Giulio Cesare preview
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Sommario 88 Per la fortuna medievale di Cesare Francesco Lo Monaco 94 Giulio Cesare eroe rinascimentale Claudio Strinati 12 Giulio Cesare, l’uomo, le imprese, il mito appunti per un percorso Giovanni Gentili 16 Il significato dell’esperienza umana e politica di cesare Giuseppe Zecchini 100 Caio Giulio Cesare: profilo di un grande comandante Giovanni Brizzi Il mito di Cesare nelle arti figurative dal Seicento all’Ottocento Alberto Craievich 106 Giulio Cesare nelle letterature Paolo Cesaretti Cesare scrittore Luciano Canfora 112 Giulio cesare e l’industria culturale Enzo Sallustro 24 32 38 Cesare e il diritto Angela Donati 42 Cesare urbanista Paolo Liverani 60 Il linguaggio figurativo nell’età di Cesare Elena Ghisellini 72 Le irritanti statue di Cesare e i suoi ritratti contraddittori Paul Zanker 80 Dignitas e Luxuria: le arti suntuarie da Pompeo a Cesare Divi Filius Gemma Sena Chiesa Catalogo delle opere 123 129 165 221 234 Il protagonista La fine della repubblica Dalla repubblica all’impero Alle origini del mito Il mito di Cesare nelle arti Apparati 298 299 Cronologia cesariana Bibliografia generale 3. Jean-Léon Gérôme, Morte di Cesare. Baltimora, Walters Art Gallery 4. John William Waterhouse, Cleopatra. Collezione privata ma età repubblicana tanto da scrivere il Saggio critico del Triumvirato di Crasso, Pompeo, Cesare, iniziato nel 1739 e mai portato a termine, ma che fu comunque inserito nell’edizione delle sue Opere. Egli rimase affascinato dall’accesa lotta che si scatenò a Roma per la conquista del potere e dal modo abile e spregiudicato con cui Cesare sconfisse i suoi rivali. Inoltre proprio nella figura di quest’ultimo riconosceva non poche affinità con il suo mentore più affezionato, ossia il sovrano di Prussia, Federico II2. Non sorprende quindi che Cesare sia a tutti gli effetti la figura dominante del ciclo, al quale sono dedicati due dipinti, affidati ai pittori più rappresentativi. Il soggetto scelto per Piazzetta è una sorta di apax, descritto da Plutarco e da Svetonio, che esemplifica la spietata risolutezza di un Cesare ancora adolescente. Rifugiatosi in Bitinia per sfuggire alla vendetta di Silla, durante il viaggio fu fatto prigioniero dai pirati. I suoi rapitori stabilirono un riscatto per la sua liberazione, ma Cesare saputane l’entità, li derise senza timore, e li invitò a chiedere più del doppio. Dopo essere stato liberato allestì immediatamente delle navi e catturò i pirati, facendoli poi crocifiggere come aveva predetto loro, scherzando, durante la prigionia. Maggiore fortuna si può attribuire all’episodio affidato a Tiepolo, nel quale oltre alla caducità della gloria umana, viene celebrata la compassionevole pietà del vincitore che, davanti al macabro trofeo, ritrasse lo sguardo inorridito. Purtroppo, entrambi i dipinti sono andati perduti anche se, nel caso di Tiepolo, possediamo almeno un disegno preparatorio (fig. 1) e una copia del modelletto, riferibile alla sua bottega. Possiamo quindi solo immaginare il modo in cui i due pittori assecondarono le aspirazioni di Algarotti. Il 28 ottobre 1742 Francesco Algarotti presentava ad Augusto III re di Polonia ed elettore di Sassonia un ambizioso progetto di ampliamento per la galleria che il sovrano stava allora riunendo a Dresda. La parte più innovativa della sua proposta riguardava la commissione di una serie di opere da affidare agli artisti più celebri, con le quali Algarotti desiderava creare “una galleria moderna contenente quanto l’odierno secolo può produr di migliore”. Con poche eccezioni facevano parte del gruppo i grandi nomi della pittura europea: i veneziani Giambattista Pittoni, Jacopo Amigoni, Tiepolo e Piazzetta ma anche pittori di matrice classicista come il veronese Antonio Balestra o i bolognesi Donato Creti ed Ercole Lelli; il “romano” Francesco Mancini; i napoletani Francesco De Mura e Solimena fino ai francesi Van Loo (non e chiaro se Jean-Baptiste o il giovane nipote Carle, allora già famoso) e François Boucher. Chiudeva la selezione il vedutista Giovanni Paolo Pannini. Vista