna dedicata ad uno stato tedesco: Prussia, Sassonia,
Baviera, Baden, Wûrttemberg, Assia e Amburgo. Nel
catalogo seguiva un excursus attraverso le sezioni:
americana, con vasi e oggetti di metallo prezioso, vetrerie di Tiffany; giapponese con paraventi e graziosi servizi moderni; inglese con le importanti scuole di artigianato di Morris, Crane, Townsend, Webb, Ashbee e
Guild; scozzese,rappresentata dai coniugi Mackintosh
e dalla scuola di Glasgow; francese con l’Art Nouveau,
la casa moderna e Lalique e infine ungherese con piccole ceramiche e oggetti di vetro. S’aggiungevano
ancora Norvegia, Svezia e Danimarca con splendide
ceramiche e tessuti.
molto variato.
Il gruppo plastico della costruzione principale - Danzatrici -, ripetutamente fotografato nel volume del
Koch, faceva un bell’effetto. Si trattava dell’immagine
delle arti applicate che sotto forma di un bronzetto
erano presenti anche in mostra. Edoardo Rubino
aveva modellato - sul tema affascinante e dinamico
della danza - un ricco bronzetto, fuso dalla ditta Musy
in tre esemplari, che lo presentava trionfalmente nel
suo stand. Era un “monumento da camera” sottilmente allusivo all’eleganza di un ambiente evocato.
Nell’atrio e nello scalone del Palazzo del Giornale
ecco un altro bronzo: il ritratto di Bottero dello scultore Tabacchi. Un genio con fiaccola, Lucifero - paradigma illuministico del simbolismo massonico - regge
un ritratto ovale del fondatore della Gazzetta del
Popolo. Così nel 1902 si apriva, con queste citazioni,
l’interessante stagione del bronzetto da acquistare
per ornare l’ambiente della vita. Non era la prima
volta che una grande esposizione offriva in mostra e
quindi in acquisto al visitatore quel prodotto raffinato di artigianato d’arte. Nella Esposizione del 1898 al
Valentino, la ditta Sperati, una fonderia di statue colossali che aveva con attenzione guardato anche ai prodotti di arredo, aveva esposto nel suo stand una contesa sfilata di bronzetti d’autore. Ora di nuovo si era
presentata l’occasione di mostrare e vendere statuette ordinate e provocanti, tratte - su tematiche diverse
- dai modelli dei grandi artisti del momento. Il pubblico rispondeva bene alla proposta espositiva e ben
presto tutti i pezzi trovavano un compratore.
Presenza della scultura
Occorreva sostenere con adeguati scritti teorici
l’avvento delle arti decorative: i promotori della grande Esposizione progettarono una pubblicazione che
prese il nome di “Arte decorativa moderna”.
A Torino l’Esposizione si presentava ben distribuita
e l’architettura dei giardini offriva un aspetto
UNA RIVISTA PER PROPORRE
L’ARTE DECORATIVA
La Francia a Torino: nella proposta di sala da pranzo
Gaillard diverse statuette si presentano sul tavolo.
Diretta da Enrico Thovez aveva tra i prestigiosi collaboratori gli scultori Calandra e Bistolfi, il decoratore
Giorgio Ceragioli, l’architetto Reycend. Per trovare il
nuovo stile occorreva riavvicinare l’arte alla vita: il
secolo che si apriva portava un determinante rinnovamento sociale, tecnologico, scientifico, culturale: lo
spirito della modernità era la molla che spingeva
verso i nuovi prodotti che le arti predisponevano con
versatile inventiva.
“Tutta l’attività umana è più complessa, rapida,
vigile e sogna e conquista nuove gioie, nuovi orizzonti, nuove altezze” (Paoletti).
Era un’arte per tutti ”materiali meno costosi, maggiore adattabilità soprattutto dei mobili ad
ambienti non preordinati come quelli delle case
d’affitto” (Pica). “L’arte nova non è un fatto isolato
sul campo della vita ma un prodotto di un movimento sociale che intende a spostare ogni centro
dell’attività umana: coloro dunque che sono timidi
in politica, pensosi e paurosi davanti al problema
economico, (…) coloro che non possono rinunciare
a nessuna forza del passato, non si credano di
penetrare agevolmente nei propositi e nelle bellezze
dell’Arte Nova” (Melani).
In uno dei primi articoli, E.Bonardi definiva la Nuova
Arte Decorativa: “Le arti decorative od industriali
hanno per oggetto la ricerca del bello in tutte le
manifestazioni non puramente artistiche della
vita: nella strada come nella casa; nella persona
come nell’abito, nel libro che leggiamo come nello
strumento che adoperiamo”.
A firma di Leonardo Bistolfi e Davide Calandra, di
Giorgio Ceragioli, di G.A.Reycend e di Enrico Thovez,
un lungo articolo introduceva lo scopo di questa arte.
(cfr. “L’arte decorativa moderna” Anno I, n.1, gennaio 1902, pp.1-3).
“L’uomo moderno, affaccendato sinora a rinnovare
la sola sua mente, ha finalmente compreso che
uguale cura richiedono la sua città, la sua casa, la
sua persona, senza di che le sue stesse facoltà intellettuali non potrebbero assumere il loro pieno sviluppo; ha compreso che se l’ambiente materiale
non corrisponde alla spiritualità di chi lo abita,
non sono possibili né l’armonia della vita, né quella dell’arte che è la sua più grande espressione”
(…) “occorre che tutti lavorino alacremente a
sgombrare le forme del passato, accingendosi alla
grande opera di rinnovamento dell’ambiente materiale, pubblico e domestico, infondendovi quello
spirito d’arte che per troppo tempo ne fu escluso.
Occorre riannodare il filo delle tradizioni decorative rottosi negli sconvolgimenti del principio del
secolo e risollevare le arti minori soffocate sinora
dall’espansione puramente meccanica dell’industria. Bisogna riavvicinare la vita all’arte se si
vuole che l’arte ritorni alla vita. (…) Bisogna che
l’arte, come avvenne nelle età passate porti nel più
umile oggetto il suo marchio e il suo fascino, orni
tutte le forme materiali dell’esistenza (…) che ogni
forma insipida, inespressiva, volgare sia sostituita
da una forma gustosa, espressiva, squisita; occorre
che dai cardini di una porta al cuoio di un portafogli, dalla cornice di un quadro ad un braccialetto, dallo stelo degli alari alla maniglia di un uscio,
dalle sedie al tappeto ogni cosa porti, come in altri
tempi, un’impronta ed un sorriso d’arte ed una
impronta armonica, coerente, ‘una’ di stile nella
varietà degli atteggiamenti formali; occorre che
ogni arredo trovi nella logica della sua forma la
sua utilità e la sua bellezza”.(…)
“Ciò che fu sino a pochi anni or sono, un problema
teorico, è ormai entrato nel numero dei fatti. Un
ardore di rinnovamento ha pervaso tutti gli spiriti
e la causa dello stile moderno ha trionfato di tutte
le dubbiezze e di tutte le diffidenze”.(…)
“Perciò godiamo di annunciarvi il nostro proposito di pubblicare una rivista mensile illustrata,
destinata a rispecchiare quanto si opera in Italia
in questo campo e quanto di più notevole si compie all’estero. Essa abbraccerà l’intero campo dell’arte decorativa, dallo studio architettonico dell’edificio alla decorazione del più umile oggetto in
cui l’arte è venuta a portare la sua impronta: ospiterà perciò l’architettura e la decorazione plastica
e pittorica, le ceramiche e i vetri, i mosaici e le
stoffe, i mobili e le carte da parati, i ricami e le
trine, i metalli e i cuoi e le arti grafiche,
l’illustrazione del libro, le rilegature, le armi, le
vesti. Non escluderà cioè nulla di ciò che contribuisce all’estetica della casa, della via, della stanza e della persona, intesa nel suo carattere decorativo; sarà la rivista utile all’architetto ed al
decoratore, allo studioso ed all’operaio, all’uomo
colto ed alla signora. Vorremmo che essa potesse
trovarsi nello studio dell’ingegnere quanto sulla
tavola della famiglia borghese e portarvi un insegnamento ed un aiuto”.
11
Ma la rivista avrà vita breve e cesserà nel 1907.
1902: I MENU DELL’ESPOSIZIONE
Il menu, il piccolo cartoncino stampato in occasione
di un convivio,propone un messaggio di immagini e di
parole in cui storia e arte mirabilmente s’intrecciano.
La storicità degli antichi menu - petites estampes
oggetto di un raffinato collezionismo - si concreta nei
piatti serviti, nel contorno spettacolare che scandisce
le portate, allietando talora il banchetto con canti,
musiche, discorsi onorifici.
Sempre importante è la presenza prestigiosa dei commensali, venuti per celebrare una occasione pubblica
o privata.
Aspetto fondamentale è l’ornato decorativo del menu,
opera anche di noti artisti, in linea con il gusto dei tempi.
A Torino molti furono i pranzi che sottolinearono gli
eventi della Prima Esposizione internazionale di
arte decorativa moderna al Valentino.
In quell’anno la grande rassegna che brillantemente
apriva l’era del gusto floreale, richiamò un gran
numero di visitatori anche stranieri, rivelando come
l’Italia, apparentemente ostile a ogni idea di rinnovamento artistico, si scuotesse ad un tratto dal torpore
per accogliere lo stile decorativo ormai dominante in
tutta Europa. Vi si esponeva il prodotto dei più noti
designers dell’epoca, da Mackintosh a Walter Crane, a
Morris; da Peter Behrens a Olbricht; da Victor Horta a
Van de Velde, a Louis Comfort Tiffany.
È da questo momento che l’arte comincia ad essere
elemento della vita quotidiana, indispensabile per
“dare bellezza alla casa, alla vita, alla città, a tutti
gli oggetti più fantasiosi, creando finalmente uno
stile decorativo proprio dell’epoca nostra”.
A Torino, nell’Archivio Storico della Città, la collezione
Simeom conserva ben undici menu decorati del 1902.
L’inaugurazione al Valentino fu di più giorni: un
momento di grande mondanità, ripreso dai giornali e
dalle riviste con immagini nuove.
12
Nella
collezione
Simeom
all’Archivio
Storico
della Città,
un menu
del 1902
riccamente
illustrato.
Quel giorno,il 10 maggio,il pranzo offerto dalla Città di
Torino presentava, sotto lo stemma della città circondato da un bel fregio floreale, dieci portate elencate in
francese, nelle quali, in omaggio al momento internazionale, si accostavano foie gras di Strasburgo, haricots
à l’anglaise, poulardes de Bresse e gâteau bretonne...
Fu stampato dai fratelli Künzli il menu-ricordo dell’inaugurazione del monumento per Umberto I a Superga che avvenne il giorno seguente. Lo scultore Tancredi Pozzi aveva ideato l’immagine di un fiero
allobrogo gesticolante alla base di una colonna sulla
quale sta un’aquila ferita a ricordo del sovrano ucciso
a Monza. Ed era stato il figlio di questi, il nuovo re Vittorio Emanuele III - vestito di impermeabile nero,ricorda un cronista, mentre la regina Margherita portava al
collo un boa di piume - a compiere la mesta cerimonia,
“sotto un tempo orribile”. Il cartoncino - formato cartolina, in collezione privata - mostra il ritratto di
Umberto I con i grandi baffoni, sotto l’immagine della
prestigiosa basilica juvarriana.
Elegantissimo è il menu stampato per il Congresso degli
Istituti Industriali e Commerciali, il 27 settembre.
Con perfetto stile nouille include fra nastri sinuosi gli
stemmi del regno e della città, le ruote dentate, simbolo del convegno, l’immagine dei padiglioni creati al
Valentino dalla fervida fantasia di Raimondo D’Aronco.
Fra le nove portate nel banchetto, che si tenne al
Ristorante internazionale dell’Esposizione, si imbandirono ostriche e melone, storione in maionese,
chaud froid di caccia e spumone alla napoletana.
In una Torino vivace e moderna si riunisce il 15
ottobre 1902, nel corso del IV Congresso delle
Società Economiche, la giuria dell’Esposizione
Internazionale di Fotografia Artistica. Giunta ad una
certa maturità, la nuova arte non cessa di destare
interesse. In città lavorano fotografi celebri e gli
studi sono già alcune centinaia.
Il senatore Frola - un famoso sindaco per la città - ha
conservato, come souvenir la lista di nove portate
offerta dal Municipio di Torino per la colazione ufficiale. Nella collezione Simeom il prezioso pieghevole mostra l’immagine del monumento al Principe
Amedeo, duca d’Aosta, eretto al Valentino per sottoscrizione nazionale. Opera lodata e premiata di
Davide Calandra, fusa dall’abilissimo Sperati, rappresenta il personaggio sabaudo in atto di sfoderare la
sciabola a Monte Croce, nella battaglia in cui fu ferito. A fianco della celebre immagine, tra raffinati ghirigori, la minuta del pranzo: risotto e salmone, filetto e pernici, capricciosa, cassata e millefoglie, secondo una sequenza tradizionale nella cucina delle
NELLA PIAZZA, NELLA VIA
L’EVOLUZIONE DELLA CITTÀ
di Clara Palmas
Alla fine del secolo XIX Torino aveva ormai superato
la crisi che era seguita allo spostamento della capitale. Perso il ruolo di centro politico amministrativo
dello Stato e la presenza della Corte, la città si era
adeguata alla nuova situazione. Lo sviluppo era favorito dalla esistenza di una borghesia ricca di patrimoni consolidati nei secoli precedenti, non ricchissima,
basata su commerci e attività industriali differenziate, che nel corso del secolo XIX si erano ulteriormente sviluppate guardando anche a mercati nazionali e internazionali.
Aveva contribuito a questa apertura la presenza di
una classe dirigente colta e consapevole della necessità di dare alla città nuovi obiettivi di sviluppo.
Questi sono i presupposti che consentono di superare la non lieve crisi economica seguita allo spostamento della capitale e di promuovere un periodo di
nuova fioritura basato sull’estensione dei commerci,
su una florida attività bancaria e sull’incentivazione
delle attività artigianali e industriali che si riveleranno
al pubblico attraverso le esposizioni. Se le rassegne
che chiudono il secolo risultano ancora ancorate a
uno storicismo romantico, in quella del 1902 questi
nuovi caratteri della città si appalesano pienamente.
L’Esposizione ci mostra una città ricca di interessi ove
le attività produttive e artigianali sono attente alle
innovazioni e particolarmente fiorenti.
Città poco orientata al turismo, già allora,Torino ha
per quel periodo poche descrizioni nelle guide che
si soffermano prevalentemente sul suo carattere
industrioso in modo generico. Occorre perciò far
riferimento all’immagine che la città dava di sè
all’esterno.
La crescita industriale
Nella descrizione dello sviluppo di Torino a cavallo
dei due secoli la guida Bertarelli, edita a Milano nel
1914, rileva nella città proprio negli anni dal 1896 al
1909 un “intenso svolgimento” Per avere un’idea del
cambiamento intervenuto si può far riferimento al
censimento del 1911. In tale data figuravano in Torino
ben 5150 imprese con 93640 operai e la città risultava al secondo posto in Italia per rilevanza del movimento industriale “fra le industrie metallurgiche e
meccaniche sviluppate in modo veramente cospicuo nel circondario e specialmente nel capoluogo si
presenta caratteristica quella delle automobili”
Erano a quel tempo attive in Torino “una industria
chimica che produceva concimi saponi candele e
fiammiferi, l’industria vetraria, industrie tessili
laniere e cotoniere. Tra i rami minori si segnalava
l’industria delle maglierie, la fabbricazione di
nastri, trecce, passamanerie. Tra le industrie alimentari oltre a quella molitoria ancora frazionata
in piccoli stabilimenti quelle della cioccolatta, dei
confetti, dei biscotti, ha qualche importanza la fabbricazione della birra e gode fama mondiale la
produzione del vermouth. Ha il primato in Italia
l’industria torinese delle concerie. (…) È caratteristico il fatto che in Torino abbiano sede quasi tutte
le maggiori cartiere d’Italia. Segnaliamo infine
come notevole in Torino l’Industria del vestiario
specialmente dell’abbigliamento femminile e quello della manifattura delle films cinematografiche. Si
contano ora per questa industria non meno di
dieci stabilimenti di primaria importanza che
occupano più di 600 operai e più di 400 artisti.”
Alla vita politica amministrativa della città partecipavano uomini provenienti ancora dalla piccola nobiltà
e dalla borghesia dedita ai commerci e all’industria ma
anche uomini di cultura, letterati e artisti. A questi
uomini si deve il processo di sviluppo della città verso
una caratterizzazione industriale che porta poi al par-
ticolare sviluppo della industria automobilistica.
Questo carattere della città legato ai valori del successo economico e all’attenzione verso gli sviluppi
dei processi industriali, la crescita di una classe operaia sempre più consapevole e partecipativa,
l’apertura verso mondi commerciali e culturali non
piemontesi, promuovono e orientano anche lo sviluppo urbanistico della città.
L’evoluzione urbana
Con la fine del secolo il sistema della città nel suo
nucleo entro la cinta dei viali tracciati con le progettazioni urbanistiche di metà ottocento si va completando e così pure l’asse diagonale della via Pietro
Micca con il suo prolungamento fino alla stazione di
Porta Susa, mentre la città tende ad espandersi in
modo disordinato verso i quartieri esterni che verranno inglobati dal nuovo sistema di assi radiali di collegamento con il territorio.
Nel terzo quarto del secolo XIX il disegno della città
segue le indicazioni del Piano di ingrandimento elaborato da Carlo Promis a metà del secolo che “rappresentano una svolta importante in quanto
introducono un elemento nuovo, un parametro
notevole della localizzazione e specializzazione
commerciale urbana: la stazione ferroviaria”.
L’area antistante la stazione viene organizzata: accoglie ora negozi e alberghi che si affacciano sul percorso porticato a esedra che prospetta su uno spazio alberato: Piazza Carlo Felice è un polo plurifunzionale elegante e completo particolarmente vitale.
Carlo Promis nelle sue progettazioni è attento al
valore dei percorsi porticati e alla loro continuità e
li ripropone, non solo per ragioni di tradizione o di
qualità formale, mentre, per ragioni di funzionalità
urbana, suggerisce una comunicazione pedonale
che dalla piazza Statuto, attraverso la via Cernaia e la
trasformata Piazza della Legna giunge a piazza Carlo
Felice, antistante la stazione di Porta Nuova, colle13
Pietro Carrera, Progetto di bazar
(La galleria Subalpina a Torino).
gando in questo modo due poli significativi della
vita della città. Questo processo di trasformazione
urbana, che precede l’Esposizione della fine del
secolo, promuove la realizzazione delle due gallerie
Natta e Umberto I come luoghi deputati al passeggio della classe borghese.
Una città di monumenti
Negli ultimi decenni del secolo XIX gli spazi urbani
significativi vengono arredati sia con finalità auliche
e celebrative sia per fissare nella memoria dei cittadini le figure degli uomini che ne hanno reso possibile e segnato lo sviluppo. Via via si passa dai temi
celebrativi dell’Unità di Italia ai temi della cultura e
della vita della città. Fiorisce così, in quella fine
secolo, l’attività degli scultori in particolare degli
scultori che amano il bronzo, attività che si realizza
nelle industrie della fusione. Sono artisti che porteranno la loro opera fuori Torino, in molte altre città
italiane. Finiti i temi legati alle esigenze di rappresentatività della Corte, l’interesse della città suggerisce nuovi soggetti diversi - spesso simbolici e illustrativi delle memorie - e come committenza, si ha
ora l’autorità municipale.
14
Una grande statua per il padre della patria
Fa eccezione il caso del monumento a Vittorio Emanuele
II, la gigantesca statua celebrativa sorta all’incrocio del
corso Vittorio Emanuele II con il corso Galileo Ferraris e
ultimata con vent’anni di ritardo rispetto al concorso.
La costruzione di questo monumento - recentemente
restaurato - era stata promossa dopo la morte di
Vittorio Emanuele II per celebrarne la figura dal figlio
Umberto I con una lettera del 23 gennaio 1878 con la
quale stanziava a questo fine la somma di un milione
di lire e comunicava che avrebbe affidato “alla religiosa devozione di Torino i segni del valore che il
Re conquistava combattendo per l’Unità e
l’Indipendenza della patria”; affermava inoltre “costì
in Torino erigerò un monumento che eterni la
memoria del primo re d’Italia”.
I monumenti che ora vanno a collocarsi negli spazi
della città svolgono un ruolo di arredo dell’ambiente
e di attualizzazione dello stesso quasi sempre già definito nelle sue architetture in anni precedenti. Sono
talvolta legati alle esperienze veriste, tal altra orientati verso un simbolismo quasi intimista che tende a
voler esprimere nella sua complessità, attraverso le
immagini dei monumenti, la storia più intima della
città e dei suoi uomini, l’orgoglio dei suoi imprenditori per le opere eseguite (vedi il singolare e al tempo
molto discusso monumento al Fréjus).
I temi del concorso per il monumento a Vittorio
Emanuele II erano quelli delle tipologie celebrative:
statua equestre, arco trionfante, colonna culminante
con la figura del re. Vinse un giovane artista genovese: Pietro Costa la cui proposta era un monumento “a
base quadrata con angoli mozzi sporgenti, quattro
aquile reggono stemmi sabaudi, quattro colonne
doriche formano il piedistallo. Alla base di essa
stanno quattro figure sedenti: l’Unità, la Libertà, la
Fratellanza e il Lavoro primi fattori del risorgimento italiano. Sull’alto emerge la figura del Re in
piedi, a capo scoperto sopra un tappeto recante le
armi di Roma e la data 1870. È in atto di pronunziare il motto “siamo a Roma e ci resteremo”. È di
interesse la motivazione della scelta del sito, determinata dal fatto che “la località stabilita, all’incrocio tra il corso Galileo Ferraris e il corso Vittorio
Emanuele II esige una massa la quale si innalzi,
non si allarghi troppo, non trovi riscontro nelle
linee dei fabbricati vicini, sia semplice e severa”.
La realizzazione del monumento incontrò molte difficoltà non ultima la scelta di affidare la fusione a un
fonditore non torinese. Il monumento venne inaugurato il 9 settembre 1899. Esso è in realtà lontano dai
caratteri ben più innovativi delle opere scultoree che
a fine secolo vengono a arredare gli spazi della città.
In occasione delle iniziative celebrative per la morte
di Vittorio Emanuele II era stata anche promossa tra,
l’altro, la applicazione di una targa sul Palazzo
Carignano la cui realizzazione fu affidata a Carlo Ceppi
con un incarico del 1873. Collocata sul frontone del
palazzo, la targa risulta già preludere, con la sua forma
inconsueta a cartiglio con gli spigoli arcuati, alle variazioni di gusto che andavano maturando con attenzione
ai nuovi indirizzi che in Europa si cominciavano ad
Carlo Ceppi e
altri. Fontana
dei mesi.
Torino Parco
del Valentino,
1898.
affermare da Parigi, a Bruxelles, a Vienna. Va ricordato
che operavano in Torino artisti di rilievo come il lombardo ticinese Vela, autore tra l’altro del monumento
all’Alfiere donato dai milanesi alla città e collocato in
piazza Castello di fronte al Palazzo Madama o Carlo
Marochetti autore del monumento a Emanuele
Filiberto di piazza S. Carlo e di quello a Carlo Alberto
nella piazza omonima, inaugurato nel 1861.
Artisti in gara
Tra i monumenti costruiti in questo periodo nelle
strade e piazze di Torino si distinguono per il ruolo
significativo a livello urbano il monumento al traforo del Fréjus in Piazza Statuto - ideato dal conte
Panissera e scolpito da Tabacchi e dagli allievi della
Accademia Albertina tra i quali il Belli - sull’ideale
prolungamento della nuova radiale del corso
Francia. S’aggiunge il monumento commemorativo
Luigi Belli,
Monumento
alla spedizione
di Crimea.
Torino, 1892.
della spedizione in Crimea anch’esso opera dello
scultore G.Belli.
Questo, che chiude l’asse del corso Vittorio nel prolungamento verso la collina oltre il Po, è formato da
un obelisco alto 18 metri in granito e marmo; sono
invece in bronzo i gruppi che ornano il ponte
Umberto. Opere dello scultore Contratti le due verso
il Valentino: “Sul campo di battaglia” e “sul campo
del dolore” e dello scultore Reduzzi quelle verso la
collina: a sinistra “la maestà che protegge l’industria”
e a destra “la maestà che protegge le arti”, punti di
approdo di una ricerca formale che si prolunga ben
oltre l’inizio del secolo XX.
Meno legati alle prospettive urbanistiche sono invece
i monumenti di piazza Paleocapa, dello scultore
Tabacchi, e di piazza Lagrange dello scultore milanese
Albertoni. Odoardo Tabacchi era considerato il capo
gruppo degli scultori torinesi; nel periodo verista era
famoso per le figure femminili: suoi la statua della
“Tuffolina”, il monumento ad Arnaldo a Brescia e il
monumento a Cavour eretto in Milano.Ancor più svincolati da obiettivi scenografici sono i monumenti del
corso Cairoli, il monumento al noto caricaturista
Casimiro Teja di Rubino mentre quello eretto dallo
scultore Tabacchi sul corso, in fondo alla via dei Mille,
dedicato a Garibaldi, conserva evidente il suo carattere
celebrativo, così diverso e quasi privato rispetto ai
molti monumenti a Garibaldi che sorgono nelle piazze
italiane in quegli anni.Celebrativo ma anche pensato in
funzione di una nuova organizzazione dello spazio
urbano è il monumento a Ferdinando duca di Genova
al centro della piazza Solferino opera di Alfonso
Balzico, il monumento in piazza Bodoni ad Alfonso
Lamarmora e quello a Cavour in piazza Carlina dello
scultore fiorentino Giovanni Duprè (1873).
Di particolare rilievo è il monumento al principe
Amedeo duca d’Aosta di Davide Calandra all’inizio di
corso Raffaello sia per l’impostazione del principe a
cavallo sia per i profondi chiaroscuri della scena
Odoardo
Tabacchi,
Monumento
a Garibaldi.
Torino, 1887.
Alfonso
Balzico,
Monumento
a Ferdinando,
duca di
Genova.
Torino, 1877.
15
posta alla sua base e per il suo porsi in asse al corso
ma già inserito sullo sfondo collinare in dialogo con
gli ampi spazi del parco. Rappresenta il punto di arrivo delle tendenze di fine secolo ed è giustamente giudicato il capolavoro dell’artista; ma la statua estremamente dinamica è scolpita tanto veristicamente da
essere criticata per la rappresentazione quasi fotografica. I gruppi scultorei che rappresentano le glorie
sabaude alla base del piedistallo, sono per
l’impostazione mossa già anticipatrici di cambiamenti e pienamente rispondenti allo spirito innovativo
della esposizione che ne vede l’inaugurazione nel
1902.
Certamente innovativo è il bel monumento di Rubino
a memoria di Edmondo De Amicis nei giardini di
Porta Nuova; singolare per il tema il monumento in
piazza Madama Cristina angolo via Belfiore dedicato a
Govean fondatore con Botero e Borello della Gazzetta
del Popolo.
Hanno carattere di arredo il monumento di via Cavour
al Generale Robilant dello scultore Ginotti e i monumenti al Generale Bava e a Cesare Balbo degli scultori
Albertoni e Vela; i busti di Pes di Villamarina dello scultore Tabacchi, dell’attore Gustavo Modena di Bistolfi e
quello di Quintino Sella di fronte al Castello del
Valentino. Infine ecco il monumento a Massimo
d’Azeglio del Balzico nel giardino del Valentino, all’angolo del corso che porta il nome dello statista con il Corso
Vittorio e quello a Federico Sclopis, ai giardini della
Cittadella,del Rubino.Tante presenze scultoree*,quasi la
città volesse rassicurare se stessa del ruolo svolto dai
suoi generali, uomini politici, di scienza e di cultura, statue e busti che andavano a sommarsi ai molti già eretti
negli anni precedenti a celebrare l’unità d’Italia e coloro
che avevano contribuito alla sua realizzazione, erano un
fatto così singolare che nella guida turistica del Bertarelli
Torino viene cosi descritto “la città è caratterizzata da
una grande abbondanza di gruppi monumentali: statue e busti seminati nei giardini pubblici nelle piazze
16
e nei cortili d’onore dei suoi palazzi storici”: sembra
quasi che la città ora arredi se stessa come in passato
l’aristocrazia aveva arredato i cortili dei propri palazzi
con le proprie glorie e memorie.
*Appartiene ancora a questo spirito il monumento a Ascanio Sobrero
di Ceragioli e Biscarra e il busto di Amedeo Avogadro del Canonica
dinanzi alla cittadella. Nelle aiuole di piazza Solferino i monumenti a
de Sonnaz del Dini e a La Farina dell’Altieri. Statue e busti vengono a
ornare i cortili della città, anche privati o i palazzi pubblici. Così nel
palazzo del municipio; così pure nel cortile dell’università in via Po,
dove già dal terzo quarto del secolo erano state collocate statue ai
medici Riberi (.Albertoni),Gallo (Vela),aTinermans (Tabacchi) ai giureconsulto Matteo Pescatore (Dini).Vanno anche ad ornare il cortile
del palazzo dell’arsenale statue dedicate a Pietro Micca - scultore
Baglioni - e ai generali Cavalli e Alessandro Lamarmora.
Cesare Reduzzi,
Monumento a
Quintino Sella.
Torino, 1894.
Leonardo Bistolfi,
Monumento a
Gustavo Modena.
Torino, 1900.
Stile Liberty per le case borghesi
Al contrario le ultime case della borghesia che vanno
ad attestarsi lungo le nuove direttrici sono talvolta
espressione di quella aderenza al fantastico e alla
ricerca di libertà che è anche ricerca di nuovo e di
non sperimentato. Appartengono proprio all’inizio
del secolo le case di Pietro Fenoglio in Corso Francia.
Mila Leva Pistoi, a cui si devono i primi studi sul
liberty in Torino, ha osservato: “bisogna tener conto
che l’edilizia civile del periodo liberty scelta dalla
borghesia imprenditoriale come immagine di decoro produsse essenzialmente ville e villette con giardino e bei palazzi residenziali che non prevedevano la presenza di attività commerciali: queste continuano a svolgersi negli spazi porticati della città
sei e settecentesca o lungo gli assi porticati dei
nuovi ampliamenti di metà ottocento”.
Come osserva la Pistoi “con l’accentuarsi della terziarizzazione del centro urbano negli anni connotati
dalla vivace presenza degli architetti eclettici Petitti
Gilodi Reycend Carrera Ceppi gran peso hanno nell’ambito della geografia urbana le nuove vie porticate:
corso Vittorio, via Cernaia che danno all’attività commerciale il prezioso supporto di una cornice in stile”.
Pietro
Fenoglio,
Palazzina
Scott.
Torino,
1902-1904.
La seconda metà dell’ottocento segna un cambiamento nel decoro dei locali deputati al pubblico;
scompaiono gradualmente i modelli classici ispirati ai
decoratori delle chiese e dei palazzi nobiliari.Ancora
Leva Pistoi rileva “La maggiore influenza sullo stile
di vita fu esercitato nella nostra città dalla mostra
internazionale di Arte decorativa e industriale che
si tenne al Valentino nel 1902 nei fantastici padiglioni progettati da D’Aronco e Rigotti”.
Arredi e decori
Negli anni tra il 1909 e il 1911 lo scultore Edoardo
Rubino dà le indicazioni per il decoro e l’arredo della
nuova sala della confetteria Baratti Milano in Piazza
Castello ed è l’immediato esito degli indirizzi emersi
nella Esposizione del 1902 (presso l’Accademia
Albertina esiste un bellissimo e pregevole studio del
fronte verso i portici in scala 1:25). La facciata del
locale si inserisce nell’ambiente con austera eleganza
come un pezzo di arredo interno.A questi indirizzi di
gusto si ispirano in quegli anni gli arredi delle case
private. Dei decori delle devantures entrano a far
parte particolari scultorei di pregio lignei o in bronzo, come quelli di Edoardo Rubino per Baratti e
Milano. I modelli sono quelli dell’art nouveau belga,
dello jugendstil e della secessione viennese. Di queste decorazioni nei negozi e locali pubblici molte
sono scomparse, in particolare quella del bar
Calcaprino nella antica via Roma che sfruttava in profondità la manica vitozziana o i decori di Pietro
Carrera per i portici della Fiera in piazza Castello. Da
ricordare anche le trasformazioni della sede del foro
frumentario in corso Matteotti angolo via Arsenale in
casa di affitto per abitazioni e negozi accuratamente
decorata con tralci di melograno in ferro battuto e
stucchi. Decori liberty in ferro battuto e bronzo ispirati quasi sempre a soggetti naturalistici e più raramente agli schemi grafici della secessione viennese,
ornano i vani scala, nei quali cominciano a comparire
gli ascensori, i balconi e le recinzioni dei giardini.
L’influenza dell’Esposizione si fa sentire in città anche
nell’uso dell’illuminazione. Per il baraccone dell’orologiaio Achille Banfi in piazza Castello “le modificazioni che noi faremo a quel baraccone tendono,
come dobbiamo, a trasformarlo in chiosco réclame,
all’uopo faremo un impianto di dodici lampade da
mille candele cadauna di luce Millennio, quella che
fu riconosciuta superiore a tutte nell’ultima esposizione di Torino del 1902”. Appartiene agli indirizzi
decorativi che prendono l’avvio con l’esposizione del
1902 anche la decorazione che l’ingegner Vandone
disegna per il caffè Mulassano di piazza Castello ove
nella parte bassa delle pareti interne il decoro in
marmo e bronzo è della ditta Fumagalli.
“L’arredo tende a riprodurre l’habitat della committenza - la classe borghese - in un primo tempo limitatamente agli esercizi pubblici identificabili con i suoi
luoghi di aggregazione - caffè confetterie - il decoro
esterno dove in un primo tempo prevalgono le istanze
funzionali e segnaletiche viene portato ad elaborazioni che assumono significati prevalentemente simbolici:
è la rappresentazione di uno status acquisito”.
Edoardo Rubino, Progetto del fregio per la
confetteria Baratti e Milano.Torino, 1909-1911.
17
Davide Calandra
Monumento al principe Amedeo di Savoia, duca
d’Aosta.Torino 1902.
Una foto all’albumina ci mostra il monumento vincitore del Premio degli Artisti alla Prima Esposizione
Internazionale di Arte Decorativa Moderna, in ambiente invernale, circondato come in origine da una cancellata di ferro.
18
AL MONUMENTO DI CALANDRA IL PREMIO
DEGLI ARTISTI
Torino 1902. La prima Esposizione Quadriennale della Società Promotrice delle Belle Arti si
affiancò - come “maggior allettamento” - alla
“Prima Esposizione Internazionale di Arte
Decorativa Moderna”: delle due mostre, nel
1994, sono state presentate a Torino ben quattro
rassegne retrospettive, sotto il titolo complessivo
de “Il sogno a disposizione”.
Il momento importantissimo di confronto per le arti
è stato rievocato anche in una sezione della mostra
“Così moderna,così internazionale... vita e costume
nella Torino del 1902”, presentata dal 15 dicembre
1994 al 10 gennaio 1995 al Circolo degli Artisti, il
sodalizio torinese in cui l’Esposizione stessa venne
ideata e dove si riunì ripetutamente la Commissione
Generale incaricata di gestirla.
Nel complesso delle rassegne che proponevano il
nuovo ideale sociale dell’“arte per la vita” si apriva
dunque a Torino la prima Quadriennale d’Arte organizzata dalla Società Promotrice di Belle Arti. Ne
sosteneva gli assunti la “Rivista letteraria illustrata”
pubblicata a cura della Commissione Artistica di sorveglianza, composta da Leonardo Bistolfi, Davide ed
Edoardo Calandra, Pietro Canonica,Vittorio Cavalleri,
Lorenzo Delleani, Giacomo Grosso, Edoardo Rubino,
Carlo Stratta. Redattore capo era Efisio Aitelli. In apertura, il periodico dichiarava i propositi che ne animavano la pubblicazione: illustrazione letteraria e grafica
della Mostra di Belle arti che si inaugurava al
Valentino, ma anche intenti di fratellanza spirituale...
Discuterà “di quante cose interessano l’arte praticamente ed intellettualmente, seguendo in particolar
modo le opere esposte alla mostra ma dando eziandio larghi cenni del movimento attuale, delle pub-
“Lo scoprimento del monumento al principe Amedeo
in Torino 7 maggio 1902” (fotografia Berra).
blicazioni che debbono interessare gli artisti; e di
questi sopratutto, dei migliori, dei più forti, ricercherà in ‘medaglioni’ gli intimi intendimenti, schiarendo al pubblico l’opera che hanno compiuto e
vanno compiendo”. (La Quadriennale Rivista letteraria illustrata della Esposizione di Belle Arti N. 1 Torino
l902 L’Opera nostra). Il primo di quei medaglioni, a
firma di Efisio Aitelli, era, subito dopo il testo di apertura, dedicato a Davide Calandra, di cui, proprio nella
prima pagina, si mostrava il ritratto, opera di Giacomo
Grosso. Il tono borghese della pubblicazione si rilevava poi nel taglio dell’articolo biografico che sottolineava l’impronta aristocratica dello scultore in armonia con il suo modo di concepire l’arte. “Con il contatto d’un padre, scrittore di cose archeologiche
non comune (a lui si devono, tra l’altro gli scavi
archeologici di Testona n.d.r.), d’un fratello che, dopo
aver tentato con buone sorti la matita del disegnatore e la tavolozza del paesista, si guadagnò bella
fama di romanziere, egli non poteva che trarre
dagli elementi stessi di quanto avvicinava, il colore
e l’opera che doveva stabilirne definitivamente
l’alto valore. E con il saggio del Dragone del re e con
il Monumento ad Amedeo di Savoia, egli ha dato la
prova che l’indole sua si è plasmata su esempi che
si armonizzano colla sua personalità intera e
cosciente”.
L’articolo continuava esaminando tutta l’opera precedente del Calandra e ricordando l’assegnazione a lui
dell’incarico per il monumento al Valentino di cui
ancora una volta si lodava l’impostazione grandiosa.
Spettava poi a Giovanni Faldella, senatore, la rievocazione del personaggio ritratto, il principe soldato,
l’uomo forte e buono di “rare e ferme virtù”, mentre
era ancora Aitelli a descrivere minutamente il monumento, protagonista, in quel maggio l902, di una celebrata inaugurazione.
Così, nell’importante occasione, la Gazzetta del Popolo
della Domenica descriveva il Monumento al principe
Amedeo duca d’Aosta. “Davide Calandra, cui fu affidata l’esecuzione dopo due concorsi tenutisi nel
novembre 1892...lo rappresenta...in atto cavalleresco,
nella baldanza giovanile, nell’entusiasmo patriottico,
che caratterizzò sempre la Casa di Savoia.
La statua equestre misura circa m. 4,80 d’altezza,
pesa circa 55 quintali e venne fusa dal cav. E. Sperati
con abilità superando anche non comuni difficoltà
tecniche. L’altorilievo su cui poggia misura oltre 28
metri di sviluppo lineare e metri 4,70 di altezza.
Venne fuso dal sig. Pietro Lippi di Pistoia. Vi sono
raffigurati Umberto Biancamano, Amedeo V, Pietro
I, Amedeo VI, Amedeo VII, Carlo I, Carlo III,
Emanuele Filiberto; sull’altra parete Carlo
Emanuele I, Vittorio Amedeo I, Carlo Emanuele II;
nella terza parete Vittorio Amedeo II, il Principe
Eugenio, Carlo Emanuele III, Ferdinando duca di
Genova, Carlo Alberto,Vittorio Emanuele II”.
L’opera aveva richiesto dieci anni di diligente e
costante impegno; fusa nel famoso laboratorio dello
Sperati, fu curata in tutti i particolari dall’autore che
seguì personalmente anche la fusione dell’altorilievo
19
“Le feste dell’arte
moderna si sono
iniziate con uno
splendido
esemplare
dell’arte...
di tutti i tempi”.
del basamento, realizzato presso il Lippi di Pistoia. I
graniti erano stati tratti dalle cave di Vayes. Con una
presentazione così ricca ed accurata il monumento
non poteva che essere considerato l’opera più importante fra tutte quelle che si presentavano alla
Quadriennale. Infatti proprio a Davide Calandra, autore del Monumento al Principe Amedeo Duca
d’Aosta,venne assegnato il “Premio degli Artisti” di
cinquemila lire.
L’opera era stata inaugurata il 7 maggio l902 al
Valentino, a fianco della Esposizione. Nei giorni dell’inaugurazione della importante rassegna fu scoperto, a
Superga,il monumento al re Umberto I,ucciso a Monza
dall’anarchico Bresci. Rappresenta un’aquila ferita
accanto alla figura gesticolante di un‘fiero allobrogo’ ed
è opera di Tancredi Pozzi ( Milano 1864-1929).“Servirà
ad esprimere il pensiero affettuoso e nobilissimo del
popolo. Là dove per altissime ragioni storiche e politiche non potè avere la sua tomba, il povero e rimpianto Re martire avrà la sua glorificazione” scriveva la Gazzetta del Popolo della Domenica”.
20
Altre importanti opere scultoree si fecero a Torino nel
l902: il monumento che Luigi Contratti preparava per
Galileo Ferraris in bronzo con l’allegoria dell’Elettricità (o della Verità) ignuda in marmo susciterà censure e verrà spostato per questo dalla sua collocazione
originaria in Piazza Castello all’attuale spazio di Corso
Galileo Ferraris.“Bellissime cariatidi e gruppi di statue” annunciava il 27 aprile 1902 la Gazzetta del
Popolo: erano i gruppi di figure danzanti che Edoardo
Rubino aveva realizzato per la facciata del Palazzo
delle Belle Arti nell’Esposizione.
Il Monumento al Principe Amedeo, l’opera maestosa
ed ardua di Davide Calandra, era illustrata in fondo al
catalogo e portava il numero l040.
“...Vasta, quasi sterminata era la rassegna, nella
quale tuttavia si contavano intere personali e
retrospettive che ne erano un po’ i fuochi, o se si
vuole, i cardini...” ha scritto con lucidità Angelo
Dragone in una rievocazione sintetica, ma rigorosamente articolata della Quadriennale 1902 (in
Torino città viva Da capitale a metropoli 18801980. Cento anni di vita cittadina. Centro Studi
Piemontesi Torino 1980). Tanti erano in quella rassegna gli artisti presenti; vi erano le retrospettive di
scomparsi come Antonio Fontanesi e Telemaco
Signorini; tra i presenti Mosè Bianchi, Carlo Follini,
Vittorio Cavalleri (con ben 40 opere), Marco
Calderini (con 36 dipinti), Gaetano Previati (con
una sala) e ancora Anton Maria Mucchi, Guglielmo
e Beppe Ciardi, il Nomellini, Felice Carena, Cino
Bozzetti... (Dragone A. Le arti visive in Torino
città viva, op. cit.) Di Fattori c’era Cavalleria in
manovra, di Cesare Ferro il Ritratto dell’amico
Bozzalla (che sarà fra i premiati dalla giuria popolare negli ultimi giorni di Esposizione), di Avondo
Voli mattinali...
Ma al centro dell’interesse, oggetto di lunghe discussioni era - presentato in una delle prime tavole del
Catalogo-ricordo - un grande (cm. 543X285) dipinto
di Giuseppe Pellizza da Volpedo (Volpedo l868Alessandria 1907): il (poi) famoso QUARTO STATO. Nei
Saggi critici del 1902 il poeta Giovanni Cena l’aveva
citato come un’opera che in altro paese sarebbe
bastata a metter il nome di un artista fra i più
celebrati. A Pellizza veniva dedicato uno dei primi
“medaglioni” della Quadriennale: uno scritto di
Domenico Pica del 1898. “Lavoratore lento e
coscienzioso, che lungamente s’attarda a ideare
un quadro prima di poggiare il pennello sulla tela
e che si compiace nella ricerca e nella paziente
attuazione delle più ardue innovazioni tecniche,
Giuseppe Pellizza ha al suo attivo un numero
limitato di opere, ma tutte in compenso degne di
essere prese, come concetto e come fattura, in seria
considerazione”.
Lo scritto proseguiva analizzando la nuova tecnica
che l’artista seguiva in quegli anni con l’intento di
“rendere più intenso il fulgore del sole che invadeva la campagna da lui dipinta, con macchiettature di colori puri; naturale è quindi che quando, di
lì a poco, un amico lo mise a conoscenza delle
ricerche cromatiche dei divisionisti francesi, egli
dovesse lanciarsi con entusiasmo nella ricerca
degli effetti luminosi, mercè la separazione dei
colori, ritornanti ad unità nella pupilla dei contemplatori di un quadro. Egli però, come da loro
parte dovevano fare il Segantini, il Morbelli, il
Grubicy e il Nomellini, non accettò senza riserve
e senza modificazioni la tecnica dei francesi
Seurat e Signac, ma, pur mettendosi deliberatamente nella loro medesima via innovatrice, tentò
e ritentò per proprio conto e finì col creare per suo
uso e consumo un’applicazione del divisionismo
abbastanza personale”.
Fin dal 1898 quindi la ricerca del Pellizza era stata
bene individuata ed appariva certo molto originale e
significativa.
Alla Mostra torinese del 1898 l’artista aveva presenta-
to “Lo specchio della vita”, un’opera “concettosa e
suggestiva” “ponderata e sicura”. Erano gli anni in
cui egli stava dando vita al capolavoro“Fiumana”che
richiedeva un continuo controllo e un ripensamento
significativo. Pellizza non era riuscito a terminarlo per
la Biennale di Venezia del 1899 ed aveva deciso di
portarlo alla Quadriennale torinese, sperando in un
giusto riconoscimento.
“Il Quarto Stato che fu nella mia mente Fiumana
prima, quindi il Cammino dei lavoratori, fu una
delle mie primissime concezioni, fu il pensiero continuato di un decennio (1891-1901) e non riescii a
concretarlo che dopo aver evoluto la mia arte con
molto, moltissmo lavoro e con altrettanto pensiero”
(28 ottobre 1904 minuta di lettera di Pellizza all’amico Matteo Olivero, citata anche da Angelo Dragone,
op. cit.). Nel commento che seguiva nel Catalogo
della Quadriennale, il ‘medaglione’ del Pica, la figura
dell’autore del “Quarto Stato” è generosamente delineata ma qualche riserva si esprime sull’opera:
“Fermo e risoluto nella sua idealità estetica, egli ha
dimostrato che la vita solitaria, lo studio paziente
della natura e degli uomini che lo circondano, il
contatto collo spazio e col silenzio hanno fatto sprigionare dalla sua tavolozza una più vasta promessa. Il suo “Quarto Stato”, pittura eminentemente
moderna, satura di pensiero sociale, ardita di tecnica, potrà essere giudicata variamente. Certo è
l’opera d’un artista che è sicuro di sè. Forse
l’artefice è stato soverchiato dal pensatore. Nella
ampia tela, il Pellizza ha voluto racchiudere
l’espressione di quella nuova forza potente e
cosciente che sorge dal popolo e per il popolo. e nell’atteggiamento dei lavoratori che procedono lentamente, in modo ritmico e uguale, nella luce quasi
mistica che li avviluppa, nella rappresentazione
angosciosa dei bambini e delle donne che
s’avanzano processionalmente anch’essi, non c’è
più che la manifestazione di un momento pittori-
co, tutta una sinfonia di aspirazioni che l’artista
deve aver sentito con la dolcezza e la commozione
di una grande musica.
Se la scena fosse stata rudemente reale, il pubblico
sarebbe stato tratto verso di essa con maggiore
entusiasmo.
Invece la spiritualità del quadro non persuade i
più; e quelli che potrebbero leggervi dentro, non
sanno o non vogliono consentirvi.
La critica - ripetiamo - per evitare che ci pigli per
lodatori soverchi di tutto quanto cade sotto i nostri
occhi, la critica ha molte riserve da fare intorno al
quadro del Pellizza. Ma se poniamo mente che
l’artista ha voluto dare più che un quadro vero,
una visione di sogno, più che una tela dipinta con
virtuosità, una pittura essenzialmente suggestiva e
commotiva, non sapremmo davvero dire che egli
non sia riuscito nel suo intento.”
La Giuria preferì il simbolo del passato, una celebrazione dell’ideologia sabauda e della tradizione artistica, il Monumento al Duca d’Aosta di Davide
Calandra, il cui valore, si affermava, era stato decretato “dal plauso e dall’approvazione del pubblico e
degli artisti”.
Subito dopo il commento all’opera di Pellizza un articolo intitolato “Premi e acquisti” sembrava cercare
giustificazioni all’operato della Commissione
Esaminatrice; “Abbiamo sentito più di un giovane
accennare al fatto che l’opera del Calandra non poteva aspirare al premio dacchè essa è frutto di un pubblico concorso, per se stesso largamente compensato... L’opera del Calandra poteva e doveva innanzi
tutto trattarsi alla stregua di qualunque altra statua, quadro o bozzetto esposto nelle sale della
Quadriennale, perché essa è nel recinto
dell’Esposizione... D’altronde ammessa in catalogo,
accettata quindi, senza restrizioni, dalla Società
Promotrice di Belle Arti, veniva naturalmente ad
avere i diritti di tutti gli altri capi d’opera, sui quali
è un numero d’ordine ufficiale... Nel caso di Davide
Calandra, ognuno sa che il monumento ad Amedeo
di Savoia è costato all’artista dieci anni di fatiche,
non interrotte mai. Nessuna preoccupazione materiale lo ha distolto dal dare tutto ciò che poteva offrire di più alto il suo intelletto. Ed al nobilissimo sacrificio non doveva sorridere, anche adesso, il premio
che gli veniva dai colleghi, dagli artisti sicuri e
coscienti della sana opera sua? Doveva rinunciare a
quella somma che giungeva, giusta e propizia, ad
indennizzarlo dei tanti discapiti avuti”.
In realtà la vittoria venne decretata molto presto e
Pellizza lo apprese con grande dolore.
Una importante sua lettera,indirizzata il 23 maggio l902
al Bistolfi, relatore della Giuria, ora ritrovata in collezione privata torinese, manifesta il suo pensiero. Con parole accorate fa riferimento alle voci appena corse...ad un
telegramma inviato ad Angelo Rizzetti... la cui risposta,
inequivocabile, ha confermato a Pellizza che il monumento del Calandra concorre al Premio degli Artisti. A
questo punto il tono della lettera si fa concitato e
l’artista vi sfoga tutta la sua amarezza. L’opera di scultura,un ritratto di potere, simbolo del passato, prevarrà
Volpedo (Al), Nello studio di Giuseppe Pellizza
tra le diverse opere domina “Il Quarto Stato”.
21
sulla modernità del tema sociale del Quarto Stato...
“Se avessi saputo tanto un giorno solo prima che
si aprisse la mostra, avrei fatto di tutto per ritirare il mio quadro... Mi vien voglia (non fosse perché sarebbe cosa scandalosa) di venire a Torino e
coprirlo tutto di colore prima che qualunque giuria l’abbia a giudicare”. Il tono si fa passionale,
concitato, quasi profetico: “...non perché io tema
che restando soccombente il valore del mio lavoro venga menomato, no; può darsi che sia il principio della sua gloria...”.
E dire che l’opera avrebbe dovuto figurare alla
Biennale veneziana, per essa richiesta dallo stesso
organizzatore Fradeletto... Pellizza definisce il suo
Quarto Stato un’opera poderosa, insuperabile... e si
rammarica ora di aver preferito alla città lagunare
la capitale del vecchio Piemonte...
È uno sfogo vivace, che non trattiene i toni forti. Dei
quali in conclusione Pellizza si scusa, con espressioni affettuose verso il vecchio amico Bistolfi. Una
annotazione che rivela l’orientamento socialista del
pittore di Volpedo è il post-scriptum, in cui egli
prega ancora l’amico di ricordarlo alla sua buona
compagna e di baciare i suoi figli.
Nonostante il grave scacco, IL QUARTO STATO divenne
una delle opere d’arte più note del Novecento.
Come ricorda ancora Angelo Dragone, già nel l905
il giornale socialista “L’Avanti della domenica” a
Voghera ne offriva una riproduzione - ornata da un
garofano liberty - in regalo ai suoi fedeli abbonati.
Fu in seguito presentato a Roma, nel 1907 alla
LXXVII Esposizione della Società Amatori e
Cultori di Belle Arti. Nel l920 dominò la mostra
postuma di Pellizza alla Galleria Pesaro, dove la città
di Milano l’acquistò per esporla in Palazzo Marino.
Torino perdette così definitivamente con l’opera,
l’espressione più importante di un messaggio
sociale ed umano precoce e impegnato. Ma il
Piemonte non lo dimentica. E stato aperto al pub22
blico, a Volpedo, lo studio dove l’artista realizzò il
capolavoro: una stanza che egli aveva fatto ingrandire, aprendo lucernari, per avere le migliori condizioni per le sperimentazioni divisioniste.
Appendice
Documenti
Ecco la trascrizione completa della lettera di Pellizza da
Volpedo testè ritrovata in collezione privata torinese.
“Volpedo 23 maggio l902
Caro Bistolfi,
scriverti... non scriverti: ancora sono indeciso se
faccio bene o male. So peraltro che mi conosci da
tempo e che darai a questo mio scritto il suo giusto
valore. Avevo sentito voci vaghe quando fui costà
ultimamente e per sapere qualcosa di decisivo ho
telegrafato ieri a Rizzetti... M’ha risposto confermando che il monumento concorre al premio.
O non è questo un giochetto che si fa a tutti gli altri
concorrenti? Non è un tiro che il medioevo fa alla
modernità? Non un colpo che Amedeo assesta al
Quarto Stato? È enorme poi per tutti che lavorammo tanto tempo speranzosi, non di vendere la
nostra opera, chè in una società come l’attuale non
troverà compratori, ma di concorrere onestamente
ad un premio che sarebbe stato l’unico possibile
compenso! Nel mio caso ti assicuro che se avessi
saputo tanto un giorno solo prima che si aprisse la
mostra avrei fatto di tutto per ritirare il mio quadro. Mi vien voglia ( non fosse perché sarebbe cosa
scandalosa) di venire a Torino e coprirlo tutto di
colore prima che qualunque giuria l’abbia a giudicare. Non perché io tema che restando soccombente il valore del mio lavoro venga menomato, no:
può darsi che sia il principio della sua gloria ( e
d’altronde già il sostegno di Amedeo a guardarlo a
distanza non regge mentre il quarto stato si deli-
nea meglio a distanza che davvicino).
Fradeletto (organizzatore della Biennale di Venezia
n.d.r) mi scrisse durante l’inverno che preparassi
un’opera poderosa per la sua Esposizione: che da
parte sua avrebbe fatto il possibile per procurarmi
le soddisfazioni alle quali avrei avuto diritto. Tu
comprendi bene... L’opera poderosa io l’avevo quasi
compiuta (che potrò fare più di “Quarto Stato”!?)
ma preferii alla lagunare la capitale del nostro
Piemonte.
Ed ora in barba ai regolamenti, al buon senso,
all’avvenire delle future esposizioni torinesi( poiché resta inutile sbraitare ai quattro venti che si
hanno premii per artisti italiani) mi si gioca in
modo che io avrò tutto perduto costì e a Venezia.
Perdona il mio sfogo, avrei fatto peggio se l’avessi
trattenuto. Continua a volermi bene e credimi
aff.mo tuo Pellizza
P.S.Ti prego ricordarmi alla tua buona compagna e
di baciare per me i tuoi figli.”
Ed ecco la risposta di Bistolfi, pubblicata in Carlo
Pirovano Scultura italiana del Novecento Milano,
1991.
“A Pellizza da Volpedo
Torino 27 maggio ’02
Carissimo, tu hai fatto benissimo a sfogarti con me
che posso aver compreso e, meglio, sentite le tue
apprensioni. Ma purtroppo né a me, né ad altri
sarebbe stato possibile o prima o dopo di opporsi
alla condizione di cose che te le avevano suscitate.
Nessuno forse più del Calandra sentiva la delicatezza della tua posizione di fronte ai colleghi italiani. Egli è spirito veramente buono e cortese ed
ama anche essere e mostrarsi in ogni caso corretto.
Ma dinnanzi alla questione di sentimento egli ha
dovuta lasciar andare la questione d’interesse: la
solita questio, e che guasta tutto, sempre(…)
La Giuria ha però preso, secondo, naturalmente i
criteri personali dei diversi componenti, in serio
esame le altre opere degne di concorrere al premio.
E ti assicuro con tutta coscienza che, ove avessi
visto al possibilità di far sorgere la convinzione che
la tua opera restasse a competere con quella del
Calandra, non avrei esitato a far sì che valessero
tutte le sue forze di resistenza, all’infuori di qualunque preconcetto e di qualunque riguardo. Ma - a
te si può dire tutta la verità - ciò non avvenne. I giurati insistettero assai più sui difetti che sulle qualità del tuo quadro e la discussione proseguì lungamente. Né io ho saputo, devo proprio confessarlo,
trovare in me stesso sufficienti energie per sostenere le tue ragioni. La grande e solenne visione che tu
avesti nella concezione del tuo quadro non si è
interamente rivelata a me attraverso l’opera tua.
Ho (…) finora domandato lungamente invano
l’emozione che desideravo raccogliere. È mancata
finora a me una tal “grazia”? o pure manca ancora all’opera tua il segno rivelatore?
Avrei voluto poterne parlare con te. Forse avremmo
bisogno entrambi di questa reciproca comunione di
pensiero dinnanzi al tuo lavoro. Quando ritornerai?
Ti abbraccio tuo Leonardo”
Turin strikes again (Torino colpisce ancora).
Con questo affiche creato da Bistolfi per l’Esposizione del 1902 si presenta
in sede internazionale l’iniziativa:“artigiano metropolitano”Arts and Crafts Show
for a new century Turin, December 2002 - january 2003
di cui la mostra “Il monumento da camera” fa parte.
23
L’immagine più poetica della formatura del bronzo e
del mistero della sua scoperta è offerta dal poeta
romano Tito Lucrezio Caro che nel De Rerum Natura
immagina la fusione dei metalli come un evento
casuale determinato dagli incendi boschivi che con
immenso inconsueto calore fecero liquefare dei minerali che affioravano sul terreno. Qui cavità naturali,
accogliendo argento, oro, rame e piombo ne riprodussero le prime forme.
Interessante è pure il suggerimento di Leonardo Da
Vinci: “Se volli fare presti getti e semplici, fagli con
una cassa di sabbione di fiume inumidito con
aceto. Quando tu avrai fatto la forma sopra il cavallo, tu farai la grossezza del metallo in terra. (…) Per
maneggiare la forma grande, fanne modello della
piccola forma.” (Leonardo da Vinci Manoscritto di
Windsor 12350.t da Scritti scelti di Leonardo da Vinci
a cura di Anna Maria Brizio,Torino, UTET, 1952).
La tecnica estremamente raffinata della fusione delle
statue colossali interpreta in modo grandioso il mistero antico. Il Cav. Uff. Emilio Sperati - fonditore del
monumento al principe Amedeo duca d’Aosta sito al
Valentino, premiata opera di Davide Calandra - realizzò con eccezionale bravura dei particolari ancora oggi
sorprendenti.
24
BRONZI E BRONZETTI
LA RICCHEZZA DI UNA TECNICA
L’arte del bronzo è una pratica misteriosa i cui segreti non sono in sostanza mutati dalle ere più lontane.
In essa concorrono diversi mestieri che utilizzano
conoscenze acquisite nel corso dei secoli. Bisogna
trasmettere ancora una volta alle giovani generazioni
questa eredità antica affinché, con coscienza professionale possano penetrarne il valore delle tecniche:
che spaziano dalla sabbia tradizionale alla cera
persa; dalla emozione della fusione al preciso colpo
d’occhio del cesello, fino alla conquista raffinata delle
patine più preziose.