l’importanza del mecenate, il rilievo culturale dell’ideatore e la notorietà degli artisti chiamanti in causa, questa fu una delle iniziative più singolari e allo stesso tempo importanti dell’intero secolo1. Algarotti aveva studiato la sua proposta fino ai minimi dettagli. Oltre a stabilire le dimensioni dei quadri e selezionare gli artisti, scelse per ciascuno un soggetto ben preciso, in grado di esaltarne le personali attitudini. L’anno successivo, quando giunse in Italia, egli ridimensionò di molto il proposito iniziale, limitando il gruppo a soli sei dipinti, tutti commissionati ad artisti veneziani. Gli “argomenti” erano tratti dalla storia romana, in particolare si concentravano sull’ultimo periodo repubblicano. A Pittoni fu chiesto di rappresentare Crasso che saccheggia il tempio di Gerusalemme, a Piazzetta Cesare punisce i pirati della Cilicia, mentre il soggetto affidato a Tiepolo, la cui scelta fu particolarmente laboriosa, fu Cesare contempla la testa di Pompeo. Faceva eccezione all’interno del gruppo l’Incontro di Abrocome e Anzia assegnato a Jacopo Amigoni. Non una “historia” ma una “favola”, il cui argomento galante ben si accordava allo stile languido e delicato del pittore. Chiudevano la serie due tele di Francesco Zuccarelli, una raffigurante un Paesaggio con sileno poeta e filosofo (tratto dall’Egloga VI di Virgilio) e un’altra con Cicerone scopre la tomba di Archimede. Anche in quest’ultimo caso il soggetto ruotava attorno a uno dei protagonisti della tarda età repubblicana, ripreso in un episodio da lui stesso narrato nelle Tuscolane. È lecito chiedersi quali ragioni spinsero il letterato a selezionare questi specifici temi, dal momento che nel mondo antico abbondavano episodi che si potevano prestare all’iniziativa. Durante la giovinezza Algarotti si era dedicato con passione allo studio della storia dell’ulti4 1 Sulla vicenda si rimanda a Haskell 1963, (ed. cit., 1966, pp. 531 sgg.) e il più recente Ciancio 2007 (con bibliografia precedente). 2 Cfr. Arato 1991, pp. 83-90; 102-106. 3 Pigler 1974 (seconda edizione aggiornata), passim. 4 Gundolf 1925-1926 (ed. it. Milano 1932), passim. 5 Sulla tela realizzata da Pietro da Cortona si rimanda al più recente A. Lo Bianco, in Lo Bianco 1997, pp. 362-363. 6 Sartori 1993, ad nomen. 7 Mariuz 2004, p. 13. 8 Levey 1986 (ed. it. Milano 1988 p. 149). 9 Missirini 1835, p. 47; riportato da G. Piantoni de Angelis, in Piantoni de Angelis 1978, pp. 27-33. 10 Di un episodio del ciclo con la Morte di Cesare, si conserva un disegno preparatorio al Museo Correr di Venezia (cfr. Pavanello 1972, p. 101). 11 Dal Mas 1992, pp. 165-170. 12 Sulla tela di Vincenzo Camuccini, oggi al Museo di Capodimonte cfr. Utili, Spinosa 2002, p. 232. Su Pelagio Palagi si veda Poppi 1996. 13 Risulta particolarmente chiaro in Barbiera 1895, pp. 10-22. 14 Cfr. Cavalieri 1994. 15 Ackerman 1992, pp. 212-213 (all’epoca i dipinti si trovavano in collezione privata). 16 Ivi, pp. 204-205 (per il dipinto), a p. 307 è riportata anche l’incisione tratta dal disegno. 17 Ivi, pp. 220-221. Va notato che l’impaginazione del dipinto raffigurante la Morte di Cesare viene utilizzata anche per l’opera l’Esecuzione del Maresciallo Ney (Sheffield, City Art Gallery) dello stesso anno, a dimostrazione di quanto l’impianto fosse congeniale all’artista. 18 La fama di Gérôme, al pari del collega Meissonier, era tale nella Penisola che, in un contesto attardato come era la pittura di storia italiana, induceva a guardare ai modelli accademici francesi ancora allo scadere del secolo. 19 Sulla tela di Royer (Le Puy-en-Velay, 5 Musée Crozatier) vale il discorso riguardante quella con Vercingetorige si arrende davanti a Cesare di Henri Paul Motte del 1886 nel presente catalogo di Gilles Grandjean. Per Bartholdi: Betz 1979, pp. 9-43; Schmitt 1993, p. 236; presso la gipsoteca del Musée Bargoin di Clermond- Ferrand esiste un’altra versione della statua equestre. 20 Entrambe le tele si trovano in collezione privata. Il dipinto di Waterhouse venne esposto nel 1888 in occasione di una mostra organizzata dalla rivista “Graphic”, cfr. Hobson 1994.