Il grande sapere dei formatori è all’origine delle realizzazioni di ogni tempo. Jean Pierre Rama in un trattato delle tecniche tra i più esaurienti porge, proprio
in apertura un hommage aux mouleurs d’art che,
con le diverse pratiche au sable, au plâtre, sur elastomère, à la cire perdue, dans les procédés spéciaux et modernes, participent tous avec diverses
techniques aux métiers de la fondérie d’art.
La difficoltà del lavoro del ‘formatore’, infatti, fa la sua
grandezza e la sua nobiltà. Una forma, in genere, non
serve ad ottenere che una sola prova in bronzo. Per
estrarla, la forma sarà distrutta. Il metallo fuso, colato
nella forma, rinasce dunque come creazione artistica
o industriale. L’arte di fondere e di dar forma ai metalli è antica come il mondo. Dopo l’età della pietra
spezzata, tagliata e in seguito levigata, ecco l’età del
rame e quella del bronzo. La scoperta dei metalli e il
dominio del fuoco consentirono la nascita della
metallurgia. In Cina, tremila anni avanti Cristo, si fondevano con maestria i primi spettacolari bronzi. Nei
forni attrezzati si raggiungevano temperature di 12001300 gradi centigradi, sufficienti per la fusione dei
Fusione di statue equestri.
Nell’atélier della fonderia
è in atto l’operazione di colare
la statua in bronzo.
25
metalli. Anche Mesopotamia, Creta, Egitto ebbero
esperti fonditori. Con il termine calcòs i Greci indicarono sia il rame che il bronzo. I Romani lo chiamarono aes, specificando aes cyprium il rame e aes brunum il bronzo. Da quest’ultimo termine, secondo il
Rossignol (Les métaux dans l’antiquité) sarebbe originata la parola bronzo.
La lega dei bronzi greci è stata diversamente analizzata. Lucien Magne ( in Décor du métal: le cuivre et le
bronze Paris Laurens 1917) li dice composti di un
62 % di rame, di un 32% di stagno e di un 6% di piombo. Di rame era ricco il bacino del Mar Egeo e il
Monte Sinai. Lo stagno proveniva dall’India e dalle
isole britanniche che Erodoto indica come Cassiteriti.
I bronzi nella storia
Gli Etruschi furono, dopo i Greci, grandi maestri di
bronzi a carattere decorativo e di statue fuse a vuoto; i
Romani svilupparono le premesse degli artefici ellenici e d’Etruria con produzione di statue di grandi
dimensioni.Trentasei metri dovette essere l’altezza del
colosso di Nerone, opera di Zenodoro presso la meta
sudante dell’anfiteatro Flavio. Nel Foro Imperiale
l’Equus Domitianus si innalzava sul piedestallo per 15
metri. Lodato nelle Selve di Stazio fu distrutto alla
morte dell’imperatore.A Pavia aveva dominato la piazza, che fu poi del Duomo, il Regisole, ritratto equestre
in bronzo dorato dell’imperatore Antonino Pio.
Ammirato da Leonardo che ne apprezzò “più il movimento che nessuna cosa” (Solmi Leonardo Firenze,
Barbera) fu abbattuto dai rivoluzionari che piantarono
in suo luogo l’albero della libertà.Nel Museo Nazionale
di Napoli è un magnifico Cavallo, alto metri 2,16, proveniente da Ercolano Dei superstiti cavalli di San
Marco e del Marco Aurelio del Campidoglio molto si è
già scritto, anche in occasione di recenti restauri. Sono
tutte sculture dalle pareti molto sottili e la bellezza
della loro fusione non è stata ancora eguagliata.
26
Apparato per la fusione di un cavallo dello scultore
Bourdelle. Si notino i condotti di aspirazione atti
a facilitare la colata e il sostegno della forma.
L’opera di Bourdelle in una prova intermediaria di
148 cm. (1913-1915). Si ammira la raffinatezza dei
particolari dei finimenti.
Nel medioevo si assiste ad una certa decadenza dell’arte fusoria. La statua di San Pietro (opera bizantina
del V secolo?) si accosta all’unico ricordo di un cavallo: quelloin bronzo dorato, dedicato in Ravenna a
Teodorico, descritto dal vescovo Agnello.
Interprete del richiamo religioso ma anche di scopi
civici, fu, nel medioevo, la fusione delle campane, il
cui timbro e suono furono oggetto di molti studi per
i fonditori. Nel Museo Falcioni di Viterbo è forse la più
antica, risalente all’VIII o IX secolo.Arricchite di iscri-
zioni, di rilievi con figure allegoriche o religiose, le
campane costituirono una speciale branca per i fonditori d’arte che ne cedettero ben presto la realizzazione ai maestri di artiglieria che le ‘gettarono’ con
pareti robuste come le bombarde o le colubrine. Con
il Rinascimento ecco rinascere arti e tecniche del
fuoco. Nel suo volume De la pirotechnia Vannuccio
Biringuccio Sanese (presso Curtio Navo, Venezia
1540) riprende la fusione a cera persa. Insieme ai
numerosi accenni nei trattati di Leonardo - che vi
descriveva tra l’altro i suoi progetti per il monumento Trivulzio da realizzarsi con un solo gran getto - lo
scritto di Vannuccio appare come la premessa alla più
celebre opera del Cinquecento: il Trattato della
Scultura di Benvenuto Cellini.
Egli apparteneva a quella schiera di artisti creatori
che lavoravano in completa autonomia, essendo,
volta a volta scultori, medaglisti, fonditori, pittori,
scrittori e così via. Cellini fu artista veemente ed
appassionato: nella sua autobiografia, tra l’altro,
descrisse la grande emozione del salvataggio della
fusione del Perseo.
Nel Seicento cominciò ad essere praticata la fusione
di pezzi in bronzo per l’arredamento. Accanto agli
importanti orologi da parete ‘à cartel’ in bronzo
cesellato e dorato ed alle sculture che andavano
anche ad ornare gli studioli dei principi, ecco tutta
una serie di prodotti atti a decorare serrature, mobili. Anche l’età settecentesca offrì una ricca produzione di bronzi d’arte decorativi, accanto alla statuaria e al bronzetto che, risorto nel secondo
cinquecento con gli esempi celeberrimi di Giambologna, cominciò la sua fortunata ascesa come scultura ‘da camera’.
Ai pezzi unici dei grandi artisti (ricordiamo da noi
le opere di Pelagio Palagi e in Francia soprattutto
Rodin e Bourdelle) cominceranno ad affiancarsi,
nell’Ottocento le riduzioni delle grandi opere. È in
ambiente francese che si inventa ‘il riduttore di
Collas’ un apparecchio che permette ai fonditori - tra
i più noti Barbédienne ed Hébard - la riproduzione
in serie e a buon mercato delle opere dei celebri
scultori: Rude, Carpeaux, Barye ecc... Un’edizione
spesso non numerata di tipo industriale che consentirà al buon borghese di mostrare nella sua casa
lo specchio di una grande arte. È la strada che conduce a vedere, offerta nelle grandi Esposizioni di
fine Ottocento, una infinita serie di bronzetti in cui
la firma dei grandi autori è preservata e reclamizza-
ta ed il cui acquisto, a prezzi facilmente abbordabili,
è riservato ad una classe media che potrà così vantare, nella propria casa, la presenza memorabile di
veri e propri monumenti.
Il prodigio della riproducibilità
Nessun materiale, meglio del bronzo, è in grado di tradurre in tre dimensioni il pensiero e il gesto; e di conservarne nel tempo, in modo indistruttibile, la creatività e la spontaneità.
Il bronzo, come è noto è anzitutto un mezzo di riproduzione. All’origine c’è una forma plastica - in terracotta, argilla, gesso, cera - che la mano e l’utensile
assemblano e solcano; poi c’è il gesto che ‘getta’
l’opera bronzea, per tradizione ‘a cera persa’. Ma
l’opera più spesso non è unica. Nel celebrato ‘metodo
Cellini’ costituiva il nucleo interno della scultura una
miscela detta ‘luto’ (di creta macerata in acqua, frammista con materiali che variavano, secondo la fantasia
del creatore, dalla cimatura di panni allo sterco di
cavallo, dalle corna di castrato bruciate alle scaglie di
ferro, all’orina cfr. Le forme del fuoco Tecniche e prodotti della fusione artistica, Sesto Fiorentino, 1982).
La massa diventava atta a creare un’anima, nocciolo o
maschio, che non si crepava alle alte temperature e
che, ricoperta di cera dello spessore che avrà il metallo, veniva poi modellata negli infiniti particolari che
un altro luto, materiale refrattario in sospensione
finissima e fluida, applicato a pennello in diversi strati, copriva con una cappa esterna entro la quale, dopo
l’eliminazione della cera, veniva colato il metallo.
Varie tecniche saranno applicate affinché l’anima,
all’interno del modello, non si sposti; altri accorgimenti cureranno i canali di colata e di getto, gli sfiatatoi e gli scolatoi. Calata in una fossa davanti al forno
fusorio, la forma di piccole o di grandi dimensioni
veniva costipata di terra per evitare rotture durante la
colata. Una particolare formatura è quella ‘a modello
salvo’. La tecnica, descritta dal Biringuccio e dal
Cellini, è famosa per esser stata pubblicata nel 1743
dal Boffrand che eseguì la statua equestre del Re Sole
(Description de ce qui a été pratiqué pour fondre
en bronze, d’un seul jet, la figure équestre de Louis
XIV élevéé par la ville de Paris dans la place Louis
Le Grand en 1699, Paris, 1743). Modellata in gesso,
unta di olio e sego per realizzare facilmente la forma
negativa, la statua venne circondata da blocchi di
gesso segnalati da riscontri e incastri per poterli
facilmente rimontare.
Con le capacità di riduzione e l’evoluzione delle tecniche ‘a modello salvo’, sarà possibile la riproducibilità delle opere. Innumerevoli soggetti, modellati con
cura, diventeranno nel tempo ‘alla moda’: orneranno
nel cinquecento gli studioli dei signori, nel sei e settecento saranno oggetto di passioni collezionistiche
Apparato per un bronzetto di nudo realizzato, come il
precedente, nella Fonderie de Coubertin, Parigi.
27
infinite e finalmente, nell’ottocento, editi anche in
centinaia di esemplari, diffonderanno temi in voga o
riduzioni di opere monumentali accessibili, attraverso
le grandi esposizioni, ad una clientela internazionale
sempre più estesa.
Queste opere sono prodotte con raffinatezza tecnica,
ma ormai senza più la partecipazione dell’autore. Egli
vende i diritti di riproduzione dei suoi modelli: alla
fine dell’ottocento compare la numerazione delle
copie riprodotte, ma non è tassativamente applicata.
Il pantografo adattato alla terza dimensione permette
di realizzare diverse misure delle opere (oltre al già
citato metodo inventato da Achille Collas nel 1836 e
applicato da Barbédienne, abbiamo, conservato al
Museo Industriale di Boulogne - sur - mer, il meccanismo per la riduzione inventato da Federico Sauvage
(cfr Kjellberg op.cit.).
auspica “una collaborazione più precisa fra lo scultore e il bronzista per realizzare i miglioramenti
desiderabili in una industria così indissolubilmente legata alle più alte manifestazioni dell’arte”.
Nel 1922 settantadue statuette originali di Degas, trovate nel suo atélier dopo la morte nel 1917, sono state
fuse in bronzo in ventidue esemplari. (Ci si domanda
se l’artista avrebbe desiderato questo).
Il celebre ‘Ratapoil’ di Daumier – morto nel 1871 - fu
riprodotto ripetutamente nel 1891, nel 1925, nel 1961.
A Torino il fonditore Emilio Sperati realizzò, proprio
per i suoi stretti legami con gli artisti, opere di notevole qualità. Prendendo in mano le sue riproduzioni,
esaminandole su tutte le loro facce, sotto tutti i possibili angoli, si distinguono sempre valori di qualità e
ciò conferma la loro grandezza, sottolineata certo dal
valore commerciale all’epoca.
I percorsi del bronzetto d’arte
Dalla parte degli autori
Così il bronzetto d’arte, creato dai fonditori-editori
viene inserito - in Francia soprattutto - in cataloghi
che ne propongono le diverse versioni e dimensioni,
indicandone i prezzi. Saranno da questo momento i
soggetti a prevalere sul nome degli autori. Gli editori
dei bronzi creano una vera e propria diffusione
democratica delle opere da loro prodotte che acquistano un mercato borghese ampiamente diffuso.
Il ‘monumento da camera’ si mette così alla portata
di tutti.
Dipenderà allora dalla bravura del fonditore, dalla sua
sensibilità e dalla conoscenza dei diversi autori se i
bronzi e i bronzetti riusciranno ad esprimere in modo
adeguato la creatività che li ha ispirati. “È ai fabbricanti di bronzi che spetta di venire in aiuto ai
nostri artisti, mettendoli in grado di essere loro collaboratori vigilanti, abili ad interpretare le loro
opere senza tradirle”. Così il fonditore Albert Susse in
un rapporto all’Esposizione di Chicago del 1893
‘Bronzi di’ o ‘bronzi da’? Quelli della collezione
Sperati sono tutti ‘da’, perché riproduzioni. Potranno
essere in prima edizione, in numero limitato, controllati dall’autore. Tuttavia non è possibile provare
l’intervento dello scultore. Anche il grande Barye come il nostro Fumagalli, ad esempio - apre una sua
fonderia. Pure in questo caso ci si pone il quesito:
egli interviene nella riproduzione delle sue opere o
si fida degli operai? Barbédienne realizza tirature di
Barye vivente, ma ne moltiplica la riproduzione
dopo la morte. Importante sarebbe ritrovare gli
archivi delle fonderie per una adeguata documentazione. In aggiunta al fondo Sperati è stato consegnato dalla figlia Luisa solo il piccolo archivio di cui
diamo l’elenco a pag. 92.
Ma per fortuna un bronzo da collezione si valuta
soprattutto con l’occhio. Come oggetto si può valorizzare anche per la funzione che ha avuto nell’ambiente dove è stato visto a lungo. È il caso del ‘monu-
28
mento da studio’, come abbiamo voluto chiamare un
orologio e un bronzetto appartenuti a due noti
medici. Sono documenti di vita: l’amazzone ricordava la bellezza femminile e il coraggio che spesso
l’accompagna; l’orologio scandì l’orario delle visite ,
ricordando - con una raffinata figura femminile - che
la sapienza deve presiedere alla formazione del
medico, deve suggerire il suo continuo aggiornamento, affinché la sua azione di prevenzione, di terapia, di salvezza si attui.
Mentre l’amazzone è sicuro bronzetto di Davide
Calandra, l’opera che sovrasta l’orologio è di ignoto,
ma nella resa e nell’impianto rivela notevole capacità
plastica. Alla firma su un bronzo non si deve dare
soverchia importanza; spesso le riproduzioni ne sono
prive; alle attribuzioni molto spesso si giunge, come
dimostra il presente studio, per le notizie trasmesse
dal fusore o per le spettacolari analogie con opere
note degli autori.
UN ARTIGIANO METROPOLITANO
IL FONDITORE EMILIO SPERATI
di Giuliana Brugnelli Biraghi
Salendo lo scalone d’onore e percorrendo la galleria di
Palazzo Lascaris a Torino, si è attratti da un susseguirsi
di deliziosi bronzetti artistici, finora ignoti al grande
pubblico, che fanno parte di una notevole collezione
donata nel 1980 alla Regione Piemonte dalla signora
Luisa Sperati ved. Mezzalama, con la precisa clausola
che fossero esposti nelle sale del Palazzo, insieme ad
un congruo numero di dipinti che essa aveva ereditati
dal padre, il fonditore e plasticatore Emilio Sperati. Mi
occupai per la prima volta della collezione Sperati,
mentre stavo concludendo la seconda edizione del
volume su Palazzo Lascaris (Biraghi,Tibone, Garbarino,
Palazzo Lascaris,Torino, 1979).
La signora Luisa, ultranovantenne e gravemente ammalata, tanto che non mi fu mai possibile incontrarla, mi
faceva via via recapitare dal suo medico il dottor Enrico
Gastaldi, ritagli di giornali italiani e stranieri, articoli e
attestati riguardanti l’attività del padre, che essa accompagnava con qualche breve chiarimento. Questo materiale costituisce ora un archivio piccolo ma prezioso.
Pur non incontrandola,con emozione intuivo la sua sofferenza nel doversi separare da quel patrimonio a lei
tanto caro e gelosamente conservato per tanti anni.
La raccolta dei bronzetti è particolarmente interessante perché è composta da opere di artisti fra i più noti
del tempo, pressoché coetanei, vissuti tutti a cavallo
del Novecento. Si erano incontrati sui banchi di scuola nel decennio 1870-80 frequentando l’Accademia di
Brera ed erano divenuti amici. Avevano affrontato
insieme analoghe esperienze, discutendo degli stessi
problemi e animati da una volontà di contestazione che li portò poi a ribellarsi al clima accademico convenzionale - attratti dalla vivace atmosfera antiaccademica e anticonformista della Scapigliatura romantica
milanese. Erano scrittori e artisti bohémiens, che vivevano una vita povera e disordinata, cercando di risolvere, ciascuno a suo modo, i problemi fortemente da
tutti sentiti per ridare all’arte la sua libertà, ripudiando
le regole di quell’insegnamento che non lasciava spazio alla creazione e non stimolava la fantasia inventiva.
Fra gli scapigliati lombardi si distinguevano i pittori
Daniele Ranzoni e Tranquillo Cremona e lo scultore
Giuseppe Grandi; a Milano si era formato anche il torinese Medardo Rosso.
Anni di crisi e di crescita
Stefano Borelli, Il Cav. Uff. Emilio Sperati.
Bronzo, altezza cm. 28.
Per il Regno d’Italia, finite le guerre d’indipendenza
e risolta la questione romana, si chiudeva l’epoca
Emilio Sperati (fusore), Ritratto di Luisa Sperati.
Bronzo, altezza cm. 17.
eroica del Risorgimento e si apriva un periodo di
crisi, che fra errori e delusioni, doveva risolvere i
gravi problemi della politica interna. La metropoli
lombarda - riconosciuta allora come la capitale morale della cultura italiana e il termometro dei mutamenti sociali, aperta al progresso economico, tecnologico e civile - divenne il centro dell’inquietudine
che sfociava in aperte dichiarazioni di dissenso, mentre stava nascendo la nuova classe borghese e proprio tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX si
intensificava lo sviluppo dell’industria moderna
metallurgica e meccanica.
Cresciuto in questa temperie viva e stimolante
Emilio Sperati, (nato a Milano il 12 febbraio 1861)
dal 1874 al 1883 - come attestano i certificati rilascia29
G. Segantini,
Viole.
Circa 1875.
È firmato col
cognome di
nascita
Segatini.
Acquerello,
cm. 21x32.
tigli dall’Accademia - aveva seguito a Brera i corsi
della “Scuola di Ornato”, di quella di “Elementi di
Figura” e della “Scuola di Architettura”. Uno dei suoi
primi compagni di studio era stato Giovanni
Segantini, che era approdato all’Accademia dopo
un’infanzia solitaria e poverissima. Rimasto orfano di
madre, dal natio Trentino (terra di confine con il
Regno d’Italia) il padre l’aveva condotto a Milano a
soli sei anni, affidandolo alle poche cure distratte di
una sorellastra. Il bambino passava le sue giornate
chiuso in un buio abbaino, da cui non poteva neppure vedere il cielo.“Si era inselvatichito, ribelle a tutte
le leggi costituite”, - scriverà più tardi in una lettera
autobiografica, pubblicata dalla figlia dopo la sua
morte, insieme ad altri suoi scritti – “sentendo pietà
solo per i miserabili come lui.” Ogni tanto fuggiva,
30
finché venne arrestato per vagabondaggio e rinchiuso in un riformatorio per minorenni, costretto ad
imparare il mestiere di calzolaio. Segantini a tredici
anni era ancora analfabeta e firmava con un segno di
croce. Nell’Istituto Correzionale Marchiondi di
Milano finalmente cominciò a scrivere e a disegnare;
ma la rigida disciplina e la mancanza di libertà lo
indussero a fuggire di nuovo. Ritornò in Trentino,
ospite del fratellastro, che gli diede un lavoro.Attratto
dai colori e nella pace agreste di quel borgo della
Valsugana, iniziava a dipingere soggetti pastorali, colpito soprattutto dagli effetti di luce sui monti. Ma
spinto dal vivo desiderio di dedicarsi al disegno, ripartiva presto per Milano e nel 1875 riusciva ad iscriversi ai corsi di ornato e di paesaggio a Brera. Più tardi
giudicherà quegli anni difficili, criticando aspramente
l’insegnamento delle Accademie, le quali “uccidono la
personalità degli studenti”, con l’applicazione di
regole e formule convenzionali, che limitano gravemente l’estro e l’immaginazione, mentre l’arte ha
bisogno di libertà espressiva.
In un suo scritto, Segantini ricorda particolarmente
un giorno di festa, in cui, andato a visitare
un’esposizione di arte moderna, ne era uscito deluso
e tutti quei quadri gli erano parsi insignificanti e
muti. Aveva diciannove anni e sentiva un cocente
desiderio di amare, che acuiva ancor più il suo senso
di infinito isolamento. La sera finalmente qualcuno
aveva bussato alla porta del suo triste abbaino ed egli
aveva subito riconosciuto un amico, studente di scultura all’Accademia, venuto a prenderlo per andare a
spasso. Segantini non ne dice il nome, ma probabilmente si trattava proprio di Emilio Sperati, uno dei
più sensibili tra i compagni d’arte.Testimone del rapporto affettuoso fra i due giovani sarà un delicato
acquerello (ora esposto in Palazzo Lascaris), donato a
ricordo della loro lunga amicizia. È un semplice
foglio, uno studio analitico di viole recise copiate dal
vero nel progressivo appassire delle foglie che si
vanno accartocciando. È forse questa la prima natura
morta rimastaci del pittore trentino - e ancora oggi
ignorata dalla critica - in cui, particolare curioso, il pittore si firma due volte con mano ancora incerta di
adolescente rimasto a lungo analfabeta: all’interno del
foglio usa il suo vero cognome “Segatini”, che egli
portava quando venne rinchiuso in riformatorio,
mentre sotto il dipinto, si firma con il nome nuovo
“Segantini”, da lui assunto quando cominciò a frequentare Brera, quasi per cancellare ogni ricordo
degli anni più dolorosi della sua vita.
Un’arte fusoria eccezionale
Probabilmente la Collezione dello Sperati ebbe inizio
da questo timido dono; divenne una raccolta sempre
più ampia e ricca, completata via via in circa quarant’anni, con opere di pittori e scultori dell’ambiente
lombardo e torinese, che l’artista fonditore ricambiava con i suoi bronzetti.
Vi compaiono - al di là dei pezzi di valore solo documentario - le opere degli artisti più significativi come
Longoni e Delleani, Bistolfi, Leonardo ed Ernesto
Bazzaro l’amico più caro,Tabacchi, Biscarra, Calandra
e Troubetzkoy e molti altri. È perciò una collezione
che esprime una storia del gusto di quegli ambienti
culturali nell’importante periodo di transizione rappresentato dal primo affermarsi del Liberty e che
consente di colmare qualche lacuna.
Emilio Sperati aveva cominciato giovanissimo a lavorare già durante gli studi accademici con il patrigno,
lo scultore Francesco Barzaghi, (pure formatosi a
Brera con Vela) e si era dedicato con lui a perfezionare il processo di fusione a cera persa, sostituendo
l’antico sistema di fusione con forme a tasselli. Si trattava di ottenere una lega di bronzo (variando le proporzioni del rame e dello stagno) che avesse una fluidità sufficiente a penetrare in tutte le cavità, anche
minime, lasciate libere dal modello in cera, che il fon-
ditore aveva plasmato a mano sull’“anima” di argilla
ricoprendola poi di terra. Cuocendo, la cera si scioglieva lasciando un’intercapedine in cui si introduceva il metallo fuso, che solidificandosi riproduceva
perfettamente la forma. Con questo sistema perciò si
ottenevano pezzi unici essendosi “perso” il modello
iniziale in cera.
Inoltre lo Sperati, invece della legna per la fusione
usava il carbone: così la cera si scioglieva senza rovinare le forme - come aggiunge la signora Luisa in una
sua annotazione.
In una memoria autografa,“Brevi cenni sullo sviluppo
della propria industria”, redatta in occasione della
prima mostra dei suoi bronzi artistici presentati
all’Esposizione Nazionale della Promotrice di Torino,
nel 1898, Emilio Sperati racconta con malcelato orgoglio che il nuovo procedimento fu finalmente coronato da successo nel 1877, dopo aver superato tanti ostacoli ed affrontato anche notevoli sacrifici pecuniari.
A quell’epoca le fonderie “artistiche” di statue colossali erano pochissime: chiusa ormai quella Manfredini
di Milano, che fondeva ancora in forme a tassello, la
più importante era quella di Papi (poi Galli) a Firenze,
mentre era solo agli inizi la fonderia Nelli di Roma.
Dopo aver fuso varie statue del Barzaghi, fra cui quella del Manzoni collocata in piazza S. Fedele, il monumento a Francesco Hayez, nella piazzetta di Brera e il
famoso Michelangelo di Tabacchi, lo Sperati lasciò
Milano per andare a perfezionarsi in altre fonderie,
con l’intenzione di recarsi poi anche all’estero.
Ma poco più che ventenne, nel 1884 egli dovette trasferirsi a Torino, chiamato dal famoso scultore
Odoardo Tabacchi, milanese come lui, a cui era stata
affidata la cattedra di scultura all’Accademia
Albertina, in sostituzione di Vincenzo Vela.
Indignato perché gli era stato preferito il Dupré nel
concorso per il monumento a Cavour di piazza
Carlina, il Vela aveva dato le dimissioni, indicando il
Tabacchi come il più adatto a succedergli.
Proprio con la fusione di alcuni bozzetti del Tabacchi,
ebbe inizio la fortunata attività torinese dello Sperati.
Riceverà presto l’incarico di fondere tutta la vasta
produzione del maestro e collaborerà anche con
molti altri scultori attratti dalla sua particolare abilità
e sensibilità artistica nel tradurre nel bronzo le loro
creazioni “senza tradirne gli intenti come fa un
buon traduttore per l’opera letteraria”. Il lungo processo della fusione è un cammino di vera e propria
ricreatività - diceva Erwin Panofsky (cfr. Il significato
delle arti visive,Torino, 1962) - che richiede ingegno
e capacità operativa.
A Torino per le fusioni di opere di grandi dimensioni
Apparato per la fusione
di una statua colossale in bronzo.
si doveva ricorrere alla fonderia del Regio Arsenale,
che era l’unica ben attrezzata e dove si attuava non
solo la fabbricazione dei cannoni e di tutte le armi da
fuoco, ma si predisponevano anche prodotti industriali e di uso civile.
Anche lo Sperati - come scrive nella sua Memoria per fondere la grande statua equestre del La Marmora
di piazza Bodoni, ideata da Grimaldi, si era rivolto alla
fonderia dell’arsenale che aveva messo a sua disposizione il personale.
Emilio Sperati creava già nel 1884 la prima “Fonderia
Artistica di Monumenti Equestri e Statue
Colossali”, in strada Regio Parco N. 36 e vi praticava
fusioni con il rinnovato sistema a cera persa.
Era questa una delle pochissime imprese del genere
in Italia e rappresentava soprattutto una industria
nuovissima per Torino, dove si andava sempre più
diffondendo la monumentomania postrisorgimentale, che riempiva piazze e giardini di statue raffiguranti personalità politiche e uomini di cultura.
All’epoca la statuaria in bronzo prevaleva ormai su
quella marmorea.
Tra le prime commissioni Sperati realizzò la fusione
di quattro statue colossali del Tabacchi. Una dichiarazione del dicembre 1889, a firma dello stesso maestro, attesta l’abilità e capacità dello Sperati nell’arte fusoria, e loda la perizia con cui egli aveva saputo
fondere per sua ordinazione, il Monumento a
Garibaldi, collocato in corso Cairoli a Torino, quello
del “generale Alfonso La Marmora” per Biella (in piazza Vittorio) e le due statue colossali con bassorilievi e
fregi del Monumento a Giovanni Lanza, eretto a
Casale Monferrato. Colpito dalla perfezione dell’opera il Sindaco di Biella inviava una lettera allo Sperati
per attestargli la sua ammirazione per la fusione della
statua del La Marmora.
Per le non poche difficoltà che l’artista fonditore
dovette affrontare e risolvere con la sua grande abilità, viene spontaneo ricordare la celeberrima descrizione della drammatica fusione del “Perseo”, narrata
nella“Vita”dall’autore Benvenuto Cellini, il quale anziché valersi degli esperti Mastri Calderai, a cui ricorrevano di solito per le fusioni gli scultori del
Rinascimento, volle realizzare da solo il getto della
statua. Il brano della “Vita” che lo racconta, è famosissimo, inserito in molte antologie per la scuola.Anche
31
allora per le statue di notevole grandezza si usava il
sistema della cera persa, tecnica usata nell’antichità
dai Greci, a cominciare dal V secolo a.C. Nella realizzazione del Perseo, un errore nella composizione
della lega, povera di stagno e troppo ricca di rame,
impediva ch’essa si sciogliesse, mantenendola “pastosa”. Quando ormai sembrava che la fusione stesse per
fallire, passando dallo sconforto ad un accesso di collera rabbiosa il Cellini cominciò a gettare nella fornace nuova tutto quello che trovava: persino i suoi piatti e le scodelle di stagno, tanto che la volta del forno
crollò per il calore. Finalmente la lega divenne fluida
ed il Perseo fu realizzato. Per completarlo poi ci volle
un lungo e complesso lavoro di anni per le rifiniture,
saldature e ritocchi con lime e ceselli. Questo processo, rimasto immutato nei tempi, avrà proprio dai
fonditori francesi dell’Ottocento i suoi perfezionamenti. Per bravura tecnica lo Sperati si allinea con
questi, essendo riconosciuto - come si dirà più avanti
- il Barbédienne d’Italie.
I monumenti da camera
Per la richiesta sempre crescente dei suoi bronzetti
da arredamento - veri e propri ‘monumenti da camera’ - anche da parte di numerose ditte importanti, lo
Sperati pensò allora di aggiungere alla sua industria
un impianto per lavori artistici commerciali. I risultati furono così soddisfacenti ch’egli non esitava a
scrivere nella sua “memoria” che i suoi bronzi erano
pari e forse in qualche cosa superiori ai famosi
bronzi di Parigi. Spiegava infatti di essere riuscito ad
ottenere fusioni artistiche di puro getto, così perfette
che non avevano più bisogno di saldature né ritocchi
di cesello.
Li presentò per la prima volta all’“Esposizione
Nazionale” organizzata nel 1898 dalla Società
Promotrice delle Belle Arti al parco del Valentino per
la celebrazione del Cinquantenario dello Statuto:
32
un’iniziativa che diede luogo a solenni manifestazioni. In quell’occasione Lorenzo Delleani dipingeva
quattro grandi tele con le visioni più caratteristiche
d’Italia, dal Monviso a Taormina, per ornare l’atrio
dell’edificio di contrada della Zecca (attuale via
Verdi), un palazzo che la Società aveva costruito con
lo scopo di aiutare gli artisti e far conoscere le loro
opere per mezzo delle mostre annuali alle quali tutti
ambivano partecipare.
Durante la grande esposizione, ad attirare un pubblico sempre crescente da tutta Italia furono soprattutto i numerosi concerti sinfonici diretti da Arturo
Toscanini, che aveva un rapporto particolare con
Torino, perché proprio qui non ancora ventenne nel
1886 aveva fatto il suo primo debutto come direttore
d’orchestra, ottenendo un successo straordinario
ripetutosi anche nelle stagioni musicali degli anni
successivi. La sua fama fece aumentare notevolmente
gli introiti dell’esposizione, ma segnò anche per
Torino la perdita del grande maestro, che fu attratto a
lasciare la città per la Scala di Milano.
Nell’anno della celebrazione del cinquantenario
dello Statuto, la grande mostra mercato affascinava il
pubblico con la ricchezza di suppellettili di diversa
qualità e valore. Ma nella pubblicazione “L’Arte
all’Esposizione del 1898”, si deplora che troppo
pochi fossero gli espositori di bronzi artistici italiani, il che favoriva non solo la vendita di quelli degli
artisti di Parigi e di Vienna, come il Barbédienne ed
i Klein, considerati fra i maggiori, ma anche di prodotti che di artistico avevano ben poco. Eppure
l’Italia era la patria del bronzetto d’arte ed uno spazio particolare veniva perciò riservato alla ricca
mostra dello Sperati che aveva il merito della novità,
essendo consacrata esclusivamente all’arte moderna, con opere di artisti contemporanei viventi, come
Tabacchi, Davide Calandra, Biscarra e Rubino, mentre gli altri pochi espositori presentavano solo riproduzioni di bronzi classici ampiamente noti. Alla
mostra torinese non si era neppure presentato il
Fumagalli, l’altro valente orafo e bronzista della
città, fonditore soprattutto delle opere di Bistolfi,
con fonderia sita in via Garibaldi.
Così i bronzi fusi da Emilio Sperati, monumenti da
camera di gusto moderno, ebbero tanto successo
all’Esposizione e gran parte di essi appartengono ora
alla Collezione donata a Palazzo Lascaris.
Sculture in scala ridotta
Fra i bronzetti che riproducono in misure ridotte le
grandi sculture di Odoardo Tabacchi, ecco personaggi storici come il generale Alfonso La Marmora,
Michelangelo e Arnaldo da Brescia, il frate rivoluzionario arso vivo a Roma a metà del XII secolo, per aver
avversato il potere temporale dei Papi: una figura simbolica ancora attuale nell’epoca risorgimentale.
Il grande monumento che sorge a Brescia nel vasto
piazzale Arnaldo è certo l’opera più lodata dello scultore milanese e quella a cui egli deve la sua maggiore
popolarità. Anche il bozzetto, realizzato e fuso dallo
Sperati, riesce a rendere nel gesto ampio del frate
l’impeto della lotta contro il clero simoniaco e
l’intento polemico dello scultore, il quale per far uscire da Roma la statua di quel personaggio messo al
bando dalla Chiesa, ricorse ad un gustoso espediente,
che ci dà un esempio della sua sagacia. Il Tabacchi
infatti lo ribattezzò come S. Bernardo - scrive lo Stella
(cfr. Pittura e scultura in Piemonte,Torino,1893) - e
così l’Arnaldo potè arrivare a Brescia, dove il monumento fu inaugurato nell’agosto 1882, alla presenza
di una grande folla plaudente.Anche il famoso artista
napoletano Palizzi fu entusiasta quando lo vide e lo
giudicò un’opera innovatrice.
Fa parte della Collezione Sperati anche la base del
monumento con il bassorilievo di Arnaldo che scaccia i monaci, opera di Antonio Tagliaferri (cfr. M. De
Micheli Scultura dell’Ottocento,Torino, 1982).
Il Tabacchi aveva studiato a Brera, perfezionandosi
poi a Roma e a Firenze, dove aveva frequentato il
Caffé Michelangelo e partecipato alle fervide dispute
di quell’ambiente ricco di presenze italiane e straniere. Era quindi ritornato a Milano e chiamato poi a
Torino. Alla sua lunga esperienza accademica, egli
univa aneliti scapigliati: ciò contribuisce a farne la
figura più importante di quell’epoca, perché quasi
tutti gli scultori, sia milanesi che torinesi, si formarono alla sua scuola. Persino Giuseppe Grandi, figura
dominante a Milano, era stato suo allievo ed aiuto. Il
Tabacchi insomma aveva trasformato il mondo artistico locale: generazioni di allievi apprezzavano in lui
l’artista, ma soprattutto il “maestro” semplice e cordiale che con affabilità e il tipico buon umore ambrosiano raccontava le difficoltà incontrate agli inizi del
suo lavoro e spiegava le novità e rifletteva su ciò che
aveva imparato a contatto della vita artistica delle
altre città.
La fama di scultore di Odoardo Tabacchi è legata
anche ad una ricca produzione “di genere” e soprattutto ad una serie di statuette di donne belle e sensuali, dai corpi seducenti in cui risaltano la morbi-
Odoardo Tabacchi, Cagnolino levrerio.
Bronzo, cm. 9,5.
da elasticità e l’armonia delle curve, nelle figure
piene di grazia, animate da un uso intelligente del
chiaroscuro. Fra tutte la più nota è Tuffolina (non
presente in mostra), splendida silhouette di una giovane che sta per tuffarsi, riprodotta in centinaia di
esemplari e la Bagnante, flessuosa figura che sta
togliendosi la spina dal piede. Sui mobili dei salotti
di inizio Novecento, queste immagini erano ammirate per le raffinate patine che offrivano loro un
delicato cromatismo.
Non sorprende perciò il successo di questo tipo di
sculture, espressione di un’arte spregiudicata e veramente “nuova”, prodotte con accurata attenzione tecnica, assai richieste per rallegrare con la grazia spontanea dei loro gesti e la vitalità i salotti borghesi a
cavallo fra i due secoli.
Attratto soprattutto dai soggetti femminili appare
anche il giovane valsesiano Giacomo Ginotti - allievo
del Tabacchi all’Accademia Albertina - che prende a
modello le belle popolane dai corpi vigorosi, ricchi di
tensione e forza dinamica e dall’espressione fiera
nella durezza dei volti. Ne è un esempio la Schiava,
opera molto replicata, di un verismo un po’ sensuale,
di gusto orientaleggiante, premiata in diverse esposizioni anche straniere.
Anche il torinese Davide Calandra - uno tra gli allievi
di maggior spicco del Tabacchi - nel suo periodo giovanile era stato spinto ad emulare il maestro, modellando figurette di gusto erotico venato di malizie e
di seducenti ambiguità - scrive il De Micheli - implicita sensualità che ben si coglie nel “Fiore di chiostro”, busto di giovane monaca, una delle sue opere
più ammirate all’Esposizione del 1898, in origine scolpita in marmo e poi riprodotta in infinite copie in
bronzo. Essa colpì anche il De Amicis, tanto da indurlo a dedicarle un sonetto. Più tardi, dopo l’esperienza
nei reggimenti di cavalleria, Calandra si orienterà
verso sculture di tema storico - militare (il Guerriero
Gallo, il Dragone del Re), opere di piccole dimensio-
ni e di vivace pittoricismo, finché nel 1892 acquisterà una più grande fama vincendo con il suo bozzetto
il concorso per il monumento al Duca d’Aosta.
Giacomo Ginotti, La schiava.
Bronzo, altezza cm. 28.
La crescita di una impresa d’arte
La mostra di Sperati riscosse gli elogi di tutta la stampa anche straniera ed è proprio la “Revue Universelle
Internationale Illustrée de Genève” (nov.1898) che
ci fornisce il maggior numero di notizie, dedicando a
lui e alla sua fonderia artistica due intere pagine entusiastiche e paragonandolo al “Barbèdienne” (cfr. La
fonderie artistique et les remarquables travaux de
M. le Chevalier Emilio Sperati, à Turin.).
Sorpreso perché la giuria dell’Esposizione aveva premiato lo Sperati con la medaglia d’oro - era la più alta
ricompensa accordata al merito artistico industriale nonostante fosse la prima volta ch’egli si presentava ad
una mostra, l’anonimo autore dell’articolo volle visitare anche la sua fonderia e ne rimase meravigliato.
Lo Sperati era già stimato anche dal re Umberto I, che
33
nel 1891 gli aveva conferito la nomina a Cavaliere
della Corona d’Italia (con lettera del Ministro Rattazzi
del 20 ottobre), ammirato per la fusione e la perfezione con cui aveva saputo rendere il mantello del
cavallo della grandiosa statua equestre del generale La
Marmora - opera dello scultore Stanislao Grimaldi collocata a Torino, in piazza Bodoni. Il re incaricò lo
Sperati di realizzare un trionfo da tavola in argento,
con il motto sabaudo FERT, da regalare al tredicesimo
Reggimento degli Ussari di Germania, di cui egli era il
comandante. Ne risultò un vero capolavoro e la rivista ne pubblica la fotografia, sottolineando che era
stato “ideato, eseguito e fuso” dal “valente artista”
Emilio Sperati.
Intanto questi stava già occupandosi anche dei lavori preparatori per la fusione del monumento al principe Amedeo di Savoia duca d’Aosta, affidatagli dal
Calandra e quando la Principessa Letizia Bonaparte,
vedova del Duca, si recò alla fonderia per vedere a
che punto era l’opera, colpita dalla perfetta somiglianza del volto con quello del consorte, ordinò
alcune statuette di dimensioni ridotte, da regalare
come ricordo ai membri della sua famiglia ed agli
intimi amici.
Fra i giornali di varie città italiane che parlarono della
“splendida” mostra del Cavalier Sperati, va segnalato
“La Lombardia” del 15 ottobre 1898, in cui il cronista,
mentre si unisce alle lodi generali, si rammarica che
lo scultore - fonditore tanto ammirato sia ripetutamente chiamato “torinese” e ne rivendica l’origine di
“ambrosiano puro sangue”, divenuto torinese solo
per adozione. Concordemente ammirato e apprezzato come artista, lo Sperati era anche stimato per la sua
modestia e la sua onestà, tanto che in quello stesso
anno 1898 venne eletto nel primo Collegio di
Probiviri per le Industrie metallurgiche e meccaniche
di Torino, come rappresentante della classe degli
Industriali, istituzione da poco creata per risolvere le
controversie di lavoro nel settore delle industrie.
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Leonardo Bistolfi, Bambino sul cavallo a dondolo
(il figlio Giovanni). Bronzo, altezza cm. 43.
monumento. Finalmente sulla “Gazzetta del Popolo
della Domenica” del novembre 1897, apparve la notizia che il Cavalier Sperati ne aveva cominciato la
fusione in bronzo.
L’artefice si trovò di fronte a notevoli difficoltà tecniche, dovette praticare lunghi calcoli e studio di leghe
adatte per la statica di quel cavallo colossale che si
impenna, trattenuto dal Principe.
Nel 1900 il monumento è terminato e se ne deve
organizzare il trasporto dal laboratorio dello Sperati
al Valentino. Il cammino, attentamente sorvegliato e
diretto dallo Sperati e da una squadra di suoi operai,
è rallentato dal peso della statua colossale - m. 4.80 di
altezza e 55 quintali di peso - specialmente in piazza
Vittorio per l’intralcio dei fili aerei della trazione elettrica tranviaria, che dovevano essere via via rialzati
dai carri - ponte. Mancava ancora il decoro del basamento, che lo scultore stava scolpendo con il gigantesco altorilievo dell’allegorica cavalcata delle più
insigni figure dei duchi e dei re sabaudi, che verrà poi
fuso da Pietro Lippi di Pistoia.
L’Esposizione internazionale del 1902
Erano i tempi in cui Torino si andava trasformando in
città industriale e cominciavano i primi scontri tra
imprenditori ed operai.
A conclusione della sua “memoria”, Sperati informa
che la fonderia da lui creata contava ormai “un complessivo di forni ad ultimo modello che potevano
sopportare ben quindici tonnellate di bronzo”, per
cui era in grado di assumersi qualunque impegno di
fusione artistica, come quella del grandioso monumento del Calandra dedicato al principe Amedeo di
Savoia, ch’egli stava affrontando.
L’iter per giungere al completamento dell’opera fu
lungo e complicato. Solo per la scelta del bozzetto ci
volle tutto il 1892: si fecero due concorsi, a cui avevano partecipato anche Bistolfi e Troubetzkoy. Alla
fine vinse il Calandra e nel 1893 si potè cominciare il
Si giunge così al 1902: a gennaio esce il primo numero
della rivista “L’arte decorativa moderna”, premessa
alla mostra che si inaugurerà pochi mesi dopo.ATorino
si fa sempre più spasmodica l’attesa per la prima
“Esposizione internazionale d’arte decorativa
moderna”, ispirata all’Art Nouveau, che aveva
l’intento di produrre oggetti artigianali di buon valore,
rilanciando l’artigianato artistico in opposizione alla
scadente produzione in serie. In Italia si chiamò stile
Liberty, dal nome dei magazzini londinesi che vendevano i prodotti artigianali dell’Estremo Oriente, caratterizzati dal tipico linearismo orientale. È lo stile della
borghesia in ascesa economica e sociale, a cominciare
dalle province dell’Italia settentrionale, che sono le
prime in cui si sviluppa un’economia industriale.
Nei pubblici ritrovi, nei caffè, nei circoli, per le strade
tutti ne parlavano: era l’argomento di tutte le discussioni e si sentivano i giudizi più disparati.
L’avvenimento attirò anche l’interesse di molti stranieri e per un momento Torino divenne la “capitale
dell’Art Nouveau” (R.Bossaglia), determinando il
trionfo del Liberty in Italia.
Preludio all’Esposizione fu, il 7 maggio,
l’inaugurazione del famoso monumento al principe
Amedeo duca d’Aosta, che tutti erano curiosi di
vedere, sapendo che era costato tanti anni di lavoro e
conoscendo la fama dello scultore. Alla manifestazione presenziarono i Sovrani, la nobiltà, tutte le personalità dello Stato e una sfilata di eleganti signore.
Quando cadde il telone che lo ricopriva, il monumento stupì per la sua audacia. Il Principe era raffigurato in arcione sul suo cavallo, nell’atto di sfoderare la sciabola con giovanile entusiasmo, per dare inizio alla battaglia e il plauso per lo scultore fu unanime; tale fu anche l’ammirazione per chi aveva saputo
fondere quel cavallo arditamente impennato sulle
gambe posteriori, che il re promosse “motu proprio”
lo Sperati Ufficiale nell’Ordine della Corona d’Italia
(comunicazione inviatagli dal Ministro) in data 10
maggio 1902.
Ne scrissero tutti i giornali e Caronte (Arturo Calleri),
il caricaturista del “Fischietto”, così commentò ironicamente il 6 maggio 1902 sotto lo schizzo del monumento: “Non sappiamo quel che ne pensa il buon
Principe dell’uragano dell’arte nuova e della gragnuola di stile moderno che da qualche tempo va
sfuriando su ogni cosa nella prediletta Torino”. Nel
monumento del Calandra è evidente, infatti, il contrasto tra l’intenso realismo della figura del duca a cavallo ed il rilievo così mosso dell’ampio basamento.
Nell’alternarsi del tutto tondo con l’alto ed il bassorilievo nei gruppi dei personaggi di casa Savoia, in
movimento con cavalli, cannoni e bandiere, da
Umberto Biancamano a Vittorio Emanuele II, lo scul-
tore appare chiaramente “suggestionato” dalla nuova
tendenza del Liberty.
E finalmente avviene la grande cerimonia inaugurale
dell’Esposizione, a cui assistono di nuovo i Sovrani ed
i Principi di casa Savoia.
Fra le feste per l’Esposizione, la più importante fu il
Carosello storico al teatro Regio, magnificamente
arredato con arazzi, tappeti e fiori. Membro del
comitato di redazione della nuova rivista e fra i promotori dell’Esposizione era Leonardo Bistolfi, uno
degli scultori più importanti e discussi dell’ultimo
Ottocento, anche buon pittore e disegnatore. Il
Bistolfi aveva disegnato il manifesto da porre all’ingresso del Padiglione italiano, con quattro languide
fanciulle dalle linee sinuose, eleganti figure che danzano, legandosi fra loro con un nastro a formare la
parola ARS. A questa raffinata calligrafia faceva
riscontro anche la sua sensibile vocazione plastica,
che ne farà uno dei protagonisti della scultura dei
primi decenni del novecento.
Nella Collezione Sperati è presente un vivace
“Bambino sul cavallo a dondolo”, che appartiene
certo al suo primo periodo di attività, che rileva le sue
qualità di modellatore ancora influenzato dalle novità
“grandiane”. Era infatti stato la scultore Giuseppe
Grandi a suggerire quei particolari valori plastici.
Un’esperienza nella Russia degli Zar
La fama di Emilio Sperati come fonditore di monumenti equestri aveva ormai valicato i confini d’Italia e
poco dopo la chiusura dell’Esposizione Torinese, egli
venne scelto da una commissione russa, inviata in
occidente, come il più esperto per fondere il monumento allo Czar Alessandro III, per il quale aveva
vinto il concorso lo scultore Paolo Troubetzkoy.
Nel 1903 lo Sperati cominciò la sua sfortunata
avventura russa trasferendosi a San Pietroburgo,
dove impiantò una fonderia, tra enormi difficoltà
dovute alla natura paludosa del terreno, che non era
abbastanza solido da permettere la fusione in terrapieno. Essendo giunto in Russia proprio mentre si
stavano facendo più aspre le agitazioni e le lotte
sociali già in corso da anni contro l’assolutismo
imperiale, nel gennaio 1905 si trovò nel bel mezzo
del primo tentativo rivoluzionario: la sua officina
venne incendiata e distrutto il modello del monumento, mentre Troubetzkoy, che faceva parte della
nobiltà, dovette fuggire.
Solo l’anno dopo lo Sperati potè ricostruire un’altra
officina e portare a termine la fusione del monumento, che gli procurò molti elogi e l’onorificenza
dell’Ordine di S. Anna. Allo scultore invece, non vennero risparmiate critiche e polemiche, di cui fece eco
“Il Marzocco” di Firenze (18 luglio 1919), che giudica
l’opera rozza e mal riuscita, ben inferiore ai piccoli
bronzi ed ai ritratti per cui lo scultore era particolarmente celebrato.
Figlio di un principe russo, Paolo Troubetzkoy era
nato in Italia e si era formato a Milano attratto da
Grandi, che ne apprezzò il talento precoce, e frequentando gli scapigliati; ma svolse un’intensa attività anche fuori d’Italia. Dimostrò presto un grande
amore per il mondo animale, divenendo un animalista
di rara vivacità (nella Collezione Sperati troviamo un
cavallo, un cane e la “slitta” con le due figure affaticate del cavallo e del vetturino, modellate con efficacia
impressionistica). Ma capolavori insuperabili sono
soprattutto i ritratti, che gli venivano richiesti da ogni
parte per la capacità di intuire il personaggio e per la
naturalezza nel saper cogliere l’espressione del soggetto (uno dei più famosi è il ritratto di Segantini,
colto in una delle sue pose più consuete).
Il monumento allo Czar (salvato dalla Rivoluzione
d’Ottobre e ora collocato a San Pietroburgo) è stato
ingiustamente criticato - afferma il De Micheli - perché non si è capito che Troubetzkoy, nella figura massiccia dello Czar seduto sul tozzo cavallo ha voluto
35
“Silenziosamente come aveva vissuto, un artista
valoroso, singolare quanto modesto, scultore, fonditore e pittore, animo di artista di buon gusto. Pochi
hanno avuto la fortuna di conoscerlo come artista
creatore perché l’arte era la sua gioia intima, una
gioia di cui era geloso e che non divideva che con
pochi amici devoti. Le sue statuette ed i suoi studi
pittorici erano destinati esclusivamente al suo piccolo museo d’arte, accanto ad opere eccelse del suo
amico Bazzaro ed ai quadri dei migliori nostri
artisti piemontesi.
Chiuso in se stesso e nella sua semplicità, è
andato all’ultima dimora, per suo desiderio
senza l’accompagnamento degli amici e degli
ammiratori”. Così scrive il giornale “Il Nazionale”
del 5 settembre 1931.
Un archivio prezioso
PaoloTroubetzkoy, Monumento allo zar Alessandro III.
Palazzo di Marmo San Pietroburgo, 1906.
darne un’immagine che esprimesse il senso di
oppressione che la Russia del tempo stava vivendo.
Dopo la triste parentesi russa, ritornato a Torino, lo
Sperati abbandonò i grandi lavori di fonderia dedicandosi ai suoi piccoli bronzi, trovando svago
anche nella pittura e nel collezionare le opere degli
artisti suoi amici fra cui il più caro rimaneva lo scultore Ernesto Bazzaro, che gli dedicò alcune pregevoli incisioni.
L’ultima opera dello Sperati di cui si ha notizia è il
busto, scolpito nel 1913, di Carlo Alfonso Bonafous,
fondatore a Lucento dell’omonimo Istituto Agrario, di
recente trasferito nella nuova sede di Chieri.
Il nome di Emilio Sperati riapparirà sui giornali solo
per il suo necrologio. Morì il 30 agosto 1931.
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Dalla documentazione conservata dalla figlia e dalle
testimonianze dei giornali, non solo italiani, è riemersa la figura di Emilio Sperati, uomo onesto e schivo,
tutto dedito alla sua attività e alla famiglia, il quale
godette al suo tempo di molta notorietà, amico
apprezzato degli artisti più famosi suoi coetanei, fu
ricercato anche dai Sovrani, non solo come abile fonditore, ma anche come sensibile scultore.
Fra le carte da lui lasciate, oggi raccolte presso il
Consiglio Regionale del Piemonte sono copie di lettere,
memoriali,conferimenti di onorificenze, ritagli di giornale che ne illustrano lo straordinario percorso di vita.
Una esistenza ricca di esperienze singolarissime realizzate in dialogo con i più importanti artisti del suo
tempo e tutte coronate da successo.
Stupisce perciò che dopo la sua morte egli sia stato
completamente ignorato dai critici e dagli stessi scultori ed il suo nome dimenticato, tanto che le fusioni
da lui compiute vengono troppo spesso concordemente attribuite ad altri.
Sperati Cav. Emilio, Brevi cenni sullo sviluppo
della propria industria. 1998.
IL BRONZETTO,
UN’OCCASIONE PER GLI ANIMALISTI
Nella raffinatissima produzione francese di bronzetti,
la rappresentazione di animali appare un elemento
dominante, capace di rendere spettacolari e variati
quei piccoli o medi oggetti ( dai 20 ai 50 centimetri
di altezza) che venivano particolarmente apprezzati
dagli amatori di un genere per il quale si predisponevano ricchi cataloghi.
Nel Catalogue des Bronzes éditées par Antoine
Louis Barye verso il 1880, a fronte di una quindicina di figure (generali, cavalieri oppure allegorie
mitologiche) più di cento erano le statuette di animali che venivano offerte al compratore a prezzi
anche molto elevati.
In quella sfilata di realistiche rappresentazioni realizzate dal più noto fonditore parigino del tempo, il
Barbédienne, le fiere prevalevano, recando nelle borghesi stanze dei compratori, un ripetuto souvenir di
foreste esotiche, di steppe asiatiche, di deserti evocati. L’osservazione delle abitudini delle belve appariva all’epoca assai progredita e ciò che oggi noi
vediamo nelle trasmissioni televisive che presentano
stupefacenti filmati sui particolari più segreti della
vita di rare specie zoologiche.- da conoscere per salvarle- già compariva con sufficiente chiarezza e con
attenta osservazione del particolare nelle rappresentazioni plastiche così care ai collezionisti dopo la
metà dell’ottocento.
Se la pittura ci fa conoscere, attraverso la ricerca di
Delacroix ad esempio, brani notevoli di ambiente animalistico, certo il piccolo bronzo fa enormemente di
più, scavando nella vita delle fiere brani assolutamente sconosciuti di abitudini e di azioni.
Il giaguaro che divora un coccodrillo, o una lepre; il
giaguaro che cammina o che dorme; la tigre che sor-
prende un’antilope o un cervo; tutta la serie dei leoni
accucciati, in piedi, in marcia, in atto di divorare la
preda; l’indiano montato su un elefante che schiaccia
una tigre; l’alce sorpreso da una lince; le diverse aquile ad ali distese, una portante un serpente, un’altra
sorprendente un airone; il pitone che inghiotte una
cerbiatta o stringe una gazzella sono immagini eloquenti e particolareggiate di un’osservazione naturalistica eccezionale.
Nella seconda metà dell’Ottocento una ventata di
esotismo anima la scultura da camera parigina che si
destreggia in modo estremamente variato nel rappresentare gli animali che le nuove terre d’Algeria, di
Tunisia, di Marocco e le province del centro Africa come la Côte d’Ivoire - permettono di conoscere con
particolari sorprendenti. Un raffinato giardino zoologico ambientato nel Jardin des Plantes parigino consente agli artisti di osservare da vicino forme ed
atteggiamenti, caratteri ed abitudini degli animali di
tutto il mondo.
Rembrandt Bugatti è uno dei più significativi interpreti di questa passione zoologica che dimostra con
un assiduo lavoro di plasticatore. Consigliato dal principe russo Pavel Troubetzkoy, espone le sue prime
opere al Salone della Società Nazionale di Belle Arti
nel 1904. La passione per gli animali lo spinge a raggiungere, nel 1907,Anversa ed a lavorare con assiduità nel celebre zoo del grande porto delle Fiandre. È
allora la parte più significativa della sua produzione
animalistica: osserva gli animali e i loro comporta-
Paolo Troubetzkoy, Izvozcik (cocchiere) La slitta. Bronzo, altezza cm. 42
37
menti ‘sur le motif’’ come dicevano i pittori impressionisti. Analizza e rappresenta le attitudini nervose,
tese, tragiche delle belve e i gesti tenerissimi e le dolcezze timorose delle cerve o la potenza cieca dei
bufali, con una spontaneità che fa pensare a degli
schizzi. Nobilissime diventano allora le qualità della
fusione e le patine che il fonditore Hébard - altro
grandissimo artigiano - artista conferisce loro.
L’inventario delle opere di Bugatti precisa i titoli dei
suoi bronzetti e anche la tiratura. Molti di essi non
hanno superato una decina di prove, alcuni solo cinque e si possono trovare molte copie uniche.
Fagiani, leoni, pantere, leopardi, tigri, babbuini sacri,
sono ritratti in diversi atteggiamenti.
Bugatti sarà sconvolto dal dramma del primo conflitto mondiale e si darà la morte l’8 gennaio 1916. Sulla
“Tigre con serpente” il figlio Ettore ha vergato queste
parole“Ultima opera di mio padre. Parigi 8 gennaio
1916 Ettore Bugatti”. Ricordano lo scultore anche
infiniti bronzetti di grandi animali: bisonti d’Africa,
buoi, dromedari, elefanti, rinoceronti, yacks, zebre. Le
opere sono oggi al Musée D’Orsay insieme ad alcuni
gessi che testimoniano l’immediatezza creativa dello
scultore.
esemplificata di bronzetti rappresentanti animali, a
Palazzo Lascaris il cane è protagonista: ecco il piccolo levriero di Giordani e quello, altrettanto curato, di
Tabacchi. Ci sono un Cavallino che si abbevera di
Crespi, un Camoscio in vedetta di Giordani, un
potente Elefante di Michelangelo Monti e, quasi ironico, un cavallo che scaccia un tafano di Tancredi
Pozzi. Con due animaletti piccoli e vivacissimi, un
leprotto e un cervo, è presente in collezione anche il
famosissimo Mène.
Con Pierre Jules Mène ritorniamo nell’alto livello
della produzione francese. Appassionato, come
Bugatti, delle soste contemplative al Jardin des
Plantes dove eseguiva tanti schizzi e forse anche
modellini di animali, aveva debuttato presto nel 1838
al Salon della pittura. Suoi nella collezione Sperati
sono gli animali più piccoli: rimangono preziosi documenti di un’arte a cui la fonderia in proprio - che in
un certo momento ebbe anche Barye - affina una
attenzione artigianale precisa e curata. Da parte di
Mène, l’aver affidato al fonditore torinese due sue
opere, conferma il valore e la stima di cui Emilio
Sperati godeva anche in Francia.
Pierre Jules Mène, Piccolo Cervo.
Bronzo, altezza cm. 12.
Pierre Jules Mène, Leprotto.
Bronzo, altezza cm. 7,5.
A Torino ‘les animaliers’ da scoprire
Spetta sicuramente al principe Troubetzkoy, nato e
vissuto in Italia e spentosi sul Lago Maggiore, una
delle principali presenze animalistiche nell’arte
del bronzetto in Italia. Nella Collezione Sperati su
una dozzina di bronzetti di animali, due rivelano la
dinamica plasticità del suo porre la creta e la cera
del modello.
In attesa del padrone, rassegnato ma scattante, il Cane
del Ministro Wuitté mostra la sua raffinatissima patina. Il Cavallo della slitta dalla posa rassegnata e dalla
bardatura trascurata, è lo specchio di un momento di
fatica e di attesa. Nella sequenza, piccola ma ben
38
MONUMENTI DA STUDIO
I BRONZETTI D’ARTE
DI TRE CULTORI DELLA MEDICINA
Il 6 ottobre 1903 moriva improvvisamente in un
albergo di Roma il professor Domenico Tibone. Nella
capitale era venuto per presentare al Congresso
Nazionale di Ginecologia e Ostetricia la sua ennesima
memoria. È sepolto nel cimitero di Rocca Canavese e
la lapide che lo ricorda, appoggiata alla parete dell’antica chiesa della Madonna di sant’Alessio dal
romanico campanile, fu fusa in bronzo dallo scultore
Fumagalli. Un artista importante, per un personaggio
che nella Torino di fine ottocento aveva avuto un
posto di rilievo. Studioso, sperimentatore, esperto e
caritatevole assistente di cittadine ed agresti partorienti era stato a lungo Rettore della torinese
Università. Nella casa avita di Rocca, dove amava rifugiarsi lungi dagli impegni accademici, di pubblica rappresentanza (era consigliere provinciale) ed assistenziali, aveva uno studio sempre aperto nel quale riceveva le donne del contado per un consulto sapiente.
Fra i mobili sobri, connotati da ampi classificatori per
le schede delle pazienti, spiccava l’orologio. Era un
vero monumento da camera. Una elegante figura
femminile assisa, la Sapienza lo sovrastava. Un bronzetto dalla patina scura, acquisita dalla lunga sosta
all’interno di un ambiente in penombra, perfezionato
ed elegante, si ergeva a protettore della scienza medica che Domenico Tibone considerava una missione,
oltre che un rispettabile approccio professionale.
Egli era stato tra i fondatori della Clinica Ostetrica
dell’Università: il suo ritratto spicca ancora sul corridoio di attesa dell’edificio attuale di via Ventimiglia.
Una strada a Torino gli è stata dedicata: è la terza via a
destra di via Cortemilia. In un volume offerto dal
Lions Club Torino Castello per la Fondazione per la
Ricerca e la Cura del Cancro, così il nipote avvocato
Angelo Tibone ha voluto ritrarlo fra gli Illustri e sconosciuti delle vie di Torino (di Autori Vari, pubblicato a Torino nel Novembre 1983): “Nella tarda
notte di una primavera del 1880, nella zona del
vecchio ‘San Giovanni’ un robusto signore, dignitosamente vestito, professore di ostetricia, ritorna
a piedi verso casa. Aveva assistito ad un parto.
Svoltato l’angolo, viene urtato da un passante un
po’ vecchiotto e di piccola statura. Poco dopo, toccandosi il panciotto si accorge che manca
l’orologio. Torna indietro e con voce possente
riprende il suo antagonista e gli intima perentoriamente di dargli l’oggetto mancante. L’altro passante agitatissimo obbedisce. Quando, mezz’ora
dopo, Domenico Tibone, rientrato a casa, sta per
andare a letto, vede il suo orologio sul comodino
da notte. In Questura, dove si reca d’urgenza,
viene chiarita, presente lo spaurito derubato, la
vicenda della rapina di Domenico Tibone,
Magnifico Rettore dell’Università di Torino, ai
danni di un pacifico viandante. Il carattere dimostrato in quell’episodio fu la caratteristica di un
medico dell’Ottocento che, con altrettanto, coraggio, affrontò problemi, oggi risolti, ma allora assai
gravi. Nato nella zona occidentale del Canavese, a
Rocca, nel 1833, conseguita la laurea in medicina, ebbe dapprima ad esercitare la medicina
generale, anche come medico condotto nell’astigiano. Approdò ben presto alla Facoltà di
Ostetricia dell’Università di Torino, occupandosi
subito del problema della febbre puerperale, su
cui scrisse un saggio, percependo che l’origine di
tante morti delle partorienti stava nell’ambiente
in cui avveniva il parto. Trentenne divenne incaricato e poco dopo titolare dell’insegnamento di
ostetricia, dedicandosi poi ad esso tutta la vita,
con frange però di riserbo. In un’attività vivacissi-
ma, che contemplava frequenti spostamenti coi
lenti mezzi di allora per convegni, congressi, interventi fuori sede, coltivava l’amore delle altre
scienze, glossando volumi e volumi a luce di candela nelle ore notturne. Si rendeva conto della inadeguatezza dei mezzi di allora nei parti difficili,
ove troppo spesso morivano madre e figlio e diede
l’idea di un nuovo tipo di forcipe che consentisse
la salvezza dell’una e dell’altro (...). Costellava la
casa di Rocca di strani apparecchi con cui rilevare, facendone un curioso diario, la costante umidità del Canavese, verde sì, ma insalubre per i
suoi abitanti. Era alto un metro e ottantacinque,
robusto: i suoi eredi conservano il suo portauova
della prima colazione, fatto con sei cavità!
Mai potè disporre del famoso cavallo del medico, animale tranquillo e mansueto, data la sua notevole
mole e le carrozze furono i suoi mezzi di trasporto
(...). Nell’ottobre del 1903, settantenne, ma sempre
attento alle novità della medicina ostetrica, ebbe, sofferente di cuore, certezza dai suoi colleghi curanti che
poteva affrontare l’andata a Roma per un congresso
medico. Così non fu e, nel corso di una cena conviviale in Roma, reclinò il capo, morendo. Proprio in
quei giorni era stato proposto a senatore del Regno.”
Di un altro “monumento da studio” serbo ricordo prezioso. Era un bronzetto dello scultore Rubino e rappresentava una testina di bimbo ridente. Stava sulla
scrivania del“dottore”. Ricordo che ero autorizzata ad
accarezzarlo quando la mamma mi portava nello studio del nostro carissimo pediatra, il dottor Adolfo
Verdone. Insieme alle caramelline di Baratti che sempre egli offriva ai piccoli pazienti, quella presenza
infantile felice contribuiva a togliermi ogni timore
per le vaccinazioni o per le visite alla gola per le quali
ero condotta, nei miei primi anni, dal “dottore”. Lo
studio medico era in via Sacchi ventiquattro, al terzo
piano. Noi abitavamo sullo stesso pianerottolo. Al
quarto piano era il salotto raffinato ed elegante della
39
signorina Maria Alovisio. Era una collezionista appassionata, cultrice dell’arte del primo novecento. La figura di
Bistolfi era evocata, nelle conversazioni sapienti dei suoi
ospiti, anche come autore delle più importanti “autentiche” dei quadri di Delleani, di cui la Signorina aveva
splendidi esempi. Intorno ai dipinti, anche in casa
Alovisio spiccavano i bronzetti. Erano languide ed eleganti figure femminili,spesso ignude,quelle che io,bambina beneducata ammessa nel sacrario del salotto, prediligevo, figurandomi un giorno di assomigliare ad esse.
Il terzo episodio che ricorda un “monumento da studio” si riferisce alla grande amicizia e stima intercorse
tra un altro medico e la sua famiglia e il grande scultore Davide Calandra. È rappresentato da una piccola
preziosa scultura, la “Cavallerizza” (Torino, Collezione
privata), donata dalla figlia di Davide Calandra, Elena, al
dottor Mario Dal Bianco negli anni cinquanta. Medico
ed amico, il dottor Dal Bianco, noto e stimatissimo professionista torinese, visse per alcuni anni con la moglie
Antonietta e le figlie Maria Pia ed Ambra, figlioccia di
Elena Calandra, nella Casa di Caccia dei Calandra a
Murello, uno dei luoghi descritti dallo scrittore
Edoardo Calandra nel suo libro“La bufera”.Qui c’erano
due stanze che non potevano essere aperte: una era
stata allestita per Cavour e l’altra per il Re. Chissà se i
due fautori del risorgimento vi erano mai stati ospitati?
Durante gli anni della seconda guerra mondiale, stretti
furono i rapporti sia professionali che di amicizia con
Virginia Calandra che viveva nella casa avita di
Villanova Solaro - e parlava solo francese e piemontese
- e poi a Torino con Elena Calandra Cravero ed il figlio
Davide.Tutte le sculture e i bozzetti di Davide Calandra
che erano nella casa di Elena Calandra Cravero in corso
Vittorio Emanuele a Torino furono donate, alla morte
del figlio Davide, all’Ordine Mauriziano.
La “Cavallerizza” insieme alla “Spagnola”- anch’essa
dono di Elena a Mario Dal Bianco - medico di fiducia
e grande amico del figlio- ebbero un posto d’onore
sulla sua scrivania di dottore.
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Le opere
Ignoto
Orologio da studio con statua rappresentante la
Sapienza(?)
(Torino, coll.privata)
Bronzo, altezza statua cm.35. Altezza con orologio
cm.65.
Sull’orologio di marmo nero, decorato di piccoli fiori
intorno al bianco quadrante bordato d’ottone con le
cifre romane, poggia una figura assisa, con copricapo
e velo, abbigliata all’antica con un peplo. Il volto classico è atteggiato a riflessione pensosa, il braccio
destro poggia su un’anfora sostenuta da una parte del
seggio, decorata con un serto di fiori di gusto già
liberty. Il carattere allegorico può far pensare a un
autore francese.
Davide Calandra
La cavallerizza
(Torino, collezione privata)
Bronzo, altezza cm.32
Sotto il copricapo tipico delle amazzoni ottocentesche, un profilo elegante e malizioso rivela una
signora ben compresa del suo fascino. Tiene con la
destra l’ampia gonna che poggerà, con un rigonfiarsi
dinamico, sulla cavalcatura. La figurina proviene dalla
famiglia dell’autore del Monumento al Principe
Amedeo e rappresenta un suo momento di adesione
garbata alle eleganze del movimento liberty.
NELLA MEDAGLIA,
UN “MONUMENTO DA TASCA”
Caratteristica per la possibilità di essere emessa
anche da privati, la medaglia è un prodotto della
fusione che nella storia ha acquisito un grande prestigio. Ne consegue che essa alimenta una passione
collezionistica ben connotata ed attiva.
L’evoluzione della tecnica della fusione vi consente
un nuovo modo di sentire il rilievo,
l’approfondimento del tratti psicologici nei ritratti, la
rappresentazione prospettica e anche una ricca
ambientazione spaziale. Fin dal Rinascimento grandissimi artisti hanno modellato e fuso medaglie.
La medaglia è uno strumento di comunicazione capace di documentare in modo piacevole e permanente
le occasioni per le quali viene realizzata e che, nel
caso di eventi importanti come l’inaugurazione dei
monumenti, è stata sempre fortemente celebrativa.
Nell’ottocento sotto l’influsso francese in Italia l’arte
della medaglia ha una particolare fioritura che consente a questo ‘monumento da tasca’ di comparire, firmato da grandi artisti, come un oggetto ricercato
anche in occasione delle grandi esposizioni.
Nella collezione Sperati è presente un medaglione
dedicato al monumento al Padre della Patria, re
Vittorio Emanuele II. È un omaggio all’attualità storica di quel grande evento che fu, nel 1899,
l’inaugurazione - all’incrocio del viale del Re con la
nuova arteria dedicata a Galileo Ferraris - di un monumento dalla precisa funzione urbanistica, tra due
corsi alberati, sullo sfondo delle Alpi, nell’area un
tempo occupata dalla piazza d’armi. Celebrava, per
volere di Umberto I, in Torino, la figura del padre,
primo sovrano dell’Italia unita, tumulato a Roma nel
Pantheon.
Edoardo Rubino (attr.)
Medaglione raffigurante re Vittorio Emanuele II
Bronzo, diametro cm. 20.
L’analogia con alcune medaglie in collezioni privatein particolare quella esaminata nella collezione di
Marco Albera a Torino- suggerisce l’attribuzione ad
Edoardo Rubino che là vi è indicato nel giro a sinistra con le lettere RUBINO MOD mentre a destra compare la scritta CANTU DIS. È verosimile che anche il
medaglione Sperati - sul quale nel recto le scritte
non sono tracciate - sia stato fuso per
l’inaugurazione del Monumento a Vittorio Emanuele
II di Pietro Costa, il 9 settembre 1899. Rubino aveva
disegnato anche la cartolina commemorativa della
manifestazione. La medaglia citata reca sul verso lo
RICOR stemma
di Torino
col
cartiglio
DO / INAUGURAZIONE / DEL MONUMENTO / AL PADRE / DELLA
PATRIA/MDCCCCIC. Nel medaglione la figura massiccia
e sanguigna del sovrano che diede l’unità alla patria
si delinea con evidenza. Lo sguardo fiero, la barba
fluente e i famosi mustacchi rialzati ne sottolineano
l’aspetto fisico che manifesta il carattere fermo e
deciso, quello che gli permise di mettere in atto la
41
MONUMENTI DA CAMERA
I BRONZETTI SPERATI
I bronzetti Sperati si mostrano spesso leggeri, di fusione sottile; hanno patine diverse, di sfumature molteplici; contengono scritte, date, firme talora di grande interesse. Infine sono quasi tutti in ottimo stato di conservazione. In un panorama tematico che cerca di guardare al collezionismo e agli aspetti sociali, abbiamo scelto
un percorso che va dal pubblico al privato, dal mondo
della strada, della piazza, del giardino, all’intimità della
casa. Ci auguriamo che l’immagine che desideriamo
offrire susciti poi quelle indagini specialistiche e quelle
ricerche che il nostro volonteroso ma sintetico approccio qui non è in grado di produrre.
IL MESSAGGIO EROICO
C. Ferro,
La signorina
Luisa Sperati,
donatrice al
Consiglio
regionale,
nel 1980,
della collezione
raccolta
dal padre 1903.
Olio, cm. 62x78.
42
Il complesso eclettismo di forma e di contenuto che si
sviluppa nella seconda metà dell’ottocento è ravvisabile nei bronzetti Sperati che mostrano i grandi scultori
tentati dalle molteplicità dei temi allora in voga.
Diversità e ricchezza di generi, soggetti e stili paiono
alternarsi: vanno dallo storicismo di ascendenza
romantica all’animalistica passando per la rappresentazione equestre molto spesso presente nei monumenti
s
t
o
r
i
c
i
.
Anche l’attualità suggerisce toni oratori, mentre il
naturalismo del nudo, condotto fino all’ironia e svolto
in diversi modi d’arte si accosta ad immagini danzanti,
a figurine popolari d’oriente e di occidente e alle
scene di genere che toccano l’infanzia, l’adolescenza
in presenze alla moda. L’eco della monumentomania
ottocentesca si coglie, quando il messaggio che
l’artista pose nel percorso della città compare in
dimensioni ridotte adattato allo spazio domestico nel
quale ora esprimerà il suo sogno di gloria.
Davide Calandra
Guerriero gallo
Bronzo, altezza cm. 21.
Armato di una lunga asta che reca al sommo un trofeo
guerresco, le braccia aperte e le gambe riccamente
calzate, il personaggio leva il volto barbato ben connotato sotto il cimiero quasi a segnalare la consonanza divina della sua prossima azione. Sul petto ha una
forma attorta, forse un serpente augurale. Sulla base di
marmo rosato la figuretta appare preziosa e ricorda da
vicino quella che orna, a Superga, il monumento a
Umberto I di Tancredi Pozzi.
43
Gian Battista Forchino
Orologio a pendolo con scultura:
Sardanapalo rapisce una vergine
Bronzo, altezza cm. 57. Firmato: G.B.Forchino. Orologio di Leroi.
Secondo Diodoro Siculo, Sardanapalo, ultimo di trenta
sovrani e il più effeminato di tutti, visse fra i piaceri e
la lussuria. Dante Alighieri dice“non era giunto ancor
Sardanapalo a mostrar ciò che in camera si puote”.
I canti che “il lombardo pungean Sardanapalo” riferiti da Ugo Foscolo all’opera del Parini che rappresenta il “giovin Signore” “d’ozi beato e di vivande”
mostrano la persistenza della tradizione su questo personaggio, descritto in una tragedia da Byron e in un
quadro da Delacroix che ne rappresentò la morte. Berlioz gli dedicò una cantata, altri dei melodrammi e W.
Mayer un’ouverture.
Nel bronzetto, sopra la mostra d’orologio a cifre romane di un design che allude alle opere di Mackintosh, il
sovrano, assiso su un divano-trono con figure leonine,
sostiene il corpo esanime di una donna dal peplo pieghettato, i lunghi capelli sparsi, il braccio abbandonato. Levando al cielo il volto barbato, Sardanapalo sembra auspicare perdono per la violenza perpetuata. È
un’opera dalla patina dorata, piena di pathos; si concreta in un oggetto tipicamente da camera, adatto a
trionfare su una consolle o un buffet.
44
Andrea Verrocchio
Monumento equestre a Bartolomeo Colleoni
Bronzo, altezza cm. 57.
L’opera riduce a monumento da camera i famosissimi
cavallo e cavaliere modellati dal maestro di Leonardo,
Andrea di Cione detto Verrocchio. L’originale si trova
nel campo di San Zanipolo (dei Santi Giovanni e
Paolo) a Venezia e fu ripetutamente ritratto nelle
vedute veneziane.Tra le altre quella che recentemente è approdata a Torino nello Scrigno della Fondazione Gianni e Marella Agnelli al Lingotto è ascritta ad
Antonio Canal detto il Canaletto.
Il bronzetto rende bene l’anatomia nervosa del cavallo e le famose fiere fattezze del condottiero bergamasco la cui cappella funeraria a Bergamo alta è una
famosa meta di turismo d’arte. L’opera fu presentata
dal Micheli di Venezia e dal Pandiani di Milano nell’Esposizione del 1898.
45
Odoardo Tabacchi
Michelangelo
Bronzo, altezza cm. 56. Firmato: O.Tabacchi
La figura del famoso artista si impone per
l’atteggiamento pensoso, l’ampia zimarra ricamata, i
calzari curati. Ha in mano una pergamena appena srotolata.
Forse sta per porgere ad un importante committente
(il Pontefice) un progetto impegnato. Pur nella dimensione contenuta, l’opera esprime una nobiltà di tratto
ed una monumentalità degne del nome del
Buonarroti.
46
Odoardo Tabacchi
Arnaldo da Brescia
Bronzo, altezza cm.57. Firmato O. Tabacchi. Timbrato
Fonderia E. Sperati.
La figura del monaco riformatore, che ha ispirato nell’ottocento opere letterarie come la tragedia di G. B.
Niccolini (1843), è analizzata con un modellato sensibile e fratto. Il volto severo, la capigliatura mossa, le
bellissime mani protese sottolineano una figura drammatica che propone, in un medioevo ancora travagliato dalle lotte religiose, un messaggio aperto di fratellanza.
La statuetta è la riduzione del famoso monumento che
sorge a Brescia in Piazza Arnaldo, un’opera fusa dallo
Sperati che rese il Tabacchi giustamente famoso.
Recentemente un esemplare di questo bronzetto è
comparso in private aste per le quali è stato valutato
da 4 a 6 milioni di vecchie lire.
47
Davide Calandra Catamantaledes
Testa di guerriero gallo
Bronzo, altezza cm. 30.
L’opera datata 1881 e firmata D. Calandra è una replica di quella esposta al Circolo degli Artisti nel 1880,
allora di proprietà del Museo Civico di Torino.(cfr.
Corrado Ricci D.Calandra scultore, Milano, 1916).
Ritrae una testa vigorosamente plastica, in atto di gridare. Il cimiero è quello ritrovato negli scavi archeologici dal padre dello scultore, il Cav. Avv. Claudio
Calandra, inventore, fra l’altro, di un apparecchio per
l’estrazione di acque sotterranee e noto archeologo.
48
Gili (?)
Piccolo Napoleone
Bronzo, altezza cm. 11.
“Loreto impagliato, il busto d’Alfieri, di Napoleone…”. Nei salotti fin de siècle ancora permangono tra
le “buone cose di pessimo gusto” di memoria gozzaniana, le immagini dei personaggi storici di spicco:
qui, sulla base decorata con piccole sfere, la piccola
statua dell’empereur si erge nella sua tipica posa, morbidamente avvolta nella luce.
Ignoto
Piccola testa di Garibaldi
Bronzo, altezza cm. 15.
Su un appoggio di marmo variegato, la piccola scultura, trattata con valori plastici sintetici, offre una
espressività che la luce sottolinea appena. Sotto il
massiccio copricapo, il volto barbato sembra accennare ad un sorriso. La tecnica sommaria e la ricca
espressività fanno pensare all’opera di Medardo
Rosso.
49
L’ATTUALITÀ STORICA
Agostino Marazzani Visconti, conte (?)
Monumento equestre di Amedeo di Savoia, duca
d’Aosta
Bronzo, altezza cm. 47,5. Firmato Marazzani e datato
1892.
Il gesto forte, lo sguardo fiero, lo scalpitare impaziente del cavallo con la testa inarcata, la coda levata, caratterizzano questa piccola scultura dedicata al personaggio eroico più famoso nel 1902. Forse è la ripresa
di un bozzetto per il concorso che ebbe luogo più di
dieci anni prima.
50
Odoardo Tabacchi
Alfonso Lamarmora
Bronzo, altezza cm. 70.
Tipico monumento da camera,questa statuetta esprime
nella figura alta e slanciata dell’eroico militare, più volte
ministro della guerra e già capo del governo - qui ritratto in riposo, con la feluca in mano e la sciabola abbandonata sul fianco - tutto il rigore di un Piemonte“mezzo
caserma”. Nel bel volto espressivo s’addensano pensieri che la ruga verticale sulla fronte sottolinea: spettarono a lui le decisioni importanti e la guida della guerra
di Crimea che, vittoriosa, gli procurò le numerose decorazioni che la sua statua reca sul petto.
51
Davide Calandra
Dragone del Re
Bronzo, altezza cm. 64.
È un’opera famosa del vincitore del Premio degli
Artisti alla Quadriennale del 1902. Più volte esposta,
rappresenta un dragone in sosta con stendardo e tricorno. La figura del cavallo, molto curata è massiccia,
i finimenti descritti con minuzia sottolineano la ricerca costante dei particolari che animò anche l’audace
impressionismo del basamento del monumento al
principe Amedeo al Valentino, l’opera vincitrice del
Premio più volte citato.
52
Emilio Sperati (fusore)
Cavalleggero in ricognizione
Bronzo, altezza cm. 48.
L’esercito a cavallo offre spesso occasione di spettacolari monumenti da camera. Ben equipaggiato, - con
coperta, moschetto, sciabola, copricapo - questo cavalleggero è in attesa di scoprire qualcosa. Lo sottolinea la
posa erta in avanti su un cavallo i cui muscoli, tesi nell’attenzione di scoprire posizioni nemiche, confermano
il momento dell’attesa ricognizione.
53
Zeffirino Carestia
S. M. Umberto I a caccia in Valsavaranche
Bronzo, altezza cm. 66.
Ritratta in abito borghese di cacciatore, il feltro calcato sul capo, l’alta figura del secondo sovrano dell’Italia
unita ricorda qui la passione che egli ebbe in comune
con il padre, di cui restano a testimonianza le rotte e
le case di caccia nei Parchi del Piemonte in cui i due
sovrani amarono sostare per le lunghe e mirate battute a cui presiedette una organizzazione di assistenza
che nelle valli d’Aosta, in quelle di Lanzo, nel Cuneese
ancora oggi le popolazioni ricordano, aggiungendo
spesso qualche aneddoto rimasto altrettanto famoso.
L’opera fu presentata dallo Sperati nell’Esposizione
del 1898.
54
Leonardo Bistolfi
Targa tombale dedicata a Cesare Lombroso
Bronzo, altezza cm. 11,5.
Nell’opera del famoso artista casalese la scultura cimiteriale ebbe parte determinante. Egli sviluppò le
immagini della memoria creando un nuovo stile che
condusse avanti negli anni.
Bistolfi frequentò a Torino il salotto della casa di Cesare
Lombroso - professore di medicina legale e igiene pubblica (dal 1876) di psichiatria (dal 1896) e di antropologia criminale ( dal 1905) - e fu incaricato nel 1921 di
realizzarne a Verona il monumento nella città che a
Lombroso diede i natali. Nella Gipsoteca di Casale
Monferrato vi sono il bozzetto ed un curioso particolare del modello con la figura del‘Pensatore’dal volto corrucciato sotto gli occhialini da ricercatore.
La placchetta della collezione Sperati procede da un
classicismo di base, leggibile ancora nella pensosa
figura centrale che indica l’equilibrio della scienza:
esso si attenua e si anima di forme espressionistiche
nelle figure ai due lati che ricordano l’opera importante del Lombroso: a destra sembra prevalere una
malinconia maniacale mentre a sinistra le figure, accavallate e discinte, esprimono tutta la violenza e la tragedia di una mente sconvolta.
55
Giuseppe Grandi
Cesare Beccaria
Bronzo, altezza cm. 50.
L’immagine di uno dei massimi rappresentanti dell’illuminismo italiano, è presente nelle aste londinesi degli
anni novanta nel novecento (3900-5400 sterline presso
Phillips,London il 30-6-92;6 milioni di vecchie lire presso Christies il 21-6-92). Fu il pensatore che contribuì
con efficacia all’annullamento della pena di morte -in
una lucida critica ai metodi giudiziari del tempo- con
l’opera “Dei delitti e delle pene” pubblicata anonima a
Livorno nel 1764. Da sua figlia Giulia e dal gentiluomo
Pietro nacque Alessandro Manzoni. Nel bronzetto
Sperati un Cesare Beccaria (Milano 1738-ivi 1794) dalla
figura pensosa, dall’acconciatura ancora vagamente settecentesca, china il capo. Una zimarra floscia copre
l’abito sdrucito, i piedi calzati all’antica. Lo scultore
Grandi appose, sul basamento, il nome del personaggio. L’opera fu presentata nella Esposizione del 1898.
Francesco Confalonieri
Alessandro Manzoni
Bronzo, altezza cm.29.
L’autore, insegnante di scultura nella Accademia di
Brera,scolpì l’immagine di Alessandro Manzoni a Lecco,
nel 1891.Il bronzetto ricorda i tratti dello scrittore anziano, affaticato dal lungo studio e dalla meditazione “in
appoggio e perfezionamento alla poesia romantica”.
Il naso affilato, il volto pensoso, assiso su un modesto
scranno, il romanziere più celebre dell’ottocento italiano è rappresentato con una immagine familiare e casalinga che ricorda le soste in alcune famose dimore, in
particolare a Brusuglio. L’aspetto pensoso richiama alla
mente un famoso aneddoto.Quando gli scrittori di belle
speranze inviavano a Manzoni i loro romanzi per averne
un giudizio, egli dopo averli accuratamente letti, aveva
per tutti una unica risposta che era anche un consiglio:
“Pensarci su!”.
56
Emilio Sperati
Targa del 1901 Spedizione al Polo Nord
(su disegno di Celestino Fumagalli?)
Bronzo, altezza cm. 23,5.
La spedizione al polo Nord, diretta da Luigi Amedeo di
Savoia duca degli Abruzzi, prevedeva la partenza di tre
gruppi con slitte. Fu scelta la nave baleniera norvegese che, battezzata Stella polare, divenne parte della
marina italiana. Partì il 12 giugno 1899 da Cristiania
(Oslo) diretta ad Arcangelo dove attendevano i cani
siberiani che avrebbero trainato le slitte. Il 30 giugno
la nave ormeggiava nel porto. Così Luigi Amedeo di
Savoia ricordava - in una conferenza tenuta a Roma il
14 gennaio 1901 sotto gli auspici della Società
Geografica Italiana che conferì al Duca ed a Umberto
Cagni la medaglia d’oro - la partenza per il lungo percorso sui ghiacci e l’incontro con quei generosi animali. (cfr.Dal Polo al K2 Sulle orme del Duca degli
Abruzzi 1899-1954, Torino Museo Nazionale della
Montagna 22 febbraio - 6 maggio 1984). ”In un
recinto lungo una ventina di metri e largo dieci
giacevano i cani attaccati uno per uno, con catene, a tavole fissate sul suolo. Il nostro arrivo fu
salutato da un abbaiare furioso(…) Ve ne erano di
tutti i mantelli: neri bianchi, giallognoli, con pelo
corto e lungo, orecchie piccole e dritte, larghe e
cascanti. (…) Lo stato di magrezza (…) mi fece
scrollare le spalle per il doloroso pensiero che
giammai quegli animali avrebbero potuto compiere 1200 miglia trainando tutto il necessario per
la spedizione(…) Resistenti alle fatiche, non avendo bisogno d’acqua per bere, chè un po’ di neve
spegne la loro sete, vivendo di una piccola tavoletta di pemmicam, quando questa c’è, e quando non
c’è facendone anche a meno per alcuni giorni,
mangiando il loro simile senza difficoltà, non soffrendo il freddo, sempre disposte al lavoro, quelle
bestie (…) hanno mostrato quanto valevano e
57
d’essere il solo e vero elemento di aiuto all’uomo
in una spedizione sui ghiacci”.
Al termine della vittoriosa spedizione - era il gennaio
1901 - si organizzavano “onoranze popolari piemontesi ai valorosi esploratori”, come dice la scritta della
placchetta dedicata da Fumagalli a Sperati. Sotto lo
stemma sabaudo affiancato da panoplie con gli strumenti della spedizione, si svolge, circondata da una
corona di ghiaccio, su più piani, una descrizione dei
momenti salienti dell’impresa, con le navi rompighiaccio, l’attrezzatura delle slitte coi cani, la sistemazione delle tende, inframmezzate da cime a nodo di
Savoia, fronde di alloro e bindelli che, in pieno stile
‘nouille’, anticipano le eleganze nastriformi del 1902.
58
L’ELEGANZA DEL NUDO
Con l’esaurirsi del classicismo, la tradizione accademica
del nudo nella scultura venne progressivamente a diminuire di importanza pur rimanendo come fondamentale
esercizio nelle scuole libere delle Accademie.Tuttavia un
aspetto rilevante della Scapigliatura ripropose l’analisi artistica del corpo maschile,femminile,infantile.Essa confluì,
con rappresentazioni particolarmente garbate,nelle figure
del realismo, impreziosì le immagini simboliste e, con particolari ironie si fece avanti nelle forme plastiche più vicine al gusto liberty. Il ‘monumento da camera’ per la sua
stessa natura favorì la prestanza di questi nudi che la collezione Sperati offre in diverse e provocanti edizioni.
Odoardo Tabacchi
La sveglia
Bronzo, altezza cm. 70.
L’orologio è mancante, ma il trofeo che lo circondava
resta sospeso a ricordarne la presenza con la classica
figura di Pan con la siringa nella sinistra ed un ramoscello, forse d’ulivo, nella destra.A lui s’appoggia appena la figura dolce di una ninfa addormentata, semisdraiata sulle pieghe di un peplo. L’insieme è di quasi
stucchevole bellezza e la morbida patina gli conferisce
particolare affinata sensualità. È un paradigma di scultura da camera, denso di valori formali da apprezzare.
Ignoto (o L.Bistolfi ?)
Nudo reclinato
Bronzo, altezza cm. 35. (foto a pag. 7)
Raccolto in se stesso il giovine nudo appare delineato in
una falcata che lo rende affascinante. Oltre ad una patina
scura,presenta molte incrostazioni verdastre che rendono
ancora più suggestiva la sua piccola presenza statuaria.
Appartiene verosimilmente all’opera giovanile di un maestro sensibile,creata quando gli insegnamenti accademici
costituivano ancora un forte motivo di ispirazione.
59
Gian Battista Forchino ed Emilio Sperati
Il varo della nave
Bronzo, altezza cm. 56.
Un piccolo raffinato guscio ornato di serti di fiori,
dalla ricca polena, è trattenuto da una figura ignuda
di donna che, nello sforzo di sollevare il naviglio,
lascia cadere un manto. Lungo le pareti del guscio è
descritta a bassissimo rilievo, la forza remigante di
una ciurma. Due diverse tonalità di bronzo, più dorata quella del corpo ignudo, conferiscono all’opera
particolare fascino.
Il bronzetto dello scultore torinese Giovanni Battista
Forchino, - di chiaro carattere simbolista - costituì nel
1933 il Trofeo della Società dei Canottieri Armida che
ne conserva una redazione più completa, con la
Vittoria ritta a prua. Essa è stata presentata con il n.
47 nella mostra Trofei 1882-1963 Premi delle
Società Sportive Torinesi presentata a cura di
Alfonso Panzetta al Circolo degli Artisti dal 19 dicembre 1999 al 30 gennaio 2000. Con questa splendida
rassegna, voluta fortemente dal Circolo, venne presentato un patrimonio storico artistico quasi sconosciuto: quello dei trofei ideati da grandi artisti, preziose testimonianze di vita sportiva, prodotte da un
artigianato di eccezione.
Odoardo Tabacchi
Bagnante La spina nel piede
Bronzo, altezza cm. 37. (foto a pag. 3)
La celeberrima figurina che presenta un nudo appena velato da un costume da bagno della Belle
Epoque, si volge ad estrarre una spina di riccio da un
piede. Poggia con posa estremamente aggraziata su
uno scoglio di cui si intravvede la natura scagliosa ed
irta. L’alta crocchia che la donna porta sul capo allude ad una ricca capigliatura, raccolta nel momento
del bagno.
60
Cesare Biscarra
In mutande
Bronzo, altezza cm. 28.
La moda esige ancora vesti lunghe alla caviglia, busto
capace di costringere il torace al vitino di vespa,
camicie e gonne ricche di ricami e piegature. Ma le
mutande coprono dalla vita al ginocchio il déshabillé e la signora, pronta quasi ad uno sbadiglio, non
pensa certo che così l’artista l’ha voluta sorprendere. Proprio come accadeva a Parigi negli atéliers di
Degas, Renoir, e nelle garçonnières della Belle Epoque. Secondo il gusto di un’epoca appena aperta ad
una misurata trasgressione, questa opera si pone al
centro della mostra come ossimoro di una realtà
singolare e preziosa.
Giacomo Ginotti
La schiava
Bronzo, altezza cm. 28. (foto a pag. 33)
Molto riprodotta è questa celebre figura di donna ignuda in catene. Si appoggia ad un sostegno drappeggiato,
abbassa il volto pudico sotto un grande turbante che
ne racchiude la ricca capigliatura.La patina, calda e
lucida, conferisce particolare sensibilità all’opera.
61
Cesare Biscarra
Calamaio figurina
Bronzo, altezza cm. 22. Datata 1911.
Anche il più modesto oggetto quotidiano può assumere, per opera di uno scultore capace, un valore di
monumento significativo. È il caso di questo calamaio
rotondo che, come una vera da pozzo, reca sulle pareti esterne dei rilievi dinamici.Accanto ad un vaso, utile
a reggere il pennino, la figuretta modellata morbidamente si slancia in un gesto di danza, mentre con la
sinistra solleva uno specchio.
Giovanni Battista Forchino
Timbro macabro
Bronzo, altezza cm. 20.
Preda di un viscido piccolo mostro, il nudo riverso
mostra un volto quasi esanime, dopo l’assalto di cui è
stato vittima.Alla base, tre scimmiette mimano i rituali: “non vedo, non sento, non parlo”. Fare un timbro
con questo soggetto è un operazione molto ardua e
provocatoria e nella collezione Sperati costituisce un
interessante unicum.
62
Leonardo Bistolfi
Souvenir di Venezia
Bronzo, altezza cm. 33.
La elegante figuretta ignuda si circonda di nastri svolazzanti, proprio come le allegorie delle arti applicate
nel famoso manifesto per l’Esposizione del 1902 (a
pag. 23). Tiene fra le mani un leone di San Marco che
giustifica il titolo dell’opera. L’acconciatura à bandeaux è tipica degli anni intorno al 1902.
63
Antonio Carminati
Tentazione Busto di donna
Bronzo, altezza cm. 41.
Anche questo busto femminile si avvia sui percorsi di
una sensualità trasgressiva. In un’epoca in cui la
donna abbigliata non si presentava mai senza copricapo ed abito alla caviglia, il gesto ritroso ed insieme
avvincente di questa modella mostra tutta la sottile
partecipazione del suo autore alle nuove istanze di un
gestire provocante.
Ignoto
Donna nuda con asciugamano
Bronzo, altezza cm. 16,5.
Il tema del bagno, così caro agli impressionisti e ai
postimpressionisti, qui si impone con un gesto appena velato di ritroso pudore, quando la figurina stringe
al collo la salvietta che ne cela le nudità.
64
Arturo Stagliano
Testa di donna
Bronzo, altezza cm. 35. Inciso a stampatello E.Sperati.
Un analogo bronzetto è stato messo all’asta a Roma
nel maggio 1989 presso Christies.
Qui l’opera è animata da un naturalismo che la distingue da altre. Abbandonato con le palpebre quasi socchiuse, le labbra sensuali appena serrate, questo volto
di donna mostra una capigliatura nuova, quasi ‘alla
maschietta’, tipica degli anni venti.Anche la luminosa
superficie del collo e delle spalle allude ad un diverso
più naturale e libero modo di intendere il nudo.
65
Schuss (?) (o Susse Albert, fonditore?)
Baiadera Scultura svestibile
Bronzo, altezza cm. 30.
Il personaggio potrebbe far ascrivere l’opera tra le
sculture di gusto esotico se l’accorgimento messo in
atto dallo scultore non conducesse subito a svelare la
statuetta che all’interno di un abito ricco e pesante,
ma apribile, permette di vedere il corpo nudo della
danzatrice. Chi mai fossero queste baiadere ci è svelato da un testo della fine dell’ottocento. Le baiadere del
Sudan “appaiono nude in tutta la bellezza delle loro
forme scultorie che spiccano ancor più artisticamente pel colore di bronzo o di lucido ebano della
loro pelle. Solo le copre, o per meglio dire fluttua
intorno ai loro svelti e ben torniti fianchi, il tradizionale rahad sudanese. (…) Le baiadere sudanesi
non intrecciano danze per gruppi, eseguiscono le
loro danze (…) una per una (…) assumono pose
graziose, provocanti, sempre artistiche e di tratto in
tratto accompagnano le movenze della danzatrice
con cadenzate percussioni di mani, con cantilene, o
con esclamazioni”. (G.Godio Vita africana Ricordi
di un viaggio nel Sudan Orientale, Milano, 1883 citato in Argenti Beduini Costumi e tradizioni arabe nel
deserto d’Africa a cura di M. L. Moncassoli Tibone,
Torino, s.d.).
Resta nella Collezione Sperati la malizia piacevole del
bronzetto svestibile, una assoluta novità per l’epoca.
66
Gian Battista Forchino
Tiratore d’arco Colpo fallito
Bronzo, altezza cm. 50. Timbrato: Fonderia Sperati
Emilio Torino.
Il giovinetto non è riuscito nella gara: la fanciulla si
volge a consolarlo con un semplice gesto di conforto.
Il bronzetto presenta le due figure adolescenti, i due
esili corpi accostati con la semplice pudica eleganza
di un segno plastico magistrale.
67
COSTUMI ESOTICI E TRADIZIONI POPOLARI
L’orientalismo è un fenomeno che serpeggia nelle arti
e conferisce alle opere il fascino del raro, dell’esotico,
ricuperabile una sorta di viaggio dello spirito, ogni
qualvolta ci si presentano forme e ambienti inconsueti. Accanto al colore d’Oriente, nei bronzetti Sperati
ecco altri usi e costumi vicini e lontani: offrono a chi
si accosta a queste sculture la variegata presenza di
immagini garbate alle quali anche grandissimi scultori
- si pensi a Troubetzkoy, a Biscarra, a Rubino - hanno
dato corpo.
Ernesto Bazzaro
Cammello nel deserto
Bronzo, altezza cm. 58.
Un vecchio animale - in realtà pare un dromedario reca in groppa una sella a gualdrappa molto decorata.
Sopra una donna, un po’ velata, con un bambino in
braccio, che sta allattando, s’accuccia, disponendosi
ad un lungo percorso. Nel “modellato pittorico di
ascendenza scapigliata” (Panzetta) i valori plastici
fratti, i decori svolazzanti richiamano il vento del
deserto, croce e delizia di tutti i viaggiatori.
68
Ernesto Bazzaro
Beduina, portatrice d’acqua
Bronzo, altezza cm. 42.
L’amico più caro a Sperati mostra una rara capacità
interpretativa del mondo delle tribù. Ampiamente
ricoperta di pesanti tessuti, la donna reca sul capo una
conca riversa, tipica dei prodotti di rame in uso nel
deserto. Si ritrova qui il fare plastico già notato, ricco
di ombre e di pieghe, che conferisce all’opera un tono
espressionistico.
69
Eugenio Alexandronovic Lanceray
L’addio del cosacco
Bronzo, altezza cm.42. Alla base il nome dell’artista in
cirillico e la data 1878.
Del noto artista francese di origine russa quest’opera mostra il garbato naturalismo e il valore affettivo
istantaneo che si coglie nell’abbraccio del cosacco
alla piccola donna che appare per un attimo quasi
appesa al suo collo possente. Anche il muso del
cavallo sembra partecipare con le froge levate all’emozione del commiato.
Inserita nella cultura internazionale di fine ’800
l’opera di Eugenio Alexandronovic Lanceray inaugura
un momento significativo dell’orientalismo che penetra il mondo della Santa Russia e lo propone con una
particolare attenzione anche alla ricerca animalistica.
In questa condizione d’arte, espressa con efficacia
dalle fusioni in bronzo, Lanceray si accosta all’attività
del connazionale Paolo Troubetzkoy.
70
Davide Calandra
Testina spagnola
Bronzo, altezza cm 33.Timbro della fonderia sul pettine.
Un volto pensoso dalle labbra sensuali sotto il casco di
una ricca capigliatura arricchita dal caratteristico pettine. In raffinata posa di tre quarti questa immagine
completata dai pendenti alle orecchie e sostenuta da
un solo perno sulla base di marmo variegato, ben rappresenta un ricco momento espressivo del suo autore.
L’opera fu presentata nella Esposizione del 1898.
71
Edoardo Rubino
La Gressonara
Bronzo,altezza cm.52.Firmato e datato Rubino 1897 (?).
Tra i costumi delle Valli d’Aosta, quello di Gressoney è
particolarmente decorato come mostra il copricapo
di questa giovinetta, ritratta sospesa e quasi esitante
come in un attimo di attesa. Anche questo bronzetto
fu presentato nella Esposizione del 1898. Fu tra le
opere di maggior successo dello Sperati che, note per
essere già state esposte al Circolo degli Artisti, in quella sede si sono maggiormente affermate come “squisite e felici” creazioni.
Edoardo Rubino
La Pragelatina
Bronzo, altezza cm. 21.
Molto più severo e chiuso, il volto di questa donna
della montagna sembra serbare, sotto la coiffe ampia e
decorativa, il rigore e l’indipendenza degli Escartons,
le repubbliche montane che rivendicarono nei secoli,
l’autonomia delle genti.
72
Ignoto
La Brianzola
Bronzo, altezza cm. 23,5.
Il lungo collo e il décolleté ampio e quadrato impreziosiscono un volto ridente di naturale presenza
sotto la semplice capigliatura ornata da un decoro
ricco e pieghettato, fissato con grandi spilloni. Una
Lucia Mondella ancora felice che s’avvia all’eleganza
del Liberty, ravvisabile nel costume vivacemente plastico sul basamento in marmo variegato.
Francesco Confalonieri
Lucia
Bronzo, altezza cm. 17.
Chino il volto pensoso, avvolta nella sciarpa, un solo
accenno al costume secentesco nelle maniche dal
taglio elaborato, questa Lucia sembra proprio in procinto di dare l’Addio ai monti sorgenti dall’acque ed
elevati al cielo... Il bronzetto esibisce una splendida
patina ed un modellato fortemente espressivo.
73
Giulio Branca
Barcarola
Bronzo, altezza cm. 39.
Una figura di giovinetta, la frangetta sulla fronte, sotto
il fazzoletto. Puntando il piede, sta remando con foga.
Il frammento della barca su cui poggia è investito da
un’onda la cui plastica vivace fa riscontro al movimento delle vesti. Un’opera nel complesso molto interessante per la rappresentazione dinamica e per
l’immediatezza psicologica.
Cesare Biscarra
“Dumie na cupa” Cacciatore con cane
Bronzo, altezza cm. 49.
Una sosta prima e durante la battuta: una buona
bevanda corroborante ed anche incoraggiante, un
modo di resistere ai rigori delle prime ore mattutine.
Al cacciatore riverso nell’atto di dissetarsi, fa riscontro
il cane a sua volta alla ricerca di qualcosa di cui cibarsi. Una scenetta di genere molto istintiva e calata nella
realtà che testimonia quella corrente di garbato realismo e di rappresentazione naturalistica che percorre
i primi decenni del secolo ventesimo.
Paolo Troubetzkoy
Izvozcik (Cocchiere) La slitta
Bronzo, altezza cm. 42. (foto a pag. 37)
All’elegante curva dell’antica slitta da città fa riscontro
la sagoma appesantita e rassegnata del cavallo, bardato con cura e trattato con un modellato impressionistico. La figura del vetturino in attesa del cliente, reclinato come in preghiera, le mani chiuse in un manicotto protettivo, è testimonianza popolare della vecchia Russia cittadina e modesta.
74
UNO SGUARDO ALL’INFANZIA
L’immagine dei bambini nelle arti, tra ottocento e
novecento ha recentemente avuto una interessante
esegesi nella mostra “Infanzie” aperta nel 2001, auspice la Regione Piemonte, a Palazzo Cavour.
Nella plastica dei bronzetti Sperati le figure infantili
oscillano tra il perbenismo delle bambine - inginocchiate in preghiera o portatrici d’acqua col secchiello
- e la trasgressione impertinente dei maschietti pronti a far pipì davanti a tutti, ad esibire trionfanti la medaglia o la cavalcatura.
Edoardo Rubino
La preghiera
Bronzo, altezza cm. 39.
Il tema dell’infanzia esordisce con questa ragazzina
inginocchiata sulla sedia a rocchetto impagliata: un
arredo tipico degli ambienti di servizio delle case
borghesi a cavallo del secolo. Nota anche con il titolo Le orazioni, la piccola scultura mostra un modellato semplice e schietto che crea un insieme raccolto e silenzioso.
75
Medardo Rosso
Scugnizzo (Gavroche)
Bronzo, altezza cm. 23. Impronta del cartiglio fonderia
Sperati.
Una redazione dell’opera di dimensioni maggiori (cm.
41) è stata venduta nel 1987 dalla Finarte di Milano
per quattro milioni di vecchie lire. Quando l’autore è
importante anche la più piccola immagine diventa
estremamente significativa.
Come questo volto ridente che mostra una dentatura
precocemente rovinata sotto il floscio berretto, trattato con segno forte ed immediato. Un pezzo molto
significativo nel ritrarre la gioia e la miseria, delineate
da una delle firme di spicco nei primi decenni del
secolo XX.
Ignoto
Testina di bimbo
Bronzo, altezza cm. 9. Traccia di un piccolo timbro
Sperati.
L’opera rappresenta con tratti appena rilevati un piccolo protagonista. Ricorda vivamente quelle sculture
da studio che alcuni medici esponevano sulle scrivanie dei loro ambulatori pediatrici. Per la sensibilità plastica questa opera potrebbe essere attribuita ad
Edoardo Rubino.
76
Emilio Sperati (fusore)
Orsolina con il secchiello
Bronzo, altezza cm.34. Firmato e datato E. Sperati
1920.
Non è per gioco che la bambina regge il suo recipiente d’acqua ma, come rivela il piccolo corpo teso
nello sforzo, sta portando un secchio utile alla famiglia. L’abito dimesso, il volto rassegnato, connotano un
ambiente di vita povero, ma dignitoso.
Emilio Sperati
Gina bimba allo studio
Bronzo, altezza cm.52.Timbrato: Fonderia E. Sperati
(foto a pag. 4)
Una bambina ancora, ma già attenta e consapevole del
lavoro del padre. La compostezza della figura presente ma in attesa, esprime l’affettuoso sguardo dello
scultore che vuole ritrarla davvero in modo reale.
77
Giuseppe Grandi
Putto fontana
Bronzo, altezza cm. 24. In corsivo firma dello scultore
e timbro Sperati.
A Bruxelles trionfa, curiosità per i turisti, il Manneken
Pis. Una figuretta trasgressiva di cui questa sembra essere l’antenata. L’opera è ascritta ad un grande scultore
lombardo che conferisce alla posa del piccolo una
spontaneità ricca di apporti psicologici.
78
Cesare Biscarra
“Prima midaia”. La prima medaglia
Bronzo, altezza cm.29.
Con questa opera l’autore esordì nel 1891 alla Società
Promotrice delle Belle Arti: il bronzetto fu lodato da
Bistolfi.Fu presentata nella Esposizione del 1898.
Per lungo tempo ai ragazzini che comparivano con la
medaglia scolastica sul petto, era concesso l’ingresso
gratuito al Teatro Gianduja, il “D’Angennes’ di via
Principe Amedeo. Ciò contribuiva alla fierezza del
bambini decorati, ogni settimana, con questo segno di
merito. Così la piccola scultura descrive un protagonista di questo momento di bravura.
Antonio Bezzola (?) Emilio Sperati (fusore)
Vocazione. Bambino che fa pipì
Bronzo, altezza cm. 20. Timbro fonderia artistica
Sperati Emilio.
Un altro bambino ha inventato un bel gioco: far pipì
mirando un piccolo recipiente. Perduta l’innocenza
del corpo ignudo, il piccolo scugnizzo si concentra
nel gioco senza togliersi neppure il cappello. È questo
il significato della parola Vocazione che compare sul
basamento? L’opera ha una bella patina dorata.
Leonardo Bistolfi
Bambino sul cavallo a dondolo
Bronzo, altezza cm. 43. (foto a pag. 34)
L’immagine celeberrima del giocattolo cavalcato festosamente dal ragazzino - Il figlio dello scultore, Giovanni
- costituisce un brano indimenticabile di racconto
d’infanzia. Il volto finissimo, atteggiato a sorriso soddisfatto, il copricapo di carta piegata, il gesto di sprone
rivolto al cavallino, il dondolo finemente graffito, sono
trattati con una plastica vitale, tipica del periodo centrale di questo importante scultore. La luce, frangendosi sulla superficie fortemente solcata,conferisce fascino
all’opera, rivelando la raffinatezza della patina.
79
Ignoto
Due sigilli con sigla L. S.
Bronzi, altezze cm.11.
La giovinetta dal corpo in boccio e dall’acconciatura
già elaborata si volge in attesa; la bimba dalla lunga
camicia si racchiude in un gesto di infantile pudore.
Segnati dalle iniziali di Luisa Sperati i due sigilli alludono ancora una volta alla presenza affettuosa della figlia
del fonditore artista che egli amò sopra ogni cosa e alla
generosità della quale si deve questa collezione.
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Ignoto
Maria 1901
Targa bronzea, cm. 14x17.
Un piccolo profilo infantile dai grandi boccoli si staglia sulla placchetta accanto a un delicato stelo di
fiore liberty. Il piccolo profilo è delineato in un gesto
tipico della prima infanzia, della quale si intravvede
anche il grembiulino a ricche pieghe.
Chi sia questa Maria non è detto, certo una bimba
amata, descritta con delicata mano di incisore.
81
IL RACCONTO ANIMALISTICO
Fortemente sviluppato dalla bronzistica francese, dove
si ebbero dei veri indimenticabili maestri - da Barye a
Bugatti, da Cartier a Mène - il racconto animalistico si
svolge come s’è detto anche in Italia e gli autori, diversi e variamente operosi, fanno a gara a rendere le immagini di un mondo sempre appassionante.
Giuseppe Giordani
Cane Fido
Bronzo, altezza cm. 68,5.
Una bella immagine dell’animale in attesa, le lunghe
orecchie pendenti e gli occhi intenti nello sguardo
fiducioso apre la sfilata degli animaliers a Torino.
Paolo Troubetzkoy
Il cane del ministro Wuitté
Bronzo, altezza cm. 18. Firma in italiano. Cartiglio
Sperati.
Un riferimento al personaggio politico connota la
bella immagine in attesa. Rivela la bravura e la passione dello scultore russo per la rappresentazione animalistica, che fu proprio lui ad introdurre e favorire
presso i colleghi scultori.
Odoardo Tabacchi
Cagnolino levriero
Bronzo, altezza cm.9,5. (foto a pag. 33)
Pronto a scattare, questo cane appiattisce le zampe
anteriori ponendo in forte risalto le eleganti curve del
dorso e delle zampe. La patina quasi dorata rivela la
cura dell’opera di un artista importante.
82
Gatti (?)
Cane a riposo
Bronzo, altezza cm.16. Piccolo cartiglio della Fonderia
artistica Emilio Sperati.
Accucciato in paziente attesa, questo fedele animale
sembra attendere un segnale del padrone. Una calda
patina pone in risalto i valori plastici della figuretta
preziosa.
Ferruccio Crespi
Cavallino all’abbeveraggio
Bronzo, altezza cm 19. Firmato e datato Crespi 1890.
Timbrato D. Barzaghi FUSE.
L’animale giovane dalla criniera ricercata si disseta in
un momento di sosta che tutto il suo corpo esprime,
offrendosi liscio e morbido alla carezza della luce.
83
Paolo Troubetzkoy
Cavallo della slitta
Bronzo, altezza cm. 20.
Il principe russo riprende qui il tema già svolto, isolando in riposo un cavallo appesantito dal freddo e
dalle fatiche espressione di un approccio sociale e
ambientale significativo nell’opera dello scultore.
Tancredi Pozzi
Tafani molesti
Bronzo, altezza cm. 48.Timbro della Fonderia Sperati.
Un cavallo dalle forme possenti,certo da tiro,si volge in
una sosta a scacciare col muso e con la zampa posteriore destra un insetto insistente. È un bronzetto di resa
ed effetto immediato sulle forme del quale la luce si
frange con effetti particolarmente vivaci.
84
Michelangelo Monti
Elefante
Bronzo, altezza cm. 25. Piccolo timbro della Fonderia
Sperati.
In Piemonte l’elefante fu noto e presente nelle ménagéries reali. Ciò sa lo scultore che rappresenta qui
forse quel famoso Fritz che ebbe una vicenda quasi
commovente a Stupinigi. Le lunghe zanne rivelano un
possente giovane animale; le pesanti zampe mostrano
una cattività rassegnata.
85
Giuseppe Giordani
Camoscio
Bronzo, altezza cm. 23.Timbro con il nome di Emilio
Sperati.
Su una base in marmo rosso d‘Africa una roccia con
un camoscio in vedetta. Immagine classica di montagna in uno dei parchi del Piemonte, sorto dall’abbandono delle rotte delle cacce reali.
Pierre Jules Mène
Piccolo Cervo
Leprotto
Bronzi, altezze cm.12 e cm.7,5. (foto a pag. 38)
Firmati: Mène e con traccia di cartiglio di fonderia.
Sono esempi dell’arte celebratissima di Pierre Jules
Mène che in Francia e in tutta Europa fu artefice conteso per le sue opere, soprattutto per i bronzetti più
minuti in cui s’addensa l’osservazione naturalistica e in
cui si esprime una ricerca tecnica di altissima qualità.
86
NEL RICORDO DI GOZZANO
I BRONZETTI DEL MELETO
“Andai vagando nel silenzio antico
triste perduto come un mendicante
Mezzanotte scoccò, lenta, rombante
su quel dolce paese che non dico.
La luna sopra il campanile antico
pareva un punto sopra un i gigante”
G.Gozzano La via del rifugio Torino 1907
“Il Meleto non va visitato come un museo di antichi arredi e polverosi ricordi ma letto come una
poesia e le sue stanze le si devono sfogliare una
dopo l’altra come altrettante pagine di un libro di
versi: i versi di Guido Gozzano”. (Lilita Conrieri
Guido Gozzano Il Dolce Paese che non dico, II ediz.,
Torino,1996).
Fa eco la voce dei ragazzi di una classe seconda
media di Agliè; “Dalla strada comunale un viale
molto curato punta diritto verso la villa, in mezzo
un tappetino di verde erba, ai fianchi le rose, le glicini e i vecchi meli che diedero il nome alla tenuta. Il cortile della villa è dominato da un’ampia
aiuola con magnolie secolari che fecero ombra a
Guido e che testimoniano l’immortalità della sua
viva voce” (Guida ai luoghi gozzaniani di Agliè a
cura della Scuola Media Olivetti di Agliè, Classe IIB,
Anno scolastico 1977-78). È un invito a varcare il cancelletto del giardino, a guardare la semplice facciata
a capanna affrescata - secondo la moda proprio nata
nel 1902- con esili e raffinati racemi liberty che ricamano una immaginaria grande glicine arabescata. Ma
sentiamo ancora i ragazzi: “Entrando nella sala da
pranzo e nelle sale successive sembra di essere trasportati leggeri e invisibili in una festosa sera di
un secolo felice, in una signorile dimora tra sfarzi
e preziosismi…”.
Nel “salotto di nonna Speranza” dietro “il gran
lampadario vetusto” due bronzetti gesticolanti.
Qui Guido venne a scrivere, a studiare. La bicicletta
gli consentiva di muoversi fino al paese, al castello
sabaudo di Agliè… Si fermava a lungo a vedere i colori del Canavese, quando iniziava la lunga stagione
invernale.
Qualche volta questo spazio gli pesava. Il 12 novembre 1907 - è l’anno in cui viene pubblicata la sua
prima raccolta di versi, la Via del Rifugio, ma è anche
l’anno in cui i medici fanno per i suoi malanni una
diagnosi severa, tubercolosi - Guido scriveva dal
Meleto ad Amalia Guglielminetti: “Sono solo, unico
superstite del Meleto; mio fratello è in collegio, mia
madre è via da più settimane e io sono qui con
l’ultime foglie. Le voglio vedere cadere tutte, prima
d’‘inurbarmi’: ce ne sono ancora tante! Sul frutteto,
sul pergolato, a zone di porpora e d’oro…
D’innanzi a me, nel quadrato della finestra c’è un
tiglio che quest’anno non vuole ingiallire: è ancora
vitale, tutto verde, come la Speranza; credo che la
prima neve lo troverà con tutte le sue foglie… Io e
quel tiglio ci somigliamo un poco…”.
Intorno a lui, nel salotto di gusto Napoléon III, nell’angolo su due mensole ecco, festosi nella gestualità
danzante, due bronzetti: un omaggio alla moda del
tempo. Di là, nello studio altri bronzetti s’appoggiano
sulle étagères, sostengono fiori di lampade.. proprio
dove s’apre il libro più caro allo scrittore. Rimesso
con cura, come si pensa fosse al tempo di Guido,
l’arredo del Meleto riprende tutti i motivi così ben
ritratti dal poeta:
“Penso l’arredo che malinconia!
penso l’arredo squallido e severo
antico e nuovo: la pirografia
sui divani corinzi dell’Impero,
le cartoline delle Bella Otero
alle specchiere..che malinconia!”.
Diciassette anni dopo la morte di Guido un busto in
bronzo, opera di Leonardo Bistolfi fu innalzato al
Agliè, proprio davanti alle scuole. “Nel ricordo degli
ammiratori, amici, concittadini vive” dice
l’iscrizione sul semplice lastrone marmoreo.
87
LA DOCUMENTAZIONE
GLI SCULTORI
Schede biografiche a cura
di Giuliana Brugnelli Biraghi
BAZZARO ERNESTO (Milano 1859-1937), fratello del
pittore Leonardo. Era l’amico più caro di Sperati. È uno
dei protagonisti più rappresentativi della scultura lombarda allo scorcio del XIX secolo. Formatosi a Brera e
legato al movimento della Scapigliatura, fu influenzato
soprattutto dal pittoricismo di Giuseppe Grandi, attratto
anche dalle ricerche luministiche del pittore Tranquillo
Cremona e dagli esiti impressionistici nell’uso del
modellato di Medardo Rosso,formatosi con lui a Milano.
Apprezzato come ritrattista, tratta anche soggetti della
vita quotidiana ed esotici,tipici del gusto orientalista che
incontrava il favore del pubblico nell’Europa del tempo
(Beduina portatrice d’acqua, Donna che allatta sul
cammello in Collezione Sperati) ed è autore di numerosi monumenti per il Cimitero Monumentale di Milano.
Fu anche incisore all’acquaforte.
BEZZOLA ANTONIO (Campione d’Italia (Co)1846Milano1929). Frequenta l’Accademia di Brera sotto la
guida di Hayez, Strazza, Magni. Di quest’ultimo è allievo accanto a Barzaghi con cui realizza il bassorilievo
del monumento a Napoleone III a Milano.
Dopo un’attività nella Fabbrica del Duomo, si trasferisce a Londra dove esegue alcuni busti. Risente nei
monumenti sepolcrali, nei ritratti e nelle opere di
genere, del gusto impressionista scapigliato di
G.Grandi. Espone a Vienna, Londra, Milano dove nella
Galleria di Arte Moderna si conservano sue opere.
BISCARRA CESARE (Torino, 1866-1943), figlio del pittore Carlo Felice. Studia all’Accademia Albertina con
Odoardo Tabacchi e poi passa nello studio di Bistolfi
88
(tra il 1899 ed il 1901). È autore di monumenti pubblici, ma soprattutto si specializza in vivaci figurine e
in piccoli bronzi di animali che espone al Circolo
degli Artisti (1885) e alla Promotrice (1891). Tra i
bronzetti Sperati emergono per intensità: Cacciatore
con cane, Prima Midaia, In mutande, Calamaio
figurina. Con una modellazione pronta e vibrata
l’artista riesce a trasfondere nella creta e da questa al
bronzo, l’espressiva vivacità dei soggetti ch’egli osserva e riproduce dal vero. Nel 1905 presenta a Venezia
“Medina”, ora alla GAM si Torino. Nel 1926 va in
Somalia per alcuni anni e nel 1931 espone a Roma:
Cammello, Elefante, Donna somala.
BISTOLFI LEONARDO (Casale Monferrato, 18591939). È uno degli scultori più importanti e discussi
tra otto e novecento.Fu anche pittore e disegnatore.
Frequenta all’Accademia di Brera il corso di scultura
attratto dai modi impressionistici di Grandi e dagli
artisti della Scapigliatura. Dal 1879 si stabilisce a
Torino - deluso da Giuseppe Grandi che non accettava allievi - e studia all’Accademia Albertina con il
Tabacchi. Nel 1882 apre uno studio per conto suo e
comincia ad eseguire piccoli bronzi di carattere aneddotico (Bambino sul cavallo a dondolo) e si dedica
alla pittura di paesaggio. Nel 1902 con Thovez e
Calandra è tra i fondatori della rivista “L’Arte decorativa moderna” ed è tra i principali promotori della
famosa Esposizione internazionale - che diffonderà
lo stile Liberty a Torino - per la quale egli disegna il
manifesto. Partito dal verismo lombardo dagli anni
Novanta egli si avvicina sempre più al simbolismo
internazionale, facendo un uso particolare dell’allegoria e accentuando il senso lineare e decorativo. Scrive
d’arte, intrattiene corrispondenza con letterati e
poeti - famoso il carteggio con Pascoli - e si dedica
sempre più alla scultura funeraria. Dal 1890 partecipa
attivamente alla vita artistica torinese e frequenta la
cerchia di intellettuali di casa Lombroso entrando in
contatto con la scienza positivista (a Palazzo Lascaris
Targa tombale dedicata a Cesare Lombroso). Tra il
1892 e il 1895 stringe rapporti con i pittori del gruppo divisionista: Previati, Pellizza, Segantini. I numerosi
allievi formatisi alla sua scuola divulgheranno il cosiddetto “bistolfismo”, che degenerò nell’imitazione degli
aspetti più superficiali del decorativismo del maestro.
Una ricca documentazione della sua scultura è conservata nella Gipsoteca di Casale Monferrato.
BORELLI STEFANO (Mondovì ?-?). Autore in collezione Sperati del bronzetto che ritrae il fonditore, è
ricordato come presentatore di opere alla mostra
della Società Promotrice delle Belle Arti nel 1915 e
nel 1918.
CALANDRA DAVIDE (Torino 1856-1915). Allievo di
Tabacchi all’Accademia Albertina. La successiva esperienza da lui svolta nei Reggimenti di cavalleria gli suggerirà gran parte della sua produzione artistica. Dalle
figurette seducenti del periodo giovanile (Fiore di chiostro, Testina spagnola) si volgerà prevalentemente verso
la scultura a carattere storico, in cui si nota
l’osservazione attenta per tutti i soggetti inerenti alla vita
militare:Dragone del Re, Guerriero della Gallia con trofeo bellico, una bellissima testina di Saraceno (1881).
Nel 1892 con il bozzetto vince il concorso per il monumento al principe Amedeo d’Aosta (al quale aveva partecipato anche Bistolfi), che lo terrà occupato per 10
anni e gli procurerà grande fama, onorificenze e incarichi pubblici. In quest’opera, che fu inaugurata nel 1902
in occasione dell’“Esposizione internazionale d’Arte
decorativa moderna”,il verismo della statua equestre del
Duca contrasta con il pittoricismo dei rilievi del basamento esaltante l’epopea sabauda, di evidente influsso
Liberty. È autore di altri numerosi monumenti di personaggi illustri per varie città italiane, a volte portati a termine con la collaborazione di Edoardo Rubino, come
quello del re Umberto I a cavallo,collocato a Roma aVilla
Borghese.
CARESTIA ZEFFIRINO, vercellese (1854-1908). Si perfeziona all’Albertina sotto la guida del Tabacchi e poi
va a Roma. Rappresentante del romanticismo scapigliato di gusto lombardo, è autore di busti, bassorilievi e monumenti. Comincia la sua attività scolpendo le
statue dei Giganti per il monumento del Traforo del
Fréjus a Torino. Molte sue opere sono conservate al
museo civico di Novara, fra cui “Umberto I a caccia
in Valsavaranche”, presente in bronzetto anche nella
Collezione Sperati.
CARMINATI ANTONIO (Brembate di Sotto (Bg) 1859Milano 1908). Studia prima a Brera poi all’Albertina di
Torino con Odoardo Tabacchi, infine a Roma con
Giulio Monteverde. Partecipa al concorso per il
monumento di Dante a Trento (1894) e vince quello
per Giuseppe Verdi a Milano. (1906) Realizza sempre
a Milano diverse opere, lavora nella Fabbrica del
Duomo. Nei suoi ritratti e bronzetti si ravvisano interessi sociali. Del busto di donna “Tentazione”, presente in Collezione Sperati, l’originale fu esposto a
Milano nel 1899.
CONFALONIERI FRANCESCO (Costa Masnaga (Co)
1850- Milano1925). Studia con lo Strazza a Brera, poi è
aiuto di Vincenzo Vela. Dal 1887 è docente di scultura
nell’accademia milanese. Le sue numerose opere pubbliche, molte di soggetto religioso, gli diedero notevole fama. “Mirra”, un’opera tra verismo e sentimentalismo romantico, fu premiata a Milano nel 1879. Oggi è
ivi, nella Galleria di Arte Moderna. Con “Saffo”(1876,
riproposta anche a Torino nel 1884) Confalonieri vinse
il Premio triennale di scultura. L’opera fu acquistata da
re Umberto I che la donò alla sorella, Maria Pia del
Portogallo. Nella Collezione Sperati è suo il bronzetto
che ritrae Alessandro Manzoni.
CRESPI FERRUCCIO (Busto Arsizio (VA), 1861-1891).
Autore soprattutto di opere a soggetto militare e
ritratti di gusto verista. Espone alla Promotrice nel
1884 e in altre città. Nella Collezione Sperati è presente con un “cavallino all’abbeveraggio”.
FORCHINO GIOVANNI BATTISTA (Torino ?-?).
Artista di buon livello, esprime notevoli capacità plastiche ed un’inventiva variegata: doti rilevabili nei
bronzetti Sperati che con il suo nome sono tramandati: l’orologio liberty con la figura di Sardanapalo
che ruba le vergini; lo splendido Trofeo per il canottaggio con il Varo della nave; l’inquietante Timbro
macabro. Dal 1904 espone alla Società Promotrice
delle Belle Arti.
FUMAGALLI CELESTINO (Torino 1864 (1867) –
Milano 1941). Fu orafo, argentiere. Compì gli studi
all’Accademia Albertina con Leonardo Bistolfi.
Divenne scultore richiesto: sua opera fu l’angelo in
rame posto sulla guglia della Mole Antonelliana.
Espose alla Promotrice delle Belle Arti dal 1890 e al
Circolo degli Artisti dal 1893. Ebbe una fonderia in
proprio in cui realizzò diversi bronzi di intonazione
scapigliata, oggi alla Galleria di Arte Moderna di
Milano. Del 1906 è “Libellula” alla Galleria di Arte
Moderna di Torino.
GINOTTI GIACOMO (1837-1897) valsesiano, allievo
di Vela e di Tabacchi all’Accademia Albertina di
Torino, dal 1865 al 1869. Da questi maestri deriva il
verismo sensuale e a tratti pittorico della sua produzione di figurette di giovani donne dalle forme esuberanti. Il tema del nudo e dell’eros andava sempre
più diffondendosi. A Roma, dove si trasferisce per
quindici anni, modella fra l’altro la Schiava dal bel
corpo vigoroso e ricco di tensione dinamica, opera
molto replicata nel marmo e nel bronzo, che ebbe
largo consenso e sarà ripetutamente premiata ottenendo la medaglia d’oro all’Esposizione di Parigi del
1878. Fu presentata alla Mostra del Centenario della
Società Promotrice delle Belle Arti (1942) dalla
Galleria di Arte Moderna di Torino. Molti suoi gessi
sono conservati nella pinacoteca di Varallo Sesia e alla
GAM di Torino si trovano anche la Petroliera, un altro
dei suoi successi che raffigura una fiera popolana e
l’Agricoltore, realistica testa bronzea fortemente
espressiva esposta alla Promotrice Torinese nel 1894.
GIORDANI GIUSEPPE (1860-1888), valsesiano. Studia
all’Accademia Albertina ed è autore di monumenti
funerari, busti, bassorilievi, opere di genere e di animali. Dal 1884 espone alla Promotrice (“Fiore
Alpino”) e nel 1887 al Circolo degli Artisti. Nella
Collezione Sperati è presente con il “cane Fido” e
con un “camoscio”.
GRANDI GIUSEPPE (Ganna (VA), 1843-1894). Nato
nel varesotto come Tabacchi è tra i più significativi
scultori della seconda metà dell’Ottocento. Studia
all’Accademia di Brera come allievo del ticinese
Vela, poi diviene assistente di Tabacchi all’Albertina.
Tornato a Milano, partecipa al movimento anticonformista della Scapigliatura con i pittori Cremona e
Ranzoni - che avevano studiato con lui a Brera - cercando di ottenere nella scultura i risultati da essi raggiunti nella pittura. Tutta la sua produzione è caratterizzata dalla ricerca di un marcato pittoricismo
classico, che compare già nel monumento milanese
a Cesare Beccaria (1871), una delle sue prime
opere, scolpito prima nel marmo e poi sostituito da
quello in bronzo. Più tardi eseguirà il monumento
alle Cinque Giornate di Milano, che lo renderà
famoso. Fra i molti ritratti va ricordato il Maresciallo
Ney, in cui lo scultore si era ormai liberato da ogni
accademismo.
Grandi ha avuto una notevole influenza su quasi tutti
gli artisti del suo tempo. In particolare Bistolfi,
Medardo Rosso e Troubetzkoy impareranno da lui la
89
lezione di una “scultura vibrante nello spazio e
nella luce”. Alla GAM di Torino è presente con il bel
bronzo di Beethoven giovinetto (1874) e numerose
sue opere si conservano nella Galleria d’Arte
Moderna di Milano. In Collezione Sperati notevole è il
suo bronzetto raffigurante Cesare Beccaria e il trasgressivo “Putto fontana”.
GRIMALDI STANISLAO (Chambéry 1825-1903).
Pittore e scultore. Allievo alla R.Accademia Militare di
Torino, studia pittura con Gonin. Partecipa alla prima
Guerra per l’Indipendenza del 1848/49, realizzando
un album di fotografie delle campagne militari per
incarico del ministro Alfonso La Marmora, per cui
venne nominato professore all’Albertina. Diventa
disegnatore di cavalli per il Re e ne esegue modelli
bronzei, realizzando infine il monumento equestre al
La Marmora, di piazza Bodoni a Torino, che venne
fuso da Emilio Sperati nel R. Arsenale (1889) e inaugurato nel 1891.
LANCERAY EUGENIO ALEXANDRONOVIC (San
Pietroburgo 1848 - 1886). Artista russo vissuto a
lungo a Parigi dove produsse centinaia di statuette e
di piccoli gruppi in bronzo.Sono cavalli, cavalieri,
arabi, spesso ambientati nel deserto africano e personaggi del suo paese. L’edizione completa fu realizzata dalla fonderia Susse. Altre sue opere vennero
edite e San Pietroburgo dal fonditore Chopin e in
Polonia. Sono spesso firmati in caratteri cirillici. In
collezione Sperati “L’addio del cosacco”.
MARAZZANI VISCONTI conte AGOSTINO (Piacenza?-?). Buon animalista, partecipa con alcune opere
alla rassegne della Società Promotrice delle Belle Arti
del 1892 e del 1893, apprezzato da re Umberto I che
acquista una sua opera. In Collezione Sperati compare un piccolo monumento equestre di Amedeo di
Savoia, forse tratto da una prova per il concorso del
90
monumento.
MAROCHETTI CARLO (Torino 1805-1867). Si forma a
Parigi ed opera prevalentemente in Francia e a
Londra, ma lascia in patria la sua opera migliore:il
monumento equestre di Emanuele Filiberto (1838),
che rinfodera la spada dopo la battaglia di San
Quintino. La grande scultura gli fu ordinata da Carlo
Alberto: è opera di accento romantico, felice per la
spontaneità del movimento e l’effetto luministico.
Nel 1861 si inaugurerà a Torino anche il monumento
a Carlo Alberto. Del relativo bronzetto nella
Collezione Sperati rimane solo il basamento bronzeo
con fregi di misure ridotte. Altre opere del Marochetti
sono a Torino alla GAM, al museo del Risorgimento e
all’Accademia Albertina.
MÈNE PIERRE JULES (Parigi 1810-1879). È il più
importante animalista francese del XIX secolo. Esegue
opere bronzee di piccolo formato, molto riprodotte,
caratterizzate da un’attenta cura dei minimi particolari
e delle pose tipiche degli animali ritratti. Nel 1838
costruisce la fonderia e comincia ad esporre le sue
opere ottenendo premi ai Salons parigini. In collezione
Sperati “Piccolo cervo” e “Leprotto”.
MONTI MICHELANGELO (Milano 1875-Torino 1946).
Allievo a Brera sotto la guida di Barzaghi e Bazzaro, si
trasferisce a Torino nel 1895, dove seguirà
l’insegnamento di Tabacchi.Vicino al pittoricismo lombardo, realizza monumenti, busti, ritratti, eleganti statuette di donne. Si accosta a Bistolfi e acquista forme
plastiche più decorative. Nel 1911 concorre per il
monumento della Regina Margherita a Bordighera. Nel
Canavese realizza alcuni monumenti ai Caduti (Corio,
San Maurizio, San Francesco al Campo). Alla Gam di
Torino è il suo “Ritmo di danza antica”. In Collezione
Sperati compare come animalista con un realistico
“Elefante”.
POZZI TANCREDI (Milano 1864-1924). Studia all’Accademia Albertina di Torino ed è autore del Monumento in memoria di re Umberto I, colonna commemorativa eretta sul colle di Superga e inaugurata in
occasione dell’inaugurazione della Esposizione di
Arte Decorativa Moderna del 1902.
Nella Collezione Sperati si trova il bronzetto di un
cavallo (“Tafani molesti”), uno dei suoi soggetti preferiti,che era stato esposto in gesso a Bologna nel
1888.L’opera comparve anche nel citato Catalogo del
Centenario della Promotrice del 1942 con il nome
del collezionista, Rag Benedetto Fiore. Alla GAM di
Torino è conservato il bronzo “L’odio” del 1915.
ROSSO MEDARDO (Torino 1858-1928). Pur essendo
torinese, si formò a Milano, dove si era trasferito con la
famiglia, negli stessi anni di Bazzaro, aderendo al clima
antiaccademico della Scapigliatura lombarda i cui
riflessi si rivelano fin dalle sue prime opere, plasmate a
Milano negli anni ottanta con soggetti di genere: testine di donne e bambini di cui fa parte probabilmente
anche lo “Scugnizzo”, testa di ragazzo dallo sguardo
birichino, della Collezione Sperati. Nel 1889 andò a
risiedere a Parigi dove maturò, a contatto con
l’esperienza impressionista, il suo linguaggio.
Rifiutando ogni schema, deformando la realtà, egli
riuscì a ottenere figure quasi evanescenti nella luce,
plasmandole nella cera, nel gesso e nel bronzo, trasferendo alla plastica alcuni effetti tipici della tecnica pittorica. Sue opere sono nel Museo Rosso di Barzio
(Lecco).
RUBINO EDOARDO (Torino 1871-1954). Si forma
all’Accademia Albertina, sotto la guida di Tabacchi.
Compie il tirocinio nello studio di Bistolfi, accostandosi al gusto Liberty allora dominante. Dal 1891
comincia ad esporre regolarmente a tutte le mostre
della Promotrice.
È autore di ritratti, busti, bronzetti simbolisti e di
monumenti funerari. Dotato di talento naturale che lo
faceva apprezzare per la sua abilità, in occasione della
Esposizione Nazionale del 1898 ebbe l’incarico di
modellare la statua allegorica della Dora per la
Fontana dei Mesi ideata dal Ceppi. Per il successo
ottenuto gli fu affidata anche l’esecuzione di altri
gruppi di statue e di nuovo per l’Esposizione del
1902 gli fu commissionato il gruppo delle fanciulle
danzanti (allegoria delle Arti decorative?) per il padiglione centrale della mostra. Comincia anche a lavorare con Davide Calandra, che lo vuole come suo collaboratore e per il quale terminerà alcune opere
dopo la sua morte.Vince diversi concorsi fra cui quello per la facciata del nuovo palazzo della Promotrice
al Valentino (1919).
Nell’età matura, divenuto una figura di rilievo nella vita
artistica torinese, si orienterà verso forme più austere,
rinunciando ai ritmi decorativi dell’arte floreale. Nella
Collezione Sperati si trovano alcuni dei suoi bronzetti
più noti come la Gressonara e la Pragelatina, dove
appare ancora legato a moduli veristi.Varie sue opere
sono conservate alla GAM di Torino.
SASSI FRANCESCO (Vercelli 1870-1943). Studia
all’Accademia Albertina con Tabacchi ed è autore
soprattutto di opere pubbliche e monumenti funebri.
Poi si accosta ai modelli liberty e nel 1899 modella
alcune statue per la Fontana dei Mesi ideata dal Ceppi
al Valentino. È opera sua, in Collezione Sperati, una
targa del 1902 raffigurante Maria Cristina Gribaudi.
STAGLIANO ARTURO (Cuglionesi (Cb) 1867 - Torino
1936). Studia a Napoli con Domenico Morelli fino al
1894. Ad Anacapri, dove vive alcun tempo, conosce
Bistolfi. Lo segue a Torino dedicandosi alla scultura.
Esegue la medaglia che la città di Casale offre a
Bistolfi per il successo all’Esposizione di Venezia. È
autore di monumenti ad Aosta, Treviso, Alba, Cuneo,
Novara. Partecipa concorso per il monumento al prin-
cipe Amedeo.
Nella attività svolta in età più matura segue l’evoluzione
stilistica di Bistolfi con opere più classicheggianti e sintetiche. Espone ripetutamente alla Società Promotrice
delle Belle Arti a Torino e alle mostre del Circolo degli
Artisti. Realizza bronzetti e monumenti funerari. In
Collezione Sperati ha una interessante Testa di donna.
TABACCHI ODOARDO (Valganna (Va) 1831-1905).
Studia scultura all’Accademia di Brera, poi va a perfezionarsi a Firenze, attratto particolarmente dal
Bartolini, quindi a Roma. Nel 1868 ritorna a Milano
dove lavora per committenze private e monumenti
funebri. Nel 1868 è chiamato a Torino per succedere a
Vincenzo Vela alla cattedra di scultura all’Accademia
Albertina, ove insegnerà fino alla morte, formando alla
sua scuola quasi tutti gli scultori dell’epoca. Comincia
per lui un periodo di grande operosità che va dalla produzione di monumenti storici a quelli funebri,dalle statue di personaggi famosi alle sculture ‘di genere’ con
bronzetti di giovani donne sensuali e seducenti come
l’amatissima ‘Tuffolina’ (ragazza che si tuffa da uno scoglio) di cui gli furono richieste centinaia di copie. Nel
1884 egli aveva fatto venire da Milano Emilio Sperati
per affidargli la fusione di tutte le sue opere, a cominciare dal Monumento a Garibaldi (collocato in corso
Cairoli), a cui seguono quello del generale Alfonso La
Marmora per Biella e quello a Giovanni Lanza, per
Casale Monferrato. Il Tabacchi segna il passaggio dalla
visione veristica descrittiva del Vela alla visione simbolista; all’esperienza accademica milanese unisce
aneliti scapigliati, arrivando alle soglie del Liberty,
senza parteciparvi pienamente. In collezione Sperati
“Michelangelo”, “Arnaldo da Brescia”, “Alfonso la
Marmora”, la “Bagnante”,“Cagnolino levrerio”.
TROUBETZKOY PAOLO (Intra 1866-1938). Di nobile
famiglia russa, riceve i primi insegnamenti dal
Ranzoni e da Bazzaro e studia le opere del Grandi,
risentendo l’influsso del suo pittoricismo plastico.
Compie frequenti viaggi anche all’estero. Nutre un
profondo amore per il mondo animale ed è un animalista di rara vivacità. Diventa un grande ritrattista,
molto richiesto dalle signore della borghesia e della
vecchia aristocrazia, per la capacità di intuire il personaggio e per la naturalezza con cui sa cogliere
l’espressione del soggetto. Tra i più felici è il ritratto
di Segantini, colto in una delle sue pose più consuete. Dal 1886 al 1896 abitò a Milano, frequentando gli
Scapigliati insieme al fratello Pietro, pittore. Esegue
anche opere di carattere monumentale, fra cui l’assai
discussa statua equestre dello Zar Alessandro III, fusa
a San Pietroburgo da Emilio Sperati. Nella Collezione
di Palazzo Lascaris è il bronzo della Slitta (Izsvozcik),
modellato con vivacità e pittoricismo di ascendenza
scapigliata. Nel Museo del Paesaggio di Verbania
Pallanza è conservata la sua gispoteca, rappresentativa di tutta la sua attività.
VELA VINCENZO (Ligornetto (Canton Ticino) 182091). Dopo aver lavorato da bambino nella cave come
scalpellino, a dodici anni si stabilisce a Milano a lavorare con i marmisti del Duomo mentre frequenta
l’Accademia di Brera e lo studio del Cacciatori; ma
dopo aver conosciuto Bartolini, si sente attratto
soprattutto da lui per lo studio dal vero: diverrà uno
dei più importanti esponenti del realismo. Dopo aver
vinto diversi premi ai concorsi di scultura, lascia
l’Accademia e va a Roma, dove lo studio di Michelangelo e Bernini sarà decisivo per la sua arte. Qui esegue lo Spartaco, uno dei suoi capolavori, che presenta dopo aver combattuto come volontario nelle
Cinque Giornate del 1848. Nel 1852 è invitato a Torino dai patrioti piemontesi dove gli verrà offerta la cattedra di scultura all’Accademia Albertina, che terrà
per un decennio, influenzando tutta la cultura figurativa italiana.
Ma nel 1867, deluso e amareggiato per l’esito del con91
DALL’ARCHIVIO SPERATI
norificenza conferitagli “motu proprio” dal Re (14
dicembre 1891).
di Re Umberto, dello scultore Rubino (6 maggio
1902).
8. Il Comitato Esecutivo dell’Esposizione Generale
del 1898 nomina lo Sperati a far parte della Commissione per l’organizzazione della sezione “Mobili,
lavori ed utensili in metallo” della Divisione industrie e manifatture” (19 febbraio 1896).
16 .Lettera del Ministro della Real Casa che annuncia allo Sperati la promozione da parte del Re a Ufficiale nell’ordine della Corona d’Italia, per la fusione
del monumento al principe Amedeo duca d’Aosta
(10 maggio 1902).
9. Comunicazione della nomina a rappresentante
della classe degli Industriali nel 1° Collegio dei
Probi-Viri di Torino, per le Industrie metallurgiche e
meccaniche (19 aprile 1898).
17. Lettera del Ministro della Real Casa per trasmettergli il Diploma dell’onorificenza concessa dal Re
(25 maggio 1902).
di Giuliana Brugnelli Biraghi
L’Archivio Sperati, conservato dal Consiglio Regionale del Piemonte in Palazzo Lascaris, è costituito da
copie di una serie di documenti che la figlia Luisa
consegnò al tempo della Donazione dei bronzetti.
Ne riportiamo un breve elenco:
1. Carta d’Ammissione di Emilio Sperati alla “Scuola di Ornato” dell’Accademia di Brera (28 novembre 1874).
2. Carta d’Ammissione di Emilio Sperati alla “Scuola
di elementi di figura” (21 febbraio 1877).
3. Carta d’Ammissione di Emilio Sperati alla “Scuola
di Architettura” (23 novembre 1883).
4. Dichiarazione del Sindaco di Biella che attesta
che il monumento al generale La Marmora, del
Tabacchi, è stato fuso “con maestria” dallo Sperati
(24 settembre 1889).
5. Dichiarazione di Odoardo Tabacchi che attesta la
perizia con cui Emilio Sperati ha fuso, per suo ordine, le statue colossali: Garibaldi per Torino, La Marmora per Biella e il monumento Lanza per Casale (6
dicembre 1889).
6. Lettera del Ministro Rattazzi, che comunica allo
Sperati la nomina da parte del Re a Cavaliere della
Corona d’Italia, per la fusione del Monumento al
Generale La Marmora, inaugurato in quel giorno a
Torino (20 ottobre 1891).
7.Altra lettera del Rattazzi al “Cavalier Emilio Sperati” per l’invio del Diploma Magistrale relativo all’o92
10.Articolo del giornale “La Lombardia” del 15
ottobre 1898 che rivendica l’origine milanese di
Emilio Sperati, erroneamente definito “torinese”.
11. In “Revue universelle Internationale illustrée
de Genève”, articolo “La fonderie artistique et les
remarquables travaux de M.le chevalier Emile Sperati à Turin” (Novembre 1898).
18. Telegramma del Comitato per il monumento a
Garibaldi a Porto Maurizio che esprime entusiastiche congratulazioni per la fusione compiuta dallo
Sperati (4 maggio 1904).
19.A Sperati è offerta la carica di Ispettore scolastico delle Scuole Officine Serali di via Ormea 63,
angolo via Bidone, a Torino (26 gennaio 1909).
12. Sperati cav Emilio “Brevi cenni sullo sviluppo
della propria industria” (senza data ma Torino,
1898).
20. Nomina a membro del Comitato Esecutivo per
l’importante Gara Nazionale e Internazionale della
primavera 1911, per il 5° anniversario del Regno
d’Italia (1° marzo 1910).
13. Sperati è rieletto membro dell’Ufficio di Conciliazione dei Probi-Viri. Comunicazione del Presidente dei Probi-Viri che gli rinnova la nomina (15
maggio 1900).
21. Lettera di accompagnamento della Relazione
(mancante) sulla festa di inaugurazione del monumento a Carlo Alfonso Bonafous, modellato e fuso
dallo Sperati (31 dicembre 1913).
14. Contratto di lavoro per gli operai: proposte di
Emilio Sperati (12 giugno 1900).
22. Lettera di ringraziamento del Bistolfi agli amici
(tra cui lo Sperati) per la partecipazione per il premio da lui ricevuto e la nomina a Senatore del
Governo Nazionale (marzo 1923).
15. “Il Fischietto” annuncia che il 7 maggio sarà
inaugurato il monumento al Principe Amedeo, fuso
dal Cav. Sperati e il giorno successivo si inaugurerà
sul colle di Superga la colonna votiva in memoria
23. Necrologio per la morte di Emilio Sperati
(“Il Nazionale” del 5 settembre 1931).
L’AVVENTURA DELLA COLLEZIONE
Sono otto fogli battuti a macchina. Conservati nel piccolo Archivio della Collezione Sperati contengono il primo
originale elenco della donazione fatta dalla Signora Luisa.
Cento bronzi, ottantacinque dipinti e quarantacinque
pezzi fra ceramiche, porcellane, gessi, terrecotte, tappeti,
oggetti vari… perfino otto pipe e quattro cuscini di
cuoio. Consunti, specifica una annotazione fra parentesi.
Il giorno ventotto aprile 1980 in Magliano Alfieri la
signora Luisa Sperati vedova Mezzalama, in presenza
di due testimoni, stilava di fronte a Ferrero Italo di
Andrea, notaio in Alba, l’atto di donazione all’Ente
Regione Piemonte del complesso di oggetti e di
opere d’arte ereditato dal padre.
La donazione è fatta “a condizione che detti beni
vengano custoditi e ambientati nelle sale di Palazzo Lascaris in Torino via Alfieri”. Si precisava che
“quelli di detti beni che dall’Ente donatario fossero
ritenuti non adatti allo scopo avrebbero dovuto
essere consegnati alla Suore Minime del Suffragio
di via San Donato 31 a Torino”.
Nell’atto non era attribuito un valore ai beni donati: si
auspicava che l’Ente, in sede di accettazione della
donazione, si sarebbe avvalso delle perizie di esperti.
Il 15 giugno 1982 sulla Gazzetta Ufficiale compariva
“in sunto” il decreto del Presidente della Repubblica
del 19 marzo di quell’anno, segnato con il numero
356. L’onorevole Clelio Darida, in veste di guardasigilli, siglava l’autorizzazione alla Regione Piemonte ad
accettare quella donazione che, si precisava, all’epoca
era “del valore stimato di lire 108.800.000”.
Si compiva così, con atti ufficiali, una volontà stimolata e
caldeggiata dal medico curante della Signora, il dottor
Enrico Gastaldi, consigliere regionale, membro del gruppo consiliare del partito repubblicano, residente in Priocca d’Alba dove la signora,malata,si era da tempo stabilita.
Nelle bacheche volute per l’allestimento permanente
dal Consiglio regionale del Piemonte a sinistra
le statuette esprimono l’eleganza del nudo
mentre a destra compaiono
significativi bronzetti animalistici.
letto, cercava di ricordare. Tutto è stato fatto sulla
memoria e noi in questa presentazione al pubblico dei
bronzetti della Collezione Sperati, a quelle definizioni
abbiamo dato fede, limitandoci a correggere qualche
nome vistosamente errato (Lanséré= Lanceray) e qualche evidente confusione di autore o di titolo.
Al momento della consegna delle opere alla Regione
Piemonte si è presentato, immediato, il problema
della loro valorizzazione. Si sono fatte predisporre
vetrine in cui sistemare i bronzetti più significativi e
si è dato incarico a Giuliana Biraghi, storico dell’arte,
di stilare un primo approccio per la storia della Collezione Sperati. È uscito così, nella seconda edizione
del volume “Palazzo Lascaris, tre secoli di vita torinese” un capitolo che rivelava l’esistenza della donazione. Poi il Consiglio Regionale, intendendo presentare al pubblico, in visite guidate, il patrimonio d’arte
del Palazzo, ha fatto predisporre una piccola, preziosa
brochure. Una signora anziana ha giocato con la sua
memoria - dice ancora Michelangelo Fessia - ora si
deve predisporre una sistemazione, museale idonea,
una ‘grande vetrina’ per far conoscere tutta la collezione al grande pubblico.
Il Palazzo Lascaris, la “casa di tutti i Piemontesi”, appena restaurato, accoglieva così il complesso di valori
d’arte che giungeva ad arricchire i già prestigiosi
ambienti.Quante erano le opere? Rispetto all’elenco,ci
dice Michelangelo Fessia - che dopo Mario Pugno e
con Claudio Minnicelli è curatore di questo patrimonio - le opere di fatto sono cresciute al momento in
cui, con la presenza di esperti sono state valutate a fini
assicurativi. Importante a questo punto è tener presente che tutte le informazioni sulle opere sono state
tratte da quei ricordi che la Signora Luisa, malata e a
93
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95
INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI
Africa, 37
Agliè, 5, 6, 87
Agnello, vescovo, 26
Aitelli Efisio, giornalista, 19
Albera Marco, collezionista, 41
Albertina Accademia di B.B.A,A., 31, 33
Albertoni, scultore, 16
Alessandro III, zar di Russia, 35, 36
Alfieri Vittorio, poeta, 3
Algeria, 37
Alovisio Maria, collezionista, 40
Amedeo di Savoia, principe, duca d’Aosta, 5, 12, 15, 18,
19, 20, 33, 34, 50
Amedeo V di Savoia, 9
Amedeo VI di Savoia, 19
Amedeo VII di Savoia, 19
Aosta, valli di, 54, 72
Arcangelo, 57
Arnaldo da Brescia, 1, 15, 32, 47
Ashbee, 10
Avogadro Amedeo, 16
Avondo Vittorio, pittore, 20
Baglioni, scultore, 16
Barbo Cesare, monumento a, 16
Balzìco Alfonso, scultore, 15, 16
Banfi Achille, orologiaio, 17
Baratti e Milano, confetteria, 17
Barbédienne, bronzista, 32, 33, 37
Barye, scultore, 37, 38
Barzaghi Francesco, scultore, 30, 31, 88
Bava Eusebio, generale, monumento a, 16
Bazzaro Ernesto, scultore, 30, 36, 68, 69, 88
Bazzaro Leonardo, pittore, 30, 88
Behrens Peter, 12
Belli G.scultore, 15
Beccaria Cesare, monumento a, 56
Beltrami G, 9
Berlepsch, 10
Bertarelli, guida, 13, 16
Bezzola Antonio, scultore, 88
Biancamano Umberto, 19
Biella, 2, 31
Bianchi Mosè, pittore, 20
Biscarra Cesare, 16, 30, 32, 61, 74, 79, 88
Bistolfi Giovanni, 79
Bistolfi Leonardo, scultore, 7, 9, 11, 16, 19, 30, 32, 34, 35,
40, 55, 63, 79, 87, 88
96
Boffrand, scultore, 27
Bonafous Carlo Alfonso, 36
Bonaparte Letizia, principessa, 34
Bonardi E., 11
Borello, 16
Bottero G.B., 10, 16
Bourdelle, scultore, 27
Bozzetti Cino, pittore, 20
Branca Giulio, 74
Brera, Accademia di B.B.A.A., 29, 30
Bresci, anarchico, 20
Brescia, 32, 47
Bruxelles, 14, 78
Bugatti Rembrandt, scultore, 9, 37, 38
Buonarroti Michelangelo, statua, 31, 32, 46
Cagni Umberto, esploratore, 57
Calandra Claudio avvocato, 48
Calandra Cravero Elena, 40
Calandra Davide, scultore, 5, 6, 11, 12, 15, 18, 19, 20, 33,
34, 35, 40, 43, 48, 52, 71, 88
Calandra Virginia, 40
Calcaprino, bar, 17
Calderini Marco, pittore, 20
Calleri Arturo ( Caronte), caricaturista, 35
Canal Antonio detto il Canaletto, 45
Canonica Pietro, scultore, 16, 19
Carena Felice, 20
Carestia Zeffirino,scultore, 54, 89
Carignano, palazzo, 14
Carlo I duca di Savoia, 19
Carlo III, duca di Savoia, 19
Carlo Alberto, re di Sardegna, 7, 15, 19
Carlo Emanuele I ,duca di Savoia, 19
Carlo Emanuele II, duca di Savoia, 19
Carlo Emanuele III di Savoia, re di Sardegna, 19
Carminati Antonio, scultore, 64
Carpanetto G.B., pittore, 9
Carrera Pietro, architetto, 14, 16, 17
Casale Monferrato, 31, 55
Catamantaledes, guerriero, 48
Cavalleri Vittorio, pittore, 19, 20
Cavalli, generale, monumento a, 16
Cavour, monumento a, 15, 31
Cellini Benvenuto, scultore, 27, 31, 32
Cena Giovanni, poeta, 20
Ceppi Carlo, architetto, 14, 16
Ceragioli Giorgio, 11, 16
Ceruti, 9
Chicago, 28
Chieri, 36
Chini Galileo, 9
Christies, casa d’aste, 56, 65
Ciardi Giacomo, 20
Cina, 25
Circolo degli Artisti, 9, 19, 72
Collas Achille, 28
Colleoni Bartolomeo, monumento a, 45
Cometti, 9
Confalonieri Francesco, scultore, 56, 73, 89
Contratti, scultore, 15, 20
Costa Pietro, scultore, 14, 41
Côte d’Ivoire, 37
Crane Walter, 10, 12
Cravero Davide, 40
Cremona Tranquillo, pittore, 29, 88
Crespi Giuseppe, scultore, 38, 83, 89
Creta, 25
Crimea, monumento a, 15
Cristiania (Oslo), 57
Cuneese, 54
D’Aronco Raimondo, architetto, 8, 12, 17
D’Azeglio Massimo, monumento a, 16
Dal Bianco Mario,Antonietta, Ambra, Maria Pia, 40
Darida Clelio, onorevole, 93
Darmstadt, 10
Daumier, 28
De Amicis Edmondo, monumento a, 16
De Amicis Edmondo, scrittore, 33
De Coubertin, fonderia, 27
Degas Edgard, 28
Delacroix Eugenio, pittore, 44
Delleani Lorenzo, pittore, 2, 19, 30, 32, 40
De Sonnaz, monumento a, 16
Dini Giuseoppe, scultore, 16
Diodoro Siculo, 44
Dragone Angelo, critico d’arte, 20
Duprè Giovanni, scultore, 15
Egeo, mare, 26
Egitto, 25
Emanuele Filiberto, duca di Savoia, 15, 19
Faldella Giovanni, scrittore, 19
Fattori Giovanni, pittore, 20
Fenoglio Pietro, architetto, 16
Fessia Michelangelo, 93
Ferdinando di Savoia, duca di Genova, monumento a, 19
Ferraris Galileo, monumento a, 20
Ferrero Italo, notaio, 93
Ferro Cesare, pittore, 2, 4, 20, 42
Finarte, Milano, 76
Follini Carlo, pittore, 20
Fondazione Gianni e Marella Agnelli, 45
Fondazione per la Ricerca e la Cura del Cancro, 39
Fontanesi Antonio, pittore, 20
Forchino Giovanni Battista, scultore, 60, 62, 67, 89
Fradeletto,organizzatore della Biennale di Venezia, 25
Fréjus, monumento al, 14, 15
Frola Secondo, sindaco, onorevole, 12
Fuchs Georg, 10
Fumagalli Celestino, scultore, incisore e fonditore, 32, 39,
57, 58
Gaillard, 11
Garibaldi Giuseppe, monumento a, 15, 31, 49
Gastaldi Enrico, medico, 29
Gatti, scultore, 83
Gavroche, 76
Gili, scultore, 49
Gilodi, architetto, 16
Ginotti Giacomo, scultore, 3, 16, 33, 61, 89
Giolitti, onorevole, 5
Giordani Giuseppe, scultore, 38, 82, 86, 89
Glasgow, 10
Govean Felice, monumento a, 16
Gozzano Diodata, 6
Gozzano Guido, scrittore, 3, 5, 6, 87
Grandi Giuseppe, scultore, 29, 33, 35, 56, 78, 88, 89
Grimaldi Stanislao, scultore, 31, 34, 90
Grosso Giacomo, pittore, 2, 19
Grubicy, pittore, 20
Guglielminetti Amalia, 87
Guild, 10
Hayez Francesco, monumento a, 31
Hébard, 38
Horta Victor, 12
Klein, bronzista, 32
Koch Alexander, 10
Kûnzli, stampatori, 12
La Farina, monumento a, 16
La Marmora Alfonso, monumento a, 15, 31, 34, 51
La Marmora Alessandro, monumento a, 16
Lalique, 10
Lanceray Eugenio Alexandronovic, 70, 90
Lanzo, valli di, 54
Lascaris, palazzo, 29, 30, 32, 38, 93
Leonardo da Vinci, 26
Leva Pistoi Mila, storico dell’arte, 16, 17
Lions Club Torino Castello, 39
Lippi di Pistoia, fonditore, 19, 20, 34
Lombroso Cesare, psichiatra, 55
Longoni Emilio, pittore, 30
Luigi Amedeo di Savoia, principe, duca degli Abruzzi, esploratore, 57
Mackintosh, 12, 44
Magliano Alfieri, 93
Magne Lucien, 26
Manfredini di Milano, fonderia, 31
Manzoni Alessandro, statua di, 31, 56
Marazzani Visconti Agostino, scultore, 50, 90
Marchiondi Istituto correzionale, 30
Margherita di Savoia, regina, 12
Marochetti, scultore, 7, 15, 90
Marocco, 37
Mazzucotelli, 9
Melani, 11
Mène Pierre Jules, scultore, 38, 86, 90
Mesopotamia, 25
Micca Pietro, 16
Micheli,Venezia, 45
Milano, 13, 15, 29, 30, 31, 32
Minnicelli Claudio, 93
Modena, Gustavo, attore, monumento a, 16
Monaco, 10
Mondella Lucia, 73
Monte Croce, 12
Monti Augusto, 10
Monti Michelangelo, scultore, 38, 85, 90
Monviso, 32
Morbelli, pittore, 20
Morris, 12, 10
Mucchi Anton Maria, pittore, 20
Mulassano, caffè, 17
Murello, 40
Musy, 9, 10
Napoleone Bonaparte, 1, 49
Napoli, 32
Natta, galleria, 14
Nelli di Firenze, fonderia, 31
Newberry F.H., 10
Nomellini Plinio, pittore, 20
Olbricht, 12
Palagi Pelagio, scultore, decoratore, 27
Palizzi Filippo, pittore, 32
Pandiani, Milano, 45
Panissera, conte, 15
Panofski Erwin, storico dell’arte, 31
Paoletti, 11
Papi di Firenze, fonderia, 31, 32
Parigi, 10, 32, 61
Pastonchi Francesco, 6
Pavia, 26
Pellizza da Volpedo Giuseppe, pittore, 20
Perseo, scultura, 31, 32
Pes di Villamarina, monumento a, 16
Pescatore Matteo, giureconsulto, 16
Petitti, architetto, 16
Phillips, casa d’aste, 56
Pica Agnol Domenico, 11, 20
Piemonte, Consiglio Regionale, 4
Pietro I di Savoia, 19
Pozzi Tancredi, scultore, 12, 20, 43, 84, 90
Previati Gaetano, pittore, 20
Priocca d’Alba, 95
Promis Carlo, urbanista, 13
Rama Jean Pierre, 25
Ranzoni Daniele, pittore, 29
Rattazzi, ministro, 34
Ravenna, 26
Reduzzi, scultore, 15, 16
Reycend G.A., architetto, 16
Riberi medico, monumento a, 16
Ricaldone, Istituto, 5
Rigotti Annibale, architetto, 17
Rizzetti Angelo, 25
Robilant, generale, 16
Rocca Canavese, 39
Rodin, scultore, 27
Roma, 17, 32,
Rosso Medardo, 3, 29, 76, 88, 90
Rubino Edoardo, scultore, 10, 15, 16, 17, 19, 20, 32, 40, 41, 72, 75, 76, 90
San Pietroburgo, 36
Sardanapalo, 44
Sassi Francesco, 9
Schuss (?), scultore, 66
Sclopis Federico, monumento a, 16
Segantini Giovanni, 20, 30
Sella Quintino,monumento a, 16
Signorini Telemaco, pittore, 20
Simeom, collezione, 12
Sinai, monte, 26
Sobrero Ascanio, monumento a, 16
Società Promotrice delle Belle Arti, 9, 19, 32, 79
Sperati cav. uff. Emilio, 1, 2, 19, 29, 30, 31, 32, 34, 35, 36, 53, 57, 60, 64, 67, 77,
79, 83, 84, 88
Sperati Luisa ved. Mezzalama, 2, 4, 29, 42, 80, 93
Stagliano Arturo, scultore, 65, 91
Strasburgo, 12
Stratta Carlo, 19
Superga, 12, 43
Susse Albert,fonditore, 28
Tabacchi Odoardo, scultore, 3, 10, 15, 16, 31, 32, 33, 38, 46, 47, 51, 59, 82, 91
Tagliaferri Antonio, scultore, 32
Taormina, 32
Teatro D’Angennes (Gianduja), 79
Teja Casimiro, monumento a, 15
Teodorico, 26
Testona, 19
Thovez Enrico, 10, 11
Tibone Angelo, 39
Tibone Domenico, Rettore dell’Università, 39
Tiffany Louis Comfort, 10, 12
Torino, 5, 6, 10, 12, 13, 31, 34, 36
Toscanini Arturo, 32
Townsend, 10
Trentino, 30
Troubetzkoy Paolo (o Pavel), scultore, 30, 34, 35, 36, 37, 38, 70, 74, 82, 84, 91
Tunisia, 37
Umberto I di Savoia, re d’Italia, 12, 19, 33, 40, 43, 54
Umberto I, ponte, 15
Umberto I, galleria, 14
Valabrega, 9
Valentino, parco, 5, 12, 34
Valsugana, 30
Van de Velde, 12
Vandone, ingegnere, 17
Vannuccio Biringuccio Sanese, 26
Vayes, cave, 20
Vela Vincenzo, scultore, 15, 16, 30, 31, 91
Venezia, 45
Verdone Adolfo, pediatra, 40
Verrocchio, Andrea di Cione detto il, 45
Vienna, 14, 32
Villanova Solaro, 40
Viterbo, 26
Vittorio Amedeo I, duca di Savoia, 19
Vittorio Emanuele II, re d’Italia, 5, 14, 19, 41
Vittorio Emanuele III, re d’Italia, 16, 12
Vacchetta ingegnere, 8
Van der Stappen Charles, 9
Volpedo, 21
Wuitté, ministro, 31
Webb, 10
Zanardelli, onorevole, 5
Zenodoro, scultore, 26
97
CENNI SU PALAZZO LASCARIS
Palazzo Lascaris è un esempio significativo di dimora
signorile della Torino barocca. Pur rimaneggiato nei
secoli ha, infatti, mantenuto le sue caratteristiche di
edificio padronale sia nelle sue strutture esterne che
interne: dallo scenografico atrio a quattro campate
con antiche colonne marmoree (per il costume dell’epoca doveva assolvere alle funzioni rappresentative nelle cerimonie di ricevimento), allo scalone
d’onore; dagli aerei loggiati, alle raffinate sale auliche
del primo piano.
Il palazzo voluto dai Beggiami di Sant’Albano, viene
costruito tra il 1663 e il 1665 nell’isola di Santa Francesca Romana della Contrada di San Carlo su un progetto, come evidenziato da molteplici critici, di Amedeo di Castellamonte.
Nel 1674 il palazzo passa a Gabriella di Marolles, favorita di Carlo Emanuele II, che, maritata a Carlo delle
Lanze, conte di Sales, abbellisce il complesso grazie
ad artisti quali il pittore milanese Stefano Maria
Legnani, che a Torino opera anche per la decorazione
della Cappella dei Mercanti e di alcune sale di palazzo Carignano e di palazzo Barolo.
Nel 1720 Gabriella dì Marolles vende il palazzo ai
marchesi Carron di San Tommaso che qui risiedono
sino al 1803. In questo periodo lo stabile subisce le
prime trasformazioni. Tra queste il prolungamento
della manica occidentale. Nel febbraio 1803 Giuseppina Maria Anna, ultima discendente della linea primogenita dei Carron di San Tommaso, sposa il marchese Agostino Lascaris di Ventimiglia. Da allora il
palazzo assume il nome che porta tuttora.
La storia dei Lascaris è complessa. Basti però ricordare che nel 1263 il suo capostipite, Guglielmo Pietro
dei Conti di Ventimiglia sposa Eudossia Lascaris, figlia
di Teodoro II, imperatore di Nicea.
98
99
Da allora all’originario nome ligure della famiglia si
unisce quello greco. Dal matrimonio tra Agostino
Lascaris e Giuseppina Carron di San Tommaso nasce
un’unica figlia, Adele o Adelaide Susanna, che va in
sposa al marchese Gustavo Benso di Cavour, fratello
di Camillo. Oggi, a palazzo Lascaris, del grande statista
rimane un ritratto, eseguito a metà ottocento da Luigi
Fognola.
Nel 1833 Adele Lascaris muore di parto appena ventiseienne. Il marito Gustavo si trasferisce con i figli,
sempre a Torino, nell’avito palazzo di casa Cavour. I
Benso mantengono tuttavia la proprietà di palazzo
Lascaris sino al 1883 concedendolo in affitto, dal
1861, al Ministero dell’Interno, ad uso del Consiglio di
Stato e, dal 1865, alla Corte di Cassazione.
Il palazzo cessa così di essere dimora privata per divenire sede istituzionale. Alla scadenza del contratto
con la Corte di Cassazione, Giuseppina Benso di
Cavour Alfieri di Sostegno vende il palazzo per
480.000 lire al Banco di Sconto e Sete.
Il complesso, che aveva mantenuto pressoché integra
la proprietà originale, compresi giardini e rustici,
viene lottizzato dal Banco: la parte su via dell’Arsenale passa così alla Banca Tiberina che, demolite le vecchie costruzioni, edifica una palazzina a tre piani. Lo
stesso Banco modifica alcune parti del palazzo ed
aggiunge due gallerie sui lati dei cortile.
Nel 1899, l’11 luglio nel palazzo viene tenuta la
prima “Adunanza” del Consiglio di Amministrazione
della FIAT.
Nel 1904 il Banco di Sconto vende l’immobile alla
contessa Tiretta Lovadina.
La contessa, nel 1917, lo rivende a Riccardo Gualino
che, dal 1920, ne fa la sede della SNIA (poi SNIA Viscosa). Il bombardamento di Torino del 13 luglio 1943
colpisce anche palazzo Lascaris. I danni più gravi si
registrano nel salone centrale dove va distrutta parte
degli affreschi secenteschi del Legnani.
Nel 1948 la SNIA-Viscosa vende l’immobile alla
100
Camera di Commercio Industria ed Artigianato di
Torino che, restaurato lo stabile, vi si insedia nel 1954.
Il 16 gennaio 1975 la Regione Piemonte acquista il
palazzo dalla Camera di Commercio. Dal 1979, dopo
quattro anni, di restauri Palazzo Lascaris diventa la
sede dell’Assemblea regionale del Piemonte. Nel
corso delle opere di restauro sono, tra l’altro, scoperti - in due ambienti, già facenti parte dell’appartamento di Gabriella di Marolles - soffitti lignei a cassettoni decorati e, sulle pareti, stucchi e due cicli di
affreschi denominati, rispettivamente, “delle allegorie” e “delle gesta di Sansone”.
L’Aula consiliare, ricavata al di sotto del cortile, senza
compromettere le strutture esterne, è stata rinnovata
nel gennaio1997.
Le vetrate della galleria al piano nobile, sono state
sostituite - riportando le intelaiature alle originarie
dimensioni e materiali - nel 2000.
Nell’anno 2002 sono state recuperate tre sale al piano
terra (già utilizzate come sede per la Biblioteca della
Regione Piemonte). Riportate al primitivo splendore,
le tre sale denominate “dei Presidenti”,“della Bandiera” e “dei Consiglieri”, sono ora fruibili per manifestazioni, conferenze stampa e mostre.
101
IL CONSIGLIO REGIONALE
DEL PIEMONTE
È l’Assemblea che rappresenta direttamente i cittadini del Piemonte.
Eletto dal popolo, come il presidente della Giunta, il
Consiglio è l’organo che discute, elabora ed approva
le leggi regionali.
Con la riforma del Titolo V della Costituzione, il Consiglio regionale ha ampliato le sue competenze legislative e le caratteristiche di “Parlamento regionale”.
Il Consiglio regionale, che ha autonomia funzionale,
contabile ed organizzativa, esercita funzioni di indirizzo e di controllo nei confronti della Giunta regionale.
Compongono il Consiglio piemontese sessanta consiglieri, riuniti in gruppi consiliari secondo le diverse
appartenenze politiche.
I lavori del Consiglio sono guidati dall’Ufficio di Presidenza, eletto dall’Assemblea in modo da assicurare
la rappresentanza delle minoranze.
Lo compongono il presidente, due vicepresidenti e
tre consiglieri segretari.
La sede del Consiglio regionale del Piemonte è a
Palazzo Lascaris, in Via Alfieri, 15, a Torino.
Il sito Internet per conoscere il Consiglio regionale
è http://www.consiglioregionale.piemonte.it
L’Ufficio Relazioni con il Pubblico del Consiglio regionale del Piemonte ha sede in Via Arsenale, 14/g –
10121 Torino.
Telefono 011. 57.57.444 - Fax: 011.57.57.445.
E-mail: [email protected]
102
IL MONUMENTO DA CAMERA
I bronzetti della Collezione Sperati
in Palazzo Lascaris a Torino
a cura di Maria Luisa Moncassoli Tibone
PERSONAGGI D’ALTRI TEMPI
LUISA racconto di Pierluigi Berbotto
GUIDO racconto di Pier Massimo Prosio
pag. 1
pag. 5
AL TEMPO DELL’“ARTE NOVA”
L’ESPOSIZIONE AL VALENTINO
UN ARTIGIANO METROPOLITANO
IL FONDITORE EMILIO SPERATI
di Giuliana Brugnelli Biraghi
NEL RICORDO DI GOZZANO
pag. 29
I BRONZETTI DEL MELETO
IL BRONZETTO,
UN’OCCASIONE PER GLI ANIMALISTI pag. 37
LA DOCUMENTAZIONE
pag. 9
MONUMENTI DA STUDIO
UNA RIVISTA PER PROPORRE
L’ARTE DECORATIVA
pag. 10
1902: I MENU DELL’ESPOSIZIONE
pag. 12
AL MONUMENTO DI CALANDRA
IL PREMIO DEGLI ARTISTI
pag. 13
BRONZI E BRONZETTI
LA RICCHEZZA DI UNA TECNICA
pag. 25
pag. 88
pag. 39
DALL’ARCHIVIO SPERATI
di Giuliana Brugnelli Biraghi
pag. 92
NELLA MEDAGLIA,
UN MONUMENTO DA TASCA
pag. 41
L’AVVENTURA DELLA COLLEZIONE
pag. 93
BIBLIOGRAFIA
pag. 94
INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI
pag. 96
CENNI SU PALAZZO LASCARIS
pag. 98
IL CONSIGLIO REGIONALE
DEL PIEMONTE
pag.102
MONUMENTI DA CAMERA
I BRONZETTI SPERATI
pag. 19
GLI SCULTORI
Schede biografiche
di Giuliana Brugnelli Biraghi
I BRONZETTI D’ARTE
DI TRE CULTORI DELLA MEDICINA
NELLA PIAZZA, NELLA VIA
L’EVOLUZIONE DELLA CITTÀ
di Clara Palmas
pag. 87
pag. 42
IL MESSAGGIO EROICO
L’ATTUALITÀ STORICA
L’ELEGANZA DEL NUDO
COSTUMI ESOTICI E TRADIZIONI POPOLARI
UNO SGUARDO ALL’INFANZIA
IL RACCONTO ANIMALISTICO
IL MONUMENTO DA CAMERA
Palazzo Lascaris,Via Alfieri 15,Torino
5 dicembre 2002 – 1 febbraio 2003
A cura di Maria Luisa Moncassoli Tibone
Allestimento a cura di Maria Pia Dal Bianco
Main Sponsor: Consiglio Regionale del Piemonte
Questo libro presenta per la prima volta in modo organico la collezione di
bronzetti d’arte di proprietà del Consiglio Regionale del Piemonte e conservata nel Palazzo Lascaris. Si tratta del lascito della figlia del grande fonditore Cavalier Ufficial Emilio Sperati, composto da circa un centinaio di fusioni firmate da
scultori attivi tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. La
curiosità di questa presentazione consiste nella frequente riduzione di modelli monumentali, nati per la via e la piazza, alla scala domestica - di qui il titolo Il
monumento da camera - alla misura del bibelot. Per un revival di quel décor
borghese ambiguamente cantato da Gozzano, vi sono due racconti degli scrittori Pier Luigi Berbotto e Pier Massimo Prosio. Ma al di là degli aspetti intriganti
di questi oggetti affettivi (e sono le beduine e le contadinelle, gli scugnizzi e i
putti, i bersaglieri e i dragoni, i busti patriottici e gli animaletti) e in qualche
caso più decisamente maliziosi (la statuetta In mutande del Biscarra o il Timbro
macabro del Forchino) si pone una questione assolutamente cruciale per il
Novecento:quella della riproducibilità dell’opera d’arte.O,comunque,quella di
una arte “minore” come strumento di diffusione e propagazione di una “maggiore” (con il sospetto, benefico, che maggiore e minore siano in qualche caso
valutazioni quantitative piuttosto che qualitative…).
I bronzetti, presentati nello scalone monumentale e nell’atrio del piano nobile del palazzo, sono stati quasi tutti fotografati da Pino Dell’Aquila e sono ordinati nell’allestimento “accattivante” e originale di Maria Pia Dal Bianco.
In un revival del clima culturale che a Torino animò la grande Esposizione
Internazionale d'Arte decorativa e moderna si presenta per la prima volta in
modo organico la collezione Sperati.
Dal panorama urbano, animato dalla monumentomania ottocentesca- di cui si
presentano gli eccezionali successi- i modelli realizzati per la via e per la piazza, ridotti in bronzetti per un arredo di qualità, aprono la sfilata delle opere
che trovano in diverse tematiche una loro provocante presentazione. Prodotti
da una tecnica raffinata e rara, spaziano dalle immagini della gloria patria alla
raffinata malizia dei nudi, dalle figure esotiche ai costumi popolari, dai ritratti
dell’infanzia alla sapiente ricerca degli artisti animaliers. Recanti molto spesso la firma di noti scultori, sono opere d’arte edite in riproduzioni d’autore
e rivelano il valore di multipli di qualità. Così la Collezione Sperati si inserisce
nell’importante azione di rilancio delle arti decorative che mosse da Torino e
coinvolse tutti gli aspetti della vita che trionfarono nell’Esposizione
Internazionale del 1902.
Gli autori
Pier Luigi Berbotto
Scrittore. Ha ambientato a Torino due romanzi di successo: "Concerto rosso" e
"L’ombra della cattedrale" e la raccolta di brevi racconti "Malvino nella città
dei suoni". Ha pure pubblicato "Luciano Pavarotti canto e controcanto". Scrive
per la rivista "Bell'Italia" e per altri periodici.
Giuliana Brugnelli Biraghi
Storico dell’arte. Docente. Ricercatore.
Ha partecipato alla realizzazione di opere storico-artistiche su palazzi e chiese torinesi, sulle Residenze sabaude, sulle Madame Reali. È stata la prima ad
occuparsi della Collezione Sperati al momento della donazione.
Maria Luisa Moncassoli Tibone
Storico dell’arte. Docente. Giornalista collaboratore di quotidiani e periodici.
Autore di molti studi sul patrimonio artistico e di volumi su temi museografici, iconografici, ambientali e sulle arti applicate. Dirige collane di storia e arte
in Piemonte.
in copertina: Odoardo Tabacchi (1831-1905) La sveglia.
Bronzo, altezza cm. 70.
Direzione Comunicazione Istituzionale
Clara Palmas
Soprintendente ed Ispettore Centrale del Ministero per i Beni Culturali, è autore
di saggi su restauri, cataloghi di mostre e studi sulla storia dei monumenti, delle
strutture urbane e del paesaggio.
Pier Massimo Prosio
Scrittore. Ha dedicato diversi volumi alla storia della cultura e della letteratura
in Piemonte tra i quali la "Guida letteraria di Torino". Collabora a riviste letterarie italiane e straniere. È autore anche di opere di narrativa.